Luigi
Speranza -- Grice e Crassicio: la ragione conversazionale e la diaspora di
Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. He moves to Rome where he works as a teacher before
joining the school of Quinto Sestio. Nome compiuto: Crassicio Pasicle.
Crassicio. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e
Crassicio,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi
Speranza -- Grice e Crasso: la ragione conversazionale a Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. An orator and a politican. He takes a keen interest in philosophy and
at different times studies with Metodoro, Carmada, Clitomaco and Mnesarco. Nome
compiuto: Lucio Lucinio Crasso. Crasso. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di
Gioco di H. P. Grice, “Grice e Crasso,” The Swimming-Pool Library, Villa
Speranza, Liguria, Italia.
Luigi
Speranza -- Grice e Cratippo: la ragione conversazionale al lizio di Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Lizio.
Friend of Cicerone. Tutor of Orazio and Bruto. Marco Tullio Cratippo. Crattipo.
Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Cratippo,”
The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!;
ossia, Grice e Credaro: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale del discorso al senato – scuola di Sondrio – filosofia lombarda
-- filosofia italiana – Luigi Speranza (Sondrio). Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Sondrio, Lombardia. Grice: “I like
Credaro; it is as if he invented the universities! I especially love the way he
connects it all, in that uniquely Italian way, with the ‘assoluto’!” Si laurea a Pavia, dove fu convittore del
Collegio Ghislieri, divenne insegnante di liceo. Wi recò a Lipsia per
perfezionarsi nella psicologia filosofica sotto Wundt. Insegna a Pavia. Ministro
della Pubblica Istruzione del Regno d'Italia nei governi Luzzatti e Giolitti IV
-- istituì il Liceo moderno. Relatore
nella presentazione della Legge che istitutiva dei Corsi di perfezionamento, o
più comunemente Scuole pedagogiche, di durata biennale, di preparazione per
l'esercizio all'ispettorato o per la direzione didattica delle scuole. Fu
l'ispiratore della legge Daneo-C., che stabiliva che lo stipendio dei maestri
delle scuole elementari fosse a carico del bilancio dello Stato, e non più dei
Comuni, contribuendo così in maniera determinante all'eliminazione
dell'analfabetismo in Italia. Prima di questa legge, infatti, i comuni di
campagna e quelli più poveri, specie nel Sud, non erano in grado di istituire e
mantenere scuole elementari e pertanto rendevano di fatto inapplicata la legge
Coppino sull'obbligo scolastico. Si
interessa attivamente dei problemi agricoli e forestali di Sondrio. Autore di
numerosi saggi, in particolare sui Kant e Herbart. Commissario Generale Civile della Venezia
Tridentina, ossia la suprema autorità del Trentino-Alto Adige che sta per essere
fannesso all'Italia. In tale veste tentò una politica particolarmente conciliante
verso la minoranza di lingua tedesca e rispettosa dell'ordinamento
amministrativo de-centrato della regione. In seguito, anche a causa delle
pressioni dei nazionalisti, la sua politica nei confronti della minoranza di
lingua tedesca si fece più intransigente. Testimonianza ne è la cosiddetta Lex
Corbino,elaborata da Credaro, sull'istituzione di scuole elementari nelle nuove
province che è considerata da una parte della storiografia strumento per
potenziare la presenza italiana soprattutto nel territorio misti-lingue della
regione a danno della minoranza tedesca. Ciononostante, sube l'assalto di una
squadra d'azione fascista che lo costrinse alle dimissioni per far luogo
all'insediamento di un prefetto di Trento. Termina quindi la sua carriera
politica in disparte rispetto al regime che si andava consolidando. Altre
opere: “Lo scetticismo degli platonisti (Roma, Terme Diocleziane); La libertà
di volere (Milano, Bernardoni); Herbart, Torino, Paravia), “Razionalismo
trascendente in Italia” Catania, Battiato); Wundt (Milano, Società Anonima
Editrice Dante Alighieri). Andrea Di Michele, L’italianizzazione imperfetta.
L’amministrazione pubblica dell’Alto Adige tra Italia liberale e fascismo,
Alessandria, Orso, Analfabetismo, Dizionario biografico degli italiani, Cr. un
italiano d'altri tempi articolo di Romano, Corriere della Sera, Sondrio. Se il nome di Carneade non è
completamente ignorato dalle persone colte, che non si occupano di storia della
filosofia, si deve alla parte giuridica del suo pensiero, la cui conoscenza è
tratta quasi interamente da pochi frammenti della famosa orazione (quasi-Trasimaco)
*contro* il concetto dello giusto tenuta a Roma frammenti conservati da
Lattanzio, il quale li ha presi dal trattato della repubblica di CICERONE. Questa
orazione alla Trasimaco *contro* la coerenza del concetto dello giusto – gius –
giustiziato, juratum, giurato cf. Cicerone jusjuratum --, che fa epoca nella
storia della cultura del popolo romano, non deve essere considerata solamente
un episodio della vita di Carneade, una semplice millanteria del facondo
oratore, che volesse fare impressione sugli animi dei Romani; ma il suo
contenuto deve venire integrato colle altre vedute di Carneade per cercarne il
legame ed esaminarne il valore. A tale fine bisogna anche qui muovere dallo
stoicismo. L'orazione *contro* lo giurato (Cicerone – iusiuratum) giustiziato
ha qualche rapporto con esso? Si sa che tutti e tre i filosofi ambasciatori --
Carneade accademico, Diogene stoico e Critolao peripatetico -- durante il lungo
soggiorno a Roma, sia per invito avuto dalla cittadinanza, che in quel tempo
godeva la pice decorsa tra la battaglia di Pidna e la terza guerra punica, sia
di propria iniziativa, per desiderio di far mostra di tutta la potenza della
loro parola e della loro scienza filosofica, a beneficio eziandio della causa
che patrocinavano, aprirono un corso di conferenze (GELLIO, Noct. Att.; MACROBIO,
Saturn.). É probabile che tutti e tre filosofi – Carneade accademico, Critolao
peripatetico del liceo – e Diogene stoico -- abbiano scelto l'argomento delle
loro orazioni dalla filosofia pratica, come quella che interessa vivamente i
loro ospiti, tutti dati alle armi, agli affari, alla politica,
all'amministrazione; anzi e le cito supporre che ciascuno abbia esposte le idee
della sua scuola – l’accademia, il lizio, e il portico -- intorno al “giurato”
– Cicerone iusiuratum, il principio o imperativo più importante della vita
pubblica e privata. Il soggetto del giurato – Cicerone, iusiuratum – dove
soddisfare pienamente le esigenze e i desideri dell'uditorio, poichè i romani,
a ragione o a torto, si credeno gli uomini più giusti (giuratura, iusiuraturus)
e alla virtù del giurato (Cicerone iusiuratum) attribuivano la grandezza, alla
quale era pervenuta la propria patria. In questa ipotesi lo stoico Diogene, con
parola modesta e sobria, come attesta POLIBIO, che ebbe opportunità di
ascoltarlo, spiega ai Romani l'idealismo morale e il cosmo-politismo della sua
setta. L'anima di tutti gli uomini è uguale; e come tutte le cose uguali si
attraggono, cosi anche gli esseri razionali; per ciò l'istinto della società è
insito nella stessa ragione, la quale insegna a ciascuno di noi che esiste una
sola città, un solo stato, la grande società umana; ciascuno si sente parte
integrante di questo immenso organismo governato da una sola legge (ius) e da
un solo diritto, la retta ragione (ius). Questa legge (ius) conforme alla
natura si fa sentire in tutti, immutabile, sempiterna, divina; invita col
comando al dovere, col divieto allontana dalla frode. È suprema, assoluta; non
è lecito crearne altre contrarie, nè abrogarla totalmente o parzialmente; non
voto di popolo, non decreto di senato possono dispensare dall'ubbidirla;
nessuno ha bisogno d'interprete per comprenderla; è la medesima in Atene e in
Roma, oggi e domani e sempre; l'inventore e il promulgatore di essa è uno solo,
il maestro e il comandante di tutti, Dio. Chi non vi obbedisce, va contro la
natura e per questo fatto solo soffrirà tutte le pene. L'uomo pensa e opera moralmente
(mos: costume) solo in quanto conformasi a questa unica legge; e poichè questa
è la medesima in tutti gli uomini, tutti debbono tendere allo stesso scopo, al
bene universale. Il uomo non deve vivere per sè, ma per l'umanità; l'interesse
personale deve essere asso lutarnente subordinato a quello umano Cic., de fin.;
de rep.; Plut., de comm. notit.; Zeller). In questo stato politico ed etico
regna perfetta concordia ed armonia. Tutti i cittadini hanno vivo il sentimento
dell'ordine, coltivano la virtù e reprimono gli appetiti irrazionali, che sono
la causa dell’inimicizia e della guerra (bellum, polemos). Sono sottomessi alla
volontà divina, al fato, alla serie universale e interminabile delle cause e
degli effetti. I doveri fondamentali sono il giurato (iusiuratum), in qua
virtutis splendor est maximus, e la benevolenza e la beneficenza.Questedue
virtù sono le basi della società civile (CICERONE, de fin.). Intorno ad esse
Diogene puo parlare a lungo ai Romani, perchè nel Portico e stato soggetto di
molte dispute e di scritti. Il suo tutore Crisippo gli aveva insegnato in
proposito una dottrina propria. Tutti gli altri esseri sono nati per il bene
degli uomini e degli dei, due uomini per formare una popolazione, una società,
una comunanza, una communita, un comune; è inerente alla natura che tra l'uomo
e il genere umano, come tra parte e tutto, interceda un diritto naturale. Colui
che lo osserva è giusto (promuove il giurato – iusiurato); ingiusto chi lo
trasgredisce. Tra il diritto pubblico e quello privato non avvi opposizione (CICERONE,
de fin.). Un uomo non si trova in rapporti giuridici con una bestia, ma solo con
suo simile. Affinchè si realizzi il regno del giurato (iusiuratum) e della moralità
occorre che la perfetta ragione sia presente in tutti. La ragione invece si
trova solamente nel sapiente; si formarono quindi gli stati singoli, che
tengono divisa l'umanità. Come gli stati, così le istituzioni che li governano
sono effetto di errore e stoltezza: quali l’istituzione del matrimonio, l’istituzione
della famiglia, l’istituzione della proprietà, l’istituzione dela moneta, l’istituzione
del ribunale, l’istituzione del ginnasio (Diog. L.). Stato conforme alla natura
umana, con istituzioni veramente buone, non esiste. Edotto di questo idealismo
politico, puo sul Campidoglio il pretore romano A. ALBINO, uomo erudito e
versato nella lingua greca, dire per ischerzo volgendosi a Carneade. “A te,
Carneade, non sembra io sia un pretore, nè questa una città, nè in essa abitino
cittadini). A cui Carneade, che subito capisce di essere stato preso per il
collega del Portico. “A questo del Portico non sembra cosi.” I filosofi
ateniesi non lasciano di contendere neppure in paese straniero; o certo
Carneade e stato assai lieto di osservare che al senso pratico dei romani la
dottrina de' suoi avversari si presenta come assolutamente *ridicola*; e
tornato in patria, crede il fatto degno di essere raccontato a' suoi discepoli
(L'aneddoto è ricordato da Clitomaco. CICERONE, Ac.). Sogliono gli storici
narrarci che Carneade tenne a Roma *due* discorsi ispirati a scopo opposto. Il
primo giorno dimostra l'esistenza del diritto naturale e loda la giustizia (il
giurato – il iusiuratum – dike – cf. lex). Il secondo giorno sostenne tutto il
contrario; onde gridano all'immoralità, all’audacia e alla sfacciataggine del
filosofo, che non si vergognò di difendere contraddizione si anorme. Anche non
tenendo conto che, se si applicasse questo criterio, tutta la filosofia dei
accademici sarebbe un' immoralità, perchè il loro metodo e di difendere in ogni
quistione le soluziori opposte. Idue discorsi (tesi ed antitesi, positio e
contra-positio, posizione e contra-posizione), tenuti in giorni successivi,
abbiano un'unità perfetta (la sintesi, o com-posizione) e si propongano il
medesimo fine: mostrare la falsità della dottrina della tesi di Diogene intorno
al giurato; e siccome costoro in questa parte della filosofia, molto più che in
altre, sono dipendenti da Platone e da Aristotele, bisogna prendere le mosse da
questi. Leggiamo in LATTANZIO. Carneades autem, ut Aristotelem refelleret ac
Platonem, IVSTITIAE patronos, prima illa disputatione collegit ea omnia, quae
pro IVSTITIA dicebantur, ut posset illa, sicut fecit, evertere. Carneades,
quoniam erant infirma, quæ a philosophis adserebantur, sumsit audaciam
refellendi, quia refelli posse intellexit (Lattanzio, Instit. div.). E al
trove. Nec immerito extitit Carneades, homo summo ingenio et acumine, qui
refelleret istorum (Platone e Aristotele ) orationem et iustitiam, quæ
fundamentum stabile non habebat, everteret, non quia vituperandam esse
iustitiam sentiebat, sed ut illos defensores eius ostenderet nihil certi, nihil
firmi de iustitia disputare (Epit.). Di qui è evidente che la prima orazione
non era che un esordio, un'introduzione, uno sguardo storico alla questione,
un'esposizione delle idee accettate da Diogene, che Carneade s'appresta a confutare
nel vegnente giorno (CICERONE., de rep.); confutazione, la quale non ha per
iscopo di vituperare la giustizia in sé, ma di colpire i filosofi avversari, o
almeno la loro teoria dommatica – il domma. Non è la virtù del Portico, che
Carneade demole, ma il sapere. E caso a noi pervennero frammenti solamente
della seconda orazione. Questa sola offre una filosofia nuova, da una scossa
inaspettata e forte all'intelligenza dei romani. Perciò eam disputationem, qua IVSTITIA
evertitur, apud CICERONE L. FURIO
recordatur (Lattanzio, Instit. dio.). E noi ora possiamo tentare di ricostruire
questo singolare discorso nelle sue linee generali. Per Carneade, non esiste
una giustizia (giurato – iusiurato) naturale nè verso due uomini. Se esso
esiste, le medesimecose sarebbero giurate (iusiurata) giuste o ingiuste, buone
o cattive, morali o immorali, per ogni uomo, come le cose calde e le fredde, le
dolci e le amare. Invece, chi conosce il mondo e la storia, sa che regna una grandissima
diversità di apprezzamenti morali e giuridici, di consuetudini tra il popolo romano
e il popolo sabino, da Roma a Sabinia, dal Tevere al Trastevere, da tempo a
tempo. I cretesi e gl’etoli reputano cosa onesta il brigantaggio. I lacedemoni
dichiarano loro proprietà tutti i campi che potevano toccare col giavellotto. Gl’ateniesi
soleno annunciare pubblicamente che loro appartene ogni terra che producesse
olive e biade. I barbari galli stimano disonorevole cosa procurarsi il frumento
col lavoro, invece che colle armi. I romani vietano ai transalpini la
coltivazione dell'ulivo e della vite, per impedire la concorrenza ai loro
prodotti e dar a questi un valore più elevato. Gli semitici egiziani, che hanno
una storia di moltissimi secoli, adorano come divinità il bue e belve di ogni
genere. I semitici persiani, disprezzano gli dei dell'Ellade, ne incendiarono i
tempii, persuasi essere cosa illecita che gli dei, i quali hanno per abitazione
tutto il mondo, fossero rinchiusi tra pareti. Filippo il Macedone idea e
Alessandro manda ad esecuzione la guerra contro i greci per punire quei numi. I
Tauri, gli Egiziani, i barbari galli (“Norma”) e i Fenici credeno che
tornassero assai accetti alle loro deità il sacrifizio umano. Si dice: E dovere
dell'uomo che fa il giurato (iusiuratum) ubbidire alla legge. Quale legge? A la
legge di ieri, o alla legge di oggi? A quelle fatte in questo lato del Tevere,
o nel Trastevere? Se una un imperativo o una legge suprema, universale, trascendente,
kantiana, costante s'impone alla coscienza dell’uomo, come pretende Diogene,
coteste variazioni non sarebbero possibili. Perciò non esiste un diritto
naturale, nè un uomo che per natura arriva al giurato (iusiuratum). Il diritto (IVS)
è una invenzione dell’uomo a scopo di utilità e didifesa; come prova anche il
fatto che non raramente la legge, le quale e fatta dal sesso maschile, assicura
a questo sesso un particolare vantaggio a danno di quello femminile. Nessuna ‘legislazione’,
attentamente esaminata, appare l'espressione di un imperative o principio
fisso, naturale, vero, immutabile, divino. Invece al profondo osservatore non
isfugge che ogni disposizione legale move da ragione di utile e viene cambiata
appena non risponde più ai bisogni e agl'interessi di coloro che hanno nelle
mani il potere. Ogni nazione cerca di provvedere al proprio bene e considera,
per istinto di natura, gl’animali e le altre nazione come istrumenti della
propria conservazione e felicità (CICERONE., de rep.). La storia insegna che
ogni popolo che diventa grande, potente, ricco, non pensa ai vantaggi altrui,
ma unicamente ai proprii. Voi stessi o ROMANI, dice Carneade parlando a un SCIPIONE
Emiliano, il futuro distruttore di Cartagine e di Numanzia, a LELIO il saggio,
al letterato FURIO Filone, a SCEVOLA il futuro giureconsulto, all'erudito
SUPICIO Gallo, al grande oratore GALBA, al vecchio CATONE, l'implacabile nemico
di Cartagine, al fiore di tutta la cittadinanza e alla presenza dei colti
ostaggi achei trasportati in Italia, tra i quali il grande storico e generale
Polibio. Voi stessi, o Romani, non vi siete impadroniti del mondo colla GIUSTIZIA.
Se volete essere giusti, restituite le cose tolte agl’altri, ritornate alle
vostre capanne a vivere nella povertà e nella miseria. Il criterio direttivo
della vostra vita non e il giurato
(iusiuratum), bensi l'utilità, che invano cercate di mascherara. Poichè voi, coll'intimare
la guerra per mezzo di araldi, col recare *in-giurie* sotto un pretesto di
legalità, col desiderare l'altrui, col rubire, siete per venuti al possesso di
tutto il mondo. Ma per temperare il cattivo effetto, che avesse potuto produrre
negli animi dei Romani questa audace analisi dei fattori della loro grandezza
politica, l'avveduto ambasciatore ateniese ricorda altri esempi, che sono celebri
e lodati in tutto il mondo. Rammenta la ben nota risposta data dal pirata
catturato ad Alessandro il grande. Io infesto breve tratto di mare con una sola
fusta, con quel medesiino diritto, col quale tu, o Alessandro, infesti tutto il
mondo con grande esercito e flotta. Il patriottismo, questa virtù somma e
perfetta, che suole essere portata fino al cielo colle lodi, è la negazione del
giurato (iusiuratum), perchè si alimenta della discordia seminata tra gli
uomini e consiste nell'aumentare la prosperità del proprio paese, naturalmente
a danno di un altro, coll’nvadere violentemente il territorio altrui, estendere
il dominio, aumentare le gabelle. Patriotta è colui che acquista dei beni alla
patria colla distruzione di altre città e nazioni, colma l'erario di denaro,
rese più ricchi i concittadini. E, quel che è peggio, non solo il popolo e la
classe incolta, ma eziandio i filosofi esortano e incoraggiano a commettere
cotali atti ingiusti. Cosicchè alla malvagità non manca neppure l'autorità
della scienza. Ovunque regnano inganno e ingiustizia, che invano si tentano di
nascondere e legittimare. Tutti quelli che hanno diritto di vita e di
morte sul popolo sono tiranni. Ma essi preferiscono chiamarsire per volontà
divina. Quando alcuni, o per ricchezze, o per ischiatta, o per potenza, hanno
nelle mani l'amministrazione di una città, costituiscono una setta. Ma i membri
prendono il nome di “ottimato”. Se il popolo ha il sopravvento nel maneggio dei
pubblici affari, la forma di governo si chiama libertà; ma è licenza. Ma poichè
gli uomini si temono l'un l'altro, e una classe ha paura dell'altra, interviene
una specie di *patto* o contratto fra popolo e potenti e si costituisce una
forma mista di governo, dove la giustizia è un effetto non di natura o di
volontà, ma di debolezza. Ed è naturale che cosi avvenga. Se l'uomo deve
scegliere tra le seguenti condizioni: recare *in-giuria* e non riceverne; e
farne e riceverne; nè farne, nè riceverne, egli repute ottima la prima, perchè
soddisfa meglio i suoi istinti. Poscia la terza, che dona quiete e sicurezza;
ultima e più infelice la condizione di chi sia costretto ad essere continuamente
in armi, sia perchè faccia, sia perché riceva *in-giurie”. Adunque alla Hobbes lo
stato naturale dei rapporti tra uomo e uomo è la lotta (uomo uominis lupo), la
guerra, la discordia, la rapina, la violenza, l'inganno, in una parola, la
negazione del giurato (giusgiurato). La giustizia è una virtù che si esercita
per effetto di debolezza e per proprio tornaconio. Ma Diogene, come vedemmo,
considera il giurato (iusiuratum) verso gli uomini. Carneade dove notare che
l’istituzione del tempio esiste solamente nel l'immaginazione de' suoi
avversari e dei filosofi, dai quali essi attinsero i loro principii. Non si
acquista, non si allarga potere, non si fonda regno senza le armi, le guerre,
le vittorie; le quali alla loro volta in generale presuppongono la presa e la
distruzione di città. E dalle distruzioni non vanno immuni le oggetti addorati
nei tempi, ne dalle stragi si sottragge il sacerdote del tempio; né dalle
rapine i tesori e gli arredi sacri. Quanti trofei di divinità
nemiche, quante sacre immagini, quante spoglie di tempii resero splendidi i
trionfi dei generali romani! E non sono cotesti sacrilegi? Non sono atti di somma
ingiustizia? No, innanzi al giudizio del popolo, all'opinione della gente
colta, degli storici, dei letterati, questa è gloria, è patriottismo, è
prudenza, sapienza, giustizia. Dunque la giustizia non solamente non viene
osservata in pratica, ma non esiste nep pure in fondo alla coscienza generale
dell’uomo. Anch'essa viene subordinata all'utile. Ma non s'arresta qui la
critica di Carneade. Con un esame sottile e profondo dell'antinomia esistente
tra i due concetti del ‘scitum’ e del ‘giurato’ e della natura morale dell'uomo
quale in realtà è, e quale egli si crede e vorrebbe essere, Carneade ha
chiarito un contrasto del cuore (ragione pratica) e della mente (ragione
teorica) umana, che tuttavia rimane e che ha servito di fondamento alle teorie
utilitaristiche inglesi di tempi a noi vicini. Lo ‘scitum’ – la sapienza
politica comanda al Cittadino di accrescere la potenza e la ricchezza della
patria, estenderne i confini e il dominio, renderne più intensa la vita con
nuove sorgenti di guadagni e di piaceri; e tutto questo non si può compiere senza
danno di altre genti. Il giurato (iusiuratum) invece comanda di risparmiare
tutti, di beneficare i propri simili indistintamente, restituire a ciascuno il
suo, non toccare i beni, non turbare i possedimenti altrui, non sminuire la
felicità d'alcuno. Ma se un uomo di stato vuole essere giusto, non ha mai
l'approvazione de' suoi amministrati, non gloria, non onori, i quali il popolo
attribuisce non al giusto (che promueve il giurato) e onesto e inetto; bensì al
sapiente, al prudente, all'accorto. Non per il giurato, ma per il ‘scitum’ i generali
di Roma hanno il soprannome di grandi. La violenza, la forza, la negazione
del giurato, hanno dato potere e consistenza agli stati. Ma per nascondere la
propria origine e fuggire la taccia de negare il giurato (iusiuratum), il
popolo, fatto grande e divenuto dominatore, va immaginando delle favole da
sostituire alla storia vera, come il mercante arricchito agogna un titolo di
nobiltà. Le stesse qualità, e solamente le stesse, mantengono gli stati liberi
o forti. Non ha nazione tanto stolta, la quale non preferisce il comandare con
la negazione del giurato, all'ubbidire con la promozione del giurato
(iusiuratum). La ragione di stato e la salvezza pubblica vincono e soffocano il
sentiment *dis-interessato*. Uno stato vuole vivere a prezzo di qualsiasi
negazione del giurato (iusiuratum), perchè sa che alla vittoria, con qualunque
mezzo acquistata, tien dietro la gloria. Nel concetto degli antichi, la fine
della propria nazione non sembra avvenimento naturale, come la morte di un
individuo, pel quale questa non solo è necessaria, ma talvolta anche
desiderabile. L'estinzione della patria era per essi in certo qual modo
l'estinzione di tutto il mondo. Dato questo concetto e un sentimento della
gloria diverso e molto più intenso che non sia in noi moderni, doveno in certa
guisa parere *giustificati* (giusti-ficati – fatto giurato – iusiuratum --
anche gli atti di violenza e di frode, che avevano per I scopo la conservazione
e la potenza del proprio stato; o, per meglio dire, il popolo e gl'individui
non hanno coscienza di un principio o imperativo che governa la propria vita.
Credeno, I ROMANI pei primi, di promovere il giurato (iusiuratum) e invece sommamente
negano il giurato (iusiuratum). Carneade fu il primo a chiarire questa opposizione
tra fatto e idea, tra sapienza machiavelica politica e il giurato (iusiuratum)
(CICERONE (si veda), de fin.). Il medesimo conflitto tra il giurato e il
‘scitum’ dimostra egli esistere nella vita privata, intendendo per sapiente
l'uomo che sa difendere il proprio interesse; e giusto colui che non lede
quello degli altri. Sono suoi i seguenti esempi, tolti dalla vita giornaliera e
assai chiari e appropriati alla vita romana affogata negli affari. Un tale
vuole vendere uno schiavo, che ha l'abitudine di fuggire, o una casa insalubre.
Egli solo conosce questi difetti. Ne rende avvisato il compratore? Se si,
s'acquista fama di uomo onesto, perchè
non inganna, maeziandio di stolto, per che vende a piccolo prezzo, o non vende affatto;
se no, sarà reputato sapiente, perchè fa il proprio interesse, ma malvagio,
perchè inganna. Parimenti, se egli s'incontra in uno che vende oro per oricalco,
o argento per piombo, tace per comperare a buon prezzo, o indica al venditore
lo sbaglio e sborsa di più per l'acquisto? Solamente lo stolto vorrà pagare a
maggior prezzo la merce. Se un tale, la cui morte a te recherebbe vantaggio,
sta per porsi a sedere in luogo, dove si nasconde serpe velenoso, e tu il sai,
dovrai avvertirlo del pericolo, o tacere? Se taci, sarai improbo, ma accorto; se
parli, sarai probo, ma stolto (Cic., de rep.). Dunque qui pure si presenta la
contraddizione: chi è giusto, è stolto; chi è sapiente, è ingiusto. Ma in
questi casi si tratta di una quantità maggiore o minore di denaro e di vantaggi
più o meno rilevanti, e v'ha chi potrebbe essere contento e felice della
povertà. Ma quando andasse di mezzo la vita, il conflitto diventerebbe più spiccato.
Un tale in un naufragio, mentre è poco lontano dall'affogare, vede un altro più
debole di lui mettersi in salvo appoggiandosi a una tavola, che vale a
sostenere uno solo. Nessuno testimonio è presente. Si fa sua la tavola e si
pone in salvo, lasciundo che l'altro perisca. Oppure, se, dopo che i suoi
furono sconfitti, incontra nella fuga un ferito a cavallo, che va sottraendosi
al ferro dei nemici inseguenti, lo getterà a terra per porre se stesso in
sella, o si lasce raggiungere e uccidere. Se egli è uomo sapiente, si salva a
qualunque costo. Ma se poi antepone il morire al far morire, sarà giusto, ma
stolto. Tale è il giudizio che intorno al suo operato porteranno il uomo. Cosicchè il giure naturale, la giustizia
naturale è stoltezza. Il giure civile è sapienza politica. Tutto è lotta
d'interessi. Si ha ragione di credere che Carneade nel suo discorso *contro* il
giurato civile tocca anche la questione della schiavitù, dicendo essere un
fatto che nega il giurato (iusiudicatum) naturale, che uomo servisse a uomo --
principio che, riconosciuto vero, puo essere assai valido per far conoscere
quanto esteso fosse il dominio della negazione del giurato e dare alla sua tesi
una grande forza. E ciò si induce a credere dal vedere che in più frammenti il
difensore del giurato, ossia il suo contraddittore, viene svolgendo la tesi opposta,
perchè la schiavitù, rettamente conservata, torna a utilità del stesso schiavo,
il quale sotto un governo buono e forte vive in maggiore sicurezza e viene
meglio educato che allo stato di libertà; e come Dio comanda all'uomo, l'anima
al corpo, la ragione alle parti appetitive dell'anima, cosi il conquistatore
tiene a freno il conquistato, il quale diventa tali appunto perchè e peggiore
di quello. Un tenue indizio ci sarebbe anche per farci credere che egli risolve
il rimorso nella paura della pena, negando che fosse un sentimento più profondo
e disinteressato. Diogene obbietta che in questa ipotesi il malvagio sarebbe
semplicemente un incauto e il buono uno scaltro (Cic. de leg.). In conclusione:
per Diogene, fondamento della morale e del diritto è l'inclinazione ad amare
gli uomini e a rispettare la divinità, inclinazione che ha radice nella natura,
la quale sola offre la norma per distinguere il giurato dalla sua assenza, il
bene dal male. Per Carneade, generatrice del diritto è l'utilità, e l'utilità
sola, e ogni giudizio morale e altrettanta opinione, la quale non deriva da un
imperativo kantiano, o un principio naturale fisso, come provano la loro
varietà e il dissenso degli uomini (CICERONE (si veda), de leg.). Alla teoria
giuridica di Carneade non si deve attribuire un significato di domma o dommatico,
che sarebbe in cotraddizione colle premesse teoretiche della sua filosofia. L'egoismo
e l'utilitarismo proclamato da Carneade in opposizione all'idealismo morale di
Diogene, non è una dottrina *precettiva*, alla Kant (il sollen) ma
l'investigazione e l'esposizione di un fatto psicologico e sociale – come il
principio cooperativo di Grice. Carneade non pare credere all'effetto pratico
della morale normativa e si limita ad analizzare il cuore dell’uomo, la ragione
pratica, saggezza, prudential, il quale, per la sua tendenza nativa, è assai
lontano dal realizzare il precetto dommatico stoico. Ma da filosofo prudente
s'astiene dal proporne del proprio precetto (idiosincrazia). Nota il fatto che
si presenta all'osservazione quotidiana con tutti i caratteri della
verosimiglianza più alta e sforzano a credere o ad operare; ma nè costruisce una
teoria assoluta, ne formula un domma. iusiuro: swear to a binding formula. NA
Wundt/1/IV/D/XIII/1 Estate Wundt Zeitungsausschnitte 100. Geburtstag Wundt NA Wundt. Estate Wundt Brief von Luigi
Credaro an Wilhelm Wundt Ricerca Sofistica Lingua Nota disambigua.svg
Disambiguazione – "Illuminismo greco" rimanda qui. Se stai cercando
il movimento culturale greco del XVIII secolo, vedi Nuovo illuminismo greco. La
sofistica (in greco σοφιστική τέχνη, sofistiké téchne) è stata una corrente
filosofica sviluppatasi nell'antica Grecia, ad Atene in particolare, a partire
dalla seconda metà del V secolo a.C., la quale, in polemica con la scuola
eleatica e avvalendosi del metodo dialettico di Zenone di Elea, pose al centro
della propria riflessione l'uomo e le problematiche relative alla morale e alla
vita sociale e politica. Non si trattò di una vera e propria scuola né di un
movimento omogeneo, ma fu estremamente variegata al suo interno: i suoi
esponenti (detti appunto sofisti), seppur accomunati dalla professione di
«maestro di virtù», si interessarono di vari ambiti del sapere, giungendo
ognuno a conclusioni differenti e a volte tra loro
contrastanti. L'Acropoli e l'agorà di Atene: qui fiorì la sofistica I
sofisti rinunciarono alla vastità delle congetture cosmologiche dei filosofi
naturalisti, concentrandosi sulla soggettività dell'uomo, sulla legittimità
delle opinioni e il valore dei fenomeni. L'approccio dei sofisti era quindi
orientato all'individualismo e al relativismo, alla critica dei valori tradizionali,
al razionalismo. I contemporanei avvertirono in queste posizioni il rischio di
derive ateistiche e di corruzione dei costumi. Certa storiografia moderna ha
invece evocato l'idea di un illuminismo greco. Etimologia. Anticamente il
termine σοφιστής (sophistés, sapiente) era sinonimo di σοφός (sophòs, saggio) e
si riferiva ad un uomo esperto conoscitore di tecniche particolari e dotato di
un'ampia cultura. A partire dal V secolo, invece, si chiamarono «sofisti»
quegli intellettuali che facevano professione di sapienza e la insegnavano
dietro compenso:[6] quest'ultimo fatto, che alla mentalità del tempo appariva
scandaloso, portò a giudicare negativamente questa corrente. Nell'antichità, il
termine era spesso posto in antitesi con la parola «filosofia», intesa come
ricerca del sapere, che presuppone socraticamente il fatto di non possedere
alcun sapere. I sofisti vennero ritenuti falsi sapienti, interessati al
successo e ai soldi, più che alla verità. Il termine mantiene anche nel
linguaggio corrente un carattere negativo: con «sofismi» si intendono discorsi
ingannevoli basati sulla semplice forza retorica delle argomentazioni. La
sofistica è stata rivalutata, e oggi è riconosciuta come un momento
fondamentale della filosofia antica. Contesto storico-culturale
Magnifying glass icon mgx2. Svg Lo stesso argomento in dettaglio:
Pentecontaetiae Guerra del Peloponneso. Veduta dell’Acropoli di Atene Lo
sviluppo della sofistica ad Atene è legato a un insieme di fattori culturali,
economici e politico-sociali. Con la sconfitta dei Persiani a Salamina le
poleis greche affermarono la propria autonomia, e la loro potenza si ampliò
progressivamente nel corso dei successivi cinquant'anni di pace (la cosiddetta
Pentecontaetia). In particolare, a primeggiare su tutte furono le città rivali,
ovvero Sparta e Atene: la prima espanse la propria influenza su quasi tutto il
Peloponneso attraverso un'ampia rete di alleanze, mentre Atene, membro di primo
piano della Lega delio-attica, con l'avvento di Pericle finì con l'assumerne il
comando. Con il potere politico ed economico crebbe però anche l'ostilità tra
le due città, e il desiderio di supremazia sull'intera Grecia portò al disastro
della Guerra del Peloponneso. Pericle Pericle, leader carismatico
della fazione democratica, governò Atene per circa un trentennio, portando la
città al suo massimo splendore. Egli fece trasferire il tesoro della Lega
delio-attica da Deload Atene, e trasformò il volto della città con un imponente
piano di riforma architettonica (simbolo del potere dell'epoca sono gli edifici
dell'Acropoli: il Partenone, l'Eretteo, i Propilei); inoltre, si
intensificarono i rapporti con le altre città, attraverso alleanze e scambi
commerciali. Fu proprio questo nuovo clima di pace a favorire l'affermarsi
della sofistica, poiché permise ai sofisti, «maestri di virtù» itineranti, di
spostarsi di città in città, seguendo le rotte commerciali. Visitando luoghi
con tradizioni e ordinamenti politici differenti, talvolta varcando addirittura
i confini dell'Ellade, essi iniziarono ad interrogarsi sul valore intrinseco
delle leggi e della morale, giungendo ad un sostanziale relativismo eticoche
riconosceva il valore delle norme morali solo in relazione alle usanze della
città in cui ci si trova ad operare: la stessa areté (virtù) da loro insegnata
si riduceva all'insieme delle norme e delle convenzioni riconosciute valide dai
cittadini, alle quali il retore si deve adeguare per avere successo e buona
fama. Tuttavia, bisogna considerare che non erano considerati “cittadini” le donne,
gli stranieri (meteci) e gli schiavi. L'età di Pericle fu dunque al tempo
stesso l'età dello splendore e della crisi della polis, poiché coincise con la
crisi dei valori tradizionali, di cui i sofisti furono protagonisti; come
scrive Untersteiner, la sofistica è «l'espressione naturale di una coscienza
nuova pronta ad avvertire quanto contraddittoria, e perciò tragica, sia la
realtà». Il primo interesse dei sofisti è la rottura con la tradizione
giuridica, sociale, culturale, religiosa, fatta di regole basate sulla forza
dell'autorità e del mito (e per questo motivo sono talvolta guardati come
"precursori dell'Illuminismo"), a cui veniva contrapposta una morale
flessibile, basata sulla retorica. D'altra parte, la stessa retorica che essi insegnavano
aveva un'enorme importanza per la vita civile nel regime democratico
dell'epoca, il quale riconosceva a tutti i cittadini l'uguaglianza giuridica
(isonomia) e la libertà di parola durante l'assemblea pubblica
(parresia). Il tramonto dell'aristocrazia segnò il tramonto di una
mentalità, di un'epoca con le sue aspirazioni eroiche. Le eroiche lotte
sostenute contro i Persiani, le nuove leggi e le nuove costituzioni crearono un
grande senso di fiducia in se stessi. Nel pensiero dei sofisti si rispecchiano
le esigenze delle àlacri classi borghesi, l'arrivismo degli uomini nuovi,
l'irriverenza verso le tradizioni sacre ed il beffardo disprezzo del passato,
le violente lotte fra città e città, la corsa sfrenata alle cariche politiche.
I sofisti Rosa, Protagora e Democrito I sofisti erano considerati maestri di
virtù che si facevano pagare per i propri insegnamenti. Per questo motivo essi
furono aspramente criticati dai loro contemporanei, soprattutto da Platone e
Aristotele, ed erano offensivamente chiamati «prostituti della cultura».
Ironicamente, i sofisti furono i primi ad elaborare il concetto occidentale di
cultura (paideia), intesa non come un insieme di conoscenze specialistiche, ma
come "metodo di formazione" di un individuo nell'ambito di un popolo
o di un contesto sociale. Essi riscossero successo soprattutto presso i ceti
altolocati. La figura del sofista, come persona che si guadagna da vivere
vendendo il proprio sapere, si pone come precursore dell'educatore e
dell'insegnante professionista. Argomento centrale del loro insegnamento è la
retorica: mediante il potere persuasivo della parola essi insegnavano la
morale, le leggi, le costituzioni politiche; il loro intento era di educare i
giovani a diventare cittadini attivi, cioè avvocati o militanti politici e, per
essere tali, oltre ad una buona preparazione, bisognava anche essere
convincenti e saper padroneggiare le tecniche retoriche. I sofisti, a
differenza dei filosofi greci precedenti, non si interessano alla cosmologia e
alla ricerca dell'archèoriginario, ma si concentrano sulla vita umana,
diventando così i primi filosofi morali. Vengono distinte due generazioni di
sofisti: Sofisti della prima generazione: Protagora, Gorgia, Prodico e
Ippia Sofisti della seconda generazione: solitamente allievi dei primi, sono a
loro volta distinguibili in: Sofisti politici: Antifonte, Crizia, Trasimaco,
Licofrone, Callicle, Alcidamante, Polo, l'Anonimo di Giamblico Sofisti della
physis, si interessano del rapporto natura-uomo, spesso conducendo studi
naturalistici: Antifonte, (Ippia) Eristi, portano all'esasperazione il metodo
dialettico: Eutidemo e Dionisodoro, Eubulide di Mileto Altri: Seniade di
Corinto, forse l'anonimo autore dei Dissoi logoi Stando alle fonti, pare che
anche il filosofo Aristipposia stato un sofista prima di incontrare Socrate e
unirsi a lui; in particolare pare fosse allievo di Protagora e sappiamo per
certo che diede lezioni di eloquenza a pagamento. A questo proposito si
racconta un aneddoto: protagonisti sono Aristippo e il padre di un suo alunno,
il quale, contestando il prezzo troppo alto della retta annuale, gli avrebbe
detto: «Mille dracme? Ma io con mille dracme ci compro uno schiavo!», e
Aristippo avrebbe risposto: «E tu compralo questo schiavo, così ne avrai due in
casa, questo e tuo figlio!». A quanto pare Aristippo praticava tariffe
differenziate in base alle capacità degli allievi, così che se uno di questi
aveva la sfortuna di essere poco dotato la sua tariffa aumentava
vertiginosamente, mentre se al contrario era particolarmente brillante e
intuitivo la tariffa ammontava a poco più di 1 dracma, praticamente
gratis. Caratteri generali della sofistica Lo stesso argomento in
dettaglio: Relativismo etico sofistico. La sofistica, come detto, fu un
movimento disomogeneo, e ogni sofista differiva dagli altri per interessi e
posizioni personali. Tuttavia, è possibile riconoscere in questi autori alcuni
caratteri comuni. Centralità dell'uomo. I sofisti si interessarono
prevalentemente di problematiche umane ed antropologiche, tanto che gli studiosi
parlano di antropocentrismo sofistico. Essi approfondirono i temi legati alla
vita dell'uomo, che venne analizzata soprattutto dal punto di vista
gnoseologico (ciò che l'uomo può conoscere e ciò che non può conoscere), etico
(ciò che è bene e ciò che è male) e politico (il problema dello Stato e della
giustizia). L'essere umano veniva considerato a partire dalla sua condizione di
individuo posto all'interno di una comunità, caratterizzata da determinati
valori culturali, morali, religiosi e via dicendo. Essi insegnavano pertanto a
osservare formalmente le leggi e le tradizioni della polis, così da diventare
cittadini rispettati e di successo – quindi virtuosi. Rottura con la
“fisiologia” presocratica. Come conseguenza del punto precedente, i sofisti in
genere trascurarono le discipline naturalistiche e scientifiche, che invece
erano state tenute in grande considerazione dai filosofi precedenti. Per questa
ragione alcuni studiosi hanno definito "cosmologica" la filosofia
precedente ed "umanistico" o "antropologico" il pensiero
sofistico. In realtà, va precisato che tale generalizzazione è per certi versi
limitativa, poiché ad essa fanno eccezione i casi di Ippia di Elide (che,
mirando ad un sapere enciclopedico, coltivò studi inerenti a vari campi scientifici,
tra cui matematica, geometria e astronomia) e Antifonte (il quale, studioso dei
testi ippocratici, fu esperto di anatomia umana ed embriologia). Relativismo ed
empirismo. I sofisti concepivano la verità come una forma di conoscenza sempre
e comunque relativa al soggetto che la produce e al suo rapporto con
l'esperienza. Non esiste un'unica verità, poiché essa si frantuma in una
miriade di opinioni soggettive, le quali, proprio in quanto relative, finiscono
per essere considerate comunque valide ed equivalenti: si parla pertanto di
relativismo gnoseologico. Questo relativismo investe tutti gli ambiti della
conoscenza, dall'etica alla politica, dalla religione alle scienze della
natura.Dialettica e retorica. Le tecniche dialettiche dell'argomentare (cioè dimostrare,
attraverso passaggi logici rigorosi, la verità di una tesi) e del confutare
(cioè dimostrare logicamente la falsità dell'antitesi, l'affermazione contraria
alla tesi) erano già state utilizzate da Zenone all'interno della scuola
eleatica, ma fu soprattutto con i sofisti che esse si affermarono e si
affinarono. La dialettica divenne una disciplina filosofica essenziale e
influenzò profondamente la retorica, ponendo l'accento sull'aspetto persuasivo
dei discorsi, fino a scadere nell'eristica.Alla luce di tutto ciò, alcuni
studiosi hanno voluto vedere nel movimento sofistico una sorta di “illuminismo
greco” ante litteram, in quanto i miti e le credenze tradizionali vennero
criticati e sostituiti con nozioni razionali: in altre parole la sofistica avrebbe
in un certo senso anticipato alcuni motivi tipici di quel movimento culturale
sviluppatosi in Europa nel XVIII secolo, l'Illuminismo appunto.
L'insegnamento Greuter, "Socrate e i suoi studenti", XVII
secolo. Nell'Atene era costume che i maestri tenessero lezione all'aperto, in
piazza o sotto i portici Con la comparsa dei sofisti nascono nuovi luoghi
deputati all'insegnamento: le case dei cittadini più ricchi, le palestre
pubbliche e le piazze, le quali includevano dei portici in cui i maestri
potevano passeggiare con i loro discepoli o sedere in banchi dove potevano
discutere. In genere, la scelta del luogo in cui tenere lezione era legata al
tipo di "sapienza" professata: Socrate, ad esempio, scelse la piazza
pubblica per mostrare la sua disponibilità verso tutti i cittadini e il
disinteresse per il denaro – e lo stesso faranno i cinici in epoca successiva –
mentre gli accademici, i peripatetici e gli stoici preferiranno luoghi
attrezzati con strumenti scientifici e biblioteche. D'altra parte, va ricordato
ancora una volta che la sofistica non fu una scuola filosofica, bensì un
movimento caratterizzato da un ampio e variegato dibattito interno.
Capisaldi dell'insegnamento sofistico sono: L'insegnabilità della virtù:
essendo i sofisti "maestri di virtù", il loro insegnamento si basava
sulle strategie per conseguirla, con fini eminentemente utilitaristici; non
essendo infatti possibile conoscere il Bene in sé, l'educazione era volta a
diffondere i valori più convenienti alla vita civile dell'individuo. Per questo
motivo, essi si rivolsero non solo agli aristocratici, ma anche ai ceti
emergenti che aspiravano al successo.La retorica: i sofisti non furono degli
scienziati, poiché non limitavano il campo del loro sapere ad una disciplina
specifica; piuttosto, per loro era importante il metodo di comunicazione, e per
apprenderlo erano previsti due momenti, la dialettica e l'eristica: la prima
consiste nell'arte di saper argomentare, la seconda nel saper vincere in una
discussione. Il loro insegnamento abbracciava molte tematiche, e oltre alla
morale si occuparono di problemi di diritto, ponendo la questione
dell'esistenza o meno del diritto naturale (physis) e del suo rapporto col
diritto positivo (nomos).Per quanto riguarda le leggi e le norme i sofisti, spostandosi
di città in città, si accorsero che ogni cultura ha diverse regole e leggi. Ciò
fece sorgere in loro domande quali: Ci sono regole uguali per tutti? In
genere i sofisti propendono per il no, cioè per il relativismo etico. Vi è una
cultura superiore alle altre? Porre la domanda già equivale ad una critica
delle tradizioni e ad una propensione per il relativismo culturale. La Seconda
sofistica Lo stesso argomento in dettaglio: Seconda sofistica.
L'imperatore ADRIANO, in veste greca, offre un sacrificio ad Apollo (Londra,
British Museum) Dopo il successo del V secolo a.C., nel secolo successivo la
sofistica vide un progressivo ridimensionamento della propria importanza,
soprattutto a causa delle già menzionate critiche rivolte ai sofisti dai
filosofi dell’ACCADEMIA e del LIZIO, e dalle loro scuole. Tuttavia, si assiste,
in piena età imperiale, ad una rinascita della sofistica, grazie a un movimento
filosofico-letterario definito da Filostrato Seconda sofistica[24] (detta anche
Nuova sofistica o Neosofistica, per differenziarla da quella antica).
Diversamente dalla sofistica del V secolo, però, la Seconda sofistica abbandona
i temi di interesse filosofico ed etico (come la divinità, la virtù e via
dicendo), per occuparsi esclusivamente di oratoriae retorica. La Nuova
sofistica si presenta così subito come un movimento di impronta essenzialmente
letteraria, orientato allo studio e all'esercizio dell'oratoria e ben distante
dall'impegno politico e culturale dei sofisti dell'età di Pericle. I nuovi sofisti
mirano all'affermazione personale e al successo pubblico, cercando (eccetto che
in rari casi) di ingraziarsi la simpatia e i favori dei potenti; la loro
produzione letteraria, improntata alla ricercatezza stilistica secondo lo stile
del cosiddetto asianesimo, spazia attraverso vari generi: dialoghi, trattati,
opere satiriche, novelle, fino a ben più leggere opere di intrattenimento,
brani in cui veniva ostentata la propria bravura retorica. Tra i vari
autori di lingua greca che rientrano in questo fenomeno letterario, i più
importanti sono: Dione Crisostomo («dalla bocca d'oro») ricoprì varie
cariche politiche e svolse la propria attività di retore e insegnante in
Bitinia e a ROMA, dove però è condannato all'esilio. Erode Attico, tra i più
importanti e rinomati, insegnante di retorica e amico dell'imperatore stoico Marco
Aurelio ANTONINO, ricoprì vari incarichi nell'amministrazione pubblica romana,
tra cui il consolato. Elio Aristide, allievo di Erode Attico, famoso
soprattutto per le opere di onirocritica e per la sua devozione al dio
Asclepio; Luciano di Samosata, uomo vicino alla famiglia imperiale romana -- dinastia
degli Antonini --, è autore di vari saggi sui più disparati argomenti, nonché
modello di purismo linguistico. Flavio Filostrato, membro di una famiglia di
celebri retori e sofisti, è tra i più potenti letterati alla corte dei Severi. La
Seconda sofistica perdura. Tratti tipici di questo movimento sono
rintracciabili in filosofi come Imerio, Libanio, Temistio e Sinesio, per
giungere infine alla Scuola di Gaza. La storiografia moderna considera
comunemente i sofisti come filosofi. Si veda a proposito: M. Untersteiner, Le
origini sociali della sofistica, appendice a: I sofisti, Milano Guthrie, The
Sophists, Cambridge Kerferd, I sofisti, trad. it., Bologna Reale, Il pensiero
antico, Milano Kerferd, I sofisti, trad. it., Bologna. Più precisamente,
Untersteiner, riprendendo a sua volta Marrou e Levi, scrive: «Fu più volte
riconosciuto che nella sofistica non devesi scorgere una scuola filosofica
abbastanza uniforme e coerente, ma piuttosto sia meglio accogliere l'opinione
molto diffusa nell'antichità, “che considerava sofisti coloro che andavano da
una città all'altra della Grecia per insegnarvi pubblicamente la loro σοφία
dietro retribuzione. Il contenuto di questa sapienza variava secondo gli
insegnanti di essa; però (nemmeno Gorgia rappresenta un'eccezione) tutti i
sofisti professavano di essere maestri di ἀρετή (virtù), ossia dichiaravano
d'impartire ai loro discepoli un insegnamento rivolto a finalità insieme
individuali e sociali”» (I sofisti, Milano sofistica, in Dizionario di
filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana Il sostantivo σοφιστής deriva
dal verbo σοφίζειν (sophízein), che significa «rendere sapiente». Cfr. Guthrie,
The Sophists, Cambridge Per le varie accezioni del sostantivo si veda anche: L.
Rocci, Dizionario Greco Italiano, Firenze Kerferd, I sofisti, trad. it.,
Bologna Sofista» in origine indicava generalmente una personalità ritenuta
sapiente, e fu utilizzata per riferirsi anche a poeti come Omero ed
Esiodo. DK. La rivalutazione della
sofistica come corrente filosofica iniziò a opera di Hegel e Nietzsche. Oggi ai
sofisti è riconosciuto lo statusnon solo di filosofi morali ma anche di
teoreti. Cfr. G.B. Kerferd, I sofisti, trad. it., Bologna Untersteiner, I
sofisti, Milano Kerferd, I sofisti, trad. it., Bologna Untersteiner, I sofisti,
Milano Faggin, Storia della filosofia, volume primo, Principato editore,
Milano, Così li definisce Socrate in: Senofonte, Memorabili Jaeger, Paideia,
trad. it., Firenze Jaeger, Paideia, trad. it., Firenze Kerferd, I sofisti,
trad. it., Bologna Diogene Laerzio Plutarco, De liberis educandis Untersteiner,
I sofisti, Milano Questo è l'argomento su cui verte il Teetetoplatonico, nel
quale si analizza la dottrina protagorea dell’homo mensura (Cfr. DK 80A1).
Kerferd, I sofisti, trad. it., Bologna Tra i cittadini ateniesi abbienti che
patrocinarono l'attività dei sofisti, il più famoso è senz'altro Callia, che
compare come personaggio nel Protagora di Platone (è in casa sua che avviene il
dialogo e sono ospitati Protagora, Prodico e Ippia). ^ M. Untersteiner, I
sofisti, Milano Kerferd, I sofisti, trad. it., Bologna Jaeger, Paideia, trad.
it., Firenze Illuminanti al riguardo sono le affermazioni di Antifonte (DK) e
quelle contenute nei cosiddetti Dissoi logoi (DK Filostrato, Vite dei sofisti I
Corno, Letteratura greca, Milano Corno, Letteratura greca, Milano Edizioni dei frammentiModifica I frammenti e
le testimonianze sui sofisti sono raccolti in Die Fragmente der Vorsokratiker,
a cura di Hermann Diels e Walther Kranz. In traduzione italiana sono
consultabili: I presocratici. Testimonianze e frammenti, a cura di G.
Giannantoni, Roma-Bari: Laterza 1979. I presocratici. Prima traduzione integrale
con testi originali a fronte delle testimonianze e dei frammenti di Hermann
Diels e Walther Kranz, a cura di Giovanni Reale, Milano: Bompiani, 2006. I
sofisti. Testimonianze e frammenti, a cura di M. Untersteiner e A.M.
Battegazore, Firenze: La Nuova Italia, Milano: Bompianim con introduzione di REALE
(si veda)). I sofisti, cur. Bonazzi, pref. di F. Trabattoni, Milano: BUR,
Abbagnano, Giovanni Fornero, Protagonisti e testi della filosofia, Volume A,
Tomo 1, Paravia Bruno Mondadori, Torino Mauro Bonazzi, I sofisti, Roma:
Carocci, Guthrie, The Sophists, Cambridge: Cambridge, Kerferd, I sofisti, trad.
it., Bologna: Mulino, Parente, Sofistica e democrazia antica, Firenze: Sansoni,
Jaeger, Paideia. La formazione dell'uomo greco, Firenze, La nuova Italia (nuova
edizione con un'introduzione di REALE (si veda), Bompiani: Milano. Marrou,
Storia dell'educazione nell'antichità, Roma: Studium, Levi, Storia delle
Sofistica, Napoli, Morano, 1966. E. Paci, Storia del pensiero presocratico,
Roma: Edizioni Radio Italiana, Plebe, Breve storia della retorica antica, Bari:
Laterza, Reale, Il pensiero antico, Milano: Vita e Pensiero, Schreiber,
Aristotle on false reasoning: language and the world in the Sophistical
refutations, State University of New York Press, Untersteiner, I sofisti,
Milano: Mondadori Antropocentrismo Demagogia Dissoi logoi (Sofistica) Eristica
Presocratici Relativismo culturale Relativismo etico sofistico Retorica Seconda
sofistica Sofisma. «sofista» Sofistica, su Enciclopedia Britannica,
Encyclopædia Britannica, Inc. Taylor e Mi-Kyoung Lee, The Sophists, su Stanford
Encyclopedia of Philosophy. George Duke, The Sophists
(Ancient Greek), su Internet Encyclopedia of Philosophy. Portale Antica
Grecia Portale Filosofia. Protagora retore e filosofo greco
antico Eristica arte della contesa verbale Dissoi logoi opera
filosofica. Luigi Credaro. Keywords: i sofisti, il giurato, iusiuratum,
Carneade, il secondo discorso, contro Democrito, ragione pratica (saggezza),
ragione teorica, a philosopher in political linguistics: German minority,
Italian majority in Trento. Il prefetto di Trento. Lingua tedesca, lingua
italiana, ordinamento amministrativode-centrato, Wundt, Kant, razionalismo
trascendente, Herbart, scetticismo, accademia, prima accademia, seconda
accademia, terza accademia, liberta di
volere, freewill, volere libero, ambiascata ateniense a roma, influenza
dell’academia nell’elite romana – l’accademia come perfezionamento per la dirigenza
romana, Wundt, positivismo, suggestione, i primordii del kantismo in Italia,
Hegel vacuo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Credaro” – The Swimming-Pool
Librrary. Credaro.
Grice
e Cremona: ragione e conversazione. (Palermo). I •
" — Ex Bibliotheca majori Coll. Rom. Societ. Jesii I i 0 \ ì • * * Vj
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GIUSEPPE CREMONA Ef- Generale de* CC. RR. delle Scuo- ia £ Z?
/ C T A A Sua Eminenza il Signor Cardinale VITTORIO AMEDEO DELLE
LAN2E Edizione Terza. D 1 le Pie Pallore Arcade
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IMINENTISS. PRINCIPE. ji’ E V unico motin)o di mettete
in fronte a c^uefio mio Li* hro il Venerati Jììmo nome di V. E, ■A 4
/# r un fuaìepoU ’Pàdrocinio 6 V Acc'a'dem'ià céle^ hre
di Nanst , e tutto codefto Rea- le T)ominio , e Roma ftefa la' gran Metropoli
deW Vninjerfo , ove ne vive tuttora la gloriola memoria > converrehhono meco
per accordarmi , che fcegliere io non poteva un appoggio più lumino- fo .
Attirerehheji fuor d* ogni dub- bio un ben' giufto applaufo comu-. ne un sì
fatto penjkro fui rà- fie ffo del vantaggio , f che a me venir puote , e a
quefii foglj dall* incomparabile: . degnazione del Ter- fonaggio sì ' cofpi cuo
^ che fcende • ad accogliergli i Bjfend:0 però im- \ . „•
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prefcindihile da un tanto onore- la neceJUitd di foggettargli alt al- trui
purgato difcernimtnto fi ren- derà pale je pur troppo a tutti, il lor demerito
di ^venire in mani sì degne Quello » che alcun poco può far loro coraggio , fi
è il con- tenere eglino una materia , che inter e [[andò le premure più, deli-
cate d* un <vero zjelo crifiiano , ad altri più giuftamente non pote^ja ' no
indirizzarli , che all* U. V..» da cui . riguardali con tanto di ge- lofia 9 e
la gloria dell* Alti fimo » ed: il bene de* Tro filmi . Ed in noero chiuncjue '
confiderà' nell* E. . Vi e ia direzione, de*. fiudj i é.la.ma-
X. turità delle majlime , e la norma d* un 'vi'vere Ecclefaftico
mera- mente ^ ed efemplare nel fiore più hello di giominezZA > nélV abbon-
danza delle domizie » in mezzo al credito de' più faggio alla fii- ma di tanti
j e sì remoti Taefi , che l'ammirarono benché di p alag- gio a e nella felice
condotta così plaufibile in affari i più riguardo- moli a non potrà non
comprènde- re » che a Lei appunto confagrar domemafi un Trattato a con cui.
pretende fi non di togliere a ma di migliorare l' ufo della Cimile Con- mer
fazione a il quale ficcome rego- lato a domere è il condimento più
dolce XL dolce dell* umano conforzto , cosi dalla malizia
fconvolto potrebbe divenirne il più dannevoìe pre* giudizio . Ofèrifco perciò
voìonr ti eri all* innata modéftia impa-* reggi ab ile dell* E* V, il Sagri
fizio delf ardente mia brama » e sì. dover 0 fa d* efi endermi qui ne* mag-
giori » e più ampli encomj dell* alto fuo merito , giacché adeguar non
potrehbonji dalla debile mia penna , e godo , che comuni acclamazioni
abbondevolmente la % ’■ mio flenzio , So ancora » che neppure ho da
fperare , non che pretendere di poter mai corri fpon- der XII.
der punto àìle tante \zy'azie » di cut è piaciuto :air F. ricolmar^
mi in - o^ni tempo. , le .quali al confronto della mia tenuità più fempre nel
loro pregio s* accrefco- no i pure noti ho evoluto omette- re di farne
qui una confejjione finterà che fe non può fcemare il pefo de*. miei doveri ,
può. tar- mi fe non altro . dal . rimprovero di fconofcente . Se .poi quejle
mie » ' quali elleno- fieno » picciole regole prefentate agli uomini di qua-
lunquejftató .9 e condizione per di- \ vertirfi.. infieme fenza difcapito , non
incontr afiero là forte che, pure ebbero altra volta 9 di paf- Jare
Digllized by Google XilL jareprejjo di tutii .fen za
querela^ à puntura di critica :,: commendar bile al certo fard T intenzione' da
me ; avuta f d* elegger %ro nell* È. K un Mecenate , . V:\ indole foar ^vijjima
9 '■€ l* inappuntabile faviezr za' di mi meglio i che per T inr felice teòrica
, mia avvenuto non farebbe r infegneranm^ ah. Mondo più culto con laudev ole .
pratica avventar ofa , quella Morale », 'che puh rendere innocente injìeme , e
dilettevole ad ognuno la cofluman* zu di converfare • Augurando frattanto a
quefto leggerijjimo Do- no ^ che le umilio 9 quella pienez- za , di ejlimazlone
, che puh deri- ' • • . . X var- Lfl
x.'l • • • ' i , » * \J\ ^ • ' t * ‘ i J »
Digilized by Google f * i
XIV. foargli
dd benigno di Lei gradi- mento > quando si degni d* accep- tare in conto di
contraccambio il foto de fiderio» che nudrp di faper* lo rendere a tnifura di
quanto le demo 9 étmerò cosi la fortuna \ di comparire difiintamente » quale
profirato al bacio della Sagr a- Fot^ por a mi confermo con prò fondi JJp
mo'ojfequio. v r ^ ^ . Di V. Eminenza * • » •
> Gio: Giuseppe Crenona | de* GC. RR. delle Scuole
Pie, l J J Digitizae^ Qoogle
Noi infrafcritti fpezialmente Deputati avendo a tenore delle Leggi di
Arcadia riveduta un Opera del Reverendiffimo Pa- dre Gio: Giufeppe Cremona El^
Generale dc'CC.RR. delle Scuo- le Pie detto tra gli Arcadi del- la* Colonia
Mariana Plafone.» Ecatoihbèo 9 intitolata il Retto Vfo della Cimle
Converfazione , giudichiamo , che l'Autore pofla neirUnpreflìone di Efla
valerli del nome Pailorak » c dell' Infegna del noftro Comune. • •
- ' » Cor tolgo Plot antodio P»A. Deputato. Leoni co Parorio P.A.
Deputato • Jjbanio BiHìo P.A. Deputato . • ‘ », «
Atte- » Attéifa la fuddetta Relazione, in vigor delle
facoltà comunica- te dal Revèrendiflìmo P. Mae- ftro del Sagro Palazzo alla no-
ftra Adunanza , fi concède li- cenza al fuddetto Plafone di fèr- virfì nell'
impreifione della mén-l tovata fua Opera del nome, ed Infegna fuddetta . Datò
in Col- legio d' Arcadia &c. Alla Neomenia, di PianelTio ne r Anno
II. dell':. Olimpiade DCXXX^II. Dalla Rifiaurazionc d' Arcadia Olimpiade' »X
VI- Ari.L Giorno Lieto per Gen.chiamata . : • ' * » r Mireo
Rofe'atico Cuflode. Generale ■ ^ V . . d* Arcadia. Luogo del
Sigillo Cufto . Nariftdo Trttonidc Sotto-Cuftodc . A chi
vorrà leggere. > i ■ I protefta candida'menteJ
l'Autore in offequio delle . Perfone d’ogni ; leflb , che :.eglr non è Critico^
il quat le;foriva per pungere, ma bensì Minifìro diiDioj che . Jq fà per
giòvare'.Egli non crede , che veruna jdélle.Gonverfàzioni fia^ rea.
del minimo-di. quei tanti ; dilbrdini;, onde vengono accagionate da i
meno.difQre':.' ti .'Si dichiara con iìchiettezzadlfentimento {incero d'avere
per gli huomini.,*edonned; ogni condizione umben diftinto rifpetto , e_*
parlando qui gcneralilllmamentc nohinten» de mai d'offendere veruno in
particolare, e-» ficcome il difcorrcre condizionato ' non da_> fufllftenza
Jyie c^^ve^.fcosì jp^etende , che quello hfe^d'^^un^ihéràripre con- tra
d’un raMfe , non ri- paro d’uno i^hè'^n-^upppnga g nato. Me- no polcia
fia vjtefò-di toccare; le Perfone del primo effb'credendo più in- nocente,’qhàhto
pSi ordimriò iIco(lume-j del converfare . Parla in fomma coll’huomo, e colla
donna fenza punto dillinguerne il grado , a tutti pur troppo comune effendo la
pratica , o del Male , o del Bene. Di fe mede- fimo neppure hdandofi in tal
materia ha cer- cato DIgilized l>y Google
I r* » II cató il parere , il giudizio > e la
critica piti aufteradc’primi Letterati d’Italia, che aven- do tutta in idea ,
ed in riftretto 1’ Opera , gli hanno' fatto coraggio allìcuràndo.ò ,’che è
trattata con tutta la moddlia pihcircofpetta, epiìida lui bramata . Dopò d’una
tale inge- nua protesa; dia l'AitilTimo quella fortuna, che. più gli' piace, à
quello Librò , badando all'Autore la fola Ibrte dèlia , divina.fuà Gra-, sia ,
poiché -l’ba fcrittò per fine principalilfi- nio a gloria i e onore diLui-, e
per. profitto di quégli , che. vogliono caraminaré.per.la via> de i divini
precètti, eflehdo ben perfuafo coll* Apodolo, che fe egli, piàcefle agli
huòmini interamente, non larebbe fervo deLSignore.' PRE- Digitized
by Google ni p • 0/V mìì punto ignoto i molti
avere fcrittoitL* quefla materia , anzi avendo io trafcorfo if parere di tanti
huomini faggi in tale argomento^ a t un'altro mi farei ap» pigliato , che al
dirne io pure il mio ,fe l'au- torità d* un gran Per fon aggio , a cui io debbo
per molti capi una rifpettofa ubbidienza non mi et avejfe indotto col fuo
comando . Suppon- go dunque tutto ciò , che fi è fcritto fin' ora in quefla
caufa , e fenza efamìnare , o tanto me- no oppormi a' fentimenti diverfi di chi
l’hci^ trattata , ricavo appunto da una tale fuppo- Azione l'idea di queflo
Libro . Parrà poi forfè cofa non poco flrana a chiunque ne conofcerà r (Autore
, che un Minìflro Evangelico , da-a cui dovrebbe condannarfi a dirittura , e
fen- za ver un rìfpetto , imprenda come a difende- re l'ufo della moderna
Converfazhne , ed in- vece dPinveìrle contro , e fludiarfi di trddi- carla , fi
accinga f 'olaménte a correggerla. La cagione di ciò è fiata l'ejfermi fempre
parato ugual dtjordine , e la sregolatezza di molti, nel converfare\ e lo zelo
indifcreto di altri nell'opporji ad un tale fuppoflo abufo con ani- b 2
mo I Digitized by Google mópìHe di
fveìlerlo affatto , che d* ammendar- lo . §li^ntuhque la Dio. mercede io
mlfenta inclinato naturalmente , anzi che nò , alla^ dìfcretezza, e alla
civiltà dì fecondare-, quan- to pi à pojfa farfi , il genio dì tutti , non ho
pe - rdmai fojlenuto y che in quejìa nuova cojlu- manza dì converfare sì libero
, e sì frequen - ^ te y-non vìpojfa ejfere il fuo male \ma ho giu- dicato
altresì piti giovevole cofa tentar la cura dì quejla , qual elvella JìaJi ,
comune.^ (^x^piaga più colle fof/tente, e col balfamo , che col ferro , e col
fuoco . Quando vi fojfe mai il male , che da taluni pretendefi , egli fi è
fatto ornai neceffarìo per una certa confuetudìne > che regolata dal piacere
è divenuta cornea legge y onde convìen penfare più alla manie- ra dì renderla
innocente con frutto , che al tentativo dì sradicarla séza profittofzòGtta- j
fio che fia il temperamento de* corpi , e cam- ' biette in abito le cattive
difpojtzioni , più non cerca la medicina dì rimetterlo in equUìbrìoi ma ftudia
il rimedio per ripararne la totale^ rovina . Egli per tanto è d'uopo sfuggire
un* efiremo dì rigidezza , che. ìnafprendo la fe- rita , ed ìnfieme ponendo in
diffidenza P arti- fizio del buon Chirurgo Cg) può farla degene- rare-in
cancrena. Siccome dalle perfone fag- gieyC diferete dee crederfi,cbe in quejìa
nuova foggia dìvìvere non fìa fempre tutto quelmale, che 0 i più malizioJìyO .i
più. Critici fifiguranoy così v’è luogo al teperamento, ed
allaperfuafi.. ■ ' ■ ' va ' Digitized by Google
à •Da per ta^ìerè ìatéraménte , o quella parte ■ di
malevche ejfer vi pojfa, b quella^ che entrar •vi poteffe. E certo , che anche
le cofe^ytnfua fojlanza perfette incontra» talvolta la -rn ala Jori e divenire
cenfurate da chi attie>/fi' -per giudicar e~ 'pìà all'apparenza , che ai.
midollo'^ onde non meravigli a', che ad una tale' cen^ fura foggette- fi
veggiand poi quelle azioni t ■ che mifie effendoyQ^yd ambigue , ricercano
per comprenderfi un lume più chiaro i e piii diftìnto UEcclijfi del Sole,
(jf>) fcrijfe ben'cJ Anaffàgorà i non è in luì , che punto non' per ~ de mai
dì Jua luce, ma è bensì negli- occhi de* riguardanti , che nelle tenebre dell' oppofl>t-»
XìUna ingombrandofi , non ne diflingùono la chiarezza . Mia opinione b per
tanto -, cbc^ il piit delle volte fucceda così nel- giudizio, -che formafi
delle moderne Converfazionì , il male delle ^quali(jj') fia non in effe , che
favie faranno pure , ed innocenti, ma nella malizia' - di chi. le mira
con occhio avvezzo a dìfcey[^ nere per lo il fola colore de^vizj»^ C8)Se
ciò poi così 'fojje ycome effer puote , e come creder ^dobbìamOy che (la,
ella è ben manìfjlìa L^indiy fcretezza(^^ydì voler tutt e ^ abolir le C nver^^
fazioni y non perchè tutte fieno in verità, con^ dannabili , ma perchè fono
condannate fenza . r anione. .(Uffizio farà per tanto della pruden-^ za
Centrare bene addentro in quefla materia f . e prefcrivere a tutti fui
fondamento dellcuÈ ' portile una regola dì eonjeryare Icu^ b 5 '
Digitized by Google ■ VI pretefa Uttocema , i:d.
armarla xontra degli .attentati y e de' perìcoli , che incontrar po- .tejfe
nell'ufo dì converjar e.- . IL\tA.quejìo ■. zelo.y C i d^che poco fembra^
dìfcreto , i'accofla quella precisone Jngiurio- fa , chefuolfarji nel
condannareda -xofluman- za de' pubblici divertimenti y pigliando per lo fìh dì
mira quegli de' Nobili all' ufo de* C I z') fulmini,' che fogliono colpire ì
luoghi pià eminetìyquaji che le fole perfone di rango f offe - ró sregolate nel
divertir fi. Per me credoy che dovendo fapporfi la Converfazìone in., ffocente
, deggia anzi pendere la prefunzione C I ^ fin favore de'- Nobili., come quegli
, che e pelfàngue , e per P educazione fogliono effe- re di fentimentì più
favfe dK\q~) maffime più corrette . Nulla però di meno acciò , chit^ quindi,
fit tolga ogni principio d'ódìofità,che fuol nafcere appunto dallo fcendere al
par- ticolare in ciò , che è tanto comune , io mi prendo quì.a difcorrerla
coll' huomo , e colla donna generalmente ,fenza punto confider ur- ne la
condizione , giacché il bene, o il male in quefla linea può efiere in tutte le
radunanze, dove infieme fi.tr ovino i due feffi , venendo le cofe tutte Ìi$')d'
ordinario dalla foflanza,, ■non dagli accidenti qualificate. ■ III.
L'altro efiremo non men dannofo è la ..troppa condifcendenzq d' alcuni QiQfi he
in qùefio genere fon folitì di' affólvere ogni cofa, e con troppo Hi
facilità convenire nel fentì-^ • : • .V ' - mento I
Digitized by Google mento dì col6ro\ ebe impegnati pììi del
dove- re in una tal coflumanza ,Jt fpaccìano per im-; peccabili,i\y^ non pùnto
/oggetti alle cattive, imprejjtoni fché^po^oino. originar/ dalla rna- Itzìofa
confuet Udine di converfare con lìber-- fd Còde/a è una/pezie d'adulazione
danno- Jilpma alfnòndoy 'per cuì'malamente camhìan- doji- i Giudici in
hodatorì(ì%)aprono l'adito elle corruttele, e la franchìgia alle colpe , le
qual/crefcendo ad onta ben anche delle più efficaci riprenjìoni ,\e dé' più
gìujli rimpro- veri, può creder/ , che -s' aumenteranno po- fcia a difmi/ura'
nelF applaufo , e nel corteg- giò , di chi' le adula, Qoiioro , dijfe Filone^
Ca) 'riduconlì ad ingojarc i pecca- ti de’ popoli,' non avendo fpirito da
ripren- dergli ^ rei dì ciò , che approvano,^, fendo cagione , che /
lu/nghìno molti j/mi dh non - peccare , mentre non fono ripr eji , anzi d'
e/ere innocenti ad onta della /ndere/ , che gli 7eondanna.Prima'Vsrgognaron/gli
Irhpe -k radorì di 'Róma dell' adulazìon del Senato , C che gli chiamò
/dumi poi dubitarono, fé e/ef pote/e , cbe'pùr lo foffero : indi co- minciando
'a' credere veramente, dì éfferlo,' accettarono 'e d'ioti , ed Altari , e
Sacri/zj,: ed ingannati Còn foàv e maniera giunfero al- la mifèftd di non faper
più dìjììnguere dalla ', : 'V .ve- . A* « • Vi
U' C«)' Ih Cant. c. 5. 4 ■ft'
verità labUgtd-, (2o')e'italF adulàzhtfe P ojjer quio.In^fattì l'albagta
aollegata'sóiPamor prò. prio,Ì2 1 '^trattaniiùfi dell' hter effe particolare d'
ognuno., è capace di perfua^rciper vero ik f affo, e lìmpoffìoìle
perfufftflente\iZ2)quando' le cofe ' non vengano bene efamìnate dl'lume, della
ragione • G>s) molti -, che a fondo cono r . fcono ì difordini dì libertà
fors'ànchd.per ù»\.. 'infelice Jperienzp di grave danno' fpirituaie» fenteàdofi
in cìò adulatida ehi dovrebbe cor ref'èergli , giungono facilmente.a fm.c'ntir
P. •. evÙhta,(j2.i')a vìncere il r.imorfo , ed a tenerff in mezzo .alla
sfrenatezza, per .buo/pini di, contegni). Dee dunque chi brama' tPopcrar fa^ viamente
anzi , cbè ìnvanirft. d\effere.lodató,. ejaminar. bene la fojìan.za.della
fua< lode > Kon gradire fe non ^.quella partii ih e egli ■ veggià
dì meritare , l[alt.rq..gemfof ameni e^_ /degnando i Cbeizqy ló fa migliore di
quello, che egli pur troppo fappia dì effere.iifyAlef-, fandro il Macedone
comecché, amico affai deiPadulazìone , pur.e. gettò nel Piume Idafpè, il P
anegirico fattogli'da Arijìobofo\yjìft^ fr®’* vando' in effo bugiardemente
comtnandato il. fuo- valore d'avere ’tn battaglia -,con un.dar.r do uccifo .un
Eie f ante, (:2*j"}q“ando,alh sut^ dicodejìi animali ; come in. lana
ìmbattenioft le palle -, fi fermano ,-.e cadono a t erra; gli fira~ lì, e poco
mancoDVì ,che non accompagnaffe col Panegirico anche il Pancgirifia . In tal
gaffa vorrei , che fi regolaffero gli b'uomini di Digitized by
Google IX qualche fenuo allora \ quando fentonfl o loda^ ti y
0 difeji in cofa , nella quale fi conofcono [28J dìfettofi , e lafciando alP
altrui cofci- enza il rimorfo cP una sì nera adulazione , e sì manifefia , non
fi credejjero lodevoli , per-- cbè furon lodati^ ne innocenti y per che trova-*
rono chi difefe indebitamente la lor licenza . '^uejla farà la maniera dì
e’oìtarc^ un altro inconveniente ajfai pernizìofo , che è d' adulare uno fe'-medejmo
, v.29) dandojt a credere d' ejjer dìverfo da ciò, che egli sà di ejjere
infatti , e di non vìvere punto intinto di quella pece , di cui fenteji
interiormente^ riprefo dalla ì^o'] cofci enza . tAd un tale-it. inganno
veggìùnft nel Mondofoggettì tnoltif- fimi , ì quali non perchè , fecondo Sene~,
ca , [a] malagevole Ita lo fcoprimento del vero , s’ attengono al verifimile ;
ma perchè loro è odiofa la verità [g fi fanno come una regola degli altrui
vizjt cofa, che non fareb-> tono per la vìrth, e fi Infingano, che lecito
fia tutto ciò, che fi fà dagli altri fenza, che pun~ to V* dbbìfognì dì
riflejfione . ^t^flo è un* operare da [g 2] Scimia, la quale non effendo huomo,
cerca dì parerlo col fare tutto quello, che vede far fi dagli huomini , punto
non ri- flettendo fe benfatto egli fia ,onò . Onefie^ non fono (jj) le azioni
per ejfer di molti , ma , c per [,0} Lib.g, de Benef.
B I ftrjgjfer de* Sa^gi, edutifolo dìejjt j^àtrd^
qualificarue ben mille > che mille fctocchi non né gìudificberattfto mài una
fola . cAnzi afferma Platone, [a] )“34] che quelle cqfe, le quali diconfi buone
dal Volgo , non diconfi rettamente buone . Egli per tanto conviene % che ognuno
efamini fe flejjo con efattezza, trovata la radhe.del Ljj] male , non voglia
difenderlo , ma curarlo , afe medejìmo non^ occultando la piaga per renderla
men di ffici- le dfaldarji’y avvegnaché meglio femprefi guarifea una ferita
larga,ed aperta, che una pìcciala , ma cieca . Se nel difordine , ch<Lji può
nafeere in converfando.liberamente > éd oltre a i termini della
faviézzagiugne qual- cuno ad adular fe meaefimo , ed a diminuire nella propria
effimazione [^^6] (fuel male^ > che ittfua foftanza è grave , gl* farà
certa- mente piti difficile il guarirne , che d' un* al. tro ancora pià grande,
ma piitpalefe: mentre lafciandofi perfuadere dalla malìzia in, dà » che dace a
i fenfi > chiude l'orecchio al con-* figlio della prudenza in ciò ,chefpetta
al fa- vio regolamento interior e de W Animai ninna cofa meno C37) dfogna
effer caparbio» che in quelle, che poffon» apportar nocumen- to > e perciò
ne avvifa lo Spirito Santo % che r huomo empio fuol effer di volto
iniblente-* mente \ */ 1^2 2. De Leg.
DIgHized by Google niente C^8) protervo, e cheli Savio
correg- ge le vie file ; [a] thè è quanto dire , effetti empia cqfa il
perjtflere pertinacemente nel male ^ià conofciuto,e carattere per lo contra-
rio d'buom retto il correggerli^ quando fe ne veggia là convenienza , ed il hi
fogno. ^ V. Io sò bene , che alcuni pretendono di tf uggir la taccia di
caparbierìa per una cet- 1^9] Jicurezza tranquilla , che hanno in^ ordine a
quefto nel cuore , parendo loro , che probabilmente' non P avere bbotio ,
quando non . foJJ'ero innocenti . Ma è da rifletterfi potere^ una tal ficurezza
, particolarmente in cofe affai dubbie , e di grave perìcolo , originar^ dalla'
[.403 trafeuraggine^ d'invigilare colla dovuta t ed efatta premura fovra gli
anda- menti delnojìro interno. Auguflo (b> che era Principe di grande
accortezza , con- fufe gli t/lmbafciadorì di Yarragona ,chfLi> Ueti erano
venuti ad avvifarlo ejj'er nata una palma futi' Altare colà eretto al nome dì
luìt dicendo loro con grave farri fo : da ciò appari- fee con quanta frequenza
abbiate fui mio Al- tare fagrificato :Potrìa forfè in tal guifa ri- fponderjt a
codefli bùomini sì quieti yeftcuti nella feorretta licenza del converfare ,
cioè, che tanto certamente non averebbono di franchezza , fe con pià ferietà
rìfletteffero a ripurgar /’ anima dalle affezioni menfavie, ' c 2 veaen-
■ <a) Prov. 15. (b} Erafm. in Àugufh I
Digilized by Google XI t •vedetfdojìper ìfperienza ,
che l men rìflejjìvt fotta fempre t più azzar dofi, ondeifait- cìulìi , i quali
a nulla penfano , punto non t,e- mono que’pericoltiChe fogliono paventarfipru-
dentements dagli huomini più ajfennaci ..7V2 dehhe ritirar fi alcuno da quefìa
interna difa~ . mina di fé medefinìo per tema di rimaner fgo- mentato dalla pur
troppo manifefia cognizio^ ne. della propria [45I debolezza'-, perchè oltre
all’ effer meglio il vivere colla regola d' uìl^ faggio timore,cbe perderfiper
una imprudcn-m te franchezza » quand’ anche fi .difcuoprano piu mz] ,che non
.credevafi ,paò farfene , vo- lendo , un utile L43J innefio di crifiiane vir-
rtudi.Siccome il terrenotdove più altecrefco- no le cattive erbe, è fempre il
migliore per fe- mìnarvì le btìonex così certi. cuori [4/^J pieni di corruttele
, e che fembrano ad effe più per xonfequenza inclinati , fono talvolta.ipìù ca-
paci di nodrirc uguale virtù coltivati , che.^ fieno con attenzione. La
pieghevolezza [43^ dell* animo è anzi un benefizio della natura , onde può
fperarfi,.cbe apprefo il vantaggio del bene ffi abbraccierà ugualmente >
cheli .male UH tempo creduto per utile. VI. Quindi io penfo , che
profittevole effer pop a chi vorrà prevalerfene queflo Libro, .mitre
fcoprendo.il volto allaverità,che forfè è tenuto è dalla papne-,òdall’
ignoranza celato, coloro, che peccano in converfando , non per malizia , ma per
difetto (46 ) di rifiepne , à • . . Vor^- • * • é
\ vonanno corr ergevi ùn dìfor dine, che non •ve. devono, ò
per lo meno apprenderanno la ma- titera dì evitare tutto il vero dìfordinexbe
/(?- €0 tirar potrebbe il coverfarx con libertà.'j\rjy t^lfonfo gran Rè d*
Aragona , Ca) era folito dire , che ì migliori configlieri fono ì Libri , •perchè
dicono il verofenza timore. Infatti la penna è uno jlromenio piti lìbero ,
chela lìn- gua , mentre quelle C48) verità, che talor dìrebbonji con qualche
riguardo , foglìono fcrìverfi con franchezza, onde chi leggeè pìh Jtcuro dì
rimanere illuminato , che non chi afcolta femplicemente. Ejjfendo io dun- que
certo d* aver qui efpojìa la verità fenza f oggezione , prefiggendomi per
ifcopo la fola^ gloria di Dìo , ed il bene de' profiimì , fpero non fenza
ragione , che chi vorrà appigliarfi al configlio dì quefii fogli potrà
camminare^ con fteurezza , mentre hò qui proccurato di preferivere a tutti una
regola fondata fovra d' un Dogma ficuro, e dedotto dalle fagre pa- gine ,da i
Santi Padri , e dagli antichi. Filo- fofipitt ricevuti , ed accreditati, c/f
quefto fi- . ne ancora potendo avvenire, che htggafi que~ ■fio Libro dalle
perfine d’ 0(rni fe(pj , e- condì- ' zìone , hò giudicato bene di tra/'portare
nel nofìro Idiomai fentìmentì, e le autorità si mo- rali, e fagre , come
ifioriebe. e profane , per- chè veggia ciafeuno , ejfir la dottrina ,
chc.^ ■ • - - (dr) Panorrait, in cj.yit. tà
à XIV g/i prefento » cattata dn ì fonti più lìmpidi , e
più ficurt. pjìuno poi per amico, che eglifìajì, è parziale del proprio
divertimento , potrà neppure tacciarmi d' [jo") ìndìfcretezza,c^ mentre
accordando io alla convenienza , al coftume ) ed al genio ancora tutto il
pojftbìle > >e conducendo fin dove può giugnere Jenzau» •difcapìto
l' Oneftà , mi rejìringo a proibire rjuel foto , che non può giufiamente
conceder^ fi . Mifò in queflo gloria dì prevalermi del fublìme infegnamento di
S. Gregorio , dal quale ojfervafi, che per vietare una fola cofa « che mala fia
, bifogna concederne molte altre C$1) indifferentijper non mettere in anguflia
chi dee ubbidire . Gò egli ricava con fotti- glìezza dal divieto fiotto al
primo degli huo- '• mìni dal Signore colà nel Par odi fo Terre- fire , cui
proibendo il gu fiore de* frutti fola- mente dell' Albero della Vita , lafciò
poi in Jua libertà gli altri tutti , fin da principio manìfeftando quel genio
di foav e C$2) amore- volezza paterna , cut fempre in fommo preme di render più
mìte,che far fi poffajl giogo del- la dovuta ubbidienza. In foma per quefta via
. to mi dò ad ìntedere,cbepojfa coglier fi veramc.. te nel fegno, C$$) P utile
accoppiando col dilet- tevole,eome fcrìffe ìlPrìnc. de' Poeti Lrrici,Ca') e
colgiufio infiemCiCd oueflo conciliando ìldefi- derto a tutti tì comune di
focietà,che è Punico, e più dolce temperamento delle mortali miferìe. (aj
Horat. de Arte Poet. Digilizetì Lj Gcx^le INDICE
DE’CAPI. I. 12. 24. 37' 5«'
PREFAZIONE. Delia tiecejfttà di Converfare. CAPO I.
pag. . • Della Contienìenza di Converfare. CAPO. II.
Deliiitilità di Converfitre. CAPO in. Deli Intenzione di
Converfare, C A P O IV. Del Modo di Conveyfare. C A P O
V. Deli iAmor Platonico nel Convérfare CAPO VI. 65. Del Tempo
di Converfare* > . - CAPO ,VII. 80. Del Converfare talora
ilSavio fece medefmo. CAPO Vili. . 5)8. < Dal Luogo dì
Converfare. <- C A P O IX. 119. Della Coaverfazione Particolare.
C A P O X. ij(5. Delle Perfone colle quali ft dee Converfare. C A P
O XI. 159. . D'Slla Necejfttà del veftire onejìo nelle Conver
fazioni. CAPO XII. 180. Dsl tener Coaverfazione in Cafa. . ■
• , CA- XVI CAPO XIII. . 20J, t)el mandare le proprie Donne
alla Converfazìone- CAT^O XIV. 223. De* Danni del Converjar
malamente^ CAPO XV, ■ 240. Del Danno di Soflanze in chi converfa
male. CAP O XVI. 247. Del Danno dì Gloria in chi Converfa
male. CAPO xvn. • 257. • Del Danno di Corpo in chi Converfa
male. , C'A P O XVIII. - ^ 271. Del Danno dì Anima in chi Converfa
male. CAPO XIX. 282. De* Prefervatìvi centra il Danno del
Converfare. CAPO XX. 297. Della Converfazìone Riflretta. CAPO
XXI. i\6. Della Soflanza del Mondo Moderno. CAPO XXII. 334.
^^ella Giocondità di Converfare con Dio. CAPO XXII I. 359, Del Modo
di Converfare con altri fenza interrompere la Converfazione con Dio. CAPO
XXIV. 380^' CONCLUiSIONE DELL'OPERA. 401. Del-
DigrtizfcU^Go'^;ii'. 1 T^ella'NeceJJìtà di
Converfare. . , C A P O I. •AREBBEj non puònegar- ' iìi Un
configlio da Santo lo fceglicre la ritiratezza da qualunque umano con- forzio )
e darli a converla» ■re unicamente, o per la.^ _ , .... maggior parte almeno co
iJio ; in ciò imitando la Maddalena, che fu dal Redentore commendata per faggia
, mentre-^ portali al fuo piede tutta immerfa nella dolcez- za (a) d^ùn’
elevata Gontcmplazioriej avea Icel- la parte migliore ; Laddove Marta Sorella-
m lei affaccendata di troppo negli Affari dome- ilici ne fu dplcénriente
riprefa Cf efeerebbej ancora la fortuna d’anatale elezione in riguar- do alla
Malizia , che s’ è dirtefa tanto nel fecolo, maggiori affai rendendo i pericolr
di praticar ^ Io , e' piii malagevole all? innocenza la maniera di mantenerfi
illibata . Pure tutti non ottengo- no dal %nore la grazia d’ una tal vocazione
, c -1 ' • ■ -'.A- - . -chi Ca) Lue, IO, /{I. ■ ■ •
V Digilized by Gcx^le chi nafce in mezzo al Mondo
per Io più è ncccf- fitato a condurvi, e terminarvi i fuoi giorni; on- de
convichgli penfare ad un opportuno ripiego, non folamente per non ricever
fvantaggio , ma per. tirare ben^aiiche profitto da una IbmiglianT te neceflità
Ciò fùppofto io dico troppo efle- •ré necellario l’ umano conforzio a chi dee
vive- re nel Mondo per riformar fe medefimo full’ al- trui Norma , pigliando
ciò, che negli altri feor- ge di buono , ed apprendendo ad abborrire ciò, che
vi trova di male . È si vantaggiofa all’huo- mo una tal fcuola , che Ariftotile
giudicò eflere il folitario o un Dio , o una Fiera , C^) perche di nulla
abbifognando gode Iddio di fc medefimo, e della propria perfezione, e non
cònofeendone l’ utilità non aman le Fiere. la compagnia . Ed. in vero ficcome a
tutto non nalcono tutti gli huomini , così l’ uno iraparàr-debbe dall’ altro,
ninno mofl.randofi nè sì, vanamente gonfio del- la fuppofta fua virtù , che npo
pentì di poterla^.,, rendere coll’ efempio degli, altri migliore; ne. sì avaro
delle fue doti , chc.non voglia akrui.far- ne parte . Scrive a quello prppofito
un grani. Morale di Spagna, che la Natura non volle con- tradiftinguere da i
Cattivi. i Buoni, come averia defiderato Ifocrate , Qh) perche effendo, ;
fecon- do ancora Platone, di nunjero affai maggiore-^ i Cattivi de i Buoni ,
quelli forfè vedendoli così pochi, ed efclufi per ciò dal coramcrzio.de i
più. avcrebbono voluto entrare anzi nel numero dtf Cattivi, che
viver folitarj ; tanta è la.necelTità,. che nel Mondo pratichi l'uno
coll’altro, c trop- po COSI efiggcndo la Natura dell’ hiiomo, che al dire di
Sant’Agoftino ^ è un non fo che di focia^ bile . («) 1 1. E’ un male
invero affai grave, che qual- cuno giudicandofì già perfetto diafi ad intende-
re di non aver più bifogno dell’ altrui fcuola_, per divenir Tempre migliore ;
pofciacchè oltre al perdere 1’ occafiqn d’ avanzarfi per un tal mezzo nel bene
, fi pone ancora in pericolo di precipitare colla Superbia , che eflfcndo ,
fecon- do il detto dello Spirito Santo, (^) l’ origine del Difpregio , conduce
l’ huoino all’ eftremo del- la mileria colla dannofiffima compiacenza di (c
medefimp. Si pavoneggiano alcuni talora di certe, picciole efperienzp .avute
del, proprio Ta- lento, qcqmindando a piacere (cioccamcnte a fe fteffì tutto
con altura difpregiano , e confer-? mati dall’ adulazione in tal fentimcnto ,
diven- gono ^olatri della propria immaginaria perfe- zione,fenza altro
tenendofi per huomini di gran fennq . (c). Il Petrarca raflbmiglia coftoroa.^
que’EanciuUi, che recitando in pubblico^un pic- ciolo dilcorfetto , animati
dagli Éviva e de’ Pe- danti ,,e,dei Volgo! vedendofi in aria , tengoii_.
per.nuUà tutto,cÌQ ,.chc;mirano fotto di fe.; pHi . A ^
• i C y f ' l./; I ^ . • i Ca)i De bon. conjug. (bj Frov. cap. a.
(c) Dial. i a. 4 pel fiionó delle Campane, é delle Trómbe
gon- fiandofi , che non un Imperador di Roma liel fuo'signorile trionfo .
'Finite, egli dice , quejìe^ eoje dalli Cattedra feefide\fapìente, chi flpltoyi
• era /alito;- Metamoi/oft ajfatto mirabile-, ed in- cognita fino ad Qui dio \
Si vede adunque trop- po eflore infelici coloro , che palciuti d’ una'fal- fa
opinione fi credono giunti al fommò della::- Virtù , quando neppure han fatto
il primo paP lo per giugnervi, e quali che la fatica , e la pe- na d' un
viaggio sì lungo, e sì dilàftrofo, riutèir' potefle infenfibi.le, fi danno
miferamentc a cre- dere d' averne già fatto acquifto fenzà avveder- fene ,
e'trovarfi come per fogno al pofledimen- to d’ un Capitale , che ricerca per
guadagnarfi la vegliante premura indefefla di tutte le inter- ne potenze. Vien
deplorata dal gran Dottor , delle Genti: lina tale difgra zia , còme fonte di
Stoltezza, e dice, che codefti miferi Opinioniftì Vantando/ d'effer
Sapiènti divennero Jlpltì^^^^ Per quello appunto eforta Y Ecclefiaftico
quai lun'quc defidcrolb della virtù a sfuggire con di- ligenza codella forta
dfinfaulla pazzia,‘ché a tan- ti coiroftinata opinionedi poflederlo ne fàper-
dcre il tefóro: %//d,egli dice, (/&) noh^pler ep fer faggio apprejfo di te
medefmo, 'ma cerca fem^ prc il co 'nfiglio di chi veramente è faggio . - Ac-
coftofli ad una tal Gognizione,benchè Geirtilè-», anche Seneca, e movendo
la graziofa quiuione, in cui ricerca per qual cauta mai Ha cosi
gran- .dè ■ - ' -1 ■ • ‘ I ■ V « twf (a) I . ad Rm. (b)
Qip. S 2» • • de nel; Mondo il niirftefo degli
fciocdii,decide^; ciò avvenire dal credere d’ efler faggi : Penfo , cosi
iiotiz\\\\xAt^che molti aver ebbono potuto ar- rivar e alla. Sapienza, fe non
avejjhro.malamen- ■ te creduto d’ ejfervì già. arrivati (a) . II princi- s pai
fondamento della Ifrudenza, fecondo ilGio> . vine Plinio è lo ftimare gli
altri piìipru-: denti di noi , perchè tenendoci con quello pen-. fiero, per
bifognofi d’ apprendere ciò, che ne_». manca , ci moviamo a tarlo con profitto
, e tro-- viamo quel bene , che non cercato fi perdereb-' be , ed in fine
fcrive di non sò qual fuo. Cono- feente •, che la principale fcuo.la ài luì era
il vo- : lere imparare . £d in vero fe tutti nafcclTcro . colla prefunzion di
fapere in pochiffimo tempo empierebbefi d’ Ignoranti il Mondo ; poiché , fe il
conofeerc gli huomini di non fapere , induce, 1’ amor dello fiudio, la
prefuntuofa opinione^j certamente di faper quanto balla ammorzereb- be nelle
tenebre d’ una voluta ignoranza tutto lo fplendore delle buone Arti , ed il
lume nc- celTariflìmo delle Scienze . Tanto può dirfi ancora della moral
difciplina , e del favio rego- lamento deir huomo interiore , che fenza dub-
bio fcaderebbe affatto , quando lufingandofi ogniuno d' avere uncollumc
baftevo!mente_* corretto fuggifle l’altrui conforzio,da cui,ulàn- done a dovere
, tanto può cavarne d’ ammac-, (Iramento, e;di frutto . . 111. La
fperienza ftofla di tutte le colè Mae- A ? lira, (jx') Lìb. de
Tranq^uìl, Anim. fb) Lìb. 8. r/». zj 6 ...... ftra ne
infegna, chè.qucgli, i quali non córiver- fano , per lo pili rimangono uno
fpirito mcii vivace , e men pronto , e d' un naturale ancora talvolta sì rozzo
, che malamente addatta alK clercizio della Virth , perchè in altri mirata^ non
avendone la bellezza, c l’applaufo, non po- terono concepirne (lima, ed amore,
come nep- pure odio de i vizj , perchè non ne feorfero in-» altri la deformità
. Ed^ in vero il coiifiderare ^negli altri, o il vizio, o la Virtù, è uno
fpecchio, che non inganna , mentre mirandofi V uno , clj 1* altra fenza
palTione , fe ne diftingue fenza ab- baglio la qualità ; laddove in noi
medefimi , o Ambizione, o 1^ Amor proprio, molto leva loro della naturale
fembianza . Niuno in fomma è buon Giudice in caufa propria, c quando aveffe
tanta modeftia da non credcrfi buono, clfendo- lo pure in effetto ,
non averebbe fenza dubbio tanta giuftizia per palefarfi vìziofò , quand^ an-
che negar non poteflfe di eflferlo. Quindi il viag- giare nelle perfone di
rango fuolcffere una_» grande fcuola , perchè oflTervando effe i coflu- mi
diverG delle Nazioni , e ciò , che in ciafehe- ^duna degno è di lode, o di
biafimo , vengono a^ formare di tutti , come un certo eftratto di per- fezione
, che gli diftingue gloriofamente da co- loro , i quali troppo invaghiti del
fuol paterno credono di tradirlo, fe a fine ancora di bene per breve fpazio fe
ne dilungano . In fatti la mag- gior lode', che dia Òmero al fuo famofo
Uliffe.^ per metterlo in credito d^ huom faggio , e diffe- rente di lunga mano
dal baffo volgo , fi è ? ave- re DigWTod tfÉxjle
re cflb veduti i coftumi,e le Città di molte Gen- ti , ónde avea potuto
formarfene una regola di' vivere affa i perfetto . Difle bene a ciò miran-- do
uh Savio di Francia , che non v’ è Libro piò prcziofb della fcienza del Mondo :
cioè di ofler- vare quanto fi trova di buono, e di (limabile.»' fra i due
Scflì, ed inveftirfene con una follecita , c lodevole immitazione . Così per lo
contrario- i Principi fenza partirfi dicafa hanno in elfa.,; una comodità
invidiabile d’appreder molto fen- za fatica, poiché nelle Corti facendófi un
picciol ' Mondo formato d’huomini per lo più culti, c di grande fpirito,po(rono
e(fi afcoltando (blamen- te imparare affai da coloro, che molto ftudiano per
poter loro parlar con profitto . Per ciò ad un Principe giovine dell' Italia ,
che dolevafi d' c(fer privato della gran fcuola , che fi ha dal vi • aggiarc ,
di(Tc un’ huomo di fenno . • Può V- A. rìfparmìarfi allegramente la pena del
viaggio t mentre tanti viaggiano per venir quà afarlc^ quella fcuola', che
brama . IV. Deducefi da tutto quello la neceflìtà di converfare con
huomini di prudenza , ma non_. fembra , che dimollrifi per necelfaria la Con-
verfazione col Seflb femminile , a cui tende_v principalmente il fuppollo abufo
moderno. Re- plicando io quello , che dilfi fin fui principio di quello Capo,
confc(To,che meglio farebbe a(fo- lutamente l’afierierfi dalla Converfazion
delle Donne, e che molto lodevole rederebbefi quell’ huomo , che fi prefiggelTe
la regola del Santo Giobbe nel far patto eoa gli occhi fuoi di non. A4
mi- 8 mirar mai femmine in volto > (a) ne peniar mai di
elTe , giacche il penfiero. in tal materia fuol pur troppo andare unito allo
fguardo, ed anche, non di rado al penfiero la rea brama . Nel fc- colo però chi
farà mai, che voglia vivere in una . Ibggezzione sì rigorofa , e mantcnerfi in
un ri- guardo , che tanto pure faria profittevole alla_>: lalutc dell'
Anima? Se trovali chi abbia quello^ fanto coraggio , io lo commendo altamente.,
e 1' alficuro, che ne riporterà dal Signore un'am- plilfimo guiderdone . Qui però
con viemmi par-, lare con quelle perfone , che vogliono fervirli dell' onefta
loro libertà, in cui le ha Iddio la- feiate, e viver nel Mondo fecondo 1' ufo
comu-, ne degli huomini, che lo compongono . La pri- ma regola adunque di chi
vive con altri , c 1' aver mira di non comparir {ingoiare in alcuna cofa , c
per non dare adito alla vanità , che po- tria nafeere da un fomigliante
propofito , c per non eccitare l’ Invidia, che fuol colpire appun- to quegli, i
quali feoftanfi dalle altrui colluman- ze, quali vogliofi di renderfi cenfori
de’ lor C6- pagni , mentre piccanfi di nulla far mai di quel-, lo, che gli
altri fanno . Quindi Minio dilfe acu- tamente a Trajano ; Fffere in akittit
talora u». gran difetto l' effere fenza difetti . Ciò deb- befi intendere di. quelle
fole azzioni , die non_. fono intrinfccamente peccaminofe , nelle quali almeno
per apparenza di civiltà dee concorre- re l’ haom difereto per non condannare
coloro, che I ■■ I ■ ■ I ■ I ■■ t fa) fob. ^ I . I . (b^ In
faiteg. ad Tra). che le fanno con tutta P ìndifTerenza , e per
non. introdurre malizia dova realm(^te non (la . .In quedo.fenfb
infegnava Grido medellmo,Ca)chc chi volea moruficarfi coll’ adinenza. n5
difpre* giade chiunque mangiava, anzi che digiunando ungede il Iuq
capo e comparide di ciera lieta, per non dare altrui a divedere, che egli
digiuna* va . Non elTendo per tanto la Convcrfazione-ii in dia
Ibdanza cattiva , difcorrendofi ancor del* la mida , è ben necelTario ,
che vivendod co.n_j tanti huomini , che la praticano , un Iblo noo^
faccia il ringoiare nell’ evitarla , ma fegua il co* duine degli altri,
per non rendere col fuo efem- pio fofpetta una cola , che eder pnote
ingenua , ed innocente . Io non trovo , che a i Tuoi di* • • • * ^ ^
^ fcepoli abbia mai efpredamcnte proibito il Di- vio Maedro la
Converfazionc compoda anco- ra de’ due Sedi, anzi egli mededmo favorì della fua
prefenza alcuni folenni Banchetti , come in Cana, e nella Cafa di Marta , e del
Farifeo . S» dunque necedaria d è provata a chi vive nel Mondo la Converfazionc
degli huomini favj, tale può giudicard quella ancora delle onede^ Donne pel dnc
mededmo di correggere que’ difetti , che veggiond in sè malamente da cia-
fchedunò . Afferma San Girolamo gra Dottor della Chiefa , Q)') che ognuno per
Savio , e per- fetto, che fiadjha seprc un no fo chè,onde appa- rilcc infelice
di condizione, attefa l’umanità jniferabilc, di cui ammantato ritrovad,
aman- *•••- .. ... ' ^ , (a) Matt.cap. 6. 17, (b) IttEp. ad
Nepot. \ r- IO , do fempPe fégfetàmente' qualéunò de’
vizj . Quando ciò fia'è megliò certamente ef]ìorfi all’ altrui Genfiirà-i
ùon'vC'rfando per efler corretto, cKe viver fempre con se medefiiiio , c nella
ce- feità lagrirrievòle d* idolatrare -i'proprj manca-^ rnènti come virtildi';
Pili d’ ogni' altra polcia_. jjér quello è heceflaria la GonVerfazione delle
Donne, perchè elFendo elleno, e per nàtura piò critiche', fecondò il Satirico j
e per vantaggio del feflb più libere nel riprendere, promettono a chi le
converfa a buon fine una più ficura , e_» i più Ibllecita emendazione . Non è
cofa da pórli ih dubbio , che a certe Dorine talora di brio , ed autorità
riufeito non fiadi corregger negli huo» mini alcuni vizj , per ifvellere i
quali eranfi in- darno adoperati gli più zelanti Direttori di fpi- l*itò . Per
tacere di tante, ed addurne efempio , che fagro elfendo non polTa negarli , ciò
fi vide ben chiaro nella fpiritofa Abigaille ,chc nel fu- ror di fue collere ,
di pace parlando ài Re Davi- de , cofa , che tentata certamente non avrebbo- no
i perlbna'ggi più cofpicui della Corte , ne_» ^enfe 1* ira , e fedonne l’animo
così bene , che ebbe il Moriàrcà medefimó a ringraziarla dell’ olile uflìzio
con quelle’ cortefi parole : fiate ’Ooi benedetta , Signora, che mi vietafle
oggi di gir- mene a fparger /angue , e vendicarmi colla mia mano . (a^
Conchiudiamo adunque , che quan- do non vogliano gli huomini , o ritirarfi dal
fe- nolo , o vivere nel fenolo ritirati , che farà fem- pre (a)
ì.Reg.2S. DIgIHzed by Google prc il migliore , e più
ficuro partito > troppo aJ loro è neceflaria l’enefta Converlazione per
apprendere a poco a poco la maniera di viver meglio, che far (r po(Ta,in luogo,
dove fono tan« ti pericoli di viver male: Erra, dicea Cicerone», chi giudica $
^izj del corpo maggiori di qael delP Animo : (a) onde può ricavarfene , che fe
cercano le perfohe più calte, e più amiche dcll^ cfterior compoftczza, tanti
Macftri per correg- gere i difetti del corpo , e renderlo agile al bal- lo,
alla fchcrma, al cavalcare , qualcuno debbo- no averne ancora per togliere i
vizj dell’ Ani<? mo, ed addeftràrlo all’efercizio si necflario del- le
virtudi . Attengali per tanto ciafcuno al con- lìglio dello Spirito Santo ,
dove infogna : Poni modo alla tua prudenza^ ; ufandone per la_> fcclta
delle migliori , e più purgate Converla- zioni, e non per la fuga di tutte ,
quando , come fi è dctto,non fi rifolvclTe a converfarc con Dio»’ perche fe è
vero , come è verilfimo , ciò , che-» ferivo Liffio ; Stolta ejfcre ogni
fapienza , cbeL* non è Tnoderata:Qe')(iccome è prudente condotta d’ un huom
Savio lo fcanfare quella Converfa- zione , che in verità è cattiva , cosi è
impruden- za da (lolido il non conofcerc la neceflità della buona. (a)
Tafcul. 3. (l ) Prov. i (c)/vz. cent.2.ep.$6. Delia ;
12, Delta Còfivenienza di cónverfare, , •
#»,*•••• CAVO II.: t ■Ppena clic. ebbe Iddio
creato 1* Uomo » , • ^ ^ dimofirò pueda convenienza di con-, vcr^re dicendo :
Noft è cofa buona , ehe P huo~. ma fia folo: Ca) e fuhitq diedegli la Donna,
cava- ta di più da una coda di lui , per. denotare la re- ciproca y e fedele
armonia , . che tra eflì paflar devea . in quello fentimento conviene ancora
r.acutiflìmo San Bafilio di S^ileucia affermando,. 0) che: Privo Adamo d' un
compagno , H quale fycogodejfe de i piaceri di quel luogo sì ameno più era
imperfetto il fenfo de' fuoì godimenti . jla compagnia per vero dire , è il
condimento di tutte le cofe più dilettevoli , e nel (bmmo an- cora de’ bcnijchè
aver fi poffbno in terra, trop- po ci manca mancandoci perfonà, con cui divi-
der poifiamo la contentezza, c renderla per via della comunicazione più grande,
e più foave_». , anzi a giudizio di Seneca , (c) Il pofiedimento di ntutt bene
è giocondo fenza compagno . Quindi è , che volendo Iddio neilp Stato dell’
Innocen- za pienamente felice l’ huomo , per quanto av- venir potea nel Mondo ,
volle accompagnarlo, c rendergli, così più graditó. il foggiorno del Faradilb
Tcrrefire . Perciò io penfo, che dicen, fe il Santo Giobbe; Cd) eJTere il
maggior gaftigo ' -, dell’ •• • (a) (b) Orai. 2. (c)
Ep, 6. (d) Cap. 5, DIgilized ùy Qolgle *5
deir hiiorho émpio /* abitare In Città defolatè : venendogli tolto' così
tutto ciòcche render puo- tc felice la vita , o piti fòppòrtabile per lo meno
la miferia deir-efilio mortale . .Non può dun- que negaffi eflcre convenevole
cofa, e ben giii- lta,che infieme converfino le ragionevoli crea- tiire , e
quelle fpezialmente , che nacquero ini pa’efi piìi domeftici per diftingiierfi
dalle altre , che nate lòtto barbaro clima piò, che deir huo-^ mo, partecipali
della fiera . De i Parti Nazione ferigna,e felvaggia (èriire Tacitò, che aven^
(do pochilfimo Umanità , Siccome r arrende^ ^ole cortefia^ e la pronta
gentilezza , erano vir^ tudì d loro ignote , così le tennero per vizj di
fìttola ufanza.'^on ha certo alcuna colà, che faccia nelle Città una moftra piu
vaga , che P unione degr animi , la quale fcorgefi appunto nel convciTàrc
infieme con ottima corrifpon- denza i Cittadini, comedair unirfi tutte al pun-
to le Lineerilivlta la perfezion deila profpctti va; • I r. • Nàfcc uria
tal cori vénienza dairobbligo civile, che ha r uno d’ accom.modarfi al genio ,
ed al còllumcdell' altro dentro a i tèrmini dclP 9 'équità ,’‘ohdc
vien pofeia a formarli di mol- tc'membrà’ùn fel corpo , ed un certo armonicò legamento
di animi, che bàfe eflendo della con- cordia, divien pure feme, e principio
delle altre virtudi , eferma- un oggetto air occhio de^ ri- guardaiiti àflai
vago . il punto in ciò piu diffi- cile fi ò,che unofappia addattarfi all’altrui
umo« • • re CO Ltb.i^i/innah *4 re lenza
contravvenire agli obblighi particola- ri; poiché farebbe uno iconcerto
notabile aifet- tare obbliando il proprio dovere di fecondar tutte le altrui
inclinazioni . V/ è qui, d’ uopo d’. una prudente diiìnvoltura,.che diteernendo
be- ne tra le proprie convenienze, e quelle degli al- tri, giunga a temperarti
in maniera ,.che renda l’ huom civile tutto di tutti fenza lafclar mai d’ effer
tutto ancora di fe medetimo: ed a piegarlo in sì fatta guiia alle altrui onetie
foddisfazioni , che non perda mai d’ occhio , ciò che egli é te- nuto di fare .
Si vede in ordine a quetio , che il girar , che fanno quotidianamente con la
macr china tutta de’Cieli da Levante a Ponènte i Pia- neti, nulla impedilcc il
corfo lor proprio , ed oppofto da Ponente a Levante . Ciò nafee, per- che vi
fono de’ Poli diverti da quei del Mondo , Ibprade’ quali fanno i Pianeti il lor
giro, non_» confentendo la natura , che feguano due moti contrarj fovra
de’ftdlì Poli, come bene con tut- ti li Aftronoini ofTcrva l’erudito
Fineo.C<3')Stan- do adunque fìtib beneciafeuno fovra i fuoi po- li, cioè
ftabilendoti fermamente ne’propofiti del fuo dovere , manterrà fempre il lUo
corfo dirit- to, ed invariabile ', benché fecondi per convcr niénza il moto
altrui . Cl>) Daniello nella Corte di Babilonia fpiccava fovra degli^altri
Paggi del Ré in vivezza, in avvenenza , ed in brio , ficchò erati obbligato il
cuore , e del ilio Prefetto, e di .tutti i Cprtigiani , c fermo
nclla.determinazio- nc (a) Ltb. i . de Cofmeg. c.4. (b) Dan.
c. j . ne d’oflTeryar la fua Legge ,,d’ altro non ciba'n- 49^.» che
di.legumi , compariva allegro jdifinr. volto , ed affabile con tutti camminando
afe* conda con gli' altri per convenienza, ma fempr<h tenendofì alla memoria
prclènti gl’òbblighi del*, la fua Religione . . Ili. Egli è ben però
neceflario di regolare, una tal convenienza colla ragione più tpfto,che. non
col genio imprudente , che nudrifcpnp, al- cuni di piacere lenz’ altro riflelìp
alla migliore, non già , ma alla maggior parte .degli huomini - E’ quello
un’inconveniente, d’onde ajtrj mpltif;; funi ne derivano, ed un pelfimo veleno
, da cui_ tutta rendefi perniziofa la per altro innocente, dolcezza dell’ umano
conforzio C^) Echi è co~ lui, dice Seneca , il quale piacer poffa alla moltìr
>_ tudìne quando piaccia a lui la virtù ì , Codefto metterli in capo di
piacere a tutti ò la rovina di mplti, che averebbono un’ ottimo naturale per.
giugnere a piacere, a i faggi;,. adornandpfi di quelle dpu, che tanto
difpiacci.onq agli fciocchi. Per un lampo, di lode infelice , che.efll rilevano
dall accoharfi alKaltrui. genio , dilungandoli dall’onelio perdono il meritò
d’olTer veramen- te lodevoli, e per comparir facili^, cd indulgenti . coa;Ogni
for,ta ,d\huomini licenzioli tradifco.np . V ingenita inclinazione di folamente
arrènderà.; al giufto, ed al convenevole^ Ilfaper negare a-, fuo tempo è l;arte
più fpttilé,ed anche più com- 1 ni endabile dejr-hupmo intero perchè ficcome
. ' ntil“ (a) Ep.66 •V i6 .. , , .
... nulla v’ hà di più agevole , che il concedere , t>* negare alcuna-
colà afìblutamehté : cosi nulla V* ha di pih arduo quanto il faper negare-»'
còli si bella grazia , che venga 1’ altrui cuore ad obbligarli , conie fe
appuntò fi concedeffe . Per giugnere a quefto convien praticare quell’ ac-
corta , e (anta àllùzia , colla quale fi proteftava Y Apoftplò df aver
.guadagnati i fuoi Difcepoli' di Có ririto; Cu) Effendo io, così loro fcrive,
ajìu- toivi hò prefi-coff inganno', cioè fingere con ma-‘ niéròfb' artifizio di
voler fare quanto altri di- manda, e trovare nel tempo llelfis'un tempera-'
mento, ed Un ripiego sì deliro, per cui non li' faccia fe non ciò, che
veramente dee farli . Ri-* ferifee Tacito di-Tiberio, (jb') che eflendogli nò-'
to bramarfi da tutta Roma, che egli andalTe in_i‘ per fona a fedaré 1’
ammutinamento delle Un- • gare Legioni inlbftó colà cón ilcàndalo dellai.
Milizia, e della Cittadinanza, benché egli'vedef- fe non convenirgli tal cola ,
non diede però ne- gativa preciia, ma finfe di voler veramente an- darvi:
^uajifoffe, così nota lo Storico, per par • tir d' ora in ora fcelje i
compagni, cercò impedi- menti, ed allenì le navi . Gonfifte in quelló ap- punto
la finezza d’ una tal’ arte,- nell’ unire cioè coll’ apparènte brama cortefe di
concorrere-* nell’ altrui vólerc lo Audio ancora di far nafee- re oAacoli, che
l’ irapedilcano, ficchè ad elfi piò tolto, che al proprio contegno, polTa
attribuirli la cagion di non compiacere del- tutto, comedi- ■ . .. . ■ Ca) Cor >2. i2t (b) Lib, \ l% DIgItized by
Goeiik moftrafì di brarhare . In tal guifadee
governar- fii huomo di fcnno in ordine al feguirc per convenienza la
cofliimanza comune di conver* lare. Moftrafi con tutti di umor pieghevole-»
finche invitato a qualcuna delle Converfazioni, che o per fbftanza, ò per
accidente , a lui fia no** civa , far tutto per moftrar di volerne godere , e
tutto ancora nel tempo medefimo per liberar- fene . In quello modo ragionevole
eflendo lem-; preja convenienza, farà > che egli abbracci tut- to 1 oneflo ,
e Indifferente, con lode, e fugga li maiC fenza taccia di ruvido , e di
pertinace • 1 V. Saria fenza dubbio una fpezie di biafime- vole ruvidezza
il viver nel Mondo , e non voler yattare con gli altri , convenendo , ò
lafciarlo dal tutto, ed appHcarfi alla Santità , ò prudente- mente addattarfi
al fuo coflume , per togliere ogni Iqfjjetto d^ affettazione , di cui , a! dire
di QufntiJiano Qa) altro non può tro^arjì dì più odiofo . Condannartutto negli
altri è parte del- ia fuperbia , che fuori di fe nulla feorge di buo- no , e la
più altiera condanna , che delle azioni altrui poflTa farli , è il non
feguitarle quando fie- ^ pwre ancora indifferenti, meglio cllendo talora
comparire in ciò , che non è ma- le anblutamente,men faggio con molti, che far-
li mollrare a dito affettando vanamente. una.i prudenza , che penda nel
Angolare . Dobbiamo tuggire generofamente tutto quello , che di.fua natura è
cattivo, quand’ anche foflimo foli , che Ca;) Lil;, I , r.
1 1. i8 anzi allora l’ efferlo è gloria: mà in quello ,
che è’ ambiguo, e che puote efler buono le noi vo- gliamo , è una fpezie d*
onore l’ operare con gli altri , moftrando la modeftia di legni re 1’ altrui
elèmpio finché c’ ò pofllbile, edi non voler far- la da Macft ri nel mondo .
Così a i Tuoi difeepo- li comandò Chrifìo , che trovandofi nelle cale altrui
guftaflero de’ cibi , che foflero loro por- tati avanti per non moftrare
fingolarità d’ afti- nenza, mortificando coloro , che inclinati non_, foflero
ad ufarne . Adduce Liflìo in tale propo- ■fito Ca>) I’ efempiodi Pallante
Liberto di Clau- dio, il quale in fua cafa non comandava , che a_. cenni,ò per
fcrittura , temendo forfè, d' avvili- re la propria voce , le accomunata 1’
avefle con quella de’ fuoi Domeftici . Egli però con quella foggia d’ affettato
contegno acqiiifloflì più di biafimo , che di lode , benché vivefle in tempi ,
ne’ quali afpiravafi all’ Erorifmo con rigidezza , e {'ebbene venne in Senato
Icoperto per inno- cente di non sò quale delitto appoftogii per in- vidia, non
riufeì a i Senatori , fbggiunge Liflìo, sì grata la fua innocenza , quanto era
loro odio- fa la fua fuperbia . Per fuggir dunque la taccia d’ alterezza , ed’
affettazione , che fono due vizj ncll’«mano conforzio sì abbominevoli , è con-
veniente, che l’ huomo civile , e fecolare, s* ad- datti all’ onefta
Converlàzione , quand’ anche fia mifta , amando meglio di rifplendcre come
Stella ordinaria nel Cielo, per dir così, della fo- ci e- (a) Lib. 2, de
Doc, Gv. / cietà, che divenire uno ftravagante
Fenomeno, che tiri foura di fé Inocchio di ciafchedimo , e dia a tutti materia
di parlarne a capriccio . In fiamma è ncceflario , che iludj bene ciafeuno 1'
arte di faiTi amare , che c 1^ arte di tutte le arti > c che non fi apprende
sì facilmente, ma che pu- re puote acquiftarfi per quella via di andar fe-
condando colla regola della prudenza, cdel Dovere le inclinazioni degli altri .
Quando non fi perda per altra parte è femprc piùficiiro lo feendere, e rendcrfi
con tutti affabile, e pieghe- vole, mai non trafeurando il vantaggio di com-
perar f altrui Cuore ; poiché è veriffimo quel detto, che nel Mondo non è ne
amici piccoli, ne piccoli nemici, mentre ogni amico può gio- vare , ed ogni
nemico può nuocere • V. Debbe riflttterfi ancora, che T affbntar- fi
dalle favie radunanze degli huomini fonza_> giufto motivo, può tal volta a
chi vive nel Mon- do portar pregiudizio al buon Nome, la cura di cui ne viene
gelofamente ingiunta dallo Spirito Santo . In fatti dopo Dio nulla dee V huomo
avere di più caro, che f onore , di cui è Giudice il Mondo , e Giudice
ineforabile , perchè nulla_> perdona in queffo genere . Offerva per tanto
Caflldoro,che i Volatili più innocenti fono i più converfevoli . (a) I Tordi ,
egli dice ^arnuno dì gìrfene in folto Jìnolo della fuafpezìeie gli Stor- ni
pure godono dì fc hi erar fi come in ef eretto', gli Avvoltoi per lo contrarlo
, e le Aquile caccia- B 2 trici (a) Lìb, 8 • Var. c. j i
. ■ > 20 ir tei , e che fuperam tutti gli
altri Vecelli ìnJj acutezza di /guardo, vogliono volar foli, perché ■ le
injìdie rapaci non ama» le innocenti Adu- nanze. ^mbifeono di tentar foli
qualcofa que- gli, che non dejìderano dì trovar la preda cott-j altri . Così è
deteflabile per lo pili , e deprava- ta la volontà di coloro, che sfuggono la
prefenza deolìì huomìnì . E’ nobile il fentimento, e meri- ta, che
l’applichiamo al calo noflro . E’ certo* che fe qualcuno de’ men divoti non
trovali do- ve gli altri fono a divertimento, può dar moti- vo, che altri
fofpetti di lui, c fapendofi , che per altro non è . punto amico di Oratorj ,
di Con- fraternite , ne di Conferenze co i Direttori di Spirito, può far
credere , che egli fia Uccello di rapina, g perciò alieno dal conlòrzio di
coloro, che amano divertirfi con innocenza . Potrà con qualche fondamento
mottegiarlo taluno , che_# egli troppo eflendo ingordo non voglia co» al- tri
dividere la lua preda , ò che ancora lì vergo-r gni non folo di farlo , ma ben’
anche di compa- rire frà gli altri , perchè forfè , gli puzza il fiato all’ufo
appunto degli Uccelli rapaci, pafeendofi del Peggiore . Io per tanto loderò
fempre iaij una perfona focolare il divertirfi in pubblico, fenza difeapito
dell’ Onefià, per non dar Iblpet- to di farlo in privato a talento delle più
fcorrctr tc paflìoni . Ed in vero , nelle ore chiamate da quegli , a i quali avanza
fempre il tempo, nojo* fe, dove, cd in che s’ bada credere, che trattcn- gafi
colui, il quale è fuori di cafa , e di Chiei^a , e lungi dal Luogo del comune
divertimento ? Sa- J DIgilized by Go^lc
21 rà'dunque pitificiirn la riputazione diciafchc- diiru) , che
brami pure in qualche maniera di converl'are , il farlo in palcfe coi più,
poiché troppo giuftamente è lòfpctta quella Conver- fazione , che sfugge la
teftiinonianza , ed il giu- dizio altrui . - VI; S^aggiugne a quello, che
poco nel Mon- do fono plaufibili que^ naturali , che hanno delP antipatico,
accoftandofi a quello de^ Bruti, mol- ti de^ quali, fecondo Ariftotile, e
Plinio, Qa) no- drilcono frà loro fenza cagione l^antipatia, fug- gendofi V uno
P altro, ò per invidia, ò per timo- re . Oraeflendo Phuomo animai ragionevole
dee regolarfi colla prudenza, ne mollrare lenza il filo perchè d^avere
antipatia con gli altri, che farebbe in tal cafo uip ingiuria • Un' umore di
fimil fatta , non può giuliificarfi con altro moti- vo, che di voler vivere a
femcdefimo nella ficu- rezza lodevole del ritiro, che io non faprei bciP
approvare fe non fuori affatto del Secolo . Ma quando fi viva in eflro,parmi
feonvenienza il non vivere parimente con elfo , cd affronto non lie- ve V
abitare con huomini per lo più favj , cl-» coftumati, fcanfandone pofeia come
per odio il confbrzio . Shcorncy ferivo Plutarco, è fom- ma lode f amore verfo
ì Saggi , e i prudenti^ co- sì è indegno P odio nodrìto contra ì medeftmì . In
fomma conviene, che fpeflfo P huomo di fen- no fovvengafi, che porto dalla
Provvidenza nel Mondo non foJo, ma in compagnia d' altri, non B 7
ha fa) Lib,^.Q,idìbAoX»^> (b) De odio ó" 22 hà
da sfuggirgli lèortefe, ma renderli anzi a tut- ti amabile colla dolcezza d’ un
tratto civile per cooperare dal canto liio al mantenimento dell^ utile armonia,
che ama di vedere fra le cofe tut- te il fupremo Regolatore del^Univerlp .
Fuggo- no molti , e difapprovano ancora la predetta-, grand’ Arte di farli
amare, perchè non fan pra- ticarla; ma quei , che ne fono forniti , ne fento-
noun gran profitto , come Vefpafiano, di cui racconta Filoftrato, che fapendo
contentar tut- ti , fi fece padróne del cuor di tutti , e difle ua_, giorno
agli Egizj; (a) Da me , come appunto dal I^Ho, cavate ciò yche v' aggrada . Da
i limpidi fiumi non può cavarli , che acqua chiara , come dalle pozzanghere non
fi cava , che fango . Chi hà limpido il cuore lafcia , che altri vi pefehi ; ma
chi 1’ ha turbido teme, che pefeandovifi non venga in luce la feccia . Il
lafciarfi condurre, co- me dicea Saluftio,(^) a piacimento dell' altrui
feorrezione , e cangiare ad ogni ora parere , è contrafegno d’ animo debile , e
leggiero ; ma 1’ addattarli colla feorta della Saviezza all’ altrui cofiume,è
convenienza da Saggio , giacché al parere di Tullio, (c) la fomiglianza de i
cofiumi c concigliatricc dell’ amore , e l’ imprudente-» condanna di efii è
principio talora di grandi ro- vine . Così Artabano Re de’ Perfi accefe Io fde-
gno in que’ Popoli, moftrandofi alieno dalle in- clinazioni loro della Cacala,
e del Cavalcare , e fu fa) Lìb. ^.zApol.c, IO- (b) Orat. ad
CcefaVi (c) z. deOj]'. I •fu deporto dal foglio^
fa)Bafta filTarfi nellaj gran maflìma di voler Tempre il bene, c mai non volere
il male, per armarfi d’uno feudo , che fal- vi da ogni pericolo , e ciò farà
certamente più profiittevole, che la rozzezza di fuggir tutti col timor di
pericolare : Voler f tnpre , e non voler fenipre h [ìejjò, que/la, dice
Platone, è la ve^ rafapìe>:z'ì . (jx) TacU. lib. 2. ^nal. Cbj de
rep. Dell' ^ 4 24 Della \J
tilità di Converfare . CAPO. III. \ li T T No de’ principali ùffizj
deila prudenza ò • . il veder bene addentro in tutte le cole, e
diftingucrne il i’uo buono per profittarne . Queftó è il carattcre di tuttociò
, che in terra-, può caderci lotto dell’ occhio ; 1’ efler cioè mi- Ho di buono
, di cattivo , e d’ indifferente ; onde l'avio deggia dirli colui, che
lafciandone il male, s’ appiglia al bene, cola, che da Quintiliano (a) c
chiamata ìlfommo della prudenza . .L’inge- nuità, e la malizia Ibgliono appunto
provarli ad un tal paragone; mentre feiegliendo 1’ una_. in tutte le cole il
buono , come fubito correi’ Ape al dolce per formarne il miele , e l’altra al
cattivo appigliandofi , come Tempre all’amaro la Vipera per trarne follanza di
veleno , fi di- ftinguono ammendue per quel , che fono , Ap- parirà pertanto
prudente, ed ingenuo quell* liuomo, che dalla coftumahza in quello fecolo più
ehc in altro mai praticata di coverfarc con gli altri, Taprà cavarne per fe del
vantaggio, che pure sì grande effer puote , e sì preziofo . V e- diamo in
alcuni fonti , che paflando per le mi- niere dell’ oro, e dell’ argento, le
materie hon_. già più cralTe, e fecciofe, ma il fiore benfi di effe ne portano
feco nelle falubri qualità, delle qua- li (a} Veclam, 95.
t h’ felicemente s* imbevono per P occafione dj un tal
paflaggio . Tanto dee fare colui , cui pia_ co il coltumc della moderna
Converlàzione-» : ufarne cioè colle regole della prudenza , e la- iciando a i
maiiziofi quanto ella aver puotedi men finccro imbeverfi di quel molto , che ha
di profittevole, e da un luogo, d’onde altri non ca- va, che feccia, c fango,
raccogliere argento, ed oro . . - ,11. E per difeendere a!
particolare di quell’ ' utilità, che a tuttti può cagionare il retto ulb
della Converfazione , a me (ómbra , che fia non picciola quella d’un certo
difinganno felice, che fuol nafeere dal godimento fperimcntale di cer- te colè
, che vedute da lungi , fi credevano afi'ai migliori, e di gran lunga più
dilettevoli . Sicco- me non ha il Mondo beni perfetti , e che pofl'a- ^ no
pienamente appagare il defiderio , che tutti abbiamo ingenito di godere , noi
andiamo in- gannando noi (leflì con una fìnifira opinione.» di quelle cofe
medefime , che non polfono con- ; tentarci, e tediati da quelle , che
polTediamo, c’ ~^;:r-^ndiam lufingando , che polTa lacontentezza-^ 1
trovarli nelle altre, che non abbiamo, palTando { Tempre di miferia in
miferia col pafcolo d’ una traditrice fpcranza , dalla quale ci vicn promef- Ib
ciò , che non è polTibile di rinvenire . Molti, che fuori, trovanfi del gran
Mondo , nome che , fuol darfi al Luogo del pubblico divertimento , o che
ne fono, tenuti lontani dalia vigilanza di | chi gli governa , fi
veggiono languire cornea elclufidaunParadilb tcrrefire, efcmbraloro
marti- I DIgilized by Google z6 martirio, e
tormento infbfferibile tutto eiò, che non è divcrtirfi, e converfare . Giunti
però, che vi fono , fe chiuder non vogliono affatto l’ oc- chio della ragione
fi avveggiono , che codeffo pure è un bene di Mondo , un pomo di Sodoma ben
colorito al di fuori , e tutto cenere nel mi- dollo . Io conofeo taluni , che
illuminati benifi» fimo,per queffa via impararono ad abborrire-» in un’ ora
ciòj che avevano per molti anni bra- mato , e divennero amiciflìmi del ritiro
tofto > che furono pienamente liberi per convcrlàrc . Vicn riferito da
Seneca , che un certo Filo- Ibfo per nome Ottalo avea dentro di fe conce- puto
un fegreto amore verlb delle ricchezze-», parendogli , che il piacere di
poffcderle dovefle pur corrifpondere a quell’ ardenza foave , con-, cui fi
bramano . Accadde frattanto , che egli s’ imbattè per ventura a vedere in Roma
la ricca pompa d’ un (bienne Trionfo . Mirava egli co- me fuori di fe medefimo
la preaiofità degli ar- redi, 1’ abbondanza dell’ oro, e dell’ argento , la
ricchezza de’Cocchj, la moltitudine degli Schia- vi, e fopra tutto la sfarzofa
gala delle Donne , che è (lata in ogni tempo il piìi mirabile condi- mento d’
ogni Ipettacolo . Terminatali però nel più bello del fuo ffupore quella
gioconda com- parfa,cgli rientrò improvvifamente in fe ffeifo, e conchiufe, che
c/&, da cui non occupavafi un^ giorno intiero, non meritava d* occupare le
bra^ me di tutta la vita . Non potrà egli dunque.,, atte- f
(ai Ep. loi. attcfb ancora il vlvilllmo lume di Santa Fede i cavar
ciafcheduno quello bel frutto in tratte- nendofi nella Converfazione , cioè di
compren- dere , che Ibvente noja recando ella per poche ore , non c un bene sì
grande, come un tempo glielo figurò 1’ opinione , c ne tampoco tale-» , che
deggiano in lui impegnarfi i defiderj tutti del cuore , quando non voglia uno a
bella polla ingannarli ? Non potrà ugualmente per quello lolo venire in
cognizione del vero bene, toccan- do con mano, che quello, il quale da i più è
cre- duto il migliore, non balla a contentarlo per breve fpazio ? Se in vece
dell’ efenipio di Ottalo io ne adduceva qualcuno de’ Sagri, che pur tan- ti
addurre le ne potrebbono , faria paruto , che q uello frutto , il quale può
nalcere nel cuore-» della llelTa Converfazione, folTe troppo mctafi- fico, e
proprio più di anime religiofe , che feco*. lari . Ma chi è mai, che avendo
battefimo , non penfi d’ efler capace di que’ rifleflì , che illumi- narono ,
in quello punto per lo meno , un Ido- latria ? III. Un’àltra non minore
utilità io confide- rò nella collumanza del coavcrlàrc, ed è quella di fpendcrc
il tempo onellamente . Non deggio io qui- replicare le protefte fatte di fopra
di par- lare in quello libro con quegli hiiomini unica- mente , che non vogliono
appigliarfi al miglior configlio della ritiratezza . In tale fuppoflo per tanto
confiderò , che in quelli noflri tempi , nc’ quali è mancato sì paìefcmcnte
l’amor degli du- ci i , che dourebbe clTerc un dolce divertimento
di di tutti, ma in particolare de* Giovani, può fup- plire ad un
tale difetto in qualche parte l'one- fta Gonvcrfazione, la quale , come fi c di
(bpra_. Botato , ferve a chi ne ufa con favia moderatez- 2a d* un’ ottima
Icuola . Ed in vero io mi trove- rei pure alle ftrette , fe dovcfl'i prefcrivere
ad un Giovine civile del noftro Secolo una rego- lata diftribuzione di tempo ,
acciò vcnifie egli a fiiggir 1’ ozioi che è la prima , e pefllma cagiono d*
ogni fpirituale rovina . Ne’ tempi già Icorfì potea in tutte l’ore della
giornata ftabilirfi una dileltevole occupazione , dopo quella , che deefi a Dio
, ed al penfiero dell Anima , parte afie- gnandone allo ftudio d’ una buona
Morale.», parte alla gioconda lettura , edutilifiìma delle Storie, parte agli
efercizj cavalerefchi , c parte pur anche a qualche ingegnolb divertimento ò
delle Arti liberali , ò dejla Meccanica Ora pe- rò, che la malizia ha perfuafo
a non pochi effe- re come avvilimento del Rango 1’ applicarfi- alla cognizioo
delle Scienze , mettendo purtrop- po la Letteratura in ridicolo a fegno,che'più
in_, oggi taluno aggraverebbefi d’ effer chiamato Dottore , Mattematico ,
Bottanico , Pittore^ , Aflronomo , che non d’ altro titolo piò vile , ed
offenfivo ; chi mai faprebbe mettere in regola.» di retto ufo non già il corfo
intero del vivere.», itia le fole ventiquattro ore d’ un giorno ? Bifo- gna poi
certamente che la Giòventii ben pa- Iciuta, e difapplicata, precipiti a forza
nel vizio, ediafi in preda fenza ritegno a i piò fconci , piò dannofi
trattenimenti , Queflo difordine , che 29 che abbiatri
pur tròppo manifeftamente fugP occhi nella Gioventù d’ oggidì , mi ha in granai
parte convinto per credere vantaggiofa la mo- derna Convcrfazione , mentre
dandoti i Giova- ni a pratticare con Donne fa vie» s’ avvezzano a vivere con
proprietà, ed in contegno, sfuggen- do frattanto la prattica liccnziofa delle
perver-, fe . In fomma il male,che apprcndeti nella Con- verfazione, è un male
incerto, ed evitabile ; ma il bene di venir per efla divertiti gli huomini
dalle cattive pratiche è un ben manifctio, e fen- fibile . I V. Io sò
bene , che da i più zelanti mi farà oppofto , che sì malamente cflendo pure
incli- nata la Gioventù moderna, fi farà un grave pe- ricolo anche della
Convcrfazione più ingenua ,■ da efla rilevando un pregiudizio non punto mi-
nore « In primo luogo io bramerei , che cfll mi deter minaflero la qualità del
divertimento, che dee perfuaderfi agli huomini d’oggidì,alieni tan- to.dalle
maniere più lodevoli di fcanfar 1’ ozio Il ripiego di non penfar punto alla
neccflìtà,chc ha I’ huomo di trattenerti , ed inveire da i Pul- piti contra il
cofluine di converfaré, s’ò già fpc-. rimontato difutilc , mentre avendo le
pcrlbne-# focolari in ciò il rifugio della pretelli oneftà , le prediche di tal
foggetto Ibn divenute la materia più faporita de’ Circoli , ed il pafcoló più
dolce delle Converlàzióni medefime , con difeapito aflai grave della divina
parola, che non è ancor trionfo di farne ferrar neppur’ una_< . il male in
ciò foflc certo , ed incontra-, fta- giilnta a Quando
’jo (labile, confeflo ie pure, che dovrebbe contra_. armarfcgli
fenza vcrim riguardo la fagra Elo- quenza , e trattar le Converfazioni con
quell* Àpodolica libertà, con cui trattanfi le altre co- fcafTolutamente
cattive , e viziofe . In tal cafo peròdoverebbono unirfi a i Predicatori anche
iPadri di Spirito , e far ufeireda i Confo fliona ri sìconfufi i Penitenti,
comeportono malfodi- sfatti dalle Prediche di Ibnugliantc argomento. Chi potrà
mai capire, che deggiano sfiatarfi fo- ura de’ Pulpiti iMiniftri Evangelici
prefegui- tando 1* ufo del converfare, quando fieno placi- damente alToluti nel
Confeflìonario quei fteflì , che giornalmente, e fenza veruna diftinzione di ,
luogo, ò di tempo, converfano ? Dovendofi ad- dunque credere, che da’ Padri di
Spirito non fi trovi realmente in quello collume quel male_>, che fi va
decantando, bilbgnaconchiudere , che ne. tampoco da’ Predicatori dee fupporfi
per certo in tal guifit , che fia loro necelfario fenza veruna precifione
pubblicarlo per efillente , ed inevitabile . Io dirò per tanto in quello propo-
fito ciò, che d’ alcune. arti dilTe Platone ; (a) che effe Kou deggiano
riprovarfi , ma coloro bensì , che te ne abufano ,■ Debbono riprenderli , non_,
le Converfazioni , d’ ondo può venire tanto d’ utilità , ma quegli huomini
bensì depravati, e_» fcorreiti,che ne fanno un cafo cattivo. In fecon- do luogo
io rifletto , che quantunque fia verilfi- mo, eh e per tutto fe-co porti
ciafeuno le fue_» paf. -V- — ' ■' -- ■ ■ -■ ■ ■■ — ■ Ca)
InGorg. Digitized by Google paflTioni , farà però fe
mpre meglio portarlo luogo dove, ò poffano rcprirnerfi più facilmeii tc, ò
maniteftarfi con più roffore, che il condar le in que^ luoghi , ne^quali ,
febbene Io c , pure non è apprefa per cofa indecente il fodifiarlc. Sembrami
per ciò , che a tutti eflcr poiTa affai vantaggiofo il converfar con perfone,
per trat- tar le quali debba ufarfi d’ un gran contegno , poiph^' fc effe non
vincono le altrui paffionijle— » pongono però a cimento di venir fupcratc. Tut-
te per vero dire cattive non fono in fo medefime le paflìoni,e quelle ancor che
leiòno eflenzialmr- te , non fempre nuocono , mentre iòllevandoft porgono al
Saggio f occafioncd’una vittoria^, che fenza d' un tale follevamento lì
perdereb- be. Quindi co^ Filofofi conviene S. Ago(linoC^) nciralfermare,che per
fe ftclfo cattivo non fia il veleno , mentre gli Scorpioni , e le Vipere col
perderlo muojono ugualmente, che fhuomo col berlo: ad ejjìy dice, è bene aver
cìò^ di cui è bene a noi V effer prtvì . In fatti le Beflie , che noji_» hanno
paflioni, ma fi regolano con un fcmplice iftinto della Natura, nclfopcrarc non
hanno al- cun meritorpure perchè tutta confifte nella v ita prefente la loro
felicità , ad elle è bene il noii^ aver ciò , che potria turbargli la quiete
del vi- vere . Ma all* huomo, che dee* merit arfi 1* eter- na Beatitudine col
regolar bene le azioni della fua vita, {ària male il non fentire que movimen-
ti , che ò repreffi quando fieno malvaggi , ò fe- guitati quando fieno buoni ,
coftituifeono tutto il , (a^ Lib, de mer. Manìch. c. 8.
il merito del filo operare » Sarà dunque non or- dinario vantaggio, che
nel converfare follevan- dofi le palTloni,po(ra 1’ huom forte reprimerle , ed
acquiftarfi col Contrailo un vanto maggiore di moderazione , e di temperanza .
Non è già , che .deggiano cercarli a bella porta i pericoli per guadagnare il
pregio della vittoria , che fa- rebbe in tal calo temerità degna d' efl'er
confu- fa coll’ abbandonamento del Cielo, da cui tutta ci viene la forza di
trionfarne . Ma eflendo, co- me prctendefi, innocente la Converfazione , ed
avendo l’ huomo per tutto con fe , ed in fe le_i paflloni, dee credere affai
utile il luogo, dove_* lenza fua colpa inquietandolo , poflbno altresì
meritargli una palma diftinta pel coraggio di raffrenarle . La fortanza però di
quello fi è, che fi reprimano veramente,e non .fi fomentino co- defti movimenti
dell’ animo, onde per farlo in- fegna un gran Morale della Francia, che le paf-
fioni debbono moderarli colle paflioni medefime all’ ulb de’Cacciatori , che vincono
i Lupi , i Ci-, gnali, e gli Orli co i cani dom cilici . Centra le_< pili
feroci s’armino le più ubbidienti: per cagio- ne d’efempio 1’ amore dcll’Onertà
centra la (re- golatezza del piacere : la brama della comune.» crtimazione
contra il difonor dell* intemperan- za; ed appunto in quello fenfo parlando
Seneca ^ fcrifle, («jchc la fpenlza dee contrapporfi al ti- morQ'L(fJ'cìerai di
temerCtft lafcierai disperare. Regolandoli poicia in quella guila
chiariffimo (a) £/). 5'. Digilizail j^teoogle fi
vedrà, che fono Iepa(Iìohi ottimi frumenti del- V Anima, per operar ciò , che
brama , a lei fer- vendo, come le vele che portai! la Nave dove-» defidcra il
Piloto , quando fieno daii^ arte beii.» maneggiate : V. Si riconofoe di
piu P utilità delP oneda-p Converlàzione dal bifogno,che tutti hanno deU P
altrui configlio per regolamento ancora della vita domeftica • meglio , dice P
Ecclefiaftico Ca)eJJere due , che uno; pofcìacbè hanno il van- taggio della
Società : Guai a chi è folo ! Ed ìul, vero tante fono le cofe , le quali
quaggiù con* giurano a rendere infelice la nodra vita , che-» da noi foli
certamente non averemmo forza ba- llante per dipel arle , fe il conferire con
altri , e Pafcoltare lédivcrfe opinioni degli huomini , non ci rendede più
forti, e più cauti . Quindi Si- nefio Santo discorrendo , che la Natura di
vino- bada a fe medefima, e non P umana, conchiude, che P huomo fupplifce al
difetto della debil Na- tura dia col bene della Compagnia , moltiplica- do colP
altrui la propria forza : (h') pofciachè in quejìaguifa avverrà^ che egli
*veggia con gli oc- chi di'tuttiy afcolti colle orecchie dì tutti , oda- gli
animi di tutti infieme uniti prenda unprofit- tevol conjiglio . Non tanto
perciò reca a i corpi di giovamento Paria Salubre , quanto agli huo- mini
benanche più deboli una Converfazione-» moderata, e prudente locchè fi prova da
Sene- ca colP efempio delle Fiere, che praticando con C noi /
Caj C 4. Ct>) Lìb.de Regu. V ,/ i ^4. noi
divengono dómeftichc , e degli animaH an- cora più itoiidi , (a) ché rendonii
.CQnvcrfanclo coll’ huomo più elpcrti . .Ciò diniollra la Natu- ra medefiina,
come vedelì nella Conchiglia pri-' va di occhi , alla quale ha deputato un
pcfcetto* che Squilla da Tullio (t chiama, il quale mentre ella ila colle fauci
immobilmente apertela pu- gne alquanto allora , che i Pefei più minuti az*
zardahfi d’ entrarvi ; onde avvifata la Conchi- glia per quella puntura chiude
la bocca, e fi pa- ice della fua preda. Così pure mirabilmente fi vede ne’
Cocodriili, che efl'endo d’ una dentatu- ra aliai rada foffrono in cibandofi l’
incommodo penolb di fentirlt fra i denti molti rimaiùgli del- le carni
mangiate-. Alche ha provveduto la^ Natura coll’ uccelletto chiamato Regoloj il
qua- le vedendo a terra didefo colla bocca aperta il Cocodrillo feende a
pafeerfi di quelle reliquie , che fermate fra i denti danno pena a quella Be-
ftia , e glicgli purga perfettamente ..JDaquello può ricavarli l’ utilità , che
1’ uno porge all’ al- tro nell’ umano conforzio, ed il bifogno, che ha un animale
dell’ altro per condurre felicemen- te la vita .Molto maggiore pofcia.farà
quell’uti- lità, che dall’altrui Converfezione tiràr potran- no le ragionevoli
Creature , ufandonc a tempo. E ben veggiamo talvolta con iftupore felicerho- te
riufeire nèlla condotta de* loro familiari inte- reflì certi huomini, che
dupidi fembravano , e_* di niun fanno: locchè dee certamente. attribuir- li
. (a) Lìb. j.dtira.c. y- mi' Digitizm by
Google r fi aJ vantaggiodel converfare co’ più fottili
, fjDÌritofi, avvcgnacchè altra fcuola non abbiano eglino praticata giammai .
Ne ciò dee Iperarli meno dal trattare con.Ponne prudenti, mentre ve ne Ìòno
fiate in tutti i tempi delle ottime c6- figliere, e che hanno con mirabile
fottigiiezza_. fi*ggeriti agli huomini de’ ripieghi utilizimi in_# contingenze
difficili j ond’ è, che della Donna^ forte , e faggia difle lo Spirito Santo ,
(a) che ttt lei confidando il cuore del fuo Marito non abbi- fognerà
diricchezze . Aduna (cuoia appunto fi y^htaggipfa miwndo ilgran Vefeovo Sidonio
Apollinare fcrive,ad Eutropio nobiliflìmo Gio? vine richiamandolo. dalla Villa
alla CittàC^^ co- me ad un’ Acc^dernia per coltivare il fuo fpiri- to:
Svèglìatevi , gli dice , e J'orga a cofe maggio- ri l' animo ^ojlro ornai in
codefto pingue ozio marcito i e fnervato . Meno ad un* huomo della ’aofira
condizione premer non debbo il coltivar, la P erfiona, che la Carnpagna . Così
gravemen- te pure notò Platone (:c) che quegli, i quali col- tiyqndp il corpo
trajeurano /' animo ,pr emano in cjo , che difua natura è fuddìto , . e
difpregiauo cìo., cfie in ejfi comanda . Nulla vi farà pcT tan- to p'iii utile
per la cultura dcll’anirno, che il praticare 1’ uno coll’ altro, mentre
conneflbciò col piacere, e coll’ innocente diletto della (beia- bilità , riefee
per quella via piùfoave l’erudi- zione, e più continova, che non quella, che
da- un Iblo s’ apprende , togliendofi in tal guilh 1’ odiofità, e la
fbggczzione della Pedagogia , che - ' ‘ C '2 ■ ■ • . (3) Prov.ix, (b^
Lib, i. ep.y.ic) la CHtr~ Digitized by Google .3^
ritira molti aall’imparare ciò ancora, di curben conofcono d’ efler mancanti .
Soiira di quefto» Icrive profondamente Seneca al fuo Liicillio in- vitandolo a
conviver feco , e gli dimoftra, chel> la familiare Converfazione è un
reciproco ma- giflero , da cui fi ricava un profitto inefplicabt- ìe . (a) Io
dejìdero: dice , di trasfondere in te le mie cognizioni , e godo in queftò d’
apprendercJ» qualche eofaper infegnare ; imperocché pili te gioverà la viva
'voee , ed il convivere , chcj^ una Orazion magi frale Più credono gli
huomìnì all' occhio , che all' òrecchio .... via de precetti è lunga ; ma breve
, ed efficace^ quella dell' efempio . Platone, ed Arijìotele pilé trufferò di
utilità da i cojlunti , • che dalle parole di Socrate . Metrodoro , ed Ermaco ,
e P alieno Jì fecero huomini grandi non per la Scuola , mà per la coabìiazione
con Epicuro . Io non ti chia- ■ mo, perchè fqlamente profitti, ma perchè ancora
tu dia a me occafione di profittare ; poiché tro» vandoci ìnfieme l* uno all'
altro gioverà affaijfi- mo . Valutiamo adunque le amicizie ,o le Còn-‘
verfazioni, per la fua (bdanza, come dicea Salii-’ flio, (b") e non pel
commodo, ò piacere fólàmen-’ te de’fenfi, e ricaveremo fenza alcun dubbiò’un
vantaggio invidiabile dal praticarle ; poiché l* huomo folitario , nota
Marfilio Ficino , Ce) noit^ può condurre una vita di mezzo , ed è forzato , è a
feendere al difetto deW huomo , e far fi he- fiia,ò a falire al dì foura di
effe, e divenir Sato. (a) Ep. 6. (b) In Catil. (c) In Plat. A. de legl
' Dell' t ^ S7 : JDell intenzione di
Cmverfave . ■ < « C A P O IV. * • * • •*
I. I"?* Infegnamentodi Sant’Agoftino, che(tìt) - r t Pwtizìofte fà
buone le opere, e che èllcu» dalla fede è diretta. Nella prima parte di quella
difiìnizione convennero anche i Filofofi gentili^ ma non giungnendo al
conofeimento della fe« conda per diletto di lume poco accertatamente
infegnarono la maniera di ben dirigere le in- tenzioni. La fede adunque , che
dalla divina Mi fericordia Ibrtimmo in dono , trà i beni dilcuo- prendoci il
migliore, anzi l’unico, e il vero, ci di- mollra quale efler debbe il noflro
fine , e ne porge per confeguenza una regola ficurillìma^ d’indrizzare a lui le
intenzioni di tutte le npfire opere. Stabilito, che abbia cifeuno il fuo
fine_>, che è il confeguimento dell’Eterna Felicità, dif- fìcile molto non
gli farà l’ordinare ad efla tutte le azioni della Tua vita, ò almeno
facendofenei» come un’abito anderà colla continovazione de- gli atti fminuendo
la pena, che fentir potefle 1’ huomo inferiore nell’ operar' fempre' lodevol-
mente, c colla mira diritta ad un fine s'i buono. Così gli Artefici in
qualunque profeffioneuj avendo prefiflb un fine al proprio lavoro ad cf- fo
tendono in ciafeheduna delle opere loro fen-- za fatica, o ripugnanza
interiore, perchè volen- do aiToliitamcnte il fine, vogliono ancora le
co- C 3 le ■ MI" ■ ■ \m m ■ ■■ ■■ fa) In
praf.Tfal.il. fe tutte, che ad cflo conducono . AlPhiiomo per tanto
di fenno, che Tempre abbia prefente il Tuo ultimo fine, conviene dirigere ad
eflb l’ inten- zione delle opere s\ interne , cheefterne, po- (ciacchè non
Taria cofà meno irregolare , che.» moflruofa, il vedere uno , che volendo
andare a Levante camminaiTe a Ponente, che ùn altro'^ il quale prefìlTofi il
confeguimento delPeterna_. Vita colle operazioni tendeflc dirittamente alP.
eterna Morte. Quindi eflendo una delle prima- rie, e più frequenti azioni della
vita efteriore_» quella del-cohverfare , è d’uopo altresì di pre- mere affui
lui dirigerne l’intenzione , che può renderla o viziofa, o lodevole . Perciò è
qui da rifletterli, che quelle cofe, le quali buone fono per Te medefimc, o
cattive , non polTono cam- biarfi, che per riguardo all’intenzione , coti cui o
fi fanno, o fi cercano. L’eIemofina,per cagion di efempio, è buona
intrinfecamente , come in— trinfecamentc cattivo è 1’ omicidio : eppure 1*
intenzione d’elTer lodato leva la bontà alia pri- ma,e l’intenzione di fervire
alla'Cattolica Fede’ nella guerra contra de’ Tuoi nemici, toglie all’ altro
l’elTer di colpa, e ne fa una virtfi . Ponia- mo adelTo, che buona fia,o per lo
meno indifie- rcnte la Converfazione del Secolo, egli è certo* che può mutarli
per l’intenzione di chi la prati- ca, e tutta volta, che ella finitlrafia , e
maiizioi fa, render quella ancora cattiva , e nocevole . Quando chi converlà,
anzi che un’onefto divcr- tim ;nto fi ponga in idea di èavare dal conlbrzio di
molti riacciitivodclie pròprie PalTioni,, o di jjor* % ,
^ Digitlzert^ Google porgerne a quelle degli altri) chi
non vede,- che per favia , che fiafi la Converfazionc in fe medcfima, egli ne
rileverà Tempre un gran_* danno? Quedo è Un ammaliziare a bella poAa_. ciò, che
è buono, e trarre da un coflume per al- tro innocente un mortale veleno, come
taluni appunto \ che per cavare dal capo de i Draghi le gcinme,ne bevono il
todìco, e vi lafcian la^ vita . Non perchè in òggi fia libero 1’ adito di
converfare dee giudicarfi libero P huomo per con verfàr, malizioi'amente, e
quando anco* ra per imponibile feco portale una (1 fatta li- bertà codefto
coftumc , neppure potria fenzà_> colpa feguirfi , perche la confuctudinc , e
tanto meno P abufo, non tolgono la legge , che tutti abbiamo d’operar
rettamente. Allo Scultore è lecito lo fconvolgere tutte le regole della Scul-
tura per formare un moftro, e l’ opera tanto fa- rà piu lodevole, quanto più
feontrafatta, poiché lo Scultore può fare ugualmente una bella Sta- tua, che
una deforme, purché faccia bene l’ una, e 1^ altra . Ma le azioni morali, non
potendo ef> fere che buone per effier belle , e lodevoli, e_»
<]ualifìcandofi dall’intenzione di chi le imprede, mai non làranno belle , e
plaufìbili , fc per efla.. non (bnobuone ,onde non è mai lecito ali’huom Savio
lo fconvolgere le regole della Giaftizia.1. per lare un azione indegna,perdendo
(òtto pre- cedo di libertà le mire del fuo ultimo fine - li. L’intenzione
pertanto di converlàre_>^ ordinata al fine dell’ hùomo debbe edere d’ àn *
dar divertendo il corpo, c Ibllevando’o , perchè meglio Icrvir poda l’ anima
ne’ luoi uffizj. Con- Q 4 vicn I 4© ♦ vien
per ciò , che efla Io tratti fempre con quel- la fuperiorità , colla quale
trattati fono i Tudditi dal Sourano ; permettendogli quel (blo diverti- mento,
che non s’ oppone al Dovere . Se trail Frhctpe iZ\ dir d’ Ariftotele ,(a) ed f
Sudditi t non v' è amicizia ; ma (blamente autorità per una parte, c rifpetto
per l’altra; così ancora tra l’ Anima, ed il Corpo , non dee palTare intrinfi-
chezza , ma comando puramente , ed ubbidien- za , come inCegna ancora Platone .
(«) Arbitra cflendo ella della Ragione ha da prefcriverc al Corpo quella parte
di (bglievo, che s* accorda.» col giudo» ed egli debbe ubbidirla contentando-
fid’ una tal preTcrizione, come l’ infermo, che_» non cono feendo quai cibi
giovar gli polfono, e quali nuocergli ,fi rimette intieramente all’ ar- Ijitrio
del Medico . Egli è ben vero , che jl giu- gnerfc uno ad elTer fempre Sourano
di fe mede- fimo c malagevole cofa, eflfendo il grado più fu- blime della
perfetta Morale ; ma è vero non_. meno, che la fatica, qualch’ella fiafi, d’
arrivar- vi è compenfata in fourabbondante mifura dal •gran piacere di trovarli
1’ huomo per e(Ta in^ iftato di ficura fermezza, ne più, dome prima.»,
tanto-foggetto all* urto delle Padìoni . E’quello Un’ efercizio , 'che a guifa
dell’ albero Patos • ha le radici amare, ed i frutti dolcidìmi ,‘condu*
cendo.ad una fortuna, che vien chiamata da Se- neca (co fourana,dove dice;
fommo, e vicim al-' ..... .lo \a;. Ltb. \ luPhtsd.is)
Lib.z.dc^ Tt'dffquil. c. 2. ■ • f * à 1
M lofteffo Dio è ilnofti>eaire dalle interne affé- .zìonì
commoffo . Per arrivare a queflo dominio . autorevole di fé mededmo niuna colà
è pi^i gio> vevole quanto la vigilanza indefefla , che all* anima non (1
guadagni dal corpo la mano , ma_« che rimanga egli Tempre in qualità di Suddito
ubbidiente , perchè in tal materia ogni picciol dilbrdine può cagionare un
danno irreparabile. -Chi doma , e governa un gencrofo Deftriero a_. . nulla
altro bada piò feriamcnte , che a tenerlo in freno, ed in tal Ibggezione, che
Tenta Tempre il dominio della mano regolatrice, poichè una^ volta , che Ti
veggia libero , ò regolato almcn_» con lentezza , prende baldanza , iTcordafi
della^ primiera ubbidienza,e fi rende indomabile. Beu difle un faggio Politico
eflere le Paffioni come umori elementari dell’ Anima , uno de' quali eccedendo
torto ella è inferma , edaccefa allo Peri ver di Tacito dalla febbre dì
sfrenatezza^, (,aj Egli pertanto è necertario d’ invigilar. con_. premura foura
qualunque minimo Tregolamen?’ to delle interne affezioni, e correggerlo nel Tuo
. principio per ovviare al precipizio , chepotria nafeerne, rinovando la Taggia
intenzione di vo- ler Tempre l’ huomo interiore in equilibrio , e le azioni di
lui indrizzatc al Tuo Fine. Querto interno regolamento dell’Intenzione effendo
come il Teme della Virtìi , che debbe a Tuo tem- po render buon frutto di atti
lodevoli , e faggi , ricerca d’ effer TparTo a buon ora nell’ Animo , •
fui C»} Lib. Anna/,. ... ....... Digilized by Google
fui principio cioè , che «ri. Giovine comincia a_, metter piede
nellaConverfazione, c perchè è facile, che fi perda fra quello di tanti vizj ,
che_» infettano il SeColo,convien rinnovarlo fovente ■ fino; che egli fi veggla
(puntare, ed apparir ma- nifefto . E’ ben vero però , che d’ ordinario il primo
feme delle Virth morali gettato per tem- po nón fuol perire , c germoglia
felicemente in tutte le azioni, come appunto nelle Viti novelle fi vede V alla
radice delie quali ponendofi qual- che foave odore , fe he fente polcia nelle
Uve_/, che indi nafeòno, la fraganza » Quefla è la ficu- t'ezza , che aver
puote l’ huomo prudente nel Converfiire , fidandofi degli fiabili fondamenti ,
che sà d’avere gettati colla divina grazia per la mole della propria Perfezione
, onde non deg- gia temere di que’ pericoli , contra de’ quali fi è premunito,
fé non allora, che egli cominciafTc ad invanirli del Tuo coFaggio, ed a gettare
fuori, che in Dio , le fperanze del filo trionfo . In tal guifa fortificato l’
huomo di fenno praticherà con Illibatezza in ogni luogo fenza tema di ri-
manere contaminato,come il Sole, che per ogni parte fpàde i fuoi raggi, fenza
contrame alcuna macchia • Perciò dicea bene S» Gio; Crifbftomoi C<»)che
ninno puòdolerfidi no effere Angelo per Natura, quando’ può divenirlo per
virthcci&e /«r- porta non ejjere per Natura ciò , ebe può dive- . . ,
'"-'r ■ ■ , ■ ■ * 9 ' > « • • ^ 4 <r ]
r-r (a) Llb. de laud, Paul, hom. 6. DIgilized by
Google mrfìpèf Volontà ? Sta In arbitrio di chi che fiali il
dirigere così bene le fue operazioni, che appa- rifca un Angelo nel Conforzio
altrui , e con lo^ de tanto maggiore, quanto che vi ginnfe da inedefimo collo
sforzo d’ una cóftante virth . III. lò però ho trovato alcuni ih quello
d*’ umore veramente particolare , i quali credono avere affai lodevolmente
dirètta 1* intenzió- ne del lor converl'are -, mentre in ciò fembragli- di non
avere altra mira j che d’ imbatterli trat- tàhdb con molte femmine in una
Conforte, che' fia di lor genio . Quello pare a prima fronte un' pretello non
biafimevole affatto , non effendò men lecito F accafarfi , che giùllo il
proccurarc di farlo con tutta cautela . Se però cominciefe- mó a vedervi ben
dentro non riufeirà forfè, co- me fi pretende làg^o interànàente , ed óneffo'i
In primo luogo 1* affare di feiegiieré una Dona, Colla quale fi deggia viver
per Tempre, non è da commetterli del tutto all’ occhio , il quale fcòf- gcndo
Iblamentc l’èfterrio •, Vede perlopiù il peggio , ò il mcn buono ; e là
fpericnrà ne infe- gna, che i piùfiicili a pigliar moglie coll’occhio. Come
fcelgonfi nella mandra i Cavalli , fono i nièn felici nell’ accertar bené .
Quindi Olimpià- déMadre del grande Aleffandro , fapendo iche. Ha Cavaliere
della fua Corte èra affai mal con- tento della mogliè prefa da lui per la
bellezzà-., ad onta del credito poco buono, che àvea,gli difi fe uh giorno:
poco è accorto colui , che pt^Uu. . • ; . ...... (loft- , (a)
Erafra. in tAdag. DIgilized by Google itnna a giudìzio
delP occhio , \e non ancor dell* orecchio. Ih un' intcrefle di tale importanza.*
non bada vedere ,bifognafcntire , perchè ciò, che fi vede è dote del corpo,
ch<: può ingannare, c ciò , che s’ ode appartiene allo Spirito, acuì debbefi
unicamente mirare. Qa') Pdon colP oc~ chìo y fcrive Plutarco , ne con le dita ,
conviene' prenderfi la moglie, come alcuni fon folìtì dì fa- . r^, confiderando
quanto porti dì dote , e non con quali cojìumi Jia per •vìver con ejfo loro
Oltre . di ciò c da confiderarfi , che 1' huom Cattolico debbe in ciò dipendere
dalla divina Provviden- za ad elTa rimettendoli per riceverne quella^
compagnia, che le piacerà d* alTegnargli, elTen- do ficuro , che queda ingenua
ralfegnazione gli cagionerà un fommo vantaggio . Abbiamo nel- le fagrc Lettere
un efempio . di ciò molto chiaro, quando volendo Abramo accafare l'uni- genito
dio figlio Ilacco , mandò un fervo a cer- cargli in lontane parti la Conlbrte ;
e l' ubbidi- ente figliuolo uniformandofi anche in quello al voler del Padre,
trovata , che l’ ebbe fu conten- tilfimo della moglie . ^j^/li, così ne parla
Ro- berto Abbate, (c^ fopravanzò talmente la petu- lanza della giovinezza, che
afpettò quella Con- forte, la quale era per dargli Iddìo, e non già quella ,
che avéjfe egli fieffo potuta rapir fi co/u> gli occhi, e con una gran dote
. Infatti vedia- mo , che gli accafamenti , i quali feguono con.» ^ - , . .
gran- ■ Cai de I^rec. conn.(Jo) Gen,ZA. (ci Lib.t3.tn ■ Gen.c.i, -
"" DIgitized by Google grande apparato d;
yilìte, di biglietti, di regali, t di amorofe finezze , fbgliono edere per lo
pifi ■i meno profperi , dicendoli per Proverbio noni» molto tallacc , che chi
prendeji per amore, (tgo~ • de in lite . Qu?* Matrimonj per lo contrario , che
(ombrano piìi ftravaganti,- ed impenfàti,rie- fcoiio ordinariamente i
più-felici , c come gui- dati dalla divina Provvidenza riportano ancora una
piena benedizióne di profperità , e di con- tentezza . Io ho Pentito più volte
deridere gli Antichi , perchè piglafiero moglie alla cieca , 'e come fuol
dirfi, col capo nel lacco ma potreb- bono certamente gli hiiomini d’- oggidì ,
che lo fanno ad occhi veggenti, augurarfi la pace , e la concordia , che feco
portavano i matrimonj d* allora . I V. Bilbgna di più clàminar bene
quell’ in- tenzione per vedere non (blamente fe ella fia^ buona, ma fe ancora
apparifea tale , poiché nel- le azioni ederne particolarmente conviene di-
pendere molto dal giudizio degli huomini , e_» non porger lorooccafione di
giudicare finillra- mente di noi . Tertulliano inveiva contro alcu-- ni
Crilliani battezzati di frefeo ne’ primi Secoli della Chiefa , mentre eflendo
Scultori di profef- fione formavano Idoletti per vendergli a i Gen- tili a folo
motivo di guadagnarfi.il vitto '.le ma~' ni, dice, (df) madri d' Idoli fono
matti da tagliar- • Jt . L’ intenzione era buona in fe medefima ten- ‘ dendo al
proprio Ibftcntamento ; ma perchè cl- ’. (a) de Idol. c. 2.
46 Ja poteva porgere agK altri Cattolici motivo df fcandalojfi
faceva rea, onde fì agramente ripre» fela quei lublime Teologo . L’huom d’
onorai per tanto , che pcnla darfi Hl.divertimento , dee farlo con una tale
riferva dicriftiana modellia , che s’ accorga ciafeuno aver egli in ciò per mi-
ra non il difordinc , ma l’ onefta ricreazione.; , che non è folita mai d’
ufeire da i termini della fàviczza c del contegno . Per acquiftarfi un_, concetto
sì vantaggiofo molto gioverà il prati- car le Converfazioni con una certa
compoftez- za riverenziale, onde arguir fi polTa , che ella iì è fcielta piò
per fcuola , che per Teatro , e piò per udire , che per parlare . Lajtatura-,
icrivo Plutarco , diede a. ciafcuKO due orecchie , ed. una bocca fola
,ft^nificatido , che molto ptà biJ'ogHO /’ huomo di udire , che diparlare . Ciò
fara utile fpezìaimente a i Giovani,! quali talo- ra Ibgliono perdere molto di
credito ne’ princi-’ pj.di converlàre con altri , òcol pretendere d’. eccitare
ne’ circolanti l’ ammirazione per una; certa maniera' (regolata, e ridicolofa
di parlare, alfetttato , Òcol; non faperfi contenere nell’ u(b della, nuova
lo.ro libertà come tanti Poliedri. sle- gati in ampia- pianura , che vanno
feorrendo lenza ordine, c lenza regola, qUafi impazziti per . 1! allegrezza di
non fentire piò freno . Siccome fu un’ Giovine è lodevole il fotferire,
fenzaqué- reiu ii giogo della dovuta Ibggczzione a i Mag. glori, Così è in lui
molto. commendabile il fapcr-, (a^ de Ojf\ Aud. Digitized
by^oogle ne ufcire fenza frrepito di giubbilo fmoderato • Quello p
un moflrar d’ eircr. vecchio nella gio- vinezza, e fempre giovine ad outa ben’
anchcL-» della più cadente, e rimbarnbifa vccchiaja co- me di Marco Catone fu
detto , che avendo par» lato anche nell'iafanzla da Confoie, di fette an- pi
non era fanciullo , ne vecchio ancor di fet- tanta*. In tal guifa diportandpfi
f h^oino nella fua prima coniparfa in mezzo al, gran ivlondo fi conciglierà la
ftima , e f amore di tutti dando a dividere , che non converlà , coipc taluni
per confumarlo , ma per impiegare il tempo lode- volmente, nella Iteffa
apparenza diquelf ozio civile operando egli in vantaggio dell’anima-# fecondo
il fine, che fi prefiflc i giacché , al pare- re d’ Ayerroe , (/i) quell'
azione è oziofa , ch<L^ non opera per qualche fine . Quindi pure avver- rà ,
che valendoli egli della Coriverfazione , co- me d^ un mezzo per giugnere alla
meta già fta- bilita ,. f ammirerà com? un’ effetto fempre di- pendente dal fuo
fine pnitiàrìojn grazia di cui infegna S.. Agoftino (fi^debbono le altre cofe^
defiderqrfi : e fempre generolàmente rifoluto fi troverà di jafciarc.anzi tutto
il dilettevole quà- do avelTe m^I a perdpre lo feopo de’favjfuoi defiderj ,
confefTando con Plutarco (c) , che pià dee pregiqrfi il fincy che non le cofey
le quali cu* lui conducano . V. Non ò qui da tralafciarfi f errore di
non - . Po- (a) Mitapb. com. o. (b) De Cìvìt. Dei c. 14. . . (S)
adver^ Stoic. 48. . pochi altri, che non fi credono rei
d’intenzione perverfa nel converfare , perchè quantunque 1’ : abbiano
internamente, pure fi rattengoao dall’ i efeguirla. Par loro d’ efier fanti ,
perchè non_; fono dilToluti , quali che tra 1’ una , e l’altra di | quelle cofe
nulla palfar dovelTe di mezzo, e tilt- ’ ta la difefa, che trovan al propio
fregola mento, , è lo llar faldi a calo , non già peraniorc della_> ! Virtù,
ma per tema d’ azzardarfi a rhiederecort efito sfortunato , come fe appunto
potefl'e uno i farfi merito d’ evitar coll’ altrui modellia quel j trafeorfo ,
che medita. Quando l’ Intenzione è ] rea , ed il penfiero è cattivo , già è
commelTa la | colpa, e febbene elfettuata non n’rhane coll’ope- ^ ra ciò
elfcndo per altrui contegno unicamente i non lalcia di contaminare quel cuore,
in cui nacque, c farlo ribelle a Dio . E’ degna d’ elfer ponderata in tale
propofito la generola rellitu- zione,che fece Abimelcccò di Sara ad’ Àbra- mo
dopo d’ aver faputo, che elfa non era Sorel- la come fingevafi , ma Conforte di
lui .• Oltreii alla moglie intatta donò ancora quel Principoj con reai
Munificenza al Marito, armenti , fervi, ^ c gran copia di contante . Non parca,
per vero , dire, che a ciò tenuto forte Abimelecco, poiché offclb ei non l’
avea, ufeito non eflendo con Sa- ra da i confini della più rigorofa Modellia_.
. , CoM quei doni, foggiunge qui Egefippo, (.b) onò^ rava quella pudicizia ,
che avea bramato di to~ gliere ; giudicandoli reo pel folo perverfo pen- . , •
, ‘ fiero (a;) Gett. 20. C^) de Excid. Hierof. lìb. ^. c. 1 6-
. fiero fegreto, che oragli venuto verfo di codefia lavia Matrona .
Errano dunque coloro , che^ * nodrciido Iborretti
pcnfieripraticanoleConver- j fazioni ficuramente affidati Ibvra d^ una
certa.-. morale impoffibilità di cadere in riguardo all^ ♦. altrui
coftanza ^ Già è reo preflb V Altiflìmo il — loro divertimento , benché (àvio
egli fia in feu I medefimo, ed incolpabile , poiché travviando / eglino colla
malizia del cuore dal retto fine^che aver dovrebbono , formanfi nella ficurezza
uà.» pericolo, e nella convènienzà un dilbrdine. Ot- tima clTer puote la
ConveiTazioné'in tal cafo , . ma in efla peflìmi effendo eglino debbono
riti- rarfene, ò rettificando l' intenzione almeno Tul- le regole dell’Oneftà,
non fi tener per ficuri, ed innocenti , fe non la cangiano afiFatto . Efamini
bene per tanto 1' huom lavio il fuo interno iru ordine al codume del converfare
, e feriamente rifletta fe da eflb gli venga mai tolto di mente.# il fiiO'fine,
e quando trovi , che nò , allora viv^ circofpetto, ma fenza timore, fempre
appoggia- to al fbccorfo della divina Grazia ; godendoli quella quiete , di cui
parla nel cafo noftro Mar- filio ricino : (a) nuli’ altro è il fitte , che un
ter- mine, al quale è principalmente diretta f inten- zione di chi opera , e
nel quale finalmente fi quieta . Chi riconofce la Dio mercede per ben regolate
le fue brame , le fiie mire , i fuoi anda- menti , non ha di che metterfi in
pena , e può divertirli allegramente, badando folo , che non D trav-
• i») Infiiot. 5^. travvialTe fìiai V intenzione
dal diritto fiio ter- mine , come r accorto Piloto , il quale bcnchc vada col
luo Legno a feconda , e con tutto il fa- vore del vento , noa abbandona però
mai il ti- mone . . Del modo di Converfave . C A P O V.
L*|^ Irctta, chefiafi nella già preforitta ma-, I ^..niera Tintenzionc di
converfare bifo- gna rivolgere il pcnficro al modo , che nella_, Convcrlàzione
mcdefima debbe tcnerfi da cia- fcheduno. Fufentenza di Cleobolo Savio gravil-
fimo della Grecia , cbe.tn tutte le cvfe è eecejfa-, rio avere ìlfuomodo. £d in
fatti buone fàreb- bono moltininie azioni , quando fi FaceiTero col debito modo
, cioè con una regola di favia mo- deratezza , per difetto di cui ree divengono
al- cune, e condannabili . Niunacofa v’ha di più innocente, che il cibarfi , ed
ilguft are delle tan- te delizie, etantofoavi, di cui la Natura ha_« provveduto
1* huomo con larga mano; e pure_» 1’ ufàrne con ingordigia forma il vizio sì
detc- ilahile dell’ Intemperanza , feclufo il quale può la ftelTa indifferente
azione del pafcerfi diyénirc virtù di Frugalità , e di Temperanza . Così ve-
nendo al calò noflro l’ ufo dell’ onefta Con ver- fazione è lodevole fino a
tanto , che la pratichi 1’ huomo colle mifurc d’ una conveniente mo- derazione
, la quale mancando apre F adito al difbrdine, e rende colpevole un coffume ,
che_» per fe medefimo non ha colpa . Io lodo per tan> to in chi vuol
converfare il farlo Tempre con_> tutta cautela temendo prudentemente di quel
male, che potria nafecrne; come i Cani d’ Egit- to che bevono alle ri ve del
Nilo , lèmpre fug? Da. . gen- 52 ■ gelido per timore di
venir forprefi dai Coco- drilli . Qiiefta favia circoCpczzionc cagionerà , che
J’ huomo non fi iramergà nel fuo diversi- j mento lenza mirar punto a quel
pericolo, che_* pii» noccvolc riufeir potrebbe riòn prevederido- fi . Egli è
ben vero, che a chi vive nel Mondo è d'uopo in quello d’ una deftrezza non
ordina- ' ria, conlìflendo l’ utilità , e la perfezione d’ uji_< tal timore
nell’ averlo, c non diraoflrarlo , on- de infegna Seneca : doverjt fuggire eìò
, che' può nuocere , Jean fan do principalmente il ma~ Jìrar di fuggirlo
. Dee 1’ huomo di fenno teme-: re il Mondo, e le infidie di lui per non eflcre
t’e-' melario, ma non affettar fempre di temergli' per non renderfi poi
ridicolo - Cofa non può' darfi a mio giudizio piò fconvcnientc , nò alie_*'
perfone di buon gullo più difgradevole , e forfè anche odiolù , che il veder
farli nelle pubbliche radunanze da un Iblo il Perfonaggio dello Schiz- zinofo,
cioè d’ huomo, che vada per tutto a paC*' 1 fo lento per tema di trabocchetto ,
e refpiri o_. mezza bocca quali obbligando l’aria più lana a_. far la
contumacia fra le labbra, c i denti prima-, di riceverla nello llomaco . Quello
è un finger- I fi in tutte le cofe un pericolò, e temere ■, come.» ' |
dice il Salmilla (i) appuntò dwe non ha luogo il timore ; ih quella guifa
appunto', che i Lioni di Libia mirando lo Scorpione fi veggiono • dare_j i
addietro ,' e rintanarli atterriti da quel picciolo, c vile aniinaluzzo .
Vengono con ciò a cangiar- fi ' I - ■ - ' ■ - (a) Ep. 14. (b)
J^fal.iOi, Dlgilized by^Qgglc fi in ifccna . le camere
del civile divertimento j pigliandoii uno la briga di trattener tutti gli al-
tri col far l’ liuomo di vetro, il quale per tema^ d’ andare ad ogni momento in
pezzi voglia tut- ti da fé lontani un quarto, di miglio , e non finir fee
laCommedia,cheeglinon s’acquilliper- mer- cede 1’ odio comune tacciando l’
altrui pruden- te franchezza con codefla forta di curioÌb,ed af- fettato
contegno . E’ necelfario per tanto , * che in quello di quella prudente audacia
, la quale Paol nafccrc dal buon cuore , e da un’ ani- mo già prevenuto per la
virtù ; camminando cauto bensì, ma non timorolb ,come l’ avvedur to Nocchiero ,
che a vele gonfie correndo non lafcia di badar mai al forger de i venti
contrarj. In quella maniera di regolarfi, che non è punto fmorfiofa, ma
naturale nel tempo fleffo , ed ac-, corta, conviene avvertir folamente ,
chel’.au? dacia non degeneri in prcfunzionc , la quale S; origina dall’
orgoglio . E’ quello un Vizio , che vantando in tutte le cofe un valore
infuperabi- le della facilmente , o l’ invidia in chi non lo di- ftingiic
ahbafl:anza,o il difprcgio in chi lo cono- fcc ; cd c il Mondo si coftantemente
nemico de- gli orgogliofi , che per non illimargli giammai più torto giuguc
talvolta a far loro ingiurtizia_. difpregiandogli in quello ancora , che hanno
di più lodevole . Il ripiego addunque di mezzo in, quella materia farà il
converfare per tutto j-ma con tale indiflcrenza , che non.lafci luogo a ve-
runo attaccamento particolsirc , che è tutto il male di quello coftume, c far
ciò , fmguiarmcn- 54 . • . te cori quegli oggetti , che
incominciano a pia- cere oltre modo, ed a riguardarli con una ftimà diHÌBta,che
fuol terminare in amore feorretto: ma farlo però in forma , ■ che fi fuggano
fenza_, mancare un punto alla convenienza, quando al- trimente non efigga il
bifogno , tutta rcftrin- gendonc la cautela nel cuore, c nulla togliendo alf
obbligo dell’ ellerna finezza . JI. Quello è il carattere, che dilìingue
da i cattivi gli huomini buoni , mentre , fecondo Platone ; buoni fono coloro ,
che poffono co- nrandare a fe medefimì^e cattivi quegli, che non hanno
una tale pojfanza . Vi fono parecch i nel Mondo , clic nominando col titolo di
viva- cità , e di fpirito , l’ardimento , e l’infolcnza nel converfare fi fanno
gloria nel non volere , o non faper mai moderarfi . E’ però quello un* errore
affai palefe , poiché gli huomini appun- to pii'i fpiritofi debbono eflereipiìi
contenuti per operare con maggior merito rattenendo Colla ragione quel naturai
brio vivace , che a briglia Iciolta correndo potria paflTaré i ter- mini
dcll’Oneflà . Gli fpiriti lenti , e tardi, che operano virtuòfamente , fono
Orologi , che fi muovono a forza , non per inclinazione , o per natura, e la
virtìi confillendo nell’arduo non pKÒ profelTarfi con merito quàndo fi prati-
chi fenzà contràlló.. Erahfi avvezzati l’Ele- fante d’Antioco a combattere con
iiìtrepidez- Za , ed il Lione di Domiziano ad allenerfi dal- la preda ; ma chi
dirà mai ,che l’Elefante foflTe - - • for- ca) \. de
Leg. • 1 Diglllzed by Gcx^le forte, c temperato
il Lione, Hata eflendo co- delia una materialidlma afluefazione cagiona- ta da
un lungo ufo colfimprelTion de’ fantafmi nell* immaginazione di quelle Fiere?
Le ope- razioni , fecondo ancora reriiditidìnio Conte.» Lmmanuel Tefàuro,(è)
dell’anima fcnfitiva, precila l’opera della ragione , fono , e àgli ani- mali ,
e all’huomo comuni , onde perchè quelli pofla dift'erenziarfi gloriofamcnte da
quegli è d’uopo, che operi non a cafo,o per indinto, ma col confìglio della
prudenza , e fentendo la ripugnanza de i fenli nelle Cofe difficili , voglia
imprenderle ciò non odantc , operan- do cosi virtuofa mente, ccon merito. Da
ciò arguir lì puote , che allora modrcrà fpirito , c vivezza una perfona di
brio , quando faprà mo- derarfi, e tenere in freno fe deda ufando, fe- condo le
regole della convenienza , a fuo pia- cimento della fuppoda vivacità . Cosi
modrad l’occhio più fpiritofo , e più acuto quando sà ad- dattarfi al
Cannocchiale , e regolarfi coll’inge- gnofa difpofìzionc di quei diverd
cridalli ; ed il fuoco tra gli clementi il più vivace mai non.» apparifee più
attivo , e generolb d’allora , che nelle guerriere macchine vien ridretto . Re-
golandod pofeia in tal guifa l’huom làvio po- trà eder ficuro di far di fe
nella Converfazione una bella comparii» , e gradita a tutti , tanto fuc-
cedendo giornalmente ancora nell’aria , la qua- , le per vaga , e Ipiritofa ,
che fiali , mai non giu- gno a formare armonia , e a rcndcrfi dilettevo-
D 4 . , . . le . (a_) Lìb.i. dilla filof.moral.c.i. le
all’orecchio , fc non quando è moderata , ej racchiufa ne’ canali .di piombo
> o, di (lagno. Quella mifura di convenevole compodezza farà i unofpicco
ancora più nobile nelle perlbnedi maggiore autorità , e che meritan
dillinzione_» in, ogni rango Per elevato, chè uno feorgafi con qualità
ragguardevoli fovra degli altri, non. dee mai farli lecito ciò , che è proibito
per tutti, qualichc le leggi fodero fatte per quei (oli , che non hanno
fj)irito da violarle . Ciò deplorando ne’ Tuoi tempi fino Valerio Mafllmo
fcrilfe : («) ejjere Jmiigliantl le leggi alle tele de" Ragni y alle quali
attaccati rimangono gli animalettì pili debili y tracciandole pofeia i pià
robujìi , Bella , e mirabile , è l’ordinanza de' Cieli , per- chè tanto i
Pianeti più grandi, che le Stelle.» più minute, fi muovono con un Ibi moto ;
e.» così pregevoli faranno , ed innocenti le radu- nanze, dove ciafeuno oflervi
le delle regole di. làviezza , e di contegno, recandofi ad onore.» chi vi
fpicca didintamenté d’eflere il primo ad. oflcr vari e. Tanto infegna ancor la
Natura ne*, (ìioi più fegreti , c prodigiofi lavori , mentre il cuore., che è
la parte più nobile , c più l'piritolav dell’Animale, ubbidifee inviolabilmente
a certe picciole tendini , che ne collegano i due ven-. tricoli , mai non
aprendofi egli , per quanto ab-v biadi fervido impullb, e vivace , più di
quello» , che viengli permeffo dalla prescritta legge di tai legamenti. III. La < I ■ IH— * ••• •** » • y * ^«13 Ltb*
Digilized by Google Iir.' La regola poi
migliore di viver nel Mondo , e godere con giuda mifura delle terre- ne cofe ,
ricavafi dall’acutiUlmo Sant’Àgoftiho, dove infegna , che dobbiamo valercene
co» modejììa di chi tie ufa t »o/t co» affettò di chi là ama . E' quello lo
fteflb , che dire , non doverli ne’ godimenti del Secolo impegnar puntò il no-
Uro cuore , nè concepirne della pamonc , ch&j noja gli arrechi, e travaglio
» quandó mai privò nerimaneffo. Conviene pertanto j che l’huom temperato fervafi
del divertimento , come d’un mezzo per confeguirla , ma non lo miri comè-i un
fine della vera allegrezza, ficchc indifferente egli fia di averlo , o nò ; a
guila di chi tenendo in mano un vago fiore lo vi odorando finché egli dura ,
punto non mettendofi in pena— quando fcada , ed impaflìfea . Chi prelcriverà a.
fé medelìmo quella regola di converfaré-» giugnerà alla perfezione d’huom
dillaccato da tutto ciò , che ingannar pùotc il defideriò con leggiadra
apparenza , ne fiderafli di quei- legami, che tengono llrette cotanto, ed
av-i-' viluppate le perfone di poco lume , toccando egli , come il perfetto
Sferico de’ Geometri , ih un fol punto la terra, e quanto, balla ad un'-
onclla, e civile ricreazione.- Giunto ad un_.‘ sì nobile dilìnganno fi vedrà
trattare in ogni' luogo , c con tutti all’ulb del Camaleonte , che velie ogni
colore * ma circofpetto pofeia di tal maniera, cheaguifa degli Ermellini mac-'
chia mai non contragga , nè ombra anche-» mini- L j_:i ‘ I ' '•^1 —
nnr — Ca) Lib^ de morib. Ecclef. c. a j. i
I 58 Jiiiniina’ d’àlcun vizio. Ingerirà un tarhiiomo 7
Pmore infìeme>c riverenza di le ftcflb negli altri y che per una parte ne
ammireranno 1* alTabjltà , e la cortefia , e per l’altra una sì ve- ^ gliante
guardia dr prudente contegno , che_> pDlga per fìno a i più dilToluti la
fperanza di tirarlo mai nel diibrdinc dc’lor trafcorfi. Nella piazza de’
Mcgàrefi , al riferire di Plinio , (a) era un’Ulivo , a cui ibliti elTendo gli
huomini più valortìfi di appendere le armi , ed i trO'»’ feiydopo delle infigni
Vittorie , crelciuta feLj ne mirava la corteccia in sì bizzarra manie- ra, che
apparendo le armi di quando in quan- do , e colle frondi i Pennoni , co’ rami
gli Elmi, e colle Ulive le Sciable gentilmente fcher- zando parca, che la
Natura maiacalb non_/ operando, avefle voluto munire in quell’ Al- bero , che
n’è il fimbolo , col timor della guer- ra la Pace . Quella a me fembra l’ Idea
più cfprefliva dell’huom prudente, e difereto, il quale lì rende bensì
familiare con tutti , e pra- tica in ogni luogo con manicrofa difmvoltu- t;a.y
ma non lalcia però mai di far vedere-, in fé medellmo armata la Gentilezza
colla.; Modeflia , e pronto alla difela dell’ Onedà il Contegno . San Gregorio
Nazianzeno fcriven- . do alle Vergini de’ tempi fuoi dà a cialchedu- na di elTc
un documento per- la cuftodia di lor pudicizia, che può fcrvtre a tutti per mo-
dello nel .converlàre , c fpezialmente per leij Donne giovani,,;. che Iqgliono.
:av'cre intorno,. ■ . : r mol- (a) Lìb. i8. cap. •
Digitized by Google S9 moltiffimi CacGÌatori ^
'Ca") Procciùrà i dice:d^ ejjer Verghe , cof/ gli occhi y còlla bocca ,
colle orecchie medefime ypoìccbè per qudletre cof e è facile àjjfai lo
fcoftarfi dal Retto .. Debbo- no addunquc invigilare con tutta cautèla , che
modelli fieno gli Iguardi , mentre un’occhiatà fola alquanto libera può
cagionare un mal&j inefplicabile ; che tanto .più moddlà fia lal< lingua
, poiché fé un giro liccnziofo di occhi-in- fìaiuma ,Una parola incatena , ed
abbrugia ; che in fine modelle fieno ancora le orecchie, giacche un fentimento
detto con graziola mali- zia, ed afcoltato con guflo , e con volto ridente, può
partorire un danno irreparabile . Ecco da_> quìii pcricolofi fonti deriva
ibventela rovina-, delle anime per occafione di converfarc huo- mini con dònne
familiarmente * Io però noru. condannerò mai la Converfazióne, fe non come una
caufa remota di quello male , affermando, che il fuggirla faria bensì migliore
configlio, ma che per tutti non è allbluta neceflìtà ^ Con- danno folamente la
maniera dilbrdinàta di pra- ticarla non tenendo punto in dovere i fenfi del
corpo , i quali femprc debbòn tenervifi anche fuori d’ogni conlbrzio . Ed in
fatti ficcome-» neppur vivendo in rigorofo ritiro è libero E huomo per
rallentare il freno alle interne po- tenze, fomentando penfieri (convenienti ,
ed impuri i così nella Converfazione è tenuto a_. regolare fecondo l’Onellà i
fenfi ellcrni , e non farli di tuttò ciò , che vede , o fente , un peri-
colo. — ^a) I» carni, ad Vìtg. ' * ✓ 6o 'colò . 'Chi .
dunquè conVerfa non abbia occhi per mirare con libertà , .bocca per efprimerlì
con malizia , orecchie per, udire cofe impertinenti, è quella maniera. di fayio
riguardo farà , che.» •ed, egli , c la Converfazione, fieno Tempre-*
•innocenti. • ■ • . . ' . . IV. .. E giacché abbiamo per incidenza par-
lato di lingua non giudico fuor dipropofitoil dirne ora
qualcofadipiii,echefpettantefia_. appunto alla maniera , che ciafeheduno tener
debbe nel converfare . All’aflfettazion del con- tegno , che fi condannò fui
principio di quello .Capo , s’oppone per diametro quella fmodera- 'ta , ed
infaziabile avidità di parlare , che nella.* .Converfazione dimollrano alcuni ,
dando con \ ciò indizio di vanità , e di leggerezza , mentre^ fecondo. S. Agollino
: C») tah è Pbumo nellctj mefite , quale il dipinge la verbojltà della bocce»
Oltre al pericolo > in cui fi pongono codclli Par- latori d’nfcir tal volta
dai confini della mode- llia,ed impegnarfi per fe,o d’impegnare gli altri in
quelle cole , che forrtiano il male della^* Cohverfazione, perdono ancor bene
fpefib quel ereditò > e quella llima , che fi figurano d’acqui- Hare . (a)
Cbi ufa molte parole > dice^ l’Ecclefia- ftico , danneggierà V anima fua . E
può bene-* ognuno entrando in fc medefimo comprendere iina tal verità
fors’anche per l’infelice fperien- za di quel danno , che ne averà alcuna volta
ri- levato . Colui , clic parla molto , o è huomo di fondo , o nò . Se nò ,
molto gli farà giovevoìe-* il ^a) De Serm. c. 1 5. (b)
Cap> 20» i fiJcnzio, // qualeS^conAo PJutarco/^)/^^
un non so che di pTof ondo in fc medeJtwOje di Jofnì^^tian-^] te (ilV arcano :
e nòn lòlo guadagna qualche ri- putazione allMiuom debole , ma fa parer favioj
fino lojìolto giufta Pinfegna mento dello Spìl rito Santo .‘Se poi chi e dedito
alla verbofità ò hiiorno di' fondo , temperandofi nel parlare^ acqui/lerà il
vanto della modeftia , che lontana feinpre fiiol eflere da ogni oflentazione ,
e mol- to piìiddll^ecceflb in time le cofe . Una parola^ rattenuta a tempo può
fare , che fi fuggano. cen- to impegni, cd io conofeo pcrfone,che fitro? vano
in' laberinti ineftricabili. per una? fola^ cfpreflione , che ufcì loro di
bocca inconCdera-t tamente con certe Donne , che afpettanoj come fuol dirli ,
la palla al balzo , c Hanno filila* pror fcfiionedinon lafciar cadere alcuna
cofa per terra .lo non vò già condannare i giovani fpe- zialmente alla penofa
cautela , che ufano pureJ te Oche felva^gie in paffando ilCaucafo ,ed jì Tauro
, le quali per libcrarfi dalle infidie delle-j' Aquile , e por freno al proprio
danneyole gracr eh ia mento > fi pongono in bocca una pietra , co- fa che
per lo fpaziodi tre anni continovi fil imi*- tata dal Santo Abbate Agatone :
dico foIo,chc è loro necelTario, il metterli bene . in mente quel gran danno ,
che può venirne , e fuggirlo ta- cendo , come appunto chi nella notte feoprendo
per illrada i.Mafnadieri fi nafbonde in una folta Macchia , e relpira
appena j*per non cfiTcrn.eLji' colto. V. AI- . (a) De
Giarr. (b) Previe* 17, m 6i- V. Altri pofcia vi
fono , che gradifcono di far nella Converiazionc.lo fcherzcvolc , il pic- cante
, ed il conccttofo , amici di fcntiril lodare come huomini di fpirito acuto .
11 fare un tal Perlbnaggio , benché pofla avere il luo merito., e la fua lode ,
è però un mefliero difficile , c che io non faprei perfuadere a veruno de’miei
ami- ci : tperchè il dare in facezie dee farfi talmente_i adagio , e con un fi
pefato ritegno , che non la- fcià mai di mettere in pericolo di perderli la_.
gravità, eia fodèzza. £’un carico da pelarli molto bene prima di addofTarièlo,
il farli una come l^Atlante per regger da le là macchina del comune
divcrtimetó,e debbe riHetterfi, che fc i quadri, i quali li mettono in
profpettiva,han da eflfer perfetti, inappuntabile altresì convien,chò fin-
colui, che s’ azzarda a far da fe folo il Trat- tenitorc d’ un’ intiera
Converfazione . Per par- lar pofcia di quello con rigore ancora di crillia- na
Virtò può uno tal volta farfi irterito in con<>^ verfando colla
(bffierenza di udire gli altrui di- 1 fcorli , quand’anche aveflero del tediolb
, per mortificare còsi in fe raedelimo quella bramaJ, che in tutti è innata di
corregere , o almcn d* | Impedire con altri ragionamenti chi parla male. Porto
qui uno fcherzo graziofo d’ un Letterato, che prova per altro a meraviglia la
gran pena-, d' un’ huomo di talento nel fentir parlare i pii» ignoranti , ed il
merito , che per confeguenza_. può farfi nel tolerarnc pazientemente le inezie.
Diceva egli per giocofa facezia , [che il tormen- to d’ Arillotcle nell’
Inferno è l’ avere all’orec- • y* • ««i • * clw
DigItIzeC ' chio ihflancabili due fciócchi Filofofaftrl ,
chd^ delle naturali cofe parlando inricnic .dicono, Ipropofici altiflTimi,
fenza che..egli,il quale ne Fu ; indagatore $ì.diligente, e sì profondo, pofla
mai , aprir bocca «pcf emendargli., Quefio Ibriamen-, te parlando è
falfifllino, poiché non mancano alt- la Idcgnata Onnipotenza divina altfc
manière^ ineffabili per punire i Prefeiti; ma non refta pe- rò , che
fiipponendo ciò vero per impofiìbile-/ , non poteffe egli folo fervire d\in
gran patimen- to a quel fublime Filolbfo.Sarà dunque un^ otti- mo efercizio 4i
pazienza iPconfinarfi unMiuomo Savio nella Cpnverfazionc con animo d^aver per
più ore la ^raa toleranza afcoltare, fenza interrompergli, i ragionamenti.dt
coloro, i qua- li nel parlare nòn hàiinò altra regola , che di proferire quanto
vicn loró alla bocca , Quan- do poi foflero i difcorTi altrui liberi , cd
ofeeni , vi è una maniera^ di mòflrar taòendo rifpetto a chi parla, effóndo maggiore
, e fentirne poco, o nulla . Bafta diftraerfi , c volar colla mente in alto a
Dio, calle Verità eterne, imitando in ciò V Aghirone, il quale prevedendo
tuoni, turbini, ^ volo formonta le nuvole, e fi gode la ferenità del
Ciclo più tranquillo , e purgato . (a') ^Hejìo uccello^ fcrivc Ugone di San
Vittore, le Unirne degli eletti ^ ebete^ menda t perturbamenti del Secolo
, e portando /opra le temporali cofe il penjìero j follevano Ic^
men- ^uj Lib. de bejKc, 64 'mentì toro alla
feretiìtà della ^Patria celeftc^ . iVppigliandofi addunque in quedo ciaicuno o
alla morale, o alla cridiana perfezione potrà cavarne un documento ben
vantaggiolb , e de^* ~ durnc il modo più proprio di contenerfi per fuggire ogni
dannolo trafeorfo nelcodumc dì converfàre , m r
^5 DcU'Amor Vlatonico nel Coiiverfare. C A P O. VI. I.
T Qfcampo degli huqmini maliziofi per I ■* evitare la condanna del peiTimo ufo
» che eflì fanno della civil Converfazione, è d’ordinario il ricorrere all’Amor
Platoni- co , per cui , o credono malamente , o fingo- no di credere eflcr
lecito ad un’huomo l’ama- re una donna , che non è Tua , c così per lo
contrario ad una donna l’appaifionarn per un’ huomo , che non è libero . 11
fondamento d’ una tale fmifira opinione è il fupporre,che feparandofi
perfettamente dalla carne lo fpi<> rito poifa in un’oggetto fenza yeruna
colpa amarfi l’anima, lafciando intatto il corpo a chi ne è per altra ragione
poffeditore. Subilita per infallibile una tale dottrina fi veggiono tra
moltifiìmi fuccedere palefemente , per dir così, delle nozze fpirituali,e
fpofandofi ge- nio con genio, fi dichiara l’uno fenza rolforc idolatra delle
belle interiori perfezioni d’un’ altro , e ponefi francamente un Conjugato a
fervirc , come fuol dirli , la bell’Anima d’uua Coniugata lafciando intanto al
poveroMarito il folo Corpo , che gli accorda la legge . Que- lla è tutta la
fofianza dcll’Amor Platonico sì decantato in oggi nel Secolo , e che lliidiafi
ben fpdTo di far tacere lo zelo di chi aven- E .do DIgilized
by Gcx^le mr^ 66 do la direzione delle cofcicnzc
è tenuto per obbligo del fuo miniftero ad inveire contra_ del vizio. Ulano gli
huoinini ainmaliziati co’ Zelanti in quella materia l’artifizio , che pra- tica
la Seppia co’ Pefeatori , mentre veden- dofi dà ellì perfeguitata manda fuori
un certo liquor nero» da cui intorbidandoli l’acqna_, pura , ritoglie dagli
occhi loro, e fe nefugge. Così ripreli , che eglino fono d’eccedere nel
libertinaggio, c prefi come alle llrettc, intor- , bidan colPlatonifmola
manifella evidenza del lor reato, e fuggono dalle reti, lo non fon già
per'negare , che diafi tra gli huomini una_» iimpatia naturale , cd innocente ,
che fi vede ancora non di rado tra i bruti i ma dico bene, che è d’uopo
correggerla colla ragione tutta_. volta, che fi veggia pendere
all’ccceflb.Quan- do ancora flelfe l’Amor Platonico ne’ pretefi termini d’amar
negli oggetti le Iole doti dell* animo, io lo crederei Tempre ingiuflo nell’ !
efigere un’ intera , e fedele corrilpondenza_. 'da quei fpiriti,che
devono ad altri l’affetto, come fuccede ne’ Conjugatì , de’ quali difle-» Iddio
•,C(i')faratJ»o due iff u» fai corpo. Non_. - credo io già , che con
quello intendeffe Iddio d’ammalfar (blamente infieme carne con car- •nc,nia
d’unire bensì le anime con nodo sì dol- ce d’amore, che di due fattofi un fol
corpo, in C»>Ge». cap, z. Digl^ed by
Google 67 ' in eflb per forza d’nna Tanta armonia recipro- ca
viveflcro due (piriti . Effondo addunquè_* ' i conjiigati padroni
reciprocamente non folo do’ corpi loro , ma dell’amore altresì , che è la
fodanza dclTanima , non farà mai lecito ad un Terzo l’entrar di mezzo
perrapirfi unta/ amore facendo tra gli fpiriti una divifione, che ha vietata
l’AItilfimo efprcflamente di- cendo : non fepart Phuomo ciò , che Iddìo ha-»
congiunto. Ma io foftegno di più , che infiemó converlàndo liberamente huomini
con donne farà molto difficile, che mantengafi quefl’ amore nella pretefa
indifferenza di tendere-» unicamente allo fpirito fenza punto confide- rare le
doti del corpo . Accio meglio rifplen- da una verità sì pelante , dalla quale
venir puote un fommo bene a chiunque vorrà co- nofcerla , faccianci con
ordinanza ad efami- narla ne’ fuoi principj. II. Tre fono , fecondo tutti
i Filofofi , gli oggetti amabili , cioè l’Utile , il Dilettevole, e l’Oneflo .
L’Utile riguarda i beni della for-' tuna ; il Dilettevole i beni del corpo; e
l’One- fto i beni dell’ anima . L’Utile , ed il Dilette- vole , riduconfi alla
Filautia de’ Greci , o vo- gliam dirla Amor proprio , il quale febbene fu dalla
Provvidenza ingerito all’hùomo per la confcrvazione dell’ Individuo ,• nulla
però di meno effendo Amore di concupifeenza , e_» che rilìede nell’appetito
inferiore, c facilis- mo a degenerare in vizio , onde attefla Pia- E z '
tono; mm 68 ^ tene; (j) c/je U foverchio «^mor di
fe fiejfo tu tutti è caufa di tutti i peccati . L’Onefto po- Icia jclic
riguarda i beni dell’animo > è radica della vera amicizia , la quale al
parere di tutti i Filofofi in l'cguito d’Arillotele nafee dalla fo- miglianza
de’ buoni coftumi . Tuttavolta adr dunque, cheun’huomo ben collumato ritro- va
in un'altro l’immagine delle proprie quar lità virtuofe legafi a lui col
vincolo dell’amo- re , e prefeindendo da qualunque altro vile_» riflefld ama in
lui , come un ritratto efprefll- vodi fe mcdefimo . Se nell’oggetto pofcia_.
amato egli ritrova reciprocazione d’araore_i parimente virtuofo, viene, tra dii
a formarli quel nodo il più delle volte indiflblubilc , e_» foavinimo, che
chiamiamo A micizia. Altra fpe- zic d’amore fuori di quella fanamentc parlan-
do accordar non fi puote fra quelle perfonc, che non fono di flato libero ; e
tra quelle di Seflb diverfo , dico effere troppo facile , che_* degeneri in
Amor di concupifeenza, dal quale come indegno di loro cercano di comparii'e_t
lontane le perfone ancora più licenziofe, ma culte , e civili. Platone medefimo
infegna, (jb') .clic colui , il quale punto non curafì del corpo» e confiderà
più tofio , che defiderì , /’ animo, amando come conviene lo. fpirìto ,
giudica^ arditezza , ed ingiuria l'ujo del corpo. Dimo- llra egli per quello di
volere , che gli amado- ri fa} ^.deLeg. (b} 8>deLeg,
DIgilized by Google - ri delie anime prefeindano affatto
dalla cor- porea prigione di effe , come da una cola, che recar poffa affronto
ad una foftanza tanto fu- periore alla materia di quella carne, in cui vive
racchiofa . V’ha egli , chi . non conofca_. effere quefta una forte d’elevata
contempla- zione per huomini fpezialmCnte materiali, in- dilciplinati , c di
bel tempo , malagevole in_* ■fommo ? Ognuno , che abbia qualche benché leggiero
principio di ragionevol difeorfo , certamente fi riderà di coloro, che moff
rando per i corpi , e tra effi per i più avvenenti , e_* leggiadri una
manifefta pafllonc vogliono poi fpacciarfi per indifferenti Platonici ,cui uni-
camente rapifea la bellezza dell’animo . Io in ciù ritrovo , e detto fia Tempre
con riverenza de’ meno ingannati, un carattere dipazzia_# tutta particolare de’
noftri tempi , e che non avendo ne’paffati fe non rariflìmoefempio, farà forfè
o la favola, o l’ammaeftramcnto dell’avvenire . In fatti io non mi fono per an-
che imbattuto in alcuno , che dell’altrui Pla- tonifmo parlando non lo.derida,
e noi difen- da pòfeia coftantèménte in fe medefimo i co- inè una- guardia
ficuriffima dell’ innocenza; onde potria qui farfi del noftro Mondo quella
divifióne bizzarra ,■ che del fuo fece non ha_. xnolto un gran Politico-, e
dire , chc una pari te dèi Mondo- in oggi fi ride ftranamente dell’ altra , cd
amtnendue s’unilcono poi a riderfi «Iella comune loro flolidezza . Qjjcfio è
ua^ vEl mot- 7o motteggiarli reciprocamente per la
nerezza gli Etiopi , un riderfi il Guercio di chi ha per- duto un’ occhio , cd
un moftrarfi dallo Zoppo a dito , chi ha una gamba di legno ; tutti In- fermi ,
come dicea un bell’ Umore , da rimet- terfi a que’ Spedali , dove fuol farfi la
gran.» chiarata per le Tede non rotte, ma vuote. Burli, fcrive Giovenale, ehi è
dritto lo ZoppOt e chi è bianco l'Etiope. Saria fenza dubbio per coftoro miglior
partito confclfandolo fmee- ramente cercar riparo al Tuo male,cnon_> voler
farla da Scettici nell’ollinazionedi fo- ftcnere cofe tutte contradittoric ,
come nera clTcr la neve , luminofe le tenebre , fenza_. luce il Sole, e fe
medefimi fenz’amore di quel;- la carne, che idolatrano, rendendoji ,o.\ dif
d’Ariftotcle , Ca) wen rei nel diffimular queJP amore , che altri nel
falftficar le monete. E’ quello un gettar polvere negli occhi altrui, come le
Aquile per predare i Cci;vi , accie- cando il Chirurgo, perchè non veda la piaga,
.che frattanto non curata incrudendo fi fa can.» crena . Troppo è più difficile
, che non fi pen- da , indegna l’Angelico San Tommalò , il rc^ golar bene
lapaffion dell’amore anche nel divin precetto d’amare i proffimi , e moltiffi-
mi l’hanno fgarrata da un bel principio con^ ducendoli miferamente ad un
termine vergo- gnofo.O quanti , cosi egli efclama , (b.)jf rup. .
pero (à) ^.Ethic,c.^;(p)Opufc,6 l'.de prox.dìlec.c.'i •
Digillzed by C-.onoK. *7* pero hfenfibiii»eate h tefia
, scaddero in pe- ricoìoj'a pazzia per avere fenza fale dì difcre « zi on e
amato huomìnì ancora buoni , poiché in ifpirito cominciando terminarono in'
carnei Quanto farà pofci^ più malagevole il por fre- no all’amore in oggetti.di
felfo diverlb , giac- ché in eiù tanto pende la corrotta Natura ai diibrdine ,
c ad una corrifpondenza regolata^ più , che dalla, ragione , da i fenfi ?
Grande è in quefip il pericolo di trafcorrere fuori della favie^za , e chi ha
qualche lume di ragionevol difcernimento non può non temerne. III. . Hanno
però, codefti Platonici un’ar- me fe non di buona difefa, almeno d’aAuta^
apparenza, per ifchefmirfi dalla condanna de’ Saggi , ed è il far credere , che
fervanii delle Creature , come d’una fcala per giugne- re al'Conofcimento , ed
all’amore di Dio , fe- condo il detto dell’Apoftolo ,(0) che; le invi^ fibili
cofe dì J)io fi comprendono dalla Crea- tarn per mezzo delle Sarebbe
queAa per chi ne ufàiTc a dovere un’ ottima regola, ed una maniera aflai
lodevole d’ajutare la_< > fiacchezza del npAro debile intendimento
portandolo per mezzo di ciò , che fi mira, alla iublime contemplaziohe di ciò ,
che fi crede-» fenza vederfi , Ma lo fteflo Apoftolo Paolo non giudica quefia
via per tutti ficura , men- tre alcuni torcendo in effa da un fine sì
alto, E 4 e fanto, (a.y.r^d Rom\ j.; ;. •7S5 . .
^ • fanto , Ca) riverirott» ; e fe^virou la Crea- tura più tojìo , che il
Creatore . Ella è una_< fcala piii per la niente , che per i fcnfi po>
feiacchò aftraendofi dalle create , e belle cofe di quaggiù una fpezie pura ,
limpida , e pih* che avvenir polTa , immateriale fenefa all* intelletto come
una guida per follevarli alla contemplazione delia'prima bellezza, da cui tutto
deriva . Anche a Giacobbe (b) fu mo- Arata una Scala, che dalla terra poggiandò
al Ciclo rendè alla mente di lui palefe da' vedu> ta delle cclcfti cole: ma
ciò avvenne allorché ei dormiva , ed erano in lui Ibpiti i fcnlì eAc- riori .
Sopra di ciò ragiona alTai dottamente . Riccardo di San Vittore al noftro
propofito, Cc) c così conchiude: felici coloro , cui fi can- ■gia ia ifcala,
ciò che ad altri è rovina . Feli- ci coloro t cui la fetenza delle efieriori
cofe^ divien ficaia per falire , e non precipizio per rovinare’,coloro, cui la
bellezza del temporale . fifa eccitàmentod* Eternità J Sembrava an- cora a
codeAo inlìgne Teologo una fortuna ben grande il faperfi valer del creato , per
fa- lire alla contemplazione del Creatore , e dal- la vaghezza degli oggetti ,
che qui vediamo » paflarc a iìUbrci in quella inaccellibilc , che_« veder non
lì puote . Per far però una tal co- fa con merito è troppo neceflario il
togliere- ogni commerzio co’ fenfi , e prefeindere da_> quan-
-J- ... > ■ < .. ■ — (a) Ih. (b) Gen. 28. i a. Cc) 5 .\de-
Ext. mali. p, i.c. 16, quanto fi mira efternamehte alP u(b ai
chi confiderà un Orologio di rara manifattura.., che nulla badando alla calTa
d' oro di prezio* fe gemme , e di ' vaghi intagli riccaménteJ adornata, (ì
ferma folo à riflettere forra l’ àr* tifizio mirabile dell’ interno lavoro .
Seta-* randofi per quèjìà vìa , foggiunge l’eruaito San Mamme, (a) dalla
familiarità de* fenji lo fpirito viene altresì a chiuderfi l* adito al Demonio
per mezzo de* medefimi fenji neW^ anima', onde purificata la mente degli huomi*
ni per un si eccetfo , ed infieme foave efercN zio , può trattenerfi con men di
timore fra le terrene cofe , le quali , anziché diflornarla:^ ,
maravigliofamente la vanno indirizzando nel ilio celeile cammino . Tanto
conferma ance-, ra il profondo Jamblico (é)‘infegnando , che feparandojt dal
corpo la mente, per la contem- plazione de*celefii Mijìerj, P huomo preparaji a
Dio . Se noi però ci facciamo a mirare eoa attenzione la condotta de'mòdcrni
Filofofan* ti dubbitojche là troveremo affai lontana da., quelli principi ,
mentre imitando cflì le Vef- pi, che lafoiano il buono de’ pomi , e s’ attac-
cano al marciò , negli oggetti confiderano Tempre il peggio, e trafeurandone la
foftanza s’ appagano degli accidenti . £* dimoile , of- ferva il Trimegillo,Cc)
lafeiare quèjìe confae* ■ te> fa) Cent. z. 65. (b) De
myjl.fSgypt, (c) in firn. teyfaml\9;itiy t prefentì coft , e
rìvolgerfi alle- fuperhri, t primarie: imperocché quelle > che vediamo coti*
ocqhio , troppo ci dilettano , ev quelle, ch&nqfcofe ci fono , partorifconp
dìjfi’'. In mirano eflt ]a bellezza negl* akrui.voltii in<( non come
un raggio della 4i> vitia,ed immortale, onde ne rimangono pre- 0, e legati
fenza giovamanto dell* anima , che anzi (Irctta in una rete di carne perde
tutta^. la forza di alzarfì a contemplare il primo fon», te di quel bene, vile
per altro in fé medcGmo».. e caduco . Idolatri di ciò , che vedono , feor*»
dandoG del meglio, che fta celato, ed adorarti, do, ai parere di Seneca ,
(,a')[iolidqmente /<w Statua , di/pregiano lo Scultore . Nè io ere-; do, che
venendoG alle Grette ciò poGa negar»; G nè anche da lor mcdcGmi . £* cofa più
chia- ra del raggio di mezzo giorno , che i foli og- getti bene organizzati,e
ben difpoGI al di fuo» ri , meritan la contemplazione , e la meravi- glia di
codeGi Platonici; ed io p^r la mia par» te mi porrei più volentieri a cercare
la qua»; dratura del circolo, che un* huomo, il qqalèi!j4. per verità abbia una
certa Gima , che s* acco- Gi all’ amore, per una Donna di brutto afpct-' to , e
di fattezze fgradevoli . Ognuno, che^ legge qucGo mio fentimento, potrà
cflerrac- ne -forfè tcGimonio oculare , vedendoG per tilt-
» (a) De orig. errar. c,2. Diginzed by SèogU
ys. tutto impiegato in oggi il Platonifmo a ÙLÌiro in alto.per
certe belle fcalc, e briofe , libera., frattanto lafciando.a qualche umor
malinco- nico la fai ita per quelle , che fghenibe effen- do, e mal formate,
fembran fatte per difpetto dalla Natura . Diflfe per ifcherzo, ma non fen-^ za
fale di feri età , un’ huom di giudizio , che-f elfendo in quello Secolo
rifufeitata pur trop- po l’ Idolatria fi ò fatta vedere di un guflo af- fai
migliore, mentre lafciati alla folle femplt- cità dell’ antica i Serpi, i
Draghi, ed i Mollri, ha fcelto Idoli tutti avvenenti , e leggiadri . Noi però
parlando qui con fodezza criftiana malamente potremo accòrdare a quelli Pla-
tonici la pretefa innoccenaa d’:amare i foli Spiriti , quando gli vediamo
.perduti afTatta dietro a quella Orne , che gli circonda , ed imprigiona. Se
l’anima folTe l’oggetto de’ loro amori prereinderebbono;facilraente dal corpo, avvegnaechèpolTa
ella èffer. belli Ih - ma.,, ed ammirabile,:. anche in im corpo di brutta
figura , ,co mie iè preziofo ,' benché rac-- ehiufo .fra i r.oa^i fcogli , il
diamante . Ciò fi deduce ancor.meglip dallo feor^ere alcuni al- tri di. cfli
tutti, immerfi .nell’ adorazione . di certe Donne, vaghe bensì di lembianza, m^
d’ uno fpirito così lento , e freddo , che facile talora non fia il
diftingucrle da una bella fta-, tua d:‘ Praflìtole , o di Fidia tra i Greci ,
odcl Buonarruota, e dell’ AJgardi tra i noftri .. Alrr tri, che
peggio è ancora , ne vediamo perdur ti dietro a^certe anime canòre , le
quali-in al- tro non partccipan dallo fpirito, che nel fuon della voce comune
ancora agli Ufignuoli , a_. i Cardellinij ai Merli ; ed è in qucfto crefeiu- ta
cotanto la corruttela , che vediamo da Co- defta gente col femplice fiato , più
che nella_ State dalla Tramontana le biade , (bccarfi gli Icrigni non'folo a i
privati , ma gli erarj alle intere Città , jpiii fenza verun paragone ono-
randoli una Maefira-di folli amori in Teatro> che sii i Pulpiti i Miniftri
dell' Evangelio . Ef- lèndo ciò pur veriflìmo,e fpcrimentale, io fa- prei
volentieri come polTano fchermirfi code- fti infelici Filolbfi dal confelTare
d'elferpur troppo adoratori di carne , e d* un carcere, o così' vuoto , che per
alcuno de’ fenfi edemi linai non polTà averli il minimo contrafegno > che vi
Ibggiorni lo fpirito ; o sì poco -prege- vole , che efler potefle albergo
ancóra di be- die ammaedrate nel canto . Non men drano làrebbé, a ben- riflettervi
, il confiderare , che niun Platonico abbia mai ibrtita dal Cielo per compagna
con legge matrimoniale una_> di codede celebri, e belle animc;licchè lalcia-
ta quella , con cui pure liberamente hàVolu- to Ipofarfi , ^ggia per filofofàre
andar Tem- pre dietro a quelle degli altri . Ma troppo mi ha poi Tempre
convinto per giudicare code- da filolbfia un vero dilbrdine di paiTiohi il ve-
dere tutti i regnaci dì eda apodatare palcfe- wen- DigiUzed
t>y Gsogle mente da i loro Numi , c ritirarfi.dall’ àdora'- zion
delle anime, tuttavolta, che perda il cor- po, o per ingiuria di rtrano malore,
o per col- lo d’ età, r avvenenza . Io fteflb, che non fo- no il più vecchio,
che.viva, ho veduto pure a i giorni.miei tanti.Altari , cheiuna volta appe- na
mirar poteanfi da lontano per la folla ine- fplicabile de' fagrifìcanti ,
r.eftar lenza inccn- fo , e lenza ombra del, culto antico per elTere
invecchiata là Deità , che vi fi adorava . Bir fogna ben poi riderfi ;a forza
di ibiniglianti inezie, e conchiudcrc,che delirano codefti Fi- lolbfanti nel
darfi a credere, che altri gli ten- ga per indifferenti ammiratori delle fole
ani- me racchiufe ne’ corpi, quando al primo fea- derne la colorita prigione
abbandonano feor- telèmentc le povere prigioniere, quafi, che_» Io fpirito a fe
medefimo fimigliante fempre, immortale , ed in fua foftanza inalterabile-r ,
foggetto foffe come le altre corruttibili cofu alla vicendevolezza del tempo .
Ingiuria è quella, al dir di Platone ,(«) infofferibile-» per lo fpirito
indepcndente cotanto dalla baf* là materia, onde è cinto , c coperto , che Se-
neca (b') troppo eccedendo poi nello ftimarlo giunfe ad affermare, altro
non.effere eglh ebo un Dio neWuman cor^o.Stimo fuperfluo il ri- fpondere qui ad
una certa inlufliffcte iftanzav che a ciò fogliono farci modernij
Platonici fog- . (oT) %. de ìeg. Cb) Bp.ii.
I 78 foggidgéndói che no pòchi di efli profefTano della
ftima, e dell’amore a certe anime anco- ra, per dir così , invecchiate ne’ corpi
, nulla ?cr ciò feemando clli del rifpetto primiero . n quedo , oltre
alla rarità d’ un tale avveni- mento,voglio rimettermi alla prudente dcci-
lìonc di chi legge , a cui non credo , che farà molto difficile il rifpondere
colla fperienza , che in contrario abbiamo continovamentc_> fotto degli occhi
. •• IV. Hntri per tanto ciafeheduno in fe_j medefimo , e rifletta fé
quelle fieno verità d’ evidenza,ò ritrovamenti,comefoglioro chia- marfì , di
Rigorifli nemici troppo del civile-» divertimento , e cominci a tener ornai per
Ibfpetta una tal fbrta d’ Amore , che ben va- gliato riduccfi tutto in polvere
di vii fango, c di fenfuale appetito . Se però , che troppo è malagevole, non
l’ intendon così per allonta- narfene coloro , che immerC vi fono , e per- duti
, almeno capilcano bene il travviamento d’ un tal eoflume quegli , che la Dio
merce- de non vi fono ancora caduti, e cerchino, piò che pofrono,di tenerfi
netti da codefta pece , per non chiamarla orribil pedo, onde tante-* anime
uccife rimangono , ed alTaffinate per femprc • Non può crederli quanta rovina
ab- bia già al nodro Mondo recata un sì per ver- fo, ed apparentemente favio
prctedo d’ ama- re , Con un’ inganno sì dolce inducendo a_. perdere l’
innocenza perfone accorte per al- ' trd tro , e prudenti ,
che falde farebbòno fintai centra d’ ogni altro più forte , e più terribile
tentativo.Tantò' appunto del CocodriJio Icri- vono i Naturali,che divorando
huomini , fiere, fi lafcia poi miferamCnte uccidere da Un picciolo animàletto ,
che vivo.ihgojato da lui tra le verdi pàfture del Nilo rodegii a poco a poco le
vilcere,e fuora ufeendone illefo, mor- to lafcia fìlli’ arena il fuo divoratore
. Ufi per tanto a fuo piacimento della Coriverfazionc^j chi vuole) eh’ io noi
condanno, ma goda mo- deftamente de’ tanti , e sì vaghi oggetti , che gli cadono
fótto 1’ occhio, ed unito ad eflì me- ramente colla perlbna feguiti col
penfiero il fuo viaggio verfo 1’ eterna Sorgente di ogni bene, a guifa d’un
giufto Compaflb , unapar- te di cui fenza fcompagnarfi dall’altra , che ò fiffa
nel punto, forma liberamente il fuo giro. Abbia infomma ciafeuno in converfando
l', occhio fovra.fe fteffo per non awilirfi , e far cofa , che indegna fia di
lui , c deteftando la_. codarda effeminatezza fémprc fi diverta dau huomo colla
fpada al fianco ,.iioh colla roedà alla mano , che in ciò lodevole farà l’
emula- re il coraggio di quei Lioni , i quali un temW po guidati con fiorite
ghirlande al luogo.de* fpettacoli , appena fcopcrtele all’ ombra de’ loro còrpi
infuriandoli le ffracciàvano ,. co- me indegni ornàmeti del proprio vaiorei
lad*- doye le imbelli Vittime liete fen givano al Sa- grifizio cinte
difion',quàfi godendo ftòlidamé- te di quella mifera popa funefià . ' X)el
■ $6 Del Tempo di Converfare . CAPO VII .
Ttimo è il configlio > che diè Cicerone aquegli, i quali bramano di
regolar bene la propria vita, dicendo, che (a') il divi- derla come in partì è
opera del Sapiente . Ed- in vero conviene, che il corlb di noftra vita_^ venga
divHò in varj efereizj per togliere all* huomo la noja di fare Tempre una
ffelTa cofa; - onde molto errano coloro , che prefìggendo* fi di goder tutto in
una volta levanti in gran- parte il piacere del godimento, che ruoTaver- fi
nella fuccelfioBC delle cofe- godibili . Per- ciò infegnava Seneca da quel gran
Filofofo , (fi') che egli era, dover ft infteme unire , e pra- ticarji a
vicenda la foUtudine -, edìlconfor- zio , mentre quella ci porta al defiderìo
degli huomìnì , e quefto alla brama dì noi medefmi^ effondo P uno rimedio dell*
altra , Siccome.» può efier vizio lo fiar Tempre Tolo,così lo può eflerc
ugualmente il voler Tempre vivere in ConverTazione , mentre elTcndo quelli
due_* eilremt Tarà. virtò il iàper batter nel mezzo dando ad aramendue le coTe
il Tuo tempo . Se Catone giudicava ugual difetto 1’ eflere uno Tempre Terio, o
Tempre faceto, io ilimo difor- dine da evitarti del pari , si 1* clTere in ogni
tempo con altri,che il non elTerc mai con ve> Timo. 29..
(b) Detranquil. ** I 8i runo . Se debbo in tutte le
cofe fiiggirfi /7 Troppo y come tanto inculcava Pittaco quel Savio di Grecia ,
più dovrà ciò offervarli ììl» quelle, che o per fua natura, o per nolìra ma-
lizia pendono , anzi al male , che al bene , ^ per confegu'cnza farà utiliflìma
quefta caute- la fpczialmentc nclP iifare della Convorfa-r zione , la pratica
di cui c sì facile a degenera- re in abufo . Bifogiia dunque, che s' afezion i
ciafeuno alla ritiratezza, che c la virtù oppo- fta agli eftremi della
folitudine , e del conlòr- zio continovo, giudicandola necelfaria a cor- regere
P una, e P altro, ed a condurre la vita d* un Secolare con rettitudine, e con
pruden- za . La ritiratezza, benché fia lodevole in tut- ti , lo è però di
vantaggio nelle Donne , le-» quali hanno P obbligo indifpenlàbile di pre-
ferire al divertimento ilpenficro degli intc- relTi domeftici, e la buona
condotta della Fa- miglia. Tuttavolta , che manchino di pre- mere fovra di
quella, il tempo della loro Co- verfazione è reo d’ una.trafcuragginc , che-»
toccando un dovere precifo non fi può pafl’ar per leggiera . Io credo perciò ,
che la ritira- tezza nelle Donne mai non pofla dare nel troppo , non v’ eflendo
luogo , dove elleno ftieno meglio, e dove il loro operare fia più plaufibile ,
che in cafa , in cfle avvenendo co- me nelP acqua , che rifirctta nelle
macchine idrauliche ri efee più utile aflài di quella , che è vagabonda , e
difperfa • Pare , che la virtù F loro 82 loro confifta
nel ritiro principalmente, e che mai non divengano favie, e prudenti con per-
fezione , fe non quando godono dilungarli dalla moltitudine , come vediamo
nell’ oro , che formandoli nelle vifcere della terra noa rclla mai
perfezioniito dal Sole, fe non è ben racchiulb . Non voglio però qui praticar
con elle tanto di riggidezza , che pretenda alTe- gnaf loro per confini
impreteribili , o la Ca- la, o la Chiefa ; ma neppure tanta condefccn-
denza,che gli accordi la permilTione di palTar tutto il tempo nel divertirli di
tal maniera.^ > che mai non penfìno al regolamento della.. Famiglia .
11. Quello coltume poi bialimevolc in_, fommo di llar fempre le Donne fuori di
cafa cagiona un’ altro inconveniente affai danno- iò , che è il perdere elfe 1’
affetto a i Domefti- ci , dal che viene tra gli altri mali gravilliini la
perdita benanche dell’interna concordia, e quel difamore , che i Mariti non di
rado co- i cepifeono verfo i Congiunti più intimi i E’ uffizio della Moglie
prudente il fomentar nel Conforte l’affetto fpezialmente verfo de* fuoi '
Genitori ; giacche fembra pur troppo fatai collume ordinario del nollro Secolo
, < che di- videndo un Figlio colia Moglie l’amore lo ritiri dei tutto
ingiurioiàmente da quegli,chc • dierongli 1’ effere col generarlo , ed il
buoxL, dfcre coll’ illruirlo, quaficchc l’unirfi in ma- trimonio con una.Donna
llraniera non foife pun- . . . . punto compatibile coll’
amorde i Domenici. Racconta Egefippo , 00 Archelao Padre della Moglie d’
Aleflandro Figlio del Re Ero- de fentendo eflere il Genero in qualche fo-
fpetto di parricidios’incamminò frettolofo a_. quella Corte , dove giunto
andava con ifma- nia efc!amaudo,e come tìiòra di fe medefimo: dove troverò
queflo Capo dì parricida per far • 10 in pezzi colle mie Jìejfe mani ? Ed
imbattu- tofi nella piglia Moglie d’Alefl’andro creduto macchinatore del
Pariricidip fecele quello fu- ribondo faluto : non conofeo per mìa Figlia^ colei
, che non feppe /coprire le arti del fuo Marito, e che al Suocero non
dimojìroflì Nuo- tatale, che /oggetto fempre teneffe al Fadr e 11
Figliuolo . Attribuua Archelao tutta la_. caula di quel misfatto alla
Moglie del Parri- cida, perchè fe eli a nodrito a vefle , come do- vea,
nelCpnforte l’affetto verfo del Suocero, non averebbe egli conceputp centra del
Pa- dre un s'i.efecrando penfiero . In fatti il dot» tiffimo S.Gioan
Crifoffo.mo afferma : niu- tta cofa ejfere sì pojfente ad iflruire, e condur-
re un* huomo dovunque fi voglia , quanto una buona Conforte'-, ne egli sì
pazientemente f op- forteràgli Amici, i Maejìri ,gli Principi co- me la moglie,
che l’ ammonifee, e lo configlia', poiché ha /eco un non so che di piacere /’
av- . . F 2 ver- .»■. ^.1 — L- — ■ — • (a) Ltb. %.de
Fvcid.Hiero/c (b) Hom.6o. 84 , ‘vertimento della Moglie
y che molto ama colui , che ella rìpret^de • Poniamo dunque incari- car
giallamente le Donne del difor.dine , che ' in oggi nelle Famiglie è quafi
comune, di ve* derfi obbligati i Suoceri a dividerfi dallé Nuo- re, e dovere i
poveri Genitori cercare unita- mente , e Moglie a i Figliuoli y e cafa a fc mc-
ddim'ijfe vogliono vivere in'pace .* Ne io fa- prei trovare di ciò cagione più
vera , che P abufo della Convcrfazionc continova, la qua- le non lafciando alle
Donne maritate di fre- feo alcun tempo da praticare familiarmen- te co' Suoceri
non gli da campo ne meno d' affezionarvifi , onde ne viene per confeguen- za l'
alienazione , ed il difamorc . Sotto pre- teflo di reciproca libertà, e di non
porgere_j V uno foggezione all' altro , dividonfi bene-J fpcfib nella cafa
medefima le Famiglie , ev* •ha taluna delle Nuore fi poco prudente , per
rifparmiare altro titolo , che fi vanta di non-. * veder mai i Suoceri in
faccia, confeflando co- si di vivere difunita da effi ancora col cuore, non
potendoli mai fomentare fenza .il com- merziò delle perfone V amore . Ed ecco
la— vera forgente delle difcordic , de i diflapof i , è delle difunioni nelle
Cafe, mentre privi! Genitori infelici nel tempo medefimo , e de i Figli, c
delle Nuore, c tróvandofrper ciò con- .damiati a vivere in folitudine, o a
palTarfela— iiì compagnia della Servitù , fcelgono più to- d' iifcir di, cala,
che Ilare in efla efiliati, cd ab' borriti , III. ‘Quaii- Digillzed
by Google Ss: ni.. Quand^anchc (blo egli fofTc., co nie_»
f)Cn fi vede , farebbe quello un gran male , e degno , che tutte vi
s’impiegafiero le premu- re dcJl’huomo prudente per impedirlo . Ma-, un’altro
ne tira egli feco affai maggiore , da_. cui s’origina pofcia la rovina totale
delle Fa- miglie , éd è uno fcambievole contragcnio tra i Conjugati medefimi.il
non aver mai al- cun tempo libero dall’ occupazione del pub- blico
divertimento, cola, che pur troppo liicce- de in molte Città dell’Italia, fa,
che prima per convenienza , poi , per nccclTltà , e finalmen- te per elezione ,
fi trovino di radiflìmò infie- me i Conforti, onde tolta la confidenza, e raf-
frcddatofi l’amor conjugale,pifi non fimirano come due compagni, ma ài piùcome
due_» abitanti in una ftelfa cafa ,che talvolta fono infieme cafualmente,.manon
mai per obbli- go . Dandofi pofcia a quella maniera di vi- vere fregolato il
nome di Moda , e di libertà fignorile ,fiiole aprirli l’adito in ciafcheduno di
elfi al particolare fuo genio , dietro di cui perdendofi l’uno fenza riguardo,
c fenza_> querela dell’ altro , fi forma a poco a poco un’ infcnfibile , ma
velenofo alicnamento di animi, per cui languc ,c muore affatto la_. reciproca
maritale benevolenza . Quindi viene quel camminar sì d’accordo alcuni de’
Conjugati attendendo à fe ciafcheduno, fenza contralto , e quel rairarfi con
una certa di-, finvolta indifferenza , che palfando fotto l’in-
86 degno di pdce ,e di óonCofdia , rompe fra_J eflì il fanto
vincolo dell’amore legandogli ad un Terzo con ingiuria del Sagraitiento . Non
fi vedono pifi adì rioftri Evadne , e Cap'anei,- Plauzj , ed Oriftillc ,
conforti così fedeli > che lion fapcndo Tuno fópraviveré all’altro get-
tinfi nel rogò, ó nel fepolcrO di chi è il prinio a morire per non lafc/arfi
dividere neppure-» dalla Morte . E’ in oggi tra eflì così diferetó Tamorc , che
gli folTre fèparàti anche in vita, ed abbiam pur troppo veduti con orrore ta-
luni cercare' per mezzo di morti violènte la_. maniera di fopravivcre all’
odiata fuaGOtrt-* pagnia per unirfi liberamente ad un’altra pifì gradevole, c
pift geniale. È’ cofa da muovere O rifo , o lagrime , il vedere ben fpeflb né’
tumuitr della gran Moda taluni confegnaré-/ la Moglie lóro ad. un Terzo ,che
già confe- gnò la propria ad un’ altro , per fervire efR quella d’un’ Amico ,o
alla Veglia , o al Tea- tro , feguendb' in un' quarto d’ora tra i Con- iugati
un tal giro di Donne, che non fapreb- bono i Mercadanti' augurarfene di più net
danaro de’lòro Traffichi . La Calamita , èd il Ferro , benché di natura affai
rozza , quanto più ftanno infieme più .s’unifcOno , e fembra, che per quello
s’agumcnti fra eflì l’ amore: ma in quello Secolo , che può dirli quello della
gentilezza, c'del buon gulló,per illrana fatalità ninno sa più Ilare in compagnia,
fe_» no vi è tenuto dallo fregOlameto,e dalla paf- fione
Dif^rtizWH^Wooqlc 87 fióne . A me fembra per ìrerd dire
, che in_, oggi la miglior maniera di fcparare due genj fia l’unirgli col
Matrimonio , come ulano appunto i Chimici , i quali per difciogliere, e feparar
ie foftanze , ne unifcono molte-» infieme . Son pur pochi , fe io non erro,
que- gli , che a tempi noftri feguano il parer d’ Arinotele , (a) dove moftra ,
che: nìana cofa piti conitene al Marito , ed alla Moglie , che una /anta i ed inviolabile
foeietà mentre^ nuH'altro cercano più avidamente , che il pretefto di fuggirli
, e ftar l’uno JOntan dall’ altro . In niun Secolo certamente fumai più vero
che in quello nollro, quell’antico , ma_. fperimetato proverbio, che:// Pane di
Mozzi àura pochiffìmo ; poiché vediamo certi cuori legati col Maritàggio
Icioglierlì ben prefto» mettendoli anzi per quella via in una fpczic di libertà
, di cui prima nOn era lor facile dì godere . Diceli , che al celebre fepolcro
di Mennóne Rè dell’ India foffero certi mira- bili llrumenti Idraulici per
entro de’ quali rtiolTa Pacqua da i fervidi raggi del Sole^ V formavafi un
mufiCale eoncerto (baviffimo da féntirli ; ma che nell’alzarli di quel- Pià'»
neta fvaniva Icemando neiracqua il movi- mento per la ritirata del fuo calore.
Non è egli quello un Geroglifico vivamente^ cfprcflivo dell’ affetto fra i
Conjugati , eh» F 4 facon- (aj 2. Oecon. 88
faceiivio su i primi giorni delle Nozze un^ar- monia , ed una moflra belliffima
finche du- rano le vampe d^una pafllon tranfitoria^ manca poi , e s’ammorza
tpfio , come fuoco fcnz’efca ? Non è già quello unquaJclic idea- le, o
chimerico vaneggiamento per condan- nare.a torto la /modcit:atezza
del^convcrfa- re , mentre il Mondo tutto , ed in fpezic, COSI pure non fofie,
alcuni particolari paefì polVono farne con gran cordoglio una pub- blica fede .
Neppure, addunque farà efagera- zjonc.il dir fi , che quindi la rovina derivi ,
e l’efterininio delle intere Famiglie , poiché perduta affatto o la. vigilanza
de' Capi iòvra lo Spirituale , c f Economico di cflcj tante fe ne veggiono
pofeia perdere le fo-^ Jtanze ugualmente , che. la virtù , e la (lima* QucIIq ò
un metter la nave in mare fcnza_. governo di Piloto , e di Calamita , a difere-
zione de' venti ,'e delle. borrafche, la quale«> d’ordinario anderà a
travcrfo,o falvandofi a cafo, ciò farà fempre fenza alcun merito di chi è
deftinato a dirigerla. No può vcderfi in verità fenza fentirnento di pena la
trafeurag- gine in ciò di moltiÌTimi, che nelle Cafe altrui . facendola da
Socrati , da Catoni, e da Stati (li, iium.erfi poi affatto nello frcgolato
piacere.* di converfare abbandonan del tutto le prò- prie , affidando a gerite
per lopifi mercena- ria , ed.il governo di ieffie , e l’educazione de’
figliuoli > e tutto in fomma lafciando andare alla , alla
peggio , purché non fi ritirino . mai daJ un Si dannofo collume . Leggiamo
nelle-» fagre Carte , che la buona Madre di Samuel- lo C'3') ricusò fino
l’invito fattole dal Conlbr- teper andare alla Solennità del gran Tem- pio ,
eleggendo anzi di reftarfene allacura-i del fuo picciolo Pargoletto. Co me: fi
potrà poi accordare alle Genitrici moderne il tro- varfi non foiamente.a tutte
le Felice di Chic» fa , ma in tutte ancora, le radunanze. più libe- re lenza
penfar mai al favio iftradamento de’ lor, figliuoli ? Quello è un male , che
abbifo- gna d’un gran rimedio, e debbono le pcrfonc di fenno riflettere, con
ferietà fe ciò accada.# in Cafa loro , e trovandoli, realmente in ciò difettofe
afiegnare alla ritiratezza qualche parte del giorno per riparo d’un’abulb , che
a mio parere ò quello appunto , per cui è ve- nuto il noflro Mondo in uno sì
lagrimevole-» fcadimento , cd in una sì comune , e sì palefc miferia ....
IV. Io non poflb perfuadcrmi giammai di efiere indifereto nel dogma preferi
ven- do a cialcheduno un certo limite onello di trattenerfi al divertimento,
per non inti-. fichir nella Iblitudine , e nel tempo (ìeflo per non trafeorrere
di là dal dovere , c feor- darfi dei fuoi obblighi particolari . li preten- dere
, che tutto fi occupi il tempo negli inte- relfi Cu) 1 . Reg.
I . 90' reffi dell’ànima , e della cafa da ehi viv>e nel
Mondo > voglio fiipporlo rigore ; ma il dar-^ gliene la fua parte è ben
giaflizia , da cui non pcnlb jche pofla ritirarfì veruno . Conviene per tanto
goder della Converfazione colla-<- dovuta mifiira , e partirfene alle fue
ore per reilituirfi alte Familiari ineumbenze delle-», proprie cafe . Quindi
non poffo non condari* Ilare l’ufo delle frequenti Cene , e de* Conviti
notturni., che (bgliono Coronare le Conver- fazioni portando vicino al giorno
ló flrepito de’ bagordi * Oltre al nafeere da ciò una certa viziota catena di
pafTatempi , che ponendo come in un moto perpetuo quella ^ che diceli- moderna
Licenza , unifeono al giorno la not-^ te fenza vcrun divario : vi è Tempre di
pii'i un pericolo manifello d’ intemperanza, nella.* quale troppo è poi facile
a naufragare quella modellia , che Aera a gran fatica difcla nel rumore della
Moltitudine . f’ »émìé&, lo con» ferma Tertulliano , (u) Santità il lùjfo
de’ cibi; imperocché in qual rnaniera fi per ~ donerà ìnejjo alla Religione ^
quando non fi perdona alla Pudicizia ? Pure non ferabra^ gran fatto quel
paflare le perfone di buon* umore da i tavolieri alle menfe , da i balli aU le
vivande , e dalle ciarle alle tazze ; ma cre- foendo femore la conRdenza * e
mettcndolt col calore de’ cibi , e de’ vini in piò fervido mo-
riri-T- I-I rhr *1 - » (j&) Lib. de 'Jejun.
movimento il (àngue , fi pone full’òrlo del precipizio la Continenza , e
fe prima ballava per falvarla il Coraggio della virth , vi abbi- ibgna in tal
ca(b , il concorfo de’mii'acoli pcC foftencrla . Sant' Ambrogio confiderà-.'
con fottigliczza , che l'Idolatria del Popolòi eletto colà nel Deferto
originbflì dal trov^arft' infieme alla tavola allegramente ; fedèt così dice ,
il popolo per fitanglare , e' bére' > c-«r‘ chiefe , che gli foffero fatti
Dei Jìraméri'i Quanti , che fi mantennero nella Convérfa - zione Illibati ,
nella crapula poi perderonó' l'innocenza ! Nè accade fidaffi d' una virtù
Iperimentata ben anche in altri cimenti Che fembran maggiofi , poiché per
abbat- tere ogni. valore , cd ogni nifi virile in- trepidezza" , troppo
ha' di forza' l' intemf-' peranza , la quale ne'' conviti , e nelle-» giulive
cene", pub malamente evitarli . La_. Tigre Si feroce per altro, ed
implacabile, il folo ruggito di cui ingerifoe nelle fclvefpa- vento agli
hudmini , cd alle ftelTe fiere , pcr- fcguitàndo Con rabbia" i rapitori
de’ lupi Ti- grettini lattanti è' da' effi delufa , mcntreLjf fpar'gendO eglino
di quando in quando carni morte per via , ella fermafi a divorarle , fé ne
riempie Con tale ingordigia , che cc- dendo all'i'rttcmperanza il vigor dello
sdegno fi quieta , s’avvilifce , c perde talmente la— for- ... ■ ,
li I ■■■ , . fi • I ^ ■ I l‘ I " iV. (a) Exod,^2. (b)
Lib.6.ep,^6. ' 02. forza;’, die fi diftende a terra, vittima
imbelle (iella fifa medefima ripienezza , lafciandofi. ingiurìofamenteinfultarc
fino da quei piccio- li capi, che inharizi atterriti fiiggivano.E’ ora. colo
dello SpiritQ Santo , che dove fi tri- pudia tra' l’allégrezza , e ie Donne è
in peri- . còlo di perderfi il contegno , ed il fapere de i Saggi ; il vino , e
le femmine sfanno apoflata- re i Sapienti ..Ciò pure vien confermato con . un
gravifiìmo fentimento , e degno d’impri- iherfi nel cuore d’ognuho da San Giòàn
Gri- fofiòmo,C-^!) che l.afciò fcritto: chi vìve nelle àeU'zié^ ed è dedito,
alle ubriachezze, anebe^, fuo mal grado è fottomejfo , ed è necejfano,. che
fpòntaneamente egli pecchi . L’ecccflb di Alefiandro Macedone , (c) che nella
craf^ula s’iiidufie ad uccidere il fùo fedeliflìmo Olito, (la.cui eragli fiata
pur anche difeia la vita , e, che era da lui amato con tenerezza , può effer di
ciò; un’evidente riprova. Sò , che diranno molti di non effer. punto foggetti
alla violen- za del vino , c non pòterfi per ciò ad effi ad-, dattàre la
precitata formidabil fentenza . Io, però fofiegno , che ogni leggiero
alteramen- tb di vino, che Tempre fuccede nella giovia-' lità delle pubbliche
Menfe , unito alla compa-, gnia delle Dorine è capace di cagionare delle
rovine , c de i precipizj irreparabili. Non ' era t MI— — — — — :
fa) £cc/. 1 9 . 2 .(b) Serm. i ,de Tern.(jz) . lib,S.C.d)Marc, 6. , ■
9^' ; era già ubriacò affatto il Re Erode nel fdlcn- ' ne Banchetto
celebrato per la memoria an-] niverfaria delfuo narcimento; eppur.e vinto’
dalle danze lufinghierc dClE iniqua figlia di Erodiade s’indiiffe alla
fceleragginc d^ordiiVa- re in grazia di lei la morte del Santo PrecLirfv -
renelle egli per altro mirava con affettò, c conC iflima . Si pentirono , è
vero , ammenduc co- defii Monarchi del lor misfatto , ed Aleffaii*-’ dro‘ in
particolare , che infoiferente 'dcri'uo; riinorfò voleva ad ogni collo
uccideffi , per non fopravivcrc alla flragc di Clito : ma che pròjfccrail male
fenza rimedio? Cesi avV viene ancora a taluni , che tardi ff pentono un
trafeerfo voluto , fenza però mai fcanfar-’ ne le occafioni . Meglio è operar
berie'pcr no averfi a peiitire,che pentirri picr aver mala- mente operato . Ciò
debbe ancora molto piò evitarfi da i Capi di cafa re da quegli fpezial- mente ,
che fi fanno fervire , mentre. codcfto coffume di far fempre ,o fpeffo di
nottc\‘gior- no ò cagione , che i fervidori per lo piti tra- fgredifeano il
precetto , della Chiefa , e. dell^ aftenerfi dalle carni ne i giorni preferitti
, c del digiunare le vigilie poiché ftanchi tòrr nando a cafh co^ lor Padroni
fenza rifletterò alla mezza notte giàfeorfa, ofenza farfené-i fcrupolo ,
imbandifeono le proprie mcnfe , e crapulando allegramente carican dei lor
peccati le j:ofcienze di quegli , che gli obbli- gano.a prender cibo in
qucirora , D^un talo-# * * incon- 94 . . /nconvenientc
(àppiamo cflerne pieno il Mondo, ma non già di coloro , che facendone cafo
périfiho a provvedervi. V. Dopo di quello f che è un male pofiti- vp , ed
evidente , dee,riflettere l’hupm di lèii- no por intereffe ancora di quel
godimento medefimo , a cui afpira ciafeuno , .chc fé dilet> tcvole ha da
clTere la Converfazione bifogna, goderla con qualche intermirtenza, ed alfe-
gnarle- un tempo da poterla bramare per isfuggire la noja , ed.il fadidio della
fuzietà infeparabile da tutti i beni del Mondo. C«) Le cofe defiderate ,dicea
Cìc^ronQ ypìù diletta- no , che quelle Jìeffe , le quali fi godono di con-
tinovOfU peggio però fi è, che reciproca.^ effondo tra coloro , che fi trovano
infieme, codèfta'noja partorifee un certo dirpregio., che fuol degenerare fino
ia natura d’odio, co.- ine .fcriffe.benc il Poeta ; « il
lungo coti^erfar genera noìa-t . E la noja difpregìo , ed odiò al fine- —
Non fonò radifiìrae -le Inimicizie mortali na- te dalla fmoderata frequenza dei
converfare i’ uno coll'altro, e lo .vediamo ancora naturai- piente n.c i frutti
, che dando feparati confer- vahfi.a lungo , laddove unitifi contaminano fi
preftiffimo , e piarcifcono. Pochi vogliono !.. ‘ . capi- (à) Qrat, pojì
Red- ad ^uir- (b) Guar. m capire la gran verità infegnata da
Liflìo ,(/») che : per lo più •vili fi rendono coloro , che vo- glio»' ejfere
troppo civili^ effendo regola ficu- rillìma per acquiftar l’aitrui ftima il non
get- tarfi dietro Tempre a tutti , ma follenen^ il Tuo \)o{io fuggire . come
nota bene Svetonio > (J})ìl fafiìdio dèlia frequenza y e difenderci colla
lontananza la Maejlà . Ciò con viene^ appunto col Tenti mento alTai grave dell'
eru- dito Laerzio, (c')chc i bei Quadri devono guardarfi dà lontano : coTa ,che
a meraviglia clprime quello , che andiam peiduadendo . Fra le arti del viver
bene è Tingulare nei pre- gio quella di Tapcr Tarli defiderarc ùagTaltri; locchè
certamente meglio avvenir no puote, che per mezzo d’ un' ihterrottta ConverTa-
zione , da cui Ti impediTca la troppa dimelU* chezza, e Tamiliarità, contrarie
tanto al Tofte- gno, e d’ un certo non (Indiato , ma naturale allontanamento ,
che induce negli altri bra- ma infìeme , e venerazione di ciò , che non li vede
Ib vente; a tutte le cofe ., per Tentenza di Socrate , concigliando ammirazione
la Rari- tà . Ben chiaro fi vede ciò nell’ apparire del- le Comete , le quali
tirano a Tc gli occhi, ed il penderò di tutti gli Afirono mi per miTu« rame
l’altezza , cd indagarne le indica- zióni j coTa , che non Tuccede nello
Tpun- • . .tare .* Ca) Lib.z.de DoBiCìv. iAug.^ (c_) Lib. 4.
c. 8, tare ordinano delle altre Stelle . -Trattandaf» fi pofcia
delle Converlazioni fuperiori al Rango di chi le pratica , giudicò il precitato
fublime Filofofo> che non baftafle il l'arfi ddl- derar folamente ,.ma
dorcrfi riculare ancora con gentile modellia per invogliar maggior- mente i
Perfonaggi, che le offerifcono. Cbìa- moto , foggiiingne , da un maggiore di te
al- lontanati , imperocché più per queflo medefi- mo ti chiamerà . Non pochi
però vi fono, che fcbbene confeflano per vero> ed infallibi- le un tal
documento vivono, ciò nonollante, per tal maniera ingannati dall' opinione, e_«
Rima di fe mcdcfìmi, che giungono a creder- li necelTarj in tutte le radunanze
, tenendo per, certo , che infipide riulcir deggiano , e_» languide , fe eflì
non le animano colla loro prefenza , e non le follengono . Converreb- be a
colloro il-fingerfi prima d' elTere un So- le per crederfi indi principio di
luce, ed an- che in tal calò troverehbefi chi dicelTe , che avendo il proprio
lume le Stelle , punto per rifplcnderc non abbifognan del Sole . E' non
picciolo errore lo ftimarfi un folo neceflario per tutto a fegno,che nulla di
buono, e di gio- condo poflà accadere fenza di lui: e per difin- gannarfene
balla riflettere , che tante ve ne_» furono prima, e che tante vene faranno
delle Converlazioni dopo di lui non men giulive.», ed amene di quelle , che
egli giudica di ren- dere da.lé folo preziofe, e pregevoli ; Difle_»
in Diglllzed by Google in tale propofito ari’hiiomo
arguto ad im’Ma» refciallo o’Armata', che fuor di modo affan* navali per non
poter elTer prefente ad un fata- to d’armi commelfo dal fuoSovrano ad un’al-
tro: btfognerà dunque da qui avanti , c che il vpjìro Rè faccia una pace
inviolabile con tut^ te le RotenzCiO voi il miracolo di trovarvi per tutto .
Potrà in tanto da quelle ragioni rac- cogliere ciafeheduno di qual giovamento
fia per riufcirgli il determinare alla Converfa- zione il Tuo tempo , acciò
faggia ella fia , ed innocente ,dimoHrando con ciò di converfa- re per vivere
piò lietamente , non di vivere-» folo per converlàre : e perchè ancora non fi
dieno ad intendere le pcriòne piò critiche.» non avere egli nel Mondo altra
occcupazione piò premurofa>che di efier Tempre diibccupa- to,nc altro
penliéro piò rilevante, che di cercar fempre tra gli altri il proprio di*
vertirnentp, Del DIgilized by Google D^l
Converfare talora il S0VÌ9 ' f((omdeJitno f ] / CAP, Vili,
l'T^T C>n v’ ha forfe Veruno, che non cono», fcà quanto di utilità recar gli
poteHb, . l’ ufo d'una moderata ritiratezza per appren- dere la inanierà di
guidar bene la vita , e d| valere afuótémpò yantaggjofamente’dell* umano
coriforzio ; Ma perchè la virtù del ri- tiro, e del cónverfare leco medeCmo, ha
Una fifonomiadi malfuppQftà rwfticità , ed Un' fi- niftró concetto di
rincrefcevole, e di penofa, è fuggita da rùojti ingiuriolàmente fenza vp» ler
neppure aflhggiarla per rintracciarne a_. fondo la qualità ^ Io perù la giudico
fi rie, ceflaria all* huom di fenno , il quale abbia da viver nel Móndo » che
quànd* ancora fecò portafle qualche aggravio di nma , ò di pena» egli non per
tanto pofla mai dilpenlarfen^-»» poiché 1 utile non dee con tale avidità ter”
carh nel dolce, che fi trafeufi pollo , che fio., nell’ amaro , Pilbgna duncpje
difiìnire in_, primo luogo colà yeramerite Ila quello con- verlàre uno leco
medefimo per poter polcia formarne un documento fieuro , e metterne meglio in
veduta l’ Utilità , Altro non è que- lì<) làggio efercizio , che un chiudere
la per- I Icnfi cn:erni,c valerfi delle interiori po- toiizi'pcr conolccrc, e
deli.ziarfi in quelle-, co- Digitized O^ìoogle
cofe, che cffendo »1 di fbvra affai dej fenfibi-. le non poffonp
comprenderfi , che dallo ipi' rito » Riftretto egli nel corpo viene fovente
impedito nelle Tue più fublimi operazioni da quei fteflì organi citeriori, che
furono dalla-. Provvidenza dedinati a fervirlo, mentre em» piendofi per mezzo
dell' occhio la fantaiìa di fpezie. tutte baffe, materiali, e corporee , fe_»
ne.ibrma come una folta nebbia , onde otte* nebrato l' intendimento non può
fiffarfi ne* gli oggetti più puri fenza qualche allontana* mento da i fen(i,in
quella guifa, che chi ufa_ del Cannocchiale chiude un occhio, ed applir ca P
altro a meglio agire per entro a quei tcrfi criftalli , I^r ciò diffe bene il
gran Pro* cokxjitt) dover fi tagliere alpamnuf ifuoì odìo-^ fi mpedme»ti, ed
applicarla per quefia ma^ all» favhf ed Htile cofiumama di contempla- re • Ciò
premeffo dee comprendere l' huora prudente , che non potrà mai goyernarfi be-
ne, fe talora non fi ritira dentro di fe medefi* rao agoderd’ un tal lume, ed a
cercar quelle verità, la cognizìon delle quali tanto a lui ne- ceffaria gli
vien contefa dal maUziofbaccie- ca mento del fenfi , Acciocché poi, volentieri
egli faccia di quando in quando una ritirata fi profittevole, porremo quVin
chiaro la Co»* Jolaziene.y il Fratto, la ì^icarezz» » eìaGlor ria , che venir
potè ad ognuno dal faper tal- volta ftar folo . G 2 il. E (a) de
Anim. & Dam. ioo - il. E per farci dalla prima di quelle
cole egli è certo, che per E huomo non v’ ha Con- folazione maggiore di quella
, che io poi ta a conofccre fe inedefimo , poiché eflendo cia- fcheduno
avidifllmo di fapere, non può non.» deliziarli in una tal cognizione , che da
Gale» no fu detta: (a) il femtno della Sapienza.; on- de poi giudicò Plutarco
tutta dipendere la.» Morale da quelle due Oeliiche,e fublimi Sen- ^ tenze:
Conofei te JìeJfo: e nulla di troppo . £d invero parvero codedi agl* Antichi
idue.» Poli di tutto il fapere , ed il primo di que’detv ti piacque tanto ad
Augnilo , (é) che Tempre lo portò in dito efprclTo in un vaghiflimo anello . li
pervenire alla notizia d’ alcuna.» cofa non intefa per avanti cagiona una
tale.* allegrezza , che leggiamo d’ Archimede elfe- re come ufeito fuor di fe
fteflb pel ritrova- mento d’ una lòia dimodrazione intorno alla celebre Corona
d* oro mefcolata con lega » onde fentivall gridare ad alta voce per tutta la
fua cala impazzito quaft per gioja : bò tro» vato , bò trovato . Molto maggiore
poi fen- za dubbio dovrà elfere il godimento di chi ar- riva alla malTima delle
cognizioni, che è quel- la di conolcere fe medefimo,e di vedere uno, ehe
perduto prima dietro all* ingannevole.» mi feria del corpo; conofeea sì, come
ancora... feri- de co^nìt. , cur. At:. lìb. c. 2,
Cbj In Orat. Confai,
Digihzec] by Google ioi fcrive Piatone» (a^ le còfe fue
, ma non fe flef^ fo. A quella Torta però di beatitudine così dolce giugnere
non poflbno Certa mente co* loro i che nel divertimento perduti mai fem* pre
niun penfiero per fe riferbano » e per lo lludio utilinimo fbvra P huomo
interiore.» » troppo i al dire del gran Demetrio Falereo, difficile effendo il
couofcer ben fe medefi' mo in mezzo a i piaceri . Égli è d’ uopo duo* que , che
fi ritiri alcuna volta l’ huom faggio a converfar feco (leiTo periliadendofì ,
che.» una sì fatta contentezza di animo d' altronde non può venirgli, che dal
dividerli dalla mol- titudine alcun poco , mentre alla Tua Diletta delle fagre
Canzoni lo conliglia pure lo lleA 10 celefte Spolb dicendole ! (c) fe non
conofei te fteffa, o belUffima tra le Donne, efei, e vat- tene dietro le pedate
de' greggi tuoi ; dir vo- lendo , che s’ allontani , per comprender be- ne l’
interior Tua bellezza , da ogni ellerno rumore, colà, che mollrò d’ intendere
anche 11 Poeta in quel foo detto, profondo non cer- car te fieffo al di
fuori . In quella maniera.» alzandoci' huomo fovra .dì fe mede fimo , (d)
fecondo il Profeta Geremia , comincia a fen- tire quel' godi mento,, che , per
fervirmi di qualche benché leggier paragone, fuolc pro- varli da chi un aria
balTa , c grave lafciando G qf ■ .ad Ca) In aleWh') ap. Laur.Sram. tom. i ; thim, 2 1 6. (secanti 2. .7. (d^ Tbrjn,
j. 4 Ì02 . Ad un emiiiente, fòttlÌ6 f cd amsiià
fì tfasferi- fce ; e perciò dicea San Girolamo * C^yche a luì efU un carter 6
la Ottà, ed un jPafadifo là Solitùdine i QUefto conofòiffltìnto pofcia.. >
Che acqiiifta IMìaoniO di fe medefimo ac- crcfce f motivi della confolaziorie
rendetido- lo fuperiore a quelle molte difavventufcj che infìdiano la
tranquillità della vita, pofciaCChè immergendo nella contemplazióne delle mi»
gliori cofcio fpirito fa * che el non ne fenta_* l* aggravio i onde a i Martiri
del ilio tempo ebbe a dir Tertulliano j(é)che t ninn dòlùrà fente nel »ef<uo
là gamba allorché tfattìenji animo in Cielo » Potranno però qui oppor» re
talUdi,ehe reca la Converfazione appunto Un tal giovamento a chi la pratica ,
mentre-» nella ^Icezza di èffa divertito lofpirkopo- tOf o nulla fente la
forzale la tirannia delle_^ Umane feiagUrC * Ma è qùi da rifletterfi effe- re
cofa molto diverfa il non fentir le miferie, e il non curarle ^ Pnò ben far la
Convérfà- Zione degli hàomini * che tìOrt lé fentiamo fCordandoCenC per allora,
ma non già « Cho^ le fupcriamo colla virtii^ alchè ne conduce-j felicemente 1*
efercizio di converfare talora Con noi medefìmi i lìfcito , che Ìlà P.hùom® dal
cohibrzto degPaltri tornerà torto a fenti- reil pelò di quelle miferie medefime
j deìleL> quali fi era fCordato ; ma 1’ huom di ritiro ef- ' fen-
«<i ,jr V f ¥.iNij|T|T|- I- fMi- (a) Rùjìic*
Cb')Lib*aà:Marijfr.c,z, Digitized by Google . .
‘0? fendofi f^er la cònteihplazioiìe del vóto bentf ad effe fenduto
fupefiore> quand’ anche fì rimetta fra al* altri pih non ne fentirà l’aina*
rezza aven^le già vinte Colia virtù , non.^ ndormentatc folo Colla feordania ^
So poi gli convenifle Combatterne laviolenza dinUo* Yó > lo ^rà fenza pena
perchè armato d* una vera collan^a i elfendo pur Certo > fecondo Arinotele i
(a^checìh y che fiadopeira per *uìrtk égtoC»»dot 0 per ìo mettùfenta taolejìiay
che apporti dolore . Rimane per quedo chia- ridìiBa la eonjolazioàe per altro inefplicabiiej
che ricavar puote ciafeuno dal viver talora-, in compagnia di fc medefimO
. • III. Ne minóre è il FruttOy che (*cC0 por- ta un sì prudente
efercizio , condUcendo 1* huóm di ritiro all* importantilTima Cognizio- ne di
Dio, la quale i per fentenza del profon- do Marfilio, (;é) aver non il puote
fenzalà^ ^ìinzi chis/fquey dice» defideracomfeere jDtOy primo Co»ofeafe
medefimd . Non v’ hi- chi non veda quanto gli iia neCellario il co.
nolciiticntodi Dio-^ Che é il noilfo ultimo lì. nCi ed'il principio ócììi vera
» ed eterna feli. cità, e per-confegUeniia quanto cara- èiter gli debba la
moderata ritiratezza, che diicopren- dogli il'baiTo, ed infermo elfer dio gli
mani, iella nel tempo medefimo la fttblimiiimaÉf. : G 4 ' • fen- .
Ciy^^hie.è.ié Cb) Ltk,q. de Tbeol4*l<tt, 104 fenza
Divirta'. Varitaggio poi noh puòdarfiy che fuperi quello. d' una tal
cognizione, men'v tre fcopcrta la bellezza d’ un oggetto sì puro infìeme, e sì
grande, non potrà l’ animo noti amarlo .adonta di quanto Cerca in terra al*
Iettarlo, e fludiar le maniere tutte per confe* guirlo 4 Queftò raggio pertanto
d’ avventu- rerà conofeenza ficcome nacque nella ritira- tezza dagl’ efterni
oggetti' difturbatori , in_. elTa conferverafll ancor meglio, e làrà l’huo* mo
per confeguenza. più certo di.goderne il prontto col tender. Tempre
dirittamente, al termine, della. vera Beatitudine . La confer- ma di ciò può
dedurfi da una fperienza fatta_> da i moderni Filoibiì, dovedimoHranó , che
ftando l’ acqua de’ pozzi nella Tua profondità non (ì altera , più calda mai
non divenendo j ne più fredda, come hanno ofler.vato calan- dovi! Termometri,
ne’ quali non fi è perciò veduto un minimo variamento 4 'Alzandoli poi l’ acqua
de’ Aedi pozzi àd un’ ambien- te men puro ora fcaldafi , ed or fi raffredda.,
. fecondo le diverfe qualità contrarie , delle.» quali s’ imbeve . Tanto
avviene pure nell* huom di ritiro , che dando feco deffo vivo conferva'fenZa
veruno offufeamento il lume d’ una raggia conofeenza ,' c lo perde bene.»
fpefìb . nei conforzio fmoderato degl’ altri . E d’ onde mai per vero dire
nalcèr polTono in huomini ancora di natura afiai compoda , ed inchinevole al
bene , tante contrarie voglie , tante difbrdinaté affezioni, éd in
fbm'ma tan<^ te perniziofe cadute, fé non fé da i varj cóftu> mi , che
dagli altfi in loro, qual fottìi vena d” acqua per Torte muro, penetrano
infcnribll» mente a viziargli? Che poi quello felicilTimo conofcimento di Dio
derivi dall* altro , chej uno acquilla di fé medcfimo,è Certo per quel» le
ancora , che fcrive Sé GioiGrifbftomo (<z) colui cottòfce bene fe JìeJfo ,
che nulla flimafi * Giunto , che fìa 1* huomo a conqfccre il prò* prio nulla
agevolmente follevafì coll’inten* dimcnto a quell* intera , e perfettiffima fo«
danza divina, in cui tutto contieni!, imparane do coll’ abbiezionc di fe
.medefima a mirar ciò, che ben comprefo può renderlo dovizio- lo, e pregevole .
O quanti , che tèngonfi per dotti; perderebbóno con^mòlto frutto la (li- ma di
fe m'edefimi , fe ritifandofi a confiderai re cofa eglino fieno capiflero là
miferia , che efagera Ugonej molti fanno molte coje,ed ignoranfe flejfi !
Vedendo quel- molto , di cui eglino fono mancanti , in vece d’ andar tronfi
tanto, ed altieri, s’appiglierèbbòno al bel con« figlio di Perfio , chefuona in
noflra favella ; Entra in te jìejjh, e vedi , . Che la tonaca tua
nongiugne ai piedi>(c^ Saggìlper quello folo fareboono , e perfetti ,
locchènon dee crederft punto Arano , dccifo aven- ’tfe
CognfuiiQy^^ib Jè ^ìim^Cc)Sat»^ 10(5 avendolo San
Girólaino CO «sollo ferivcrc ì qùeftàè PùHtQà perfezroae ì» tutte tofe .
conofcere bette la ptoptia mpet/ezh»e. £d iti fotti errano moltidìmi perchè
> o noti., veggiono. >. 0 hori.voglioha vedere ì ptopl? j difeùt, e nóii
ifcoprendotié la radice » che iìa nella cattiva difpbfizionc dell* animo >
d* affa.* ticaoó di fcUforgli i ed attribuirgli a certe ca* gioni ederne i
che-UUlla V’ hanno, di coJpa^ » afuggendo. così.- la nceeflìtà d’ ammendarli *
Difeorre fopra diqUedo alfop iblito Cotu* inolta fod^za il Mprale foCcndo.
Vedere ^ che peggiori de i ciechi ibiio Sì fotti hUominhme^ tre noti ci vedono.
> e ricUfon di piìi maJizioià* mente la guida .ì che hi, feri ve egli, (À)
cet- tatto chi gli CQtidùcàiHoi. erràado JettJsà fcdrttt dìctatnò', so tsott
fimo amhizhfó , ma tsiunopuò itiitetè ili Rom’ài diver/àmetste ■. fit.t/ott
jbttà prodigò , nè ficiàlMquatoret-mq làftejfa. Città èfige sfarzo,
ègMndiJpèfie . Pìott. e mio.^iàièi che io fià iraconda, kbé non per.àneo io .
abbia determìnàia ma èerta, , e j^a maniera di vi* vere, qùejlo Vhn dèdla
giovinezza , Ben ve* dell derivar qtiefi* errore dalla ignoranza^'» che del
proprio internò ha ciafohedùnal On* dje credendoli perfetto iti fe inedefitno
afCri* ve ad altri Jl loo Vizio -, ne punto dimali bilb*« gnOlb di
corrczioUe> e ber ciò dilfe benillinio San 4 •
, ,'*oy Sali BcriiardòjCiO éhèf P igno¥arife fleffo ca- giof/d
ftipèrbia » Gonvierie pCròj che 1’ hiiom oi fenno> temendone una pcitinia
CónfegUed- ■za, confonda qued^altere^za inolia fegola^^ di San GrcgoflòJ ibi
ifuól eo/tòfeere quaic^ ^glijtà, dee ledete qu&lè egli dòn è> Da quel-
lo , che Vede degl* altri dì bilònd potrà cònd- Icerc quanto a lui tìtaiida j t
provvederfeneL^ «Ila idcglid y credendofi iinperfetto per que- ìloalniend j che
inai lidri fapehdo id altri ini' ihiiare il bene raccoglie iblamenie il
tnaleL>i Hcco la rovina di mólti Ibdperta nell’ òrigià Tua 4 i quali nód
volendo riflettere in aleu;t> tempo Tovra difCi de Uiifurarlt eoll^ altrui
jjaragòne, mai non s’ indueono a cangiar eo« ftUmCi e àuejìùy Così lo Conferma
Seneca < tifa pejftrdì y che nìtino rimirà ìa fua vita 4 Precipita, Volea
egli dire i feniia ritegno iìi^ Ogni vizio colui j che lafcia di confiderare^
il jproprio interno per migliorarlo , men- tre non Vedendone la bruttezza
neppuroi^ mette mano « o a torla j o a corrcggerlà, •Come chi non avéiido
fpecchio per rirairarfi non può ripulire il volto, dà quelle macehie, che lo
deformano eflfendogH ignote < Saggia- mente perciò Tenti va Ariftotele (d)
dicendo, che avendoci la Natura prodotti in forma da , non a
(*a) Sup. Cani. Serm. 274 (b) Vtb, inÓYdh fC) 85 4 (d> 2<
iò8 non te ai fpecchj , dove fcorgendo ognuno V immagi.» ne di fe
medefimopu^ ripulirfi commoda- mente, ed acconciarfì . II fimile dee fuccede-
re nella cura ancor dello fpirito per dirigger- lo con ottima difciplina , ed
il Cridallo per mettercene fotto gli occhi le qualità è la ri* fleflìone, che
fa Ibvra di fe egli lìeflb. , come:^ infegna il fovracitato Ugone : (_a) lo
/pecchia primario perlfedefe è P a/timo ragioacìfolcut» che rimira fe medefimo
. fiifogna dunque, che abbia la perfoua il fuo tempo d’ attendere ad tina sì
rilevante* e profittevole rifleflione, ca- vandolo dall’ abulb di ftar Tempre
converfan- do con altri * Allora fi vedrà togliere da fe le viziofe macchie ,
operare con rettitudine, ed adornarfi delle virth morali , e criftiane , a_*
guila delle Conchiglie , che quanto piCt foli- tarie fono , ed efpofic al folo
influfib de’Cieli» partorifcono perle più belle, e più pure-^. Quando poi altro
frutto non recafle la ritira- tezza, che l’ affezionarfi l’ huomo allo fiar fa-
lò, picciolo ei non farebbe, e Seneca (Jb') fcri- vendo a Lucilio fopra il
propofito di non sò qual filo Scolare: cerchi^ dice, quanto egli ab^ hta
profittato ? Comìftcìò ad ejfere amico difff fìel] o: molto ha guadagnato’, mai
non farà fola» 1-V. , Quin- - *■ ■■WipuiWMIi !■ .MI . ■■ J ■ ■ ' .
tm (a^ Didafc, c. 3. (b) Ep. 6* - « ' ’ òtefci irtifrar là
faccia, ha fiippIiitoTAr- un tal difetto Col ritrovamento de i
Digitized by Google IV, Quindi nafce ben manifeda la Stcu-^
rezza, che loco porta il ritiro , mentre la co- gnizione di fe, e di Dio,
conduce a quella an- cora degl’ altri , che tanto giova ad ognuno , e
fpezialmente a chi vive nel Secolo . Tutti i C?ni correvano a quel famofb , che
dipinfe_> Praflìtele , e perchè vivo il credevano face- vangli intorno all’
ufo loro mille fcherzi fe- Aofì, da una morta , ed ingannevole tela non
diltinguendo un’ animale della propria fpe- zie . Così vediamo accadere ben
fpeffo in^ moltilhmi, che s’ aflfezionano, e fortemente s* attaccano a cert’
uni giudicandogli huomini capaci d’ una vera, e leale amicizia, ed ingan-
nandoli ne ricevono poicia un danno incre- dibile, difcoprendogli in fine i ma
fenza frut- •to,'per beftie irragionevoli , in cui altro non regna^ che l’
interefle, l’ invidia, e la frode-» , E chi fenza lume di buona Filofofìa non
cre- derebbe, che amicizia do velTe dirli quella del Cane , il quale tanto
accarezza il fuo Padro- ne, e tanto il commenda in fuo linguaggio pel cibo, che
ne riceve , e sì fedele a lui fi mo- ftra , che fembra voler vivere , e morire
in_* fua compagnia , come pure di quello sì cele- bre del Re Dario i che al
cadavere di lui ab- bandonato da tutti alTiftè per più giorni, feri- vo 1’
erudito Eliano ? (a) E’ pure è codefta-. una (a) L/ù, 6.
Hijìor. Animai, femplìee. pjiflione , c4 wn affetto mera» niente
fenfitivo ^ ebc.dipefì iftinto » pon aroi»; cizia à* amort! elettivo, e
ragionevole , Am^ il Cane per intereffedel benefizio , non per»-, chè amato eifiveggia;
e fe perduto un Pa-i drone ricufa talora , ed i veazi , ed ileibo per altr^ non
comprendere^ ohe il^oiJdo poira fargli lo fteffo bene , che ei riceveva
dal primo • In fatti fe ne vedono tanti t che di cafa jn cafa paffando
fcordahft ben preftp.del primierojcHe più non vedono ^ e fanno, le flcITe
amorofe finezze; al nuovo cu* ilode » in feguito d'’ Ariftotele > e de' più
fani Filp^fi ) eoa! decide jl Jefauro r (n) Ora fuc* cedendo più fpeflìfljmo
anche negli buomint» che amando per intereffejO per altra vigliac* pa mira
>• fono fingitori di bugiarda benevo* lenza > dee vegliar mpito P h^mo
accorto per difcoprirgli a tempo » ©prima ammet- tergli alle ponfidenze , ©d al
fegreto del cno? ye . Fgli è dunqi^^® d' uopo > chc fi oflenrino da lui in
convcrlàndo i coftumi.j 1© qualità» Q gli an^menti di mólti » © che ritirandpfi
po- feia a rifiettervi alquanto fbpra , fcelga que* gli , pive dopo una lunga
> e ben p^ur» pon- derazione gii parranno tra i buoni i migliori» c tra i
migliori gli ottimi- • Q.nefto non può farfi mai bene fra il tumulto
della moltitudò ne (a) lilf. zof P'ilof. fttoral. c. j.
. nc in regnando II ?llbfofo,C«)0he cizià CQttvhn fuggir e ^ Impeto
dell' amorc^, ' il quale prepiiifie il giudizio, e lem lapode- Jìà di prottaré
. Un amico trovato acato di rado riefccbMono* oriuféendo, non è mai con lode d|
chi lo fcelfe,perchè impetuofo ef- fendo l’amore levò tntto il merito ajia
ragio- ne di eleggerlo con prudenza' , Js^on lafciamo' di notar qui la regola
di quel gran Principe della Morale per icierre giudiaiofamente gli amici cavata
da quattro qualità contrarie al- la vera amicizia; CA) atti , egli dice non
fono d quffto coloro , che troppo hanno d' iracondia , d’ $ncofanzd,difofpetto
,c dÌVerbofttà. Sic-r come poi non v’ ha peggiór difgrazià , che-i quella di
feiegliere cattivi amici» così non v* ha migliore fortuna, che quella dj
faperfi im-' batter ne* buòni» mentre non v’ $ ricchezza , ehe la pareggi ,
Quindi Platone difletCc) vor~ rei pià tójìó a</ere un' amico buòno , che
funi i t efori df Dar io i Sicuro potrà benCrederfi dalle terréne miferie chi a
tanto giunga, poi- ché fe ognuno' eifendo amiciflìmp dj fe mede- fimo'
naturalmente pni) dirli un' Argo di cen- to occhi per cuftodirfi , tfoyato poi
, che ab- bia un vero amico , il quale fu diffipitp , ùfd àltro fe jleffo ;
potrà vantarfi giu(iamente_» d’ (a) Ub. 20. Filof. maral,
lo.(c) Ibìd. 3. (bp 5. Ethìc. c. n* 4’ avere alla
propria' difefa radòppiata laJ guardia . Da ciò un* altro gran bene deri* va,
ed c il faperfì allontanare a fuo piaci* mento da i molti pericoli , che s’
incontrane fovente nella pratica de i cattivi , come piò ditfui'amente diremo
afuo luogo. E* quella^ una fpezie di fìcurezza ben grande , ma non.* conofciuta
da quegli, che invaghiti fenza ve* runa moderazione del converfare non fanno
rilplverfi a ftar mai foli, onde. con viengli. confagrare a codeflo genio
indifcreto i van* (aggi d’ un opportuno ritiro, e d’una pruden* (c
perquifìzione dell’ altrui naturale , e per* derfi, dirò così , bene rpeffo in
ceremonia, ee. per aonplimento. A cip mirando il gran Dot* tore Sant* Agoftino
lafciò a tatti quell* utile documento f (m_) mffo alla falvezza è cqnve* piente
la folìtud'taéi don;e no» trovafi Évo-» p che per/uada, o altra femmina. , che
lufihgbì , . E chi non vede , che feco medefimo conver* fando l’ huomo
faggio è piò ficurp d’ operar bene, lungi tencndpfi da quelle prefenti oc*
cafioni , che tanti contra voglia ben anche.* inducono al male , come fcorgelì
appunto nel Sole , che fe con certi Pianeti non è con* giunto con maggiore
benignità, e piò perfet» jamente influifcc ? Non può dunque negarli grande
effere la Acurez?a,che in si fatto efer* ci* (jA')Ser, 1
.Per./^-pofl.J)om.2. ^mdrag. Digitized by Gcxqle clzio
ritrovafi , e che infbmmo necefiario' perciò egli fia alle perfone ancora d’ un
na- turale ben docile, ed inclinato al bene per ac- quiftare una certa
prontezza di ritirarfi to- lto in falvo , quando s’ incontrino certi olla- coli
, che polTono cangiarne l’ indole affatto .• Se vediam tutto giorno , che
alcuni venti ri- • pcrcotendo nelle oppolle montagne diven- gono contrarj a fe
medefimi , cambiandoli per efempio il Levante attefa codella riper- cuflione in
Ponente : perchè non potrà acca- dere il Amile con anime anche innocenti di
mutar natura imbattendoA. incerti impedi- menti , che loro contendano il corfo
nel di- . ritto fentiero della virtù ? Sarà per tanto ad effe utililAmo l’
addeftrarA a fuggirne P in- contro, come le Tartarughe , che deludono , in fe
medeAme concentrandoA, Paffalimento ■ de* -loro nemici , e non oAinarA a voler
vin- cere con un incerto contrailo , dove è più A- curo colia fuga il trionfo .
Per far quello non bilbgna immergerA tanto nella Converlàzio- ne , che. ne
rieìca difficile nelle giufle occor- renze la ritirata , ma pigliandone quanto ba-
lla , mantenere una certa fveltezza di fpiritOt che fappia ufcirne
opportunamente, e ridur- A per lo meno all’ indifferenza di converfare,
occorrendo, o con altri , o con fe medeAmo . Chi vorrà troppo ingolfarA nel
piacere di Tempre divertirA fuori di fe, potrebbe forfè-» ridurA alla fvcntura
dello Spinolo, di cui feri- H vefi. 114 vefi > che
mirando caduti folto degli Alberi molti pomi tanti ne infila nelle acute Tue
fpi- ne per portargli alla tana, che improvvifa- mente colto dai Cacciatori non
può'per quel pefo metterfi in fuga veloce , edòprefoper tradimento della Tua
propria ingordigia . La mifura in tutte le cofe non dee prenderfi dal- r
appetito, che mai non faaiafì , ma dal lurme bensì di ragione, che non al
prefente folo,ma all’ avvenire ancora mirandoTegola tutte./ le azioni a dovere
. V. Uguale a quelli vantaggi farà quello ancor della G/or;<i', che
dalla ritiratezza ri* donderà nell' huom fàggio , prelTo almeno di quelle
perfbne , che valutano con rettitudine di giudizio , e ponderano con maturo
eiàrae le operazioni d’ ognuno . Egli è fenza dubbio' un pregiudizio notabile
al buon concetto df un huorao di conto il vederli, che mai ei non fappia vivere
feco ftelTo , eflendo contraflfe- gno d’ animo vuoto , ed in cui punto non' ha
di forza la riflelTione, che è la regola del ben vivere . Le deboli Piante han
bifògno di ap- poggio, ma le forti lì reggono da fc medefimc in piedi ; così il
Savio per la propri^conten- tezza noli ha Tempre d’ uopo degli altri , e la
rinviene, quando voglia, dentro di fe: laddo- ve l’huomo leggiero per
divertirli ha bifo- gno d’altrui, come appunto la Luna, che non là rifplendcre
, fe non è Tempre col Sole_> . Somma per tanto farà la gloria , che
acqui- foe- .. DIgitized by Google tlj
fterafll ciafcuno col lapcr Ilare alcuna volta feco mcdciìmo, dando a conolcerc
d’ avcre_* un tal capitale di foda virtù , e d’ interiore-» pienezza , che meno
foto ei non (ìa mai d’ al- lora, che è più folo . Tutto fuo in tal cafo po- trà
dirli quello fplendore, onde comparirà arricchito; e fe le Colonne , e Guglie
più ce» lebri non hanno mai Aima , fenondivife da i Monti, ne quali furon
formate, così l’huomo non farà mai più ragguardevole , nc tenuto in pregio
maggiore , che quando faprà fepa- rarA dalla moltitudine, e non per tanto vi
ver- fene lieto nel fuo ritiro. Chi vuole fperimen- . tare la preziofità del
Diamante lo porta allo (curo , dove egli riluce a-meraviglia . Non c gran fatto
lo Aarc allegro tra gli altri, come non lo è il parlare tra molti ; ma Accome
il dilcorrere allorché tacciono tutti è affai diffi- cile t ed il farlo bene è
gloriofo in ffimmo ; così è molto plauAbile quella ilarità, chc_» mantienfi
lungi dal comune divertimento. A certuni , che A piccano d'- effere le Colon»
ne , ed i Luminari maggiori delle Conver- fàzioni , ma che tolti da effe
raffembrano pe»- A:i fuor d’acqua, potrebbe dirA ciò, che al fuo CauAdico , il
quale gracchiando fèmpre nel tumulto de’ Fori non làpea Aior di colà aprir
bocca, diffe Marziale con lepida acutezza , e-« così torqa in noAro idioma..
. H 2 DIgilized by Google Ìi6 «
§l^ttqndoogttun parla, l^evolo, hai gran lena, li qUul prode Avvocato mai non
queti ; Dunque ogn* un del Saver trovò la vena . Or parla un pò, che
tutti fianfi cheti . (a) Voi , potria lor dirli , che allegra tenete la_.
brigata con sì dolci facezie , e con motti sì ameni , divertite un poco voi
(leflì dentro de' voftri Gabinetti , ritenendovi parte di ciò > che ad altri
sì largamente difpenfate . All' occhio del volgo parerà , io noi niego, che_» *
nulla faccia l’ huom .ritirato ; ma allora ap- punto farà alTainìmo,c fu
fentenza di Seneca: ih) maggiori cofe operar Ji da coloro , che. mo- Jìrano di
nulla operare. Égli.c ben meglio far- li uno dalla Plebe tener per oziolbnella
riti- ratezza , che l’ eflerlo veramente nell’ abufo d’una Converfazione
continova; oltre di chè non v’ha lìrada piti ficura pel difpregio,che 1' efler
Tempre fugli occhi di tutti;(c) vile reu- dendoJi,tì\ parere dello fteflb
Morale, ciò, che fetnpre è palefe . Difle pur bene una Donna di fpirito i non
ha molto , ad un mio Cono- Icente , che non fapea vivere fuor.del diver-
timento ; fe finifje V ufo del converfare , Voi » Signore, non averejìe pià
Cafa, poiché vo/ìra unicamente è divenuta quella degli altri . Un’ altro più
ftabile, fondamento ancora di vera gloria ha nel ritiro l’ huomo difenno
, cd (a) Epigr.^S. (b) Ep. 6i. CO Ep. io.
DigHized^y Google ed è la fmcera cognizione dei proprj
difetti , che nafcendo in lui dal riflettere fovra fe ftef- fo, lo tien lungi
dall’ oflervare gli altrui , co- fa della quale non può darfi piò
fgradevole_> tra le Pcrfone civili , e che porti maggior di- fcredito a chi
la pratica . È proprio , diffe_^ Tullio , (a) della fioltezza mirareivizj degli
altri , e fcordarjl de i fuoi . E’ queflo indizio d’ una cecità lagrimevole ,
volendo farla uno da cenfore fovra di tutti , quando egli piò d' ogni altro ha
bifogno di cenfura , e men ridi- colo ei noli diviene di que! prefuntuofo , che
avendo,’ fecondo la parabola Evangelica , Qb) un trave ne i fùoi, fcorgcva , c
condannava-, le paglie negl’ occhi altrui . La bella fcienza >di faper
fcuoprire ne i Compagni ogni neo, c trovare,‘pome , dicefi per proverbio trito
, il pelo nell’uovo, nafcc dall’ignoranza , foggiu- gne lo fteflb
TvL\\\o,(c)metre l' Attimo , che a guifa delP occhio, non vede fe flejfo, mira
le^ altre cofe . Se dunque la ritiratezza pratica- ta a fuo tempo , e con
difcreta moderazione , conducendo cialcuno a penetrar bene le in- teriori fue
qualità lo ritrae dall’ odiofo uffi- zio di critico, e di mordace, gli
acquifterà an- cora nel Secolo una gloria ben diftinta di prudenza, e di
contegno, che amabile, e gra- dito lo renda in ogni luogo . Unito
pol'cia_* H I agl» Ca-) 5 , Tufcul. Cb) Matth.'j. 3 . (c) i .
Tufcul. « 1 18 agl’ alti*! predetti di
Confolazione > di Frutto e ài Sicurezza i quefto guadagno ancora d Gloria,
io non fo vedere, chi leriamente con- fiderandolo pofla non invaghirfcne , e I*
ideal pena chimerica difpregiando j che in ciò fi figurano le Perfone di corto
intendimento, non voglia d’ un sì gran bene, e sì manifcllo, provvederlTadogni
collo * Dei DigiUzed_b^^oogle * •
II9 Del Luogo di Converfare . CAPO IX. I.'P Atta , che averà
fi Savio la determfna- X/ zione di converfare tal’ ora fecome- dehmo dovrà poi
mirarfi bene d’intorno tut- ta volta, che fi rimetta fra gl’ altri, e
fpiare_> con attenzione il luogo , che fceglie pel fuo divertimento . Lo
Scaligero , e l’ Aldovran- do raccontano («;di certi uccelli delle Mo- lucche,
detti di Paradifb, o Manucodiate , da i (^uali traggonfile vaghe penne per i
cimie- ri , che vivendo fempre in Cielo aperto e_> pafcendofi di rugiada ,
perchè avidi fono d’ abbeverarfi tal’ ora nelle frefohe acque de’ fonti cercan
di farlo con tutta cautela, man- dando avanti uno di loro come indagatore di
quelle infidie, che temono: onde i Cacciatori porti in aguato , partito il
foriere , fpargono di poflente veleno le rive de’ rteffi fonti, e ca- lando
l’intiero duolo ne fanno preda . Non,, dee per tanto badare all’ huom di fenno
una diligenza mediocre per pofare il piede in^ ogni luogo con ficurezza ,
perchè i pericoli di contaminarfi non fono pochi , ne piccioli in un fecole
fpczialmente a nortra confufione sì libero , e sì corrotto . chi non fi guarda
$» H 4 Cf. T.^']Ap. Scot. P hy f, Cur. p. z.l, 9. e.
55. 120 efpone a i ladronecci, poiché infogna lo Spi- rito
Santo fa] che dove non è Jiepe il podere faràfpogUaSo : e chi non ha l’ occhio
al piede farà prefo , eflendo lo ftelTo in materia di fa- viezza, c di
continenza , fecondo 1* avvilo di Giobbe: [b'] il metter piè nella rete, che il
ri' manervi. Ne dovrà l’huom prudente, cui prema la propria falvezza, annojarfi
d’ una_. cautela si nccelTaria , quando il trafcurarla_. in grazia delle
fedotte paffioni può rovinar- lo ; e fc ciò l'eco porta qualche poco di pena_.
è ben meglio, dice il Tritemio, [c~\ fuggir Poc- cajìone , che perderft
incautamente . £ trop- po è certo un tal precipizio per chi non invi- gila
allacHllodia di fc medcllmo , e fenza ba- dare dove s’ impegni s’accomuna con
tutti indìRintamente; c fe fu errore di Plinio il di- re , [rfl che palcendofi
d’ umor terreno le_» ftelle vengono per elfo a macchiarfì, ò bene-» verità d’
infallibile efperimcnto, che s’, attac- chino all’ uno fpelTe volte i vizj
dell’ altro , come cantò il Poeta : Tiìt che pepe mortale 'S*
attacca il vizio frài compagni ,e il male fe') c che un buono cangi
miferamentc natura fo- . . . , Io . • fa]Ecc/.g6. [bl c. de
7ent. Relig'. 'c.i o. Cc] i8.[d] Lib.i.c.<)\[c'} Maria:
Digilized dy Google 121 lo per bazzicare in
luoghi Ibfpetti di colpa-. > come vediam nelle compleflìoni , che ottime
eflendo in un aria falubre, guaftanfi affatto in un’ altra, che fìa cattiva .
Ne io fo perdonar- la a coloro, che ben conofeendo i pericoli, a i quali s’
efpongono, fi fan cuore col giudicar- gli minori della propria coftanza nulla
mi- rando alla confuetudine , che grandi gli ren- de, e formidabili . Così
rifpofe , allo fcrivere di Laerzio , il buon Platone ad un fuo difcc- polo,(fl^
che forprelò da lui nel giuoco feufa- , vafi di praticarlo , perchè era
leggiero : ISIon difle il ¥ì\oioÌOy leggiera , e piccola cofa la confuetudine .
Le infermità non fi contrag- gono tutte in una volta , ma cominciano da->
certe piccioiilTime difpofizioni , che non_. curate a tempo fottomcttono ogni
tempcra- . mento più forte , e piìifano . Il feme de’ vizj . non ifcorgefi,
tanto è minuto ; ma dove nafee ,di rado muore, a guifa delle cattive erbe, che
.leminate a calo crefeono fenza cultura , ed aftogano a poco a poco le biade migliori.
So- verchia non farà mai l’ accortezza per allon- tanarfi da quel terreno , in
cui allignano le_j corruttele, perchè fe dove nafeono i venti fo- no più
gagliardi, e pefanti , a fogno , che nel Settentrione , al riferire d’ Olao
Magno , alzano in aria i tetti interi delle cafe , bench di
(a) Lìb. 3 . (b) L*b. i • e. j.. (X" 1
122 .di raddoppiato piombo coperti, maggior for- za per atterrare
la virtù averamio ivizjnci luoffo, dove fiorifeono, quantunque lacollu- manza,
e il depravato genio , non ne lafcino interamente comprendere la violenza .
Se_> efaminar volclfero da i principj la ferie di lor cadute quegli infelici
, che perderono l’ inno- cenza nella perniziofa lubricità del diverti- mento,
ritroverebbonojche piccioliffima fu 1' origine d’ un danno si grande , e che l’
inav- vedutezza d’ avanzarfi in ogni luogo fenza_, riflelTo fu la (ùrgente di
lor miferia . Nulla_. fembra a chi lo fcan(à un palTo precipitofo , ma è
cagione di mortale caduta a chi noi cu- ra, e fe poco ricercali per evitarlo, tutto
non balla pofeia lo sforzo per rilevarfene . Guar- difi dunque bene al piede
chi faprofelfion di prudenza , e non cammini fempre alP ufo de- gli Aftrologi
col capo in alto , perche fdruc- ciolando averà il danno, e le beffe , come av-
venne aTalete, che effendo caduto in un_» pozzo mentre contemplava le (Ielle,
cosi dal- la fua fantefea fenti deriderli : meritamente^ ciò t'è accaduto,
mentre ignorando quello, che bai damanti al piede, *uuoi tutto giorno gir fpe^
calando per conofeere il Cielo . [a] Quella.- è la condizione del mondo
ingannatore , non v’ elTer pur uno , che avvili agli incauti il pe-
ri- (a) Baecon. Digillzed by Google *2?
. ricolo, e biirlarfi poi tutti di chi vi cade . Mi- glior configlio è
pertanto il farli tenere di corta villa coll’ efaminar bene la ftrada , che s’
ha da battere , chefentirfi beffar come cie- co dopo d’ cfler caduto . Io direi
a chi lla*^ per fcicgliere il luogo del fuo divertimento ciò, che difìe con
flemma piccante un huomo arguto ad un certo vecchio , che in leggendo voleva
comparire d’ acuta villa , lalciando gli occhiali ; è meglio leger bene con gli
oc- chiali, che fpropojitando fenza di ejfi farjì credere un' ignorante . E’
affai minor male_» il farfi burlar dagli fciocchi moflrando una^ tema prudente
di quelle inndie,che vogliono evitarli, che dar da ridere a i Saggi incappan-
dovi, come Tuoi dirli ,all’ impazzata , li. Ma veniamo alla maniera di
prende- re come il faggio di quel luogo , dove li può converfare con ficurezza
. Io lodo , che in., quello niuno fi lafci guidar molto dall’ incli- nazione,
che fovente è fofpetta , e fuol dege- nerare in amore dilbrdinato . Quando
nell’ . indiiferenza di eleggere la Converfazione;^ ■fentirà la perfona un
forte (limolo d’ attac- carfi pili ad una , che ad un’ altra , dovrà efa-
minarlo affai bene per vedere fe mai y’ avef- fero alcuna parte lepaflioni per
invaghirne- lo, e fpczialmentc l’ amore , che di tutte è la_. piò Icaltra , e
la piò (ina . Pure elfendo ella.* ilrepitofa, e tumultuaria, non è molto diffici-
le a conofcerfi , per mezzo dei movimenti in- ter- f
DIgilized by Google 124 terni, mentre ha, dice S.
Agoftino , (o') og»* amore la.fua forza , f/e può fare in ozioneir amante .
Confiderando addunque la cofa cor» pofat'bzza convien fuggire quei luoghi ap-
punto, che effendoci per riflefib forfè a qual- che oggetto particolare piò
grati, fono anco- ra più nocevoli, e liberarli valorofamentc da ciò, che
allctta per rovinare, come il Polipo, che abbraccia ftrettamente per Ibmmergcr-
lo il Pefeatore . V’èquì dimeftiere, cheP huom di fenno abbia un buono , e fino
odora- to, ed a guifa de* Cervi , che fiutando per do- ve palTano attentamente
a fe tirano i Serpi , e gli uccidono , conofea all* odore il nafcolb veleno, e
lo rigetti . Oltre ad una si veglian- te , e s\ necelTaria ponderazione farà
ben fat- to , che ognuno li regoli in ciò coll* efempio di quegli-, che nel
proprio rango fono tenuti comunemente per i migliori, ed elegga.- quell tiogo ,
in cui li divertono elfi innocen- temente , e con lode . Quivi ei potrà viver
licuro , perchè dove il clima è perfetto non fi contraggono cattive
difpofizioni, e quel luo- go, che o fa,o mantiene buoni i più, non è mai per
nuocere ad un folo , quando ei non vo- glia maliziofamente abufarne . Rapporta
il prenominato Olao , che nelle parti della Fimmarchia Settentrionale i Pefei
confer- van- (a) h Pfal. 1 2 1 . (b) Lìb. i ,c>. 2,
vanfi intatti per Io fpazio di dieci anni leccati l’olo all’ aria, che è
purgatiflìma, fenza verun condimento di fale.Tanto avviene ancora, Cal- va la
Tua proporzione , agli huomini di buon coftume, che fi divertono ih luoghi
oncfli,e_> purgati da ogni viziofa infezione, confcrvan- dofi netti , ed
innocenti come v’ entrarono . E’ qui da oflervarfi ciò , che vcdiam nel Cri-
flalio , o come lo chiamano iFilofofi, nello Specchio uftorio , il quale unendo
i fuoi rag- gi nel bianco non incendia , ed unendogli nel nero, o in altro
mifio colore , tollo v’ attacca la fiamma . Eller può quella una ben degna_-
immagine della favia Converfazionc, che fa- cendofi in luogo ficuro , e con
perfone di co- llumi candidi, e puri, illumina bensì, ma non accende, c tanto
fucccde appunto nello ftclTo Criflallo, che riflettendo in un bianco perfet- to
lo fa rifplenderc per tal maniera, che l’oc- chio può appena fofferirne il
raggio , eppure, c sì lungi dall’ incendiarlo , che ne tampoco il rifcalda .
Quindi vien poi 1’ allucinamento di certi huomini maliziofi,che mirando alcu-
ne di quelle Converfazioni sì luminofe , ed’ un’ invariabile contentezza sì
piene , e ricol- me , non fanno capirla , ed avendo fugli oc- chi per altrui
modellia il millero di Mosè C^') nel Roveto , che ardeva lenza abbriigiarfi ,
. . non (a) Exod. 1 non lo venefan
già , come quel Santo Profe- ta , ma lo condannano , perchè non l’ inten- dono,
e lo rimproverano per quello folo,che non s’ alFomiglia punto a quel delle cale
lo- ro, dove ogni favilla fa incendio . Felice può ben dirfi chi in tal guifa
convcrfa , mentre.» dal luogo , che ha Icelto prudentemente per deliziarfi
paffa con ficurezza a quello dell» eterna giocondità , dove goderà fenza
temii.^ di perderlo il conforzio degli Eletti . III. E per non ingannarli
in cola di tan- ta premura potrà l’ huom Savio rifletterei»» pih addentro fovra
di fe medefimo , ed qlFer- vare fe il luogo , dove converfa gli toglie al- cuna
di quelle buone malhme , che nodriya.. prima d’ entrarvi , c fe gf impedifca il
rice- vere il Iblito lume delle divine ifpirazioni pel buon governo della fua
vita . Ogni altera- mcnto in quella materia è Ibfpetto , e ricer- ca Ibllecito,
ed opportuno riparo . Finché la Luna è in pofitura di ricevere perqualche.»
parte il lume del Sole non rimane affatto ce- di (fata , anzi quando ancora,
pofla ricevere^ qualche raggio per rifleflb della terra illumi- nata da quel Pianeta
ritien pure alcun poco di luce, ma la perde del tutto quando fuori d* ogni
rifleflìonC' de i- raggi folari è dalla terra i iiteramente coperta- • Qtiella
debbe efler la regola di chi frequenta i paflatempi ; aver ben.Focchio aperto
fovra, dd.proprio Inter- no, c viver ficuro fin tanto , che veda o dirit-
Digitized by Google 127 tamente, o per rifleflb delle
perlbne , colIe_> quali ci pratica , il raggio della divina Gra- zia, che fi
ricava da i fanti' penficri, dalle bra- me della virtìi ,• c dal conofcimento
delle ve- rità eterne;’ fuggendo rifblutamente , comc_> if buon Lotte dalla
patria- infame, da quel luogo, fbvra di cui rifplcnder non veggia in_, alcuna
maniera* codefto lume . Sarà certa- mente miracolò, che quivi ci nonprecipiti
feguitando a praticarvi ; ne io crederò mai-, che alcun- huom' di giudizio'
foifra fenza ri- morfo di vederli mai Tempre in'pcricolo affi- dando la*
propria falvezza ad un incerto prò-* digio che egli* punto- non merita di
vedere ♦ Miracolo pure fu- creduto dai Greci', che_* Achilie allevato da’ fuoi
piò teneri anni fra:^ le fanciulle imbelli', perchè effemminandofì non
rivolgefle l’ animo' alla milizia , crefe ia- to pofeia in età s’ appiglialfe
piìi torto- alla_- fpada, che alla conocchia , e più-gli piacefle_r 1’ elmo*,
che gli Imanigli . Madi quelli pro- digj noi ne vediamo di radiflìmo ,
dimortran- doci tutto di' la fperienza, che gli andamenti di
ciafchedunofbgliono eflere Tempre fomi- glianti al luogo-, dove egli converfa ,
verillì- mo eflendo 1’ antico proverbio ; dtmtnì'dove abiti , e ti dirti chi
fet . Grande è fenza dub- bio'I’ errore di chi penfa portare la propria
innocenza a falvamento lungi da Dio , quan- do neppure dopo d’ una tal ritirata
è ficura_. la (àlvezza del corpo , onde ftupiti i Marina- Digilized
by Google V 128 ri , che guidavano Giona
(a") dal fentire , che ci fuggifle dalla faccia di Dio lo gettarono in
mare dicendo; come hai fatto quejìoi Forfè ti penfi , così ne interpreta San
Girolamo i fen- timenti , dì poter nel mare fuggire dal Fa- drone del marcì
Invoca del miracolo , che aipcttano coftoro di ftar faldi nell’ occafion_. di
cadere, dubito, che fentiranfi venire ad- doflb il flagello d’ un terribile
abbandona- mento , per cui lafciati , fecondo 1’ Apoftolo, (b') in preda a i
dej/derj del proprio cuort^ , anderanno fenza alcun ritegno in rovina ,ed in
precipizio . Da quella gran verità , che_» tutti fempre aver debbon prefente al
penfie- rojpotranno apprendere fpezialraente i Gio- vani la neceflTità di ben
cautelarfi- in cofa di tanta premura , é non gettarli a nuoto in un acqua , di
cui non veggiono il fondo . Non_. è il divertirfi,che fia biafimevole, o
dannolb, ma il farlo fenza configlio in luogo , dove la_. virtù , ed il
contegno pericoli a fronte del fuo contrario più forte, onde fia certo il rile-
varne un pregiudizio graviflimo : « • , Che il provocar quel che è
piìtforteì all* ire > Fiùy che coraggio, è temerario ardire .
(c_) ^ • Così a tale propofito può dirli col nòllro
eru- ca) r. 1. ^.hìc.Qo^AdRom, i, CO Canto i. Digitized
by Google erudltinìmo Compaftorc Enotro Pallanzio’, cioè
Mar.Cavalierc Viticenzo Piazza , e nel filo vaghiffimo Poema di Bona
cfpugnatà,che tanto è più pregevole , quanto , che fù par- to della fila più
tenera giovinezza . Convien pél* tanto immitare in quello la vigilanza-.
de’Condottieri d'armata , i quali in ftraniero paefe mai non s’inoltrano , le
prima , come-» elTì dicono , con guardie avanzate non rico- nbfconò il terreno
, e farebbe nell’arte loro uno sbaglio affai grande l’ impegnarli col groffo
della milizia in parti prima non bene riconofeiute , ed attentamente offervate
. Qui è perciò da notarfi un’inganno quafi co • mune , per cui credendo
moltiffimi di pecca- re in convenienza troppo efaminando a mi- nuto alcuni
luoghi di pubblico trattenimen- to vi metton piede alla cieca, e tradifeono fe
medefimi per non mancare ad un vano ri- fpetto degli altri . Abbiamo nelle
làgre_» Lettere , che a Mosè C<*) attento condottiere delPopoIo eletto,
benché s’incamminaffe alla Paleftina , terra alai promeffa da Dio, co- mandò
egli lleffo , che mandaffe avanti al- cuni Vifitatori per riconofccrla prima
d’in- trodurvi tutti gli Ifraeliti . Andate , diffe-» loro per tanto Mosè , C^)
e fatiti alle Mon- tagne eonjiderate il Paefe qual Jia , ed il Po- I poloy
Ca) P/uia, ij.g.Cb) io. *39 poh , che abita ,fe forte
> o debìh'ife pocot 0 numerofo : la terra medefima ,/e buona , a cattiva t
le Qttà , come fieno yfe cinte di mu- ra , ed aperte ; il terréno tfe fertile ,
o fieri- leije abbondante di alberi , o no;, fatevi cuo^ re , e portateci
qualche frutto di quel Paefe» Se Iddio non «veiTe fatto un tal cornati» doto
confeiTo , che. troppo fcritpolofo preci(g tni {aria parato Moaè nel ricerca-
re tante previe cognizioni d’un luogo,che preparato avea il Signore per
conforto, e per delizia di que'fuoi Popoli. Ma giacche' la cofa è $ì chiara , e
sì certa, ne ricavo un., gran documento per quegli , che debbono eleggere il
luogo da tratten’erft , e gli per- fuado ad informarfene con premura prima
d’entrarvi : che fé Iddio non s’otTende punto anzi vuole, che Mosè efamini sì
attentamen- te un paefe , che egli prepara al Tuo diletto Popolo , tanto meno
potranno aggravarfi le pérfone diferetc , che mifuri bene i {iioi paiTì , e
tenti prima *1 guado chi .vuole in- trodurfi nelle caie loro per favie , che il
deggian fupporre, e ficure. IV, ^ qui parleremo pili a lungo di quel
folle timore, che accennammo di fopra, per cui paventando altri direnderfi
ridicoloh con quefta ferietà di IccgHere adagio , è matura- mente il luogo
della Con verfazione , figct- tan di lancio nella prima , che gli fì para.,
davanti . Io potria dire , che al faggio fà di me- Digitized
by Qcxigle mefticre il pireferire alle rifa de’meno avve» duti quel
vantaggio , che può venirgli daJ quefta Icelta , per tarda , e lenta , che
ella^ fiali , poiché al parere d’Erodoto , (ayl'fmo^ mo diverrà ettme^fe farà
le fue delibera- zioni con pofate-zza , e temerà tutto quello’, che può
accadere . Ida dico di più , che le_* cofe , le quali lÙGcedono bene eafualmente;
non Ibno mai tanto lodevoli , quanto fe tali avvenute foffero pel configlio
(Euna tarda, ma lavia lentezza: che però di ^vetonio Pao- lino prudente
difFeritore de^ piò gravi , ed importanti affari fcriffe Tacito ì^by ejfere^
httomo lento di fua natura , a cui piacevano ttjfai pià te cofe fatte con
ragionevole caute- la , che le profpere avvenute a cafo . Per acquirtar lode
predo ancora del mondo, il éjualò o tofto , o tardi valuta le cofe tutte.» per
quel , che fono , bifogna guardarfi nel aeliberare dalia virtò d’Aleffandro,
che fò detta da Seneca gravemente (c) felice teme- rità . A me anzi fembra ,
che molto piò ridi- coli fieno coloro, i quali fi vantano di far tut- to
beniffimo fenza configlio, come chi fi glo- riaffe di vedere fenzfocchi , e di
colpir fetn- pre, fenza mira nel legno. E chi per vero dire non rideralTì
d’alcuni , i quali dandoli a credere d' avere il nafo di Rinoceronte, co-
I 2 me > % * e T . . j . , , (a) lib.^, (b)
z.HiJjtor.ic) Vita Beat.c.i 3 . *5? medicea fchérzando
Marziale, cntran per tutto liberamente, non fcntendo neppure-» il puzzo delle
più fetenti immondezze, © non diilinguendolo dall’odore più. Ibave dclle_»
rofe, e de’ gelfomini ?.Chi lenza, prova d* efperimento commenda tutto per,
bello, e per buono , merita a mio giudizio la llima di quel femplice huomo ,
che giunto la prima.» volta full’imbrunir della fera in Roma Icri- vendo la
mattina feguente ad un’amico l’av- vifava d’aver trovata belliflìma quella Cit-
tà , le Chiefe, e le Fabbriche maellofe, le.,» fontane infigni ,
le.Villegiature amene, le Gallerie preziofe,la Nobiltà.cortefe., ed il Popolo
tutto allegro , e trattabile , onde 1' amico pofeia , che era, di lui men
femplice, COSI rifpofcgli con ilcherzo piccante: pii ral~ legro , che in una
fola notte abbiate cojìi Vedute più cofe , che ' in tutti i giorni di vo- fra
vita . Porgerà dunque una .più ampia., materia di ridere, agli altri colui, che
ope- rando Tempre a calo operi ancor qualche-j volta bene ; e più., che quegli
, il quale a., .guifa da’ ciechi vada tentone , per rinveniT re il dritto
fentiero ,,rendendofi più compa- tibile quand’anche errafie, attefc.le diligen-
ze, che ha fatto per non errare . Si perfua- .dano per tanto i Giovani
lìngularmente di primo volo , che in.rigpardo allo fcegliere il luogo per
divertirfi in loro farà Tempre.» niù lodevole il timore d’imbatterfi male ,
per or* ’ ^ • • cui s’a/Ticurino d’utia buona elézione, che
la_» fconfigliata franchezza di eleggerlo fenzaJ veruna prudenza. . ' •
•V.- Nò tampoco in tal' materia io faprei, mai approvar e. la fiducia, che
hanno talu> ni di fé mcdefimi , e dell’ottima loro inclina- zione , onde gli
paja d’effer ficuri.per tutto, c dilòbbligati perciò dal riflettere forra la_j
qualità dì quel luogo vche alTegnanO'àl pr0‘* prio divertimento . L’innocenza
deil’uman cuore, per galligo di chi fù il primo a vio- larla è rimaila.,dirò
così ,di compleflìone.# sì debile , ehe ogni picciolo difordine può recarle un
gran danno a fegno , che allcJ volte' la (bla commodità di far male induce a
farlo certuni ,Che mai non vi pénfaronó, onde affai profondamente lafciò
fi:ritto S.Ifi- doro , che fpejjb Poccafion, . ài peccàre fà «afcerHe, la
volontà y ter quello non sò ve- detfe , come poffa .alcun huomo.dirfflefTione
fidarfi tanto . di fe;,,chc ncn temaverua- pericolo contra quel chiarifllmo :
avverti- mento dell’ Apoftolo : . (&) chi .flà- io pttài guardi bette di
ne» Appuntb.là-.fani- tà -, che fi gode ha 'da fuggerire lo dare in»,
maggior guardia peri.cudodirla , nè credo, che veruno;effer vi poffaimai, il
quale difor- dini a-bella poda . per.-infermarfi . Chi è d’in- ■ I ^ dole
(a) .LJJf. y.i/t Soliloq, (b) i , Cor, io. I »34'
dole buona a Dio bc renda gra2ic,che gliel* ha donata : ma non per quedo
s’invanifca, nè confidi tanto in efia , che l'efponga a ca- priccio ad ogni
aflalimento j perchè Avente l’elporla, benché non fi creda, è pure lo ftefi»
(b^chc perderla . lo sò , e con penamene ro\rveiigò , che molti non fótio pih
innocenti per aver creduto : d’efierlo troppo e non_. voltnido- punto badare al
luogo , dò\rc por- tavanlo jContaminarórto un si belfiore per* la fòla
vanità di giudicarlo inviolabile . Cré- diamò noi , che Dina figlia del
buon Giacob- be :in urcendo a diporto da i padiglioni del Padre verfo i confini
di Sichcin nodriffe il reo penfiero di macchiare il bel gìglio di pu» dicizia
?-Per me non faprci -mai perfnadci-w mèlo tanto piò , che iPTefio medefimo la^
difende aflerendò , che ella non forti per al- tro» eh e pet cederle h DòMe af
ijuii Faep i ha.' foia curiofità si propria di quel feffo la fpinfè a
fpiaf • forfè , ó fe còla vi folTe bellezza uguale alla fua rO qualche
pellegri- no ornamento per' accrefeere il pregio del femhiihiie teforo.Con
tutto qitdflo, che parca puro'un’ errore si , Condonabile * non av- vertendo al
luogo , in cui 8’inoltrava /rapi- ta a forza perdè coll* innocenzai'onore. Pih
chiara per tanto ftiiipre fcorgefi la neceflìtà V. i di ^ - • >
- _ • C») Gre/jf* • / Diglllzed by
Google di fare una matura , e favia riflefTione inter- na al luogo
, dove uno penfa di trattenerli, e prevederne bene i pericoli, per, ifcanfargli
prima , che trovandovifi impegnato gli feor- ga inevitabili . Se nella Nautica
la prova piu difhcile è il formare il Carro , cioè Volgéreji contravento le
vélé , c tornare col legnò in- dietro ; nelPhuom civileil paflb pit't malage-
vole è il rimuoverli da una rifoluaione già *prefa , e qsalì pentito abbandonar
quel di- verti mento , che ha di buona voglia eletto. Bifogna dunque penfarvi
avanti aflai bene, e hon fidarli , che riconofeiuto pofeia il dan- no fi
fuggirà, perchè cfàciiilTimD,- e quafiin- fàllibile^.che ’frammettendovili
-l’uman ri- {petto (òpra vi lì padl allegramente ,’c che ibtfra^ la perlbna già
prelà allaccio di farli peflima^col continovàrne la pratica , anzi che apparire
incivile ,o volubile col ritirar- fene .‘Abbia per ultimò ciafeheduno Tempre
irniente vivilTtmo il documento' di Seneca; (u) Hi fare sfarzo per non darfi
iti pre* da alle pajponi , perche ,/e corHinciaHo tirarlo a tra*oerfo,
molto farà difficile' il ri- corfo alla fahezia .-Sid principiò è d* Uopo
ìndirtKzarc a tutta voga il legno di nolira.,. vita verlb il porto della virtù,
e non lalciarlt trafportar punto dalla- Corrente , pèrchà farà imprefa più
ardua, che non penfìamo, il rimetterci in buon canale. , Del- ia)
Lib. I . de Ira c. 17. 1 t k Della Converfazione
Particolare» : c a: p ó X. ... , . • • » • • * ^
. . 1. 'r.. . A fchicttezza,dl cui debbo ogn’huoiti. 1 j favio
pregiarli , è diametralmente-* oppofta.airadalazione , gliftratagemmi del- la
quale fono tanti , c si grandi, che non pof. fono cpntarfi , nè crederfi tutti
. £’ finiflìmo ' tra gli altri quello, che riferifee Quinto Cur- zio de!
Macedoni ,(<?) i quali vedendo il do-, lortì inconfolabile , e che
.atfliggeva,.giùfl:a- mente Alcflandro per, l’indebita jiCduribon- da uccifione
di Clito fuo:Confidente, per ada-. lare il.rammarico di.quel Monarca lévaron-
gli la gloria del pentimento pubblicando per Jor decreto. , che erafi con tutta
giuftizia- uc- cifo Glito , effendo egli perciò indegno an- cora di fepoltura .
Tolgafi qui pertanto-da-j me l’iniquo penfiero di tradir la .rmcerità, di cui ,
per. vero dire , pregiato mi fortoV fem- pre , accordando per.tnotivd.
d’àdulazione^ agli huomini piò licenziofi una fortà di con? .verfare , che a
mio giudizio è rea mai fem- .pre , o in fe medefima ,.o ne’.fuoirperniziofi
effetti;. E’ quella la Gonver fazione partico- lare) per la quale- intendo
quella; fpezie di fer-. ■ A » Ca) Lìb, 8.
Digitìzed by Google •1J7 fervitù ) Come nel gfan Mondo
u chiamai che profeiTa un folo ad una (bla , onde ne è poi venuto per
collumanza il dirfi libera- mente , il Tale ferve la Tale Unendo io al
foghignojcol quale fiiol proferirfi un tal ' fentimento. dagli altri , le
circoftanze tutte, che nc accompagnan la confuetudinc,parnii di non farne. Una
verfione molto lontana dal y ero. interpretandolo : il Tale ama la. Tale. .Ora
fuccedcndo ciò d’ordinario tra i Coniu- gati non sò vedere ufcendo adeflb dal
Piato» nifmO) di cui s’c già parlato di fopra , come polTa francamente
profcflarfi tra.perlbn^ [legate con.,altrp vincolo làgrpfanto una for- ta di
ferviti! , che è sì vicina , almeno in ap-r parenza , all’amore . Lafeiamone
l’apparen* ia per ora , di cui tratteremo più :fotto , oJf Condderiamone la
lb(ianza'.: Bò.beni(11mo, che. mi farà detto. ciò non effere amore , ma una
certa Convenienza di civiltà:, per. cui s* obbliga un’ huomo ÌTpontaneamente:a
fervi- de una dpnnadi qualche , merito’./Io non fpr no lungi dai, crederlo a.
molti , ma, non sò accordarl0,:^;tattii> fi dubito , che ùnà fihez'r za ,
ed. ei.egapiza;deila-;yita civile pofla per .taluni divenire jabupoa Morale un
(bllècif- mo,ed un’. errore , che quando fofle,dòr yrebbe il
Savjo.crederfitenuto a mancare-j più tolto alla civiltà , che al dovere , guar-
dandoli in tal calò da Un collume , che elTer potelTe uh peccato Veditb 'alla
moda > Hd in “ • fatti 1 , , fatti fe il iblo thìMr
le donne dl:bcll’ af|>ettò per chi non abbia l’occhio di Seaocrate, È uh grave
pericolo , onde lo Spirito Santo avvi- fa , (à') che rteppttr-e (ì mirino ,
poiché per la èelle^zà loro Wtolti perirono ', da veruno po* trà negarfi , che
11 trattarle fempre , e con^ quella dimeftichezia » che feco porta la con»
fòetudine , fia , non un pericolo , ma un’evi- dente certezza di preeipizio .
Trattandofi pofeia delle donne altrui ogni familiarità parmi aiìolutamente
catti ^^a per oracolodcl medefimO fantiflìmo Spirito , (à) che dice*j à chiare
note : no» ti feder mai apprejfo at^ la doana d’altri per vera» conto . Se
quelli foffero fentimeriti di Seneca , o di Piatone, p’otrebbond mitigàrfi con
qualche dolce in- krpretazioné per adular l’altrui genio ; ma còme farlo niav
lifélie venerande parole ufei- te dalla bócca dèi grande Iddio? Quello, che al
piv'i dir fi puòte coh tutta la riverenza , fi è , che ih prérefivendo il
Signore in tal ma- teria lina regola 'é\ fiftr«ta intenda folodi parlare per
gli hhomini ammaliziati , c che fono confaperòH a' fe «hèdefimi d’ operat
fempre in queftò’ colla lecònOT intenzione!^» Ma non rimane 'perciò » che molto
non fiaJ» pefante l’avvertiménlò , é ttOri déggia teme- re ognuno i che lo
trafchfa , di Venir punito ^ ^ ^ t > jf 1^* (a) Eeel. 9.9.
Ib, 13 / Chgibaed byAogle còlla miferia
d’utia caduta- fnelèiffabllc . Dà ciò io deduco per legittima
ct>nfeg«ed«à_> clTcre alTai facile , che quella fpeiie di fervjV tò
degeneri in quell’ amorfe , che fi cònten» de j e che lacoitveniénfa d’un
trattò fiipe^* filialmente gentile fià la foftanra , o pòfiìii, dlvenirió
àgevoimerttè > ttn ^t^Èiò bfefl dfetfea ftabile . Dopo d’Un tale lUppofiò ,
eh® kut Cóftveffaaiòrte s cioè pafcieolarc polfitfàffi alcuna volta viziofa, io
ripiglio , é dióK dunque una perfona di fennp debbe fuggìN la per buon governo
, e temeré d’un Aiiilt» che può còti tanta facilità acoaderle > Quan>- dò
poi io fentiflì òppormìfi da qualcuno pet tìort farlo colla dovuta
folletitudine j uinti certa ripugaanaa interiore del genio » che noi coniente
> dunque , io foggrÙHgo » fi ma-^ le è già fttiò» è toglichdófi •alla
ragioné dai fijnlb la fartà di trionfare , la- (fervitii già à’S cangiata te
amofie, palfione, ehe cieca clfen^ do » 0 non cura V o non vede il filò danno;
Crcdevafi Dióftfglo Bruolèotè dlfcepolo di benone d’èfierfe pervonutoal fòmmo
dfelìa.* forcezÉà piti non (bntcndo j tome pareagifi lìè fliinando alcun dolor®
v Appena pèrò te* fermatofì con un gravilfimo dolor ai reni fi ptotedb t fìfp
éptt tbm erè\m hmtt égli ptìm ìàtofff& 0/ rffe/arl. i fe Héhifi flo>da
Cleante filo condifcepolo qualcoia_«, l’avefle indotto a cangiar si tolte
parere » e» gli rifpofe : il no» pottr io /offerire q«ejlù d&j
.*40- hxé è coHtrdjfegw elìdente i che. ogni dolo* rej un gran
male-. Tutto • ciò fi racconta per ifcherno di quella fcuola ,che potea dirfi
de- gli infenfatii da;Giccrone . («} In tal guifa_> dovria difcorrerla
ognuno fui propofito del- la.fervitfi, che:profe(Ta a qualche oggetto
particolare, i fe.ella non è più »che un’effetto di gentilezza, cattivata da
un, bello Spi ritOj perchè niuno la pratica mai ver fo . gli huó- mini dotti,
che fono Spiriti bellilfimi , a’qua- li d’ordinario per avere .qualche diverti-
mento nella, .folitudine in dii vengon lar. fciati , con vien, trattener.fi
leggendo ne’ Ipr gabinetti co’ Morti;?. Perchè.non ha da efler padrone di fe
per tralafciarla; chi o la fperi- menta , o la teme pregiudiziale, alla propria
innocenza ? Segno è bene , che.interelFando- yifi il, cuore ella paffa i
confini di civiltà , e-» può temerfi realmente perjuna paflìone , dia cui il,
non poterli cavarell piede, volendo in- dica rifedere ■: ella nell’ahimo à-e
mon. già nel- le efteriori qualitàdeUaconycnrenza. II. Quindi: è,che
io.'non làppia'compatir punto Coloro ,.i quali fchiayt.inquefia guifa
rendutifi, di .buona. voglia-tpBre dolgonfi qualche volta .co i più.confidenti
d’aver per- duta la libertà.,xche.in buon linguaggio vor- rà .forfè
diri’inHO,cenza,. Lfimpegaarfitrop- rii il/.’. ■ t.'-à ■ ■pO.’--
Cài àé Bn\ sii ^ i s • /
po da iè doVe chiaro fi vede il proprio dilca- pito , che volendo potria
fuggirfi ,è rifolu- zione da mentecatto, dice il Comico : Ca) ftolta cofa è
rincontrar quel male , che tu pojja evitare A?ctchh dunque non puòl'huom ;
forte fpezzarc quella catena, vergognandofi di fervire a fe medefimo , poiché
ferve alla— depravata fua voXontk' fchiavitudine , à\ cui , al dire di Seneca ,
Qb') non può dar fi la^ piti pefante ì Perchè non fare un poco di'for» za a le
medefimo per tentarne almeno l’ufci* ta , come i volatili , che prefi alla
pania ,fìra* namente dibattonfi , e ftridono per liberar- fene,e febben
racchiufi entro gabbia: do- rata , cori fcelti cibi , e frefcjhé. acque , mai
Icordar non potendoli delia primiera lo r. li- bertà s’afTaticano fempre per
trovar inanie- ra d’ufcirne? E’ ftrana cofa da vederfi y che^ rhuonio nato
libero per benefizio delIa.Na- tura.eche tanto perciò. abborrifce lafog-
gezione , pofla poi per malizia,. de’ fenfi fofFe- rire con pace di foggettarfi
alfervigió.d’una femplice creatura, la quale ancora, èd’uriH. .feflb, che dal
Creatore.medefimo fò.deftinar to ad ubbidirgli per la condanna di Èva c (c)
vìverai fiotto la podeftà delthuomo.yed egk •averà il domìnio fiovra dì te,. Se
qn e ilo fo iTe per apprendere qualche cofa di buono , e di uti-
fa") In Conv.'Qì) hìb. ^t-quajì. nqt V
*4* lttile,nè loderei aneti* io con - Platone laJ lòfferen^a »
dicendo egli ; (a) fe ut»o fervei ttU' altra per profittare m faphaza, o in
quaU thè altri parte di .virtù , quejìa foggezzionet punSo non dijonova ehi
ferve . Ma per quan» to può rieavarfi dalia fperienza , gli huomini dediti ad
una tal Torta di Icrvitìi a me non_» fembrano » parlando tèmpre con tutto
ri<> ^eltOji piò iàggi dei Mondo,fegno ben chia» ro che nulla appt'eadon
di buono per un tale eferciaio . Io bramerei di vedere in quello tra gli
huoraloi un poco piò di gialla iuper* bia per tenere tl Tuo pollo , che loro ha
con* ceduto l^Altitlìmo , lèmprc ancora avendo in memoria tl gran Tentimento di
Tullio: (,b') ejfere- cofa regia il vìvere in tal gufa , cbt nò» fola non
fèrvafi ad buomo alcuno , ma neppure ad una delle interne paffouì . Qui n- di
vieti poi TelFerc talora forzati colloro, giacché riulcir ' non gli puote per
debo- lezza di fpirito il far fronte ad un’affetto dilbrdin.ato
,'e'lbttometternè la ferocia, a cadere di male i» peggio-, facendoft gloria
di’ciò , che è vlziolb , ed ornai infupcrabile, 0-lafciarfi opprimere-, come
afferma il Mora- li (c) da una mìferìa, dà cui potevano trion- far da
principio-. Tutto quello gran male_« àddunque deriva dall’ appoggiarfi
alcuni feon- Getì. I iJ» Cb)Ì$?* 8. Cc) f ro Syll:
'fconfigliataincnte aJl’ onoratezza, e ad uh^ certo efler d’;Eroc ,
Jofingandofi , che npri^ Quante la forza d’wnà tal ferviti volonta- ria
iapranno mantenerG mai Tempre Ggnori de\loro affetti,# rtguardatt^o, giudi
ì^o\i~ bio , (.a') più alla fperanz^ì che al foniàr mcìttc di impegoanG in im
cimento, dove io crederei con iivio (hyejfere più già- . rio/o il Noa
c^attere.cbe il vincere iJìeJfo.V cr quel poco di fperienza , che ho del Mondo,
conferò d' eflere affai contrario alla dot- trina in oggi sì celebre dell’efler
d’Ero?, avendola veduta in raoltiflime occaGoni ve- nir meno , e fvanire
affatto in, pcrlone anco- ra, che per verità sacrano per 1’ innanzi guadagnata
preffb di me qualche ffima^ con un frontifpizio affai nobile di Mora- le. Nella
materia pofcia,,che ora trattia- mo, le fono contrariflìmo , e ioftengo , che
nella battaglia , dove s’interelGno i fenG, ogni Gigante riefee Pigmeo, ed ogni
Eroe perde per ordinario la fcherma ; onds-j S. Agoffino avvila, che :Cc) ninno
prefuma tanto delle fue forze , ehe^ non voglia fug- gir la donna . Il vero
elTer d' Eroe nclT huom cattolico è il diffidar dife fteffb,^ fperar trionfo
Ibi quando fuggej'l perico- lo di cadere. Per una tale vittoria faria_. ’
• ‘ • ' % . .* • ' necef- (a) Ub. j. (b) Ltb. Decada z. Cc}
Lib. de honefl. miilìer. . V 144 «eceffario , che
ognuno avefle Cottimo , e Tadifìlmo naturale del buon Catone > di cui
fcrifle Patercolo (a) ebe no» operò mai rettamente per apparenza ^ ma per non-*
potere in altra maniera operare. Con tut- to quello però trattandofi'di una
familia- re , e continova dimetlichezza tra huorno» e donna, io non faprei mai
dar per ficu- ro neppure colui, che d’un sì bel natura- lefornito fofle, perchè
dopo lo feadimen- to della- natura pel primo fallo troppo v* abbifbgna il
concorfo ancora della divina ■ Grazia per tenere in freno l’ huomo in- feriore,
e correggerne le cattive affezioni. In conferma d’una, tal verità rifletta
cia- • feuno , che tra le virtudi , le quali fanno coraggio all’huomo
contra de i vizj , alcu- ne fon naturali , alcune fono morali . Le_»
-naturali quelle fono , che nafeono colP •huomo fenza impararle , e le morali
s’ap- prendono con fatica , e con rifleflìone . In que’ cimenti addunque, che
fuperano la_» ■- natura , come è il’ faper contenerli nell’in- trinfichezza col
feflb femminile , la pru- denza non vuole , che fi fidi l'huom favio •
interamente delle virth naturali , perchè il • più delle volte non
elTendo neppur volon- ' (arie , perchè nate in noi > fenza di noi , o
po- • » *• » « Ca) Lib. 2. ». 85. • ’ DIgilized
ùy Gpogle 145 poco giovano j o pretto mancano.E’gene-
rofoil.Lione, e leggefi, che abbia iftinto di perdonare a chi l'e gli umilia :
ma fe la fame Joftringela virtù manca , cd ufa della fero- cia; A mbiziofo è il
Cavallo , e fembra,che talora fi pavoneggi della nobile bardatura, onde è
adorno; ma fe vede, la biada feor- datofi dell’ abbigliamento , e della pompa,
non fi vergogna d’ accottarfi con tutto il fren d’oro, alla mangiatoja . Nè s’
olfenda.. veruno , che io porti in tal cafo la parità delle beftie , mentre il
(ènfo vinta , che_» abbia .la ragione , locchè fuccede tutta voi. ta , che ella
non può collaudare all’huomo inferiore , e ritirarlo da ciò , che è nocevo- le
, non è men frcgolatp , che le bettie me- defime , nè in lui operano meglio ,
che in effe , le virtù naturali.. Dunque vana è la_. fidanza, che ha l’huomo
fovra di quette_> fole per ingolfarfi inavvedutamente in un mare. , dove ,
da tanti fi fa- naufragio . Delle virtù.. morali, ed acquilltc, et non può far
capitale , perchè fuperate ette pure dalla^ pattìon dominante , e , dellitutc
in ppna deli’ arroganza dalla divina Grazia , che le con- forta , ed avviva ,
nulla poflbno operare, come accade nelle ruote dell’ Orologio , dove, fermatofi
l’ordegpo. del tempo rego- Jatoi’e del tutto , elleno per buone , che_>
fieno , c.:pcrfette. in fe mode(ìmc,non po- tendofi muovere , a nulla l’ervono.
h , dice» ■ K va / i4<i ' . ^ . va un
gran Savio , f/ùff tiit'fpaccìerò mai per huomo fema difetti tù che noti
foggìaccia per lo meno al pericolo dì cadere ne’ difet- ti altrui , dandomi a
credere d'ejjer nato fra gli altri come una Jìravaganza della Js/a- tura ; Se
tutti pertanto foggetti fiamo al- le cadute degli altri > perchè non amtnae-
ftrarci col loro efempio » e prendere in_; diffidenza quella natura j che d’
ugual pa- lla eflendo in tutti , può in tutti ancora-* cagionare un^fleffo
oilòrdinc ? Perche de- ridere^ ne’compagni quella gcnial feryith, ed alzandole
bene fpeffo la malchera met- terla in ridicolo » come un’amor travcflito da
civiltà , e làlvarla poi ciafeheduno in fe medelìmo qual mera feggiadria di
gend- lezza indifferente » quando mai s avveraffe il fuppofto
premeffo? — « . ili. Ma veniamo all’apparenza d un Ul coftume,che
per verità nel Modo è ma . Per non comparire troppo fuppo'rre quefta fcrvitò
cortefe d un fole ad una fola Tempre ^ ed m tutti viz.offi , paffiamo,che
poffa ella al* re fe non favia interamente , lontana ai. men dal
reato , che io nòn credere volontario in alcuno • Come tà lai
•vcrcnio da que’Critici offervatori diligen- ti delle operazioni'^altrui ,
rfr^i regolano fol dall'ellertio ! S%hc nelle azioni ambigue, e che
poffo- no agevolmente interpretarfi ih mala par- te, noi fiam
tenuti a togliere ogni fofpet- to, ed ogni occafione di mormorare , ón- de
infogna il grande. Abbate Guglielmo, che due cofe commendaao l'operazione dèli*
huotno j l’ animo di chi la fa y e l* ejìeriore apparenza dell'opera fiejfa
.^z^La buona-» intenzione commenda il fatto appreffo Dio, e l'onefta fuperfizie
dì lui commenda appr ef- fe gli buomini .liba balìa addunque, che.!’ intenzione
di chi particolarizza nel conver- fare fia retta ; ma conviene di piii , che l'
opera iìefla apparifea tale, e negar non., potcndofr , che quefta j>arzialità
verfod’un folo oggetto non pofla faciliflìmamentcL» foggiacere ad una finilìra
interpretazione, debbe ciafeheduno guardarfene aliai , di- cendo ancor
Tertulliano ;(b; che allaCrìr fliana pudicizia non bafla P ejferlo , ma-* cbè
dee ancora comparire illibata . Quan- tunque per avvertimento di Dio mc3éfi- mo
non aeggia farfi , pure gli huomini han- no come per ingenita proprietà il
giudi- care fecondo ciò, che fi vede, onde un Pa- lazzo, che non abbia
Ììgnorile facciata or- dinariamente non è iìiniatò j benché vago egli fia al di
dentro : e cosi le operazioni, che hanno un cattivo ellerno , poflbno ef-
K i. fere . ' • I , . . Cu} la Cant. c. 5. (b) de Cult,
f^min. 14^ fere fante in Ior,foftanza ,cJic ilMondo le
crederà fempre perverlc,cd inique. OicL.^ àttefa quefta .peflìma qualità degli
hiiomn ni quafi comune , ed .il fondamento , che ti porge loro per giudicar
male , c indiibbi- tàto , che tanto, chi giudica , quanto chi c giudicato ,
àverà la;,fua parte di colpa, ed clfendo quefia lina* materia , che non am-
mcttè ia parvità > fecondo tutti i Moralilli, reciprocamente farà grave il
reato . quefla colà per tanto io non trovo tem- peramento alcuno , onde pofTa
.ridurfene_j la pratica ad una moderatezza lodevole, e quantunque io mi ìia
prelìflb in quello li- bro di fecondare, è la convenienza , c la_^ diferezione
, e per fino la debolezza d ognu- no, dentro però fempre ai termini del do-
vere , in quefla forta di civile tràttcnimen, to parmi di perdere la carta del
naviga- ré ,Q non faprei rinvenirne' una via di mez- zo I Ed in fatti, chi.
potrà mai affolvcre per oiiefla negli éiàtti Oflcrvadóri della divi- na Legge
là dichiarazione di fervire ua^ Conjugató ad una Conjugata , quando que- fla
fervitìi per le file cifcoflanzc, edi nio* fifa cfteriore , e d’aflldua
frequenza , e d af- fettata finezza , quantunque noi fia , vien_, 'però creduta
da, tutti per amore ? Altro per tanto non'sò' configliarc airhuom fa- vio , che
il troncarla di netto , e mantencifi nel convcrlare ifi una tale
indififerenztL^ con \ DiglQjpd
by 149, con tutti gli Oggetti , che tolgafi affatto ogni
luogo alla fofpez'iohé. Quando il Sole' ò nel meriggio le ombre fono'airai
pie-* ciolc j e nell’ Egitto- éflendo' égli nel-fe-^- gno del Cancro ' le Piramidi
non fanno", ombra veruna, perche nel mezzo giorno, vicn ad effer lóro
perpendicolare appunto.; In tal guifa quando l’Oggetto del divertU- mento ,■ ò
vogliam dire il Sole tcrreno'i’ mantienft nel meriggiò efpofto a tutti leji-
ombre fbno'picciolc , e sì leggieri i forpeti-- ti , e sì mal fondati , che in
tal cafo io ne"da-ì rei tutta la colpa a chi gli' forma indebita-' mente .
Ma 'declinando poi l’ Oggetto piìi ad una parte, che all’altra ile ombre, cre-
feono , e- pendendovi affatto lì fanno gran- di, e fufTiftenti , come nel
tramontare 'def Sole formano i Corpi un’ombra affai; luna ga . Quijidi arguirli
puotCj'éhe la parzia<.i Jità verlò' d’un fòlo , o d’una- fola , non ^o- trà
mai eflere’ indenne’ p almcnò efterior'^ mente i e-chè-perciò^ elfendci- re’a-
di'fcan- dalo attivò in- riguardò '"agli altri j-nonJ può praticarfi
'liberamente , fuppofto anco- ra , che 'per la fua>
intrmfeca''ionocenza>nò« fé né fenta -riniorfo f«)ìpecidonò anché’i Leggifti
, che il dare-occktjicm-'d'alcùrt’ddn-i no ilo che dare'*l-d'aaM' 'mede fimo :
e K 3 S.Pao- ■Éi ìtàmÉUtk fa)
Salye,de fer, ^ ae[Uàìlb'càe fecwr,^ ij‘ ) I Digilized
i>y Google $. Paolo afferma, che il porgere adito. colio
fcandalo alla fiacchezza degli huomini di peccar giudicando , è peccato
direttamente contra di Dio ; peccando , dice , voi cantra i fratelli , e
percotendo la cofeienza loro in^ ferma , peccate contra di Crijìo , («) Efami-
i}i dunque bene ciafcuoo fòpra di quello ifùoi andamenti ,' C confideri, fé
vedendo ^gli. in qn* altro! quella fteffa procedura, che. egli tiene in
converfando particolare mente mai Tempre, fe ne edificherebbe,© pure. .ne
relleria fcandalizzata,. e corregga in Te medefimo; (bUecitamente. cih iche in
altri .condannerebbe. Se poi egli vede, che non polTTa altri apprender per male
ciò, che egli opera colla fuppplla indifferenza, feguici pure, che io non farò
mai tra co- Ip^rQiChe fi tengono, in giudicando , alla^ parte, peggiore. • • j
■ . .I V. • Vogljo per ùltimo in quello luo- go. riflettere alquanto ,
giacché più innanzi do v.r.ò; trattarne di prop.qfitp , (bvra la dab- benaggine
, per- non chiamarla con altro ti- tolo ingiurioiò , d’alcuni Mariti , i. quali
fof- Trono in pace , -che. de lor Mogli fieno ler vi- vide in quella gu!ira,q
facendo i Tordi alle_j pubbliche, detrazioni ^ eh e Tentono. TarTenc, 0 non' '
volendo interamente, capire la To- danza ,Cu) u ad.CelrMtb,
8v 1 2. DigMzedHI^ Google I IJ I « d
un tal coflumc . Parlerò prima di quei Mariti j che .tìvj eÌTendo perjfe mede^
unii , e fpezialmente colle donne altrui] non poflono pcrfuaderfi, che:
altri fieno in.; ciò ico eretti . Voglio , che non lì molìrino facii 1| a
fqfpettar male per tenerfi lungi dall» altro , pllrenio di gelofia , da cui
ijalcono' tanti guai giornalmente in molte cafC] co- me dice lo Spirito Santo nell’Ecciefiaftieo:
(.a) ma non sò paflare quel chiuderfi djL. P?r tal maniera l'pcchio Ibvra
gli an- damenti delle Mogli, che lafcino iorp, per la briglia fui collo , e gli
permetta- li libérta.j^che in qualunque altro (ia- to giudicherebbefi. per
un’ahulo. Vederle^: (tare tutta finterà giornata ed, oltre alla..' mezza notte
in compagnia di quei, che le fervono, pare a me, che fia non feorger lume — »,
?»* — i??* !^^f|ando ancora H .Capo di ;Ua fempljce , ed ingenuo.»
potrebbe a mio- giudizio prendere agevolmente in^ dimd^nza’ una tal
(èrvitò Iblo ,• penlando • ftwtàfi a rinvenire iin buoa^ lervidor.e
pagandolo ancora con abbondante falario-, troppo faria .poi felice la .moglie^
fna a trovar chi la ferva con tanto d’ atten- zione fepza veruno, interelfe .
E| quello un argom^to sì facile , é sì naturale , che lo la- ^ 4 .
ria (a) 26. 8. » f \ • * -4 à • ^ • «
«i • % * • * Digitized by Google ...
ria benanche chi non vide mai logica in vi- fo; Che fe poi debbo crédc'rfi -,
dalla qual co- fa io' non fònó mai per- ritirarmi , norrddrfi alcuna feconda
mira in codefta fervitìi sì rigida-j e foggettofa , potraflì ben dir con_»
Platone., '(a;) che x -hanno ' pér'difto ^ Cùn ' loro buona pace *, la metà del
giudìzio 'Quegli, che vi foccombono :Crcào bène , quel , che credono molti
;cioè; che le Mogli loro fieno onefliffime , e nette in ciò da ogni macchia
anche. "minima . Non per c^uefto però'idee' loro'àccordarfi uiià licenza,
di viyereichc quando" non pofla 'col. tempo macchiarle i' può fare ';pe’rò
, che altri le. teiiganó già per macchiate ; Se fù cònfiglio- dcl Profeto-.
Rèale , C&)cHe le Conforlr fticno in cafai-. non folpv 'Hia ritihitc
^'bèriarichc negli' an- goli più Vrerho ti di cKd'iJìialatuamoglie- . fié*
cantv delld tua cafa ; ''còme dunque.-! pòtni ' lòrò accòrdare' il rriàrito
prtìdéute , o lo ftàrne fenipre fitora , o* ih' elfà àcfc'òm- pàgnXte-fcmpre da
ccrtf ihdivifibilrAcati che Témbràiio'MP Battello ideila NaVe J o il
Piedèflàlió 'dcna'CòIònh’à"^? Ató dalla » • 0 t relazione
-altriii ', e 6allà‘ fporicìiza' òcvi- lare , 'che i jùrchi non lafciano
Tóì*tire'di cafa'lè dònne loro fe nòrt Copértè ; é th’e gli - .. < .1. . . *
- £brei- (a) 6. ds Leg, (b^ Pfal. 127.3. ...... , .
•— Ebrei non le danno adito nelle firtàgoghe,fe non fedivife
affatto dagli ’ huoriiini : onde_j non può non cflerc moftruofo' il’ permèt-
,terfi da i Cattolici alle proprie una sì coh- tinova , ed indifcreta
dimeftichezza ' coòl chiunque defidcra di trattarle . Sembra in- giuria, dicono
alcuni, il contarci pàfliì a. cer- te donne , che nel candore non ia‘ cedòhò
alle greche Penelopi , nò ‘alle Remane 'Lii- crczic’. In primo luogo
io'fbflèngo', ’cheò una. donna ' veramente .amica' 'dell' ònefià non fbfFrirà
di yederfi accanto; feràpre,,p'e'r . dir Cosi , uh, puntèllo , quafichc non
pòteffe reggerfi altrimente , come" feii za l’olmo la vite : òdi quefte ne
vediamo- '.anche a i tcm''« pi hóflri moltifllmc , le quali rihunziaridó
faviamentc alla -gran moda non ammetto- hb Buone- ‘voglie al lor fervizio , nè
altri Pir- letti , fuori di'qucgli ,che fon pagati dà i lòt Mariti'. Ma. 'oltre
ancora di ciò chi non "viede 'hoh efl ere iftgiufia , ma fpczié' bensì di
lì?-’ ;ma','edi rifpcttó , l’irivigila'rc i Mariti all^ cuftodi’a delle Mogli
acciò non s’accbfti vò- ruaó ad òfeufàrè' .anche inminim'à parte lo ■fplciidorc
di ior pudicizia ? Forfè mancò di ■Convenienza •vèrfo ' di' Sarà laa Confortélì
'Abfamò j’C'J)?'ì'è)rchc invitati ihcAfa i treih Pélfegririi- incogniti- fece
loro' ogni' forta^i damo- • é * * I (a) Gen.
i8. 1 *54 .4’amorcyote^ accoglimento lenza
chiamarla ^ancor efla a cpmiplimentargli ? Le die ben^ ordiaeldi preparar
lofo.Ia refezione, perché folTc a p;^te nel merito della fanmOrpitalh tà , ma
non permife , che ella mancàlTe , còl .l^iarfì vedere., al lùo contegno , ed al
do,, vuto ritiro , Quello , foggiugne qui S. Am.- irpgio , (n,) Cibe riguarda
la pietà ^ Àbramo lo9>uol eoù .ejfa comuae iquelldyche appar- tifue alla
verecondia, lo Jafeia inter amen^ te a Sarà} il Marito flà Julia porta dì caJcLa
per ifpiure il puffaggìo degli Ofpìti , e Sara difende nella ritiratezza il
candor del fuq fejfo. Io non vorrei , che ciò derivafle da me» /a debolezza di
fpirito nè i Mariti, '} quali'^ poco a poco lafciandolì guadagnar la mano j^Ile
Confòrti fi riducono a quella foggèzio- ncmede(ìma,che dovrebbòno da elle
rifeuo.. fere ; onde conolcendo il male y per conferà .vare però, come alcuni
dicono pocofènla- tamente , la pace , non olànò di rimediarvi, ]^a legge dc;i
Giudei nel Deutèrcnomio, 0) jchc i non fiveflìlje la donna colle vejìi dell*
buomo y e che PbuÓmo non u/ajfe degli abiti /etnminilix ,tà io (limo , che
;mira(Te' un tal precetto alla gravità , che a.ver debbe l’huQ* mo per
m.antenerfi in grado autòrevple-* fovra la donna . A i tempi nplìri . però non
fi , - ofler- C») Ub, I , c. j. (b) cap, zz. Digitized
by Google oiTcrva certamente quefta legge » redeodofi anzi molti di
codefti ridicoli travedimcntit onde podi!) non pochi Sanlbni . alla rocca»
feorgond-poi baldanzofe . le Dalile ciogef fpa(U»efarla in. tutto
diQioticamente dau huomjni ^Non.lbno io dato, mai d’umore di pegare al fedo
donnefeo un certo pregio ^ accortezza » c di virile intendimento » e con* fedo
di conofeerne nioitidime di tal qualità; pure parlandoli generalmente > h
DoJf»0 t fecondo A yerroe > Uff buomo imperfet* tcf ; e perciò debbe
edere diretta dali’nuomQ in tutte le die operazioni » e non avendo edàf come
pure decide Aridotelc » C^) che uà* «r* bitrh debile » ed i» fermo x ha da fard
regola nell’operare.dei cQdumi » che vede pei Aio Marito » conchiudendp per
utile infegna- mento, io Aedo Filofofo : la Mogli giudicate s che $
coturni, idei fuo Marito f.e- no 0ua. legge: della propria tìita a lei pr f
ferie fa da Dio^c), pel eougiuugimeuto del Matfitnouio . Non manchino dunque i
Mari* ti dirpr.ecedere coH’efempio.alla buona con> dotta delle Conforti
loro,»;{oyradando fem* prc autorevolmente , ma nella foave , e di- fcreta^
nwpicra,che gliprefcriye Plutàrcot id) ^gieeft%t,dice , fbe. prefieda alla
Moglie il I UJl'Mji III I. mniyw .(a) I . tbìf. eom. 8 ij fb)
i. f.ol, (c} y.Oeeon. i^ff^epìrdcept.cofiigl 15*^ . ■ ,
Marito i 'ijftn come 'KtrVadr otte 'ciWarmentOy ma come P Anima al Corpo , ad
ejjò congìun~ ta per una certa naturale confederazióne^ d’amoré e di
ben'evólenza. Vaffò- con t|uefto all’ordine di quei Mariti •, che avendo pun-
tò , o poco d’ambrc' per le Conforti ,*che_i Iddio ha lóro cogiunte per-le^gc
matrimo- niale", diftcndónQ.fiiori di cafa il proprio ge- nio-, e fi
divertono fptto il pretefto di quella civile fervitfi colle Mógli altrui'.
Sempre mi fiè rendùto difficilé da'- comprenderli comò hiiomini di tal’ afiare'
nóh fi pèrluadàn'ojche altri pofla eccedere nel fervirelé Mogli lo- ro', quando
elfi tràlcórrefiero mai fuòri de i limiti dell’oncllà nel fervire le dònne
d’altri. Quando ciò accadèlTe mai , che non voglio allumarlo , faria ben
quella- una'lbrta di ce- cità vòlontària,'c maliziòfa, per cui badando eglino
all’inter'cire'delle’propl'ie Ibddisfazio- ni chiuderebbònò gli occhi a~ bella
pòlla^» per non eirériié'’tiprèfi.'beh- giullamentc, fullà maniera" di
vivere’, che praticano le-» Confòrti' loro ,pividpnfi,ciò''.fupppllo in_.
quella forma -, ohe- effer pòfelfè V gli animi uè’ con jpgati i e ctÒV eh’ è
contragehio , ed ’iàntipatia indégna' del làhto loro 'cònlbrziò, fi qualifica
per armonia di pace', e fi onora— col titolo di fcambievol concordia . Dal De-
monio xertamente- fpargefi in alcune Cafe Cattoliche la femenza d’una tal .pace
infer- narc péf fare centra il divip precetto deYe-^ " ' " ■ ’
’'^eti greti divorzftra perfone legate inficmc col nodo
indillblubile d^m reciproco amore. Pc- fie non può darli peggiore di quella
fra’con- jugati > mentre alicnaiidofi ,‘c morendo .del tutto rafìezion
maritale, vi nafee Podio , cd il pefìimo diiòrdine di proccuraiTi Piino, e Palr
tra con libertà un palcolo geniale , c dentro, c fuori di cala •Mancando pofeia
i Mariti all’ uffizio lor proprio d^infifterc fopra la direzio- ne delle Mogli
lappiano , che fi fanno rei preflb Dio , e del proprio traviamento > c di quello
ancora delle Conlbrti , che alla tra- (curatezza loro attribuifee • Ciò fi vede
pa- lefc quella di Putifarre , la quale adocchia- to il cado Giufeppc Ebreo
(,a) giovine di bel- lezza uguale allafomma fua continenza-., icordatafidèl
contegno , e di femmina , e di Padrona , ebbe ardimento di porlo con in- degne
richiede in pericolo di macchiarfi . Ponderando S j\mbrogip un tale a vvcnimcn-
toaferive alla trafeuraggine del Marito la_, icorrezionc della Conibrte così
dicendo : (/;) fio» era in potere del Servo il far tì , che non fojfe veduto :
dovea il Marito pigliar cautela fovragli occhi della Moglie . Panni per tan- to
, che tutte quede ragioni debbano pciTua- dere ciafeuno, cui prema la propria
làlvczza, a ritirarli da un tal collumc , che jìcr niuna^. ma-
Ca) Gen. 59. (b) Lia. de lof. c. 5. . 158 maniera può
difehiedi (cjuando noi faccia.* la colcienza particolare di chi lo pratica ,
a_. cui io non m' oppongo ") e vedendo in fondo a quella fpezie di
fervitu,che ben fembra più che civile , deteftarJa , c fuggirla , come un.*
principio di fpirituale rovina , che tanti , tante potria, non correggendofì
> guidare al- la perdizione fatto colore di moda , c di gen- tilezza 4
Delle / Delle Pcrfonej colle (inali Ji dee
convèrfare . ‘ CAPO XI. . < • ' r • • t I.Q E per
(ciegHere la Conver(àzione, corné . w J di fopra fi difle , v’ abbifogiia un
lungo \ e maturo configlio, tanto più lenza dubbio le nc ricerca per Ja fcelta
delle perlbne ,colle_/ quali dee converfarfi, più iaqucfiò , che in_, altro
eflendo veriflìnio il detto di Tucidide.,,, (tf ) che la prudenza parlar tfce
nelle delibera- ziont una giudfzioj'a lentezza . Non poten- do pofeia negarli
al gran làvio di Grecia Bir ante, che più nel Mondo fieno i cattivi, che.j i
buoni, tanto meno potrà contenderfi , cheJ« non fia colà da ftolto il non fare
lunga, c pru- dente difamina sù i cofiumi di quelle perlbne, colle quali vuol
praticarfi : e chi di ciò fi fà- ceflc gloria potria con Tacito annoverarli tra
gli huomini incolti , e bàrbari , 4e* qu^h egli difie ad altro
propofito,C^_)che,yàati>'<7ff'- doglì fervi l eofaP accorta lentezza
giudica, tono imprefa d’ animo regio r efeguirfubho ogni determinazione più
Jlrana . Per elegge- re addunque con ficurezza bifogna farlo col- la feorta
della prudenza , e non mai per i m- pul- ' ■ Lfb.z. (b}
Ubo6*AnnaU . _ i6o pulfo delle paflTio.nJ 5 che (lf*tc
cirendo femprc nemiche della'ragione , tolgono anche per Confcgucnza il
vantaggio delle migliori ele- zioni . La podefià deli' eleggere è un privi- legio
, che diftirigue da’ Bruti 1^ anima ragio- nevole, e r ha iddio conceduto
airhuomo fo- 16 coflituendolo j come là più nobile delle»-» creature corporee ,
in una piéniflìma libertà d' arbitrio^ perche appigliandofi di buona vo- glia
al bene , e alla virtù, fi faccia , come urL> merito all^ eterno premio
dieffa, che egli per altro difpcnfa nel Cielo per mero genio dcir infinita fuà
mifcricordia . A qucfto pri- vilegio di libero arbitrio s’ oppone poi V ap-
petito irragionevole , che noi chiamiamo pafiione, c togliendo la libertà alP
anima d’ operar bene in grazia del corpo , toglie an- cora la fiivia elezione,
che è primogenita dell^ arbitrio, onde Seneca fcrifle profondamente: (a) ntum ,
che ferva al corpo , tjfer lìbero . Ecco dunque chiafiiTìma 1^ importanza di
ti- rar fuori da quello impiego ogni paflìone , fe brama ? hiiom favio di
fareun^ elezione , che (ia fua, libera, prudente, e profittevole .Con- viene in
quellò non clTcre come 1’ erba , che dicefi parctaria, la quale s’attacca
indiflercn- temente ad ogni muro; ma confidcrando in», tutte le cofe il fuo
buono , faperlo pigliar di mi- • Ca; r/>. 93.
i6t mira, e volerlo ad efclufione di quanto poteA fc parere al
fcnfo più dilettevole , c più dol- ce, eflendo quella, fecondo Quintiliano :
(a) cofa da huomo eccellente . Venendo poi agli oggetti della Converfazione ,
che fono per ordinario le Donne, fu, non puònegarfi, biz- zarria da Poeta ,
benché ricavata da un lodo configlio di Platone , quella di riHetterfl dal
fiattida , che danno interpretandofi ana- grammaticamente la Donna debbono
feie- glierfi per ciò le più picciole, ed in rìodra fa- vella così rifuona
. Scter tra t danni convìen fempre il minore • % • Ma
parlando con ferietà dico effere miglior partito l’appigliarfi al cohforzio di
quelle^» donne, che moftrando meno di fpirito , e di brio fono più ancora
inclinate alla faviezza, - elTendo fempre per quello minore il pericolo di
rimanere prevertito in chi le tratta . Ben però è vero , che ricercali anche in
ciò una_. particolare attenzione per non lafciarfi in- gannare ,come , fc non
fempre , fuccede tal volta, da una certa affettata modellia , che_» peggiore
eflendo affai d* una manifella , ma_. ingenua vivezza, occulta fotte il
contegno la frode , e vibrando fottomano la freccia ò più - • - ■ L •
ficu- Ca] Declam. 95* [b] in Protag, \
ficura nel colpo: ulcufjì ^ avvila Tacito 9 (cT) nafcofidotio Jotto il
coloTC una ajluta coyfjpor ftezzd un ptjfuno animo . Ciò ancora hi con-
lìdcrato dal buon Seneca > onde lafcio lei itto: fuggite da certi volti ,
che più fon da^ te- tnerfi quando arrojjifcono^ qnafi , che abbiano con ciò
gettata fuori tutta la verecondia dell\ anima. Nello lluolo delle molte donne
là- vie, e prudenti , che pur tante fe ne contaro? jio lempre , e fe ne contano
, vi lòno alcune-> faputclle, che lafciandofi ad ogni momento cader di bocca
una (entenza la tan da Filolb- feire,ed a guifa appunto di Secondo Cariiiate,
del quale diffe lo Storico precitato , che : [r] avendo fempre fulle labbra la
dottrina de^ Greci y punto non ne riteneva nel cuore ; fpu- tano fempre dolce ,
e grave , adonta dell^ amaro, e del debile , che han di dentro > e pi-
gliano con arte molti merli alla rete . Po- chillìmo avendo clfc di merito per
le ni;ede- fimc ufano dell’ incantefimo per legare al- trui, come i Popoli
dell’ ultimo Settentrione, che privi di forza fi valgono della magi^ per
affafeinare , ed Iflupidire i più robulli allo fcrivcr d’Olao. (</) Ottimo
farà per cono- fcerle bene il documento d’ Ariftotele, il qua- le notò, che: le']
il Jilenziq apporta decoroy cd orna^ [aj Lib. 6. Annal.
[h]Ep. 1 1. [c] Ib. [d] lìb. 3. c, I, [ej i.Polìt. ' . V. / .
ornatézza alla femmina ; onde potrà l’ huo- mo di Iciino l'coprire
affondo l’ animo di effe dalla moderatezza , che vi fcorgerà di parla- re,
arguendo , che l’ interna virtù regolando la lingua loro non lafci ufcirne ,
che fonti- menti pelati , e malTime di vera faviezza per allontanarle da quelle
, che mettono in mo- ftra una Morale confluente nella mera pom* pa delle parole
. fu] j^on pochi , dice in tal propoflto S.Agoftino, cercano con gran dili-
genza ì detti fapienti , ma •nogliouo avergli nella teorica della dottrina^ e
non già nella^ pratica-delia vita . Quelle poi, che fl tengo-? no in
riputazione di belle parlatrici da feinc- deflme fl manifellano per più
perigliofe tut- ta volta, che fervanfi d’ un parlare terfo , ed elegante , come
d’ un vezzo per catena di chi le alcolta, più godendo , come dicea Salullio,
[^J d' avere un* apparenza , che una fojìanza buona , e lodevole . Non condanno
io già in tutte le donne lo fpirito , c la cultura d’ uii_> parlar proprio ,
la qual cofa molto è più fli- mabile in quel feflb , che d’ ordinario non s’
applica di propoflto agli fludj ; ma difappro- vo l' uiàrne con feconda
intenzione di piacer re , e confeguentemente addeicare chi le ode facendone
come una giunta di futTidio alla_> forza , che ha pur troppo la bellezza per
fe L 2 me- (a) In Pfal, 1 1 8-Cb] In Catil.
164 medcfima . Siccome poi io non pofì'o in quc- flo aflblvcre dal
reato alcuna donna, cosi non lafcierò maidiperfuadereagli huomini di ret- ta
colcienza il ritirarfcne , come da un vele- no, che tanto forte effondo ,
quanto dolce , e gradito , Tempre è più ficuro d’ uccidere . • II. Ed in
fatti quefta iattanza di fpirito , e di leggiadria briofa , tanto prefib di
pochi mcn laggi decantata in oggi nei Mondo, ha cagionato un inconveniente, del
quale a mio giudizio egli dovrà peotirfi per lungo tempo, quando pure deggia
fperarfi , che polTa cor- reggerio affatto . E' quello V efferfi la parte più
debile rondata padrona difpotica della più forte, cioè della mafehile, che
legata dai fem- minil brio peffente più, come do vrebbe, non fi da luogo di
comandare , onde io ripeterò qui ciò, che mi dilTc per ifcherzo , ma grave-
mente, non ha molto, un gran Savio intorno alla nuova nfanza del Cerchio nelle
Donne-* del noftro tempo: ere. che i:on con^ te:ita^jdofi quejìo J'ejjo di
comandarvi a bac* eletta^ vuole occupare ancora tanta parte di Mcndoy che gli
buomiuì più non fapranno do- Ve pofare il piede ^ e dove ritirarfi per dar
luogo a codejìa Jìrana eferefeenza di lujfo ! Oò fuppofto , lenza però mai
togliere il luo- go al vero per chi meglio divifar Io fapefle , troppo è do
verofo il riHettcre feriamente ful- i la maniera di feoprire V interno dllce
perfo- ! ne prima di metterfi aconverfar con effe-j I inav-
I I ^ d tiy Google inavvedutamente . Quelle per
tanto , che_» fono di buon cuore , e d’ ottima indole , han- : no ancora un
aria efterna di macfth , di chia- i rezza, e d* ingenuo candore , e fi
didinguono per ciò bene fpeflb da quelle, che non hanno capitale di virtù; onde
riconofcendofi come i I Metalli al colore, poflbno molto giovare nel- la (celta
, che debb.e farfene . A queflc bifo' gna dunque appigliarli , quand’ anche.»
vi fi trovafle meno di quelle doti , che più piacciono all’ occhio, o alla
mente poco pur- gata dalle materiali fpezie , attendendofi cia- 1 Icuno al buon
configlio di Seneca , dove mo- flra, che; (a) P animo rimirando le cofe
"vere, I ed ejfendo perito dì ciò, che debbe dejiderarfit 1 non per
P opinione^ ma per la natura loro le^ I apprezza . Si ftigge con ciò il
pericolo d’ in- I gannare dannolamente fe ftelTo , preziolb t giudicando ciò,
che è vile, e che non merita I r elb’mazione dell’ huom prudente , cui fem- I
pre ha da piacere il meglio,o per lo meno ciò I folamente,che in fua follanza è
buono . Que- I (la, al dire d’ Orazio , è la difgrazia di chi vc- I de gli
Oggetti coll’ occhio della paflìone , an- I zi che del difcrctodifcernimento,
poiché cie- ca eflendo ella non dillingue le qualità, e-> confonde col buono
il piacevole , e per ciò j nelle perlbne, che riguarda con tenerezza-. ;
I II I ■ I 1 Ca) \ \ Digilized
by Google t66 Jl •otztó V ìnganita yes)P alletta
ì Che il Commenda nonfoly ma fen diletta . (<*) V amor delle
cofe belle è non poco equivo- co, ma quello delle buone è Tempre favio:on- de
io non lafcicrò mai di lodare quell’ huo- mo , il quale elegga la pratica di
quelle per- foné i lo fpirito delle quali più nei coAume.» rifplenda j che
nell’ eAerna avvenenza del brio . Se tra le Donne per tanto alcuna fe ne
tróvafle , che fi facelTe gloria di eflere la piiù corteggiata , io la'crederei
ancora la più pe- ricololà, e più degna di venire fcanlàta, men- tre parendole
di meritar veramente quella_> fpezie d’ ofTequio , che per lo più Tuoi
eflere_# un’ adulazione dell’ avvenenza, come fe gua- dagnato r avefle col
pregio d’ una loda virtù» fi appaleferia da fe medefima per leggiera ,e
nocevole in confeguenza a dii trattar la vo- Icfie. Meno poi non farà dannofa
la Con- verfazione di quelle , che affettando la beltà ffranamente,fe ne
pavoneggiano ancora ol- tre mifura , come appunto fe un tal fiore po- teffe
renderle ugualmente ffimabili, e buone. Perchè poi in quello può eflervi dell’
alluzia non cosi facile a difeoprirfi , fìngendofi da_. cert’ une di non curare
ciò , che più curano , è re- , — ^ 1 — • I 'i li — ^
(a) Lil/, i,Ser,Satyr. 3. è regola certiflìma di conofcerle
fenza sba- glio l’oflervare la picciola , ma coftantej invidictta , che fuolda
effe moftrarfi cen- tra le altre non meno vaghe , e la premu- ra di comparire
mai Tempre > cornei’ accorta Fabulla di Marziale in compagnia delle meno
avvenenti per tirar vantaggio dal lor con- fronto . Perchè in un Mondo si vaffo
, e sì pieno d’ umori diverfi , può pure ancora tro- varfì una tal Torta di
femmine , Te mai fi tro- verà per me giudico effere il conforzio loro
pernizioTo in ibmmo ; poiché vane clTendo , e tronfie d' un patrimonio ,
cheinfe mera- mente confiderato non è , ehe fango frale-» > non potranno mai
tenerfi per capaci di por- tare alcun giovamento a quei , che le prati- cano .
Ed in vero qual gravità , e fbdezza d’ animo potrebbe mai fupporfi in una
Donna, che invaghita, come di Marcilo finfero i Poe- ti, di le mcdcTima per
quello, che c in lei fen- za di lei , c che perciò dovrebbe difingannar- la i
fi vedeffe vogliofa in fommo di farfi ado- rare qual Nume terreno , ed indurre
gl’ altri a perdere il merito degli affetti in colà inlìa- bilc tanto di fua
natura, e caduca ? Se foffero tutti gli huomini dell’ umor mio , che non è
forfè il piò auffero , farebbe lor naufea certa- mente ciò , che a moltiffìmi è
cagione di ma- raviglia , mentre io non trovo cofa , che pili mi diminuifea l’
eff imazione della bellezza^ , infima qualità di. tutte I e cofe,qaanto la
pem- É 4 pa« i68 pa, che io Veggia farfene da chi la
pofliede-ii I concorrendo nel fentiraentodi quell’ huomo d' acuta villa, che
dir folea ‘.quella ejjere tra. le creature la più brutta , che fi tiene ,
effe»- . dolo ancora ,per la più bella , e troppo moflra di compiacerfene . Sia
pure un tal pregio, quello , che più piace a’ Platonici > indizio d’ anima
pura , limpido raggio dell’ eterna Bel- tà incomprenfibile , e fcala per falire
al cono- feimento del fupremo, e vero Bene ; per la_. mia parte io ho ftimato
Tempre più làggi&_« edere quelle Donne , che dalla natura Torni- tene a
dovizia danno a divedere di non cu- rarla, e premendo fòvea la Tola bellezza
dell’; animo, che è la vera , la durevole , c la per- fetta, lafciano, che
ognuno Taccia dell’ altra_, quel conto, phe più gli aggrada, lungi tenen- doTi
elleno intanto dalla colpa di concorrere, in qualche parte nell’ adulazione
de’fuoi am- miratori . 11 Signor di Tarrin diTcorrendo; nel Tuo libro
intitolato La frenerà, e gli Obe~ lifehi d' iArlet t di due llatue aliai nel
mon- do Tamofe, cioè della Venere , che vedèfi nel- la incomparabile Galleria
Reale de’ Gran^ Duchi di Tofeana i e della celebre Diana d’ Arles , dopo lunghe
, e ben fondate ragioni preferiTce alla prima quella feconda, poiché jafeiando
alla predetta Venere tutta l’ efqui- fitezza dell’ arte vi nota un vago
teatrale-» ^ pericolóTo , ed ifligante , laddove nella fua_» Diana rifplende un
aria grave, fignorile, pu^ Digitized by Google dica, e
che da (e concigHafi tm ibmmo rifpet- to . Da ciò può dcdurfi la conferma
della^ ^gran verità , che di l'opra accennammo . Ne -^^qu'ì è da lafciarlì P
errore d'a]cuni> che fi ere» don ficuri per avere eletta la Converfazione di
Donne già attempate , onde gli fembra d’ aver fuggito ogni pericolo di
traviamento <. Quando elleno fieno abituate nella laviezza.» io ne approvo
la pratica, e la commendo, po^ tendo la G io ventò impararne alTai attefa la.,
molta fperienza, che hanno effe del mondo» per la quale combinando le palfate
colle pre- l'enti cofe , nc rilevano Ipellode i documenti utilifiìmi a chi dee
mettere, come fuol dirli , i ferri in acqua la prima volta per far la fua_.
comparfa tra gli altri . Ne olia il non avere clTe r ufo de’ ftudj , poiché la
pratica tal vol- , ta nelle cofe difficili nc fupplilce il difetto, ed alcuna
di loro potrebbe in quello difenderli , come Alinda preffb del noltro
gentiliffimo Collega Enotro Palianzio : C^) . * \ So/a dell’ huom V ambì
zìo» tiranna ■ . Il nojlrofejfo a non faper. condanna . Tutta volta
però , che folTero di cofiume di- verlb crederei, che dovelTcro evitarli al
pari delle altre , (limando io più alfai dannofa la_> Con-
ca) Canto 3: ì'7o •Converfaziohe d’ ari’ attempata
fcorrcttal. , quando fi dia , che quella d’ una Giovine fa- via . La ragione fi
è feguitando un tal fuppo- •fto , che feinpre voglio credere impoffibile_«,
perchè in tal cafb la pratica ben lunga, che_» hanno codcfte del Mondo, non
avendole an- | coradifingannate abbafianza, riefee non iblo d’ ammirazione , ma
di motivo benanche a i giovani per invaghirli d’ una maniera di vi- vere, che
fempre dolce in altri feorgefi , e_> Tempre gioconda. Preftando elleno come,
ai dir de’ Poeti , le Gorgoni l’ una all’ altra 1’ occhio venefico, a i loro trattenitori
la mali- zia cangerebbono troppo agevolmente i’ in- dole buona in rea
piegandola deliramente al vizio. Per diflinguere una tal Torta di fem- mine ,
giacche la credo fempre in ogni luogo fadiflìma , nulla pih v’ abbifogna , che
fuper- fizialmente mirarle, e toflo dagli abiti fe ae_» ravviferanno l’ interne
qualità meglio , che dal mantello non fi comprende talora la con- ' ' dizion
de’ Cavalli . Se mai compariflero pih ricche d’ abbigliamenti , che non di
frutta-, gl’ alberi nell’ Autunno, fùria fegno infàllibi- le di leggierezza , c
di animo non peranche.« pulàto . £d in vero, fe ridicolo renderebbefi un
Architetto , il quale unir voleffe all’ anti- co il moderno fenza temperar l’
uno coll’ al- tro con qualche modificazione proporziona- ta per togliere la
crudezza di due contrari : non faria certo oggetto mcn degno di rif^
quél- Digitized by Go^le >7* quella donna di
tempo » che alla fbdeaza dcIP età grave unir volefle le finezze, che potefle-
ro condannarfi per eccedenti anche nella pijh florida Gioventù. Baderà addunque
una^ femplice occhiata per guardarli da un forni* gliante pericolo, che non
faria certo , incon* trandofì, il men grave, e dannofo . 111. Alcuni
ancora li trovano tra gli huomini d’umore tanto particolare , e per vero
diredravolto, cha nulla mirano al dàn* no di elegger male i foggetti del loro
diver- timento , purché acquidino la vana lode^ ingannevole di perfoiie di buon
cuore col la- feiarfi piegare ad ogni parte; come fe buono* cd efpcrto efler
potefle il Piloto rivolgendo il legno dovunque fpirano i venti . Se egli -
fempre trar fi lafciafle a feconda meritereb- be la taccia di Seneca (a) dove
dide : chi non sà a qual porto s* indirizza nian •vento può chiamar fuo .
L’huom di buon cuore ha lem- pre da modrarfi inclinato alia virtù , c fc-
guitare la Corrente fin tanto , che non s’im- batta in odacoli , che da lei lo
divertano, come l’efperto Nocchiero appunto , che pi- glia il vento fino a
tanto, che noi dilunghi affatto dal Porto , a cui tende . Non è buono quel
cuore, che apparifee indifferente per appigliarli occorrendo , o al male ,o al
be- : .172 ne : c Ce Phuom- buono j come bcnifllmo in,-
l'egna Platone (a) , è fimìle a Dìo , debbe_* eflcrJo ancora nella fermezza
tanto propria della Natura Divina , e comparir fempre ter hacc delle (àvie
rifoluzioni , /« effe , al dire-j di S. Agollino effondo la mente de* faggio €
buoni huomìnì immobile . Chi dunque giu^ flamentc . vuol farli tenere per
huomo, di buon cuore dee fuggire ogni Ibfpetto di mar le , cd abborrire per confoguenza
la confue- tudine di quelle perlbne, che fvqgiiar lo polr fono della virtù ,
poiché non è buono , fecon- do Arinotele chi non dilettafi dellc^. buone
operazioni , e tanto meno lo farà chi fceglie il trattenerfi con coloro >
chq aflblu- tamente operan male . In fatti qual pruden- za potrà fupporfi in
quegli , che eleggono 1’ oggetto della Converfazione, che può fargli cattivi
> quando fecondo il prefato S. Agoftir ho Cd) la prudenza infegna ciò , che
dee te~ uerfiye do , che dee fuggirfiì Saranno elfi e derill dagli huomini favj
per averea bella_. pollà ^elto il male , o la cagione almeno di clTo,ed
accufati dal proprio riraorfo pec aver voluto afcpltare in quello più il ge-
nio > che la giullizià. Chiuda l’Kuom di fenno. pertanto, l’orecchio al
dolce cantò delle Si- : rene , j (a) in Mini Q^) de Or din.
Cc)5, Ethic, e» S» Cd) ^d fratr, in Herem. • Digitized by
Google rene , che poieiTcro invitarlo piti per uc- cidere , che per
dilettare , e diftinguendo fa- viamente dalla verità la bugia ne penetri •bene
il cuore prima di credere al fuon della^ •voce , perchè l’erba più folta , c
verdeggian-* • te nafeonde talora il fiiolerpc , ed il pomo a rhirarfi più vago
racchiude fpefle volte il •verme , ed è guado nel fuo midollo . Non dì rado
fuccede-, che le perfone , le quali dimo- ftrano ad un l'oggetto particolare un
genio più appaflìonato Ibno Ibvente le meno capa- ci di vera amicizia j come
l’ombra , che fie- gue per tutto il corpo, ellendo pure incapa- cilfima
d’amarlo . Chi ha da comparire in., pubblico, e fard la prima volta huom di
Mon- do , dabilifcad bene queda mafììma in meur te ; bensì trita , ma di fomma
utilità , che_» femprc non è oro tutto ciò , che riluce, e che anzi talora il
troppo lume può elTerC indizio di falddcata ibdanza, vedendofi alcuna volta più
rifplendere a cafo un femplice vetro,che un diamante di fondo. Si guardi egli
con tut- ta premura da certe ederiori finezze , che_» tendono ad allacciarci
cuori mcn cauti , e dà quei foggetti , che fimulando d* efier tut- ti di tutti
non fono di veruno per veri- tà : perchè l’arte di vendere , come pafsò in
proverbio il Sole di Luglio non è l’ultima tra Je più praticate in quedo Secolo
. Simili arti- fizj frequenti, i quali nel gran Mondo ca- dono tutto di fottp
l’occhio, mirandoli dai fuo 9 fuo vero punto
potranno elTere un’ ottimo difinganno per gli huomini accorti,e di buon gullo,e
Tea i meno ritienivi formano la rete d'un mifero aìlacciamenco, potranno fervi-
rc ad eflì ,comc il favololb filo d’Arianna_> per ufeir da qual fiali labirinto
più difHcile> ed intrigato . La follanza del facto fi è j che non bilògna
formarfi un’oggetto , o di ma- caviglia , odi compiacimento , di ciò , che-*
efler potrebbe una frode, nè fermar fi co ii_. jiiipfudenza nella corteccia
delle cofetralcu- rando l’utilitrimo (ludio di penetrarne l’in* terno < —
— IV. Il più (ano contiglio addunque per fare ùnafcelta prudente delle
pertbneda-, praticarli a mio parere fi c l’attenerfi in ogni rango , oalle
fuperiori « o alle uguali , ma_. non giammai alle inferiori nella propria li-
nea.07lle perlbne fuperiori fi ha fempre una certa fpezie di maggior
foggezione, che fuol nalcere dalla riverenza naturale, che tutti abbiamo verlb
di chi c’avanza in alcuna co* fa , onde élTendovi per quello un pericolo affai
minore di familiare dimcflichezza,,vieix tolto altresì ogni adito al male i
Sembra a.> taluni fervil colà il vivere in foggezione; ma pure ella c
un’ottima guardia della mo« defila , e del contegno , faccndò , che moltif>-
fìmi fieno buoni , o non cattivi almeno , per quel rifpetto , che da loro in
altri efigge la_, maggioranza . Nè dee ciò parer firanu a ve- runo
Digitized by Ggfgle nino )‘qua(i che venga per quefto
perfualò a farli buono come in apparenza , e per moti- vo meramente politico ;
poiché a coloro, che riculàno le maniere pih ficure di eflérlo per mezzo della
virtù , del ritiro , e dell’ora- zione, eflér, non puote , che v.antaggiofo il
metterli in ci mento di contenerfi , come per forza, e di non poter elTer catti
vi, quand’an- che volellero . Tra gli uguali poi quando vi ila il fondamento
della làviczza uguale (àrà ancora il contegno , eflendo certillimo , che tra
perfone di pari merito , e virtù , o uoi^ vi làrà mai occafione di male , o
nUina di lo- ro vorrà mai efler la prima ,che perda , e a Te medefìma , e
all’altra il rifpetto . EiTendo COSI la Converlàzione mantenuta in equili, brio
dalla reciproca moderatezza di chi la^ lòftienc, dovrà crederfi piai fieura;e
(c l’ugua- glianza degli elementi forma la perfezione del inido,il divertimento
ancora fra gl’ugua.- li potrà laivare , e la gloria , e l'innocenza di chi lo
pratica . Trattandoli pofeia degli infe- riori io non Gonfiglierò mai veruno a
Aabir lire tra eflì il Tuo trattenimento , nè a Ice * gliervi l’oggetto del ,
converfare, perchè l’au- torità può tal volta partorire franchezza, e dar luogo
più agevolmente alla corruttela, ed al difordine . EfiTendo la parte inferiore
non folo per la difuguaglianza, ma benanche di fua natura più debile , ed
inclinata a cede- re , o per adulazione ,.o per riverenza facili-
ta bene fpeflo , ed Introduce la’ colpa , dóve non faria forfè entrata
mai per altrui elezio- ne . Non fono pochiflimi quei , che nel feco- Jo fi
trovano colpevoli , perchè ebbero trop- po di rifpctto verfo di chi gli perfuafe
la pri- ma volta la colpa , e che farebbòno ancora.» innocenti del tutto , fe
meno avuto aveflero, di convenienza . La difiblutèzza è un femè che predo
germoglia , onde v’abbifogna tut- ta r attenzione pih premurofo per foppri-
merlo , ed affogarlo : ma tanto è poi più fe- condo ) e più felice nel frutto ,
quando cadè in un terreno più difpodo a riceverlo . OrajL» effendo le perfone
quanto più inferiori , tan- to ancora men culte , e più lontane dalla vir- tù ,
fonò altresì piùdifpode a ricevere le im- preffioni viziofe, e per confcguenza
debbono cohfidérarfi dalle maggiori , come in un più grave pericolo di (cadere
dal retto colf ajii- to ,che a ciò porger puote la fuperiorita , e f eccellenza
del grado, lo hò fempre veduto, per quanto fovviemmi , foggiaeere al fofpet-
tolàiàma di chi bazzica incafe inferiori al- la propria condizione, mentre
effendo na- turai iffima cofa , che ogni fimile cerchi il fuo fimile , non sà
mirarli il contrario fenzà qualche lòrprendimento, e fenza fupporvi la mira di
qualche privato intereffe , il quale-* tra feffi diverfi hà fempre, fe non la
fodanza , un colore almeno bruttiflìmo . D’ un Perfo- naggio di natura affai
altiero , ed impegnato nell’ Digitized by .
S' nòlP amicizia d’una pérfbna à lui di lungaj mano inferiore ,
colla quale tratteneva^ impreteribilmente ogni fera , per altro in_» favio
diporto, fcntj dire in una Città cofpicua d’Italia da un huomo di buon nafo :
Il Tali^ JuW imbrunir della fera- diventa umile ,e dì là dalla mezza notte
ripiglia il faflo La paf- fione però , che è Tempre aftuta nel ricoprirfi'
temendo in quello una taccia , che forfè non è.idel tutto irragionevole ha
cambiato il no- me al di vertimento fra gli ineguali , ed adu- landone la parte
fuperiore lo chiama col tir tòlo di Patrocinio , e di Protezione-. Io non_.
Voglio qui in tale delicata materia dilungar- mi per non trafcorrere. quéi
conlìnidimo- dellia, che nella .dillcla. di quello libro ho prefcfitti alla
penna . Dirò folo , che le que- lla protezione riducefi a termini di puro Ibv-
venimento, Tempre è più lodevole, e più gra.; to a Dio il farlo di nalcollo,
fecondo la rego- la , chemò ha egli.fteflb lalciata : non fappia^ la tua mano
finijìra quello , che fa la delirai^ •(<?) ma , che poi nel ,cafo, in cui
fiamo,.è me- gliò airoIutamcnte, e più ficuro , il farlo per- venire per terza
mano , e folo lòggiugnerò quello i che notollì da Plutarco (/i) acuta- mente
cioè che ; Poro è. fempre efficace , ma ,è poi efjìcacijfimù per ottener tutto
in- certe^ M ’ oc- (a) Mattb, 6. Cb) De qnajì. Rom* ‘ - .
9 }. ■» . ■ tccaftqn'f, nellé quali
gioca anno alVautorìtài ónde l’huom prudente ha da temore quèlt^ ,arme più, che
non temefi in, mano dc^Fanciul*.' Ji un'arme da fuoco . Se poi debbe intenderil'
il Patrocinio per una' certa premura , che ft. abbia, o delia caf<<,o
della perfona.parrrii cha all’huomfavio convenga bcndicareimmitan* do
ilSole,che per tutto fpande i iiioi raggHfen-» za calare eglimai dalla
lublimità deiliio pofto» Raccolga per tanto da tutto quello iMiiovU |ie , che è
fui punto, d’una sì geìofa eieziane la neceflìtà, che vi è di farla coO' tutto
lo sfor< zo della prudenza,, e ponderando ài grayiflìa ino fentimento del
Nazianzeno. ,• (aj cheli niuna cofa è più facile, che il divenire ■.catti-* Vo
: lì perfuada , che facile poi lo l'ara altretW tanto divertendoli con
perìbn,e,che non fieno di rperimentata bontà, perchè fe le inalattió
s’attaccano tal, volta col fiato.lòlo,«ieno for ' lunati non fonoi
vizjpcrinfinuarfinòll’animai quantunque picciola a noi fembri: jVfottilift Cma
Tapertura :, chè -gliene diamó ; la yeg* • gio, che per'qiianti prefcry^ivi.lì
dieno cón* tra il mal contaggiolb, il migUore di tutti, ed al quale s^appiglia
ciafeuno , èquellpdi fug^ ’ girlo ; così deexcgolarfi .ancora ognuno in.»
ordine al male , che può eontaininarlo inter- namente non credendo ad altro,
rimédió piò, - .'V ' ' ' . che « • < ■■ <1111 ■ '
' ' ‘ ' ^a) Orat. i, i;-.« < -.«ib. ,? .'V • . / -
I #- « « b7< rz"
T * *79 che a quello di fcànfarlo ',dove fi vcggia , ed
in qualunque perlbna,.per cara , che gli po- tefie mai elTerc , o per altri
capi giovevole. Abbiam Tempre in quello la mira al nollro interefle , ed alla
falvezza, dell’anima., noru^ volendo mai rovinarla per tenere allegro,'e
giulivo il corpo , c trattiamo per ciò., fecon-, do il parere di Seneca , (a)
co fi quei foiit. chjh c.i pbjforio render migliori , che ?ion fiamo : ed
allora averemo fatto un’ottima eìezione.Pcri « • quegli poi, che
già la fecero cattiva ,e li tro- vano in borrafea fenza potere per, degni ri j
, * fpetti ufeirne sì prello , oltre ài configliargd • di lludiar lempre
qualche, buona maniera di. mctterfi in falvo coll’unico rimedio d’una-^
génerofa.e follecita ritirata, dico elTcre l’uni-| co ripiègo per fuggire i
cattivi fenza fiiggir- ■ gli , il comparir lempre per huomo di buor ne maflìme
, c si amico, deironeftà , che bailj *> il mancare in qiiefto per
difguftarlo . Allora i perverfi ò non s^accoftano come le Notto^* le dove .c
luce,p fingonfi diverfi da fé mede- fimi per. tema di riprenfione . Così
eviterà il favio f odiofità di fcaàfar gli altri /ed anzi la-, feiando a gli
altri [ì rlmorfo dilaverò a ican- far lui, fi porrà à poco' a poco in libertà
di po^ .. tcrfi tirar fuor di pericolo , che è in tutte leìj cofe , ma.in
quella fingularmente , la piu vef ra, è ia più infallibile ficurèzza..,.,' ’ ■
* -f . ' M 2 ^ ‘ . Tì^lld . y. ^ w*. — ■«»» li I ; 1^ > •>* ,
» ■» ^ 0-0 , (Al) Ep.y, ^ Diglllzed by Google
Della necejfttà dèl vejlive ónejlo-, neìiii' Convérjazioni. ■. .
CAPÒ XII. I. \ k- Opo d’avere iiifinuato
all’huomo la - gran premura , che egli aver debbe nello, fcegliere le perfone ,
coiic quali vuol converfarc , parmi ben .fatto ànèora di fug- gerire l’altra
neceflìtà di comparirvi'in abito» pneftò > perchè tolgafi anche in'queda
parte: ognfoccafiòne di traviamento . Le fpade fia- chc 11 anno racchiufe nei
fodero non fefifeoT -ho j è la. calamita coperta non tira il ferro;'* cosi la
perfona veftita con decenza , e nìodé-. ftia , non accende il'cuore di chi la
mira , o fe l'accende non e per fua colpa . Parlandoli poi delle donne, che
fogliorio effore il condimen- • to delle civili Conveffazioni, egli è
certo,. . che al fcflb loro conviene in tutte lecofeil. contegno , ed il
portamento modello i che lo .jfende in (bramo pregevole , ma nella forma '
qtjll’abito gli è poi affatto indifpenfabi'c ; poi- ché fe non lafcia d’effer
fempre pericololq all’huomo lo divicri di vantaggio fenza dub- bio collo ftudio
delle gale , c della, pompa, onde lò Spirito .Santo avvUii (a^ che : la»gi fitap
particolarmente dalla donna adornata. Non piiò negarfi dChe in quella parte
Pabulo non fia in oggi créfeiuto quali alPeccelTo , c • ’ ■ • ■ che
' j (ayEccli. 9* r- ■Mf' > ■
* ♦ t r- , N ^llized ■ • * ■*
che v*abbifógnì per ciò un rimedio ben gran» ,<Jc , fe non per torlo
del tutto , che troppo è difficile , almeno per corrèggerlo alquanto, e
renderlo men colpevole inficme , e men^ dannofo . Intendo io dunque di parlar
qui colle dorine più favic, e più inclinate alla-* virtù , e pónendo loro lòtto
degli occhi tut» tó il gran male ,ch'e può venire dalJ’ inde» cento , e
troppo'- bizzarra forma degli abitfi ritirarle da quella facilità , che elleno
hanno di feguitarne là moda , più talora per non_. contravvenire all' ufanza’,
che per fmiftro ’pcnfiero 'd’offendere la modeftia , Spero per tanto
dall'ottima loro indole quello profitto ' di renderle più caritè nell’adornarfi
, c nemt» che interamente- d’eccedere mai in un coftui •me , che faria folle
del pari , cd iniquo -, tutt^ volta , che gliene abbia qui rilevata , quando '
inai poteffero àinarlo, la •vanìtà^W dì/pendiot \ Vìnte azione > ed il
danno. '■ >11; Sòbeniffimo , che la decenza dell'or- namento in
qualunque 'fiato è lecita , e con*- - venèvole, onde non dee riprovarli , c
però io', non condanno ih quefio altroj che la vanii ài ' contentandomi, che
ogni donna fegua il con- ’ figlio dell’ Apòftolo-, (c) e comparifea in-* '
abito adorno , ma con verecondia v c con fo~' . L’ulb delle velii,, che.
ebbe dàlia pri- . .• V . . ì vM ’• r - ma ■ 'i V
Cà) „i ,' Timoth. a. jh ■i. ’* •» / -
> ^ 'r r / # '•*5* :
. ma colpa il filo principio fembra , che abbia feco tirata la fua
porzion di gafiigo > mentire » jfcr.vendofenc i primi noftri Progenitori per
Confufionc , c vergogna di vederfi nudi per- duta , che ebbero l’innocenza, è
flato Tempre . dalla malizia renduto peggiore a i danni delP innocenza medefima
. Le vefli dunque , che^ furono.un riparo, benché debile, al roflbrdel* Ja
colpa , dovrebbono ’eflere un ricordo per- petuò, e familiare della miferia
r'ih cui tutti peha polli il peccato : eppure per isbaglio della fedotta natura
fon divenute un fomentò di fallo , e d’alterezza . Quella cola ben pòn- ’
■ 'derata dovria tirarci dagli occhi le lagrime-* COnfidcrando , che neppur
balla, la funella.. memoria d’un gafligo sì grande *a farci mi- , gliori .• Più
faria colpevole poi quella vanità* (]uando ardifle mai dimétter mano a defor-
' ' mare la bella' ini magin di Dio imprefla da.iùi per fomma grazia nel
vólto d’ognuno . Se t .'Greci ebbero per le opere de* celebri Auto- ri la
riverenza di non toccarle, benché lafeia* te le avelTero imperfette , lària
bene un gran ' . difordine , che n®n potefle Iddio rifeuotere.* • ;
altrettautò dalle fue creature per le proprio . perfettiflìme,ficchè non
concepilfero la fto- . lida pretenfione di migliorarle .E che altro
foferirebbefi j quando- mai fhccedelTe ,-dalP- • empierfi alcune donne di nere
macchie laL. , faccia , daf dipingerìa. con . piii colori e dai , darle in
fomma un’aria.tuttal diverfada quel- * • '' • ■'*'■** * ' • • • ' t
t •». -' *> •«Tir. I w 4 »
I , 1 Jflfep ^ ^ «.«tt \ ^ ‘ Digitized by Google
f I *8? ee ? O quaut'
efclama Tertulliano , (a) è alter- no dalla mjìra dìfcìplìna, e profeffioxex
quatu to indegno del nome crìfìiano , il portare dt^> pinta la faccia coloro
, a ì quali è ingiunta //»• femplicità, e mentir col fembìante quegli, cui non
è lecito di' mentir colla lingua i Rìferifce Taeitó , che Fifone faviflimo
Gavalicro di Róma vedendo le corone , che nel gran felli-» . Bo porta
vanfi a Germanico, ed alla Ivicglie_i» ,di Jui,maravigliandofi diffetC^)
Egli non ègiàk. ' . figlio di qualche Rè de\ farti, m'à d*un Impe-l- '
radare Romano , cui troppo difconviene t’adì dattarfi al cojìume ,ed ai riti
de' Barbari ■: Quanto poi faria più difconvenevole in.un^ ' Cattolico
l’ufar nel vellito più Ihorbidczzai., . • che non praticarono . gli
fteflì Gerrtili? E chi potfìa negare, che quando cièfcffe nonlt *
modraflero le perfonc'poco fci^disfatte dell? avvenenza , di cui le hà
fornite il Signore»* j' * afFaticàndofi. elleno per le medefirae di accrei
fccrla je darle un brio più vivace , e più pel-a . , légrinò ?jCosI
l’intcfc. Prudenzio, quando it» , latina favella cantò per ammaeftràmento
di tutti quello , che nella noflra vuol dire : ' : f
i f Digitized by Google 'I84 ■- ^ \ ^
' . Qoeft* abu(b di volti bugiardi , che forfè pur . troppo non è lontano
dal coftume d*alcune_f ■ parti d’Italia, cagiona l’inconveniente di non . poter
più riconofcere le qualità interne, che rilucono permezzo del l'angue al di
fuora,co« me infegnò Ippocrate , (c) nel colóre del vi- le : mentre nón
v’clfendo quafi più , dove ciò fi pratichi , alcuna pelle di color naturale-^
>. malamente può difcoprirfi per quefta via_.' l’interno de’ cuori .
Alludendo ad una talco- fi:umanza per verità condannabile dicea un_» .
huomo difingannato per lepidézza , che na- - Icofte elTendo ornai quafi affatto
le vere_* fembianze della donna lòtto uìi colore men-.- tito, gli adoratori di
quel fcflb poflbno unirli ' a quegli'di Afene , che làgrificavano alla (è)
Deità fconcfcìuta crede- re, che io noi penlb , che alcuna donna giun- .
ga ad.un tal fogno di vanità , io crederci , che- più avendo, ella in quello di
rifleflìohe defi- . fterebbe da ùn sì latto affaticàmento per iri- tcrelfe
ancora di quella- vaghezza , che c la^ '■liia più rilevante premura. Non
merita, eu nè tampoco l’ottiene, ftima veruna qiiell’ av- venenza , che fi
giudica artifiziofa , e che può mettere in q aalche Ibfpetto l’integrità
della_ , pudicizia , è dall’ interno candor軫 J^'uit*aU . tra • bellezza
y-{cnv& QeyS. Gfe^rio diNa^ zian- fa) Lìb. de
Humor. /H') . (cj In prof. advìMal. » . \ y"~ '■
.1* V... > • * ^ * * * * ztanzo , tò flìmo^
fuori di quella \ che vietici dal dono della natura . Come gli Abitatori ' alla
riva del Reno efaminana i lor parti pena venuti in luce ; e come il fuoco fuol
effe - re un certìjfmò indagatore, delP oro puro ; così ioriéonofco Pinterna
candidezza delP-, animo tuo .dma trafan data leggiadrìa nU mica del vano
abbìglìàmento . Fino gli An-, tichi Poeti, che furono i Teologi della Genti-
'^lità preferiffero agli Dei un’onella forma di abito , e Diana , che' per
configlio di Giove-» fingevafi aver fatto- voto di pudicizia , da_»: effi fh
fempre figurata con modeftiflìmo or- namento , e delcrivendo la ftatua di Lei
in Si- cilia drffe Tullio , che : (ja') vi f piccava /opra ditutto P abito
•òèrginah'. tanto è vero, che_* Ponefià dell'animo ricavali da quella ancor
delle vefti ..Può dunque veder Fa donna, che lalciandonc ancora da parte quella
malizia, Ja quale può renderla rea per quello al tri- bunale di Dio, le
pregiudica aitai ncll’cAima- zione altrui un sì attento lltidio di gale , che
in vece di accrefcerlo, toglie , ed al fembian» . te , ed al candore gran parte
di lullro , e.di - lode., lo.non vò decidere fe a dì nollri iia ve- ro ciò',
che ne’ fuoi dilte il Profeta EzcchicI» Jb alla donna vana : (a) bai perduto il
fapere' dietro la tua bellézza . Sò bene , che aleun< ' ■ * or,-
ap- .# (b) cap, j$, “• -r-'r-fc *
Lj i%6 . I. )'* «i
. ' applicate forfè di tròppo. ?d un Ibuiigliant^ .
ei'ercizio non dimoflrano, tutto il fcnno , cfié certamente dovrebbqnp, mentre
fi contea- .tano folo d’efler mirate , fenza riflettere , fe . rocchio di chi
le mira fìa , p critico , P.adu- ktore , p dcriforio . Queflo poflb dire per
verità j e per difuiganno di chi uoppne avef- ,Ìèy d’aver fentito farfi io
ileflo più biafl- mi , fcherni j e derifipni ,'che encomj da chi ' ; fe ne
finge taìpr più parziale , a quelle don- " ne , le quali hanno fpefa.
un’intera' mattinà- . ta per fare un’ora fola di bizzarra coinparfa, ■
onde poflbno avvederfi di. perdere nel tem- po-medefimo il merito di.piaccre ,
e a Dìo, e i a gli .huomini . Ed in vero fe.quì di proppfito . fondaflero
elleno mai la Tua premura , a ciò ■ potrebbe darfi col fuddetto Profeta
il titolo i certamente di ftolidezza . Tra noi non m.an- canó moitè ,
alle quali potrebbe dirfi ciòc che a Filoraanzia prefTp di Plauto dilfé la
ferva i . allorché richiedevala di biacca per irapallarfi vanamente le gùancie
; «o» voglio dar •if e leu* ■ ,'psr< hè ciò, farebbe un voler
imbiancare, coll* ' inobioftro lavorio . Ma fe poi in ciò aflìftite_i ^
dalla natura benillìmo , non parelTe loro mai ' d’effere bianche abbaftanza
quando api dir 'yenilTcro eflc pure coll’arte i e fotfriffero co- , me la
predetta Filomanzia d’annerirfi più to- rto , che di mancare alla premura
d’eiflerfi in- dufiripiàmente imbiancaté , potria egli tro- »varfi mai fpczie
di vanità,edi ieggerèzza^ • • » _ « I ♦ . ' < • \
4 i87 maggiore, dcteftatà per fino falle (cene
degli ■ .Idolatri ? Piìi compatibili , ma non più felici» fono quelle , che per
quanto intcnded dal parlar d'altri ftudiano , e giorno, e notte per ricoprire i
naturali difetti collagrarietà delle gale , mentre credendofi d’ingannare chi
le riguarda a minuto , gli mettono anzi letto , degli occhi ciò i che
pretendono d’ occul- tare, e fanno veder più chiaro que’ man- camenti , che in
una perlbna di minore cul- tura non curerebbonfi . Quando quell' arti- fizio
fia pure in alcune poche reale, e ve- ro , a me fembra ,che fia ciò un farli
burla- re , con lor buona pace., a doppio , e pel di- fetto ,*che da fe muove a
rifa i più deboli , e per la ^vana premura di palliarlo ad ogni co- llo , che
fa ridere anche i più favj . Non mi uicirà . mai di mente a tale propofito il
det- to arguto , che fentj" anni fono in Napoli da_. uno di quelli Critici
inclbrabili , il quale ve- dendo' una donna alquanto^ gobba , ma in_* veto vana
oltre modo , che lòrtiva allora...' appunto di cafa con una conciatura di capo
d’invenzione affatto nuova., dille con grave forrilo, 5 mefehim ajata la natura
coW tir te per renderp- più ridìcola . Il fentimen- ^ , to par da Mimo , ed è
pure graviflimo,; poi- ehè fe talune conofeono d'c'ffcr pòco alla na-
turaobbligate per averle pródette affai di- fettoiè ,. reputerei meglio il
fingere alcunu poco di gravità , mofirandofi men curanjf delP
tu -> DIgilized by Google ' -iSS’
, dcll’efteriio * che pòco preme,' fecondo l’I do- '-cumento del Filofofo
: [a] molto più belici^ ..cofa'è-, anzi regìa , aiier V animo ., che il cor- po
compofto : meglio, dico , reputerei moftra,- re fodezza ia tal cafo , e non
curanza , chctii- ' raffi abbellendofi troppo gli occhi di tutti , e
rendere piii vifibile il mancamento col ripulirlo , come i Chirurgi mal
'praticu che per troppo nettar la piaga fcuopronO l’offo • , , w . III.
Nè merita minore confidcrazione il difpendioy che feco porta un tale abufò,
acciò vis’ inducano le favie donne a prenderlo in-un piò giufto abborriraento .
Egli è cert.iffirnd eflere in oggi così crefeiuta la.difpendiòfa_i . maniera
defveftire , che ne rifentono le fa« miglic un danno affai notabile, dovendo
fpe- dcre dietro, ad effa un contante , che potreb* be converti rfi in ufo
molto migliore , e.più yantaggiofo. Benché alcune cafe non cròl-* lino con^
quell’ urto , molte comunemente ’foccombono, e per falvar l’apparenza, chi sài
. che non fi faccian patire di cofe più ncceffa» rie ? Potria ne’ tempi noflri
replicarli forfej- non fuor di propofito quella querela , chelij udiili per
tutta Roma , quando Augufto in_i tempo di carefttà celebrò con importuna..
"- magniiìcenza il più fontuofo Banchetto , che àdAkx*.
T , r vedcflTe foi'fe 1’ Antichità,
comparendovkegli in abito d’ Apolline , c i nobili Convitati vc- ftitida Numi
diverfi ; che mavavìglì», grida- vano i poveri Cittadini., je muojoa dìfimieì
Romani-, giacche gli Dei mangiarunji tutta la - fuetto'vaglia ? Chi entraffe
anche in oggi neC r intimo d’ alcune cale , forfè afcoltcrehbe 1'. , eco d' una
tale doglianza , perchè pendendo- più icmprc il Mondo alla penuria , e alla mi-
léria,, và importunamente crelcendo il ItifTo . di modo ; che ornai forzato 11
vede a cedere^ • non folamente F utile al dilettevole , • ma la_ •
necetTuà benanche alla gran moda ‘, onde li trovarebbe in quello ancora
verifllmo lo fpcri menta to proverbio : che gli jìolti fa» ri-.' der. tutti ,
fuori che quei. di cafa . Lafciando però quello rifleffo di malinconia a' i
Capi di. pala , ehi potrà mai accordare colia crilliana moderatezza una-si
difpchdiofa , ed inutile.» collumanza ? Io ho veduto fpender centina ja / di
doble per una fola conciatura da tefta , che. fatta la prima coraparfa di pochi
giorni non v;al più cento foldi, onde convicn ben dire.» , che uno ftfcttillimo
conto-fi deggia renderei, a Dio per ci?),che fi toglie a i faci poveri con- un'
tale cccefTo di- vanità . Credo , mi dicea^; mia' donna di gran prudenza , che
a -noi. pefe'-.\ r abbono oltre mi futa . le Crefte , fe ne. co» fide- rajjìmo,
ed il malore-, e le confegnenze -• Éd in • yero chi non tre’incrà in
riflettendo , che per ycftif e un lòl capo fikfcia di provvedere ^ 1
tfin- • • » \ \ . A Digitized
by Google rr I I. i.
•tanti midi corpi , che gridario ài divin tribù- . naie vendetta"
centra di cbi dilTipa- si mala- mente il loro patrimonio , che è tutto quello
appunto , che avanza al noftrq commodò , e 'alle convenienze ragionevoli de*
facoltoG? ' Molto più larcbbono poi condannabili quelle , ■ donne , che non
niilurando punto colla forza • le Ipeie confumafl'erò in quello più affai ,
che ■ non conìportàn le rendite . Chi ulà àbiti lù- periori alla
poflìbiltà* del fuo grado (ì *vefle di , ' bugìa, fecondo i' Angelico S.
Tommafo V" C^) e meno, a mio parere , non muove a rifo di chi recitando in
comedia fi formalizza , e pai ■ voneggia del Manto reale, della Corona, deli lo
Scettro, quafi eh è folle una 'fteffa colà tàh- ’ to 1’ efferio in Ibflanza ,
che il fare per poche ore il perfonaggio del Re -. Ed in vero ugual- ^ mente
riderà fempre Giàfcuho , che miri 1<l_> ■ cole pel verfoloro i in
vedendo imadonna^ • . Con verte fuperiore alle fue forze , che in ve- . 'dendo
mi fartofo Timaginc arricchito di ' gemme fàlfe ; poiché neri è
minorJeg'gerez- ' .zaadornarfi, aion pagando, con qucidegli al- . tri , che far
pompa -d’una teatrale comparfa, come fe foffe vera , e prcziola . Poche bilb- »
gna ben dire , che fieno le femmine di tal fàt- ? ta , fe pur anche ve ri' ha
veruna j perchè fe_» foffero molte chi potrebbe mai giughere a_i ' . > ca- ' t » V , .1 .
<t [a] .2, ,2. qufijl: att. i.ad z- • %
t ! i Oy G0( C 1 ■
I9I càpiY la franchezza di girfene elleno in boria, e gonfie
nelle liie gaiè quanto nel cerchiGi ’ delle fae penne il Pavone ? Chi di loro
aver potria coraggio di vederfi per ógni parte fe-t gnatf adito da i mcrcadanti
, .ognuno dei ^uali accennaffe ciò , che in efle è per anche luo j ficchc.in
cafo d’ averfi a fare un’ intera i ■ e giufia-reftituzione,' avefiero a rimaner
le_» mefchine più fpog!iate,che non gli alberi nel crudo' Inverno ? Quella è
una lòrta’ di ceci-* tà , cui io non l'aprei mai imputare a veruna 'i, fc non
cc la confermafiero le querele talora de’ poveri mercadanti , che pagati mai
lem- jpre du certi Avventori colle appuntature liti libri mirano goderfi dagli
altri con tutta di» fin voltura il frutto dilor fatiche , d’efli ancor • dir
potendofi coi Poeta (ur) . • . 1 » . • ' • » i * « ^ * ì 7*a/
da Ji , ma per fé ,fa>t PApi-U miele . \ • *• Molto
più particolàre ibvra di quello era Jaù meraviglia^ che feccvafi , come per
ifcherzo piacevole ,con gravità però di penfiero , un certo mio Cònhdente d’
umor piccante , ma di profonda 'Morale ,in riflettendo all’ ufo di certe
♦femmine più volgari, che fenza penlàr altro in tutto quello, che veggiono,
voglio» farla-da Scrmie ymn'hò mai poiuto còmpréa- ‘ vf' dérct
,< iétà ■ildi ■? .
> ( *92 ; dere, ci diceami , comecértune
comparìfcano ia pubblico sì diritte , e sì tefe, quando so di Certo, che manca
loro in cafa il Jajìeatamento per reggerfi in piedi i Fino a qucfto fogno 'è
giuntala linoderatezza delluflb nel popolo ancor piìi minuto d’ indurre non
poche d’in- fima lega adoflfervare una fettimana di vigi- lie non comandate ■
per ulcir poi nella fcfttu, fieh gaje, ed adorne, facendo a chi le conofce pivi
compallìonc , che meraviglia . Se però .Iblamente fuo foffe il digiunò potria
tacerli' ' ammirandone la folferenza; ma come palfar- ‘gli fenza carico, di
grave colpa il tarlo comu- ne alla famiglia, mentre ben diverfe dagli uc-
celletti,. e da i bruti', che digiunano efiTi pci^ cibare i loro parti
ancor'teneri , tolgonle di . fiocca il pane per metterfelo elleno indolTo
convertito in naftri, in vezzi , ed in polvere ? Abbiano dunque beh l’ odchio
le dorine di fenno per non ecceder giammai, in un sì fatto coftume , che tanto
è facile a dar nel vi- • zio, quanto è difficile da ripararfi dato , che egli
vi fia • IV, Crelce poi la gravezza tì’tin tal di (or- dine per
la.maliziófa intenzione ', ch-Q-p^r en- ' tro potrebbe riavervi di formare: con
ijucfto una catena al cuore de’ riguardanti . Ciò li nega alfolutamente da
tutte, le donne ,• per- chè non fe ne troverà mai alcuna, che voglia c'onfefVarl*
per rea d! un sì pérvcrlb difegno . Benché io l’ accordi alia maggior parte.di
ef- V fe , non è però la negativa per alcune poche vanarelle
foftenuta con ragioni sì forti , che pòflano perfuadere concludentemente il
con- trario . 11 primo appoggio per.lalvare una_* tal rea intenzione fi è il
liipporre,che ciò na- Ica dalla convenienza d* accommodarfi all’ altrui cofiume
nella forma degli abiti , e fa- rebbe in vero d’ un umore affatto particola- re
colui 1 che vivendo fra gli altri volefic ve-' ftirfi iti foggia tutta diverfa
da quella , che è piò comune . A quello rifpondo , che può be- niflìmo falvarfi
la convenienza, e non tralcor- rere di là da i limiti della modefiia , conve-
nendo con gli altri nella fofianza dell’ abito , quando onefiafia, c crifiiana,
e slontanando- fene poi faviamente nelle circoftàze d’ alcune aggiunte di
libertà, e di Icandalo . Io fono d’ opinione collante , che ninna donna pruden-
te farà mai notata , fe non sè con lode , quan- do le manchino certe foggie
peccaminofe, co- me pure in tante avvien tutto giorno , men- tre fi vedrà , che
ella ha faputo prendere il buon della moda lardandone ad altri il catti- vo .
E’ quella anzi una fpezie di correzione lUililTima per le piò licenziofe, Ic
quali alcuna volta s’ammendano trovandoli come polle in tibia dalle piò làvic
nella pratica dell* errore, pfh valendoy fecondo il Pontefice S. Leone-», ad
iflruìre /’ opera, <;be la voce . Ma trop- N po (a)
Ser-^i, 194 po fi vede bene, che un.tale abulb,dove fi tro-
vi ,ha un fincaiverfo dall;; mera convenien-.. zà , che fi prcfume per
ilculàrio , poiché cia- Iciina delle vane donne di lopra mentovate_» . cerca d’
efler la prima a metter fiiora le mo- de , e farfi maeftra alle altre di luiTo
non più veduto, locchè non fuccedcrebbc. quando fi , miraffe unicamente all’
uniformità dell’ul'an-, za. Bifogna dunque dire con Tertulliano , che fi ama da
loro, un tale (Indio per farfi del feguito, e temendo , che non abbia là
nàtura- Je fembianza del volto attrattiva ugnale al . defidcrio fi procura d’accrefeerie
il pregio di ]eggiadria/;/o//a/j'do»e , come egli dice, dal Demonio l'aggiunta
delle gale . Giuditta sì, che ebbè in ciò facendo una retta intenzip- ne,
mentre comandatole dal Signóre , che &’ incamminalTc a i Padiglioni
d’Oiofcrne per, Soggiogarlo fi abbellì , e vefiiffi pompola-- mente combattere^
come afferma S. Ago» (fino , (Jì) prima col eajlo volto , che colla fpa» da .
Olfervo in un tale avvenimento due co- fe, che tornano ottimamente in acconcio
nel cafo noltro . La prima è , che mettendofi in_, gala quella faggia Matrona
unì alla bizzarria degli abiti anche la modeftia del volto chia- mato dal
predetto Dottore col nome di cafloi non potendo fcordarfi mai, neppure in una
si pom- (a) Lik.de cult.famin, 0>)Ser. 229. de
temp,. pompofa , ed avvenente comparfà , di quel contegno > che
tanto è proprio di quel fello . V altra è> che non lafciò Giuditta con
tutta_. la fua ingenuicà di riflettere, che per fuperar quel nimico non v’ era
arme più ibrte.della_ propria vaghezza, non femplicé già , e natu- ral.e , come
ella tenevala Tempre nel fuo riti- ro, ma rinforzata dall’ efficacia de’ più
ftudia- ti , e pellegrini adornamenti . Quindi rica- var poflbno le donne , che
in ciò mai foflTero le più libere , che la modeftia non ha mai da fcompagnarfi
dall’abbigliamento, e che ftato effendo Tempre quello fecondo una gagliardif-
fima batteria di tutti i cuori debbe da lor pra- ' ticarfi con tale moderatezza
, che altrui non ferva di rete , ed’ inciampo . Hanno effe pe- rò un altro
fondamento , che più (labile fem- bra loro per affolvere da ogni reato l’
inten- zion d’ abbellirli , ed è il pretello di piacere.» unicamente a i lor
Conforti, che io inmoltif-, fime, le quali prudenti fono , ed ingenue , ho
Tempre creduto vero , e lo credo . Pure porta contra di quello
S.Gio:Grifo(lomoC«) due ra- gioni fortiffime, che interamente abbattend.o la
fcufa,dove tale ella foffe,Ialcicrcbbono allo feoverto la peffima intenzione
d’un tal coHu. me.La prima di quelle è , che tai vane donne piaccrebbono affai
più almarito col veftir po- N 2 lìti- ca) HoVé, 28. h Ep. ad
Hebr. 196 fitivo, onde meno li diflurba l’cconomia^ed è ciò
tanto vero, che non di rado nafcono tra di loro litigj,di(Tapori,e contragenj
per non pò* tcre effe ridurgliad appagarle nella brama de* sfoggi, fcegliendo
poi fovente i poveri mari- ti anzi il cedere con diCcapito , che il vive- re
fetiza pace . Come dunque fuffifte il pre- teso di renderli gradite a i
Conforti , fe non balla , nè il genio , nè l’ autorità , nò le ne- gative di
cfll per diUornarle da una si danne- volc coftumanza ? Non è men forte l’ altra
ragione, per cui s’ offerva , che Itando in ca- fa le donne fono Tempre affai
piò dimcffenell* abito , ed allora folo pongonfi in tutta gala , quando ne
fortono: onde ricava il Santo, che l’ intenzion d’ abbellirli con una sì
attenta., premura non riguarda l’ oneflo fine di piace- re a i mariti, ma bensì
I’ altro di piacere a gli cllcri, lotto l’ occhio de* quali s' affaticano di
portare nella fquifitezza dell’ ornamento ua oggetto d* ammirazione . H non
faria quello Un farla da Pavoni, che non fi mettono in bo- ria lè[non fc per
effer veduti, come cantòOvi- dio? E così può voltarli in nollro idioma.
* Dì grate iodi al lume Topo il vano Pavon /piega , e
diffonde li tefor delle piume ; Ma fe noi miri la fua pompa afeonde
. Io (a) Lìbm 1 . de Arte, DIgilized b; Google
Io non hb fentito > che una volta , e da una^ fola di codefte donne
leggiere, ma con efire- mo rammarico , darli la commiflìone a certi galanti
Efploratori di girfene per fin nelleJi Chiefe a fpiar le mode più nuove , c
render- lene pofeia conto , per poter efla comparir- vi più tardi con ficurezzà
di non effere daJ xnen delle altre. ConfefTo , che mirando, allo, ra la cafa di
Dio divenuta pur troppo nell’al» trui concetto una fiera di pompe , di frafehe.
rie, e di fumo, non poter àftenermi dall’elcla. mare : O Mondo, perverfo mondò
, e doVe_> mai potrà giugner più oltre la tua malizia ! Se mai in tali donne
imbattuto fi fofic alcun marito (aria ben poco Tcufabilc , quando non facclTc
ogni sforzo per provvedere autore- volmente ad una tal corruttela. Infegnù Ari-
ftotele , (a) che alle Polledre indomite fi ta- gliane la chiòma , poiché una
tal confufione le averebbe umiliate , e rendute più manfuc- tc . Non dico io
già, che doveflc mai verun_, . Marito giugnere a tanto per guarir
l’alterez- za della fila Donna , quando ancora ella fofic. di tal umore ; ma
faria ben giovevole affai, e giufio il metterla in una sì efatta riforma, chei
poco avendo fuori del bifognevole ulciflelc-* ornai di capo una vanità sì
prefib Dio colpe- vole, ed al Mondo sì perniziola . V. In fatti c
incfplicabilc il danno, che da . ■ N j ciò / » ^ 198
. ciò venir punte in tutte le anime, le quali noa fi hanno una cura piò ,
che vegliante • In al- tro Sècolo. non fu mai forfè piu pericòlola la yediità
delle donne di quel, che eifer pofla in quello nollro , mentre effendofi elleno
ren- dute piu familiari, e men dedite certamente—# alP antica ritiratezza ,
tanto farà piu forte allettamento, quanto faranno più avvenenti le comparfe,
più ammirabili , e più fludiatè • Parrebbe ftrana, e troppo auflera la propofi-
iiohe, fé oltre alF efperimento , che la con- ferma, non la vedelTimò avverata
dalla fola-# olTervazione delle Pitture , e delle Statue dc^ ^reci. Non fe h’ è
per anche trovata alcu- na, che ppfTa paragoaarfi nel bizzarro accon- ciamento
delie chiome al gallo della moder- na finezza, vedendoli chiaramente, che in
ve- ruii tempo non fiorì mai tanto (ladio di pom- P^>che in quelli nollri ,
i quali per efiere il- luminati colla dottrina del fanto Evangelio dovcrebboho
pure efiere di lunga mano più rifervati, e più femplici . Io ricavai un tal
fen- rìmento dalP opinione d* un celebre Scultore moderno, il quale facendomi
ofiervàre conu# qualche riflelfo le migliori, e più nobili llatùe di Roma, in
tale pregio , come nel rimanente Unica,' eYoIa', andavami rilevando P erróre-/
delle Donne prefenti i che flontanatefi dallà^^ naturale, è più propria maniera
d' acconciar- fi , che ufarono le paflate , col pretender d' accrefcerla hanno
tolto, dicca egli i rnoltifii- •i9^ hio aHafimètria deli*
avvenenza . Non vo* ^liò già qui formai* quiftione eli quello, che_» a mè poco
preme, ballandomi il dcdurnevchè quantunque nel lulìb de i nollri tempi altro
non lìa di male v’ c purquella malTima , e di- tei quali vergognofa
fconvenevolezza di non potcrl'enè trovare ne i Secoli IlelTì del Genti*
iefinio' alcun paragone. Quelle Donne ad- dunque -, che s’ adornaffero in tal
guifa pih per compiacenza di pravo genio , che di leu* làbile uniformità all'
altrui collume , potrèb* bono per ravvederli riflettere al folo rimor- Ib di
eflere, ad onta di Tanta Fede, Hate elle lè prime à Icordarlì, che la modeftia
, ela vere- condia fono tuttala gloria del loro feflb . Fu quella virtù da
Speulippo difiìnita, (aj utiiut favta compojìezza- nel portamento del corpo :
onde potrà da fe medeuma cialcheduna con- fiderarCjfe elTendo quella la Tua
foflanza deb- ba ella perfuaderfi diaverne in fe alcuna por- zione • Ghi pòi di
loro fi trovafie in realtà di- fetto fa , ed in quello mancante , come non_.
crederà d’ éflere dannofifiima a chi lo mira_., quando per modella , che fofle
, e follehuta_. mai non lafoierebbe di porgere agli incauti qualche pericolo ?
Sedotto in gran parte il Mondo fi vede puf tròppo dedito a compia- cerfi nella
galanteria, nel fallò , e nelle pom* Jjofe comparfé, onde rea farebbe fenza
dub* N 4 bio (a^ Jadef-Flat. 200 - bio avanti del
Signore quella Donna j cbe> avelTe genio di fare di fé qualche fpettacolo ad
una tale curiofìtà, e fuo farebbe in gran.* parte il male altrui, poiché
ben.difTe quel Sa- vio, chi imbianca la Torre chiama i Colombi. Stieno , che io
le prego , bene avvertite le^ femmine a non ridurre fpezialmente il taglio '
degli abiti ad una certa Icompoflezza si poco modefla, «he fpogliandole più,
che vedendo-, le , porga un . gagliardo . incentivo alla.* Gioventù in
particolare, di perdere il bel fio- re dell, innocenza , ed introdurre per gli
oc- chi la morte dell’Anima. Il Signor diTàr- rin nel fuo libro già mentovato
racconta,che Adriano VI. non volle , che fi ponefTe nella.* Cappella del
Vaticano la Tavola sì celebre^ di Michel’ Angelo Buonarruota rapprefen- tantc
il Giudizio nniverfale,pefchc'ripienadì figure nude, e pericolofe; avendo
ancora in., penfiero di far abbattere le datuepiù belje.^ di Roma per tal
motivo , fe le preghiere di tutti i Virtuofi d’Italia noi difTuaclevanoi/tfce-
2><z,cosi conchiudcj^er zelo ciòcche fecero colà, altre •volte i Goti per
fent'mento dì fierezza , e d' ofiilità. Ora fe tanto danno cagionar pof- fbno
le immodede figure , benché dipinte , o v fcolpite , come credeva quel
faggióiPontefi- cc , che non farebbono poi le immagini vive, e con troppo di
arie adornate ? Difeorrendo io un giorno di ciò con una Donna peraltro di grande
onedà, ma efattifllma nelle mode , DIgItized by Google
r 2ÒI ini dine; ìff oggi P nfanza notipul riprender^
fi, perchè in •vero ella è in quejla parte mode t fiijfima : a cui parvemi di
replicare a tempo: dunque f e la moda cangia guai alP Onefià ! Così è . Vi fono
alcune y che (ì mantengono onefte nel portamento degli abiti > fìnchò 1*
ufanza lo fofFre, dilpofte a mutar parere tutta volta> che fì muti la moda ;
Quello però è un ^ clTer buone a calo, che a nulla giova , non v* elTendo il concorfo
della volontà determina» ta ai bene, per cui quàlifìcaniì le azioni tutte.
Convien, che s’ ami alTolutamente più ifone» Uà, che la moda , perchè fi
polTa ’efler pronti a dctcflar quella feconda , quando alla prima s* opponga .
SI metta cialcuna dàyanti[agli occhi la grave perdita d* un anima , che po»
tria cagionarfi da codella attenzione d’ abbel- Jirfi , cd elàmihando bène il
fìiic di praticarla afcolti, come dicea. Seneca , interno ac- cufatore di
tutti , che è la finderefi della co- fcienza, penfando , che, nulla giova il
non fa- perfi dagli altri il reato, quando lo fappia ella fi^ifi^y c che troppo
è mìfero chi dif prezza un^ tal teflimonìo . Ritornando pofcia col ragio»
namcnto alle Donne làvie, ed onelle, le per- fuado a confermarli nc’ prudenti propofiti
di fuggire ogni vanità, ed a farfi di quello Capo contra qualunque perfuafiva
più forte d* ufànzs unofoecchio fedele per comparir fom» pre C*)
45* Digillzed by Google 1202 pré
nèllèConvèffazibni adornale informa , che fià cómpàtibile colla modeltia , onde
non fi converta per effe il luogo del civile diver- tihicntò in un tcatK)
ripieno à danno altrui di pericòlofè cómparfe . • *•••• *
* à • /s /' • « # 0 I / '
ré / # ♦ »* •• $ I
4\ DIgilized by Goo^k 20J Del tenere
Converfazioni in Cafa , CAPO XIII. I.T O non fono lungi
dal commendare quei JL Capi di Famiglia , i quali confiderando forfè bene a
minuto il coftume della Coriver- fazione , ed il pericolo •, che può
rifultarne^ per chi ne ufa con poca avvedutezza , fe la ti- rano in cafa, acciò
non maneW il divertimen- to a i domeftici,e nello fteflb tempo una buo- na
cuftodia per non riceverne danno . Si può quello ridurre a. vigilanza prudente
, la qua- le unita alla diferetezza npn vuol togliere a' fuoi fubordinati il
piacere , 'mane vuol fem- pre fotto 1’ occhio la qualità , come il Medico
accorto , che non cpntralla al Convalefcenté F ufo moderato da’ cibi, ma vuol
preferivef- ne elTo, e la follanza , e la quantità . C^ndo ciò fia cosi non
farà , che lodevole chiunque lo. faccia, megliojafficurandofi per quella vi^
heir obbligo', ben.precifo , ,chc gli corre di premere fui ja fa via condotta
delle famiglie. Vi abbilbgnà però un occhio acuto , e pene- trante per vedere
'acquali peffone si apre l’ adito della cafa, per non allevarli, come fi di-
ce, la Serpe in feno, e toglier 1’ argine per ti- Tfirfi addoflb la pjena »
l^on è ficura la Con- Digillzed by Google verfjizionc
pei* effere in csl3> quando illibata j ella non fia , ed inappuntabile in fe
niedefima, j poiché è dal pari imprudente , e ne riceve»» ugual danno» chi
trafcura i Ladri fbraftieri, e _ chi non guardafi da ì domellici » che poflTono
anche talora apportare un* maggior nocu- -• mento . Il bupn Piloto fpande le
vele , e Ja- fcia la marineria a diporto > niia egli invigila Tempre per
vedere, che vento prende, ed in_. •' tal' maniera dèe regolarli il buòn Capo di
cal fa , che voglia fecondare ncTuoi l’ inclinazio- ' ne del divertirfi ,
avendo mai Tempre la mira al coftume di chi vi riceve perche Ila fenza», '
timor di rovina il trattenimento. Racconta- no i Naturali , a tale propòfito
(<i) d’ una cer- < ta Fiera del MelTico nominata colà Ofiotilo i ‘ la
quale ha una proprietà d’ ammirabile be- ‘ neficenza per P altre di minor
forza, e corag. \ gio. Ella di corpo alquanto maggiore del ‘ gatto, ma d* un
morfo , e d’ un fiato affai per ’ llifero , àppiattandofi nelle felve uccide
ifL> ; paffando i Cervi , e i Daini , indi làlendo ve- locemente
sh gli Alberi chiama col fifehio le altre Fiere piii timorofe a pafeerfi della
pr^ da già fatta dando loro commodo in tal guifa di potercene prevalere lenza
pericolo,e fenza tema. Non è, mia incumbenza di cercar qui fe ciò effer poffa
vero, o nò:; dico fole, che i re Digitized by
Qoogle regolatori delle famiglie poflbno prenderne un documento
affai utile per lor governo preparando effì prima quella porzione d-onc- fto
piacere , che lalbiar vogliono a i luci fa- miliari, acciò poffano goderne
ficuramcntc . In quello la connivenza fària Tempre colpe- vole , ne buono.faria
quel Capo , che per ge- nio di condefeendere in tutto, conccdelfc ciò ancora,
che alle membra ò dannofo , onde in- fegnò il Morale : effervi alcitne
cofe cernii , il negar le quali, non il concederle , è betiefizio ,
Debbono pertanto riflettere con ferietà i Capi di cafa a quello, che accordano
a i loro (oggetti , poiché ogni mancanza di quelli, come pure lì dilTe in altro
luogo, farà ad effi imputata , e dovranno, che ancora è più , renderne un conto
(Irettiffìmo a Dio , quantunque fìeno per fé medeffmi innocenti nel divertirli
. Eli facerdote del Tempio ib") pagò il (io delle abbominevoli cofe, che
face- vano colà i Tuoi (igliuoli,e fervi, c benché egli netto ne (offe, non
andò immune dal gadigo, divenendone complice col permetterle, o col non riprenderle
almeno, con^e ei dovea,con rigore, e con gravità . E’ grande , e terribile il
pelo di chi regola una cafa , ed é cola da_> piangerli il veder taluni Ibvra
di quello vive- re Ipenfierati cotanto , e fonnacchiofi , come fe a
Ca) I . de beuef. (b) i-Reg.i, 2o5. fe a tutt’ altri,
chea loro fpettafTei’inyigilar- vi . Vuole Iddio , che fieno eglino virtuoll
per fe ftcflì non fole , ma che di pih condilca- no colla virtù propria tutta
la cala, avendo- gli coftituiti come un Capitale, d’ onde prov- veder debbonfi
i familiari di faviezza, di con- tegno, di prudenza , e di configlio . Convien
loro fare in càfa quella figura , che dicefi fare in Malàbar uh certo fmifurato
Àlbero, (a) il quale producendo un fol Pomo, per anno » provvede tutti quei Popoli
con abbondanza , mentre oltre alla grandezza di eflb, che è va- (lifiìma , ne
contiene dentro la corteccia tan- ti e sì ben llagionati , che un folo equivale
a_* molti . Se i Domenici (bno fcarfi, delle virtù erifiiane, e morali ,dce il
Capo fruttifica re_j per tutti, ficchè di lui polla dirfi con Caflìodo- ro: Cb)
crederai , ebe itt uno fieno molti divifi in una variay e giovevole immitazione
. Ve* glino eiTi ,come il prode Epaminonda faceva nel (ònno de’ fuoi
Concittadini , fui piacere ancora de’ fuoi fubordinati , poiché faria una
difavventura troppo grande il farfi eglino rei di quei trafeorfi , che
fpezialmcnte nell* Ilio del con verfare poflbno commettere gl* inferiori
lafciati in una troppo franca, e trop- po difpotica libertà . II. Al-
(a) P. Nierim. Hifl. natu. lib. 6. c. 25. (b) l, 4,.E^.ul[im. '■ v
QigiHzed by Godale II. . Altri ibnQ modi a tenere in cala
Con*, verfaziqne da certo genio di fplcndida bene- ficcza,edi liberalità
(\^non\t inclinata, comQ ^ notò Seneca , Qajptìt a dare, che a ricevere . A
quello neppure io m* oppongo, non elfen-^ do condannabile, che uno^ faccia a
gli altri parte di ciò, che a lui fovravanza, tanto più ,, che i Filofolì
affermano effere il Bene diffufi-' vo di fé medcfimo . Balla, che in ciò
facendo, s’ufi d’una tal e moderatezza, e d’una mi fura sì giuda , che non
lafci pendere alla prodigalità la bcnelic^nza con difcapito dell’ anima non
meno , che delle fodanze di chi vuol effere_ji benefico fenza maturità di
configlio . Per huominidi tal forta quadra affai bene il pare- re del
fovracitato Seneca, (A) il quale feriffe, ehé; /’ huom liberale fa fempre fpefe
, che alle ^ forze del patrimonio convengano. Ed in ve-, ro non può dirli
liberale colui , che dona più di quello, che egli podìede: mentre ponendo- li
in necedità di togliere a molti ciò , che im> piega in un folo, viene
altresì a donare quel,' che non è fuo, onde per acquidare il vanto d’ una
virtù, che in molti degenera in vana glo- ria, ed alterezza, cade in un vizio ,
che offen- de la moderazione , ,e la giudizia . Se uc ve- dono pur tanti nel
Mondo , che nati per far dagli altri godere le proprie fodanze tengo- no
Ca) Lib, I . de Benef. (b j Ib, *o8 • • no aperta la
porta tanto per dar adito adii- chefiafi , quanto per lafciare libera P ufeita
al capitale di caia, invaghitili vanamente di palTarc per huomini , a i quali
involando il buono, ed il meglio , Tuoi dire T adulazione , <he nonèfuo ciò,
ebeèfuo . E’ quella una for- gentc per moltilTimi di fpirituale rovina, poi-
ché non potendo le rendite fupplire al genio d’ una tal prolufìone fuol farli
d’ ogni erba un fàfcio per raccogliere a dilla ciò , che li verfa a Canali,
ohdebendilTc il Politico quando affermò, che:(tf) f erario vuoto per ambizione
fi riempie fpeffo eon fceleragine . E lànillimo il fentimcnto di Pittagora
edere uno fplen- I dorè ammirabile della gencrola liberalità il noti perdonare
ad alcuna eo{z-,<ib')purchì s’ac~ mìfti la gloria della beneficenza : ma
bilbgna intenderlo a dovere, e correggerlo coll’altro del Maedro di elfa, il
quale avvifa: (cj nulla éjfervì di pià perniziojp , che il non faper di~
jfpenfare t henefiz] . Chi è dedito alle angu- die dell’ Avarizia debbe
attenerli al condglio di Pittagora, e non redringerli mai in quelle Cofe ,
nelle quali egli poda commodamente.* allargard » e comperare il bel titolo di
bene- fico • Ma chi pende allo fcialacquamento di fùa natura dee regolard colle
mifìire di Sene- ca , ed apprendere la maniera di collocare i Tuoi
Ca) Lib. j. (b) Ibi (c) Sen. z, de Ben, ogle
Digilized by C .209 fuoi doni con mcritoiper non
trovarli poi ktsi za lode > anzi col pentimento d' avergli conu poca
prudenza dillribuiti . A quello convie- ne, che miri Tempre chiunque apre ih
fua cà* fa come un teatro di comune divertimento per non fard deridere da quei
medefìihi > che ne godono, tuttavolta ì che egli riducafi'iiL* miferia ,pèr
genio -d* accudir troppo all'-àK trui felicità, elTendo pur femprevero
il-dctto del Poeta, (a) che: . > . . ' ♦ * ^ So»
V2oWt- Amici al chiaro di fortuna . Ma che tutti fen vau , x’ ella x’
liubruna ,-i - *•' . •• Cònfumatf , che ebbe Cleope Rc.delP
Egitto dietro alla fila celebre non meno, che fmifu- rata Piràmide tutti
i'tefori.del pubblico Era»- rio ,vedendofì derifo da qucHlcITi ,che.aVe-
vanlo'iqnanzi adulato i ritrovò in lua.calà_> una vena d* oro efpònendo àgli
infulti Sonò- re della iùa lìglia,c dandofi a credere ilolidg- mente di
riparare alle beffe' con Ibggettarlì alP infamia " io non crédérò mai ,
che pólTa venirli ad un tale ecceflb da.vcrun Capo del<« le civili cafe^ e
cattoirthe i ma non per tanto TÒ tralafciarc'di configliàrli^a flar bene fovrft
di ciò vigilanti' per non ridurfì ih. quella ver* gognofa neccintà,' che.leggb
non avendo ynò i ; ■ qi; -O argihé. X ' ' .1 • J » , »
» Ca')-. Gv/V, 1 ■' V * iX ' 1
^argine vferuno, è fdita.bene fpcflo.di perfua- jàstG ógni male
pcr/riparo un piccpl roffo- WiiiSe pòi qualcheduno de' menò laggi mi
riipondeflC) che egli anzi» che pcrdei-vi» gua-* dagna non poconieJ tenere in
Cafa aperto il divertimento , non crederò già perquefto , chcifegli-ila giunto'
ad un eflremo i sidetefta» i i)ilé.|>er filala volontà,. chciri' aveflfe;,
aiiadu* bhJetófolojxhe'ciòglLfia.in.qualcbe parte^ contra voglia accaduto , Q
C\a per accedergli ben prefto , fc non è follecito nel ripararvi • Smidolii^ di
grigia cdde'fto fufipòftq vanUg- gio^'JO'vèda bened* oiide:^ e come gUderiva y
acciò non foffe un rivolo di quelle acque--» , die 4^ maligna forgcilteiullwrea
fcaturendò in vede * di- fecondare danneggiano dilTeccaii^ dontl^ ùhlore
nàtunale>il Terreno. ,r7l^Mon* do A ia oggi'St accoxtói nel fuoiintexcfl<
par^ ticòlane^chc ioten^ pcribfpett?ixiiflW4leho mira'priva^ogni profiiliohe
staccia in p<^Ò«ddgJiialti*i*i iCr^jdrqnello.offer H
Capodicàfe:,. chntil'giiadagnono in- diideia niaiiziofadtbhiTeminaporxaccoglie^
rev e dpna poco per invoiare’iitiittò.# iS^.cio foife: maiiegH mofl: r
erèbbe^d^ ^ffert tgnoran-» aiflfiroD-di cconòmiaifoiidftado.HaManj^am^ della
Tua : cala fovra dii certe hadd , che non^ tegg^okv punto fgnoianzi capaci
diaiterrar^ la atìaffo:. A me in tal materia è Tempre pia- cinto ,-alfai qu£j
proì^iiudiÌQ- tra JLiylcxcadanti comune, cioè: frijìo ejjer quelfoldoy ebegua*
i mW/9. \ DIgilized by Gg»gli^
AU J^a la lira ; Infelice fòrà.t>cn quel guadàgno*
ch^pQteffe fard eoli’ pfFelà di Dio, c.che por- tai^qin cafa fumoi.e-miferia ,
toglieì^ te* ibrodella divinaGrazia.. . , . .ILI. '-.Nè minor male
farebbe, fcchi iìen.. la:Convcrfazionc4n .fuacaj^ fella niaid’ una certa; forta
d’ huomini, cbellpiccanq d’:éiTer d’ umor dolce, coiupucent^ e,con;iéÌUQl di^^^
lì, alla mano con tutti , chiudendò. l' occhiò fovra gii andamenti dichi vi
pr^ica., -,e. go* dendó quafi di facilitare per tal me^.)e fched’ alcuni che ia
altro luogo, più «reo* fpetto (arebbono ■ mcn ucure , e lUen lelict . Di
.quelli dilTc ArilloteieV' •(a) che oajpir s^ÌMC. pii brama»» d’ ejfer
amàtii d\ama^ re. gli altri. , Stimo . fcnza;dubbio • . ch^JtéhQ in ogni parte
pochiflimia pure fentito qualcuno invitare.la GlQvéntd.a,lecq trattenerfi, c
dirle Ipgghignando, iveuj^tetiu-^ reco» pbertà^erebè mi trweretè pii gal^^
tuomOiCbe non pe»fatei:\o(:cW: ridottojn buo^ ni termini fembra voler dire :
^e»ì(ed/ar^ ÌM miacafa ciòt che v’ aggrada^ puebèam^ rtuHapreme . QueOuihjria
ocrto, .iejnai^fi <ie0e»uu profanare iltitplo di Galamupnux» che Uguinpaun
ritrattpd’.qneflà, e d|;{àyiéa* za,;riducendQlo a.dinotareun huomp; ebe le
Qon;aifatto nenuco , iudi6fK„?n^c jaliu^o per O 2 " la '
. t Ca) 8 . Etìjìc, r . l Jt
1 . • là virtJi Sia di manò alle corrùttelé cònuna
Ipezie di trafcuràgginé volontaria , là quale "paffa in còntò'di
cortefia-; Non iarebbe qiie» fio un beneficare , ma «ri nuocere altrui- te-
nendo aperto in càfa come lm precipizio per F innocenza',' tanto pin libfcro ,
ed agévole ; e chi fi varftàfTé di' fare ' in ciò benefizio -lenti-
'"rebbe Timproveràrfené 'la qualità dal Mora- le,condizioni mi- o libri,
c'bé è H dàr'gti coti- ^iudì zio i- Se prov- 1 Pi»riFf !• r\V»r
ìhRht* lallO l ITlTTUiiU ) nenpui c puxi a v;nia— ifiàrfi
cótuii il 'quaWimpieghì parte délleiuc fóftanzè riellà fcoricià'àllégreztó^^
degH^àltrl è glrdive’rtàcóri'direàpitodella buòna Mora- le l'f Sana
fliraria'ctìfa- per verità, chcHvàritan- dòìi ùnb'd’ cirere'G'alantUbmó potefle
indur- fra cooperare al' -pubblicò difàvvanta'ggio' dàhdòcartìpo in fua cafn-
allo feadimento del btì'on, còftùnie , é laogò di fpargei fi libérà-
meri^bta-tftalàfcirten^a^de i vizj fòtto ppetè- (lò.di’fpenderc vòlontieVi per
contribuire al- Faitrrii-éivilè-divertimentó . Abbiamo do_.‘ Titò' LiViò‘
C^’J‘hoh;eflfcrfi-'mai da'i Romàni pcrifieiTo, fin'chè fa in-1ìòre''queHa
RèpuBbli- cài P erigerfitéàtriff riòh di legno i acciò fi- pòtélTérò' atterrar
lìibitò dopo le pubbliche^- i u fe- mMmmBì
ri# £a3 Ib. [b] Lib./^S. DIgitized by
Goo^le ■fcfte, ed i foreftieri.liqn-.aveflero a ^redcr.e in Koma
alcuna fabbrica (labile dedicatala! pia. .cere , ed allo (regolato
fcapigliamento,.. Inu •fatti dice Tacito i [a] che portando ih Roma Pompeo le
feor rette licenze dell’ Afia, di cui ^trionfato,, avea , fu il primo » chev'
edifì- caffe un.t.catro di pietra (ìmile a quello che .veduto avea in Mitilene:
c benché non ardi(^ ■fc di farle fc non col pretefto d’ ergere un_. Tempio alla
Dea Venere, pure non potè fug- gire i rifentimcnti , ed il pubblico ri mpro ve»»
ro dei Senato . Chi sà, che molte Calè non^ ^ _ # doveflero fra di noi
ancora dfere di legno per poterfi rovinare tutta volta, che (initi (b- no certi
bagordi, e certe adunanze , dove ad onta de i (lelTi Gentili si amici della
nv^>de(lia, (1 divertono forfè , benché io non fappia mai figurarmelo ,
alcuni Cattolici lènza ritegno di verecondia ? Avverta perciò l’ huomo di fenno
, che la fuaCafa non accolga mai per- fone , cui poco prema il timor Tanto di
Dio , ilcché fi riduca ad una tale apparenza , che.* non potelTe tolerarfi
dalla Romana faviezz.a ; poiché fc la Giullizia degli huomini per altri
rifpetti. non procede contra d’ un tale abulb non fi potrà però egli ibttrarre
dal tremen- do a ed ineforabil galligo della Divina .. Per tanto è.giufio , che
aprendoli da qualcuno la ... O 3 • cafa fa] i/A.,14,
i 414, cafa àll*'óneflò divertimento intercflTi il Capò
d^effa nel bene diquegli,che vi concor> rono , e'nafcendo ;ciÒ da un effetto
di buona::, imicfaia ne provino eflì quel vantaggio, che fuòl tirarli dalla
fedeltà degli >\mici, trovan- doli- divertiti non meno con fplendidezza^ che
difeli con buona cullodia da ogni perico- lo, onde funeftar fi potelTc la
gioconciità del piacere . Apporta S. Ambrogio per quefto r cfenìpio delle
Cornacchie , le quali chia« mando come in loro converlàzionc le Cica» gnc gli
precedono fcmpre col volo , c com- battono a làngue con gli Uccelli rapaci j
per allicurare alle amiche loro il cammino, [a Jf/srì traprendendo -, così egli
pondera, «incora co/ proprio pericolo le guerre altrui . In tal ma- niera pih
forti rendendofi per codefta difcfa i Vegliatori divenuti come fratelli di quei
faggi huomini, che gli accolgono in cafa, co- me pure dice lo Spirito Santo {
[b~\ il fratello ajutato dal fratello è quafi una Gttà ben mu~ ^/ra^rlàranno
gli Ofpiti doppiamente benefi- ci, é verlb de’ corpi, cui provvederanno d’nn
grato follievo, c vcrfb delle anime,Iungi dal- le quali-terranik) fempre ogni
occafione an-' che -minhnà di-prcvertiffi . Quefto'è il bel- van'to-,* dl'ctii
dee 'gloriarli irGalàntuomo , cioè, che ficuri ùanotutti in fua Cafa j. ne mài
... ; \ dcg- Alili» ' Ca) Lìb. ^.euam.c. i6. [h] Prov.
Digitized by Google , 2!y deggta egli render
feoM&tìddeteriorarneitt’of d* aicùno o'riginatòftdìitiatu<t>inavvedùCe2zà;
nè aiie'pèrfone\,deI' Mondò GiudiòeJì JEt’ernò . • ■ ' a • n.ìj , : IV.
Santo -ancora 'pùi renderfi penfiero dl tirare in fua' cala l*a]trui>Coh^
a*erfaziòne facendone’ Come' un efcrdiziòdr fegrcto , nla
profittevole Apoftolato." foooj. me amido'fcmprc del vero non' voglio ta»
cere-di conolcere molti huomini di Ibmma. prudènza , c d’ ugual
zelo', i quali immitari- do nel Mondo le fante induftrie del Nerfy hanno
convertita la domeftica loro Con- ver fazióne in unafcuola d'ogni virti'j,e
lòt- to coperta di piacevole trattenimento van- no' fpargendo il fanto feme
Evangelico nell’altrui cuore con fommo vantaggio di chi gli" tratta Queftó
io vorrei vedere ia_. tutti i-Gapi delle famiglie , acciò guada- gnaffero' un
doppio merito appreflo di Dio, e degli huomini, venendo' ciò ancora cridia-
namente -infegnato da Seneca in propoi’ fitò di beneficare altrui ; far) mn
lafcìàr mai egli dice ; di far bene- a i Compagni y e di efeguire ' ie partì d'
buotrr buono ; a'naajt/Fa co' fatti y P altro colla fedeltà % P altro' éollìL*-
buona grotìa y e ì aitro 'cól oonftglio ; e eo i jalutevoli ■ prèceiti . E’ ben
v<*ro , che in ciò ■ O 4 v’è iSèmmé % % ^
» (a) Ibìd: K I %\6 v*è.
d’uopo d’una .prudente deprezza > p^oi> che -elTendo pur troppo
deteriorate in og» gi r«. nature degli huomini pochi fono colo* ro> che
ricevano in conto di benefìzio quella zelante premura , la.quale moArano i
faggi del buono incamminamento de’pih deboli» onde ibggiugne lo Aeito Filofofo
»Ca') che: ^ebbene .foia mefite dee tener fi per, benefit zio 1*. ottima
volontà di , chi dona pur gli buomini inefperti valutano- quel fola, \
chemirafi eolPoccbio ^ efi pojfiede reatmeu^ ' te yciò difprezzando iCbe in
foflanza à pre~ zhfo . Per, far dunque profittevolmente un tale uffìzio c
ncceffario il non lafciarne pe. netrar bene rintenzione da tutti » ma na-
feonderne le mire dello zelo folto il pre~ teAo dell’ indulgenza , e della
docilità » che , faccia credere agli altri non averli alcun’al- tr.o penfiero ,
che di accudire alla dolcezza.* del loro divertimento, .e facendoli ,come in*
fegna S, Paolo, Cb) tutto ,di,tutti colpire nel fogno .della virtù
coll’indirizzare altrove la mira . fCosi vediamo praticarfi dalfaccorto
Nocchiero » che -.provezando il vento fa- vorevole moAra di slontanarfì dal porto»
a cui tpnde» imboccandovi pofeia quando altri meno vi . penla . Hanno
certamente.^ i Capi dicala uu’occalione belliAima - di far del
(a) ldj>ib,Qi) i^.Car.9. 19. Digitized by Google,
217 delbcne aifai grande nel .tempo {lelTo,che godono dell’ altrui
gioconda Convcrfazio» no, mentre, avendo già col benefizio della cortefe
Ofpitalità legati. gli animi hanno ancora fovra di eflì acquìflata nna certa
^ezie di- padronanza autorevole per po* ter loro infìnuare tutto ciò > che
più bra«> mano . Io sò , che a cqdcfti affabili huomini» c di facile
‘accoglimento verib di tutti , è riufeito bene rpelTo il fare delle converfìo»
ni ammirabili in taluni, che non avevano Soluto picgarfi nè da* Genitori
, nè da’Pa- ri di Spirito per quanto fatica d’ ammo« nimenti , di'perfuafìoni ,
e di minaccio avef^ ifero ufata. per indurgli a ravvederli . £* dun> que
chiarimmo , che .può agevolmente gtia- dagnarfi un gran merito chi tiene in
caia Converfàzione attendendo a condirla con limi configli , con . dolci , ed
opportune in- linuazioni , e coll’ ufo di .lode , e prudenti maflime predando
collf.efca del piacere i cuori altrui . Sono grandi le meraviglie, che fi
yeggioop tutto di negli innedi olendo in ciò ^arrivata l’arte aLfommo pcr
ridurre i tronchi più.fàlvatici a partorire ipiù de-^ licati, è più gentili
frutti , ed in Napoli, nel- la Tpfcqna, iti alcune parti di Lombardia, c nelle
amenifiime Riviere, di Genova fi of- fervano ftravaganze ftupcnde nel cavare,
da una fola pianta vile, e negletta Uve^ > 4
pre- Digitized by Google '218 JJrcziofe j
Pòttll dòlfcfflthii , Ficiir fcavìi Bcr» gamòtté odorbfb',' talché fiolfa dirfi
coni. Vit'^ilio , (tf) tire' per- tanti , e diVèrfi in* riefli troncò ihedcrmio
: • • • r » r X • » % « w ^ M,
% ’Lé tiuó^e ftùnàiit i mn fuoi' frutti ummìra-. • • 4
f t « • ryuh tale artifizio può valerfi appunto il Ca- po di cafa e
confiderando i Naturali divcrfi còlla commodita di avergli fempre d^intor^ no
applicarfi ad inferirvi !evirth,cheprb*- prie- faranno' df ciafcheduno, per
fare quél profitto , che ■ accenna S. Paolo-, dove dicci C^ ). che : tagliato
dal naturale \ f fanatico Vlivo ,fu inferito coatra il eojlume dtlla^ tf atura
in Vlìva buona , t dome fica . Quan- do ridùcafi ad una tal difciplinà la
'Convcrfa- z’ione di cafà elfa larà non folamente lo- dcvòlè-, ma a tutti ancór
vantaggiofa , men- tre vi peiderà bgniino le qualità più cat- tive in
vefiendofi delle rtiigliòrl ,come ac* cade, al riferire di S. Agoftinò Tedi
molti Stòrici gravii (e) in un certo fonte dell’AI- bànla , nel qiiale
attùffiindofr una fiaccolaL. aecefa tolìo a’àihmorza, ed Una- già fpen- ta
s’accende ..'Nel confbrzio , é ncìlà cafa^ deif hùom fàggio ha da fpegnerfi il
reo» fuoco delle' pàfliohi più feorrette i cd àc- ^ < V > •* . t -
• ' . ; ■ ... ^ % ry . I* ccn^ r
m ' « * V (a) GeorgMb.z, Qf)Rom.\ i.Cc^ Digitized
by Google 319 . cenderfì quello della virtù pei riflelTo
del* la fiamma innocente , e pura > che arder deb* be in cuore al Capo
d’elTa . Convien per tan- to , che egli vada immitahdo -la natura am- .
mirabile della Calamitarla quale ne’ più fieri flutti del Mare, c nello
-flrepito delle più tempefiofe borrafche rivolta {landò* fene. fcmprealla
tramontana, ferve di (cor- ta alla confulà , e sbalordita Marineria per non perdere
il filo del fuo diritto cammi- no. Nel rumore, e nella conTufione, che;:* fuol
narcère ncll’intrattenimento di molti, dee dar fido il Capo verfo il Polo
della.> fàviczza , e del contegno , come per guida ficura degli altri ,
acciò non idorcanò dai .retto fentiero della crìdiana' modedia . Quindi
avverrà, come .nella de(Ta calamita {uccedc,che fenza toccarlo -tira à fe il
fer- ro colla fegreta forza delle .occùite fuejf qualità attrattive , ed
imbevuto-di effe il fer- ro altri a (è ,• non per foa , ma per virtù^ di
.quella , ne attrae , onde vedonfi -molti per opra d’ un folo inneme.
drettamente unitt* con dolce nodo- tendere ad un punto ine*' defimo . Accadcrà
fenza dùbbio lo dedb' nella Converfàzione domedica ,dove. tutti' imbevuti delle
òttime qualità: del Capo 1’.- un d’altro. .tirandofi. - coti violenza (bave..#'
verib di lui tenderanno unitamente in_. m£2Zo. alla, defla,. giocondità ai
punto del* la virtù , e dell’ eterna falrezza . Ecco, la.*.
Digitized by Google <'*20 -Véra i etl
ag;eyoIjmaniCra. di;formai-c una^ - dolce Catena di cuori , anche ,
talvolta roz- -z:i»cd: incalti,. *00016 il ferro, appunto fe- -condoiche. notir
.ancora. il fublime Teolo- igp'dìNazianzo ,.(<*) tutti «da un Iblo rivòlti .
deftraniente,, ed inclinati , fcnza che ncppu> . ré fe ne avveggianó ,
al bene . Proccuri per ultimo il Capo di .famiglia , che fi prende ^enfierò di
trattenere gli altri , di renderfi ' .colla propria' Morale uno fpecchio fmce-
' ro , dove polTa ciafcuno veder chiaramen- te il fuo fembiante>, e
corregerlo quando bifogni . Non fia egli come .certi fpccchi adulatori , che
lavorati con maliziofo ari. tifìzio. moftrano. bello il brutto, e rappre-
feiitano come fregi d’ avvenenza le mac- chie pih fconcie , onde ad un’huomo
vano diffe un bell’umore vedendolo adulare. la propria deformità col
vagheggiarli in uno di codefti criftalii : vorrei , t/ìmico , per vo~ firo
dtjitf gonfio . predarvi per un poco gii occhi mtei.i.e. prendere per un
momento il voflro vtfo, Tutto.il male appunto deriva dall’adulazione , che
tanto regna nel Mon- dò., per cui ognuno Audia per commen- dare il compagno , e
come il Camaleonte» che., muta colore fecondo l’oggetto., in cui s’incontra ,.
cangia l’uno iéntimento , c pare^ re Itili i iì\ I
rnmmmmmmmmmmmiéÈmdmmmmmimmmmm Ca) . Orat. adv, Muh _
DIgilizad by Goog|B re fecondo gli; umofì >fte^fc|Uàli
s’imbattei: lodandogli ienzà riflèttere >'fe lo mcwtinòr* o. no .
Per’«iufeftò poi - riportando ivizj ttìi-- a^plaufo dgaàió .i - quéilcf} 'ehe^
dcvcfi' ’^ la virtù, vanno tutto ' giorno' 'crelcèndò^yió. dilatandofi per ogni
parte fenza rimorfo, e lenza riprenditore . Pochi fi trovano , che amino di
farli come norma, elegge degli altri , più comunemente piacendo il fard
adulatóre del reo coftmn§~,rCht m'aero, ed el'emplare di compoftezza-V poiché
^ole ciafcnno vivere a fuo modo,- lenza, pjg^rfi penderò por gli' altri . Se di
tal' fatta «ran- no coloro, che aprono la caÌa.^al'|ìubblico divcrtimentó ,
.non potr^' certo "chi vi ca- pita prohtta> ..'molto' tfotfandofi'
lufingato. an ciò, che merita ammollimento , e feor- gcndo in chi
lo diverte il ritratto , che dell’ >\duIatore dipinfe a meraviglia Plutarco
di- CQQàOiQ)\ci(.a')eglinottba coftumì Jìabilì,»è a fe pre/erhe forma veruna dì
vìta\ma ora a que- ,ora a quegliaccommodandofi non è malfem- plice , ni uno con
tutti , ma variabile ìtl^ tutte le guife . In fomma non è da condan- narli
l’ufo di tenere in cafa la Converfa- zione quando fi vaglia il Capo delie rego-
le fin qui preferitte per far si , che il ge- nio di beneficare gli altri con
un tal com- • . . modo * » • * » I I I — — ■ I I
Ca) De Di/crim.adul.df amie. . . < •; Digillzed by
Google modo: giovamento rOi poffa.eiafGUnoj^ che 4ie. gode;,
ritrovate in lui.il vero carat-. Cere deU^Amico-,,i.l£juaIe,fu.4a;I'Iatóne cosi
Jitnofit^buonOtA^ utile, , . 9 t i * »
% t\ P-9 #-• J * ^ ^ / » r t • ♦ * V
I J I 9 % 4 • * 9 r'' K • • « * ' « »
< # ( • » * • • • i . A * * k 4 ^4 %• 9 , ^
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‘*4 '*.* ‘ ‘ ’i ' * 4 i J . • • . ^ « • 4 ^ •'. ^ r . f • *
V l' * • 4*4 i % • ' TP ••^^•1 • • —M ^ 4 * ««
Dei (a) II. de Rep, \ • w \ \ \ * • •
f% ^9 ««» 4 J V ' s \ ‘ » DigBized by Googl^
23J . * V . .Del nt&iuk'iy.c le proprie
.Donne alla, ■ .. -Converfazione . i • • 4 \ 4
-G AP O. -XIV. • •• • » I.-T^lU détta la
donna,comedi fopra notamn ' Jr* - mo,^perdiffìnjzió'ne ben favia d’Aveju
tòt:(ay UH buomò imperfetto : onde né viene per le^ittliiìa-confcguénaa,-che
deggia i’hno* mo dirigerla in tutte le ftte operazioni,’ aven- dola pur'anchel*
Altiflinio à Ini foggettataneli la prima fu’à collituzione; Non dee peròfem»
braredùra alla donna ,• 'ed ihdifcreta una tal legge i pérdvè efleddo ella
di'.lUa natura per ordinario pih debile, e pi^ bifognofa d’ajutov e di
configlio » là dipendenza dalP huomoè.n lei di fommo Vantaggio i onde fcriire.
ancora: Ariftotele-,' che- per regolarli prudente- mente: ella debbo ìh tutte
le eofe ubbidire al~. l* buomo'i ^ élla rifletterà feriamente; calte liia
naturale fi-aleafta , ed al foggio provvedir mento del fommo
Regolatorcvwraprcndferà^ cdie al male della natura ha «gli preparatoàn quella'
Tua utile foggeziòne . un ottimo ripa- ro’» aflegnandole nel marito una dolce
véd' amichevole guida , che più franca in tuttcjej colè la renda, e più
ficura.. Non è coavenien-! te / 4 [a]
i.Pbyfcom.%\‘lh] i.OrcòvV tc alle perfone làyle il rammaricarli
d’nnJ certo deftino inevitabile , da cui vien loro qualche pregiudizio , .ma
debbono pcn(are_» unicamente al rimedio, e confolarfi neH’age- volezza di
ritrovarlo . Saggia per ciò potrà dirli la donna, fe mirando alla debolezza del
felfo fol tanto per rinvenire qualche oppor- tuno foftentamento s’ appoggierà
.alja pru- denza delP huomo , che le fu deftinato. Con-, forte da Dio , ed aver
à. con effe Itit i come in- fegna Plutarco, [a] comunti e P affettOy e brame ,
eP allegrìa , nulla avendo. in ciò di . proprio . Si vede per quello eflere
uffizio» particolare delP huomp.Papplicacfi;al gover-; no di cafa, ebe fempre
jpetta , fecondo lo llef- fo Arinotele: [It] al CapOyil quale folo àncora,
ejfer debbe:n{c\xotcnào egli da tutti i fuqi do- OTclilici una pronta jcd
ubbidiente fubprdiaan- za ; Silo penliero, addunque farà di mifurar bene ad
ognuno di loro i palli, che far debbo- no fpezialmente fuori di cafa, ed
illupiinargli in tal maniera , che chiaro diftinguano tutti que’perieoli, chic
incontrar fi poflbno in con-., vériàndo .con gli altri , acciò avveduti fieno ^
ed accorti per ifcanlargli . E’ quello unob-, bligo indifpenlàbile :a i Capi
delle famiglie-», per P amore , che nodrir deggiono, per i loro, parti:',
mentre i Bruti fteffi , e tra.gli altri le-». ■j', Ron- fa] De
pr/scept-connub. [b} \, Tolti, Digitized by Hondlnt
partoriti > che abbiano cicchi i loro pulcini gli rendon la vifta coll' ufo
d’uh erba, che Celidonia fi chiama, ne mai defiftono dal-» r amorevole uffizio
fin tanto , che effi non_. aprano gli occhi . Come poi difpcnfarfi da_* tanto
potrebbono fpnza colpa i Genitori vcrr fodc’ lor Figliuoli ,e Doineftici , che
furono confegnati loro da Dio per averne fedele^ premura, e per cufiodirgli
aiuorofamente in tutto cih > che potelfe ojfcndcrne l’ innocen- za, e t^nto
pili, che trauandofi di figli ancora innocenti , [u] mHgth poco , fecondo il
parer del Filofofo, importa , ma ajfaijtmo /’ awez- ^arfi da picciofi , p in
utu} , o in un altra ma- niet(t\ Anzi tutto da ciò dipendendo ? In que- Ào però
ruarjcano forfè molti per vero dire , mentre (e la pafTapo con tutta
difinvoltura , nulla penfando al grave danno., clip venir puote a i loro Figli,
o Domenici, dalla prima cattiva piega » la quale per oracolo dello Spi- rito
Santo durar fuole fino all’ultima vcq-? chie^za , come J’ iptefc pur anche jl
Uficp icrivcndo, [b'] che Sempre del primo odore olezza il ‘vajo .
Ciò però fia detto per incidenza non elTendp qui luogo di parlare direttamente
delpefo ., P che [al Ethic, e, i. [b] Horat. i. ep. a.
28^ . , .. che efTì hanno per l’ottima educazione della propria
figliolanza. Balla l’averlo così di paflaggio toccato per quanto può appartene-
re alla materia prefente , che mira 1* obbligo d’ invigilare Ibvra al
divertimento , che ogn* ' Uno d’elli permette alle proprie donne sì
con(brti,corae figliuole, o congiunte, e dome'* iìiche. II. Venendo
addunque di propofito a_. parlarne dirò , che farebbe ne* Capi di calk:;.
trafeuraggine infofferibile il non por mente mai al luogo, dove capitar
fbgliono le donne loro, nafeer potendone inconvenienti gravif- flmi . Nè ballar
debbe loró per ilgravio dellit cofeienza il fentire una picciola voce.di buo-
na fama , ed un aura leggiera di buon odore y in quelle cafe, ed in quelle
perfonè-, colle.» quali trattano i lor domellici,per chiuder po- Icia gli occhi
per Tempre intorno agli anda'*> menti di elfi, é'viverfene , come pafsò in
pro- verbio, nella pace tranquillilfima d’ Otta via- no . Rimarrebbono certo
bene fpeffo ingan- nati da quella loro fidanza, che Ibvra'dell’ al- trui buon
nome., e dell’ odore.di falfa virtù > concepHTero . Riferifeono i Naturali ,
che la Pantera oltre modo brutta di ceffo , ma d’ uri Ibavilfimo fiato,
nafeoftafi tra i verdeggianti cefpugli dc’bofchi tira a fe per forza di quell» odot'e
sì grato il mifero Salvaggiume , ch<i_» affai ne gode, e fuori ufeendone
pofeia im- provvifamente l’affale, e fel divora . lo non.. ere-
credo ,che ciò fia lontaniflìmo da qiiella flra» ge, che dell’ altrui
innocenza (noi farfi nel. mondo per artifizio de’ cattivi , che nafcofti nella
gioconda amenità delle pubbliche allc> grie tirano a le i meno cauti
coll’odore di finte virtudi, come farebbe di vivezza , di brio, di fpirito, c
di fiippofia cordialità, onde per quella via delufi coloro, che dovrebbono
averne cura, ne fanno elfi preda , e gli rovi- nano . Entrano però qualche
volta in un_, leggiero fofpetto intorno alla condotta de’ loro
fubòrdinati,fìa.o per interno lume delia Divina Grazia , opereflerno rapporto
de’ più zelanti, i Capi di caia , e pongonfi ancora in qualche movimento
perofTervare dale_» mcdefimL quel.male , di cui fi teme , ed inda- garne
aifondo la verità .Ma fi dilpongono a_» quello con una sì tardajcd
inconfiderata len- tezza., che venendo pure una volta al punto di mettervi il
neceflario-riparo ciò fuccede_» fenza alcun frutto , trovandofi ornai al difor-
dtne poco rimedio., . Dicefi, che penetrati nel Braille i
Portoghefi.t'rovaronvi un certo ani- male limile a i noflri cani, ma sì lento
nel mo< to, che llrafcicando il ventre aifai largo , e_> pieno, per terra
, appena giugnea nel corlb di quindeci giorni a fare tanto di cammino , quanto
ne porterebbe un tiro difaflb,e lo no* minarono ben propriamente Pigrizia . Q u
e- ila , che parve a loro flravaganza , vedefi ap, punto nella dannofa , e mal
accorta fliinidet., P 2 ■ za s'aS _ ^ I d’ aicuni Capi
delle famiglie, che avveritiff | peri;empo dello fregolamento
de’lorològ»- getti reodoqo bensì mille grazie dell’ avvilo a chi lo porta, fi
proteftanb di voler andarvi, di voler toccar con mano , e provvedervi : ma l’
efeguifeono con tale tardanza , che paf> fando le lettimane, i mefi, c gli
anni prima d’ andare , e di provvedere , a nulla poi ferve 1’ eflcrvi andato ,
e l’avercocula'rmente veduto ciò, che fpfpettavafi,! moderniStorici raccota, no
d’un altro Ara vagate animale da cflì detto Struzzo-Camelo,pcrghè dell’uno, e
dell’altro partecipa, che tra le altre mirabili qualità, di | cui la natura
l’ha provveduto, abbia fottole grand’ ali due forti, C pungenti fproni , onde
non potendo, quando anche voglia, fermarfi tanto fia veloce nel corfo , che
difficililTimo fi renda a’ Cacciatori il farne preda: io augure- rei una tal
forte a i Capi di eafa per efler prò» ti , c folleciti nel tener dietro alle
pedate de^ ior domefti?Ì> ^ zelarne , come debbono , la_» falvezza . Non ha
però mancato , che mani- car non puote giammai , la Provvidenw nel dare ad
eflll ancora certi ftimoli interni, polfcnti , che gli fpronano ad un tal corfo
, e fono quei rimorfi, che fentono fpeflb per la- negligenza nel proprio
ininiAcro, c que’pm- denti fofpctti, che gli nafeono in cuore, c che effi per
troppa dabbenaggine difcacciano da le come temerarj giudizj diftiirbatori
della_, pace, e della concordia domeftica, A chi reg- DIgilized by
Google 22$» ge il pelò delle famiglie è lèmtprc lecito il
Ib-* Ipettar con prudenza di quel veleno ^ehe-» tanti infettando non ptìò
crederfi , che Vo- glia perdonarla a i loro fubofdinati . Trop- pro,ai parere
di Galeno, è dedita la Giovent?» allò frcgolamcnto, creder debbono i
ffjUggforiyi'be difendo un ìnternalìbertà vada-i no fenzd riferva
feorrendoM^craiò favio làrà fempre, e lodevole ne’ Capi il timore del lor
deviamento, ìncertijfmo ejfendO y per fenten- za del gran Platone , [^b^Je di
vizio , o alla^ viriti fieno eglino per appigliarfi . III. Nella bene a i
regolatori delle fami- glie il dire, ohe leggiero fìa il pericolo , onde
polTòno contaminarli per l’ altrui conlbrzio t loro'fubordinati ,
dilbbbiigandofi per quella' dall’ invigtlar’/i . Non vi é male sì picciolo i da
cui non debba temcrfi rovina, ed eftermi- nio, tutta voltay che fi tralcUri: ed
il. vizio iti_, quella parte può alTomigliarli beniflimo alla natura, di cui
dille Plinio, [c]chc : piè non s* occupa mai tut'tdy ebe nelle minime cofe .
Chi veduto non P aveffe per il'perienza non cre- derebbe mai, chela Remora ,
pefee così mi- nuto , e di mole sì lieve , fermar potelfe tal Volta le groffe
navi, come da molti huomini gravi, eda.i Santi Padri j fi attclla eflcre nort
dirado in alcuni mari accaduto .• Maquan- (a} tn Lacbet.Plat. (b)
In Convi < (.c'\ Libf I e. 2- 2^® , <ìo
ancora dò non VOlefTe àminettérfi, ndrLj può certamente negarfi nella categoria
de* vizj, trai qùali'i più leggieri,cd i meno offer- vati , fonò fbVente Ì piu
nòcevoli > ed attac- candoti tenaceniénte allo fpirito , fono capa-^ ci di
fermare il corib alla più foda ^ e robufla virtù i Ho più volte fentito alcuni
huominì prudenti per altro » ed efperti dolerti , che^ più non fono i loro
Dortietiici di quella doci- lità, (chiettezza, e modetiia,di Cui forniti era-«
no per 1^ addietro , e vanno fpcculando tra fu d’ onde maipoffa efferne
originato il cam- biamento , fenza rifletter punto , che ciò ve- nir puote dal
commerzio altrui, che gli ac-^ cordarono elfi liberamente, e fenza veruna-^
Cautela . Gflervino dunque con elattezza , Ib, imbevuti fi fbflero mai d’
alcune nialfime fo-. reftiere , e portati avelfero in cafa certi nuo- vi
coftumi, che prima non v’ eranoj c fappia- nq , che còdetià è mercanzia
comprata liille Fiere altrui, e certi piccioli vizj, che attacca- titi loro nel
converlare con molti hanno ap- , pannato alquanto lo fplendore della primie- ra
virtù, come cantò l’Alciato con gravità da Filolbfo ; [aj \
Tale a chi peìr i;ìrtHde alto f alia, Spejfo lie^e cagio» troncò la via,
Quan- "" ' ^ ■■ Il !■ ■■•»•■■■■■ 1 rrrr- tr • ^ Ti i •
uà» (ajt Bmblem. • Q^ndociò fia come noti temeranno di
peg- . gio eflendo proprio del vizio il non finir. mai dovecomincia , ma
dilatarfi e crefcerca diA mifura, come da lieve favilla, che trafcurolll, è
folito di forgere Un incendio irreparabile ? Nè mi tengano per troppo rigido ,
fe qui io parlo di vizio trattandoli d’ un femplice raf- freddamento nel buon,
cpftume , poiché una virtù , che fi fermi, è fpeflb il feme d’ un peg-
ghrvizio, che nafce,[a]»u//apaffa;gJo, fecondo A verroe, tra Vu»a,e l'altro dì
raezzo.Troppo alla nollra fedotta natura è facile ilpalfare da eftremo ad
eftremo(cofa che purdovria c/Tcr diffidi ili] ma, e lo è in altre materie, )e
nel me- ^*88^0 medefirno della più chiara, e rilucente virtù , fenza mezzo
ridurli alle più nere cali- gini , e più tenebrore della colpa. Ogni varia*
zione addunque dee rendcrfi giullamente fo- fpctta , quando fucceda in perlbne
ben coflu- mate, e nelle quali fòglia d’ ordinario veder- fi un lume ben chiaro
d’ ingenuità , e di co- ftante faviezza , La ^htìt , dille Plotino faggiamente,
ì una certa confonama , ed ar- monìa , ed il vizio una dijfonanza , ed un con-
trajìo: imperocché la foflanza dì lei confiftenel far sì , che le partì dell'anima
fecondo l'or- dine della natura peno tra fe concordi ; ed. il vizio 'conftjìe
nel tenerle in difeordìa . Que- Ca') y-phyf. coni i %. (bj
Enti, §, 2ji' . , Quefto jrttérrompinieiitò di cohcòrdc af'-*
monia dedur fi puote appunto da quel can- giamento benché leggiero , che
miriamo nelle perforie talora più favie j onde è neceC- farlo ir mettervi
prbntd rlpafo per ntìrLi dar adito ad un maggiore fdoncerto i Da^ tutto quefto
più Tempre chiai'amenie rile; vali la neccflitàj dhe hanno i Capi delle fami-
glie d’efaminar bene a fondo quei luoghi, ne* quali mandantì i lóf Domeftici a
divertirli , e prima fpiandone eflì il terreno per vedere < le vi fiorifea
quella modeftia < e quel conte- gnoi che prudentemente s’ oflerva nelle cafe
loro, ficchè non polfano quegli ftìordarfi nep- pure in mezzo alla Con
verlàzione della foli- ta loro oneftà familiare.Fù coftume de i Ro- mani in
tutte le dcterminazionffempfefaggi* ed accorti , di fabbricare nelle Città di
con- quifta^ e nelle Colonie loro, Àmfitcat-ri, Cir- chi , Bafiliche j e
Campidogli , perchè i Cit- tadini loro fAdditi , che V’ erano trafportati per
abitarle , vivelfero Tempre memori di Roma , e benché lontani da quella augufta
Metropoli parefic loto nulladimeno di cf- Icrc in mczto di lei , c ne conferv'aflero
per confeguenza i riti j e le ottime Coftamanze. Tanto io bramerei , che
praticaflcro i Capì di cala j e fceglicflero per i loro domeftici quelle
Converfazioni , che più modelle ef- fondo, c più rifervate , potelTero Tempre
te- nere in eflì viva la Ipczic , c prefentc Tim-’ . ma- -
Diglllzed by Googl^ . ..... jriaginé della familiare
lòró Virtù.' Moltd farà perciò giòvevole il mandare ir al divef’'* ti
mento accónipagnatt ferri px*e da perfona_< confiderrte del Cafro? ,• aedo
ffoffa effett.i informato con fedeltàt di quanto accade f e non riufeendo a lui
l’elTefvi p'fcfenfe fema prtì i che faria pure il meglio > frietteré cori un
tal mezzo a qualunque difordine i’Opfiora tuno riparo lò non ho mar faputo
mirare.^ fenza rilènti mento la coftumanza di COn-< ditrfi alle
Gonverfaziont della fera ì piccioli figli parendomi codefta una fcuola , che
diafi troppo di buon’ora alla Gioventù per pre-> variéare itmanz’i tempo i
ma fe da nn’abufo potefle mai tirarft profitto àlcurfo farebbe' certamente per
i Capi di cafa quello di effei re dalla fchiettezza innocente dei fanciulli
avvertiti di dò > che fuccede nelle aduitan* ze, e che forfè per altra via
rioni farebbe iora mai noto < La Provvidenza' fèmpre in tuttc_> le cófe
anwnirabile ha fatto , che quando le Tigri più crudeli , che altrove ,
nell’Africa^ infuriate ó per fame ^o per altro, van di- grignando' tra fc cón
afinta rabbia , e quac-" chic feorrendò pef far ftrage più ficura, fie*
no? pYccccftiic da tiri picciolo animaletto che altainenCe f^chiàndo avvifa , c
gli huo- mini,e le altre fiere , di metterfi in falvo.' Rileggendo io quello
rapporto nelle flori’é-* del nuovo Mondo feoperto da i PortOghclV
mt (ay mi venne torto in mente quel pregiudi- zio per altro molto
utile , che rilevan talora j Corrompitori del buon cortume ne*- più fé-- greti
maneggi dalla facilità, che hanno i Ra- gazzi nel .ridire tutto quello, che
veggio- ito , onde per un tal fìfchio ad cfll odiofo, più volte i Capi di ealà
hanno potuto fventare^ certe occulte mine, che macchinavangli una grande
rovina. Perciò alludendo alla troppa loquacità d’un Papagallo.dilfe un non sò
chi, nc.sò dove, per impazienza una gran verità: e quefle bejììe , ed ì ragazzi
, rompono fempre con danno la fegr et e zza . Ciò però non_, ortante io. non
m’indurrei mai a lodare la_> pratica già condannata d’ introdur ne’ di-
vertimenti i.Giovanetti ancor teneri. » IV. V’ha nel mondo un’altra
Ibrta d’er- rore inquerta materia alTai grave, in cui vedonrt cadere con fomma
agevolezza non pochi de’ C^pi di cafa ,onde ne vien pofcia_. Un diicapito
.confiderabile al buon regola- mento della .famiglia Alcuni di erti hanno un
cuor generolb , ed invitto per tenere tut- ti.: loro (oggetti in buon freno , e
per non_» concedergli cofa,che portfa recargli il mi- nimo nocumento . Rrtfendo
eglino d’occhio acutifliìmo .preveggiono fempre anche da_. lungi il male ne’
luoi principi , e fanno, con- ftan- — - 1 ^ " • - ■ ^ -r
' Ca) Szett. Phyf. Cur. Hb, 8. c. 74* Diglllzed by
Google ftantemenfe refiftci'e ad ogni i^ciió i ad ogri! preghiera
,>ad ogni più lufìngheVole a(ìali'‘k mento de' lor familiari > quando
voleflefo pure ad ogni dodo incontrarlo, più miran« do alla foddisfazione del
proprio genio t che.all’aflìcuramento delPinnoccnza. £ppùrd crollano codeflc
Colonne ancora di fortez« za si eroica alduna rolla , e temtndo , comò! difle
altrove il Profeta »Qa) do^e noti ha luogo il timóre , fi lafciano vincere da
un rifpetto fìcvoliifimo di convenienza fuppO'« da accordando per importunità
d’ alcuni fcaltri , ed indifcreti interceditori , a i loro domedici quello, che
per confìglio della prU<< denza aveangli fempre negato. Parmi di
ravvifare in qucda fiacchezza di animo ciò « che nell' Elefante fuccede , il
quale aven-* do cuore- di Combattere in Campo aperto qual falda Torre ^ da cui
reggonfi molti va-» lorofi Guerrieri , s'avvilifce poi dranamen* te
intimorendoft fuor di modo per l' incon-* irò d’ un picciol Topo ; onde a
codoro pò* tria dirfi ciò , che delle Vergini dolte fcrif» fe pieno di
compaffione S. Giovanni Gri* fodomo; Cb)fuper.ata aVeudó la maggioti battaglia
tutto ttella pià facile' miferameu- te ptrderotfé. I E come non s' accorgono
eglino edere eodedo un artifizio de’ loif fog- Ca) ffat4 p
5< (b) tìóm. inHatth, foggetti per fuperarc ogn’ argine della
iid* bita vigilan:ia « ed ufeir di caia per forza , giacche far tìort^ lo
poterono ber amore ? Impegnando eglino Con uno uratagemma si deftro i lor
maggiori a lafciargli nella fo^- fpirata libertà con una loia icappata , Che
può eifere la peggioreranno perderein pochi momenti al Capo tutto il merito d’
avergli euftoditi permeiti anni* Nè poflbno già in 3uedo ichermirlì i
Capi dalla taccia di co* ardia , mentre avendo éoneeputo un iavio timore de’
tanti , e si manifefti pericoli, che incoHtranfi nel fecolo , e ne’
divertimenti di ' lui , molti con Ibmma Coftanita nc conteie- ro , e proibirono
a i lor domeftici arrenden* doli pofeia alle perfuafioni d’un terzo , Che punto
non avendovi d’intereire, o forfe_> troppo , che faria peggio , Chiude loro
gli occhi , gli toglie di mano le redini , ed at> terra in un’iftante la
macchina del lor pru- dente governo « Direi in tal calò ciò , che ad un mio
Confidente difle Un’arguto Principe dell’Italia invitato da lui a vedere una
fua_. grandiolà delizia di Campagna , la quale.» cinta d’intorno da un largo
foflb d’acqux^ chiudevafi la fera con un gran ponte levato- io per fiCurczza :
tutto t'à bene , ma con tre braccia dì muro potevate rifparmiar^i fptfa dì
quefla Rocca : alludendo ad una pic- ciola , c debii porta , che per la parte di
die- tro comunicava, con Una lingua di terra alla pub-
Digitized pubblica firada . Che occorre vegliar tutto l’anno
nn Capo di cafa per guardare i do- ineflici da ogni finiflro accidente, quando
fi laici aperto l’adito alle illanze altrui per ottenere ogni licenza ? lo non
dico già per quello , che egli non deggia fidarfi talora_> d’un amico , e
d’una porfona di fperimentata bontà per confegnargli , occorrendo , le_»' donne
lue , o i familiari , che faria ciò con> trario alle regole della buona amicizia
fon- data fui la fede reciproca, Intendo Iblodi confìgliarc chi ha cura degli
altri , e a non_. fidarfi di tutti, e ad claminar bcnclequalir tà di coloro ,
che intercedono tai licenze per non averfenc a pentire fuori di tempo . La.,
madre del buon Tobia (a) avea .tutta la_> fperienza dell’Angelo domelljco di
fua car la , benché noi conofcelTe per un fpirito celelle , eppure a* a(BilTe
oltre mifurjL> d’avergli confegnato per lungo viaggio il fuo unico figlio ;
e non baflarono le perfua- five dello ficlfo marito per alciugarle da- gli
occhi le lagrime , e l’ollinato liio dirot- tiflìmo pianto. O il timore, che
haconcc- puto un Capo di cafa per tale divertimento è giudo, o nò: fe nò, dee
sbandirlo, ed accor- dareda fc , e fenza veruno impullb alle lue Centi il
capitarvi colla dovuta riferva ; fc_. poi ■■(a) Toé. 5,
■ '■T" ’fr poi è giudo ) e fondato , qual ragione
pn6 in^i ^addurfegli in contrario per farlo defide- rCyC ipan^are con dannofa
condefcendeqza al (uo lavio proponimentoPEfaipiniegli dun- que con retto
giudizio quei motivi • che lo ' fpingono a tener lungi da certi luoghi i Tuoi
(òggc^i > e particolarmente le donne , che_> (debbono con maggior cautela
guardarli , e_* quando fulTidenti gli riconofca , ed invinci- bili) non fìa sì
facile a cadere per quante-» fuppliche gli poflano elTer fatte da chi forfè pon
vede, o non vuol vedere ci^> > che egli ha prima di tutti veduto . Si
perfuada , phe le_» per queda fqa connivenza gliawerrà alcuna gofa di male» i
primi a riderfone faranno co- loro, che l’ingannarono . Così fanno i Cac-
ciatori , che rubati avendo i teneri parti alla Tigre pel tempo, che ella elee
dalla tana per girfene a trovar pafoolò ^ vedendola infe- guirgli furiofamente
avveduta, che dafidel Furto, le.gettano con dsdreiza uno Ipecchio, nel quale
fermandoli ella a mirarli i e ere» deqdo , che quell’immagine Ila qualcheduno
de* fuqi Tigretti dà campo ad efl| di beffarla, c fnggirfene. Lq fpecchio , che
in tal materia non pwò ingannare» è la ragione, la rpericnt , e l’efempio
altrui , colle quali cofe rego» Jandolì l’huom di lenno mai non'rederà de»
iulb, ne farà paflb, di cui deggia increfcergli, ■ Kelìami lòJoqul
d’avvertire i Capi di cala_, a preceder Tempre a’ioro ffibordinati
colla-. Diglllzed ùy favìczza , e col buon efempio , a
cui polfano efli uniTormarfi , perchè /e la donna , fecon- do Arinotele, dee
far fi regola de* coflumi del marito, non farà mai condannabile efla_*
fola , quando faccia quel medefimo , che ve- de farfi da lui , èflTendo ancora
mal fatto ,.ma‘ farà comune il delitto, e per la maggior par, te ancor dèi
marito , che è tenuto a porger-' le nella 'maniera del viver fiio un’efeniplare
d’ottima immitaziorie , Stieno eflì addunque- colla grazia
del,Sigrtore,chebenditutti'Io’ credo , lontani dal Libertinaggio per
àvere_>' una giuda autorità di tenerne parimente^ '- lontane le donne loro ,
edifeorrendofi de*' Conjagati' ferbin'o eflì intera Tempre la fede ' per
efigerla con giuflizia , mentre gli avvifa il dotttiflìrhò GiorPico Q>) :
molto ìngannarfi' coloro , che giudicano a fe obbligate , e còme ' •vendute in
-fèrvitìi le Conforti , e nulla fe • medefimi ad ejfe tenuti. [a]
2. Oecon. [b] Lib, i . Ep> » *40 • «
"Danni del Conversar mal^t C A P O XV. VT « » J, T O non
voglio gi,^ 4'ffc , che il npflrq JL Mondo fia diyeji.uto un,i prova evi-»
dente dd grayiffipip dannp , jejie riJevafi dalla pcrni?:iola inavved^.tczza di
convcr- far njalanjente , elìcndo pr.a forfè Janto di- verfo d? fp inedefimp ,
puanjto dall* antica fpojphVit^ può fembrar differente la fua fi- pezza ,
Q|iefio è b.en certo, phe fen;ja in- veftigarne per ora l’ prigipc po’ npfiri
pPfn- pi combinandpfi i pafTati fi trova jp ogni genere jdi virtù pno fcadi
mento sì potaljii- le , p iic i difordini qua sì piena , e sì la- grimevpie
fecondità , che ri^fee alle p.erfoT ne più fayie di non picciola pena il vivere
in pn Secolo , nel quale è di/fieilc tanto lo fcher? mirfi dal male . Ciò ha
fattó credere a taluni, ohe fia vicino il Mondo al fuo termine , e cor
flituitonn’altra yolfa in follanza anatto njar ligna fi vada aecoila.ndo a)
punto di quella.» défolazione,e calamità , che prediiTe il Signo? re in S.
Matteo , per accennarne gl’indizj del ffio totale efterminio . Nè ciò è fiato
fitoy di ragione del tutto , poiché ancora il gratta Pon- |]a1 cpp.
24. «I» Digilized by - rontcficé S.
Gregorio prefògiva un ta]e_» defolamento fino al fuo i'ecolo , rimarcando molti
in eflb di que’ legni , che dell' ultima l'uà rovina s’hanno dall' Evangelio ;
£«3 de' qtfali tutti , egli dice , molti già vediamo av- venuti , ed filtri
temiamo , (he fieno per av. venire bea prefo^ Negar però non fi
puote per tutto quello, che in ogni età non fiali veduta la virtù
conibatter co'vizj , c Ibc- poipbei^e alcuna volta con difayantaggip notabile
:dico Iblo doverli adeflb temere un poco più, perchè forfè in altri fecolinon.,
fi ò veduto regnare con maggior franchezza le corruttele, nè girfenc con fronte
sì altier ra in meazo all’applaufo quafi comune . La^ virtù in que' tempi d'oro
fù lèmpre virtù, ed i vizj mai non cangiaron fembianza , onde aperta elTendo
tra elfi , c dichiarata la guer- ra , avea ciafeuno da' Saggi , o lode , o
biafi- rao , fecondo a quale de'due partiti appiglia- yafi . Ma fé
confondendoli colla gentilezza., il collume più reo, e,, colla civiltà il
pecca- to, foffe. mai verinta, come efclamanp gli Zelanti , a fegrio di non
poterfi baftevolmen- te dillinguere la virtù dal vizio , farebbe il , peggio
certamente , che avvenire potelTe ne' tempi nollri , poiché perderebbe ella
tutto giorno moltifiirni dc’fuoi partegiani per la CL. fadl.
CfO / Digitized by Googl 242
.facilità , che fi troverebbe d’effer viziofo con jodc . Così gridava pur anche
Seneca fin nel .fuo.recolo , riconofcendoT(/zj che : ìmmìtan- doft da ivizj
alcune •virtudì non pojfouo da ejjì dìfcernerji : onde ne verrebbe ancora^
J’inconvcnientc , che dicca Lattanzio cioè; f^j ingannati molti dalla fpezie dì
Dani beni abbracciano il male per 'bene . Ed in vero farebbe quella una difgrazia
, acui- potreb- bono foggiacere anche talvolta le perlbne^à buòne ,;ina poco
illuminate , mentre veden- do applaudirfi.ciò , che merita biafimo , faria
facile , che non penfando piti là s’appigliafle- rp eglino pure alla' maniera
del vivere più plaulibile con danno grandilTimo della vir- tù. Se folte mai
vero, che la leggiadria avelte tolta una gran , parte all* antica faviezza:*
iludiando il Mondo la via di' farti più culto , è più civile , farebbe divenuto
fenza avveder- ienc meno innocente , e farebbe quello uh male .da piangerli col
Morale-'per irrepa» ,T3hì\Qi(a)toglìendofi , al parere.beh fan»dt lui , al
rimedio ogni luogo , quando, ciò , cke era ^izh dìvìen cojìume . Quando folte
così, che io non voglio mai fùpporlo , ninno cer- tamente potria
.contrallarmi-elterfi ciòea'- gionato dal coramerzioindilli'nto,e làmilia- re
troppo degli huomihi, per cui melcolan- doti L De
clem. [b] De fai/, relig. [c] Ep.^^ f jDigitized by
forilo *4-5 clofi con quei 'dell’ ùno i còlìùmi deli’ altre).,
làriafuccediuo ciò, che accader fuole natu- ralmente , che la parte cioè de’
cattivi , pre.- valga , come feràprc più niimcrofa y c più pofl^ente , {'eco
tirandoli quella de’ buoni in- feriore di numero , e bene fpelTo di forza. Se
quello noflro potelTe mai dirfi per iua difav- ventura il fecolo della più franca
libertà non farebbe certo cofa mirabile , che a.tutti co>- raune fWiil
traviamento introdotto a poco a poco dalla Ibavità del piacere , a cui pende
fempre l’infelice natura dell’huomo . Il Gran Tommafb Moro gloria
dell’Inghilterra un_* tempo cattolica fentendo , che Lutero £ref fiarca st
perfìdo fpacciava per miracolo, che la fua Setta folTc tanto in poco tempo cre-
feiuta idilfe con gravità da lìlofofo veramen»- tc criiliano , ciò è tanto
miracolo , quanta lo che un fajjb penda aWingiU . Volea egli dire, che
predicandoli da quell’ indegno huomo uno ftato di libertà , e di
fcapigliatxtento , era bea naturale, che tuttil’abbraccialTcro di buo- na
voglia . In un fecolo pertanto , dove re- gnar 11 lafciaflero con dominio
difpotico la..^ galanteria , il paifatempo , e la conlìdenza^. troppo farebbe
agevole , che anche i più de- diti alla bontà fi prevertilTero , e cangiaflcr
volentieri partito attenendofi al più colmi- ne , c più praticato. II. S’
aggiiigne a quello, che ■, fecondo Q 2 Pia- 244 .. .
.Platone , il piacere ift lufittgatido gli omI- mi è Jìato fempre f olito dì
tirargli per forzai dovunque gli piace :{cTpo\ eiò avveniva itij •quei tempi ,
tlovc l’cflfer jd’Proe era in t.utto il fiore pel rigido , ed ciàtto efercizio
della::. Morale > c dóve gli huomini facevano uno lludio particolare d’
edere buoni con glo« ria ; tanto pib facilmente accaderebbe in un tempo, in cui
fbfle anzi gloria l'operare-* dive.riàmcnte , e lo Audio de* più fi rida*
cefTc alla (bla pulitezza del tratto eAeriore. Non dovrebbe in tal calb
cercarft da lungi 1' origine del cangiamento, che può vederf^ nel noilro Mondo
, mentre nella lcompoAezza_. de’Viventi fi troverebbe pur troppo chiara.
SefìnoGalenoC^)riconobbe nell'età fua proc^- venire Peflermìnio delle Cittadi ,
e de* Regni dal molle , e fregolato vìvere della Qìoventìr, che doveremmo dip
noi , quando icorgefli- mo comune in tutti gli huomini la feorrezio- ne ?
Quando poi fi facelfe di eiò meravigliaji qualcuno potrebbe dirfegli come quel
Savio ad un certo feimunito, che pafTando per un_> fenile col lume accefo in
mano v^avea dato fuoco, c vedendo la fiamma fpeculava per trovarne la caufa
'.gettate il lume , e prende- te l'acqua , che il male vìen da voi . Vi fono
alcuni, che malamente vivendo , e fempre-» . in 1^.
Ca;> 7. de rep. (b^) In Fiat, ^.deleg. r
Digitized by iri péfRme compagnie , fe la paffano , dicé-i
Origene., ia') dopo d'aver peccato còti tale^ franebezta , comefe nulla
avefféro fattói ri- cercando ancora Con una fluptda. fpcculà^ zìone- d’ónde mai
a loro derivato fia quel male , che ad onta pure di loro difinvolturaj.
conofeono . Che occorre perdere il penfie*- ro , ed il tempo nell’inveftigare
la lorgenteji de* mali , o comuni, o particolari, quan- do per toAimonianzadi
Dio medefimo (àp-r piamo provvenir tutti dal peccato ? Ed in fatti penfando
meglio ciò fi comprende^» con tutta chiarezza mediante il lume Teoloj gieo,f ed
infallibile . E’ certo , che Iddio non può permettere il male , onde Tramo
fovente' perGoflì, che per due motivi; o per prova de* Buoni, 0 per gaftfgo de’
Rei , mentre efièndo' egli Padre della Mifericordia non può avere, che un cuore
paterno , c ripieno di tenerez- za, la quale non manca mai, fcJa giufiizia ir-'
- ritata dalla colpa non ne impediice gli effet- ti . Efàmini ^nque ciafeunó^ e
l’ interno, l’ efterno fuó procedere, e vedrà fc i mali fic-- no a lui derivati
o per prova della mifericor- dia, o per gaftigo della Giufiizia; e trovando,i
che da quella fecondi provengono, fra ccrtor che la cagione farà il deviamento
del fuo vi- vere originato dal pefiìmo efempio, e dalle./ perni-' —
' - • - - - 1 i‘ .. . (a) h ffal, ■*46
perniziofèinrmuazipni di quei compagni »clie egli, con poca avvedutezza fì
èfeeiti*- Per metter dunque un opportuno riparo ad un^ danno il grave, che
nai'cer potrebbe dal maP uib del Converfare , proccUrianio di riconó*' {cerne ,
la:Ì0fl:anza piii.a fondo > cd il midollo più intinto, per abborrirlo quanto
egli meri> ta e.per torlo una volta da noi , lo perdi» fìngendo, chepoifa
eflervi , quantunque non creda efìervi per divina Pietà , lo divido in_.
quattro fpezie, che dandoli egli mai farebbo- n.o le più fvantaggiofe , cioè ih
danno dì Sot fianz€i in danno dì Gloria^m danno di Corpo, ed in danno d’ Anima
. E giacché da ciò può dipendere tutto l’ utile di quefto Libro trat- terrò a
parte per cialcheduno de’fuòi Capi quella materia . «
Digitized by Googl^ 247’ r Del Danno di Sqfìanze in chi
mala^ mente converfa. CAPO XVI. *• « 1. 1"^
Pili chiara della (lelTa luce di mezza giornó la rovina , a cui tendono
in-.- oggi le cafe , e potendoli di leggieri attribu- irne air ulb del
convèrfar malamente la càu- fa, troppo farà manifcllo, e bifogoofo di poca
prova, il danno delle Sojlanze, di cui ora par- liamo . Nè io credo , che fia
molto lungi dal yerò il dubbio, che. quello fenfibile detrimen- to derivi dalla
difciolta maniera , che hanno taluni de i meno faggi introdotta di vivere.* in
quella parte di mondo , che elll formano, poiché i t'/zj, per fentenza di
Seneca, (,a')tJort, Jptt. de' , mà fempre degli huomini . La Felicità tic’
pàflati Secoli debbe afcriverfi alla profellìone, che vi fi faceva palefamentc
del- la virtùipnde la miferiadel.nollro tanto chia- ra, quanto a tutti
fenfibile , potrà crederli ua. effetto naturale, e neceffario di quella frego-
latcz2a,chc egli aver poteffe nel fuo cofturae. Oltre addunqueal poter.effer
pur troppo co- deffo fuo quafi palpabile fcadimeto un flagel- lo della di vina
Giullizia , che pigliafi forfè ua. anticipata vendetta contra de'PopoH a lei
in-- • Q 4 . fede-,; 248 ^ . . . fedeli, come fi vide
nel pfinlo degli hupinini, che decaduto dallo fiato fdiciflìmo dell’ in-
nocenza ebbe lo (lento, il (udore ,' e la penu- ria per pena : oltre dico di
ciò potrebbe dirli ancora concludentemente lina cònfeguenza,- come di (opra
accennofli, naturale, c necelfa- ria del fuo moderno difordine. Qual co(à_. per
Vero dire v’ è mai di più naturale , che 1’ andare le cofe tutte alla peggio
tolta ,.che (la la premura non fòlo d’ agunientarlc , ma di cuftodirle a
dovere? Chi è dedito al favio cfercizio della dòmedica Economia beh sà - quanto
v’ abbilbgni di fatica , e di dudio per indirizzare, e mettere ih buori’
òtdirie gli in- teredì delle famiglie. Onde non perifo , che_# farà lUngi dall’
àccordarmi tutto dovere ne^. celTariamcnte giffene a tralàcco , ed in rovi- na,
quando a tutt* altro fi badalTe , che ài de- bito regolamento di effò . Ih
fatti fe' vuòtéJ.. fbflcro fempre lecafedi quegli precifamente,- chedebborìo
fodehef'lé, epiche dì coloro # che ih comp I iltieh tb , edili cerimonia le
dilai* pidaflefo , io tìOh (àprèi vedere come non_.' IblTèrò per andare
forzofamente alla malora, ed in un totale ederminio ; Chi vuoi dono- feere il
Padron della villane del podere, olfèf- vi quegli , che he va levando
dìlig'ente'mente i (adì i Veda per tanto il Padfon di cafa, ed il Regolatore
degli affari dì lei, fé ne mòdrà ta- le premura, che da e(Ta po(Ta apparirne
vera- mente per direttore.- Che egli perù appari- ■ ■ fca-.
Digitized by qpegle 449 fi*a tale, ò’ ùà jJodo p'feitte
, batta , cfie egli fia a fe medefimo confapevole d* averla davve* ro, e Quando
mai nfe fentiffe friterrfo finfipro-^ vero dovrà perfitaderfi effer pur tròppo
vé- ro , che da fc medefìmo pet amar tròppo fi commodo/ ed il piacere,»* è
ridotto alla graft pena cF aver pih poco di commodo' per difet- to di fottanze
,■ e poco di vero piacere peé mancanza di Contentezza interiofe ; Diceva uh
Savio de* tempi noftri, éhé quejìo Secolo i quello délP apparenza perche levata
l* efle-* rìorìtà d' un luffo daanop altro non fefta $nJi cafa , che làmtferìa
. io non voglio decide^ re, fe egli dicelié vero, sò bène, che la Galan- teria
porta feoo fpefe efoYbitanti di regali, di giuoco, di inangiantenti , c di
cbmpaffé ,’ che poco giovar poflòno al buon rncànfinamentdi' delle azien(}e'
particòlai*! / É* ciò tanto yeroy che Giuditta,c?onTe già' accennammo » benché
Santa , e di rara modeftia fornita ,=pare ufeié dovendo di cafa per
comandamento di Dio abbellì ,- adornofli’, ne giudicò opportuno if cbrapariré
agli alloggiamenti tF Oloferne ini quella pofitiva-, e traiandata figura ,.di
cui el- la pregiavafi infua cafa .- Troppò fi'vedead-’ dunque elFeré
imprefèinrdibile dal cónvcrfar nel gran Móndo la ncc'eflltà dello sfoggio , Ctt
euri giiattafi mai fèmpre il vantaggio degli in- tercfiì privati , e
chc'poflbno a lui attribuirli quelle-mifericy delle qualifembra aflài ricco il
nollro Secolo ■ ■ ' il* ■2S.O . . t ; H* Quqnéo all’
incuria poi potcffe • mài crcderfi ne i tempi moderni aggiunto ancora qualche
maggiore accrcfcimento di vizio, fa- .ria il danno più certo, poiché per
mandare le famiglie in precipiziq tgli è peggiore affai , come feri ve
Plutarco, (a) del ferro, e deffuo^ co . In fatti impegnato, che trovifi
qualcuno a fecondare l’ impeto di qualche.pafììone a_, nulla più mira, che a
feguirne il capriccio , e , la violenza , lafciando , che tutto precipiti ,
' pwchè il genio 5’ appaghi. Videfi ciò nel ' Principe infelice di Sichem
, il quale perduto negli amori dell’ avvenente Dina nglia|di | Giacobbe , cosi
con clTo , c co’ fratelli di lei quali ufeito di fe medefimo s* efprelfe: (Jb)
ac- crefeete la dote, dimandate regali, ed. io darò volentieri quanto mi
chiederete. ,.e date a me. folamente la fanciulla , Potevano fenza dub- bio i
Parenti di Lei chiedergli quanto ei pof- fedeva,che niuna ripulfa averebbono
avuta_> dall’ imprudente giovine tutto. immerfo nel*^ la foddisfazione del
proprio genio ,.:Se ognur no, che fi è prcfillb d’ aderir loro, togliendoli per
breve fpazio dall’ impeto, e dalla tirannia delle paflioni , vorrà rihettcr
bene , c con^ tutta la debita ferietà , fovra il difcapitocoti- diano della
propria càfa vedrà.forle, che il frequentar troppo !’ altrui ne ò .tutta 1*
origi- ne, • fa) Jx, vitiofi ad Jnf.fuf, (b) Gen. 54,
Dlgitized by Google 2JI : ne , feguir potendo
giornàlmenté nelle femi- . glie per cagione di molte quel danno» che da una
fola femmina, al dire di Teodoreto, deri- ; volli nella Reale di PàlelHna : (a)
ciò , che in Tamar è accaduto , può dir fi un certo priaci- ■ pio , e radice di
tutte lédifgrazie nella regìa - Cafa di Davide . Chi sà, che molte cafe non
"poteflero mirando il proprio dé{blameiitO:,,e • la decadenza dalle
primiere fortune , cicla> : mare come quel Cortegiano d’ Oloferne do-
'•po il fatto celebre della Betuliefe Matrona:. : Xh)UKaJola Donna ha poflo in
ìf compìglio t ut* Jajà Cafa delRe Nabucco \ Se potclfc ciò , mai dalle Cafe
moderne ridirli converria he- r^ne accordare al Poeta, che Danno ; c Donna
.feado.lo ftefib, da un tale principio e noh d' .altronde venuta lia tra gli
huomini. tanta p^ «nuria , e conchiuderc. per ammaeUramento -di chi per anche
non l’ haipròvató : ' • » . I *>• Che ogni gran mal nepìen dtù
dehil feffo*' Quando fennOi e ragione t ■ ■ Ai rio defir di luì legge non
pone .• • ■■ • * t . • . , . i , • , • * * ‘ Lafeiando però
ladecifione. di quello a efei potclTe per dilàvventura averne qualche es-
perimento diròfolo , chclùccedendo mai tal cofa mi recherebbe troppo - di
meraviglia- i4 ve- (^ofAp.Gloff. ì.Reg. I j. [b] ludìth 14;
- • 2Sf2 vedére, che un, danno tanto palpabile, e si
..proprio dell’ interefle di tutti, non l'crvilTe ad aprir gli occhi a codefti
ciechi volontarj, e_i ilupidi oltre ogni credere. 11 figlio Prodigo fu cieco
per la pailìone ritirandoli dalla ca{^ patcrnaj e non avéndò alcun ritegno per
im< rpiegare il pingue ilio patrimònio nella com> '^piacenza de i lènfi ;
ma ridotto in miferia fe- ■ ce.forza a fé medefimo, aprì le pupille
dcllau> ■ragione j e fuperate le inique lufìnghe dello :fconfigliato capriccio,
fi rimife all* ubbidien* za del Padre j [à] facendo per intereffe ciò , che don
averia forfè fatto mai per prudenza* ■ Come poi nondovria mirarfì con
iflupore-, che rovinandoli alla giornata fenftbilmentej* nelle fue follanzc un
huomo folTe un giorno piò cieco dèli' altro , e piò fempre di buona:» voglia
attaccato al Ino peggio ? Potrebbe..:^ egli fenza dubbio alToitiigliarll a i
miferi Idro^ pici, i quali pieni d’umore cattivo, ed acquo- ib altro non amano
piò, che bere, benché fap^ piano doverli da ciò cagionare la morte lo^ ro .
iDoVerebbono per tanto farli una gran.» forza Ibmigliahti huomini , le pùr fe
ne dan^^ no, ed illuminarli al funcfto chiarore di quel incendio , che hanno in
cala pur troppo , metter qualche rimedio ad un male , che mi> «accia loro un
intera , ed irreparabil rovina. Ri- fa] Lac. I5«
N Rideva un Savfo In vedendo > che un povero huomo, il
quale aveva in cala acecfb forte- mente il fuoco andalTe cercando lume per
feiegliere il meglio de’ mobili e porlo in fi- curo, gridandogli tra lo
feher2Q,e lo fdegno: pigliate età , ebe potete alla buonora , così tii confufo
, ebe pur troppo ne avete in cafa del lume . Se io m’ imbattein mai iq
qualchedu- no di coloro , ohe vanno allegramente in di- fperfione , ed
efterm'nio , qoq riderei certa- mente, rqa non (àprei però intendere come-» la
damma at^ccatad nelle fpdaqze di Iqi non arrivade a fargli tanto di luce , che
badafTe-* ad indurlo per lo meno o 4 falvar qualche.^ cofa potendo *, q a
piangere uno fyantaggio tutto derivato dalla propria negligenza^. . Quello è
ben da notarfi pel maggiore dordi- mento, in cui cader poffa un huomo , e
farfe- ne come un fpeochio per aver fempre I4 mi- ra di non cadervi .
Ili, Nè può orederd gbbadanza un d^n- no sì grave , mentre neppure , che c il
iiio peggio, d conofee intieramente da chi Ip fof- fre, poiché impegnatovi il
fenfo,di cui è pro- prio 1* acciecarc , qoq h vede qganta è la ro- vina ,
veridìmo clfendo il detto dello Spirito Santo intorno agli huomini di bel
tempo; la malìzia loro gli bcf accìecatì . Ed ecco non e(Ter‘
Ca) Sap^ «. 2|, . . «fiere piìv mirabile, di è i mileri
fieno s\ facili a chiu‘i‘^r l’occhio fovra de i proprj pregiudizi» ciò effédo
gaftigo della colpa, percuichiiidedo-» gli volontariamente la prima volta
peccàdo, non gli poflbno poi riaprire volendo , e con-, viengli foggiaceread
una cecità, che per efle- ré quafi invincibile, febra maravigliofa.Bifo- gna
dunque , che ftudj bene ognuno fui graa punto.ne da tutti capito,di conofcerc
qual fia il fuo proprio debole non già per difenderlo , ma per ammendarlo
gcncrpfamcnte , fccon- dio la dottrina del Morale, [a] che fcrifle:co»-: vieaey
che tu fappìa ciò y che bai d’ infermo, per no» ti porre a proteggerlo ,
Acquillata-» pofeia, che fiafi una tal cognizione èduopa di più il valerfene
perlagiufia riforma del vivere, e trovandoli mai in alcuna parte con*
danabile,ritirarfi con follecitudine da una co# fturaànza , che feco tirando la
dannofa perdi# ta delle foftanze, potrebbe ridur chi la prati# ca ad un penolb
, ma inutile pentimento E’ qui luogo di parlare fpezialmente d’un er# rore ,
che potfia forfè cadere in taluno degli huomini, cioè, che il peccato
faccia:fortuna , locchè non.fi vide giammai, ne potrà- in tutti i fecoli
accadere , elfendo anzi il fondamento della fpiritualc nón meno , che della
tempo- fale' rovina ; Chi inai avefie un opinione.^ tan- ta]
Lib. I . de Ira. * •• .« tanto rtravolta
pòtrla fpecchiarfi nella cele-' bte Statua di Nabucco^ nella quale (igura- rono
, cd intelcro quafi tutti i Santi Padri la fcliéità della colpa, che finalmente
dopò varie' menzognere apparenze riducelì in un bel' nulla . Era mirabil cofa
da vederfi in efla co- . SI bene uniti i preziofi metalli , onde faceva a- i
riguardanti una gioconda, e maravigliofa_.- comparfa . Ma puredebilc eflendo
ncllafua bafe , ed avendo di vii creta i piedi coll' im- peto leggcrifllmo d’un
picciolo fafiblino tut- ta fi rifòlvè, quanta ella era, in polvere ì e di più,
colà ben degna d’ alta ponderazione , in polvere.di terra, e di fango, per la
miflura di cui vennero a perdere tutta la fofianza loro- gli altri metalli . Si
può da quello con evi- denza arguire, che le fortune , ove fi mefcoli; alcun
poco di colpa fono lemprc Ibfpette, e_*“ faciliffime a perderli affatto ,
quando men vi: fi penfi . Oltre di ciò debbe rifletterli , che_r elleno fono
dillribuite dall'indegna mano , e”, poverillima del Demonio , che nulla avendo
in fe, o fuori di fe, che fuo fia, non può prov- vedere chi a lui s' appoggia,
che di vanita, di bugia, c di fumo.' Tanto fpcrimentò a dan- no di tutto il
Gener nollro l' infelice Eva_. , che a lui credendo , cd alle fuc traditrici
lu- finghc, nulla pete ricavarne, che fvantaggio, • • c per-, '
.(a) Bart. 2. 55. 2c6 c perdita, offervando 1’ acuto
Abbate Rober- to, che: [a ] /' ìnganttevol Serpente i» tentati- dola non ledeva
del fuo , ma la perfuadeva a rapirei altrui . Ciò pure ancora fi vede ben
chiaramente fra di noi mirandofi gire vi- cenda le terrene profperità,e
fpogliarfi l’uno bene fpeftb per veftirne l’ altro i poiché tan- te nou fonò
elleno di numero , oltre all’ e(Te- re in fodanaa fallaci , che pollano
inganparc tutti in un tetppo medefimo , Demoftene co- nobbe nelle ftefle
tenebre del Paganefimo' ipna verità sì palelc , dicendo : bifogna-t , phe
quejìì fieno infelici, perchè felici fieno al- tri, pio fi fio tuicenda , che
mentre uno fom-r fnergcfi t f altro f inalzi. ElTcndo per tan- to ciò VerilTìmo
, ed incpntrallabilc , ninno , che abbia fenno s’ indurrà mai a fondare
Ib- yra la colpa 1’ avanzamento della famiglia, p de’ fuoi privati
interefiì, cd in conlèguenza ayerà femprc in Ibfpetto quei beni , che gli
pareffe di guadagnare in divertendoli oltre-» all’ oneftp, credendo per vera
perdita , c per difcapito reale di fue follanze, qualunque ae- crefcimentp
potelTe dipingergli il capriccio , C la palT}one . ^ Vel
4* in Cant,(h') Qrat. i . l V • ’ . ' . Del Danno di
Gloria in chi malamente . V • ^ » • • » * • (onverfa . . ^ '
* CAPO xvir, » ^ * t ^‘TV/r ^ palefe, ma non men certo xVX n
danno di Gloria in chi poco avef» fe di regola nell’ ufo del conyerfare ,
onde.* merita d’eflPer egli pure confidèrato con efatr tczza. Divido co’Morali
Filofofì l'onore ininr trihfeco., ed eftrinfeco . L* intrinfeco è fónr dato
fovra l' abito interiore della virtù , per la quale s' opera Tempre con
rettitudine ^ our de chi è realmente bmno i dice Platone, [a2 confegutfee
lacera gloria , L’ onore pofeia^ eftrinfeco deriva dagli atti efterni della
virr tìi medefima , i quali, come effe^p dalla Tua^ - caui'a, procedono
dallo ileifo abito interiore, ' è tirando a Te l’ occhio de' faggi
acquiflano.a chi" gli pratica una lode, ed una ilima didinta, che è il
fondamento dell'onore , il quale y fe- condo l' Angelico , altro non è , che
un-n> ■ efiimàzione , la quale abbiamo nell' altrui concetto fui
capitale della lìirt-k . Vediamo, ^dunque in prirno luogo la rovina della glo-
ria, cd onore intrinfeco , la quale potrebbe-* òriginarfi dall' abufo di
cpnverfar malamea- R te . • ’ ■
0 ^ ^ * Ep. 4. Cb) 1.2. q. 2. ir. . , \ 1 i
Digitized by Google te '. Qual virtù potrebbe
fupporfi in un liuo* mo,che lafciandofi trafportare dalla Violen- za di qualche
difordinato appetito operaflTe-- in forma da ridurre tutta la fperanza di lii^,
falvezza al rimedio del pentimento ? Egli è poi certiflìmo , che taluni
impegnati in una^ .certa maniera;di vivere da eflì creduto, civi- le, e
galante, ma riguardato di mai’ occhiò da j.Savj, hanno talvolta
fettoibfpirarei.Geny 4»ri, 4 Dom ertici , «d i Zelanti delle anifnejd- .ro:
ediosò, che dopo la morte d’ alcuno di «flì tiitto il fondamento di lor làlute
confjrtc «ella voce fparfafi,che egli averte già da qual- ^ tempo lalciato.il
tale impegno; e r attaq- -camento palefe al tale oggetto . Sicché io J»1 Vafo
fu creduta coderta leggiadria ,, benché^ •rtippolia innocente ,, un
.tralcorlb.. , o di mali- zia io di fiacchezza ,che per l’uno , e per l’al-
trocapo fempre porta del pregiudizio nota- ^bilc d’onoranza nell’akfui
conCetto;E’ cecto, .che dandofi mal, feria quefta foggia di, vive- re un
«effàerfi Jtl piacere t corno bcnifltmp diceà>Seoeca,,0*) manifeftameote .
raoftran- »do una dcbolezzadi fpiritq, che accordar non /fi puote colia virtù
generbfe di (ùa natura , e -coftantcmentc inimica. :di tutto cib».che re- car
le polla alcuna macchia, anche ...minima, ►Sarebbe; un troppo, -vergognofo
inconvc- • nien- Ca) De vit,Be<^ .c • I.
X* ' '•i' . .2'J9 iMCnte il permettere- rhuòmo di venir
tirale^ come per forza, dairappetito. irraggionevor le a'<ciòyacui la
ragione HciTa ripugna., foggiacere dì buona voglia , Ibggiugnc Pia» tohe , ia')
alla' tirannia di quei piaceri, fervi fono della . Nè potria -.giudicarli
quello., o 'efagerazionCtoll.olido fìngimene to > quando, mai fi-vedelTe
taluno foggettarfi al dominio difpotico d’una creatura partico- lare ; lìcchè
non avefle egli mai un’ora di lU bertà per accudire agl’alTari pih
gravi ■camminando in quelloa lèconda , e feguj^ . do laTcortà
d’hUominiilcioperati , e di niun... < fenno ,-riducelTe tutto il tempo della
fua'vita >a divertimentó con'undiibrdine,acuis’op- ■porrèbbonp troppo , e la
ragione , ed ildo- ivere < Chi dunque operalTe. in tal guifa noiu» . .
.avendo la,- regola di quelli due grandi princi-, *' ;pj ,'che polTono dirli le
due bafi della più fa- •via Morale , farebbe un’huomo leggiero, .va- no , irregolare
, cdL in fe Uefìb mai , quando •non .volefle a bella polla adularfì, potr ia
fup- . -porre quel capitale d’onorevobfaviezza , che iblo può fenderlo prelTo
degli altri ilimabi-'. 4fr. Mai non -farà vero cèrtamente , che. re- gnila
.virtù dove comandano le padìoni au- . «torevòlmente ; c fe non è fallb il
detto del lot- . -vranominato’ Filofofo chc-;:^/ fervirethi ■'■' . R 2, .
* pia*' " (a) In rbììf^Jp>y Ifi 'Prqtag
fé . \ V •» ... • 0
V tt(5o piaceri è una fómma ignoranza : non potrà mai
attribiiini una tale condotta ad lin pre* gio , che d’occhio acutiifimo eflendo
ed in . iua lbicanzà .celelle, ignorar non lo 'puote> . ■perché fcmpre
dirittamente lo mira ,1’one- ilo , il buono , ed il vero . E poi aicoltino co-
defti huomini la propria col'cienza , chè è U Giudice interno delle noftre
operazioni , e icntiranno quale fentenza' egli pronunzj contra di loro , efe
gli commendi per vi r- -tuofì, o gii condanni come cattivi j s rei d’un vivere
in veruna parte, piaufibile .:Code(lo è Un’oracolo , al dir di Liffio-, (c) che
: per fc^ non i' inganna , ed ingannar non puote aitruii cdafcoltato con
attenzione è un .Freno . pol^ dènte per non far ciò ^ che la natura medefi- •ma
difapprova , dicendo anche. Seneca; (A) -abbiamo in noi h' ripugnanza a' quelle
eofey che la natura condanna . Ninno degli hqo-- mini potrà, negare di fentirc
in fe medefimo •quefto rimorlb , o voce «ueriore , che lo ri- ^chiama da tutto
ciò , che è viziofo , e fe oonià • oftante uh tale reclamo opcraiTe egli Ic- -
coiido la pefìHina inclinazione de’ fenfì tra- •direbbe fe fteflo , e
ripugnerebbe ribellati» ■dofegli al proprio naturale vche per inge- nito
impidlo abbomina ^infàmia del vizio*. ' ed- ama l’onore della virtù .
Venne .ciò ac- ccn- ym nmnfipa
[aj Lib. I . > • •' . / . . . H . . ^
cenrtaW ptif genfilincntó dal noftro valtf» ròiÒ' Compaftore Enotro Pallanzio !
(d)} Vìefti 9g>f* tAlfna qua^iìi pura , e lucentcl ■ Halle mani
fupertie , ed immortali^ ■ ♦ F. J'olo è colpa aelP umana meutcì I Se poi la
tòrce in falla vìa de' mali, '• i Scrirerido Erode a Celare
intorrfo alla coa-^ ’ ' ' dotta di Marco Antonio valorofifTimo nelle I
operazioni di Guerra attribuì l’ditiraa fua^ ' ' . I feonfitta , non a
s'^entura, ma ad un’acciden-- I te voluto dà efl'ó in grazia d’una cieca
pallio-'^ ' i rie ; égli . conchinde , fà foggiogato > perchè ' , volle
pììl,toflo effer vtnto ■co» Geopatrq,che' I vincere jenza di ejfa.\b) E k
qttaleuno Icher- I mir fivolffle èon qneft’arme fteifa,còlla_.' I quale
io l’afTalgó > c dire , che non è fchiavo' ' chi elegge
voiontarfamente una qualche.» \ I maniera di vivere a fuo talento, io
rrTponde*' ' r€ÌcòaStnccz:(e) nì0ta ferVitM efferepiU ' '' vergógnòfa di
quella , che è volontaria: pòi- ' ' / chè il voler ciò , che è male indizio
d’ani- mo fervile, e già ibggiogato ad onta della ra-' ^ gione' dal fenlb',
effctìdp pur anche ofacoloi di Dio medefirao, Che:(o^) ehìunquefa ilpec* dato è
fervo del peccato ; quantunque, iècon*^' ‘ 1 R 3 •• ... dò j ■r I—
- ■■ I. . .,1 ' * ^ ' 'J . " £a^
Can^i ,[b] Bgepp.h i ÀeExcìd.^eroJ.o.i j r * C«j 4p- 2^»* 8; . • , ■
; • ' \ «/• 4» -A.
\ f I # I
f \ Digilized by I
• 2<$9É' do tutti i Teolc^i) ei'lafàccia
oonpjienecz^dir libero arbitrio* lo conolco beniilì'mo > dirà: forfè taluno
, dove con(ì/lc il male del mio (^^vertimento , e perb uua tal cogniz^iooe-può.
fervirmi .di regok >edi ritegno : ma' io ri- fpondo > che a nùUa giciV'a
conofcere;, qpan<^ do fi òpera, cpòtra U eonofcimento » poieHjà rintclletto
chiaro , e la volontà depravata , è tutto appunto il fondamento delta
Ipirituair le rovina , e tutta la ibAan.za del reato;. Quc* Ito farebjbe tutto
il danno, che rifulterebbe.» dal mar Ufo del conyerfare , quando, fi olii-.
«nalTe l’huomo in grazia di lui a voler ciò» che conolce • per contrario al
dovere , e.per fvantaggiofo alla falute,. Alfalonne fò uxu Principe d’alto
intendimento., e d’una capa- cità affai grande, e pure s’induffe afar oiòt. che
Far non doveva. , nulla da eodefta fua co-- . gnizione cavando odi buono, o
d’onore ve- le , anzi valendofe,ne,p.er fabbricare tutta lo^ 'màcchina
lagrimevejfaf delle Tue difavventu- re . Qual gloria potria mai fondare un’
htio? ^ ino onefto nella fervile , e vergpgnofa liber-r tà di far ciò ,
che apprende per male 2 Trop* pò faria in tal cefo palefe la . vittoria.,
della.* ■ peggiore forra la miglior parte di luì , ceder . dovendo la
chiarezza dell’ intelletto ,fuo mai - grado y al deviaménto ..delle ingannate
af> fez ioni m A4 ^ i II.' Se' poi , come è chiarillìmo ,
perdefi ♦per.queAo l’onore^ iatrinfecó*ftabiÌito IbvraJ V -
u: 9 - f i r il
pofleaimentó della vera virtiì,faràhonj; meno evidente la perdita delP
eftrinfeco , il- Gualé proviene dall^eftimazione degli huo-^ mini^ E’ tanto
poflìbile , che ftimifi dagli afl'*^ innati chi opera fenaà giudizioi quanto,
che; iia creduta lenza lume dì Stelle , o di Luna*, chiara la notte . Il vizio
per quanto cerchi occultàrfi colle divife d’alcune virtudi , che. aver
poteflero dell'ambiguo ,ben cónfape- vble di fua bruttezza , pure s’appalefa da
fej*’ medefimo , come còl fetore puzzolentiflimò.. far fogliòno i Draghi : onde
egli difereditafi,’ ed acqliifta vergogna in fine , e dìfprcgio. preflb di
tutti.Salomone fù il pih faviò Prin-‘ cipe della Terra , e cercava ognuno
d’udir'^ gli Oracpli della fua bócca per farfene una^' legge » W onde la Regina
Saba venuta a pip, del fuo Trono ebbe a cpnfelTare d'averlo tròi vato anche
maggiore della fua fama : pure.» dato fi in preda alla fcóftumatezza j e
poftofi ■ fra le catene lufinghevoH delle donne ftra- niere i venne a
tale di vederli derifb , e dive*, . nuto la favola del volgo piu vile . Ed in
vero , trattandofi di quelle paffioni , che regnar pò*; trébbonocon maggipre
agevolezza in huo*. inini di bel tempo , è firàha cola , che effen*^ do pure a
tutti naturale-'cptanto la mil^ia.*' difèntirfi combattere dàllMnfolcnza del
fen4 R 4'** - ! fo,,; ia.yi.Reg. 1. 10 T
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|b , non vi fi« poi verun’ altro vizio pih di - qUello dcrilb comunemente
, e che.mctta uri huomo con piii fapore in ridicolo^ lo confer- fò d’effermi
più d’una volta ritróvato a ci- inento di non poter contenermi, dal ridere^'
Cgiàfichè > nè il configlio , nè la correzione-», aueie tutte le circofianze
erano di mia p'err tinenza y ) in fentendo certi compagni' indi- yifibili , e
tinti reciprocamente d’una, tal pe- cp, burlarli l’un l’altro dietro lefpaile ,
e rac- ' contare l’uno le debolezze dell’altro con tal piacere di critica argutezza
, come fatto ave-, nà uno Stoico de’ ptù rigidi còri un' Epicureo più
licenziofò . Grati fatto , dicea tra me-»' . fteflb , che neppaV l’amicizia ,
fe tra i viziòfi può darli abbia^fof za di fai va ré dalle filate lina
fomigliante fiacchezza,.» fogno > che^' burlata ella non venga da’fuoi
medefinif partegiàni ! Sovviemmi in propofi.to di ciò, che è pure . Verità
d’efperienza , un lepido av- venimérito .accaduto in Fiorenza ad un mio* amico,
il quale trovandoli a calo nel magni- fico Spedale di S. Maria Nuova fù
condotto a vedere l’altro. in furi Iirieà,.nòn meri granaiò- lo de’ riiiferi
Pazzerelli I S’iriibattè égli in uri ,fiuomò ajprima fronte eortefe , che
l^ccoHe» e Io condire alle fiàrize di tutti que’ fveritu- rati infof maridolò a
minuto.iritòrno alla qua- lità della pazzia , a cui era fo'ggettò' ciafeuno'
drfofo , e ne toccayà sì bene la differenza , e gli éfietti ) che fù fuppòftò'
dall’amico per cu- • * .J ÉT
« Digitized by Google / ilpde^ e
fopraftante del luògo t fennónc)ià giunti aU’ultima Aanza gli dilTe con una
À>t l.enne tifata il Condottiero : Signore t quelli è il pià pazzo di
tutti,meutre è ofiinato a fpac •' eìarfi per Maresciallo di Francia , ed.ìo ,
cb^ fono il vero i e legittimo Rè nonne sècpfa ai\ éunà . Sorprelb ri.mafc il
povero galantuoì ino > e fatti con fpeditezza i fuoi complimenti al
trattenitorc cercò di sbrigarfene alla mp4 glio , accorgendofi d’ eflfer
fervito forfè dal Capò di tutti quV ftoltj infelici . Pare a mà di icorgere qu\
una pittura naturalilì^m'a di ^eglr httornini,.clrc {chiavi della piò
difordi**. nata pafllone fi fu beffe di chiunque è tocco di quel male , come fe
ne fodero efli nettiflìmi $ come dicea Seneca , (<*) altrui vizj sàgli
occhi t ed ì proprj dié‘ - irò le fpuile . £’ forfè, cofà , che meno for-
prender deggia il fentirq uno riprender r altro di qpcha colpa mede(im'a , in
cui égli yive ingolfato» clic fentire un- mentecatta iTpacciarli per Re ? ,Sc
dunque ' una tal debo«* lezza nor») trova difefa, o per Io meno compa- timenlo,
neppure tra quegli , che infermi ne fono , come potria colui , che vi
fòggiacefre mlferamente fperar lode, ed ediniazionè dagli hupmini faggi^, che
lontana cercano di tenerfcla più» che nelle attaccaticcia ,c mor^ tale ì La
fola vìrtà » afferma Àriflotcle » Ci*} ^ ■ . * > ■ ....L.*. „r .1^1 li
w* ■ .«eiiA- ■ ta} de ira [B] i ; BMe,;. ‘ i DIgHized by
Google I 26$ merita lode : c fc quefta'
riafcf dàt cóncctto^ che formarono d’alcuno gli huomini prudèn- ti >nòn sò'
vedere quale fperanza d'onore, che da lina tale ftima' procede ,nodrir poA
fario coloro, che fiacchi fono, e fenutiper ci5 paléfeirichtc a catena dal
vizio .-Rifletta bene Ciaicuno, che certa eflcndò,‘ed- inevitabilèr ^ueRa
perdita di pubblica onoranza tuttaji Voltif , che fciolganfi a i fenfi le redini
, coni* Viéngli abborrire un'cortutriei che può por*. largii un s\ dannolb
difeapito , e regolar mè- glio-la vita in faccia degli huomini , che in^ torno
alla buona , o rea fama fono i Giudici della terra. ' ' " ‘ ■ ; Uf.-
Nè accaderebbe, quartdó il male fof- fc_mai certo, lufingàrfi col vano , e
tan'lc vol- teabbattuto pretefto di civiltàf,e d'iridilFeren- za, perchè
lafciando ancora da parte il retto, ed infallibile giudizio divino , mai'non vi
fa- ria perfona di fenrio, che vedendo un huomo perduto dietro alla fequela
continovà, o d’un reo coiTipagno , o d' un vanó oggetto parti- colare, per cui
tutto fi trafcuralfe, e fi pofpo- hefle, per innocente con tu.tto ciò, c per
fag- jio Io giudicafle . Nè io, nè forfè alcun altro. Inora ha mai veduto fuccedere
fimile ftrava^ ganza nel mondo . Creda pertanto ciafeuno^ jche la migliore', e
più ficura maniera di gua- dàgnarfi la ftimà., ed il rifpctto degli altri , è
il non perderlo mai a fc ftcflb, come infegnà- va un graQ folitico , facendo
cofa, di cui ab- - bia J L ^ •• -A ^ ,
^ bv ^oci *57 bia una volta da concepirti roflbre
. Chi non, ha ritpettqa % raedefimO t.e non vergognati di tradire la propria
faviezza , ed il naturale contegno^ che.Origene chiamò : (/z) Corre?» tare
delle cattive affezioni, e regolatore dell* quìma : neppure temerà la
difiilioia. degli. aN; tri > ed in ogni cofa.l’ appetito proprio ^con^.
dando sfrenatamente niuiia legge averà fen* za dubbio per contenerti . Ognuno è
il pri^v pio giudice delle proprie operazioni , e può, giudicarne piò
rettamente d’ ogn’ altro, per- chè egli vede in ,efle ciò, che altri feorger
nou puotCj.ed è r intenzione, che le qualinca , e_«. le determina, oal bene, o
al male. Scegli per tanto giugne a non temere 1* interna fau. lentenza, che è
la piò vera, ed inappellabile V e di giudicc..di viene, avvocato , c
difenditoreì della. fua colpa :, mai pel giudizio altrui noa^. . làprà
..metterfi ,iu pena , o. paventarne, , per, ravvederti, le accufei vinte, che
abbia quelle, del filo rimorfov làfelice,t dilTe già Seneca , ■ C^; e fi ripète
- in quello, luogo per maggior forza: h/fglice è colui, che dìfpregia un si do-
tfjejìicoyed intimo accufqtore,.ed un ù veridì- } co tejìmonio ! E’ necclTaVio
tanto" al bene-» 'operare quello. rifpecto di ciafeheduno. a fe-i .
ptedefimo, che fenza 4* J.?' ^ vano il timore^, degli.aìtri, quand' anche
potetìe averti , poi- ' • 'chè -V .-V c.%
> (a] 4^ * «J ^ • V *4 ^ 4 ‘di. *
♦ * f V / t 'f
DIgilized by Google ^ i6B . Che il non péGcare
iiieraWCrite per fbggjezlò- fie, o per tema d’ altrui , c lina fpezie di Con-
tirtenza, che non ha merito, c chi difpregian- àò il proprio giudizio faria
pronto a peccare* fé altri noi riprendeffe, ha già peccato , meH-' tre ttel
numero^ foggitigne lò fìeflb Morale»»*- (a) di chi pècca nò» indthitamente
fipon^' chi preferì la continenza al timore altrui , c nbn afe Jleffo . E'
quello un temere , non d* effer cattivo, ma di parerloipoichè'tolta, che ne
folTeì’ efteriore comparai difpofto faréb-*; be 1* huomò a folTerirne fenza
rolTorc f ignb« minia della ibilanza* onde buòno elfendo egli folamente, perchè
non è lecito d’efler pcr- ..verfo * noli merita alcuna lode paventando »■ .con
chiude Seneca , ih') la fama , non la cofei^ énza . Codi delP arsione - Un
tempo Creduta», eroica dell' infelice.Lucrczia Romana decife il noUro valòrofo
Compallore Tirlì Leuca- 'fio : (c^ .V I * - # • ^
Rendérfi al fdltà\ c poi morir\ non Bajìa i ' ; Pria morir-, che peccare.
Incauta , e folta ! - Èhhe in pregio il parer , non l* effer eafia ,
/ -Nè tampoco quella RelTa apparenta , a etìi s* *PPo8giaire ehi é reo ,
potrià mai fef virgU ,, ' • ■■■ - ■ • pef ■ Ca" hih. de
Benef. e. 14. 1^1 i e^9 per acquifto di gloria,
fcopcrta., che ella fofr fc , come purè avvenir puote. sì di leggieri , dagli
tnioiirini piìi deflri, ed accorti . <ìiuda> tradito>che ebbe illìio
Divio Maeftro,nepop-. cepì, o penti niento, p rpATgre ; rpa ripprtan^ do a i
Farifei F iofairie prezzo viliflìmo della fpa fceleraggin'ejpreflb di loro
neppure coru» * un tale atto, che parea di conpunzione , potè guadagnarli
veruna gloria , e l’ clTere (iato una voi|a capace d’ offendere -il
fuo^dovere-j gfffc perder. per feippre ogni fti|tia , ed ono- re . Qijèfla c
dùnque la regola che téner deobe-l’ hupm favio , cioè di non braipar Ib-
lameaìte ,-iua di guadagnarli l' eliirnazione^ji eon mer|to, e rifpettando
prima di tutti fe_* ffelTo c<4 non trafporrcr mai in c^,che egli approvar
non poffa, e non deggfa , rifeuoter pofeia non come un dpno, ina come un tribù»
to di mera giullizia F encomio, c l' onoranza degli altri , Difpollillimo per
la mi a parte_* mi Tento di tener Tempre nella debita ffimaj chiunque ancora fi
trova imoierlb nel coftu- me apparentemente più libero del gran Mcn<« do, ,c
credo, che tutti meco lo fieno , laTcian- do a Dio il dirittodi vedere be'
cuori altrui : ma ficcorue nè io , nè ohi che fiali potrà mai Tchiettamente
riTpettaré una debolezza che fia palcTe,.così ognuno proccuri di tcnerTénc più
lungi, che far fi polTa , e fiando Tempre m ' ogni, e pubblico, c privato
divcrtimcnto,col freno delle jMlfioni aUa upino,. cerchi di com» ' '
pcrar- / V data Ibvra il merito della virtù più
cofpicua ; tolga gli ajtri dalla necellìtà d’ adularlo, c.lui « dal ri morlò di
pretendere ciò, che punto non poteffe competergli . ' «71
% « — • Del Danno del Corpo in chi malamente converfa , CAPO
XVIIL . f t < :1.T) Er queftb danno del
corpo jntendò an J_ pregiudizio notabile, deile compleflìo- ’ni originatofi dal
coftume della gran Moda , cbe porta l'eco un difagio non ordinario , ed un
incomtnodo) che lèbbcn dolce , e gradito ; non Inlcia però d’ efler affai grave
lo ho fentito moltiffimi intrigati nelle pratiche deir ]<t galanteria lamentarfi
talora di non aver più un momento di quiete, e di vederfi ridot- ti a fegno di
non>poter più godere d’ alcuna:, di quelle commodità , che cialcunb trovanel
'ritiro della fua cafa'. Ed in vero quale ften- to maggiore può mai penfarfi di
quello, a cui' volontariamente lòggettafi un hùom di fineiii* za ? U ufò delle ycglic,
de’ teatri 'i de*> fedinl» de^ giuochi è d’ occupare tutta la fcra óltrei^
alia mezza notte, e parlandofi de* banchetti , 'di cominciare col lume delle
candele, c finire- con quel dèli* alba '. ‘'Gli occhi fanno per lo ■più la
penitenza del ventre vedendoli conte- *fo il rieceffafio ripcfb , che alla
ripienezza di ‘lui converrebbefi per non mancare -alle at- ’tenzloni della
mattina per tempo , e riattac- *^candofi le merifc I che toccan poi della fcra
fi ' forma una catena d' bccupaziohi,che fembra- • .. K -iv>-
\ ’ /• I % • •* * /
é po paiT^tempi, ma (bnò un .maceramento in^ Sfenlìbilè delle
nature ancora più forti . La_, yillegiatura, che fu dagli antichi trovata, co-
me cantava il Lirico per fcioglicr 1* animo ^aJle brighe della Città , è
divenuta forfè la_. Irriga maggiore , mentre facendofi una Città /della villf,
ad altro non ferve , che ad accre- feere iItU|nulto, e togliere coll’ aggravio
• /della (bggezipne il piacere d’ una libertà, .clje , divertirebbe . Picca a
ciò riflettendo un,j .pmore fatirico, ma penetrante , che: non bei'- Ratt<ip
al "Vizio le Ottadi a"veà "voluto occapqm fé. ancora iq
campagna, e portare la colpa do- tqe a\tri^.fecerp penitenza • Io però liippo-
nendo fempre , che tutto iegua fenza reato. : pon poiTo ciò non pllante , non
condannare . la crpdclt^ ,.che veggio praticarfi contri (del .porpp.,
ijegap4pgli quella par^e ancor diri- .ftorojCbc ycrrebbcgli dal tranquillo , e
fpli- ,tarip. godimento delle villp . Parrebbe qué* ,fta jlfayagàza più fa
vola, che verità, fé la Ipé- - f .I30u pi facefle tutto giorno vedere , che
pppoflofi iq illrana guila il divertimetoàl di- , yertimeto medefimo^han cuore
non pochi di- . coiàgrare,pltre a quella dèll’animà > la falute ’.^cora del
corpo alla compiacenza 4’un'.infazm . bil capriccio ► (predo per tanjtò , che
non ér- ' rafle qqel Medico, il quale iti lina Città d’ìtq- •lia,dovc la
finezza gode forfè un luogo d|/Ìin- , ito, m’i di(Te, che: la
Ccn"verfaztpne è il capita- le pili do"vizhfo della Ji^cdiclnà;
raéntrc gua- ’ • ' ' . (lari- fiandod^a bella porta i
temperamenti, e le na- ture,.cercano di Ibftenerfi coli' arte, e forfe_» la
rovina della Morale è la fortuna , . e 1' ap- poggio più ftabile della Fifica .
Nè dee cre- derli. quefto un fentimento da Critico per battere lòtto pretefto
di compaflìon fimulata il moderno cortame , poiché io non veggio » che
ordinariamente alcuno viva meglio , e_# con ianità più felice., di quelle
perfone , le_j quali dateli al ritiro .ortervano una regola^ efatta 'nel
governarli, aflegnando 1' ora , e la mifura.fua alle cofe tutte • Così vediamo
fuc- / cedere ne’ Chiortri religiofi, ed anche più ri- gidi, ne’ quali fembra,
che non fappia metter piede la morte , contàndovifi molti vecchi decrepiti,
e.fanifìimi; onde può conchiuderli con verità, che è più difereta col corpo la
pe- nitenza, che non è la galanteria Non credo già, che dicelTc vero una certa
donna di brio, e di parta tempo, allorché s’ efprcfle con un_. Religiolb
vecchio , ma vegeto.:: io cambierei .volontieri la mia colla' vofira menfa't.
quando fotejjì. cambiare' ancor complejjione . Ma '.Hi- mo bene , che
invidiandofi comunemcnte.dal fecolo un tal vantaggio ne’ Regolari , e'nelle
perfone più, temperate , unirebhono: di buon .genio taluni,, potendo, col
vivere in libertà la Ibrte ancora d’ una perfetta falutc , che è una
conleguenza quali infallibile del vivere con_. temperanza, e
cqn_riguai;do.._I-a.funcfta fpc- rienzà pofeia, è cotidiaaa, fa , che negar
non *74 a polla accadere tutto il contrario nel mon- do) mentre
oltre a tanti, e tante ,che rimal'c- ro , anche a dì nollri uccifc dalla
Itanchezza^ sii i balli, dall’ ccccITivo calor nc’ teatri, dalla pertinace , c
digiuna vigilia sii i tavolieri del giuoco, vediamo guadi, decaduti , e
feontra- fatti di tal maniera non pochi fcguaci dcl'non mai interrotto
divertimento , c\\c a molti dì effi, come rifletteva un Satirico , è tolta la
pe- na di comperarfi a‘V've»e»za collo sborfo del fangue, e di cercar
pallidezze daW artifizio» Ciò fupporto, fé non comune per tutto, alme- no in alcuni
luoghi ufuale , quando io in’ im- battelli a vederlo non arriverei a capire ,
co- me giunta fbirc la palhone tant’ oltre , che_» fupcrando l’ interefic più
prcmurolbd’ ogn’ uno toccante la confervazione del corpo,vin- Jta aveflc l’
ingenita gelofia di viver faho per confagrarla al piacere di viver libero , e
l're- golato . Quello a me parrebbe un cofpirar l’huomo' contra di l'c
inedefimo , ed ammet- tendo cìh'i che al parere’ di Seneca Cu) , ab- braccia
per firangoiare, tradire la brama co- mune di tener lungi più , che li pólTa la
mor- te, eleggendo anzi di morir tòrto perviver male, che di vivcr bene per
morir tàrdi. Non -c egli vcro,che, fc a tanto obbligafle la Divi- na Legge i
viventi pieno farebbe di querele-» • • '• il Mon* Ca)
Fp.sz. f il Mondò ) tacciandofì forfè d* indifcrctezza
il- ftjpremo Legislatore per vplere ,.che daglL huomini s’acquiftafle con
dilcapito della^- temporale, e tranfìtoria, J’ eterna Vita ? Se^ ciò fofTe, per
vero dire io fceglierei ogn’ al- tro miniftero , che quello dell* Evangelica^
Predicazione , parlando Tempre umanamen- te, poiché non mi fiderei d* aver un
efficacia, uguale al cimento.di perfuadere a i mortali il- fare in prò dell’
anima quelIo,che han corag- gio d’ intraprendere contra del corpo nel di- vertirlo
. Altro dunque non puòdirfi ,.fe non- fé , che pafTando la cecità dello fpirito
a tra- Icurare le premure ancora dell’ Individuo , non fi yeggia da effi ciò,
che più importa, on- de, unicamente , come fcrifle Lattanzio , (a) penfando al
vìvere corrano $ mifer abili fenza avvederfene precìpìtofamente alla morte .
■ ^ II. -Mà l’incom modo, che rifentono i cor* pi dalla confuetudine di
converfòr con ifmo- deratezza ■ non è poid’ un tale affaticamento^ chepofTa per
altra parte portargli vantag- gio. Eflendo Tempre infieme huomini. :Coh donne è
convenuto al fcflb mafchile. più fer* vido, e pi ù attivo,- 1’ accommòdarfi al
femmi- nile più lento di fua natura , e più quietò . Quindi avviene ,'chc;fi
fprivino gli huomini bensì d’oghi commodo-^ nìà.flieno poi Tempre Sa
in [ja] Lìb, de var.cult» * ^ ih una certa
àgitàzióné , cKe rìduccndòfì all* ozioimpedilcc loro l’efercizio d’ un movi-
mento migliore , che affai conferirebbe alla buona fàlute del corpo, i/ quale,
fecondo Pla- tone , [n] coll’ agitamento cotifervaji . E’ coik in vero degna di
pianto icorgere in alcune-» Sarti a d) noflri tutta quafi la Gioventù
per- erlì ih un impiego sV pigro , ed abbandonate affatto colle belle Arti le
occupazioni ancora, che diconH cavalereiche , -nella glóriofa fatica de|llè
quali tanto in- fanità >profìttano i corpi, imprendere una vita piena d’ozio
sì difaffroib per altro , e sì grave , che ne illanguidifca in. bre^^e tempo il
bel fiore, efenza frutto fcn ca- éa ,togliendofipure , come l'ente Galeno, [^j
per la pigrizia la robuflezza . Si vede tutto giorno pur . troppo , che le
premure d’ogni educazione- anche -più attènta fbgliono per gafligo delle
famìglie finire in nulla , come-* del ragno vile fuccede^ chcfvifcera fe mede-
limo per fabbricar reti alle mofche, e d’^ ordi- nario le più fortunate fqn
quelie, che in vece d’ un-huom cattivo giungono a formare uru» Ganimede , che
fuol chiamarfi un Giovine , di proprictà,'edi fpirito . L’ iraprefa più nobile^
che idear fi poffa uno di codeffi Giovani fpi'- ritofi ò il fard olmo di
iqualche bella vite , ed impiegando il miglior .tempo nella. vana oc-
.< ó cu- Ca^ ht Phes.Qo'j Lib. Stde loe.af\ i
cnpàziònedf perderlo affatto , tutta' fondar la fua gloria nel far l’
huomo di cafa altrui per- duto Tempre inquclPozio, che fii detto be- nilTimoda
S. Agoftino (,a')la fepoltara de» «//V^.Nqn è poi meraviglia , fe in un fecole
si sfaccendato contifi di rado un huom di valore in cafe, che tanti ne ebbero
per raddietro,e-i. cui dia l’animo di cercare trà i pericoli d’una morte oneda
il luftro d’ un vita gloriofa lan- guendo nella morbidezza il coraggio>
come-j Je femenze nel terren troppo grado, giacché al dire del Trimegido ; [b~]
tutto ciò, cheè^ czhfoyì altresì imperfetto . Per quel poco di pratica in
fatti, che io ho delle Città d’ Italia» parmi , C e Tempre mi rimetto all’
altrui più purgatogiudizio,3che la gloria di ciafeheduna confida nel recitare a
i foredieri le antiche^ fue dorie , lodandoli piè pel paffato , che pei
prefente,e proccurando,che altri non le am- aniri per do, che fono,ma]rifletta
a quel, che furono , han Tempre in bocca per materia di qualche giudo vanto ,
come i Rodiani : Igran frammenti del Colojfo antico, t
% Quedo è bene un contrafegno evidente » che variata quali del tutto la
condizione del Mon* do convien vivere all’ ombra dell’ altrui glo- S 5 ■
ria (^a) Ad Fratr, in Herem. (b) In Firn. . fìa ,
e riducendo tutto II pregio de*noftt'I all* invidia de’ fecoli già paflati ,
confeflar forfè.* con qualche roflTqre , che fnervate dall' ozio le compleflìoni
più non fanno appigliarfi ad ttn imprefa, che vaglia . Per quefto ebbe a di?-
te un huom prudente in propofito d’ un ag- gravio foffer ito contatta flemma da
un Gio- vine creduto di fpirito : quefto è il Secolo del^ I4 pace , perchè
nixno.sà pìh tenere la fpadet^ injnano'. ina duoltnt, che il perdonare non ab^
kia merito , ejfendofi ridotto a necejfttà . E va- glia il vero quale è quella
Città delle noftre , che in tutta la fila Gioventù contar pofla uno di que’
Campioni, che fiorirono un tempo in fi gran numero in una (bla famiglia? Trài
Giovani, che ora vivono,il più gloriofo è for- fè quegli , che fornito d’una
più felice memo, ria incanta gli huomini deboli colla recita., delle grandi , e
magnanime prove , che fece- ro, gli Avi faci; ed io fempre fovvengomi con
piacere di ciò , che mi fìi detto anni fono da un'Amico d’acutezza parlandofi
d’un cer- to Giovine feioperato , ed ignorante ; c/ac- thè nulla egli fà
tfludìajfe per lo meno quel- lo ^ che ban fatto ijuoi Antenati per faperlo
raccontare altrui opportunamente ! Ad una taJc.miferia conduconfi i corpi di
colóro, che dati al trattenimento continovo più non cor nolcon fatica , onde
vantaggio , o di (àlute, o di gloria venir.. gli ppfiTa , e mirandogli tutto
giorno impiegati in uno (comraodo, madi- ■ ' ' ‘ s • futile
Digitized by .279 futile cfercizio di rpiritofà finezza
potremo dire con Seneca : (<*} non menar ejfì una vita cz'tofa , ma perderfi
in una flentata infiemCt e vanìjftma occupazione^ III. Per tutto quello
però io non farei mai dell’opinione d’alcuni,chc difendono! moderni huomini
condannando l’ infingar- daggine de’ nollri tempi , quafi,, che i tempi
facelfero gli huomini , e non piò tofto per lo contrario foffero dagli huomini
fatti i tempi. Nafeono anche adeflb perfone d’ottimo na- turale > e capaci
quanto le altre tutte , che_» innanzi vilTero , d’ogni imprefa piò nobile» e
piò cofpicua . Ho conofeiuto io fteflb in_. occafione d’efercitarmi , benché
debilmente, per obbligo del mio lllituto nell’iftruir la— • Gioventù > certi
rari , e fublimi talenti -, che nati fembravano appunto per emulare i fatti più
celebri, c più gloriolì degli antichi Eroi» fe la morbidezza non gli aveffe
prevertiti. limale fi è» che feguitando i Giovani il reo cofiume de’ più
d’abbandonarfi ad un viver pigro , e molle , tradifeono fe medefimi , perdono a
bella polla le congiunture più proprie di fegnalarfi , che sì avidamente..»
cercate furono dagli Antenati . Ammorza- tali pofeia per queftà via la bella
fiamma., dell’ internò valore, o molto perdo meno icematofi della fua luce ,
trafpirar non puotc S 4 in fa} De brev, vit. aSo
in corpi sì lenti , ed infingardi , come iina_^ fiaccola) che racchiuia dentro
ad un vaio diafano» e trafparcnte,' s’ ei s’appanna più non rifplende,po/c;l'^
jullo icrivcre di Plu- tarco » [a] tutto ciò , che fi ha di pih bello , e dipìk
iufigue dalla natura , trafandato , che fia per trafeuratezza » e per ozio. ,
tanto più agevolmente fi perde . £’ quello addunque_» anzi un recare, che
ricevere dilonore dal Secolo,. in cui fi vive, e fc tale fiata fofle ' la vita
degli huomini in ogni tempo ,da noi neppure il nome di gloria faprebbefi , nè
di azioni chiare , e generofe , nè de’.tanti.Eroi, che tuttora inceflantemeate
commenda la_. fama, giacché tutto è venuto dal magnani- ■ mo , e collante
alFaticamento de’ corpi , effendo ,pcr quello, che fente Seneca, [aj forte
,evalorofo quegli y da cui la fatica fi fugge . Dovrà per tanto cial'cuno
tenerfi ben lungi da ima sì danaevolc cofiumanza , che_» tanto di pregiudizio
recando alla fallite, del corpo lo condanna fenza ,.che .ci fe ne av- veggia ,
a quella morte , che sì fortementcLj egli abborrilce , o forza almen l’huomo
a_» condurre una vita ;di cui , quando per altro non (òfie , egli deggia . per
quello fo lo una_» volta pentirli , per avere , feguendo l’ ozio, contribuito
non poco .dal canto fuo alla difi^ ilima. del Secolo , in cui ville •. Chiuda
chi ha [a] tie ìib. 'éduc,\Jo), 'Ep. 22. , Oy
God^ 28i fenno l’orecchio alle perfiiafive de’falfi
ami- ci , e fi diverta fenza difcapito , che troppo è folle chi rovina fe
fteflb per fecondare il ge- nio altrui : e fe chi urta ne’ fcogli , fenza re-,
gola navigando a difc'rezione de’ venti , (1 rende ridicolo , non farà certo
lodevole chi per non' cbntravvenire' all’altrui fcofretto cofturae perderà
colla falute la gloria . Con- viene , che l’huom Savio converfi anche pel folo
intereffe del corpo con dilcrcta mode- ratezza , non per rilaflainento, ma per
follie- vo prefigendòfi in quello l’ottima norma del precitato Plutarco ; [a] P
ozio , egli dice, ì . condimento della fatica, e ciò non folo negli animali ,
ma eziandio nelPinanimate cofe^ veggiam praticar fi ; imperciocché , e gli Ar-
chi , e le Cétere , noi ■ allentiamo talora , per poterle poi ritirar e\ed il
corpo in fomma colP inedia , e col pafcolo , c P anhno colla fatica » e col
debito follev amento , confervanfi . Del 'J '
Ca].W Digitized by Google 2S2 ‘ I ^ *
' Dp/ Danno tT Anima ih chi malamente cqnverfa “ C A P 0 XIX.
t • I ^ • * * I.X L punto pili forte della Morale per ordi- I
nar.bene lavila dell’ huora prudente-» confifte nel mirar diritto al termine
delle co- fe, come fovente era folito dire il gran Solo- ne con quella fua
grave , ed importante fen- tenza ; ìa ogni operazione riguarda il fine^ . Ciò
conviene col fentimento di quel celebre Direttore de’ fpiriti S. Filippo Neri ,
che pie- no Tempre d’ amabile dqlcczza foaviflìmi^, fenza molto opporli
palcfamete alle foddisfa- zioni men favie de’ Tuoi Dilcepoli, anda vagli con
efficacia difingannando , fenza moftrare di contraddirgli col ripeter fovente:
e poi ? e tot ? Appagherete, volea dire, le inc!inazio*> ni del genio, ma
poi , che ne feguirà ? Colk_. ne ricaverete di buono, d’ onefto , e d’ utile ?
Debbe l’ huom favio dire altrettanto a fe me- defìmo per convincere lenza
contrafto , e ri- durre placidamente in ubbidienza le perti- naci paffioni
dell’ huomo inferiore . Ci di- vertiremo in luoghi pericolofi ad onta della
faviezza , c della fìnta Legge divina : confu- jneremo in paflatempi la
vita:faremo huomi- hi dcrghih Móndo, giulivi, cercati , graditi ; e poi i llTer
puote quella fola interrogazione un y I
- *8j un gran freno , ed un poflentiflimo infegna- mento
domedìco per tenere in difcliplina gli appetiti piJi frcgolati, pofciachè
mirando nel filo termine il divertimento , o ibfpetto , o peccaminolb
alTolutameate > altro non vi fi troverà che un immenfo danno , e forfè irre-
parabile dello fpirito» locchè grandemente:^ debbe temerli da un huomodi
riflelHone, che fia cattolico . Egli è principio incontrallabU- le> che
tutti s’ inbevono di quelle maifime^ » che profelTano i compagni più cari, c
più in- di vilibili, e quando ancora detto non avelTe 11 . Morale , C^) che
pìglianji ì eojìumì di toloro , eo* quali fi coaverfa , baUeria i' oracolo dell*
Altiilimo! col buouo farai buono, e colperver- fati p,revertirai.\Jf^ Sicché
troppo è mani- fedo il danno di cangiar indolei codumi , e_» ientimcnti per la
pratica de’ cattivi , difgra- zia, di cui non edendovi la: più pcrniaioia,non
v’ò nemmeno la più degna d’ elTere.ad ogni cqdo evitata da chi ha prefentc il
lùo fine.» - Siccome il vizio alla lédotta natura più è Tempre omogeneo, cosi
ancora s’indnua nel- l’ anima con più forza, e vi fi radica di manie- ra , che
nulla v’. ha di più malagevole quanto lo fvellerlo; e fe mille atti virtuofi
tal volta^ non badano per la ripugnanza del naturale a formare un abito di
virtù, bene fpeflb per in» clinazio (a) Lib. 2. de ir. c. 7.
(b) P/al. 17, DIgilized by Google I
cUhazione del genio corrotto è fufiiciente un folo efempio a far cadere ,
e un folo atto a_» ftabilire !• abito di qualunque vizio più fcon- cio .
Leggiamo di Timoteo (u) inventor del- la Cétera, che a doppio pagarli facefle
da co- loro, che imparate avendo a fonarla da qual- che peflìmo Citarifta
capitavano alla fua_. (cuoia per averne una giuda regbla di toc- carla a
dovere, e con armonia; più difficile.» elTendo Tempre a tutti il difimparare il
male, che d apprendere lo Aedo bene . Così nelle materie morali è imprefa per
tutti più mala- gevole il ritirarAdal fentiero de’vizj già bat- tuto una volta,
che P incamminarfi per quel- lo della virtù , che erto è pure , e difaArolb .
Chi dunque non vede il deplorabile pregiu- dizio , che viene alP anima
ponendola come per giuoco , e per bizzarria, in una Arada ,il ritirarla da cui
è arduo cotanto , che quaA tocca dell’ imponibile ? lo per me confelTo , che
per debole, che io mi fia , averèi fempre coraggio colla divina affiAenzà di
perfuade- re , ed inclinar chi che Aafì all’ amore della^ virtù ; ma caderei d'
animo pofeia dovendo; ritirare un Iblo dalla fequela di qualche vi- zio'geniale
; non già diffidando mai del con- corlo della Grazia , che tutto puote volendo
ma per la gran forza d’ un abito reo j per at- ' ^ terrar ^ •
(a) rel.m. ferrar cui v* abbiiogna poco meh, che un mi-
,racolo. Parrà qucita forfè un. efagerazione di rigidezza peropporfi
indilcretamente alle altrui più delicate foddisfazioni; ma è fenza_* dubbio una
verità , che ammette pochilhmo di contrailo . falcio da parte per metterla_. in
chiaro, poichò ne ho già altra volta parla- to, che la divina Mifericordia non
è tenuta_. a far prodigj per migliorare chiunque divien peflìmo di buona
voglia, e che perciò lo fpc- rargli in tal cafò è vicino alla prefunzione, la
quale può fargli demeritare del tutto . Dico iblo , che aggiungendofi alla
fralezza della^ ' natura il fomento della malizia viene ad in- fermarti
lo fpirito in guila , che tutta perde la forza per reggerti, eflendo
fpezialmente H piacerei per detto graviflìmo di Pittagora, ì» majfma dì tutte
le ìufermità, da cui come da .forte chiodo. /’ anima vìen fermata nel male ,
Ella da quello morbo è lutingata miferamen- ,te, e pel filo p^gio non ne fente
P. aggravio, .mentre allutillima etiendo la voluttà ,. come accennai S. Agoftino.;
yf] perca fempre ciò, .che a i fenfi ì giocondo', e, quindi è , che delufb ,Io
fpirito dalla contentezza 'di lei non può guardarti da un male,, che nel fuo
danno di- . letta . Vi ò eglfpoi'chi non.conolca r,ido^a_. , per quello /
anima allo fiato peggiore , :che polfa Ca] n . de Civ. Dei
, • N 286 pofla penfàrfì) ed cppreiTa da nn
doppio pcfò^ di fiacchezza naturale, e d’una pertinace ma- lizia ? ^uejìo, dice
Seneca, [a] è un fer^ircr non godere nel divertimento, ed amare il fuo male ,
che è /’ ultimo di tutti i mali . Allora addunque s* arriva ad una fomma
infelicità, quando non dilettano folamente,ma piaccio- no ancora le corruttele
, Efamini bene per tanto cialcheduno la fua condotta , e veda fe mai fi
trovafle per ifventura foggetto ad una malattia sì lagrimevole ^ Reggia , fe al
fon- damento delle tante ragioni addotte finora , per lei!)uaii rea effer
potrebbe , quantunque jiolfia, lacollumanza del converfàre con_. troppo di
libertà , egli poffa opporre un ca- pitale in fe medefimo di fayiezza sì
contenu- ta , onde Iperi d' elTere in quella parte netto da ogni colpa , che
far gli pofla un giuflo ri- i»jnòrlo - Quando ei non trovi-afre difefà del fuo
reato con&deri qual cofa abbiano finquì da^ lui ottenuto * c le interne
ifpirazioni divine , che mai non mancano , eie ellerioriperfua- Hvcdei
piùZelantì^«ed'ilcontinqvo rimpro- vero infuperabile della finderefì p.er
allonta- narlo da un sì manifeflo pericolo di rovina , e di fpirituale
efterminio* Se tutto quello non avefle giovato per fare, che ei retroce- delfe
neppure un punto dal Aiodannofb cam- mino £0 Digitized
by Googl mino potrtlibe egli contendere, che attacca- to non li
t^rovafle colle pih tenere affezioni • del chore ad un sì nocevole
l'rcgolamento , e non amaffe colia piii viva paflione quell’ in- fermità, che
l’ aggrava ? Con tutta la cogni- zione del fuò pericolo non faperfi rifolvere
a- fuggirlo è una flupidezza, che fa fpavento,cd un ' indizio’ chiarifllmo d’
efler pur troppo giunto' alia miferia , di cui parlava di (opra il Morale ,
cioè di prenderfene piacere non fo-> lamentc, ma d’amare per fbmma
fventura.. il fuo danno' più rilevante . Gli infermi, che' non fentono il male,
benché graviflìmo, fona, poco men, che fpediti e tutte perdendovi IC' fue
fperanze la Medicina' gli rimette al mira- colo Così- un Anima, che ben
capendola, o non fentaj o non curi la fua péfnmà indifpo- (Izione interna , è
vicina con troppo' di fteu-i rezza al precipizio', e può conchiudeffi , che
appunto v’.abbiibgna per rifanarla' quello Arano miracolo, a cui con pòchilfimo
fondai mento s’> affidano tanti . ' II. ' Se v’ e qualcuno > ohe
foggiaccia per elezione a quefils malattia di’ Toave i ma dan- «oGffima
-libértà , voglio- credere, che egli non diveggia bene in fondò, ne-la
riconofea, quale ella è realmente mortifera . Ora io 1’ invito a darle meco
un-occhiata piò pene- trante per ravvifarla ne i fuoi effetti, c da ciò
rilevarne tutta la piiiintcrna foftanza ..Kc* malori del corpo fogliono da i
Medici pi- ■ 'girar-'' gliarfene. le indicazioni
dall’.ialtpramentói non , fole degii umori interni ,;ma dall’.efter- na
languidezza ancor delle membra , edalla , faccia/pezialmente fcolorita ,
e.fvenuta; e_»- ne! mali deir. anima 1', indizio più^eerto è la> variazione
dell’ indole , che originata.'inter- namente dal vizio, trafpira benanchè . al
di fuori nelle opere . Quello però, come di lo- pra fi dilfe., e ben
faciiilfimo .a fuccedere., ed a vederfi.dagli altri, ma non fi riconpice col-
la roedefìma agevolezza , nc.fi vede fempr.e_*. da. coloro , ne’ quali
avviene;. Se, pur.e.vor- ranno ufan bene della ragione, ed aprir l’ oc- chio
interno per un.lblo momento „ potran- no cflì dò nod ollante mirar, chiaro un
cam- biamento S.Ì perniziolo i Una.- delle prdve_y , più fehfibili, ed evidenti
, che non fi.mdovai* ' la {Terra , è fecondo Oronzio .Tineo:, £«,{) che
gettatafi !dirittaiijente in alto una freccia ri- cade.nel, punto: medofimo ,
cofa., che fenzju dubbio non, .accader ebbe , fe il .Globo: delia.. Terra
avefle moto . . Gonvien ’.qni fiflettcre di propofito lovra di. ciò ,:.cHe'.
accennoflì di pairaggio nel Capo, Nonors e percotnofcére , le un anima è
diverfii da'fe.medefima.-, bffer+ .vare.comeiinfludca.lbvrà di. le? la divina.
Gra- zia^ e quale, imprefiìone le facciano' leipiri- tuali cole, c Ibvra tutto
le. premure dell’eter- na-,. ^ Digilized by Gc
*89 , na falvezza . Se prima rivolgendo al Ciclo uno fgiiardo,e
ritirandofi in fe ftcfla col pen^ fiero> ed afcoltando la divina parola,
infiam- mavafi d’ amor fante, ed accendévafi nel de- fiderio della celelle
Patria , légno era , che^ fìlfa ella llavafì nel punto della virtù , onde.»
poteva la Grazia fecondarla co’ fuoi infiuflì v che tendono a quella Tempre
dirittamenteJl Confideri ella pertanto qual cafo faccia adef* fo di fua falute
, qual’ ufo de’ liioi defìderj > qual conto delle altrui fante ammonizioni f
fe volgendo l’ occhio al Cielo s’ accenda ihji brame di confcguirlo ; fe
penfando a Dio s’ infiammi come prima d’ amore, e tenendolo in conto di fommo
bene tutto a paragone di • lui abbia a vile , ed in un giufto , c generofo
difpregio. Se alcuna di quelle cole più , co- me per l’ addietro , non le
fuccede , èfegno ben manifeflo , ed affatto incontraftabilcLj, che ella lì è
mofla dal punto della primici*a_. virtù,' più in lei non operando le inondazioni
benigniflìme della Grazia , che dal canto fuo variar non fi puotc, fe non varia
il foggetto, in cui opera . Iddìo , dilTe Platone da gran_. Teologo, è
immobile, onde fe qualcuno fi trova da lui lontano non può negarli ,che_» egli
non fiali molTo , non potondofi muovere. Iddio, come nella Nave fuccede, che
dal lido T feio- (a> lude Rep. r
j»99 (cioglieaido lafcta la fponda> ngn è da eHa la» fciata ; e
perciò dicefi ancora nel Sagrofanco Concilio di Trento, che : Iddìo non
abbaudo- xa *i'eruf!0 i jo prima non è abbandonato. Quello gran danno pofeia
dell’ anima potria certamente venire dallo fconfigliatodivaga- mcnto di
conyerfar.e lenza veruna cautela_< , b riferva colle .Creature, nel
commerzio con-- iinoyo delle quali ella vada Icemando infen- fibilmente
l’alfctto al Creatore, che faria ap- punto uno slontanarfi a poco a poco da lui
, e deraeritarne per confeguenza le grazie . Io conofeo purtroppo non pochi
Giovani,! quali prima d’ entrar nel gran Mondo era- no d’ un indole angelica , e
di fentimenti si eroici da fare una fanta invidia alle perlbne ancora piò unite
a Dio : e che dopo appena., un piccini làggio di libertà hanno cambiato
interamente il primiero collume a fegno di non |30terfi piò in verun conto
riconofcerc-rf er quei , che furono . Quello però , che m* a fatto piò di
terrore, è llato non il cangia-^ mento, che troppo^ facile, ma il ritrovargli
sì filli, e sì collanti nel nuovo propofito, che da loro deridafi ogni
ammonimento , ogni configlio, ed ogni piò forte ragione , onde_» altri proccuri
d’illuminargli . Sono i miferì in quello fomiglianti a chi foffre un grave_#
mal d’ occhi , che fopportar non potendo al- cun lume, ne acuto, nè temperato,
altro me- glio non ama, che di flarfenc allo feuro: così E
99* eglino perduto il raggio regolatoré ddla^ divina Grazia
volentieri per gafUgo.più gra- ve fe ne vivono al bujp>^/« amando, come-»
attefta 1’ Evangelifta, [a] le tenebre, che luce . Nè io faprei capire come
huomini, an- cora , che in altre operazioni fembrano, e Iq faran forfè,
alTenaati , poteflcro mirar fenza orrore la rovina d’ un tale acciecamento ; é
lontani da Dio paflarfela con tanta difinvol- tura , fe purtroppo non s’
av.verafle il. detto di Ariftotele confermato da pih gravi Dotto- ri di S.
Chidà Ib'] : /’ huomo abbandonato in preda al piacere perdei ufo della ragione^
.Cofa, che ben conviene colla dolprofa efeìa- mazione del Reale Profeta:[c] /’
huomo effon- do in pojìo di grande onoranza .non ebbe in-, tendimento:
paragonofft alle Beflip infenfate, e divenne fimile ad effe . . III. Io
per tanto bramerei vivamente , che riflettendo ciafeuno colla fcrietà più ma-
tura fovra d’un danno sì grande, c sì eviden- te ne rileyafle quel concetto ,
che egli meri- ta, per ripararvi colla dovuta prontezza, e-» riurarfì una volta
dal pericolo, che egli pol- la veder n^anifeflp di perder l’anima a ca- priccio
• Lo fpecchiarlì in ciò , che ad altri io vento accade , può eflere una fcuola
utilif- fima per apprendere uno fcapitp.che non s’ apprezza, poiché l’ efempio
nelle materie-» T 2 mo- *9* W Ethic. [c] Pfal. 48.
*9* morali àrgometó fortinìmo pèr chicche fiafi, e potendo avvenire
a tutti ciò , che av- venne ad un folo,- può da un calò particolare cavarfi un
ottimo documento ; onde lcri(Te_» Tito Livio quella gran verità , [a ' che :
pììc coff figlio danno le cofe agli huomìni , che gli buomtni alle cofe . Ninno
vi farà forfè, che_» non fappia qualche lagrimevole ftoria di chi è perito in
compagnia de’ cattavi , e nelle-» adunanze, dóve il vizio s' introduflc a poco
a poco: eppure pochifllmi vi faranno , che fap- piano fiirfene una regola per
evitare quel precipizio medefimo, fulP orlo del quale for- fè vanno efli ancora
fcherzando . lo sò , che piò d’ una volta ho fentito raccontarmifi al- . Clini
cafi di grande fpavento da quei medelì» mi, che gli videro ne’ Compagni loro
piò li-, cenziod , e non folo mai non ne ho veduta ammenda ih veruno, ma avendo
pure cerca- to d’ indurgli a riflettervi fovfa con fnitto gli ho veduti come
burlarfene . Quello, quando accadefTe , faria bene un mettere la— '
Divina Giudizia a cimento di vendicarli con tutti i giacche il gaftigo dell’
uno , come av- venir dovrebbe , non ritira 1' altro dal male, • anzi lo rende
piò baldanzofo, e piò pertina- ce . Quindi vengono pofeia i flage’lli delle-»
intere Città, che vediamo pur troppo anche in quello fecole , c non vorrei aver
luogo di P»- (a_) Uh; 22.- r t .
«9? paventare, che neppure imparaiidóuna Cit-: tà a corregere le lue
colpe dal fupplizio deli'; altra fofle Iddio fui punto di punir le Pro- vincie,
cd i Regni , per farfi un altro Mondò più riverente-, epiùlàvio.’ Lo fece egli
ve- dere nello fterminio .totale del diletto fuò Popolo df Ifraele, che, non
volendo mai fare ’, a fe medefimo dell' altrui rovine un utile.»
ammaeftramento, fudalui ridotto a'quell', ultima deiblazionc sì deplorabile ,
che noi tutti. abbiam giornalmente, fotto degli occhi negli avanzi infelici ,
vergognoft , e difpcrfi di quella un tempo sì favorita. Nazione . .Si guardi,
addunque ben d’ intorno ciafeuno », che pratica , offervi bene gli andamenti de
i, fuoi Compagni, e la qualità del coflume, che. in loro fi trova, perchè non
è. radiflìma colà, cheun folo cagioni la rovina di moItiiSe l’ar- te di
prendere gli uccelli , che vanno a ftuo- lo, è r averne un vivo ,c legargli al
piede un lungo filo impaniato acciò , che tornandole-! ne fra i Compagni molti
ne invifehi, e gli ti- ri a terra in mano de i Cacciatori;non è men . fcaltro
l’ artifizio dell’ Inimico infernale nel dar la caedia a molti huomini
innocenti col-.r la malizia di pochi perverfi, tutti bene rpefib»; o moltilTimi
per lo meno , tirandone con un, tal mezzo al fuo partito . E’ quefiaJa graa^'
verità , che non vuol capirfi da i Giovani , c che io non sò finire d’ inculcar
loro, effendo: troppo dalla Iperienzadi tutti i tempi auten-' “ - ■ .T 3
. 1 *94 , . ticata, cioè, che le corrotte maflìme
di colo- ’ r'o co' quali fi pratica, fono un ficuro veleno dell’ innocenza, in
tutte quafi le perfone più làvic avvenendo ciò , che nel Sole vediamò accadere
, il quale benché fornito d’-un a be- nigna virtù , cd attiva in fommb , pure
paf- fando per Io Zodiaco nelle fullunari cofe in- fluHcC giuda la difpofiziohe
, c natura^de’ va- n Animali , che in quello fi rapprefentano . Chi:fafxt
dunque di fenno sì privo , e sì nell’ affare di fua falvczza trafeurato , e
difattén- to , che non cerchi d’ ovviare ad ogni corto ad un danno sì grave, o
prenderne quell'or- rore almeno, che fi debbe ? Chi potrà diver- tirli'con
allegrezza in luoghi, e con perfone,' dove Cgli veggia con evidenza imminente
1' aggravio dell' anima , che-clfer debbe l’ in- terelfc più delicato, e più
gelofo di chiunque ha battefimo ? Rammentomi a talc propofi-' to dell’ arte
artai delira' praticata da un Pa- dredi famiglia in una Città d’Italia per di--
vezzaze un Ino unico Figlio dal viziò di giuo»- care fénza mifiira . A vea
l'imprudènte Gio- vine perdute già molte fijihmc artai filevan-i. ttj quando
una fera confidando al Padre una • perdita più notabile' da ini fatta ', fu da
erto- condotto nel fegrcto del fuo Gabinetto , e_»’ tutta la correzione confi
rtò nel contargli a_»>' fUa vedutaci danaro, e'fargli riflettere quan - to
di oro egli avea gettato in una fola notte.’ Vodendòllò- fcdnfigliatò Figliuolo
qucliaLi-’ t ^ m Ji gran Digitized by
Gdogle i*-'* •• • ' ‘ grati mafia di monete perdute ‘invano
con-' ccpi ùnò sdegno sì ftefo , ed un odio sì gran- dcj centra del giuóco,che
mai p'ii'i in fua vi- ta noti volle pigliare in mano le carte. Co- sì far
dovrebbe ogni hiiomo di fenno per di- fingannar fe medelìmp in ordine al
piacere»»’ del diverti rfi., 'quando mai potefle' eflere a fe confapevòle di
farne un mal ufo, c ponendo-^ lì davanti al peniìero il gran tefofo dèli’ in-'
hocenizaV delle viftfi, dell’ Eternità, dell’àmi-^ ciziadiDiojChc perde penuria
vaniflìma foddi-’" sfazione de i fenfi, abborrirc, ed allontanarli da un
collùrhe, che nulla dandogli di buono , di più gli rapifee il meglio . Di
leggieri iri_. ciò facendo s’accòrgerebbe di quello fvan- taggiojchè ci nòti
confiderà , e trovandoli , quando men ló credca,di corruttèle, e di mal nate
affezioni ripieno , intenderebbe averlo ornai la colpa fidotto all’ infelicità
, e mife- ria Ibmma di chi eflendo infermo per abito di cattive difpofizioni
brama di morire per terminar di vivere sì malamente , più di ciò, che
l’aggrava, temendo, che della ffefla.rf morte da tutti sì coftantemente
abborrita— • In tal calo egli pure fi troverebbe, a ben pen- farvi; poiché più
odiar fi debbe la colpa, che macchialo fpirito,che quello fteflb difiruggi-
mento , che rovina il corpo , affermando Marlilip Ficino, f^zl che : ficcome
all' huomo T 4 »o«-' — ^ ■■■ ^ C^jMlGor^, plat.
Hott'è efpedhìite il vìttré boti un corpo aff"af~^ lo infermo y coti
neppure con un animo da i i>izj infetto Vedute per tanto, e confiderà- tè
intuttc’Ie .fuecircoftanze le voluttà del fecolo , che piacevoli tanto fì
credono , ed imabili , comincerannó fenza dubbio a far della naufeà all’ huom
prudente, cui conver- rà conchiudere coi dottiflnno Gioan Pico . ^a~\ qual cofd
è mai di defiderabile ne* piace- ri, i quali cercati affaticano ,
acquijlati./va* nifeono, perduti affusano ì ®97 • # ^
Prejèri>àtivi cantra il danno d?l . converfare, i .. /CAPO
XX. • • • • « I. ^ E potrà l’ haom prudente awederH i i3 che
l’ufo della Converlazione lo pon. {a in cimento di foggiacere a qualcuno di
que’ danni) de’quali fì è parlato fin’ ora con* verrà, che egli penfi alla
maniera di. Sparar, fene armandofi.dc’migliori preferyativi» che polfano metterne
l’ Innocenza iniricur.o. Fi(* io eifendo io Tempre nel mio penlieror^ Che U
converlar con fayiezza,;e con retto finCj.pof- fa farfi liberamente
,jvengO(adeffo, a prélcri» vere alcuni utiìinìmi preferyativi, che prati* .cati
con diligente, premura .'da chi vive. nel mondo lo torranno, e d^ll’odiofa ncccdltà
di fcpararffdal civile commerzio degli altri , e \ dalla tema' di rilevarne del
pregiudizio . S’ è «.^-^già varie. yolte.in quelloLibro parlato intor- no al
contegno, di cui ufar debbono le perfo* ,ne più favie nel convcrlàre, e
fpezialmcnte_j nel Capo, Quinto, fuggerendo quelle manie* •jre, e.que’configli
, che fono più atti a confe- guire un intento sì ncceflario . Pure perchè
.l’unica mir^che.io.mi (bno prefiifa in quello ..Trattato la riforma d’un
coftume , che po« .tria fàcilmente degenerare in abufo,cd in ro< •
-vina : / vina deiranima , hò voluto ancora difcorre-
rc a parte, c con tutta la difUnzione , dì qùe* prcfervativi , che poflbno
mantenere illiba- to il candore dicchi , p non vuol e , o non può difpeniàrfi
dal converiàre. Giudico pertanto* che il primo di eflì , ed in fommo giovevole,
cffer polTà 1* armarfi Ic'pcrfóne fecolarì còl pehfiero' delle Umane mifene ,
le quali (bno il correttivo dèlia- vana allegrezza-; e dellò fconllgliato
divertitìientp contirioVoVin pre-;- da a i(JUÌ>fi''gettarto*forfe molti- .
coU difcapitq aflài'riifcvante dello fpirituaiè intèrcffe . Il cercar (bllievo
talvolta dalle terrene molé- iliè'è utia fpezie<d’amor proprio
sì naturale^ ■ad ognuno; che farebbe indiferetezza il con- tlahnatiladel tutto
prètendendofi , che fem. pre ftcffe l' huomo gemendo fbtto d’un pelo', il
quale'pur troppò - fenz* altro c gravifììnio Quello , che in ciò accordar non
fi puote fi è, che in cambio d* un ragionevole conforto fi vada cercando la
maniera di fcòrdàrfì affatto di quelle' miferiè-, che efsendo gafiigo del primo
peccato pofsonò'colla cOhfufiohe mà- tenerpe vivo' nel cnore l' abborrimento .
Io dunque vorrei, ichè gli Kiìomini cònverfafse- Toinfiemein ta'Jguifa'/che
màinóh perdèf- lèro d' occhio 'la' mifera condizióne del mon- do ,
e non s* adagiaflerd-così biène per niezzjp 'dc’paflatcmpi contiriovi ih quello
carcere in- felice, che più lord nulla premcfse d’ufcirné. L’-afiCzionarfi alla
fchiavitudine in tal manie- ra» Digitized by '
299 rai che pili non ritengafi brama di libertà , ò un difordine
d’intelletto già prevertito; il qualé' facendoli della lùa pena un godimento
moftra ben chiaro, o di non comprendere ab- baflanza , o di non detcltar quanto
debbelt quella colpa’, che l’ hà mcritata . Quindi è , che amicifllmo' efsendo
io Tempre della di- Icrctezzamoh condanni quegli , che fi diver- tono còamifura
ma coloro' folamcnte , che fcordati di quèìto cfìlio' mortale tutti nelia;^.»
Goverlàzionefeppellifcono i penfieri d’ Eter- nità . i Romani lempre mifteriofi
^ erifleffivi in fommoi- adoravano Volupia Dea de’piacc-. ri, ed Angerona Dea
de’ difpiaccri , ed a eia-, fchcduha avendo eretto il particolare. Tuo. Tempio
,.in quello deU’iina .fagrificavano all* altra temperando così' il godimento
dellc-j . cofe piacevoli cól timordclle avverfe in for-'. ma , chéilà fperariza
di quelle mitigalTc l’ ag-; gravio.di quelle , c lamcmoria del difpiaccre
correggefie la dannofa genialità' de’ piaceri .j Tanto dovria pràticarfi ancora
da chi vive-», nel fccolo,' e portando. nella ConverfazionC; il furio penlìero
delle dilgrazic, che aftliggo-^ no ,>nér hon lafciarfi ingannare dallo
fmodc-, ratodivertimcnto vivere pofciain.quellecpn una.crilliana ralfcgnazionc
al djvln, volere, c," temperarne l’amaro col rijleiro d’averci pure .
lafciata Iddio la maniera d’ andarle fminuen- do colla giocondità dell’oncllo
conforzio . E, che quella favia ricordanza delle miferic,che •
r t qiiaggiìi rie circondatìo , Cairn preFervativo-
efficace dell’innocenza contra la forza di qualunque più dilettevole palFatempo
, C può con chiarezza dedurre dalle fagre Carte. C^i) Giunta appena
SarainGerari con Àbramo fuo Conlbrte fù per la lìia rara bellezza rapi„ ta dal
Rè Abimelecco a viva forza, Cngendofì per timóre Abramo fratello di dei. Capitò
po- icia un altra vòlta in quel Regnò 'medcfimo' anche ifacco figlio d*
Abramo.'(^;)con Rebcc- eafua^òl'a parimente belliffima^fpaccian* dola eiio purè
per tema d’ihfuIto>perfua.*' Ibrella : ed Abimelecco anzi , che farle alcu-
na violenza: promulgò quello editto ; chi toccherà ìa Moglie, di quejì'huomo
farà pu^ aito colla morte • Sembra flrana la conti- nenza di quefto Principe sT
dedito peraltro al viziò contrario ;‘ma chi riflette* alla care- flia , che
allora affliggeva il fuo , ed il Regno tutto dì Paleflina ben comprende, che.
ua^ tal gaftigò l’avea renduto migliore j e che avendo egli fugl’occhi quella
miferianon-, avea cuore d’applicarfi., come prima , al pia- cere'. Per quefto
diffe il S. Giobbe t fc^ beato' Phuomo , che è punito da Dio; poiché egli’
ferifce , e rifana . Egli i dunque certiffimo, che prefente avendo fempre
l’huomo di fen- rio la ricordanza delle umane traverfie farà piò
[a] Ged. 20. [b] Geu, 26, £c] Cap. 5. iS. Digtilzen
pili càuto nerdiverttrfi, e prendendone bensì conforto , ma non deponendone
mai intera- meatc l’«iggravio , in un pefo , che lo tor- menta averà un forte
riparo , che lo di- fenda . • • • li. Da ciò naice l’altro prefervativo
non men poflente per togliere ogni danno del con ver fare, ed è
ilmantenerfi la per Iona, fem- predefiderolà, per quanto può farfi in terra
dell’Eternità , che è l’ultimo fine dèll’huomo. Il vivere con riflefib
continovo alle diiiiv- venture del Secolo è cagione , che'vivo man- tengafi
nelle creature il penficro , c con eflb la fperanzu del premio eterno , che
tien pre- parato Iddio agli Eletti nel Cielo , e che arda fempre vivo per
confeguenza nell’ huomo l’amore verlb della virtù , onde può venire-.»
unicamente la fortuna di confcguirlo . Po- trà per tanto ciafeheduno praticare
tra gli altri -ficuramente , quando fappia d’eirere_» nel fuo interno invaghito
del Paradilò j e_ji di bramarlo con tale ardenza, che ninna..» cofa elleriore
per vaga , e dilettevole , che ella fian , abbia forza di fcpararlo da un sì
amabile' oggetto , ed elTendo egli- còl cuo- re lontano da ogni terréna Infinga
farà certo ancora di battere dirittamente là via di per- fezione dentro al
proprio fiatò . Quanto dalla Terra fon più difoofii i Pianeti più lentamente fi
muovono di moto proprio, e meglio fi conformano al movimento rego- '
lato joa lato ^olPUnivcrlb . Così più; tardi compie Saturno
il fuo giro, che Giove, e Giove_j più tardi , che Marte ; così di tutti propor-
zionalmente avvenendo fecondo la maggio- re , o minor diftanza , che hanno dal
Glo- bo Terracqueo ,.onde la Luna , che è a lui più di tutti vicina , più
picciolo forma il fuo giro, e lo termina ogni mcfc.Chi vorrà dun- que tenere ij
cammino delle crilìiane vir- tudi fenza ftorcere alla via de’ vizj dovrà
attenerfi colle brame alla celefte Patria, c vivere più dilìaccato , che fia
pofììbile , dalla Terra,,, per unilbrmarfi nel movi- mento al principio , e
radice della vcra_. faviezza . Ha la Natura più volte fatti ve- dere de'Mofìri
di doppie membra , come-* tra gli altri attelì.a S. Agollino dicendo ; (^a') Meli'
Oriente nacque utt' huomo doppia; ne' membri Jupenari e Semplice negli ìnfer
riori . Si vedevano pertanto diverfe funzioT ni in eilì , e contrarie l’una
all’altra, come di vigilare con un capo , e dormire coll’alr tro; di ridere
cor» una bocca , e pianger coll’altra , di parlare con una lingua , e ta- cere
coll’altra. Unite così in un folo corporeo . -màgiliero le due moli accadde,
che inferman- dofi.l’ una, c, moreiido, vegeta, e fana rima^ nclTe l’altra per
qualche tempo , ma vinta pure fai Lib. z. de Ci’V. Dei.
. . I pure dal pelbj c dal fetore della dcfuntà con- vetjnele
cedere, e morire per codellainfaufla, ed indivifibile unione . leggiamo anche a
dì njftri negli huomini fòmiglianti moftri in ordine alla Morale, i quali sfefercitano
in at- ti contrarj, moftrandofi ora del Mondo , ora: del Ciclo , ora . tutti
compunti ,ora tutti dii- lìpati ; ma la parte unita al Secolo , ed a’.pia-:
ceri di lui , infetta a poco a poco l’altra, che vorrebbe effer celefte., e
muore efl*a an- - cora mifèramcntc alla Grazia , poiché Iddio fteflb afferma ,
che ; (a) non fi può fiervìre a due Padroni . Bifogna toglier da noi fimi-- li
mollruofità , ed ardendo internamente.» d’un folo,epiìi nobile
defidcrio , avere un Ibi cuore, cd un fol volere per la felicità, pih vera ,
che è la Beatitudine eterna -, e di- vertirci nel Móndo con tutta riferva , co-
me la ruota , che và girando fenza ufeir mai da’.fuoi poli. Quindi avverrà, che
avvjam- pando l’huomo d’una sì bella,efavia bra- ma , neppure chiuderà l’occhio
giammai (b- vra la propria debolezza , locchò fanno thol- tiflìmi con
incredibile difavantaggio delle- anime loro , non volendo convenire col gran
Chilone per riconofeere il fondamen- to più ftabile della foda Morale nella fo-
ftanza. di quelle fugofe parole; conofei ^ ^ ^ - ftefo. £a] Matth,
6, « « I (i-ejfo . Egli è certo che
l’ardènza j colla'qaa-'; le fi brama un qualche bene i fa Tempre te- mere di
qualunque mezzo , che fcmlgafi per ottenerlo , e tanto più degli oftacoJi ,
che_A potelfcro attraverfarfi al confeguimento» en- trando anche talvolta chi
brama in diffiden- za feco medefimo per tema di non eflere_» troppo fiacco, e
troppo dilàdatto all’imprelà, che medita . Molto più gioverà quefto fag- gio
timore a chi afpira all’ eterna Gloria, poiché aperto Tempre tenendo l’occhio
d’ una vigilanza prudente fovra fe fteflb , più ihrà ficuro di tenerne lontani
gl’impedi- menti . Comprefa poi. bene affondo la pro- pria fiacchezza dalle
perfone. là vie, e timo- rate , fi camminerà- certamente da effe con_. tutto
riguardo, nè s’incontreranno i pericoli alla cicca , penfando prima d’ entrarvi
alla^ maniera d’ulcirnc , o fnggendògli affatto, quando fi riconofeono
fupériori alle forzc_> della Natura già di troppo debilitata . E’ de- gna.
d’ammirazione la proprietà , che attri- buifeono i Naturali alla Pantera , la
quale^ mai non affaggia le carni gettatele da’ Cac- ciatori temendone veleno,
fe prima non fon- te nelle Campagne circonvicine l’odore del Dittamo , che è il
fuo antidoto. Salva in que- ffola debita proporzbne ftimo,che in tal guifa
debbano regolarli le Anime, che te- mono faggiamente la dilgrazia d’avvelenarli
nella dolcezza de’ mondani piaceri , mai non r • affag-.. .
/ \ / DigillzecI by ■ 4M»
' *3 !• a/Taggtandone alcuno ^quando pronto nout» ’ vCggiano il fuo
rimedio. Nè dico già queftOf t perchè fia lecito mai il bere il tolfico dellOi,
I colpa colla rperanza di rigettarlo , che faria^ ' delitto maggiore , poiché
per la piaga, affer* ma S. Ambrogio * ìa'] ficercail medicarne»- ' to ,»oa pel
medicamento fi broma la . piaga. ! Lo dico lòlo in riguardo alla (ìcurezza ,
che aver debbe ogni perfona di fenno , c di cor ) fcienza in tutte le cole , cd
in quelle IpeziaN I mente , che polTono eflere in qualche manie.- 1 ra {òfpette
, alle quali conviene .accollar^ con tutta cautela . Vi (bno però alcuni tra^
qjuegli ancora «che 11 credon migliori , i qua- li non hanno in quella materia
, nè timore, nè audacia , ma vivono in una certa danne- i yole indifferenza ,
per cui a nulla badando a I tutto s’accingono fcnza. riflclTo . Non vie I .cola
a mio giudizio, da cui p'iò deggia l’huom I rfàvio guardarli , che dalla
llupidezza, per la 4]uale non connderandoll talora neppure i perieli piò
evidenti fi cade bene fpelTo in un precipizio irreparabile . Ogni difordine an-
che picciolo puÒ.recar danno allo iflupido, perchè, da niente lì guarda j, efe
a i Leoni già tnorti infultano anche i Lepri più timidi, all’ buomOjChe di
nulla paventa, nuoceranno quelle medeGme. cofe , che, ad un riflellìvo V
non C») Lib. 2, de Fisn, 9» Diglllzed by Google
3o6 non (bgliono apportar nocumento, mJltenen- dofi egli Tempre in
buona guardia . Fino lei* azioni pih (ante , quando abbian del grande,
edell’arduo in fe meddìme, debbono farli con po(àtezza , c con maturità di
rifleflb , perchè abbiano il difliuto Tuo merito , e riu- fcir pofTano buone, e
plaufibili. PrcflTo di tutti vien commendato Abramo per l'ubbi- dienza
veramente ammirabile , che egli di- moftrb nel fagrifìziodcl fuo Unigenito Mac-
co ingiuntogli dal Signore.Se peróne leggia- mo la lioria troveremo , che egli
fece mol- tidlmi preparamenti prima d’ accingerli ad una si fatta imprela , e
S. Ambrogio (a) con-' lìderandogli tutti efclama al noftro propofi- to : 0
quanti rìtardamentì di chi dove a fa- grìficare per non farfi credere dalia
fretta rapito ad un tale Sagrìfizio ! Q>) Con quan - to maggior cautela
dovranno pofeia impren- derli quelle operazioni , che non folamente fante non
(bno , ma vicinilTime anzi a pende- re nella folianza del vizio , come è
appunto il coftume del divertirfi troppo liberamente-» nel Secolo ? Convien
dunque mirar prima bene all'Eternità , mifurar le fue forze, ar- marfi colla
virti'i , e portar feco nelle occa- fióni ellerióri un capitale , che pofla
rimane- re all'Anima intatto anche nella rovina degli huo- mi
" ■ ■■■ i ■■ ■ II»! ! Gcf//. 22. hlic.
... . . ?o7 huomini pi^ difcldlti., eS pili liberi , cotncLl» bene
preflb Tuningio configliava Ariftotele a i Naviganti dicendo : [a | quelle f4e
cof(L^ doverjida ejft preparare per la Nanjlgazìone., che nuotar potejfero
infieme col naufra- gante . . ; . IH. Gioverà àncora àiraifTimo al pre-
fervamento dell’innocenza la Tanta morti> ficazione del corpo , che tiene in
doverc_f l’appetito inferiore , e (cerna la baldanza de’ fenfi. Quello è un
rimedio , che poco , o pun- to fi pratica dalle perfonp fecolari fembran- dogli
di far molto ,,fe pure s’afiengono dalla colpa . Ma è un’errore pur grande quel
darli a credere di poter fuggire il peccato lènza.^ l’ ajuto di qualche
interior penitenza , o di qualche efieriorc mortificazione , elfcndo, che al
parere di S. Bafilio ; [^] il corpo ben pafcìuto , e l'anima in quello immerfa
, incli- na al peccato I Ed in vero fe tanto c difficile il mantenerli l’anima
pura , e netta dalla colpa, quando ancora s’afHiggc , fi mortifica , fi tor-
menta , c fa cofe grandi per amor di Dio a feghó , che egli fteffo dille a’
Tuoi Difcepoli: [cj quando averete fatto quefle cofe tutte , dite :Jìav*o fervi
inutili: che è quanto dire pieni di miièria, e dellituti d’ogni merito dal
canto proprio ; che farà poi quando ella viva V 2 ' in (a)
cap.^. (b) Hom. de Farad, (s") Lue. 17. •'to*.. ... , in
delizie , In gmòchi » ed in palTàtempi', lèn- za corregger mai le peifìme
inclinazioni, che vanfcmpre piit imperverlando colla conde- fcendcnza , e
macchinando contra di effa' im totale cderminio? Dee dunque perfuaderiì
ciafcuno eiTere , sì a fe medefìmo , come chicche fìaiì , heceflario qualche
efercizio di mortificazione , e (cegliere perciò quella Croce , che farà
propria del fùo fiato , per 'potere in virtù di cfia paflar libero ^ è ficuro
l’oceano perigliofo di quefia vita mortale; £’ vera non meno , che provvida
aflai la co^ flumanza delle Rondini , le quali in paflàndo il mare portano in
bocca un’arido ramofcel- lo , e Ranche dal volo lóvra di lui fi ripofano» cola
che fu da S. Agofiino applicata mirabil» mente ai Legno (àntiifimo della Croce
dicen« do , che l’amorofo Redentor nofiro : (e) tuì quejìo Legno , col quale
pajfajfmo il marei imperocché niuno può •valicare i marofi di quejìo fecolo y/e
aotr fc portando laOroce di CJrtJlo . ficco di quanto s’ingannano molti de'
Secolari sfuggendo la Ibfianza non Iblò, ma ogni ómbra benanche di penitenza ,
e fìgù<- randofi nel tempo mcdefimojChe poirariu« feir loro fenza di quello
lalutifero Legno lai- vaffi tra le impctuofe , e frequenti borralche del Mondo
; Sara per tanto migliore confi- glio £a3 Tinìi. 9. tra^, 2: inio
; Digitized Oflooogle gléb atténerfi al-pàreré, del
(òvracttato tore , che giudica sì neceffaria a tutti la mor* tiiìcazionc, e
(labilire di praticarla al meglio» che fia poiTibile , per non trovarli a
cimentò di naufragare col rimorfo d’aver già rifiutata la tavola per
liberarfenc. Può , volendo » fab* bricarfi ciafcuao la propria Croce, e. por*
tarla anche in mezzo al fecolo con foffercn^ za, che ò il fondamento del
merito; ó.dandofi a qualche digiuno fra fettimaha , che pure^ tanto è giovevole
, o a preferVarla , o a recu* perare l’innocenza di già perduta , mentre: rende
V huDmo oingelt ,com^ afierì S. Gioì Grifoftomo : (a) o digiunando , che è
certa* mente piò ardua , e perfetta cola , col cuore» € colla mente , per
piacere , come infe^na lo fteflb , Qi) più a Dio , che agli huomini : tu, egli
dice , che piti digiuni col cuore , che col corpo , che pià t*aftieni dal
peccato , che dal cibo , non alP occhio degli huomini , ma bensì u quel Dio
digiuni . Ottimo làrà quello digiu* no,perchè!piu fegreto , ed in confèguenza
più praticabile da ognuno ponendoli dinanzi agli occhi la divina Legge, come un
termine.» da non palTarfi giammai colle tralgrelfioni,.c .tutti ancora i vizj
oppolli a i divini Coman* damenti come un . frutto vietato , dal toccar y
j- cui. ‘ £a] Hom. yi. ad Pop» Hom. 15, in c, 6. Mattb.
fio ctii dtìbbano-àftcnerfi mai Tempre iepaflìó'* □i tiiue
deil’huomò* inferiore . lo quefta gai- fadigi>iner^ la-perfona con tutto il
merito juigaiuiandO! il Mondo con un’apparenza di YÌta.lieta j e converfevole ,
c portando una^ CrOce^j-che punto non disdice alle Sete, ed agii; Ori ,ma tanto
pih grave , e .fenfìbile, quantt^ più- radicata nel .Cuore .-£d in vero p
c-b^.gto^a , conchiude S. Giròlàmo, ejìe/tuarjt- coU'aJìhenza. M cor pò , jt
gonfio è ianìffio dì fuperbia ? ^uqle utilità . contiene non. ber vino , ed
ubbriacarfi d'ira , e 4' odio ì Allora è pregevole il digiuno del cor» po f
quando l'anìrpa digiuna intorno alle com» piacenze del vìzio -. CrocilìlTa che
Ila jcome ancora .infegna l’Apolloio , in tal maniera la perfona col mondo
potrà più ficuramente la- iciarfi veder per tutto , perchè incontrando veleno
pronto averà il Aio antidoto , ed un gagliardo riparo contra
qualfifiapiùpoffen- tc violenza , che tcntafìe d’abbatterlà . Se^ l’acqua delle
fontane mai non fàle in aitò prima d’avere in anguAi canali fperimenta- te le
proprie forze , c prefa come una giuAa mifura dell’eminenza , a cui è fpinta ,
neppu* re dovrà l’huom favio azzardarfi ad imprefe, colle quali proporzionato
prima -non abbia il proprio vigore , c poftofi in qualche ficu-
rezza (a) ad Ceelant. \ I
Digitized b^oogle ■ rezza di fortirne felicemente » Così
\rediamO( che la Natura in tutte le lue operazioni prov- vida in (bmmo ^ cd.
accorta , prima di forma- re il parto nell’utero della madre , vi fabbri- ca
certe membrane , dentro le quali ftar polTa. ben culìodito il feto , acciò non
abbia- no a dilTiparfi gii fpiriti necdi'arj all* agu- mento di lui, e ne venga
, invece d’nn figlio» 6 un moftro, o un aborto . Ciò dee pure nell* ordine
ancor della Grazia immitarfi, dalla^ crifiiana prudenza , e prima di
cimentarc-i» l’illibatezza del cuore colle infidie terrene» farle d’intorno una
buona cuflodia di virtudi morali , ed evangeliche , le quali non la di- fendano
, ed ajutino folo a preferva rii , ma a crefeere ancora , ed a ridurfi in
quella perfe- zione , che non olìantc l’alTalimcnto eilerio- rede’vizj polTa
meritarle il premio etcrnot Codefto è un giglio , che fe dee confervarfi,
convien circondario di fpine , e fofferire anzi pazientemente qualche puntura
di travaglio» e di pena , che la dilgrazia di vederlo impalli- re , e feccarfi
. Intrapprcfa , che averi la ra- gione contra del fenfo una tal guerra noo-
dovrà trattar mai , nè di pace, nè di tregua» poiché il nimico è implacabile ,
e chi lo giu- dica, o vinto, o fnervato , lo prova piò fiero» ed infoiente .
Hgli è dunque d’uopo , che vada ognuno invclligando con diligenza qualfia la
Tua pallìone. predominante , e quella pigli 4i ipira , e combatta fetnprc » fe
non per de- : y 4 pri- V Digitized by
Google }I», primcrla aifattoipcr ridarla almenó In fftà« to
da non temerne (brprela > o fconfìtta , (en<». za mai lufingarfì
d’cflere- d’un naturale cosi felice )' che tutte abbia in equilibrio le affé,
lioni y e fbggette alla regola: del dovere^ giacché al dir d’ Ariflotele ; [0]
ninna volon- tàì sì lìbera \ cbe a qualcuno degli appetiti, proprj non ferva.
■ • JV. -lo penlb per'ultimo'i che poiTa ad. ognuno fervire d’ottimo
prefervativo il pren*. der (bvente il conlìglio degli huomini faggi , ne
fìdarfi tanto di fc mcdefimo »che Tempre^, lì ricali l’altrui. parere come
fuperHuo. OgUu-' nO'è foggetto ad ingannarli nelle cofe di pertinenza, ma nelle
dilettevoli poi loèaU. trettanto , mentre l’ amor proprio lo fa tra-, vedere il
piii delle volte, e ben lo fcriffe acu-, tamente S. Gregorio, affermando ,
che_». T amor proprio chiude P occhio del cuore^ » e gli dipinge per fàvia
qualunque condotta^» che tenda, al piacere , cd alla giocondità nei
divertimento. Se in quello l’huomonfida> e crede intieramente a fe medefìmoa
farà li- curifTiitia la-lua rovina , avendo ^ perguida:.. . una palTione, che
fecondo S. Agofìino £c] fu. la rovina ancora del primo degli huomini». poiché
per fentimento ancora diS. Bafìlia». (j3.y Lih.^. Rethor. Cb)
Iiom...^.$»^Eztcbmi. In c. 1 7. Mattk* "t- laJbàP amor proprio
per fifo JUpeadio I/lì morte , Egli è bea difficile da riconofcerfi un tale
inganno, perchè dolce , e gradito : ma:* pure entrando in fe medcfimo^ 1* huomo
di' fenno , e facendo ana éfàtta difamina ibvraj. del proprio, collumc , c
della maniera di re- . golarii in tutte le azioni Tue, potrà divilàrlo». e
conviacerfene (pezialmcnte in oflervan» do che egli .vive pih. fecondo i
dettami del ..capriccio, chc.deila buona Morale . . Riceva* toìpoi,. che. egli.
abbia quello benigno raggio d’ utililTima conolcenza, gli làrà ben agevole il
comprendere , chenon potendo cgli.fìcu- ramente dirigere fe.mede(ìmo,ha bilògno
d* un pih efperto, e vegliante regolatore, che:j diritto lo mantenga nel
(èntiero della virti^ eche quelli: altrove ritrovar non fi puote» che nel
numero degli huomiaif^ggi • Kiuno^ a mio parere, vi farà mai , il quale
penetrata, a fondo una tal verità non proccuri di prov:* vederli d' un
fomigliante appoggio ^ . fenza.* .del quale làrfa $1 vicino a cadere. I Bruti •
che non poifonqcomunicare.altrui i lìioi fen^ timenti , ..e dar notizia di quel
male , che gli . affligge ,. hanno la cognizione della Bottani* ca,
edillingueado quelle erbe, che pih gli ib<>' no giovevoli, fi rilànano da
fe medefìmi . !•’ ' Eupmo però.i che haP ufò della lingua pcc \ ' ' ' ’ ' ' '
poter- ' Ca] Ap, Lyr, A li apoph, if I 1
poterli efprfinci?e »• è privo tl’ «na . tàI..coftó** feenza, e per
guarire. aèlie iafermità ,chc lo aflaJgono , Gouviengii dipender.. da;gli
altri, e.meudicarjie dall’ altrui perizia il. lenitivo;. Quello pure è uno
dentanti gaftighi^. i.quali /uhiiinarònfi centra il primo peccato i-cho.» l’
huoiBo pofla bensì : perfeguitare il maleej* , che. lo minaccia, e. vincerlo
anche tal voltai per ajuto, ed opera altrui , ma non già o ef- 4èrne, affatto
incapace^ o fuperarlo ben totlo» «pila perfetta intelligenza del luo;rimedio .
Nè quello è raen-vero ne i mali dell’ anima , -la cura de* quali.ha
voluto<lddiò<commette- re agli altri; non permettendo, che fia veru- no
medico di fe medefìmo ; In quelli pertan- to. è alTai più necefiario il
ricorrere al confi- glio del Savio , o per impedir , che non ven- gano, oper
curargli venuti, che'fieno , onde Jò Spirito Santo dice chiaramente ad ognu-
no; piegherai il tuo orecchio riceverai la dottrìua ^ e fe amerai di feutire,
farai fa~ piente . Ix) dico addunque , che richiedendo là Perfona il parere
degli huomini prudenti, e confidando loro con fincerità quanto le và accadendo
nel converfare alla giornata , ^ lafciahdofi regger da elfi, nc ricaverà una
fi- CQrczza ben grande per non rilevarne niai alcun danno . . Chi è fiiori del
pericolo pe« r. - ■ glio (a) Eecli. C.6* DigHized
by Goo^ glio Io fcorge , che quegli , il <Ju,a1e v’ è nel mezzo:
onde il conlìglio del primo è Tempre-# più fano , e più accertato ; e
quàntunqùe ad alcuni ferabr.i viltà l’ inchinarfi a chiedere ad altri il parere
, è però parte d’ accorgimen- to, e di faviezza, àtteftando Platone:[j} cjfjèr
eofa da bUom prudeute , e generofo P ornare^ ■ ed avere ift prègio chi è
piti getter ofo dì luì . Dionifio Tiranno di Siràcufa ebbe , [b] al ri- ferir
di .Lampridiojin fomma eilimazione gli huomini faggi, 6 dotti, penfando , che
pote- vano colle penne loro eternarlo, onde avido éflendo egli della gloria
faceva loro per cat- tivarfegli ogni Torta di più diftinta nnezza , è di più riguardevole
onoranza ..Meglio pe- rò flato Taria per lui , che Teguiti ne avefle i configli
per meritar quella fama , che preflb de’ Polleri per opera loro bramava di
com** perarfi.. Cosi per tutti farà vantaggiofo il prender fovente un tal
configlio ,ne far mài’ cofa , per cui deggia pèntirfi fuori di tèmpo di non
averla con chi' è più favio di lui con- fultata ' [uj Lìh; lo. de L
eg. fb} f • 1 5* I . 13éUet
Convé^atiowrijlyetta.» C A P 0 XXL « I.
Ssegaati que* prefervatlvi, che polTb- no impéàre il dannò delconverfar
itiaie, è dovere, che fi parli àdeflb di quella.^ fpczie di civile
trattenimento , che può effe- TC meno dànnòfe,ed in cohfeguenza piò pra-;
ticabilè . Già fi diffe di fopra nel Capo unde-^ cimò , che bifogna penfare con
molta matu- rità per feiegliere il luogo della Converla- zioriejpòichè
trattandofi di ftabilire una ami- cizia, che per éfler buòna, e vera , debbé
an- cor effér uurevole , conviene riflettervi fo- pra con pòfatezza ,e le 1*
Elefante, che vive_> ‘molto; richiede ancóra uno fpazio più lungo per
nalcere,tàrà altresì neceflario, che ada- gio fi concepifea, e còn favia
lentezza fi veg- gia nafeereun amorevole corrifpoiidenza-.’, che dee finir
(blamente col teruJne della vi- ta , qu^do piire abbia da créderli un confi-
glio ò* elezióne ; è non iin trafportò di genio poco prudente . Preroefla
pertanto quella^ matura ponderazione iq nn affare, che non è dileggierà
importanza, io filmo, che per feiegliere con ficurezza debba f huomo ap-
pigliarli alla Converlàzione rifiretta , cioè a qqella , che è compofia di
pochi • Se è vero » che la virtù confida femore nel mezzo , e nel temperamento
di due efiremho viaiofi» o fo- ■ -i : . » DIgItized by
fpetti, farà àncór vero , che la Convcrfazid* he raccòlta, la quale è nel
mezzo alla pubbli^ 'ca di gran rumore , che potrebbe efler noce- vole,ealla
particolare, che è tanto vicina,co- megif provolTi nel Capo decimo,al dilbrdine
dee crederfi la mcnopericolofa a chi elegge-» di praticarla. In elTa
divertefì.l’huomu ballc- volmcnte lenza temere d’alcun pregiudizio , quando gli
oggetti, che la compongono, fìe- -no fperi mentati per innocenti , e che nonj»
cagionino alteramento in chi gii tratta . Vo- glio dire, per cfprimermi con p
ih chiarezza, che una converfazione làrà la migliore.» , quando in elTa non s’
imbatta l’ huomo fra le poche perfone, che la frequentano , in qual- .cuna ,
che ferva a lui di pericolo , ò per pro- pria malizia, ad elTa affezionandofì
tròppo', ò per altrui artifizio , che .nelle maniere già elpode di Ibvra
proccuraifé di caparrarne le inclinazioni . Quando poi (hi- principiò gli
Oggetti nòn (iena perioolofi i cònveri'andoli con ingenuità, e faviezza, noti
(ògliono dive- nirlo neppure col tempo, aviregnacchè daflà confìietudine
tolgafi alle cofe tutte quel non sò chè di meravigliolb ,.e dilòrprendente.^ ,
che a prima frote dimodrano . Alcuni Adfò- nomi affermano, che forprelt
rimafero coló- ro i' i quali per la prima volta oflervaroriò ecclide de* due
maggiori pianéti , eppure in oggi da pochiflimi li confidcrarcòsì chi nòh::,
lia mai pih vedàtò il faziard / di mirarlo i' e chi'vi
nacque in riva non ne«» fa calo alcuno . In qucRa guifa medeiìma to> glieli
appunto dalia frequente confuetudinc agli oggetti quel mirabile , che patria
recar nocumento > e chi da principio s’ avvezza a_. non curargli d’
ordinario piìi non fente far- fene un imprellìone, che offenda , come chi
entrando in una Drogheria fenza rimanere offefo dalf acutezza degli fpiriti,
delle Qtiin- telTenze, e de gli eliratti vi s’ accommoda co- sì bene, che in procelTo
di tempo non fente-* più alcun odore: la cupidigia dilfe Plinio, ('<?_) di
tutte le cofe vie» quando i' oecafioae averle fia facile .Nè in'quelia potrà,
volen- do, rimanere ingannato' chi che fiali , poiché al dire di S. Bernardo ha
ciafeuno dentro di fe medefimo il giudice delle proprie azioni , . che è
il cuore , il quale , egli fcrive, (A) fem- hra tener cura dell' buomoi e
quelle cofe, che fono cattive, pericoic^'eieda ponderar fi, cott^ un certo, e
Jicùro movimento predice . Orten- fio Oratore ben celebre , il quale difendea^
V erre contra di Cicerone , che P acculava-. , non intendendo non sò qual cofa
ebbe a dir- gli: avverti, o Tullio, che io non fono già ujl^ Edipo : cioè
uno'fcioglitorc d' enimmi ; a cui con ingegnofa prontezza rìfpofe Tullio ; Cc)
bai però in cafa la sfinge per interpretare , e que^ • ' ■ — 1 — . •• ' (oi) Lib.%.p.2Q. Co) J» Soliloq. ■ Ccj Georg, Traf. Retb.
l.^. qnejlo mìol ed ogni altro enimma : aHudeivdo* aduna sfinge
d^oro inaificcio , che Verrei aveagli donato, perchè lo difendelTe. Così an-
cora vi Ibno alcuni, che affettano di non cohòi fccre i pericoli;ne’quati,o fi
pongono, o vivò^ no air impenfata : ma fé* non vorranno trai dir fe medefimi a
bella polla , ed cfler ciechi ad occhio veggente in grazia' delle paffioni ^
comprenderanno d^ avere dentro di fc una.^ voce lineerà, che gli ammonilce , c
gli avvi* fa in qualunque cimento più rificolb: onde 1' edipo, e la sfinge per
Iciogliere quello malii zioib enimma, che fi figurano i fenii ) vive-i nèl
proprio cuòre, c parla chiarifiimocol linguaggio della finderefi . Quella
convita dunque udire , c ritirarfi da quei luogo , che da lei non approva, e
per ficuro tener quei Iblo, nel quale erta non fi rilente , e non re* clama,
che io penlb efler poflTa quello appun^ to della Converfazione rillrctta , e
compolla di poche, ma fàvie perlbne . li. Tanti però fono li
llratagemmi della malizia impegnata nella foddisfàziohe de* fenfi , che
talvolta può indur P huomo , ed in realtà ve T induce , a farfi come fcrupolo
di converfare in luogo rillretto fingei>dogH> dove non è, il pericolo,
per torlo dalla noja:^ di filTarfi in un folo, e dove non trova palco* lo alle
paflìoni meno corrette . 11 rifeohtro però infallibile , che aver fi puotedella
Con* verfazione innocente ^ èil paragonarne col« la . /
Digitized by Google la buona la rea 4 ea efàqiinare gfli
efFett! v cTie dall’ una, e dall’ altra dcri/ano. Ben può yedcrc ciafcuno
rientrando alcuna volta in^ fe medcriflio y fe è divenuto per l’ ufo di con-
veriàre,o migliore di prima» o peggiore«che un tempo non era» o fe per lo meno
sì c con- fervato in quella condizÌone« di cui egli era^ innanzi , che fi defle
a trattar con altri. Fat- to quello Icandaglio» che può rifultare da ua
femplice rifielTo interioretfarà ben agevole^ ad ognuno il riconolcere in qual
luogo fia.« piò j o meno fucccduto un tal cangiamento » ie nel confbrzio di
molti • o di pochi t lè in.» quella y o in quell’ altra cala , o fc piò corl-
quelloyche con quell’ altro degli oggettiyCo* quali ha contratta domellichezza
. Rinve- nuta polcia y che egli abbia 1* origine del Tuo male, o del Tuo bene,
del profittoy o deldilca- pito» volendo pur ripararvi, come è dovere i o
confcrmarfi nell’ ottima rifoluzione già prefa, potrà (labilirfi in quel luogo
, che l’ ha mtto migliore , benché non vi concorrelTe.^ tutto il lUo genio, o
ritirarli da quello, d’ onr de venuto gli fia dello fvantaggio . 1 Cervi
ilrettiy che fieno , e polli in angullia da i Car ni y fi ricoverano in feno
all’ hiiomo , da cui prima fuggivano ; e le perlbne di fenno dan- neggiate, che
veggianfi da una Converfazìp- ne, fobben piò gradita, e piò geniale , debbo- no
ritirarfeoe , e ritornare a quella , che^U féraiooi: danno, quantunque non ri
trorUu» tutta- .ta’ttai'la •compiacenza -, -poichò in ogni
cofa 1' »onefto dee prefcrirfi al dilettevole, ma tanto -piiVnellé fpirituaii,
che (cmprc fono dell' ul- •tima-, c più rilevante premura . -Compianfe «il
Reale Salinifta l' infelicità degli Ebrei , che •hati'HcUa
fchiavitudin'edell’Egi,tto;.(«) reputaroffo la terra.defiderabilé ; cioè la Pa-
.lellinapromeffa lofodaDio per. mezzo de' -Santi-Profeti, c preferirono ad lin
sì ameno » <e sì felice paefe le miferie di lor prigionia_>.»
rihcrefcendogli di lafciar quefte per metterli in cammino alla volta delle
migliori , e più vere-fortune . Convinti , che furono pure_;i una;vblta d’
intraprenderne il viaggio ve- dendoli in mezzo al Deferto acremente fi
rammarica ròno di Moscj e lagnaronli perfin 'dell' AltilHmo/come fe traditi
gli.-avelTe, tut- ti ad:u'na voce gridando : meglio era per noi ' vivtre
fcbìavì di Faraone , che morirci itt^ ìquejf orrida foHtadine . efié-tneno
lìeno.coodannabili quegli huomi- ni, che perfuafi o dal rimorlb, b da i
Diretto- «ri di fpirito, a ritirarli da certe Con verfazio* ni’périoro dannofe
, e.frequentarne.altre di rftinoréftrepito, e pregiudizio’,' preferifeono il
compiacimento del genio, che alle prime-* attaccati gli>tiene > a quella
utilità, .che rica- verobbono dalle feconde , e inollrandoli piu X
aman- Ijil Pfai, Nam. il f ‘ » amanti di quello ,
che piace, che di quello , che giova, cercano ogni pretella per noiit»
cangiare penfiero . Se difeorrendofi di.trat- tarc con altri convien
perfino/«^gire., infe- gna S. Girolamo , (a') quelle palone , in cui ' cader
pojja qualche fofpetto: leggiero, di cat- tivo couforzio j che dovrà poi fard,
quando fc ne abbia l’evidenza del danno per prova d’u» incontrallabile
cfperimento ? Il non làfciar» fi perluadere da una tal veritó è contrafegno d’
una grave malattia di fpiritq , che abbor- irilce ciò, che faria il fuo
rimedio, ed am# ciò appunto, che è il luo peggio. Ed in propofi- todel fuggirfi
da taluni la Converlàzionfe ri- llretta, e compoda d’ huomini faggi , ainan- do
la pubblica, e piena Ibvente d’oggetti. pe- -ricololi , voglio qui addurre 1’
opinione’ d ^Eraclito, e d’. alcuni altri'pochi Filofofiih oc- diné all’
amicizia . Softenévano eifi , che 1* .amor d’ amicizia foflepiù torto
ftmdatonella contrarietà, che nella fomiglianza de .cortu* mi, vcdcndofi.che
talora l’arfo Terreno ama le frefchc pioggie , e l’ umàn corpo oppreflò dal
freddo ama la damma per rifcaldaru ..EC- fendo però Ariftòtele CÌ» J di.parcrc
diverfo » 1 c più fano, riprova querta fentenza con uoju bellilTìma
diftinzione . Quando, il duetto, i egli dice, è mal difpofio > ama » è verbi
U fuo con- fa) Ep. ii,a4'Xuef9óf'.ih');t^JS$bÌ€i* '\
Digitized : , , . -3?? jCpntrario > ma quando è di
buona. dilpo.iìziq<> Òe » aip? Tempre il (uo fimile ; cosi il Corpo
febbricitante, o rifeaidato in ecceflo , appetj- fcc le bevande fredde; ma i|
Corpo fàno bra- ma le temperate . Allofà addunque, che fa- rà l’ hqbmo fàno di
mente, e di cuore, amerà la Con Ver (azione di coloro, che farannpa^ lui
fimili: nel cpftume , ed ellendq egli inno- cente goderà altresì di trattare
con quegli , ohe. tali fono , attenendofi al configlip di S. Cirolamo doyc
dice, che dóbbiarfi pro(^‘ ^carpir, è 4* effet:e rtonjolameute giujìì noi
(ìe^Ut ma dji fugare ancora il compier zio di quelli.,' che fono, tutto }
oppofio.. Quindi rifulta T al- tra riprova di quello fuggeritaci da Platone ,
\b^ mentre dicendo egU , che il Buono Jota- mente è amico del Buono, ed il
Cattivo non è in realtà amico ni del Buono, nè del Gtttivq; potrà P huomo
comprendere quali Geno le^ perfonci. colle quaU.cgli poffa trattare ficu-
ramèntOì poiché vedendo con cbi.ftre,tto egli (la per amicizia leale , e Gncera
ye non int.c- reffata, o cafuale, conqfceràancora.quali fic- p,o i
buoni compagni, e quali i perverG , e de- gnì d’ eiler fuggiti , ciò pure
addattando agli oggetti di quella Converfaziònq, che egli pratica pili
voloAtieri . .HI, Si può confiderare di piò nelle, adu- . X ' a
Danze 7T7" ad TìQttài* (h^ìd Lyjsda
\ \ DIgilized by Google i* *\ '
^ ■flànzeriftretteuii àltrbVàntaggio affài'rile^ vantc, ed è la commodità
di praticar Tempre, lo per lo 'pili, colle fteffe pcrlbne, d’óndè può ricavarfi
mi jgran bene .Supponendo io Tem- pre, che i’ ulò del co'nverlare pofl'a e(fe.re_»
profittevole nelle forme prefcritte allii per- ibne i'ecolari .e che non fono tenuté
aTritt- ro.attefi’i falutcvoli configli, ed òttimi docù» menti , che fi ricevon
da i faggi , con vi eh df- re , .che’ ciò avverrà coli maggióre agevo- lezza in
qùèl luogoi'dòve più a lungo fi con- verfi co’ faggi mcdefimi,'che è quello
appurt- tp della convbriàzione,'“ cómpotla di^ochr. La Cinofura ,
che’lohtahatre gradi toli dal ■ Polo haun.moto più ‘riftrettó,fempre vèden ,
dofi, è ai Naviganti pili ùtile affai i che tutte ie altre ftellè, mérttle
girando effe, c trovah» dofi òr quà' or là; hoh'frpòffonoTetnpfe ve- ' doro .
Sebbène àdduhqtié ancóra nelle Con- ; Verfaziòni più’gràndi, è.pùbblichè, fièno
per- ‘.fone •, dàlie quali appf éndér fi poffa-Tiòn po;ì Co > farà 'ciò mén
giovevole di quél' 5: c‘hè fa- 'rebbe. nc* luoghi riftret.tf’, pòichè’riergran_i
Mondo noli pò (fono fémpr'C vederfh he trai*- tarfi confidentcnèrit'e gli '
huom'ihi ‘piirinu- niinati ,'hc tirarne per Confcquénifà qiiel frutto , che fi
ricava dàfpfàticafe cònèfiì iti 'privato.* Kd invero ciò;fivideàffcbra nclla^
condotta del divin Maefiro fra gli huominì , •la fai utevol- dottrina di- cui
benché ufèi.flc cou mApicra ioefiabile dal benedetto (uo ■ ' “ Goitoo '
’ \ l Digitized by Gjogle
( Gorpip 7 rifànare cià^no> pure chiamava ft fe coloro ,
il profitto defquali più gli preme*, va;, attefa la bontà , ed innocenza
particola*, re, di cui erano arricchiti, come difle egliv uh giorno a i .ftioi
dirccpoli.chiamando i fan*; Ciulli vicino a {c'.hfeìate , chevengonoa i
pargotettì.'ya) Se dunque la Virtù,e Sapien*i za innnita di Criffo richiedeva
per diffpnder*^ fi una certa rcflriziohe di luogo, edi tempo tanto più farà ciò
di.meflìcre per quella de- gli huomini, che è tanto mefehma , e limita*^ ta ,
,nc fi potrà mai raccogliere fra lo ftrepi-, to ,, cd in mezzo .alla pubblicità
del divertir) mento . In fatti dilTipandon in e(Ta il penfie-'; ro, e vagando
per i molti.oggctti, c d* ammi*. razione , e.di piacere , edi tradullo poco
cf>~ Ter pofTono. difpofle la mente , e la volontà ». ricevere il raggio
della Sapienza', e ricerca-.' re fra tariti hUomini ,.che talora fembrano d^.
ùverlò perduto quégli , che abbiano tutto il, . iennò, raccogliendo ,
Come fuol diffi , l’ oro, dalle immondezze ni Ennio-4 Non è la virtit. uri
téibro , che pòfTa Vinvenirfi.a calo , ed i) femi 'di crii fieno fparli per
tutto , onde age*. Volniente fucceda di Coglierne il fiore dove » e.qùan'do.fi
vòglia,.,' Parlando héli’ Ecclefia*. ftiicp C^) la Sapienza "della pròpria
abitazione dice.: ìofetripre Ittogbi altìlfmi , rii’ X t : tlmto 4
. Ca) Matth,i^é (b) C. 24. Digitized by Google
/ U Alio TròAò fla àel Aiézzó Si ùSà iìlòanà di Jsfabe • Hd ò
ciò quanto dire , Che ella noh_ì può (ètì2a gran fatica tròvarlì , e fenza
una., lòmma premura difcernerfi fra quelle tene- bi^éi chfe rie ricuopròno ó
per noftrógàftigo, o pe^ i‘irpét(;ò della fùà grandezza > la bella-* faccia
. Preflb pofcia di SàlàthOnc pàrh ella dèlie tìcì per le quali è folità di
camihirìare v ediCe, chèlbnò quel ìè fu] deità git^iziSy o dèi gìttdìzìòy è che
trattìeÀji-irerconJtglhi ài' in mezzo oipenjìeri eruditi. Quindi' ihfe- g;hàhdó
la maniera di farne acqtiilfo còlia^: perfevéranza'di ricercarla, c d’ udirne
là vo- ce: Beato, dice, quél bùòmo , ebe mì afcòltdi è' Jlà veglìaùdó ogni
giorno alle mie porte ! Ben fi vede pertanto vano' effere il oéfidéi4ò d*
imbattcrfi nel raggiò della éèìefté Sapich-^ za, edella NlòralcCrifliàna ,
chèèpàrtedi lèi , quando fi cerchi nel rumor dèlie genti # éfi vada tutto
giorno càmbiàndò la'Viadr rintracciarla . T rovatifi quegli huomini, cKc"
Ja pòfTégono, è d* uòpò córitinovàrne' la pra- tica , non tediarfi del lor
còriforzìò i c meri- tarne 1* intrinfichezza per poter polbia ricc- verhè
quello fplendóre, che fi defiderà, è che ITiol eflere il premiò d' una coffa
ntedctèr in u nazione di vivere, èd operàre da faggio . Gl- cre ancóra di ciò»
quando pure nelle grandi Con- ^ • (a)
Prov.8. % m DIgilized by Goc 3
Conrerfazionf potéflero» e ftnvefiirli, e trat« tarli a lungo pcrlbnc
prudenti > e di buon., configlio, eflcndo però molte, e diverfe bene rpelTo
di fentimenti,non riefee ciò tanto uti« le a chi defidera d* apprendere buóui
dòca* menti , come può elTerlo nell* intrattenerli ^ con pochi, avvegnacchò le
varie fentenze.» ^ ed i nmlti pareri , confondano bene fpelTo » ' anziché
porger loro lume , le menti de* Gio^ vani, comè non di t*ado fuòl avvenire
UellaL, . diverfità de* cibi quantunque ottimi , e beni* ITimo Cagionati i per
cui fi guadano le com* piellloni, le quali col ibbrio ufo di poche, Ibdanziofe
vivande, fi conlcrvano meglio ,e a* inyigorilcòno . Uno de* miei amici d’umo-
re amenilllmo, e di falute affai cagionófa, ef> fendo ornai fianco d* udire
i diverfi , e tutti contrarj pareri de i più famoil Medici della' fila Patria
nelle confulte fiitte fopra la quali- tà del fùo male , e de* rimedj per
rifànarlo » ebbe un giorno a dirmi tra I* impazienza , ed ilibrrifb: ftoa
trovando io tra tanti virtuojt tbi fàppia darmi una certa regola per
guari-^ ■ re, bìfognerà , che mi riduca , o a vivere , o a morire a mio
mòdo. Non pochi ancora., de’ Giovani peraltro bène inclinati,^ defide- rofi di
vivere con fàviézza , fi trovano a que- llo paflb di mezza difperazione per non
fàpe* re tal vòlta a qual confìglio appigliarfi fra i canti, e si differenti ,
che vengono lor fùgge* citi dagli huomini più accreditatili quali feb- X
4 bene ^ tijnc con'Vfin^n’ tutti nel fine primario-delia >
virtfi, diVerfificano però tanto ne’ mezzi per ■ aequiftarla,che molti
firiducono a viver piò toflp a .capriccio) che a perder la quiete nella rooìtiplicjtà.
degli infegnarnenti . .Qui' può ridurfi >. che. vi. cade in acconcio , il
configlio di Plinio cerca d’.effer. amico (ff uttjolo , e nìmìcodìperuno c
venerando le più copio- fe» e ripiene , :(ciegliere la Converfazione di pochi.
^uomini prudenti.» i^quali convenendo con'maggi.ore iaciiità.ncllc.maiTimc
pqtran» no.ancora cagionare nell’ animo .di chi gli pratica-un giovamento più
grande, ed aprir- gli una via di virtù .da.battcriì più fìcura . . . ,IV.
Rimane ora un piùpefante riflellb>che ci dilcuopre. ancor meglio il
vantaggio della Converfazione riftretta , ed è una certa ne- cciTità di venire
dn elTa a ragionamenti fag- gi, e profittevoli • .Quando pochi fi. ritrova- .no
di continovo infieme, per fuggire Ja noja, che fuole in tutte le umane cofe
accadere , e ipcrialmente nella frequenza di converiàre P uno coll’ altro , fa
loro.d’ uopo d’ introdurre difeorfi laudcvoli ,.e vir.tuofi alcuna- volta_.«
polche nonpotendofi continoyar fompre un giuoco ancora modefio^ e non.volendofi
par- lar male, ne vjene la.vaptaggiofà ncc.clfità di parlar-, bene, e di
materie erudite'. Quindi 1 , . .ebbero ani 11^ ili I iiWi^M****»*^' ^
|||^|<^■ f •«* .i (a). % Ì> t •
, .•• • • I « ^ r- / 4 .• • ^ i. Digilized
chiaro felice ,cominciamento moltiflime del-, le Àccadcmiapifi celebri ,
mentre annojatili 4^ogni altro, paflatempp alcuni pochi huo-* mini favj che
inncme fpeiTo trovayàhfi , ri^ fplverono di fpendere. .parte dèlia Cónyerfò- aione
in difputc, odi Filofofia , o d^.Eloquen* za,p di Storia poi fi venne all^
efperimentò^ degli ingegni in recitando fra loro qùalche-j vago, e gentile
componimento po.etido, p. qualche.difertazione oratoria , ed accrefcen-, dofi
per la.cpmpiaccn;^ il numero de i Di- lettanti, fe ne formarono ppfcia quei
graru. Corpi di letterarie Adunanze, che tanto hait recato al mondo tutto di
ìuftro , di cognizio- ne, e di gloria 4 Così fra le altre h av/zenuto^ delia
noftraper vero dirc.Celebratifiinia Ar- cadia , rjngrandimcnto meravigllofq di
cui dcbbefi ricónofcere ingran parte dairbnor^j- , ti {fimo genio del vaìorofo
Abbate , ed Arci- prete Gioan Mario Crefeimbeni , e di alcuni amici fuoi, i
quali riduccndp in Romaja prò- pria Converfazioric ad. lino fdenti^có^ ed,
erudito con^-eflo, furono le forti Colonne at quella gran Macehina, , che nel
corlodi pp.*. . ch.i luftri fra par,cggi?t,a .la fama delle pift atì-!
tichc, e (Ielle pii'i gloripifc Moli di. tutta là lie-, pubblica .Letteraria..]
Q^rto vantaggio pé-' rò , che fuoleaverfi nella ponverfazipna^, raccolta, é,
quello appijtijico, che obbjigà nòrt ; pochi a fuggirlo, mentre efTendo
Lprovvedù- Ud ogni fpr^di cPg3WiPnp^,phe optria^ diftia-
ifo diftinMerglì iti éffà , e pefando loro la fitti- da di
rorntrfene, s’allontanano vòlòntic'ri da Un luogo «dove comparir non polTono fénza
una ginfia fpezìe d’ erubefcenza .■ E’ qui da_. ùotarfi la miferia di molti
degna veramente ^ compafilone , fe non ibfle voluta , c colti- vata col
diiàmore > e còlla tralcuratezza iii^ ógni genere di Audio » e di letterario
eferci- zio,' come pur troppo vediamo avvenire alla giornata . Vi fono
affaiffimi tra i Giovaai fpezialmente si ciechi in tutte le materie» i
<)uàli trattando con huomini dotti » c feien- ziati a fufficienza ,
riduconfi con molta^ a' tacere o volendo parlare » danno in tali freddezze» che
non farebbono mai credibili » fe non jt’ udìlTero pur troppo . Per . toccare
una delle piti leggiere cognizioni > che do- v'rebbono averfi dall’ huom
civile» vi fonò alcuni si poco pratici della Geografia , che-» tengono 1*
Italia » dóve fon nati » e vivono » óér un paefe poco dìAante dalle Mòlucche
, ' aiAinguendo foventè l' Idioma Italiano dal Dialetto della Tòlcaha
quali » che il parlar purgato di quella Provìncia foffe una lingua diverfa dà
quella d’ ItàHa» ed è lo AèAb erro-' redi chi diceffe, che il parlare di
Cicerone è differente da quel de’ Latini ■. Sòno pofcia_. -dell’ Italia Aeffa
cosi poco informati » che al ’fentir nominare le Città dì lei» fenon le cre-
dono po Ac he’ fpajg immaginar] > non fanno»' «ercalÉfenle dòte fieiro
fituate » è le trafpòr-^ tano Cénò quà ^ è fa a èàprìcciópih
francamente « che non fòvolèggiarono i Poeti eflcrfi tra- sferiti da ì Giganti
i mónti piii alti , e podi 1* uh fbvra 1* altro per guerreggiare col Cièlo;
Quihdi pòi nafeè P ignoranza de* còdumi di tutte ancora le hàzioni d* Italia,
éd il pà Ciar- de in fórma tàhtb pih ridicola ; quanto pii!( franca; ed io
déflb nò fehtito dire da non sÒ chrJ/éa/ff ba molto del làmbardó: volendolo
qualifìeare per mài creato , poiché da certi Carbonari Lòmbardi capitati nel
fiio paefe^ égli mifurava il rimanente di qoclla ben cal- ia, ed oho'rata
Naziohe ,bnde rifpòfegli uaJ huomo d* ihtélligéhza: ìhgaanài e; Signo-
re, perché in Lombardia nóttfono tutti Car~ bonari. Vivono ih fomma codedi
infelici tiél Mondò féhza fapcr dove pòlihò il piede i e fé ih carta potefle
trederfi il ftdema ; che_i ' della Tèrra , e de i Cièli ; fi fórniàno in ca- po
, he pèrdeiebbono. alfai hon quelli folà-» théhte di PittàgòVa, è di
Ciopcriiicò, nià i piti dfahi àncora , ed ipifl càpricciòfi . Nè que- lle fon
còte ; che fi fingano da i belìi tn^eénl per dar materia di ridere, mentre
anche a di hòdri hon è frìàncatò chi fentendó nomina- re si'i i fógliètti
Dortchércheh Città defla_.' Fiandra, e Marlèbóui^ già gran Gènerala^' dell*
Inghilterra , comhlcndafie quella per ùn valorófb Còhdottièró d’ armata , è
cré- delTe quedi Una Piazza Tnvedlta dall* armi di Francia . Elfcndo àddunqhe
ciò'pcr iipèrien- aa 33* . . . * za di Fatti yerimmo iò
non so coniprenaere > tome non. Cerchino Codefli mefehini la ma- niera
d’illuminarfì in cofe , che tanto fQnó triviali) eid ordinaric^I’Ignotanza di
cui trop- J)o è vergognòià , $ biafìmevoie accpfiando* i appunto a quelle
perfbne, che citendon appieno informate ne diicorróno fpefTo , ne condifeono i
ragionamenti lor iamiliari » e qiiélle Conveclàzioni, dove fi trovano . Bi-
sogna ben dunque crédere , che non (ì curirl taluni j come fu Coflume de*
Scettici , d’ altra cognizione, o evidenza ,'che delle cofe , le.» quali cadono
(otto de i fenfi , e fpezialmente qéll^ occhio, ponendo tutto lo fludio loro
nel fàper decidere di vaghezza da Paridi novelli tra Volto, c Volto i di
bizzarria fra le concia- ture; di gufto fra i nallri; e di proprietà fra_. le
mode , Quefto è un farla nella (cuoia deir le Femmine^Sàlomoni reftringendo
tutta iafoftanza del (apére ad una puerile Filofor ^a di Gale, datettetvi beli
taugi ,'dicea uni» huomo di fenno , là fiamma , petebè iti poca fpazh tutta
ridarrebbéfi in tenere. Riflettà- no pertanto i Giovani pofatamènte a quella
^ezie non immaginaria, ma realiilìma di mi- feria, eVéggiano fé torni lor conto
di con- durre nel Mondo utia vita fi deplorabile' , e si lontana dal gran’
piacere , che provàfi nell* Intel igenzà di quelle còfe medefimè, fra 1^ quali
lì vi vé . ^ Per me ho. femprè . giudicata éfr.rc uguale' infelicità il-
paffeggiare per • ‘ qual- ' m I qualche
tiobi le Galleria coiuotto a mano un cieco ridendo > e dando giudizio di
quelle^ rarità, che.non vede, quanto il viver nél Mondo t'aliini allegri,
"è difìhvolti, dilcorren- do con tutta franchezza delle tante cole, che
ràrricchifcònójfenzà averne della minimaJ.' di effe oin*ira aldina di
cognizione fondata , limio cbhfiglio però farebbe, che eglino’
fre(i(uèhtu'ffer9" la Convèrfazione riflrctta_> , quahdo (là compofia
di perfotic ffudiofe in» ilieme,'e ben cbitumate , per apprendere con' diletto
ciò',' chb non ranno,interrogàndo coti; gran principio nei fàp(
èfìl ancora darfi alla giòcpnda lettura di tan’» ti Libri,chc abbiamo di'cqfe
naturali, di con- troverfic, di inattematichéj d’ idòria , d’elò» fl“ enza ,'e
di pocfia per appigliarfi almeno a i capi delle materie, generali , e non
abbiano ■"a'riufcir loro novi gli argomenti , fovra de i quali. fuol
cadere 'il difebrfo de i faggi . Ciò poi da éfTi fàcéndoff verranno a’poco a
poco iad affcziònarfi alla virth, il buon feme di cui introdotto , che fia
negli'aniini fuol partori- re effetti ammirabili, e crcfccfe in una piena, c
lòvrabbondantc raccolta di frutto non me-* ■hó diirevoie, che glofìbfb . ' • '
' • * ^ ^ * < Ti » i «
. 4 • • * Della i Digitized by Google
. Della Sojlanza del Mondo Modèrno, ^ • • * C A P O
XXII. • ** I. X p mi penfq , che IcggcndoQ da’più co? ^ ripli
il titolo di qucìlo Capo vi corre? raniio f'ubitodandofì ad intendere, che
debba cctcnervifì quaìche mor^ce l^tira centra del: prL-telp at'uR) nioderno^ed
iti confegùcnza un palco lo fapp^itq per gii umori piìi cHtici.^io pcnfiero
però nou è’ nato mai nella condotta di quello libro di lai'ciàrc la penna ih
libertà fecondando lòtto pretcÓo dì zelo il genio, che hanno molti di notare in
maniera piccan* te i vizj altrui , e mettere chi vi feggiace per dilà V ventura
in ridicolo . lo non ho icritto per altro che per .togliere il male , quando vi
folTe , e fenza fqpporlo mai con certézza^ ho cercato di Bngerlo lòlamente in
idea,é_i lardando alla colcien^à di cialchcdunó il d«> cidere le egli vi fìà
, 9 nò , porgerne quel ri? medio piò dolce , che unir il pòlTa. colla di-
fcretezza , e còlla Morale. Con tutto qu.eftò però ho giudicato/ elTere obbligo
indifpcnfàà bile di chi s’è prefilfo lo fcrivere in tal matér ria , il togliere
la mafebéra ad una qiunicra.^ di vita, che moderna chiamandoli d^gH huo~- mini
piò amici di libertà , pretenderebbe.» d^autorizzare in molte cofe colcoftume
il di> (órdine, e colia gentilezza le corruttele. Scm-< ■
br& Digitized by Google bra a (alani | che tutte le
azioni per quella:, dleriorc corteccia di confuetudinc moderni ottimc eirer
deggiano , e plauftbiiit.quafichè gii huoQiini d’oggidì avelTero facoltà di
con' vertire il male in bene > e formare eflì una_« Legge nuova s per cui
tutto avelie a crederli buono y Quando fatto egli fia da loro.. Per me non
crederò mai, che viva nel nqdro Secolo .alcuno • il quale operando > o per
fiacchezza» O per malizia eontra le fante .Leggi divine, ed umane , fì
dia ad intendere , che altri debba^ fcguirlo impunemente, facendoli della fuaM
vita un cfen»plare , ed un dogma inBillihile per . regolarli a capriccio eontra
i dettami della ragione. Pure c verìllimo , che i piò de* boli pret.endpno,d’aniformarfi
alla pegola* che li tiene, da’ :licenzio5 , ed oppongono alla correzione, de’
piò zelanti l’ufo modernò* copie. una fpezie.di legge inviolabile, cui non
polTa , c. npo deggia eontra vvenirli.Per illuminare addunque,c.hon mai
peraltro, fimil forta d’huqiQÌ<ii troppo femplici , o mà* Jiziofì , ^reiup
qui un opportuno , ed utile.r* fmafeheramento di quel Mondo , che elTi ap-
pellano abolì vamente moderno , e che non-. altro , che il midollo
appunto di queldifor- dine , il qual.c ^ abbiamo, finora colia divina^ Grazia
cefcatq d’abbattere, ed efamineremo le mafiime di coloro, che l’ hanno
introdotto, . e s* atfaticano per avventura di follenerlo. Qui li parlerà
gencralilfimamente., poiché è ben ‘ fcen certo , che la
hiigHore , è maggior parte degli hiiomìni fi ridono di queda chimera di Mondò
moderno , e fapendo, che Ja S; Legge di'Crffto è una rola,cd invariabile,
vivono ftcpndò le ordinazioni ' di cfla'lafòiàndò che altri vada dolidamente
Ipacciarrdbfi per huò, vo Legislatore , e propónendo' ' forme noni» più udite-
di vivere, ed oppófte affatto^ all' ^'vàngelio.Méttiamoci per tanto-dinanzi
agli iòcchi il curiofo Gaftello aereo'dl Quello Mon*. dòi è come dal Signóré fu
comandato al Pro- feta fijèchiéllo'C^^ in órdine alTcmpiodiGe- TÒfoliiiia andiam
forandone la''Còlórit5 pa- Vetè'eil.erna pei^éde'rvi ben dentro, e difeo-
■pfirnè la' più intimale più'hàfcóda Ibdanza. Quattrafoie aperture noi
faremo-in codefto murò v'che' balFeraiino'a farci- conolcerei» .«fiondò
ùh’ingannó-VchbtrOppO laria deplo- Tahile j quando' màPfi'rendèlfe 'èomunc ,
e_* vedrfe'mò i ch’è'in -quéfto Mó'ndb'compofto da pfócKiHimi- Libertini ^àltró
*iion , fi contiene* Che 'finezza fèàza 'finetrità 'i tìtn^ér'fiztmcì* 'fettzà
ametzta i' apparèfipa' fèHz<f Mìanzek gfj^rìt4Jeft^à‘diéì>ziófieì'' ^
ì;-* •- ir-.'-’“f<ingéndo addunqUe ,'ch*e''l*union»dt
póché|"Tefte ipal cònfigli'àte dvelTe potutb ■fermare da fe un Móndo
huovO, pter éonvin» céflc iò la difeorro di tal mapierà;Penfoi die \ 'L 1
1;*;'. fili 1 ' ~ ■- -. *. -) ^ ♦. Ci^ eap. la.
«A* k 'ì\ r. Digilized by Google
I tvf lùl 'nafccre del prefente Secolo abbia fortito il
fìio principio quedo viver moderno , che da taluni fi tiene per un nuovo
Decalogo; poiché rifletto y che venti > o trent’ anni fa, quando io era pure
in idato di qualche di« feerhimento , moltiflìme delle odierne co« dumanze non
praticavand punto, ed il Mon* do , per quanto a me fembra , era molto mi-
gliore, C^egli , che fono ancora di frefea età partecipando , e del termine del
paflato , de’ principi del prefente Secolo, jpotranno Convineerfi da (e
medefìmi di queda verità, che parmi incontradabile , e combinando i già fcorfi
co i tempi d’adeflb decidere , fé tra fante finezze moderne pid fi ritrovi
l’anti- ca fincericà , che ne’ Tuoi anni pih floridi egU già vide in u(b
appreflb di tutti , Per me non SÒ , a dir vero , trovarla , fe non fe tra
quelle perfone, le quali confervando pe ranche-» i’codumi d’allora foffrono
d’eflcr notate, co- me huomini y che vivono all’antica , e di le* gregari! dal
nuovo Mondo per non frguirne le corruttele. Sento dirli d^’nuovi FrabbVica-
fori di quedo Mondo , che in oggi per faper vivere bifbgna faper dedreggiare ,
c facen- do con^uni a tutti i fenti menti cortefi dclla^ lingua tenere perfe
ipiii fegreti del cuore, 0>n viene, dicono efli , parer tutto di tutti, ma
elTere poi di quei foli , ohe o pih piaccio- no , o pih giovano ; comperar
molto , e ven- der poco ; prometter tutto , ed attender que 1 y
taa- tanto (blamente , che mette conto i poiché; troppo è buono
colui , che (ì lafcia veder nell* animo , c non protìtta della fortuna, che
tut», ti abbianio di poter fempre celare ad altri l* interno , quando (1 voglia
, facendo fervir le parole alla hnezza , e l’animo all’interelTe. Non niego io
già , che la didìmulazione ia^ alcuni cali non fia una virth
.Y^*it^ggÌ<^i*3>^. neceffaria : ma non l’approvo in tutte le co- fc, ed
in ogni tempo, tal che s’adoperi de- liramente con tutti per guadagnarne la
buo-, na grazia , e riferviQ la fchieteezza per quei . pochi unicamente, ad
amare, o fervir cui polfa portarci', ed il genio, e la fperanza, troppo efrendo
facile , che il dilHmulare in_, talgiiifa degeneri in una manifefta , enera^
finzione . Quella infatti lembra , che fia la condotta di chi fi prefigge di
vivere alla. mo- derna, ed è cofa , che muove ri(b il vedere in taluni una
facjlità sì pieghevole alle promefi* fe , che nati pajano appojda per fervir
tutti, e . penfar tanto (bvra d’un sì quanto bada per. proferirlo , fenza
riflettere , che talora per (bilcnerlo non bafta. la vita , e le (bllanze,^
d’un huomo. Quindi è poi , che infiniti di co- ! defli s) divengono un nì>
in pratica , c yeden- , / dofi molti delufi di lor fperanza tardi
s’ac- corgono „ch e la finezza fuppofla di chi prò-, mette non paffai termini
della bocca , ed è Un iémplicc abito di cortefia apparente , ne^ . quale punto
^non concorre la yplóntà . In.* _ prò- ' DIgItized by
Google $S9 propofito di quefio dlcevami uri’ huomo di fìanipa
vecchia •v'appoggiate fuUe pro~ tnejfe iP oggidì y peychè f e alcuni •voleìfero
attendere tuttociò , che sì age’Volmente pro- mettono y ad ej]i nulla
rimarrebbe di proprio. Io sò, e lo fapranno ancor molti, che i V^CC'» chi da
noi conofeiati penfavano afTuipiàfo- vra d’un iì , che non fi penfa in oggi
U3vra_4 d’un nò ; ma chi aveva allora un sì po.tca., farne un capitale ficuro ,
perchè Taverlo ot- tenuto con penlàincnto era un con tra légno d’clTere egli
ulcito dalle altrui labbra per conlentimento ancora del cuore , e col con-
figiio della ragione , la quale non lalcia mai impegnare veruno in cola, che
riulcir nou gli pofla. Lodavanfi da Plinio (a) quegli huo- mini , che fanno del
benp fenza prometterlo, e gli raflbmigliava al Fico,// gua/e non fa- cendo
fiori ha pure frutti dolci ffmì An oggi però vediamo Piante di bellilTirni
fiori , che poi non legano in alcun frutto , onde potria forfè , quando non
foflc ingiuria de’piiiie_;* de’ migliori , quello , chiamarli il fecolo deir le
efibizioni , c dejle promelfe,che durano tanto , quanto i fiori di, Primavera
fugli albe- ri . E’ bellililmo il penfiero d’una Donna di fpirito , che ancor
vi ve y fe mai , ella diceva, ìif potefif evenire afegno di bramare d' e
ffer ' Y 2 ‘ -Reoì- £a3 Lih.i.c.26. i
?4® 'Jtegìna cYeio , che nel Mondo moiefno Yttró^ nferei la
eqrtefia dì chi me lo promettejfe con ftcurezza . Se quedo fìa veramente così
io iafeio deciderlo da coloro > che poteflcro averne pur troppo qualche
rifeontro , é dico iblo > che quando fìa , non potendo accadere* che tra
que* pochi huomini , i quali formano il nuovo Mondo > farà confìglio
lànillìmo' lo ^fuggirgli) ed attenerfì al conlbrzio di quegli* che ritengono la
fmeerità > e la fchiettezza^ del vecchio . Piti giova fenza alcun dubbio
anche al mero interefìe privato di ci^fchedtt» no l’attaccarfì ad un (blo huomo
fìncero * che a mille d’apparente fìnezza > poiché farà fem- pre certo ciò ,
che dal primo promettefì*ed in calo di negativa io^tengo per minor pena.* '
l’efTerc levato difperanza da un fìncero* che il venir delulb da cento sì * i
quali a nul- la fervono. III. Dal mancamento della Jtncerhà fi comprende
benilfìmo l’altra firavaganza del Mondo moderno , dove (corgefì una conti* nova
Converfaztone fenza amteìzìa . Per ve- der quello con tutta la maggiore
chiarezza.* baderà dabilire col dottilfìmo Conte Ema- nuel Telàuro, che lo
ricavò dal Filo(blb,C<f) tre efìerc gli atti della vera amicizia; cioè •
benevolenza * beneficenza. . e concordia . bene. [a] Pìlof.
mor, /. 20. f. • 1 DIgilized ùy Google ttùiitótettitt
altro non è « elio un movimentc^ femplice della Volontà , la quale brama il
bene ad alcuno , fenza però muoverfi per far- I glielo da fe medcfima, o
proccurargllelo d’al- tronde j e fi può diffìnire lina propenfione dt buon
animo verfo d’alcuno * c però difle il Santo Arcivefcovo Ambrogio, (a) che:
fami- eìzta é vtrttt t ffoa gàadagao iaterejpttOiper- eh§ fi compra colta
buatta grazia , col da* tsaro* ta Beneficenza è un’atto di volontà effi#
cace ) ohe non iblo defidera'» maproccurail , bene aiidor dell’amico , anzi a
lui àudio llef- fodomunica,di cui ella gode «onde IcriiT^ A^iftoteie , (fi) ebe
: tutti i bent degli amico ■ fono Comuni . La Concordia pofòia è un con-
fentimento rceiproOo > ed armonico di' ani* mo y e di parere , per cui
Convenendo infic- ine pacificamente gli amici , di due , o di pii volontà, fe
ne forma una fola , cne però in* legna S. Girolamo (C) il Potere , e non
•volerà te Medefinte cofe , efiere ta itera , e fiabilcj» ' amicizia . A
qUefti tre atti aggiugne S. Ago- ftino il quarto , Cd) ed é la fè/e , e cofanzt^
ttClle aifverfitàiChe può cbiamarfila pietra del , paragone per diftingucre^
tra la vera, e la^ falla amicizia $ rtientre ntuné cofa -, dice il Santo
Dottore y coti bene prova /’ amtcù% V t 9^"»: Ca)
Lib.-i.de Of Cb) Lìb.^.Ethic.d^* (c)fip‘^ ad Demet. (fl) Lìb, z* quafi*
t Digillzed by Google ^Hanto U portare eoa
toìersazH if pefo dcir fl/fro «w/fo . Non fi riconobbe mai meglio» cheGionata
(<») veramente amico: dì Davide , fe non quando, gli porfe ajuto con- tra là
fiera pCrfecuzione del Padre di lui Saul- ]e , nè che Giureppe tanto folTe
amàto da Ru- ben,(A) fe non allora , chelàlvollo dallo sde- gno degl’ iniqui
Fratelli , che lo volevano morto , onde conchiudi lo Spirito Santo , (c) che ;
ama ia o^aì tempo chi è Vero amico . Ora potremo col lume di quella Tana
dottri- na rinvenire agevolmente la verità, che io ho propofta ,cioè elTere
pieno Codefto Mon- do moderno di Converfazione fenza amici- zia . Se il primo
atto di eflfa è la Beaevoieaza bifognerebbe , che gli huomini , i quali tutto
giórno inficme converfano , reciprocamen- te fofler benevoli , ed amafle l’ano
il bene^ dell’altro godendo, che l’amico fcdTe feliccj e ricolmo delle più
vere^ profperità . A me_» però fembra, che regni in codefto Mondo un*
invidietta oppofta per diametro alla bene- volenza , per la quale niuno vede
volontieri le fortune dell’altrt) , e ben lontano dal defi- derarlC) come
dovrebbe , le mira anzi di mal occhio , c pare ,'che fe ne attrifti . Ciò fi
rica- va da certe rifleflloni , che Ibgliono faiTi da^ taluni
fa) i8. (b) Gea.^z.j i4 ic) Prov, ly. _ \ DIgHized by
Google 'V. • Càluht fbvfa gli avànzameti di quei mec^fimi,'
itì compagnia deiquali fi trovano fpeflb,odi- rniniicndogìi nella foftanza, o
attribuendogli piò al cafo > che al merito , o mal volontieri foflfrendo
> che fe ne parli da chi ne gode. Per lafciar da parte il cofiume tutto
diverfb di quegli , che fono del Mondo antico anch&j nel cuor del moderno»
io mi ricordo , che ne* tempi già fcorfi empievanfi intimili avveni» .
ihenti felici pel Proflìmo di gioja le cafe non folo , ma le intiere Città ,
ognuno facendo z gara di rinvenire argomenti , onde fi pro- valTero meritevoli
delledignità, e delle for- tune coloro , che confeguite le avevano, e ne godeva
ognuno degli amici , come fe toccate folTero a lor medefimi. Per indegno
farebbcfi ben tenuto colui , che avefle ardito di mot- teggiare, o la pcrlbna
già graduata, o il per- fonaggio , che favorita l’avea , tanta era la.^
benevolenza , che l’uno avea per l’altro , e_» l’intereflTe, che facevafi
d’ogni fuo vantaggici Vediamo pofcia in oggi tutto il contrarione’’ nuovi
Legislatori , ed oltre al poco godi- mento, che fi dimoftra nel bene degli
amici, vi è pur ancora chi cerca di metterne la forte in ridicolo , ed
ofcurarne con motti piccanti la gloria , cónofcendofi chiaramente , che-* l’ufo
del converfare punto non ingerifcedi benevolenza negli animi loro . Se pàrliam
pofcia della Beiìeficenzs , colla quale dee_» pròccurarfUa felicità degli amici
» chi potrà y 4 WM ( • *» ?44
inai tro\^arne. veflig^o in un Mondo st'pIeiK».-. d’amor proprio > nel quale
anzi » che dare^ ' alcuna cola del fuo pare > Che afpit*! ognuno a
quello degli altri ? Sono ben rari quegli huc^. mini , che facciano t fecondo
la regola d* Ari* itotele, comuni agli amici le propde foltanze» ed io penlb,
che rabbia indovinata alTai bene* e polla dirfi felice chi sà guardare il fùo
dall* altrui rapacità . Sento , Che ognuno (i lagna_« di non trovar pii
incodefto nuoVo Mondo, chi (la capace di .fare un piacere al compa* gno , ed
anzi , che vederli ofFedre di Cuore./ 1 benefìzi , come facevafì negli
anni feorfì , e ft là nei vecchio Mondo» non badano tutte le pili ferventi
preghiere per confeguire un pie* ciolidlmo ajuto nelle Urgenze migliori, quan*
do farla doppio il merito della benefìcenza.Id l*ho talvolta olTervato in
propofìto Iblamen* te della Gloria , che ò un dono di ai poco dU ìpendio »
vedendola tolta con fomma avidità a chi fe ì’è guadagnata con nobili imprefe da
certi , che o nell'altrui concetto, la feemano» O l'attribuifcono a fe mcdefimi
con furto noxl lieve . ineife Fidia in moltilfime ftatuc il no- me di Agorante
Parlo, luo per altro infelice Dilccpolo , per genio di renderlo eterno col
pregio de'fuoi lavori i e noi vediamo non.» pochi vivere a fpele dell'aitrui
nome , e farli merito di oiie' (udori , che altri fparfero in- vano , perchè
fpogllati con ingordigia rapa- ce d'ogui titolo d’onoraaZa«Della
Coacordia^ Digitized by (^ogle « . . .
*4^. éhe è il tei*2o atto aella vera amtetzta altro ià tiòn dirò , fé non
, che diifìcilmente la vedianl confcrvarri in oggi tra i Congiunti f)iu Aret- U
, noti che tra le Con^erfazioni » e tra gli iiuomini ) che femhrano pià
ftrettamcnte le* gati col vincolo d'Un reciproco amore . LaJi deformità di non
poterli in alcuni paeli iole* rare inficmc 1 Padri do*Fig!Ì,le' Suocere-# colle
Nuore , e i Fratelli Colle Sorelle , é un_» COllCme certamente moderno , perché
ne* tempi feorfi di frefeo, ei vedevafidi radilTìmo# c fembrava si Arano , come
pare adelTo il Ve-» dcrne infieme taluni vivere in pace . Le riAe, i litigi ,lé
inimìAàjChe hah rovinate ornai tante Famiglie, fono i frutti del trovarfi code*
Ai huomini del Mondo modèrno fempre in* Acme , e bilogna ben dire , che Vadano
per- ciò peggiorando > giacché decife Mùlbniò prefTo di Stobeo : [d ' non
pòterfi fra i càtthi . sonfer’bar U cóncordtd . Mai forlé non fìi pii vero, che
in oggi tanti elforc i pareri# quante fono le teAe , ed io eleggerei piò toAo
di tro* vare due facci e tra i viventi del tutto fìmilL che„duc huomini
uniformi di cùòre #€ di fen* timenti , fra quegli ,che fi fart glòria di vive*,
jre alla moderna. Per quello pofcia ,chè fpet* ta alla , è alla fiejiantd nelle
avverfitài iù ben Vòlontieri me ne rinietterò à Chi lèg-* 8«
>*#• 1- c») Sir. yg. «
V gequcfU miei fogli, perche ne aecidà' egìt ColTo . Se poi
deggio dirne il mìo parere^ (bggiiignerò d’aver pih volte con arp*nìra- zlórae
vedato rinianerfi nelle cbntìngènze_» pih gravi derelitti tcrt’uni da quei ,
che te- nevano per fedeliifimì amici ,c ridotti a fotìe- rire tutto da fe
mcdefiniì l’aggravio del lor dcllino , come fé appunto flati tbflero nel lor
paefe Indiani , o Norvegì , c léntirfi porgere fra la truppa de’ lor confidenti
quel lòccorfo» che troverebbe un povero viandante aflalito da’ Mafnadieri nelle
più cupe , e folitaric bo- fcaglie. Il meglio , chc nelle trayerfie avve- nir
polTa agli fventuratì ,(ì è il non fentìrfi deridere da chi farebbe in obbligo
di fov ve- nirgli , e non dover aggìugnere alle altre la malhma pena di fare
altrui piacere col pro- prio male : dclrimanente buon per loro fe_» hanno degli
Avvocati nel Cielo , giacche lut- ti perduti fono gli amici nel Móndo! Se così
è come piir troppo fembra,che fia,ionon_» crederò d’aver male penfato nel
figurarmi pieno codefio Mondo moderno di Con verlà- zione fenz’ombradì leale
amicìzia , mentre.» l’immagine menzognera di lei fi trova m^- cantc degli atti
più neceflarj , e più glorìofi d’una sì bella virtù .Quell’ amore , che rifat-
ta dall’ufo frequente d’eflTere gli huomini in- sieme , può chiamarfi un’amore
d’occhi , c_j ìsoh di cuore ^ come dicca laerzio notando» «he;
Digitized by,^^)gic 54^^ éhe : moleì non arhatto fe
ttov fe alcun poca alloTU t che Reggiano . Voglio conceder lo pure , che
In converfandofi tutto giorno pof- fà un’huómo concepire qualche atFczIonei»
verfo d’un altro, ma quella , a] parere'di Tullio cuna certa qualità di
benevolen- za, che pub paragonarli a quella de^ fanciulli, che prello
s’invaghifcon di tutto con un’ar- denza d’amore , che punto non è durevole;
< onde è poi, che terminata quella Gonvcriài zione , quell* abboccamento , e
quel giuoco, niuno è pih amico dell’altro, anzi non lofii mai, Glfendo , che;
^amicizia , atteda S.Ago- ftino , [<r] la quale potè finire , mai no» fu ra
amicizia. ly. Perciò fi conofee appunto l’altro dt- fbrdinedi codedo
Mondo riccod’ una bella^ , ma fenza veruna fojìaaza. Per non diffondermi
troppo redringerò quedo punto alla fòla confideraziori e di vederfi in_. edb
confuti affatto gli dati delle perfone, pii non potendoli didinguere per forza
deMuffb tra il Ricco, ed il Povero, tra il Cittadino ,e rArtegiano, tra il
Civile, ed il Plebeo .'Que- fta è co fa ,che vien mal fentita , e condanna- ta
da quegli ancora,che fodcngonole codu- manze moderne ; ma ciò non dilpiace
loro* che Ca3, Lfb. ì. eap. i, [b] uÌtÒf [cj Uk. ^ de
Dtì. \ Digitized by Google t
» I 34 che in riguardo ali’ ambizione » la
quale nott vorrebbe cmoli) ne gareggianti nel fallo» Vi è però dentro un altro
intfonveniente af* fai più grave j che debbc renderla con mag* gior giudizia
abbominevole , ed è la perdita d' una certa favia moderazione , che da eia»
feuno dee Oonfervarlì nel proprio rango, d* onde poi nalce il buon ordine alle
Cittadi , ft alle Repubbliche tutte sì vantaggiofo . Tol» to, che egli fìa , ne
vien fubito la confufione origine di moltiilimi danni, e lpezialmente_a d’ una
fuperba alterezza } per Cui gareggiane do gli Infimi co’ Supremi viene a
mancare.* la debita dipendenza , il rifpctto , e la fubore dinanza dell’ uno
all^ altro, che ha (labilità V Altidlmo per lo buon regolamento del Mondo eolia
diverfìtà degli dati nelle Crea» ture, che Io compongono . Io mi ricordo» che
anni Ibno era in Italia Una Certa diffe- renza d’ abiti, per cui qualidcavanfi
benìlfì» mo le peribne , e meno ridicola non (àrialt fenduta una dolina vile in
ufàndo di Sete, e.j di BroCati, che in palco Un Arlecchino Com» parendo Con
manto reale. Capitando allora Un Forediero in ciafehedUna Città Conofbea fubito
dalla fola differenza de’ vedimenti gli ordini di effa , e fenza , che 1*
infòrmaffe ve- runo lùpea da fé medefìmo, Come contenerli Cbn. tutti ». In oggi
pofciala regola del velli» re 11 piglia dalla commodità dello fpendere » e fe
i’Àrtegiàno d trova pingue» e ricco, po* N DIgilized by
Google / • • • • ^ fri reUfr la Moglie di ganzo «
elalciar le te* le a quella Signora, là cafa di cui è incommo*' data ,
vedendofi di più bene fpe|fo meglio in órdine un huom di falario , che un altro
idi groflc rendite, è più carica tal volta d'oro Una Contadina, che una Padrona,
Perciò dicea un Oltraniontano d' umor faceto rima* ilo più volte delufb in
falutando profonda* mente alcune fantefchc in vece delle padro* ne in una delle
prirnarie Città d’Ital la : fe h Donne di quejlo paeje non ìforivonfi infran-
te chi elleno fono , io non •uoglio piu cavarmi di cappello ad alcuna , £d in
vero gli eileri non Iblamente, ma noi rncdelìmi riinanghia* mo forprefì non di
rado in vedendo nelle_* nodre delTe patrie ufeire in pubblico di quando in
quando certi incogniti Perlbnag* gi , che fembrano ali’ abito del primo Ordì*
ne , quando poi veniamo a poco a poco a., (cuoprire efler gente dell* inlìmo ,
che poc* anzi coperta di drapei neppure (ì rimirava . £d ceco quell’ apparenza
, che punto non ha di fodanza , mentre dandoli ben full’ avvilo veggiond ufeire
i Mantò , le feiarpe , e le_» icudìeda certe cafe,che vagliono meno affai del
veditodi chi le abita , e dalle quali en* trata, che davi la Padrona col
cerchio , hifo* ’gna , ohe d ritiri il rimanente della famiglia per non potervi
capire . Rilì non poso per verità alcuni anni fono in lentendo. parlare .
i-ndeme due Critici Ibvra la sfarzola cóm- parfa 4
Ì50 i . , parla d’ una Donna di baffa lè^a; io mi ftupi- fco,
dicea T uno, d’ ano fola cofa , come elicti fojfa. tener puliti sì bpì merletti
nel fumo continolo della mefchtna fua cafa ; male •voi i' intendete t
lòrridendo rifpondea l 'altro ; io ammiro in ejfa piàgiajìamente quelgran^
genio di penitenza fegreta,che •vedendola di ricca fiojfa la fa poi dormir
falla paglia^ , Leggiamo, che Agatocle Tiranno della Sici- lia (a) effendo
figliolo d’ un povero Pento- laio volea , che nella menfa Reale tra i vafi d’
oro, cd’ argentò, fi raefcoIalTcro ancora-, alcuni piatti di terra per aver
lempre fugli occhi la primiera fua condizione, e non feor- darfi per la
prefente grandezza della pafiata ihiferia. Non è pertanto un abufo inlòfifri-
bile ,che le genti piii bade facciano ogni Au- dio per obliar l’efTerc loro, ed
ingannino con llgoorile comparfa.i riguardanti , empien- doli pofeia d’albagia
per gli inchini di chi non le conofee , e volendoli mettere a forza di ludo in
quei rango, in cui non le ha collo- cate perfUoi altidìmi fini la Provvidenza ?
None quefioaddunque un male così leggie- ro , che non meriti una rifiedione
diAinta_. * cd a cui non dovede cercarfi un pronto ri- medio,oche non. abbia
per lo meno a fuggirti con ogni premura delle perlbne ancora, che per inganno
vi fono kiimerfc J '■ V. Uni- (jii) tlaut.ia Pfeud.Scett*$- a. i,
— DigitIzecI V. ultimo abbaglia > cbe io conildcra
negli Idolatri del mondo moderno , è l’ am- mirazione» che fi fanno efli per
vederlo com- pofio d’ huomini tutti vivaci , c più briofi d’’ affai» che non
fembravano quegli , che vilfe- rs> per T addietro; ma qu> appunto
confifie 1’ inconveniente più grave , che abbiam di fo- pra accennato, cioè
l’allevarvifi huomini di /pìrito , ma fenza dìvozhtte . In primo luo- go
convien diffinire.codefto fpirito , e code- ina vivacità » che tanto da i meno
rifleilivi ò decantata nel lor nuovo Mondo , ,c confidc- randola propria di chi
ha pretefo. di far dog-- ipa d'-un viver libero, e capricciofo, può dir- una
franchezza d’ operar male fenza ri- morfo , t feiiza timore . Codefia animoiìtà
non merita .certamente il bel titolo di un na- turale fpiriiofb , e vivace , poiché
1* operare Qontra la ragione, (ècondando l’ impulfo del- y inferiore appetito ,
è debolezza originata , o da mancanza di conofeimento , che è unaJi. difgrazia
deirintelletto, o da elezione di, ma- lizia , che è un errore di volontà . Gli
huo- jnini veramente di Spirito » perchè meglio qonpfcono il proprio dovere ,
fono ancora., più regolati nel vivere , ed affeguando , fe- condo il documento
dello.Spirito Santo (a) a tutte le cofe il fuo tempo fono per ordina-
no « » I ■■ ■■ M» ■■■* la] Eccl. c. I .
V rio i pih dfvoti t ed i più efatt! nell’ oflervan- .
padella divina Legge . MpUiiiìmi io neco« (j^ofeo in ogni ScOo, i (^jttaii pep
attenti, che.* fieno a tutte |e eonv'enieu.zc , e della condi« 2Ìone, in cui
nacquero , c dei luogo » in cut vivono, fi fanno pofeia uno fcrupolo ben de-
licato di mancar njai alla minima de]}p ob- bligazioni legali, e dando Tempre a
Dio pun- tualmente CIÒ , che è luo , vivono in un poq» tpgoò sì religiolb , che
(1 rende invidiabile.» alle anime àncora piii diQngannaté del ie- polo , Si
veggionp ■ frequentare i SS. Sagra- menti con una tenerezza sì divota di cuore
p che fù meraviglia nel tempo ftclTo', e com- punzione , e còmpariièono Tempre
per tutto coftanti ne* p,ropoTld^dclla pridiana mode- fìia, che alle pòìe tutte
corteiòmete s*accom^ inodanO) Tuo.rph^ a violarne le Sante Leggi , é Tebbene in
ogni luogo Ti laTcian vedere ma- /pierpfi, edifinvolti > Tono però
pjrpntiifitni n romperla col Mondo ogiii volta , che dovef- fero in grazia di
lui diTguftarfi con Dio . Co- défte cì> Phe poffonp dirfi perlòne di Spirito
yivaci; accorte , é di meate Àregljata p men- tre Tanno , sì ben maneggiarfi
pelT arduo ci- mento di viver nel Móndo Tempre fedeli al proprio dovere , # ,
fecondo la dottrinai del Kedentore,Cc:‘) aCefàré ciè.ebeè di Cefa-* fé, e
a J)ìq piò , phe è di f)ig , L’ conlìgliata^ -in Ca) Mattb,
z?» Digitized by Google I J5'J in
vero , e ridicolo(à la meraviglia d’ alcuni in tale propofìto > mentre non
fanno' com* prendere » come taluni de’ Giovanetti fieno *\ arguti , sì pronti ,
c sì'iefti nell’ età ancor tenera, .onde par lQro,chc quello fecole par*^
torifea ingegni piil felici , menti più capaci , e naturali più fpiritofì . lo
pure conrclTo > che in oggi è più delira, e Iciolta la pucrizia> ch.e
no.n era al mio tempo l’ adolefcenza , ^ la gioventù , e mi ha fatto per
qiialché anno dello flupore: ma venendo pofeia la Dio mercede in qualche
maggior cognizione ho comprelo non eflere codefla Una felicità,ma una (Ventura
bensì, dove troviO, dei prefen- te fecole . In fatti ciò deriva da uà lagrinie-
vole rilaflTamento , poiché mancata negli huómini, che fupponiamp del nuovo
Mondo, 3uafi affatto l’ educazione , un tempo sì rigi- a, e sì elàtta , è
lecito a i Giovanetti il pra* ticar nelle veglie, il ritrovarfi a i Teatri ,
a_. (.Conviti , a i Balli ,, e (aper prima conofeer Je Carte, che l’ Alfabeto,
onde è , che (ì veg* gionó pofeia innanzi tempo efperti nella., malizia, e
pratichi del mondo, prima quafi di làper cofa ei fia , Negli anni feorfi elfi
lion.. conòlceano altri, che il Padre, e la Madre.. la loggez:one de’ quali ,
benché portalTe del tedio , cagionava però un gran bene , obbli- gandogli all’
efercizio della virtù : adelfò co- nolcéndo tutt’ altri , che i genitori
impegna- ti nelle convenienze del loro Mondo , ap- A
Diglllzed by Google 0 J ^ prendono quelle mafiime ,'che
polTono effer loro fuggerite da perlbne luercenarie » e di* fmtereirate nel lor
profitto > e pigliano a be- nefìzio'dclla natura quella piega , e quel co*
fiume, che più gli piace . Quello addunque j che da i più deboli in loro fi
chiama Tpirito , vivézza, e brio, altro non e veramente, che_« un effetto di
cattiva inclinazione coltivata^ dalle negligenze de’ lor Maggiori, e che dal*
le perfone prudenti, o fi vede fpeflb con nau* fea,, o fi deplora per
compaflìone . Quando ciò fi voglia vedere con evidenza bafta offer- vare, che
codefti Giovani si fpiritofi, non di- vengono per lo più h uomini di gran
levatu- ra, come accadeva nc’tempi già feorfi, quan- do erano men fvagati , é
più attendevano al ritiro ed àgli ftudj . Ciò pure fi confermaL^ : nella
riufcita di que'figliuoji, che fono alleva- i ti anche adeflb all' antica fotto
buona cufto- dia, e lungi dall’ importunò fvariamento de* fpaffi . Non fono io
già per contendere , che • non deggiano da i Genitori amarfi i FigUuo- ' li,
anzi convenendo con "Cicerone, che difie: Cn) amando fino le fiere i lor
parti, noi purc^ colla prole ufar dobbiamo qualche indulgerti ga: difapprovo l’
afprezza (moderata d’ alcu- ni, che dall* eftremo dell* affetto paffarido al-
l’altro del rigore, tengono oppreflì'mai fem- prè Ca j ' a.
de Orat, Digilizad by Google pre, e fenza refpiro i
figliuoli, ónde ne viene , fovente , che s' avvezzino polcia timidi , ad-
dormentati , e poco (inceri , e fpinti da una^ mezza difperazione fi rifolvano
a cambiar flato , e ritirarli al chioftro fenza la voce di Dio., e P impulfo
della Tua Grazia . Ma pure con tutto queflo non m* indurrei mai acom* mendace
quella connivenza , che pende all' ecceflTo , per cui amando i Genitori ,
come_» Ano al Tuo tempo gridava S.Gregorio,C^^)we- tto Dio , che i lor
figliuoli', trafeurano affatto di piegargli al bene, e gli permettono d’ affe-
zionarli , come pur tròppo ò naturale , e co- mune al vizio , fenza punto
riflettere al gran fentimento di-Seneca dove fcrifle , che.» P edueazione vuole
una fomma diligenza , la quale dee giovare ajfiaijfsmo; poiché è facile^ il
comporre gli animi ancor teneri , e dìfificH- mente fi fogliano pofeia i
vizj,che fon crefeiu- ti con noi . £’ quello un veleno , che gettato da una
tenerezza imprudente nel cuore de* Giovanetti cagiona peflimc confeguenzo.» ,
'poiché levatali di mezzo la correzione , ed il favio rigore , crèfee
felicemente il mortai fe- me di colpa, onde s* uccide con ficurezralo •Spirito,
eflendo pur troppo vero il detto del- lo Spirito Santo, (e) che; neppure do
vecchio ■ Z z lafcia in 1. Reg. [bj L^ji.de ira, "cj
PrOV. 22. 35^ . . . • hfcia il giovine, quella vìa , che
ne^prìmi attf ni ha /celta . £d ecco H fondamento , che ha Ja vivezza negli
hiiomini di codeilo Mondo » " malaménte chiamata , col nome di
Spirito ; venendo clTa da una radice infetta di trafcu» raggine» e di noccvole
trafandamento »-pun* to non sà pofcia accordarli colla divota com- ’poftezza
criliiana, che è il pregio più ricco » e più nobile delle anime ben coftumate .
lo non faprei certamente rinvenire un altro fé- colo» in cui più » che in
quello » franchi Itati fblTefo alcuni cattolici nel mettere in giuo* co » ed in
derilione la mallime più pelanti » e le verità più maflìccic , Ibvra con tutta
difin» voltura palTando a quel notabile pregiudi- zio » che porta all' eterna
(alute il cotlume.# più libero . Ninno di quei » che vivono » po- trà forfè
rammentarli d’ avere udito in fua^ giovinezza dilcòrrerli per le Converlazioni»
e per i Ridotti con tanta libertà delle mate- i rie Morali» decidendo a
capriccio» elàminan- do» e facendo la Critica a i feminatori della^ divina
Parola , e deridendone ancoralo ze- lo, quando fi opponga con forza.ad alcune^
delle più nuove introduzioni . Non li ricor- derà forfè d' aver veduto giovani
si dediti al- io sfaccendàmento . sì perduti né' piaceri» sì lontani dal S.
Efercizio dei Catechifini» degli Oratòrj, e delle fpirìtuali Conferenze » come
quegli» che fiorifeono in Quel Mondo » di cui- • pajr-
Digitized by Google 4 f ip4rllamo«e
s) ardi't! nèl tempo mèdelimo per contraddire a chi gli corregge, e per burlar*
fi di chi s' afiaticà per torgli d* errore . NuU la dirò delle Chiefc) 6 della
maniera di ftar* tì t della Santifìcazioii delle Fede ; dell* afli* ilen2a
quali affatto perduta alle làgre funzio- ni Ecclcfiaffiche; dell* ufo , che
ornai fembra plebeo , d* afcoltar la dottrina Criffiana ; di far vifìte agli
Spedali , e delle altre opere di Pietà , che fono del tutto incompatibili colle
occupazioni del vivere alla mona, la premu- ra maggior di cui è di (àgriìicare
fatto il tem- po al commodo , alle convenienze, ed agli fpalli . Dovrà dirli
per tanto., fa quella è vi- vacità , ed effetto di brio , che quello Mondo sì
nuovo alleva huonilni di fpirlto , ma lènza onìbra di divozione, che è pure un
diibrdine da recare {pavento a chiunque penfa di fal- var 1* anima, ne feguita
le malTime dell’ Ate- ifmo . Io però mi protello di nuovo, che non in tendo
incaricare d’un fimile traviamento fé non coloro, che partegiani di libertà li
forma- rono d’alcuni pochi un idea di tal Mondo ,ad elfo appoggiandoli per
appagare con mcn di rimorfole proprie pa(lÌoni,efàrli credere non autori,ma
feguaci d’una certa norma di vive- . re,che fe da tutti a fondo fi rimiralTe ,
applau- ib non troverebbe certamente, nefeguito. Meglio faria dunque per elfì
il proporli per efemplare il Mondo , che fi forma da i Z j tanti
* tanti faggi, che rivono in ciaicheduna Citt^» e deteflando
rUblutaniente an còdume , ch«- non può follencrfi ,'cho perirapegnO della-»
malizia , fcieglier^ una vita , che fia invéro landevole , e piacer poffa a
coloro > «ui altro non piace, che il bene . 0 Delia
I « Digilized b^Ggjjjle w ÌS9
* Della Giocondità di converfare con Dio . CAP O XXIII.
1, A Vendo finora donato i riflefli di que« (lo Libro alle convenienze , ed
alle_> foddisfazioni dell' huom civile , mollrandoli come pofTa con
ficurezza divertirfi nel Mò- do y è do vere, che fi parli ancora della Santa
Converfazione con Dio, che io già dilTi fin., da principio elTere la migliore ,
come negar non fi puote , c che ne fpieghi la giocondità per non defraudare la
fpettatiya di chi bra- niafTe di praticarla . Tratterò quella mate- ria co i
fondamenti de i Maeftri di fpirito,ma lenza obbligarmi a quel rigore di fomma^
perfezione , alla quale afpirar debbono Ie_» anime religiofe, poiché io ferivo
in grazia di quelle, che fono rimafte nel fecolo , e con- viene , che fempre le
perfuada a feierre una,, maniera di vivere , che fia compatibile colle premure
di quello (lato , in cui clléno fono . Softehgo per tanto , che alle perfone
ancor fecolari può riufeire beniflìmo di battere IsL. via del Signore fenza
lafciare interamente-» quella delfecolo , ,e deliziarli elle pure nei
fpirituali godimenti, che da taluni fi credono proprj (blamente delle anime
ritirate fie i Chiollri . Iddio, che è fommo bene ,4ì co- Z 4 • •
* Diglllzed by Google I munica a timi fen
za veruna parzialità» e per arricchire co'ffuoidoni uno fpirito iloiu» guarda
al luogo dove egli (ia, ma alla buona volontà, che egli ha'di lervirlo, e d’
amarlo , Egli , dice S. Agbftino , {ayfi S fotto parteci- pe della aoflr a
mortalità tperebè fhuómpfi. facejje partecipe della fua Divinità E* db ha
voluto j chcpolTa farli indifferentemente da tutti! perchè è nato, vivuto >
e morto per tutti, come fé là faluté di tutti gli prcmefie^ . Còme quella
d’ un tolo , c quella d’ un fòlo » come, la fallite di tutti . Perciò pieno d*
al- legrezza diceà il Dottor dcllcGcti C^ja' i Puoi Difcepoli di Gàlazia :
Crijìo amò me , è diede fé fteffo per me yperchò , vi aggiunge Bernar- do Cc^
Santo : colla medefma carità , eollcu» quale ì morto per tutti , è morto ancora
per cìafebeduno . Può dunque chi che fiafi acco- flarft a lui con franchezza, c
compremetter- ■ lì della Tanta Tua Grazia per edinguer la fere J delle celefti
confolaziòni in quel fonte pc- \ renne, ed inelàudo , al quale tutti egli
fteflb: ' invita ò\cenào'.id) Jìtìbondì Venite alle acque ' nevi
ò»r\p\%\iAS,V&i\\OidìJÌ}'mione alcuna , > San Giovanni Grifódomo pflcrvà
, che i j due gran Profeti sì cari a Dio Mosè, ed Elia, erano di dato alTai
diverlb , emendo ammo - glia- (a) TràBat./^^. in (by Galat.
2. (c) Ser.2/i.inÙint.Cd) Ifa,^^,' t DIgilized
1^1 glidto il primo , e I* altro vergine : forfè , ( a"} egli
fcrive,/» quejìi fu nocivo il celibato ? Por-, fe a quegli furono <P
impedimento la Moglie» gdiFigHu6liì'2.po\conQ\\ì\xàc‘.C_b')niunogiu- . diebi
ejfere un ojìacolo alle virtudi il Matrix monio . Ciò fuppoflo per evangelica ,
ed in* cóntraftabile. verità flabiliamo co i MaeAri della vera Sapienza, che
tre fono le vie , per le quali può F anima incamminarli al Tuo Dio, cioè la
Purgativa , l’ Illuminativa , e P Unitiva . Perla prima lì purga. lo fpirito
dal* le terrene miferie, e da quei difetti , che lo poflbno rendere men gradito
all’. Alti flìmo : per la feconda acquida quei lumi , che fon.» necclTarj per
conofeere , e comprendere in- tima mente le verità eterne , c per la terza s’
unifee felicemente al fommo Bene, con un^ vincolo di carità , e dì amore
perfetto , anti- cipandofi interra, per quanto può fard do^ «uhviatore, i
godimenti delParadilb. An- • deremo addunque fcòrrendo per quelle tre -vie , e
molirando alle perlbne del feco!p. ■ quanto d’ allegrezza , c d’.internq
contento -fenfibiic apporti l’ efercizio di batterle con^ ' ini crifiiano
valore. II. Per farci dalla prima, che èia /’tfr* gativa.f \o peelb
, chela pcrlbna ancor fcco- . -JarepolTa con tutto, piacere applicarft all*
eftir- f ai Ser^.contfa ^udà Gdtat»^Qe»t* <j;b^ Mom. 21 sin
^tn» cflirpambnto 4i quei vizj o (lifctti , clic le_>
impediicono- 1* acquifto felice della virtìi * Vediamo certi hiiomini anche tal
orade’più ricchi, e pih delicati, intraprendere con tan- to genio la
Coltivazione delle Campagn^ * che fcordatifi qUafi delle Città > e d* ogni
lor paffatempo, fenc vivono per la maggior parte dell’anno in villa, ne
sdegnano di metter mano eglino ftefll ne’ lavori pÌhab-~ bietti , e pili
travagliofi de’ Contadini . Se_# dunque r hUomo prudente confiderandono^ il
bifogno, e l’ utilità > fi darà di propofito al- la cultura dell’ animo» ne
riceverà fenza dub- bio una oonlblaiione fenfibile , ed Un godi- mento sV
grande , che niun altro epircizio potrà mai eflergli nè pìii caro , nè pih
dilet- tevole. Egli è certo, che l’animo noftro debbe avere qualche occupazione
geniale-* » che lo follevi.e lo diverta,onde lòri ve il gran Pontefice S.
Gregorio (a) che : nììnìere nott^ può V anima fenta diletto » mentre ò nellc^
infime y h nelle fapreme cofe dìlettafi^ Al- zandofi dunque l’ anima col
penfiero fovra^^ delle terrene fòiocchezze, e concependo una viva brama d’
acquiftare qUe’ pregi , che.# pofTono renderla per Tempre felice , con ar-
denza molto maggiore fi darà»a purificare fe medefimU) coropiacendofi*del Tuo
lavoro ,co- me ta} lìb, i8. 1
Digftizsd me il Malico della propria voce , o dell’ ope- ra
propria l’ Artefice. A fpendio 'celebre,» Citarilla ,al riferir di Plutarco (a)
, era Poli - to dire , che pih fe fteflb , che gli afcoltatori ei dilettava col
Tuono , onde ulcinnfe quell’ antico proverbio ; dì cantare afe medefwo , Quindi
raccogliefi, che intereiratafi l’ animà nel fuo fpirituale profitto fi nudre di
quell’ interna gioja , che ne ritrae applicandovi , e che il paflb più
difficile , il quale in quello pofla farfi da lei , confifte nel determinarvifi
col volere . Dee pertanto l’ huom làvio in» dagarc con attenzione quali fieno
gli impe- dimenti più forti, che lo ritardano dall’avan- zarfi nel gran fenderò
della virtù , e quelli pigliar di mira per levargli di mezzo , come chi
rifoluto di por vigna in qualche luogo ri- pulifce prima da i fallì , c da i
fterpi il terre- no . Molto afflitto farebbe il Piloto , fe tro- vandofi in
alto Mare fenza che voglia più Vòlgérfi la Calamita al fuo Polo, non potefle
penetrarne la caufa , che fono gli odori più acuti, come di mufehio, di
cipolla, c d’ aglioi onde alterato rimane l’ ambiente , e pronto non avefle il
rimedio . Ma egli di ciò bèiu pratico getta gli odori , purifica l’ aria , e
ve- ' de operar nuovamente a meraviglia la Cala- mita, ed indirizzarfi per via
ficura 11 Navi- glio. CQ «p. Sea,Tr(f<i é
3^4 glio .Sènza paragone piti grande farà il giuhbilodi cl\i
vedendoli gettato a: traVerib' fra le procelle dell’ infelice, vita mortale»» ^
comprcndevenirne l’ urto delle Ipailìoni, c‘ $à qual fìa la maniera di metterle
in calma., edi raffrenarle. Filfandolì egli nella con- templazione delle
MalTime eterne fentirà certamente venir meno la forza degli appe- titi , e
calmarli a poco a poco la gran tem- pella , come accade al iviocchiero mede-
fimo , la navigazione di cui è più profpera > e più tranquilla , quando Ila
egli più atr tento full’ offervazion della Carta. Ine--- fpUcabile
pofcia-Hkpiacere di chi $à regger- fi in.quel'péricolo dove tanti fi perdono ,
e»» giugne a regolar fé medefimo con ficurezza . ne* più Icabrofì cimenti , '
elTendo pure una.» pena grande il non faper vivere in regola » e dover fempre
navigare cbntr’ acq ua a re- mo forzato . Per un tale efercizio di fìlfazio- ne
interna conoice l’ huomo quanto.gli gio-- vi lo ftarfene unito a Dio anche per
la quie- te del vivere ellerno » poiché ficcome.dillAc- candofi i vapori > c
le elalazioni dal lor prin- cipio» ne vengono i Fulmini * i Venti > i Ter-
remoti, ed il turbamento dell* Univerlb «co- sì difunito lo fpirito dal Tuo
primo , c vero, principio, che è Iddio, ne derivano 1* inquie- tudine,
ildilòrdine, eiltrafcorlb in ogni ibrtadi male , onde è , Che rifòlvefi ad
cfTere fedele all* AitifTimo, ed ad afficurarfi nel por» fedi-
J J fedimcnto della piìlfìncera felicità . S* affé* ziona per
quello allo ftarfenc alcuna, volta^ folo di buona voglia per riflettere con pih
agio al buon regolamento dell' anima, c gli rie'fce in tal guifa di condurre a
fine con ibm- ■ma agevolezza quelle (ante rifoluzioni , che fra il tumulto
degli huomini difficilmente gli (brtirebbono, troppo éflTendo vero, che mol*
tiffimi' p^nfieri- d’ azioni generofe , ed eròi* che , bene rpeffo fra la
moltitudine fvanilco* no , e (ì perdono,come appunto fra le borra* iche
abbortir (bgliono le Conchiglie . Piffa* Co in mente quedo principio , e quella
veri* tà sì pefantc , fiipera 1’ huomo le vili inclina* zioni, che io feducono
, portandolo allo (Va- gamento , ed alla vanità del mondano cóm* inerzio , onde
proccura vie pih fémpre di te* nerfi vicino a Dio , e quindi avviengli di re*
golarfi con più faviezza,fenza effere trafpor* tato dalla violenza de' fen(ì ,
come vediamo accadere nel pelo, che quanto più s’ allonta- na dal punto del
fodegno più pende all' in- giù, c trabocca, e quanto a quello è più vici- no
pende tanto meno, e fì regola meglio'. Da.ciò pure (uol nafeere l' odio contra
il pec- cato, ed un si vivo abborrimento , che fprc- me fovente dal cuore le
lagrime, con.unal. fpezie di dolore si dolce, che il Santo Davide Ca)fi proteda
d'.e(Terfcne c giorno, c notte.* pafeiu- Digitized by
Google X . palei uto 1 ondeTcosì ne interpreta S. Agolli- iio
(a) i fentimenti: non amarezza , ma pane, foave erano a me lè lagrime . Quefta
èpoi ia cagione di vederfi tanto allegri , e giulivi alcuni huomini di ritiro ,
che dal. cuore tra- ■ . lucendo loro il gaudio ancor nella facciaci- come
infegna lo Spirito Santo, Qb) (ì moftra- no in ogni contingenza lictilfìini, c
come in* capaci d’ attriftarii giammai , poiché non V* Iva alfalimento ,
sì forte d’ alcuna efteriore.» | feiagura , che impedir pofla la tranquillità
dell’ interno giubbilo, i 1 quale nell’ angudo * confine del petto fermar non
potendofi tra» < fpira ancor nell’ ellerno . , - , * \ * ’ *
* - • V allegria chiu fa ìn feno . ' Riflette in facciate porta un
bel fereno.[c^ Kc io voglio già negare, che quella maniera di vivere in
elèrcizio d’ interior purgaraen» to non Ha molto /bggetta alle tentazioni , ed
\ jii diAurbi dei Demonio., poiché dice io -Spi> rito Santo; (Jy Figliuolo.,
che t’ accofti al fer- .^iicio di Dio tfta in timore , e prepara Fani - , ma
tua alle tentazioni . In, fatti Crifto mede- -firaOnon fu dal Tentatore
allalito in altro iuogo, che nel deferto , e nella folitudine del ' I . .
. • ' . . Gctfe- "(a) hic‘ (b) Prav. 15. ij.CO Maria, ' £d]
EccL 2, Digilized by Google Getfemani; ma ciò deriva
dal difpiaclmento, che egli concepifce dal vedere, che V huoraò lì [X)ne in
illatp di ripararfi da i colpi di lui , ' e di trionfarne col tempo , dicendo
S, Pier Damiano, (a) che ; H Solitario $ vìncitor de $ Demotìj , e compagno
degli Angeli . Perciò anzi, che icemariì , dee molto ct'efccre P in- terior
contentezza .vedendo P anima,, che J' inimico s’ intimorilcc replicando .gli
ailali- menti per tema di perder la palma , III. Molto maggiore làrà
poilaconfo- lazione delP anima quando $’ avanzerà alla^. feconda via , che i
Miftici chiamano Illumi- nativa, per la nuova luce , che in lei deriva^ ^alla
più fìlTa , e profonda contemplazione.* de’ celeili Mifterj . Effendo
infallibile Iddio ne’ llioi Oracoli , ed affermando egli.fleflbji che; le fue
parole non mancheranno, co'n- vien credere , che dandofi P anima ancor fe-
colarc a quel ritiro maggiore , che unir fi puote co’ fuoi domeftici affari, ed
alla folitu- dine fpezialmentedel .cdore, che in ogni tem - po, e luogo, da
tutti è praticabile,, fi degnerà 'egli di farle udire la foave fua voce ,
come.^ già le promife dicendo » (c) io la condurrò al ritiro', e parler olle al
cuore . E’ però (frano, c mirabile affai il fuono di quefta divina vo- .
' .:i iCe ; VI U Ca) Lib. 6, ep, $. adMon. Clan, Ti
i« • ..fbj Qt,z, / ) DIgilized by Google
co > poiché égli non ricGVed come umano pel confuctò organo dell’
orccchioj ma coll* occhio della mente fi vcdc> e lo accennò eoa profondità
di midcro il Profeta Abacucco , allorché dilfe : contemplerò acciò , che h
veda, e quello, che a me vien detto , e quello » che io deggia rijpondere a chi
mi riprende . Per quelto dir poflìamo » che la voce di Dio iìa un raggio di
fovranaluce maraviglio (à_. » per cui illuftrandolì l’anima vede le cofe tutr
te con una chiarezza fiiperiore dì lunga ma- no ad ogni conoicimcnto degli
huomini> on- de a Dio rivolto il Salmida cantava : Tu JèifSignore > che
illumini mirabilmente da I Monti eterni . Così dopo > che dalla tcrra^ egli
falì di nuovo alF Empireo» parlò a i fuòi . Apodoli valendoli di tante lingue
di fuoco » e fu codeflo uh parlar loro coir cfpreinoné • e coll* efficacia
della celelle Tua luce , poiché oflcrva il Santo Pontefice Gregorio, [ej che:
apparendo al di fuori le acce fe lingue rima^ jero ai di dentro infiammati i
cuori . Ben fi comprende addunque , che quella rilucente voce di Dio illumina ,
e perfuade nel tempo medefìmo F anima , che la riceve in eiTa inli- nuandofi
con tale dolcezza, eh e. volentieri, e . di tutto genio ella aè feguc F impulfo
, ea 'poco a poco Tanta diviene con un godimen- ... ^ to « * • Ca)ff.2. i.Cb)
Pfal.’^S-(jiyhiom,io,mEvaup^, * • — • » « , \
mm . ^ to ineffabile: heftehèjtat al dir dell’
Apoffoloa ' (a^ vivo , ed efficace il parlare di Dio , e tfiit penetrante d*
ogni fpada a due tagli ; non fa però alcun ff repito ui(lurbatore> ne afa d’
al* cuna violenza , ma placidamente ottiene-^ quello t che perfuade > e non
perfuadendo che il bene a lui s’ arrendono di buona voglia le affezioni tutte
dell’ anima ! £’ voce , log* gidgne S. Tommafo di Villa nuova Cb') non-*
fonora'i ma penetrante^ non loquace > ma effi- cace', non Jh epitofa aW
orecchio , ma grata-* agli affetti; a quejh voce non n/ ha durezza^ che pojfa
refifiere , per chi fta /crètto ; non fon forfè he mie paritle come il fuoco ,
e come un-* martello^ che /pezza le pietre ? Ritirato dun* que alcuna volta i’
huom favio da i rumori del Secolo riceverà certamente un tal lume , perchè
rivolto alla forgentedì lui, come an* cora vediamo naturalmente accadere nella
Luna', che mai non è più colma di luce d’ al» Jora,che da noi non vedendoli nel
Novilunio Ha interamente rivolta verfo del Sole, che^ ; però diceva 1*
Apoffoio : £cj fpeculando noi I a faccia J coperta la Gloria ai Dio veniam-* i
trasformati in quella medeftma immagine* . : Chi è poi , che non deggia in
fommo godere , d’ una sì bella, e sì dolce iafufiQne di celelle ) . A a fplcn» Hehr. 4. [b] Seff dt Dopf» 4* 4f^ven* ' ^
3* % Digitized by Google . fpfendoirè
tròvandofi còme ài dtibpra dell’ infelice nebbia terrena , che tutte le baffo
cofe ingombra mifcramentc , e ricuopfe, a.» guifa appunto delle Stelle , che
dall’ impuri* tà dell’ Atmosfera ailontanandofi. più fem- pre acquillan di
luce? Lietiffima bilbgna_. '' iehza alcun dubbio , che fia l’ànima in tal
maniera illuffràta ritrovando nuovamente il fuo Dio , che è il principio della
vera alle* grezza, c che per l’innanzi ella perduto avea. In'due guifc può
perderfi Dio dall’ Anima , fecondo i Teologi Minici, o per colpa di lei >
opel ritiramento, che egli fa delie interne conlblazioni , onde viene poi la
cagione del. la triflczza , come piangeva il Salmifta : [a] ritira fti da me la
tua faccia, ed io mi couture bai, in qualunque modo accada quella per* dita
funeHilTima per lo più fempre ne fono in colpa gli fvagamenti del Secolo, fra i
qua* li diffipandofi l’ anima fmarrifoe quella luce di Paradifo . Offerva il
profondillimo Diego Stella, che lì perdè una volta il Redentore-, , ma nella
Città di Gerofolima, nella frequen. za del Popolo , e nella calca delle
folennità « cofa, che non accadde, come forfè era facile, quando egli
perfeguitato a morte fe ne fug. gì nbll’ Egitto: ib'flocrhè, dice , «e avvifa^
, che perniziofa è a noi la felicità del Mondo , meu- fai
Pfal’, 297.[b] In Lue, f 2, 1 Digitized by Google
mentre tn ejfapiììtoffo, che nelle perfecuzio- ni, e ne' travagli, Orijlo
Ji perde . lo sò, che molti mirano con orrore quella manieradi vivere , perche
v' apprendono un sò qualc_» diflurbo di libertà, come impedita, e legata .
Ncceflaria è cèrtiflìmo al ritrovamento di iDio la folitudine , afferma S.
Agollino ; [a] poiché la turba ha dello Jirepito , e quejìa vi~ pone depdera la
fegretezza ; ma è sì pieno di gaudio quello ritiro, che per entro di lui gio-
ilce lo fpirito, comefe in giocondiflima com- pagnia fi ritrovaffe , e perciò
fcrilTc col fon- damento della fpcrienza Bernardo Santo;[Z'^ colui, col quale è
Iddio, non è mai men folo di quando è fola , poiché allora et (i delizia libe-
ramente nella Jua contentezza , ed egli Jhffo allora é fuo per godere di Dio
inj'e ,e dije^ in Dio . Quella è la vera làpienza, alla qua-' le anelando i
Santi fé ne andarono in ogni tempo come raminghi dal fecolo cercando i
nalcondigli più ofcuri,c più tetri per rinve- nirla, e tenuti dagli llolti per
huomini di po- co fenno fi goderono una perfetti iTima, ed in' vidiabile
tranquillità: errando, Icrivc l’Apo- do lo, [c] per le folitudinì , per le /pelone
he , e per le caverne della terra, poiché di ejjì de- gno non era il
Mondo" Echi non vede feli- Aa 2 ciflima Ca] In ^o. TràU.
17. [b] de Vit. jolit. £c] ad Hebr. 1 1 • l ^7®
cHhma ciTere quella ritirata dagli huomlnf e però gioconda in fommo a chi la
pratica , nentrei/pregiaudo le creatureìàx^^ S.G ioan Grifoftomo, \a'\pey
cercargli Angeli nella folitudìne trova Dio ? Si fonda ancora uii^ tal gaudicf
nel piacere y che ha F huom (avio per la prudente deliberazione di larcfare il
Mondo ritirandofene prima d’ eflcre da lai lardato ) conofciute > che ne
abbia le frodi , come chi fuggito avendo opportunamente.*. Un pericolo nc
confìdera, pollo in ialvo» la.t qqalità Con una cerca fpezie d* incredibile..»
contentezza. Siccome è grande iafeiagura dei dolci huomini , che legiiendo 1*
impulfb delle palTìoni y e fecondando il capriccio co* me addormentati fèmpre
vi vono alla cieca » ed in mal punto fi rifvegliano fol per pian* gere fenza
rimedio il proprio inganno : così conviene» 'che fìa Ibmma l’allegrezza de*
faggi y che non dormendo mai , o rifveglian* dofi almeno per tempo y il pongono
in guar* dia per non rimanere delufi da un lbnho,che è mortale y e dormendo
pure tal volta , ma.» Tempre all’ ufo de’f ioni coll’ occhio aperto , lo
chiudono poi fenza pena una volta lieta* mente pagando colla morte alla natura
quel tributo*, che per gli fonnacchioil è si grave » come cantò il Poeta .
[b] lA "" ■■ - -a fai Hom. z. fapt Marc* 9om* i*
Cb] Tyionfo della Morte. Digitized by Go8ff %et Motte è
fin d*UHa ptìgìofiè ofears Agli anìiOti getrtìii : agli altri è aoja, {%'bamo
pofia nel fango ogni lor tura. Ì7Ì L’allegrezza ) ch9
hanno i cattivi» è moltd diverfa da quella de’giulU» perchè appoggia* Ca
all’effimero godimento > che aver (1 puoco nel vizio , mentre J! rallegrano
quando ban» no malamente operato > preito fi cangia,^ in cordoglio ; ma
quella de’ giudi origi- nandoli dalla gioja verace » che fi gode^
ncll’efcrcizio della virtù , è femprc durevo- le» ed immortale, nè può
fpiegarfi » dice-a Gioan Geribne , [b] il gaudio , ebe Jiba la-» fera , quando
fiafi fruttuof amente impiega-^ to il giorno .Dii] ìurtìQ pofeia d’un tal
ritiro’ s’aprirà di vantaggio la mente per riflettere, forra la dottrina di
Grido , e per efaminare-» la difuguaglianza , che po.(Ta edere tra l’ani- ma »
ed il filo efemplare , che è Iddio medefi- mo » colà , che nel Mondo fanno sì
pochi , e ne verrà una brama ardente d’immitarlo » forgendone pofeia nel cuore
quel gaudio , che ha ogni limile nell* unifbrmarfì al fuo li- mile . Nè quedo
ricerca Un tempo sì lungo* che deggia rhuomo abbandonare ogni altrn pratica
neceflaria al viver civile -, o politi- co» o d’economico » badando qualche
parti- ci a ^ cella Vtpv, (b) /. I. c, 2 j. V. Il»
r \ / «élla del giorno per rientrare
in fe fteflb dav-i rero , e profondarfi nella conlìderazione di quelle malfime
, e non ingolfarli pofcia nelle cofc elleriori in tal guifa , che perda affatto
d’occhio la , riva , ed il Porto delle interne-! confolazioni. •IV. Da
quello Ibvranoillullramento vie. ne l’anima ad accenderli in una carità- pih
vi. vaoe alla terza via, che unitiva chiama, perchè unifce , lega , e llringe
al Creatore.* Ja creatura con un dólce nodo inefplicabile di reciproca
tenerezza . Quella fortuna aver non fi puote certamente nello llrepito della
moltitudine , poiché in quella guila , che dal contrailo de’ venti s’ ammorza
la fiaccola, cosi fra i rumori del Secolo malamente pu6 confervarfi viva
la.fiamma del fanto amore, e però è configlio del grande Agollino : [al le
creature ,fe vuoi pojjedere il Crea» ' toro . Quello peròdcbbeintenderfi di
quelle anime ,cho fono ancora full’incominciamen- to di quella llrada , e piò
non hanno , che un‘ defidcrio tenue , e vagante d’amar Dio dav- vero'; poiché
in quelle , nelle quali arde già accefo il fuoco amabile della Carità, non folo
non è folito ad ammorzarli , ma crefce ànco- ra Ibvente negli efercizjmedefimi
delle efler- nc operazioni , come appunto vediamo negli in-
I (a) hMp. i DIgItized by Google mcendj
,che s^accrefcono bene fpeflb per laj fiiria di molti venti contrarj.
Attorniato, che farà per tanto lo fpirito da quelle vam- pe d’amor Divinò potrà
fìcuramente accu- dire agli affari ancora del Secolo lenza tema, che moleftate,
o diminuite elle vengano dal rumore di lui , come per tacer di tànt'altri fi
vide in un Filippo il Neri , che effendò tutto giorno in mezzo alla calca degli
huòmini vi- vea mai Tempre unito ftrettamente al fuo Dio , cd anzi , che
riceverne alcun fvantag- gio , ne tirò in ogni tempo un’accrefci mento mirabile
di cognizione , e d’amore . Nè io di- co già quello per obbligare gli huomini
di Mondo ad una perfezione , chC’ febbene da^ tutti immitabile , perchè
difcretillìma , pure fembrar potrebbe a taluno troppo fublime, c fuperiore di
troppo alla mifera condizione dell’umana fiacchezza. La rammento io folo perchè
lì veggia ad evidenza , efie anche nel Secolo può viver fanimia unita
foavemente al fuo Dio fenza che le cure , o pubbliche , o private la dillolgano
, o la ritirin da lui. Quanta fia poi la dolcezza , che in battendo una tal via
fente lo fpirito, quegli potrebboa dirlo , che felicemente ne godono , fe
pure-» ancora ad efld riufeir potelfe , mentre parlan- do il Salmilla delle
anime unite a Dio dilTe, £«] che hanno il gaudio nelle fauet ; come.^ A a
4 rin-, T/al, 14^. I *
37^ rmrct*rato » e fìfti'etto pef la gran forzai ^ ed ampiezza di
cfTo * onde fpiegar non lo po{To« no.Noi però ccrcherem divilarlo in una Con-
jettura fondaCa fulla ragion (ìiolbfìca , la qua* le pure è infallibile . Due fono
le fpezie della vera allegrezza, una , che nafee dal confegui* mento del Bene ,
e h chiama giocondità;- l’al* tra , che viene dal poilcdimento di lui , e di*
lettazione s* appella « Parlandoli pofeia del fornaio Bene , che è Iddio ,
fomma altresì conviene ,che fta Tallegrezza dell’aniina nel confeguirlo per
mezzo della Tua Grazia, e nel poltedcrlo , ed unirli a lui col dolce vincolo
delfamore , comprendendo, che ha rinvenu* to pur una volta , e che pofliede
quanto può rinvenirft, e polTedere di buono , di beilo , di vero-i di
permanente, e d’amabile<Fò sì gran* de nell’anima d’Agolìino già penitente
là lo* danza di quello gaudio , che aitna lòia cofa.* rammaricavàli , e
vivevano come inconfola* bile , cioè del tempo , che perduto egli aveva innanzi
non amando il fuo Dio » e perciò fpelTb dolente efclamava : (^al tardi *01 ha
amato, 0 Bellezza antica tantoì Si,tardi •vi ho amato ! Lo lìefTo gran Dottore
fortilica mag* giormento quella ragione rilevando l*impe- rizia’di molti nel
cercare la vera allegrezza: non tatti, ìhj egli dice, ricercano il gaudio
do* fa] Ser. di SS. P/ah 7*, * DIgilized
by 9e htfognà èercarh . Ed lavctó quinti s’affa-», ticanp indarno
per iftabilire nel Mondo la^ Contentezza loro » trovandoli mai fcnipre_i
interiormente piìi confali > e turbati ! Se mal gli riefce di rinvenirne
alcun poco é lA paf« iàggicro il faggio di lei > e sì jiicnticore « che o
manca ben torto in fe medefimo , ed ingan- fce dal cuore di chi finge
goderne per non^. confelfarfi da. lei deMo i ejjetfdo i fecondo il S. Giobbe ,
[b'\ a gaffa d^att punto la gtoeon- dità dell' Ipocrita , Riflettendo il
fottilifiìmo S. Bernardo fovra le parole del Profeta^Rea- le , (c) dove dice
rivolto a Dio ; tu mi de/li allegrezza, nel cuore;, meglio ci fcuopre la_<
verità di quello , che a ndiam dicendo < Offer» va egli ♦che l’allegrezza
dividefi in altre due forti diverfe , una effendo allegrezza del cuo- re , e
l’altra degli occhi. Quella pertanto, che abbiamo nelle eftsriori co’fe ♦ e
caduche del Secolo , è folamente allegrezza dell’ oc- ,chio»cbe ne’ V a rj
Oggetti fi va dilettando, fenza che per una Ibmigliante Utfttìga fi ralle- gri
veramente lo Spirito ; quella pol'cia > eh® dall’interna unione con Dio
deriva , dee dirli allegrezza vera, c ffabBe , perchè à' tutta del
cuo- 1&2 hP/al^ilh^ «ap.iciia I ctiore
.. E che ciò (la così ricavar fi puote dal« la ragione ancor Teologica , mentre
effondo Iddio infallibile nelle fue promefle non può mancare di tener la parola
, che ha data a cìafche*duno per bocca del fuo Salmifta ; (a) dilettati nel
Signore , ed egli appagherà Ic^ richìejìe del tuo cuore. Maxima farà dunque.»
l’allegrezza di quello Spirito» che unito vi- vendo a Dio veggia coniolate
ficuramente le fue brame, nè delula alcuna mai di quelle fpc- ranze , che nella
bontà di lui ha gettate . Per ftringere tutto in poco balìa Ibi dire, che que-
llo vivere unito a Dio contiene in (e tutto il buono di qualunque altro ', che
Icier lì poifa» e niun male di que’ tanti , che in cialcheduna altra maniera di
vivere lì ritrovano . Così conchiufe un certo Romano per follencre la gloria
della Tua Patria al di fovra d’ogni altro paefe nel Jitigio inforto con tre
Itioi amici di Città differenti ,c delle più vaghe d’Italia; losht dilTe ,
quejìo dì certo , che in Roma fi trova tutto il buono y ed il bello delle
altrt^ Città , e nulla di quel cattivo , che ìn^ ■effe può notarfi . Da quello
addunque » che.» pure è poco in riguardo ai moltillìmo » che It lafcia , per
non ufeire da’ ^rmini di quan- to può praticarfì dalle perlbne ancor fecola- ri
» ben raccoglier, fì puote , che eftrcma fia_i la •ta]
DIgilized la giocondità di converfare con Dio, Ja quale
propofia abbiamo all’huom faggio in quello Capo per non defraudarlo d'un bene ,
che_j tanto a lui nel Mondo quanto alle anime pii'i ritirate può elTer comune.
Soggiugnerò qui per ultimo alcuni mezzi , per i quali farà fa- cile all’anima a
confcrvarfi in quella felice Unione con Dio , quando già l’abbia fatta ; o
pervenirvi,^ quando ella voglia . V. E’ certo, che non potendoli da. ve-
runo paflfare ordinariamente nelle materie Mofali da ellremo ad diremo ,
bifogna, che l’anima vada palfo a palTo accoftandofi a Dio, e da quel foramo
raffreddamento , nel quale potefiV trovarli a cagione delle tante lufm- ghc ,
che nel Mondo la-ritirano dal vero Be- ne, fi vaglia come d’alcuni gradi per
giugne- ■ re a poco a poco a quell’ardenza di carità, che a lui debbe unirla
in, quella vita ,.pcr ri- manervi pofeia più felicemente unita in eter- no .
Tutti i SS. Padri , ed i Maellri di' Spirito, hanno fempre infegnato.
cheTcfercizio delle’ virtudi è qu.ella fcala appunto, per cui di gra- ' dino in
gradino fi perviene ad una s'i giocon- da, e s\ perfetta felicità . La Ibllanza
poi del- le fatile virtudi non potrà mai fiorire nell' anima , che non le và
coltivando per mezzo della pratica, mentre dalla frequenza degli atti
formandoli 1* abito di effe , mai non_» s’acquilleranno fenza imprenderne
giornal- mente l’efercizio d’àlcuna. 3*0 ©e/ modo di
Converfare cò« altri finta . interrompere la Converfazione tonDio»
CAPO XKIV. • « t< A Vendo io Tempre in mente di parlar» in quedò
libro con quelle perfone» che eli'eado nel Mondo hanno pur anche ne> ceilìtà
di trattar ' fpelTo con gli altri , non ho voluto lardare di porger qui ancora
la rego- Ja d’unire alla convenienza del civile confort» zio la Contino va
converfazipne conDio.Sem* bra quella a prima fronte una fpezie di Para» dolTo »
che polfa l’huorao trattar coll* altro buomo di giorno in giorno > e viver
Tempre nel tempo medefimo unito a Dio col cuore. Oltre però aireflerfì veduto
in molti Santi d* altilTima perfezióne , come in un PrecurTore di (grillo
palTato dalla Iblitudine alle Corti» in tutti gli Apolloli > ed ìn'S. Paolo
Tpezialmen» te» e ne’ tempi noftri ancora in tanti altri £roi » i quali tutti
l’adempierono a meravi» glia : può l’huomo ancora men perfetto > ma d’indole
buona, e defidcrolb di viver con.» rettitudine prefcrivcre a Te medefimo tali
Conbai, fuor di cui non trafcorrendo lo pra» tichcrà egli pure con ugual
piacere , ed age» volezza . Già non fi è mai qui contefb , che_j l’ufo dj
Converfare con altri non fia fbllan- » -■ - - ^ « afalmente
buono » e fpeflb ancor profìtte/o»' le «onde viene per confeguenza, che baiU
non abùlarne , per potere anche in mezzo di lui confervare intatto il candore
della vir- th > converfàndo così nel tempo flelTo , e con gli huomini , e
con Dio . Quando ciò riufeir nonpotefle bilbgnérebbe indur ciarchcduho a far
vita da folitario , e torrebbed ogni Ibr- ta d'umano conlbrzio contra le làggie
difpo* ftzioni della Provvidenza divina , che l’ha or* dinato al vantaggio , e
confervamento delP Univerfo . Infatti il Redentore trovandofi in cala delle due
Sorelle.di Maddalo non mofirò ' minore affetto per Marta, la quale occupa- vali
nell'' faccende, e negli affari di caia, che per Maddalena , la quale flava al
Tuo pi& con- templando . £i riprefe la prima bensì , noa^ però per
l’impiego ederiore , in cui s’eferci- tava , figurando in effa la vita attiva ,
ma pel troppo affannamento , che ne moftrava nell* inquictarfene : del
rimanente atteda S. Ago- _ nino, («> che : ammendne furono unite a Dioi
ammendue in quefla mortai carne a Dio con- cordemente fervirono. Il punto
addunquedi; nel moli rare , che non fià queda cofa per ve- runo difficile ,
perchè la perfbna di mondo pigliandola in diffidenza non abbia a ritirar- fene
, e darle qui i mezzi opportuni per C»!! Str, z6, de Verb,
Dom. / Digitized by Google f
jS* efeguirlàsfcliceinente fra i ruinori benanche del Secolo
. II. Il primo per tanto di quell i mezzi fa* ^ rà l’aver Tempre l’huoino
di l’enno prcfente. alla memoria la gran verità , che Iddio lo ve* de y
edoirervu non foloa minuto le procedu- re elleriori di lui , oltre alle quali
non eden, deli l’um'an guardo , ma quelle ancora > che fono pili occulte, e
pihracchiufe nella fegre- tezza impenetrabile del penfiero . ■Quello ri- flelTo
ebbe forza di perfuadere la compodez- za de’ codumi per duo a i Gentili , e
lalcian- done i molti efempj , che addur fi potrebbo- no , balla quello , che
fra le IlelTe amenità , e fralcheric cantò pur lériamentc Ovidio : CQ Pà , che
fia il viver tuo fetìjpre ìnnocentey Poiché per tutto é il grande Iddìo pr e f
ente. Un’huomo ,che viva con una tal mailìma in mente , non trafeorrerà certo
mai in alcuna cofa ,.che da riprendbile , efapendo elTervi ùn Giudice vigilante
, che la nota , e l’apppn- ta per chiederne conto a fuo tempo , averi Tempre
per quedo mededmo un gran riflelTo , per non renderfi reo. Egli è manifedo, che
1% loia prefenza degli huomini tiene chiede fìafà in contegno per non operar
male allo ico-> perto-, onde molti ,o fono , o per lo 'men pa— . jon buoni,
perchè la verecondia, ed il rilpec.. to contende loro di fecondar le paliioni
do« " ve, fa) de tArt. / 7 Digitized
by Google ve , e come vorrebbonó ; Se dunque farà vi- va la fede
non averaflì certamente men di ri- guardo per la prefenza di Dio , che per
quel- la degli huomini , e (ària ben perverfo colui, che non ammettendo
vifibilmente la colpa, per non Ibggiacere alFaltrui cenfura , le ac- confentilTe
col cuore nulla temendo il giudi- zio di Dio , avanti di cui col folo interno
ac- confentimento già l’averebbe commeOa. lo oflervo di più , che tutti i
peccati fono foftan- zialmente male creanze, alle quali repugna Tempre la
ragione, la convenienza , e la civil- tà . Per quello ognuno , o per lo meno i
più civili , fi vergognano d’effere pai efem ente-.» cattivi , perchè temono di
comparire mal cofiumati , ed incivili apprelTo degli altri. Quello Ibló motivo
di Ikvia , e civile collu- matezza , ballò a far degli Eroi nel Paganefi- tno ,
i quali feavclTero avuto il lume della.- Fede per dar inerito alle proprie
azioni , ed indirizzarle all’ultimo fine della vera virtù, farebbono Santi .
Che pefo dunque aver deb- bo un tal penfiero unito al raggio di Tanta., Fede
nelle perlbne cattoliche per far sì , che più temano d’elTcr , peccando ,
incivili con Dio , il quale merita da chiunque il conolce Un’infinita riverenza
? Pure l’u, nana malizia è giunta a vincere in molti un sì giudo riflef- fb
inducendogli ad efier cattivi tutta volta, che non fi veggia dal ìAonào y ed è
appunto quejlay efclama San Giovanni Grilòllomo, « ‘
.384 f ai rorl^ìae di tatti i mali , ché ftèj;ti affitti feeeamìmff mtt
temiamo gli occhi di Die» ma quegli fole degli huomhl. La Perlbna pe- rò, che
punto abbia d’accorgimento , e di prudenza, fi riderà d’un rifng'o sì debile, e
8Ì vaito , che liberandola per poco tempo dal rimprovero degli huomini (àvj la
rende rea pre^o l’Altiifimo colla' certezza d’avere an- etie una volta a
i'entire la gran confufìone_« di quella colpa , che adeflb ricuopre , accre-
iciuta- poi dall’aggravio d'aver ella voluto ingannar gli altri coll’apparenza
d’una bu- giarda modeftia , Peccarono i noftri Proge- nitori nel Paradiib delle
delizie forfè per quello iblo, perchè non rifletterono,cheLj Iddio gli vedefie
,e ciò fi riconobbe , quando commeflà la colpa a tutto il Gener noftro sì
grave, cercarono di nafeonderfi agli occhi del Giudice , che venne ben toilo à
chiederne.» Conto, Meglio l’ averebbono intela ad occul- tarli quando l’
ingannevol Serpente fece loro Pindegna propofia di violare il gran divie- to ,
ulàndo ogni sforzo per chiuder l’orec- éhio ad una infìnuazione sì detcilabile
, cke fiiggire inutilniente quella coudanna,la qua« le venendo loro da un Tribunale
Ibvrano era inevitabile ; Felice farà pertanto chi non la- feiandofi acciecar
di maniera dalla pafiione» che I (a) jtd Gr.
V che venga a (cordarli della Divina prefenza» ■fe ne
prevàlcrà come d’un forte feudo centra gli fcaltri alTalimenti dell’Infernale
Nimico* e memore * che veglia inftancabile fovra di lui l’occhio di Dio , non
ardirà mai di far co> fa , che polTa meritargliene l’ indignazione. Potrà
egli trovarfi allora per tutto con ficu- rezza , trattare con tutti , mai non
mancan- do a veruna delle civili convenienze , mentre fervendogli un tal
penderò di guardia , e di Cu(lodia *farà ficurodi non nfeire da’ più ri- gorofì
confini della modedia . Sieno pure pe- rigliofì gli oggetti * lubriche -le
occafìoni', frequenti i lacci* l’anima fifTa nella gran maf- lima d’effer
Tempre veduta da Dio averà in_, efla un’ajuto si gagliardo per reggerli ,
che_> ripeterà a fe medefima con S. Bernardo : Ca) petea dove tu non f appio
ejfere Iddio ; che è quanto dire , pecca pure fe hai cuore di farlo lòtto gli
occhi di quel Giudice , che lieeomeL.* fempre ti vede , così può ogni volta ,
che voglia * punirti . Nè quella cola è tanto diffi- cile ,che non polTa
efeguirli da tutti con po- chiffima pena , mentre nulla più colla , che_» udire
le voci interne * le quali mai non man-- cano d’awertirci di ciò, che efler
puote o in- giudo * o nocevole . Iddio non lalcia mai di parlare al cuore
d’ognuno*perchò egli in noi* B b e noi vivejfdt c. 29,
•e nona lui eifcnilo Tempre > fecondo tl detto deil^^Aportolo: [a}/»
/ut viviamo, tu lui ci ' pioviamo , ed ift lui Jìamo i Egli , come Padre
amorolò , non traJafeia mai di fare il poiTibi- le per non perderci , e
c’ammonifce , quando bifogna, perchè noti abbiam da fcoHarcene. '' Così
al l'uo Lucilio fcriveva ancor Seneca^ perfuadendolo a non rigettar mai le voci
in- teriori , che fono il linguaggio piu proprio di Dio:[é ; egli è a te
vici»o,e teeo, è dentro di te ; t) , dico , ò Lucilio , dentro di noi abitai un
/agro fpirito delle nojìre o buone , o cat- tive operazioni ojjervatore , e
cujlode . Que- llo riHcflb ancora cagionerà nell’huóm (àvio un prudente, ed
util timore d’oifenderc il filo Dio , che Tempre lo vede , poiché fe è delit-
to il farlo , quando ancora a ciò non il peni!, lo farà doppiamente , quando fi
faccia pen- ìj fandovi; e chi a ciò riflette non vorrà mai , 6 I più
difficilmente per Io meno s’indurrà a vo- ler difguflarlo con quella graviifima
circo- danza di iàper beniflìmo d’elTer da lui vedu- to . £ra inconiblahile il
Penitente di Palelli- na per la gravezza del fuo peccato , e riflette si Pier
Grifologo , che ciò in lui derivava.» dall’amaro cordoglio nel Ibvvcnirfi
d’aver potuto prevaricare (otto glir>cchi-del fuo Signore : /ente Davide ,
egli dice qual /ce/c- [a] 17. [b] Ep. 41. [cl]
\ DIgItized by r?^7 JceleY aggine Jta il
peccare nel cof petto mede- fimo d'eli’ Alt ijjìmo , e però efclama ; a te fola
. ho peccato , ed hofattj male alla tua prefen^ za! Tanto è poi agevole il
tener vivo in nienr te quello penfiero, quanto lo è il mirar quel- le cofe, che
ci cadono Tempre lotto dell’ocr .chioi le quali tutte fìccome ci ricordano la^
fomma liberalità del Signore, che di tante , e sì palefi grazie c’ha ricolmato
, così ancora pofìbno ricordarcene la prefenza . £’ quello un preziofb
infegiiamento, efoavillìmo iri- ,fìeme di S. Bernardo , che fu fempre<
intelb a feoprir la Divina benelìcenza , ed a trovar le maniere d’elàltarla , e
di benedirla; (fl;y?cco* me, così egli lerilTe ai Monaci mirabilmen- te , non
v’e momento , nel quale non goditi l'buomo della bontà di Dio : coiì nìun
mo-> mento debbe ejfervi , nel quale egli non ab-^ hi a alla memoria
prejente ilfuoDìo. 111. Perchè però ciò fucceda ancor piò felicemente
proccuri la perfona fecolarc d’ aver Tempre Dio nei cuore, che farà il fecon-
do mezzo per poter converTare con gli altri, Tenza partirfi dalla celelle
Converlàzione. Aver Dio nel cuore è una coTa alTai differen- te dall’averlo
Tempre in memoria, perchè quello può talvolta originarti dal timore di Tua
giullizia,e quello Tempre naTce dair B b 2 amo- • \
m (a) In Spéc. Monach. » T
I ■ j88 •more della (ìia bontà. Il timor del ^(ligOf
benché fìa falutevole , éd inculcato alPanima da’SS.Padri, e da Dio medelìmo ,
è però ferai» prc uno flimolo piìi fervile , cd imperfetto» aahbracciarfì colla
virth , la quale (ovcnte-« non piace per altro » fe non perchè non può piacere
fenza pericolo » e fenza danno «il Tuo contrario : onde cantò il Poeta ;
* pecca P empio per timor di pena. ‘JL’amore polcia è un dolce vincolo
, per cui onitillrettamentc[inrieme due cuoritfì riguar- dano con una gelosìa
sì delicata ,che ad uno mai non permetterebbe i'òffendcr l'altro» quand' anche
poteffe farlo impunemente» ' nè alcun motivo o di timore , o di fperanza^
arerebbe mai fòrza di perfuader loro l'infe- deltà . E' quello quel piò nobile
» e più poi- j fentc motivo , per cui fi riguardano da ogni . neo di colpa gli
amici di DiojC quelle anime» che di vera bontà ricche fono » e per fii
dettò: Per amor di Ofirtate il buo» non pecca r Potrà per tanto
meglio di fe fìdarii quellaJ perfbna, che pratichi efteriormente con tut- ^ ti
, avendo Tempre Dio nel cuore,, poiché ' amandolo con tenerezza , fi
troverà ancor ^ « . piò forte per non indurli giammai a
rompe- f c te i propofui della fua Fede : quefio , fcriffeJ
Piatone , è bea eerto , che aiua male puÒ mai accadere all* huomo dabbene .
Tanto io non vò dire, poiché infegnato. ne ha Iddio ftelTq , che una tale
certezza aver non fi puo« te fra le tempefie di quello fccolo inganna* tqre, e
che c Tempre miglior colà il temeroj di quegli inciampi, che ci Hanno tutto
gior- no frappiede ; ma dirò bene , che amandoli Dio davvero , e non lafciando
mai , che egli parta dal cuore, farà piò difficile , che uno a* ì induca ad
offenderlo per grandi, e lufìnghie*. ri , che fieno i tentativi per farlo .
Vediamo Guanto può ì* amicizia tra gli huomini quan«. do ella e vera , e
fondata fulfe bafi della vir- tù , c fe ne Icorgono prove sì nobili , e lira-
vaganti, che fembrerebbon prodigi le l' ulb,. c la frequenza non le rendelfero
meno mira- bili • Potrebbono fenza dubbio ad un amico, fe è leale, prometterli
tutti i telòri del Mon- do, che mai certamente non picgherebbefi a far cofa,
che oltraggiar potefle , o in alcuna maniera affliggere l'altro amico ; ne
manca- no efempj di chi ha fcelto anzi la morte, che P infamia di rompere una
tal fede . Se l'amo- re addunqne tra gli huomini è d’ una tempe- ra sì robulla,
ed infupcrabile , quantunque^ non ecceda egli punto l’ effere d’una
quali- fi b j tà . U ^olog^ .. ^
I V % tà naturale , di qual
Ibvraflino carattere fa-- rà egli poi derivando dall* abito della òarità« che è
una perfezione Ibvranaturale t ed iri_.' tutto colefte ? Legato', che fia a Dio
1* huo'» mo con quello nodoamorolb, che ben può ferfi , confermandolo anche
Seneca : [ajtra gli buomìttì buotiii è DiOyVi è amicìzia coaci’- glìata
dalla virtà : io non sò figurarmi qua- le allettamento aver polfano mai le
terrene cofe per difcioglierc un legame si tenero in- fiemé , e si forte . La
Spola de i fagri Cantici perduto avendo il fuo diletto, che pure ama- •va
finceramente , fe ne giva per le llrade , e per le piazze fenza, che alcun
fpcttacoio, al- cun oggetto , alcuna curiofità la divertifle_» punto dal fuo
cammino , e dice il Sagro Te- llo, [3] che mai non ebbe quiete, ne conten-
tezza , fenon quando 1* ebbe trovato , fegnq IJcn chiaro , che niuna delle
elleriori cofe.^ avea forza di rompere il nodo si dolce di quell* amore . E’
quella Una milleriolà figu- ra delP anima amante, la quale avendo fem- prc in
cuòre , come 1* unica , e piò rilevante premura il s5moBene,a cui già s’è
unita,feco per mezzo della contemplazione converlàn- do fovente, perocché , al
dir di Marlìlio [c^ , piò che va- a» fdtìttjjmjo '
congiungimento fi forma ; non trova piacere, promelTa, vantaggio.
,(a) De D^>FroV. iSb] Cant.i.[clJft Porpb^ t
vaglia a dtllorla da lui , come di iè dicea Ite-**, tamente P A portolo:
(«) chi ci feparerà daHa\ carità di Crifio ? Porto io bene.perciò prò*- mettere
allcperfone ancor fecolari una tal. Scurezza > che franche le renda , e
quafi in^ yincibili nei forti artalimenti delle terrene_ji. lufinghe tutta
volta , che abbiano appr db a.-. tener Dio nel cuore , ed a riguardarlo con^'
quella fpezie di gelolìa , colla quale riguar>« dar foglionrt le cofe pib
care . Accefa in erta, quertafìamma di Paradifo, tutte làprà con-; vcrtire in
proprio nudrimento le cofe crter-. ne, evenendo neW anima y come voleva..; S.
Agoftino , [_b'] qualche altro oggetto da-»- amarfi fuori di Dio ,farà colà
rapito , dovc^ corre V impeto di tutta la dilezione inter io • re • Così vcdefi
avvenire in un vado incen- dio , dove prefo avendo il fuoco un gran vi- gore,
tutto d’ dea a lui ferve per crefeere, e 6no quelle cofe meddlme , che altra
volta., ertinto l'averebbono; poiché una vampa, che arda già con violenza , o
non teme , e divora il fuo contrario, o per lo meno quàdo pur ce- da, a grà
fatica s’ammorza.Ne vi fia chi ven- ga meno di cuore , e perdali d* animo fìgu-
.randofi in quella dilezione interna una tale.# dirtìcoltà , che deggia mettere
in una gran., pena lofpirito , poiché foggiugne S. Agofti- Bb 4 no
»^a^ Rm, 8. Cb^ /. de p0, C^if^ c, as(. noyquelT amre meàefmó
effendofdnto , pei*- fettone divino: [^a]re^d6 agevoli^ e le fa ^aveT come un
nulla, tutte le cofe pià afpfejepià ar- due.Ogni altro amorè'terreno comecché
ge- BerolbiCoftante,ed invjtto nc fembri,è debile nulla di meno, volubile ,
codardo , efe non_* altro è l'empre inquieto » c gravofo ; ma 1* amor verfo
Dio>perchè ripolà come pietra^ nel centro , in un oggetto vero , buono >
cj perfettiilìmo > non ha nè gravezza » nè inco- Àanza , ne inquietudine ,
che recar poffa fa- ftidio anche minimo: ed il cuore , anzi, che_i pena, ed
affanno , in lui la fua pace , la fìia-, quiete, e la fua più (labile
contentezza rinvie- ne . Quella è la condizione deli’ uman cuo- re, che non
polTa aver mai nn ripolo vero, e giocondo , le in lui non accendefi una fìam-
ma sì pura, e sì amabile, onde pieno di lei fe- licemente efclamava lo
fteflbgrà Dottore di S. Chiefà AgofUno ; [_bl per te t Signore , ci hai fatti ,
ed è inquieto il nojìro cuore finché in te non fi quieti . Sarà quello per
tanto un mezzo gagliardo, agevole, e foave per far sì, che la Perfona polTa,
volendo , non mancare alle convenienze del Secolo trattando civil- mente con
tutti, fenza interrompere mai là_» dolce ConVerfazione con Dio • IV*
Sidifledi (opra nel Capo Vcntefiftio» che uno dei prefervativl Contra il danno
del con- M De lìeth^ jyom.fer, 5>*Cb] Lfh. i , cottfic .
CónVefrfàf màlamenté è il peniar fpeflo alle miferic del Mondo )
cheadefeano gli animi incauti) c poco illuminati; adelTo io propon** go un
altro metzo « che fembra convenire.» Con quello « ma è di gran luiiga
digerente, e pili efficace . Quello è lo Audiat'c l’ huom.* favio di togliere
da tutti gli oggetti dilette- voli quel meravigiiolb) e quella dirém cosl«
imprimitura di rorprèdente,che a prima frS* te vi trovano con molto danno
coloro > che ne rimangono pre(ì,e legati.La meraviglia^ eccedente è Tempre
indiaio) o di leggerezza^ odi poca efperienza , onde Tuoi elTere primo
principiodelThuom civile, e culto, di non mo* ilrarii mai tanto Ibrprelb per
qualunque gr& cola, in cui s’imbatta, che altri pofla crederlo nato allora
fra gli huomini, e digiuno affiattó . di fomiglianti vedute . O’ uno di cofloro
dilTe bene un arguto Romano io vedendolo come in eftafi di ftupore nell’
entrare nella Gallo» .ria d’ un gran Perlònaggio ; iao// Per lui ^ fhef chino ,
fe non vedea que/la grandezza^ , perchè il mondo gli faria parato men bello i
ed auerìa penfato meglio alP Eternità . Que- llo però) che in genere di
pulitezza e coltu- ra civile è un fcmplice sbaglio , nella Mora- le diviene un
errore di confeguenza benej ipeflb affai grande, e lagrimevole;poichè fo- ‘
guendo i 1 cuore la meraviglia dell’ occhio s^ inganna a partito , a quelle
cofe fortemente, attaccandoli col dedderio > e coll’ affezione « ■ ■
thè ehc meno il meritérèbbono . S. Paolo, chfe fa un tngegnoib , ed
infìgne difpregiatore-o del Secolo , trovò queda bella maniera di prenderne
a.vile tutti gli oggetti piò vaghi , e piò mirabili dicendo ; tutte le cofe io
le ho giudicate come immondezza . [jJ Non pen* lava egli: al danno , che recar
polTono i finti beni del Mondo j alla gran pena , che dee ibfi- ferirli, o per
acquidargli , o per cudodirgli , alla noja che apportar fogiiono, ottenuti ,
che fieno; perche fono quelle ragioni , che.» ammettono del contrailo, e che
addur fi pO' trebbono per convincere chi nell' opporli ula dell'intelletto . Ma
dovendofi andar con- tra de i fenfi, che cicchi fono , e materiali , ei
•valevafi di quella fòrte apprenfionc fenfibile •di figurarli tutto per
immondezza; e fìccome per fuggir quella non v' abbifogna difcorlb, badando 1*
abborrìmento della natura , così guarda vali dalle terrene cofe con ugual nau-
.fea, efenza metterne in contelà la fuga, figli ò poi chiaridimo ,che avvezza
l'anima.» a oonverlàre con Dio per mezzo delle fante contemplazioni , le quali
up giorno piò dell' altro le ne fcuoprono l' Mifinita, edincom* prenlibil
grandezza , molto non troverà dil^ iicilc con un Ibmigliante confronto a
figurar* fi come immondezze le cofe piò belle , più avve- ta]
8. avvenenti , e più gradite del Secolo : t»Ua^ volta , dieea ben
S. Girolamo [a] che Crìflo cominci a parer dolcct ^ ttecejfario , che ama~ ro
divenga il Mondo . Al paragone del vero»' (bmmo, e perfetto Bene cofa può mai
parere ogni maggior ben della Terra , finto , appai rente , e caduco > fe
non fc appunto una colà da fconvolger lo ftomaco, e da fuggirfi ben,» tolto ,
fenza neppur rimirarla ? Tanto infei gnava anche Plotino per afiicurare a i
Gio- vani fpezialmente l’ innocenza del cuore in mezzo alle batterie del Mondo
: [èl alle fu- periori cofe convien ricorrere, perchè non ca- * diamo in
qualche fpezie , che abbia delfen- fuale . L’ arte è quella di rcnderfi T huomo
beato anche in terra , non lafciandofi mai fovverchiare danna beatitudine, che
ricono- feiuta una volta , come è pure , per menzo-, gnera P affliggerebbe; c
tanto volle inferir^ S. Agoftino dicendo, [c] che; è pregioi.d’ una
grande felicità il non ejfer vinto dalla felici- tà . Potrà poi d’ una tal arte
fornendoli trat- tar la perfona civilmente con tutti , trovarli in ogni luogo,
godere d' ogni comparfa , e_» non temerne danno , poiché fecondo r
infegnamento dell' Apofiolo, {^^dique- fio Mondo , come fe non ne ufajfe : non
vi £a3 Ser. ij. [b] Ettead.%. £c] hPfal/^\* * £dl i. Còr. 7. *
. /* DIgitized by Google I farà
oggetto s\ mefavigllolb t c sì dilettevo- le > che abbia forza d* allettarla
contra_> quel vivo conofcitnento » ed intimo» che averà prefo dì tutti .
Molti ..girando coll* occhio per le varie fpezie ingannevoli della terra , col
penfiero flan fermi » Ibnnacchio- ti» e melenfì » onde prevalendo in tal cafo
16 fìupore della pupilla arriva ad ingannare.» anche lo fpirito . Lungi però
fìa Tempre dal- l’ huom prudente una sì danncvole fonno- ]enza»ed ìmpari ad
alzarfi un poco fovra f&j fleffo per poterti ammacftrare da fe, e no.rt«
aver Tempre d* uopo di chi lo guidi in trat- cia del vero: imparate, dice S>
Agotiino» faj «el Mondo ad effer fovra del Mondo , e fc^ gemete f ottobri pefo
del corpo voli in voi lo fpirito interiore . lucilo tieflb tumulto dello piò
floride adunante può trovar largo cam- po a i Tuoi voli chiunque ha genio d’
alzarti al di Tovra di ciò > che fi vede . Chi non mi- ra , che alla Tota
apparenza del gaudio , dell* ilarità , del tripudiò , in cui la maggior parte
ti perde , certo ne retierà invaghito» delulb • e tircttamente legato : ma
faccia unpicciol volo , e rifletta quanti ne mancano de* Co a- gregati, e
de’Vcgliatori d' anno in anno , di mele in mefe , di giorno in giorno »
interro- gando Te medetimo con S. Bernardo : dmmt dove fono gli Amatori del
A&ndo • ' i qua- Ca] De Gvit. pei c,ii, Cb] Medit, r.a.
DIgitizecI 9 quali poco iauanz* èrÒHÓ cott mi ? lAltré di
loro »oa è rìmaflo , che cenere , ' e ver- mini I Nò quefto volo llancherà
molto chi 1* intraprenda, poiché per tutto fucccdono tali cali , che viva
Tempre mantener poflbno la memoria di (bmiglianti miferic , c fugge- rir Tempre
nuova materia al diTinganno d^ ognuno . Rammento'mi , che in una celebre Città
df Italia trovandoli un giovine a dipor- to dilTe con meraviglia aduna Donna
lag- già : quefla ì veramente una bella Converfa- zione, mentre io non vi
capito maìy che non^ vi rinvenga oggetti nnovr. riTpoTegli allora», con Ibdezza
di rifledione la Donna : quello , che a voi fa meravtglìay e piacere , a me fa^
terrore , mentre confiderandola fpejfo cam- biata per la morte di molti ,
rifletto , che può cambia rfi ancor per la mia fema , che io jap - pia il
quando . Badò al giovine codeda fola confìdcrazionesl vera,e si palpabile per
non laTciard mai piìi fòrprendere dalle novità lu- iingitevoli della terra ,
ediedi di Tubito ad una vita in tutto eTemplarc . In queda Tor* ma lì regoli
nell' edimazione delle coTe ede- riori chi brama di non rimanervi attaccato ,
leco Tempre avendo un vivo raggio di luce » che K ajuti a rimirarle per ogni
parte , ed a», cavarne fuori quelle circodanze, che le ren- dono meno
ammirabili di quel , che Tembra. no . Chi di notte cammina col lume Teco ve-
de, e fogge Tempre ogni pericolo ; ma chi Tervefi 397
39^ fervori dell’altrui , IpelTo rimane al bujo j eJ . cade , o
sdrucciola per lo meno con grave_f danno , Non è (ìcuriiTiiTia la fperanza
d’illu-* minarfi per le cofe medefìme , che iì veggio'* no t o per l’ efempio
di chi sà valerfene aj buon ufo ; ma c ben certo , che provveden* dofi l’ huomo
d’ interna luce fi reggerà fem* pre bene , e fi terrà lungi da quelle vane lu-
(ìnghc , dietro le quali fi perde fenza confi- glio la moltitudine . Sfuggirà
con un tal mezzo quella dorata, ma pelante catcna,che portano al piede non
pochi per mancanza^ di rìflelTione a ciòcche gli dringe , della qua- le così
ialciò fcr.itto profóndamente Marfl- iio: [a] quejìt, che Jìq contemplando è
libero , ma chi, ed it corpo , e le ejlerne cole curiofa- mente. rimira , ferve
al corpo , agii huominì , e alla fortuna . in (umma Faccia lo sforzo maggiore
cialcuno per non ingannar mai fé medelìmo apprendendo in quegli oggetti , che
gli cadono folto deli’ occhio quel buono quel grandiolò, e quel dilettevole,
che vera- mente non hanno : ma vedendovi dentro , e nel midollo pih intimo ,
prima d’ impegnar- vi 1’ affetto , fi tenga ben fullc fue , e non fi getti con
tanta agevolezza a feconda d’ ogni corrente . Quindi fi rifparmierà la pena d’
flvcrfi una volta a vedere delulò dalle pro- prie ^a] la
Plof. I prie fperanze mal appoggiate^ e da lina ccrCJt
colorita apparenza, che ben fpeflb è la reta-» de’ cuòri , a i quali altro per
lo più non rima^^ ne ,'che un tardo , ed inutile pentimento d'^ • aver volute
ad ogni cofto cofe , che non me^ ritavano d’ clTer neppur riguardate -da lun-
gi . Cosi avendo l’ huom favìo Tempre a vi- le il fecolo ingannatore, che è
fecondo Ric- cardo di S. Vittore , {a] U primo paffàggio al- la Virtà: farà
ficuro di non allontanarli pun- to da Dio per mezzo delle terrene fjjezie , e
dando colla perlbna tra gli altri farà Tempre interiormente unito a Dio col
cuore . E’ quella una maniera aifai ingegnoTa di delu- dere il Mondo medefimo
condellrezza , fin- gendoli , per non contravenire alla conve- nienza del filò
partito ma confervandoli mai Tempre parteggiano della virtù . Fu fcaltro alTai
il ritrovamento di Jeu iùcceflb- re d’ Acabbo nel l^eguo , il quale Tacendo
credere agli adoratori di Baal di volere eflb pure fagrificare a quelTIdolo ,
nel piu bello' gli Tè mettere'a fil di Tpada mandandone in-* pezzi r infame
Statua: dice il Sagro Te- de , [^] facea ciò ìnfìdiofamente volendo,
mandare in dìjperjìone i Coltivatori di Baal Se all’huomo prudente non riulcirà
d’ atter- rare col Tuo contegno i vizj altrui , per lo meno
^a^ 1 i* a. 2* ^b^ IO* I : '40<>
fileno gli verrà fatto con una tal arte di te* nerglifempre lontani dal proprio
cuore» mantenerli fedele a Dio » non lalciandonc la dolce Converfazione per la
fallace ^ e lufìa* ghiera del Mondo . J \
Aot > Conclujìoné deW Opera . I. A . Ltroquìnon mi
rimane, cherinno- XX vare in primo luogo la protefta già fatea lui principio ,
ed in molti Capi di qucr fio Libro, cioè di non avere io fcritto per al- tro in
quefta materia , che. per indennùare_» la coHumanza del civile confbrzio
battuta^ forfè con poca diferetezza in altri fogli vo- lanti , e fenza fupporvi
mai alcun dilordine.» pofitivo prefcrivcre maniere pih proprie d* evitarlo,
quando mai vi nafcelìe . Di più ne pure ho pretefo d’ aggiugnere più lume tu
quel molto , che ne hanno Icritto altri Au- tori con molta (bdezza , ma folo di
far pub- blico il mio parere, che tante , e tante volte m’ è flato richiedo
Ibvra di ciò , e fcaricar- mi apprelTo di Dio , e degli huomini in un_.
argomento, che è tanto proprio del mio Mi- niftero. Per quello dunque , che s*
è detto fi- nora , non può certamente negarfi , che nel coftume del converfare
intervenir non pofla il pericolo di qualche abulb , quella clTendo pur troppo
la mifera condizione della no- llra natura di convertire fbvente in materia di
vizio quelle cofe medefime , che lodevoli ibno in fua feflanza , o per lo meno
indiife- renti . Noè fu il primo a piantar le viti , ed a rinvenire l’
innnocente diletto di fpegner la fete col vino; pure egli ancora fu il
primo Cc . . ad 40* ad ubbriacarfcne rendendo sì poca
edifiea> zione a i fuoi figliuoli, che per efla originolli la rovina di
Canaano . [a] Non potrà per- tanto veruno tacciarmi ,che io abbia dubita- to
poterfi ancora dalla Converfazione per altro favia , ed innocente , paflare ad
un tra- viamento, che riefea in fommo dannofo , e_# che perciò indotto io no mi
fia a fuggerirne i prefer vati vi , perchè lion vi s’ induca giam- mai alcuno .
Quando potefle ciò condannar- fi io giudicherei inutile ancora, e vana la me-
dicina, poiché eflendo piò Tempre i fani , che non gf Infermi , fembrar
potrebbe una fpe- zie d’ umor malinconico il penfare a quel male , che non è
punto comune, funeftando r allegrezza di quei ,che godono una perfet- ta
fallite coll’ inveftigar tutto giórno que* malori, che potrebbono a{Talirla,e
(bttomet- terla . Tanto più farebbe ingiuriofo all’in- nocenza de i più lo
Audio de’ Moralifti , che vanno fpeculando sì acutamente fovra la^ qualità de*
peccati, fuori cavandone le circo- Àanze più maliziofe , e più metafifiche ,
per indurre fpezialmente i Buoni a guardarfene, o a faperne ben divifar la
natura, e farne co- me un efattilfima notomia ogni volta , che vi cadeflero mai
per difavventura dell’ uma- na fralezza . Io non credo già , che veruno ,
di co- ca) Gè». 9. DigKized dy «
•40? di codefH Savj , e prafondi Scrittori ave(ffi_» in penfiero , che
tutto il Mondo fia pieno di buoni ini sì perverfi, che peccando con ing^- gnofà
malizia , abbiano ridotto ad. una fpe- ■zie di Icienza il peccato .'-Ma perchè
il male potrebbe darfi, ed in tutte quelle di verfe, sì varie forme , che efli
hanno divifato pru- .dentemente , è partito lor neceflario d’afle- gnarea tutti
generalmente, o il rimedio, quando (1 defle,o il prefervativo, perchè non il
dia . Credo, come già dilli in altro luogo , che forfè non vi fia un huomo di
me più di- fcreto nell’ accordare a tutti quello, che efler puote,o di
convenienza , o d’ inclinazione , o di Ibave divertimento : e mi protefto d’
aver fatto ancor qualche (ludio particolare per difendere , dentro i termini
dei giufto, e del ragionevole, quanto mai far fi polfa , laL^ Civile , e
Crifliana Morale , non contenden- do.a veruno mai 1’ ufo di quella fignorile,e
dolce libertà , che a tutti per privilegio ha.>. conceduta 1’ Alti ffinio .
E’ ben vero, che fic- eome io debbo a lui rendere uno ftretto con- to del dogma
, fovra di cui ho fondata la mia diferetezza ,ho voluto ancora mettere lotto l’
Occhio d’ ogn’ uno tutto quel male , che.» potrebbe incontrarfi nell’ abufo
della mede- iìma libertà per indurgli a valerfene con.» una prudente , e
moderata riferva . La dol- cezza de’ due famofi Direttori dell’animt> S, Filippo
Neri , e S. Francefeo di Sales , m’ C c 2 ha Digitized by
Google 4°4 ha fervito di guida per fecondar ièmpre i quanto
fi pofla, 1* inclinazione d’ognuno fen- za forzar le nature, e render rofpetta
lor la., -virtìl coll’ obbligargli ad una maniera di vi- vere audero, e poco
accomodato alla condi- zione , ed alle convenienze di ciafcheduno'. Ma codedi
medefìmi due gran Lumi di Santa Chielà m’ hanno poi anche ammaedrato ilabilire
ben chiari, ed inpreteribilii confini delia eridiana modedia, ed invigilarne
all* efatto mantenimento con tale premura, che mai non ho lalciato d’ efagerare
il gran ma- le, che incontrerebbefi nel trafcorrere fuori di tali termini ; e
non già per fuppofizione.» ingiuriofa, che altri mai da per farlo, ma per zelo
fola mente , che non cada a veruno in_« penderò dotto qualunque pretcdo di
tentarlo* li. Mi veggio ancora in obbligo di ren- ' dere la dia didinta
giudizia al nodro fecolo » il codume di cui ho battuto dnora in riguar- do ad
alcuni pochi , i quali amici d’ ufare di lor libertà appunto fuor del condne d’
una.* favta moderatezza , pretenderebbon di for- mare come un nuovo dogma in
genere di Morale . A codedi, nè io, nè chi che dad , cui prema il decoro della
virth,potrà mai accor- dare un tralcorlb, che fenza contrado è con- dannabile ,
e condannato ancora dallo dello mondo o pii'i favio, o men cattivo . Per altro
non può negard al predente fecolo una lode ben ampia di cultura in ogni forta
d’adorna- mento mento affai diflinta j c potendo chiamarfi if rifloratore
di molte belle arti già in gran.» parte fcadute, od’ adulterate,
fpezialmente.*. dell’ Eloquenza , della volgar Poefìa , e della! iba vidima
Tofcana lingua, che molto debbo-^ no alla noflra celebre Arcadia per lo fludio
•’ e premura di cui. ne è ih tutte le Città d’ Ita*. ]ia, e fuori ancora in
varie parti rifiorita laj, gloria,cd in particolare per quel gran luflro*. che
lehan dato nelle infìgni opere loro i no«! ftri valorofi Compaftori , P Abbate
GioanJ- Mario Crefeimbeni Cuftode, gli'Abbati Mu-’ ratori, Salvini, e Cafbtti,
ed i Marchefi Orfi». cMafFei,col feguìto di tanti altri, che hanno per le
nobili raccolte loro arricchita la Re», pubblica Letteraria, d’una pellegriua,e
vaflifl Ifima erudizione.^Così lafciando que’ pochi,i quali dediti ad un ozio
coperto fbtto i pretefii di:civiltà,edi leggiadria, hanno abbandonati- gli
lìudj, e le.occupazioni cavalerefchc, noo- può negarli , che non abbia il
nofiro fecole»: partoriti de’ Giovani d’ alto fpirito , che gli fanno fperare
un accrefeimento lipn ordina»/ rio d’ efiimazione, e d’ onoranza fbvra mol»* ti
de’ già |)a(Tati . Il guflo altresì nelle co(e_a tutte efinifilmb, c ridotto ad
una perfezione, sì grande, che forfè darà a i Poderi, che pen-< fare, non
per avanzarla , ma per. giugnerne' femplicemente all’ immitazione. Efiendo poi
quedoun frutto de’ fubli mi ingegni , chea»,' noflri tempi fiorifcono,è
manifefto non avev Cc j rq- ' V Digitized by
Google I 40^. re il prelente -(eco lo » che
invidiare all’ onor. de’ paflati, mentre, corae-io dicea , fino, a far-
ne-rnvidia, ha faputo negli. huoraini , che in_. lai vivono, adunare quanto di
bello ,di<buo* no , e di fpirUolb animirolfi divilb ne’ prece* denti . R
itnane folo a chi ha zelo per l’ a van* zamehto della .virtù l’ augurare' a
quei, eh.e_«. gli forti roho un buono. , ed utile traffico def- lor tale nei,-
acciochc pol7ar;umana Repub* bièca tirarnefemprevaneaggio, e di fortuna, e di
gloria', e non venir mai a fegno di penr tirfi d’ avere ottenute della membra.,
le qua- li della robu(lezzà,e rpirito'lor naturale abu-, fandofi , (late le
fieno , anzi d’ aggravio-; cKe d’'appoggio, efoftentamento gloriofo . Pern ehò
ciò non accada èneceflario» che cialche- ' dun'o fi prenda- come a punta
d.’onore il proc*. curarc'dalcanto'luo di vivere ih guiia, ctie_> | cfTer
potefle. egli folo di qualche ornamento difiinto ài lecolo, in cui nacque.,
edavefie la> fama à commendarne le azioni , quando per impoffibileogni altro
, che' vi ve faceffeeofo da fèppeHrfirnella(cordanzai,-lMè queftaiè già
quaJche.fp0calazione diMetafifica,.ma uh fb* do-principio di pratica , e vera
Morale-, 'pbì^ che dee' prèmere a tutti in particolare, di ren * derfi coll’
operazioni faggie nell’ avvenire-,»- degno di lode , quanto premer può inaiali*
linrverfalc di tutti glihuomini , che formano: le .Città , leProvincie ,, ed i
Regni ;• mentre fe ciafcuno'pe’r la fua'parte hoa'fbmenterà; ia
cuore 1 Digitized by C-ic , .407
cuore una tale preniura non potrà mai rlfnl- tarns un tutto lodevole .
Tali efler debbo- no i fentimenti dell’ huomo civile , onefto,e dabbene , o»nde
lafcib fcritto Platone (a~) per un grande , ed utililTìmo ammacftramento di
tutti: accadere per uh certo dìfordtne della^ natura , che gli buomìni da poco
nulla curi» no qual opinione fia per aver fi di loro in av-- venire: ma quegli
, che ottimi fono , far fem^ prete cofe tutte inguifa da meritar fi un buon
nome ne' fecoli futuri appreffo $ viventi . Tutti, che io ben lo sò , avidi
Ibno di gloria , ma non la ricercano dove fi dcbbe, a loro ba- llando, che
alcuni pochi , e tal volta un folo , o per adulazione , o per interefle ,
necom- mendi, qualunque ella fiafi, la condotta: non bafia i dice Seneca, [b']
per la gloria , e per la fama, P opinione d' unf.lo i Convien gettar- ne per
fondamentò'un buon capitale di vera, e collante virtfi, che preflo,o tardi fi
guada- gna P approvazione di .tutti , cflendo un fre-' gio internò , proprio ,
'c durevole di chi l(L^ poffiedé , e degno per quello d- una lode (in- cera, e
perpetua: fé] nell* huomo; conchiud» Io ftelTo filolbfo , dee lodarfi ciò ; che
è fùo i Egli hàuna bella famiglia, una bella cafctj : molto feinìnà, molto
raccòglie, molto mércan- teggiaì Niuna di quéfie còfe ì in luì, ma tut- - ' ‘ ■
Cc" '4. ■ te' ^zyEpcz, fb] Fp. io8. [c] Fp. 41 I •
• c tc ìntoYTiù (t lut i lodu itt\ cffò Ciò i che
ffoftpu^ torfi^ne darfi . ; . . . ^ . 111. Per ultimo compilando
quel molto^ che finora difFufamente s* è detto per tratta- re, come doveva!! ,
una materia di tantó, pe- fp,,confidcri il Giovine , e V huomo ancora.^.
prudente,che qui non fi. è pretefo di condan- nare f uiò della Cònverfazionei e
fempre fi è. replicato; ma di rettificarlo, potendo egli c€^ fer buono, o
reòjfecondojche è regolato piu, qmeno dalla faviezza • AlleMofcheil mie- cle è
vifchio di morte ,;come alla Farfalla il lume, quantunque ed il miele , ed il
lume fie- no foftanzialmeute buonilTimi • . Può alcuna volta anche la
Conyerfazione per altro one- lia , favia i e vantaggiofa , efler peflima alP
huomo per gli effetti, che partqrifce ; ma ciò farà fempre per malizia di
Golui,.cheme abu- fa, efi dilunga da quelle regole , che qui gli abbiamo
prefcritte coffbndamcnto della ra- gionCydelle Sagre pagine , de^ Santi
Padri, e degli antichi Fiiofofi , dai quali pure, pub molto impapar.fi • Da ciò
debbe dunque rac- cpglierfi , chè.il converfa’re con qualche fa-
vio timore farà fempre il più forte prefprva- tivo delP Innocenza ; poiché
P.pperar con audacia, troppo franca non è mai. proprio deli* huom prudente^
perche mancando ella., e iVancndo qual fumo liev§, altro non lafciu^ la
^'^rgogna , cd il danno d* uno sbaglio tanto rnen compatibile, quanto più
volontà* 409 fio: fa temérìtà , diflc Qninto Curzio acuta-
mente , [uj quando ba fatto il fuo primo fcop» .pìio rimatt fetiza lena , come
alcuni animali .perduto , che hanno /’ aculeo . Il timore è la cuftodia della
virtfij ma bifogna iifarne a do- lere, e quando, e come , é dove può trovar-
fene giovamento. Vi fono tra gli huomini alcuni, che. incontrano in guerra a
petto nu- do’Ia morte, e la temono in una tazza di toflì- *Co ; altri ,.che la.
paventano ftranamente ne' fatti d’arme,e la b.everebbono con franchez- za in un
bicchier.di veleno da gcnerofi. Que- flo nel genere ancora dèi mero
eflerd’£roe_# non è timore, che meriti gloria,perchè non ò fondato fulla prudenza,
da cui debbonfi tener fempre in equilibrio le affezioni per volere in ogni
tempo,ed in ogni luògo ciò,che vérame- tc.ò buono, è per non voler marciò j che
fia aflblutamente.cattivo jquando tali non fòfie- ro le circoftanze, e del.
luogo, e' del. tempo» che. variaflero la natura di quelle cofe , che .
s’appetifcono per moti vo di gloria. . Venendo poi cou qu.efto all^ordine della
Morale , non_» fbno'in verun conto (limabili ,■ nè dotati della vera bontà
quegli huomini , che Itemon.la-, colpa , è;la. fuggono trifolati nelf Ira.»
nella Superbia , nell’ Avarizia , nella .Cola , ed iiij fbmma in que’ vizj ,
che troppo vili effendo, -, . ■ ‘.e dèfor- . « k « »
’* i Digitized by Google e, deformi , fi rendono
odiofi dafe medèfimi» e non la temono pofcia , per cagione .d’elèni, pio , in
un difcorfo molle. , ed incitante:, iru, una pratica giudicata "ci vile,
ed innocente^ ma che fia in foflanza mala , c perriiziòfa, nel conforzio,
d’huomini , che riconofeeadofi di maflìmeiftorte , pure fi amano per le doti
lor naturali ,odi vivezza ,o di galanteria ,o di finta cordialità ! Qui non ha
luogo veruna-, circoftanza per giuftificare la facilità d’ab-' bracciarfi
conciò, che.è difua.natura cat- tivo, perchè.il male , moralmente parlando, dee
lempre fuggirli. Il timore addunque, per cui fi paventa un male o vicino , od
immi- nente , perchè fia faggio , ha da fuggerire , o la fuga , quando in altra
maniera non polTa.. evitarfi il pregiudizio, che Ibvralta ,o mette- re ranimo
ih tale guardia , e difefa , che ad ogni collo ;proccuri di prefervarfene .
Man- tenendofi guernitol’huomo d’unarme si for- , te farà Tempre ficuro in
qualunque , cimento, ' e giacché a niiino riefee; grave una tal vi-
gilanza Ibvra que’ mali , che riguardano!* interefle, non sò vedere , come polTa
parerlo trattandofi di que’ vantaggi, , o pericoli, che toccano lé premure
tanto gelofe'dell* anima, c dell* eterna falvezza; Quantunque nell* ufo del
còhverfarc con diihedichezza non deggia fupporfi alcun mal pofitivo , non è
però egli sì di fua natura innoceute., che non poita tal volta ammetterne
ancora un grave: ficchè il timo- . 4» I timore in chi
Io pratica farà fempre tanto utile, quanto giudo, e la vera maniera, di non
provarne fcapito è appunto il noalafciar mai .di temerlo ' • . •
• ' IV. Termino quedo Libro con. una per- fuallva btn doverola a quella
gioventh., che avelTè mai fafferito. di leggerlo Bnoa.quedo punto , o per lUò
divcrtiitiento; , o per genio di profittarne-. Proccuri- .ognuno de’ Gioiva* dì
d'unir lèmprc-.all’amot; dei divertim.e.ntó quello ancora. <délla<
virth-^jC con propofito, si riibluto , ed iàvariabile , che. in calo d’aver
fi aperdere o-l’uno , ò.l’altra^ voglia.piùtofló rimaner privo del
primo.- che della feconda^ in'entre a ben. 'riftefitervi ètni&rabile quei piat-
cere , che pùòicofi^ite'iajperidi.ta delia - virth» onde rendefi.
ògiiunoi>.e‘eanaa;I>io j>e ftimab- bile ■ appreflb degli' huamihij,.i
Per afiìcurar.ft di'quefto' fà. di iinèfticcerKChc; vi.vo) nemaiv teagàifempre
iLGiovihe-'i’araiore. nell’anÌHj.a» e ne fia.veram.éntc
gelofQj.cojned’ua.t-eiòro il più ricc.o.,;cdi;i pii» grande, che, pofla: mai
poiTederfijlùggéii,do;3d'0gai potere l’errdr di coloro. ì.i .qm Ir. 6 .'dannò,
foli eroente a crederò, eh.Cinon còn veu gà punto a) l’huom libero., , e
lecoia'rc i^eoituvar, nello fpirito ilTantOifenne d.eljai wirti\ piirbella ; e
più. terfa . Io non ho mai . pretefò. j che le- perfonedi Mondo , edi giovani
fpezialmente , vivano in tale angu- ftj.a,».£Ìbie G.ritirbo. adatto da ogni
forta .di.d- vile, e gradevole divertimento per accudir» ' aduna .
'4^2 ., «• 5 ad una IbrtiJgliantfi cultura » cio 'cncndo prò» prie
de’ Spiriti pili perfettiu Non- ho - però mai faputo- accordargli.il viverne
cosi fuor di penfiero , che fe ne feordino interamente, c la mirino ‘ Come 'un
efercizio contrario del tutto', ed incompatibile colle; convenienze-j* * dello
flato loro; Debbono effi dunque riguar- dar la virth Morale , e Crifliana con
affetto particolarei e col; defiderio-d’ arricchirfene_» avere in Ibmmo pregio
■ le rpirituali ^cofe i e ouei j che v’attendono i mai non deridendo- gli
folamentc,: ma bramando Tempre ancor d’immitargli , e fpeffo chiedendone a Dio
la^ grazia . Sembra che il viver da.Santonon fia da tutti attefa l’umana
fralezza , benché éffere lo poffa in verità ,ouando vi fia ^1- la parte
d’ognuno' una aeliberazion rifo- Juta , e da quella di Dio l’àffiftenza della
Tua grazia . Quando però foffe ancor vero, che ciò non fpettaffe a tutti ,
è-ben da;tutti il bra^ mare la Santità ,.nèVha fiacchezza , che pof- fa affò!
ver veruno da un sì giuflo , e sì nobi- le defidério . Quando poi egli fia vero
, ed ar- dente , ficcòme è il primo incentivo del lanto ^amorcied il primo
raggio, del di vin lume, dicendo; lo Spirito pTÌncìpÌQ 'dèlia' fapteuza i
e della 'càrftài\ la bramai delia ■ disciplina : còsi -può talvolta
baflareia per’ * ' . T . * , * S/’: . ••«1 . ti» i J ►
‘ • l-' . < [aj; Sap» 6. I per condurre
un’anima alle cime piìi alte di perfezione , e farla fanta fenza quafi,chefo ne
avveggia . E’ veloce di (iia natura il defi- derio ) onde mai pigra efler non
puote quell* ■anima, in cui egli vive , e perciò S. Gregorio lafciò fcritto
Q>') quel gran fentimento, che: Vantare le fuperiori c^e già è un f altre
ììl^ alto . Io dico ciò per coloro , che fvogliati in- tieramente modrandoil ,
e come avverfi alle cofe tutte della pi età, anzi timorofi d’acqui- ftarla in
pregiudizio delle padìoni , fogliono valerfi per ilcufa d’una certa difficoltà
imma- ginaria , che fembra ad efliì doverfi incontra- re nel viver divoto , e
cridiano , Qual colà-, mai può penfarfì di piò agevole per confe- guir la virtù
più loda , e più cofpieua , quan- to il Iblo bramarla , alzandoli vicino a Dio
ilille ali d’un defiderio , che nulla coda di pena , e nulla reca di nojà ? Per
quanto.ad- dunque lì trovino immerfi nel Mondo il gio- vine, e l’huom civile,
proccurino d’aver Tem- pre della tenerezza , e della parzialità per le cofe
appartenenti allo fpirito , e confonden- doli di non elTerlo , lòfpirino. ad
ogni mo- mento di riufeir fanti , che nudrendo una tal brama di troppo mai non
s* attacheranno alle fciòcchezze'. del Secolo j ed una voIta_ ancora
felicemente lo diverranno . Si ricor- '■ dino A IWII !■ pi ■ ■■ ■■
^ Lià, Maral. \\ ' > \
\ Digitized by Gcxqle ^‘4- <3ino fpefTo ,
che iti terra fono paffeggieri , e che farebbe una troppo grande follia iJ per-
dere il diritto all’eterna patria per troppo afferionarfi ali’efilio,
cheo>fi voglia, o nò, debhe, quando mcn vi fi penfa , lafeiarfi. Non
permettano per quanto amano fé medefimi ■ d’efTere ingannati ad occhio veggente
da_k quelle miferie fteflc , eh e debbono appunto difingannargli , perche
faranno inefcufabili un giorno al gran tribunale di Dio , fe della-, infelice
qualità loro che può .eflTereùn do- cumento per abborrirle:, averanno voluto
valerli come d’ un motivo per compiacer- cene . Rifletteva Plinio , che la
benigna na- tura non permette a’ ferpi l’ulcir dalle tane loro , le prima non è
fiorito ih Fraflino , che gli è mortifero ,nè che fecchi egli prima, che
tornino cfli a rintana rfi: '(4) , egli, efclama , benignità della
prottvida clemente naturai Meno certa mente •no'n è fiata coli’ huom'o benigna
la Provvidenza nel favorir- Jò di fpirituali rimedj contra d’ogni veleno, che'
uccider pofla <lo Ipirito ; ma guai a chi o ne àbufa , o noi cura J
Viva’fempre felice-* chi legge, • FINE. - i . . ■
Autori citati nelV Opera: 4I5T A S.
Agoftino. . Aidato. ' Aldovrando. S. Aiwbi^gio, Arinotele. .
Averroc. B Bacone. S. fiafilio. fiattifla. S.
Bernardo. Biante. S. Brigida. G Cafiodoro. •
Catone. Chilone. . Cicerone. Cleobolo. D Demetrio
Falereo. Demoftene. Diego Stella. E. Egefippo.
Eliano. Emmanuel Tefàuro. Enotro PaIliizio.P.A.
Eraclito. Erafmo. Erodoto. S. Eutimio. . F
Filone Carpazio. Filoftrato. G Galeno. Gafparo Scotto.
Gio:Gerfone. ■ GiorPico. S. Glo; Grifoftomo. S. Girci amo.-
Giovenale. S. Gregorio M. S. Gregorio Nazian* Zeno.
Guarino. Guglielmo Abb. I Jamblico. Ippocrate. S.
indoro. . . liberate. L . X-aerzio. Lampridio..
Lattanzio. S. Leo*' / 4^6 S. Leone P.
. Liirio; M. Marino. Marfìlio Ficino. S.Ma0ìmo. li
Morale di Spagna. N Nierimberg, O Olao Magno. Omero,
Orazio, . Origene. Oronzio Fineo. Ovidjo, P
Pàlermitano, Patercolo*. Perfio, Petrarca. S. Pier
Damiano, S. PierGrifologo, Pittaco, . " Pitfagora,
Platone, Plauto. Plinio. Plotino. Plutarco,.
Polibio, ' Proclo.' Prudenzio.' .9- Quintiliano.
. Q. Curzio R Riccardo di-S. Vit, tore. I Roberto
Abbate, • » S . Saliceto. Saluftio,
Scaligero. Seneca. Sidonio Apollinare^ S. Sinefìo.
Socrate. . Solone. Speufìppo. Stobeo. Svetonio.
T Tacito. Signor di Tarrino. Teodoreto. Tirfi Lcucafìo. P.
Tertulliano. T, Livio. S. Tommalb d*Aqui* . . PO, . S,
Tom» DIgilized by Google V S. Tommafb di
VillaJI Nuova. Tommalb Moro., .. Trimcgifto. Triteraio. • '
Tucidide. Tuningio. 417 Valerio -Maflì mo. Ugone
Cardinale. Tigone di S, Vitto- re. DigHized dy Google IN
D I C E DELLE COSE NOTABILI, A ABbandonsmento delF Anima y
lagrime* vole . pag.izS. .D'Amici falli nel maggior bifognò.' 'J45*
Abbellirli per piacere ar.mcrito è lecito» quando vi lìa quello
folo fine.- 1 95* Abbigliamento in Donne vecchie, 170. Abramo,
fua-cautela nel facrifizio,- jo6. Suo rifpetto verlb di Sara. 15
Abigaille cdrregge.i difetti del RèDavide.i o, Abiineleccojcome rende
Sara adAbramo.48, Abitare in luoghi defòlati grangaHigo. 12. Abi(i fogliono
qualilìcare le Perfonc. ^47. Abito cattivo , fua forza. 284. Accademie
celebri , loro origine, • 329. Accafamcnti , quali felici » e quali nò. 45.
Accafamenti degl'Antichi , più felici de'mo- derni, 42, , Acciecamento
del fenlb. Accomodarfi agl’altri , come dee farfi. i j.
Accufatordomeltico di tutti, 201. Achilie creduto prodigiofo da' Greci , per-
chè. ' . 227. ■ ; Acoua / 419 Acqua
delle Fontane, come falc in alto. 310. Ne’ Pozzi profondi inalterabile.
104. Acque fulfuree danneggiano il terreno. 2 1 o. Adulatori apron’ladito alle
corrutele. Pr. Suo ritratto. . 221. Adulazione di fe medefimo
pelTiraa. P^ef. Agatocle Tiranno di Sicilia Tua modera-
Agevolezza per confeguir la virtii. . 413. Aghirone uccello , fua
proprietà. 63 . Agitazione oziofa. 276. S. Agoftinojfuo gaudio dopo
la coverfione.3 76, .Agricoltura dilettevole . 362. Ajuto reciproco fra i
Fratelli, 214. Albagia collegata coll’Amor proprio./’r, 1 1 . Albania ,
fuo Fonte ftravagantc, 2 1 8. Alellandro amico di lode. Pref. Getta
nel Idafpe il Panegirico d’Ariftobo- , lo, perchè? , P^ff^ Uccide Clito ,
perchè ? , 92, Sua temerità felice . .131, Alfonfo Rè d’ Aragona »
filo detto circa i Li- . bri. . Praf, . Alienazione ,c difamore tra i
Congiunti, fua Di non conofeere il male. Di fe medefìmo ,
dannofa. Affabilità , fila forza. Affettazione odiofa.
Di troppo genio. zione . S . Agatone fuo ftudio per
tacere 61. origine. D d *
420 Allegrezza vera di due fpczie, fomma di con- feguire , e
poffedere Dio. 376. Vanainftabile . 377 Di cuore , e d’occhi .
377 Di chi batte le vie della Virtù. 361 De’cattivi, diverfa da
quella de’buoni.373 Di libertà , quanto biafimevole. 46 AltareinTarragona
cretto adAugufto. Altari , e Sagrifizj accettati dagl’lmperadori di Roma
, e perchè ? fref. Alterezza , fue cagioni . 348. Amar le cofe
celefti è lò lleflb,che lalir- vi. 4*?; Ambizione , ed amor proprio
, ricuoprono i vizj . 6. Odia gl’Emoli . 348. Amicizia tra Dio, e
l’hiiomo vera , e fua ori- gine. 390. Quella , che apparifee nel Cane ,
cofa fia. 109. Fondata sfila fede reciproca. 237. Moh falva
dalle derifioni i viziofi. 263. Vera è durevole- 3*7*
Amiciziaconunlòlo,conimiciziaveruno.328. Suoi tre atti. 340. Quella, che
termina, non fumai amici- zia.. - Sue prove grandi.
Amici non fono mai piccioli. • Leali. . Loro coflanza <
4 346. 389. 19. 390- 391. Vaip,
Falfi. ; Veri t amano in ogni tempo. Loro qualità . .
Di fortuna . Trovati a cafo ,di rado buoni. Loro diibnizione.
Amor Platonico, Tua opinione eraminata.65^. Quando ingiufto . 66. Tra le
perfone di flato un libero , perico- lofo . 68. Amore , come difficile a
regolarli , anche nei 421 109.' 342- 1 1 1. 209.
1 1 1. 222. precetto d’amare il Proffimo. Scaltro , ma facile
a conofeerfi. Delle cofe belle è equivoco. Smoderato de’ piaceri ,
fuo danno. Alla virtù ingenito. Proprio , quando fcufabilc.
Suo flipendio . Vano del Proffimo. D’occhio diverfo da quel del
cuore. Terreno , qualità. ‘ Sregolato de’ Figli. • facilita ogni
imprelà. ‘ Del divertimento , s’unifca a quello della virtù . •• • AI
I, Amorevolezza paterna quanto foave. jPr. AnalTagora fua opinione
intorno airEcclilli ■ del Sole. ' Fref. Angelo può divenir ognuno per
virtù. • 42. Angcrona Dea del difpiacerc. 299. ^Anima invariabile^
■ P d 4 Fe- 70. 122. 166. 248.
260. 298^ S‘3- 343* ■346. 39i‘ 355- 39 1-
• 422 Reeolata intenormente dalla Prudenza I Sua fuperiorità
in riguardo al Corpo. 40.' Sua rovina dal poco. 59. , per effa meno fi fà
, che pel Corpo.- 275. Anima , e Corpo, come debba il favio. pre- . feindere dall’uno
, per amar l’altn. 68» , Sua fantiiicazione. J68* Anime unite a Dio, fuo
gaudio. 375* Antipatia. ■ 21. Apoftolato fegreto. . 2 15.
Apparenza fenza foftanza. J47. Per fàlvarla tal volta fi patilee». 1 88.
Non può fondare un retto giudizio. Pr. Applicazione alle feienze creduta
difdicc.» . yolc. 28. Aquile lor caccia de’ Corvi. 70*
Arcadia , fuo incominciamento , e lode. ^29. Archelao , come fgrida.là Figlia.
8j. Archimede , fua fmoderata. allegrezza per la , cognizione. 100.
Architettura , fuo errore. 170. Aria , come faccia armonia. • .
,ioi. Arianna’, f^voloib. , , . 174. Armonia infernale. 155.
Artabano , fua imprudenza. 22. Arte dell’arti quale ? ; : 19* Di
faperfi far defidcrare. 95. , Supplifce alla natura . ; . , • •• ■
I08. ' ,, Di provezare.il, Vento-. .■ , • , 216. . Di formarfi la b
eatitudinein terra. 595. ' - . : Ar- Artefici , come fbggono la
pena dèi trava- . S7- Arti , non debbono riprovarfi fecondo
Pla- tone. Cavallerefche decadute . 2^6. AlTalone,fuequalità
. . 262. Affjendio Citarifta . Afprezza fmoderata verfo i figli.
^84. Aftuzia fanta , qual fia. i<5. Ateniefi , lor Deità
feonofeiutap 1 j4. Attaccamento ad oggetti particolari , dan- noib.
jj/ Audacia lodevole, '• - io. Nociva. I iQ^ Augudo t lua
grande accortezza. Pr, SuoBanch etto condannato da’Romani. 188.
loo. 60. ; SS3-: ^75- 77-- # • • ivi'
■ 78-r 166.- 184., 185." 4>8 - Suo Anello,
Avidità di parlare , fuo pericolo. *'> ' Drfapere. Autorità fiiol
partorire franchezza/^' Avvenenza perduta , fuoi effetti.' • Suo pregio
• • Sua Pefte. Adulata . . Artifiziofà Naturale .
■ Avverfione alla pietà, -r-a* Azioni mifte ,& ambigue , qiial
giudizio^ ri-- cerchino per effer giudicate . Pref. Non fon lecite per
effere di molti. ivi • 5<!i2lificate dal fine. 0^, 5 4. 4 Effer-
DIgHized by Google 4«4 . ,, Efterne dipendono dal
giudizio.altriii. 4^.'* Oziofe , quali. ^17, . Sante, debbono farfi con
cautela, jo6.‘ B BEIlezza , come.dee riguardarfi. 74.
Fortificata dairArte; Infima qualità di tutte le cofe. i66. Dell’animo ,
vera . ; , ...ivi Bene apprefo per vantaggiofo ,ii abbraccia ^ come il
male creduto utile.. . /’r. Non cercato , fi perde. “ Vero, come fi
fcuopra . , . .•27.' « . ^ ^ leva il pregio, .d’ogn’. altro bene. .
. . 39S* Benedizione degli accalàmcnti, .• Benefattore , imiti il
Sole. ; »i78. Beneficenza , fuo temperamento, , ; ‘ 2o8.- Sua qualità . ^
.341... Benefizio , acquila padronanza ifovra-chi lo riceve.' '
217. Benevolenza .- 246. De’ fanciulli. 5^47» Bontà forzata,
quale ? ' . -->174. Cafuale. , .2oi.' B/àma d’imitar Crifio.- ;
,7: 36©. D’imitare i buoni. ’• •; r,; • . . 41 2. Bruti , e Fiere
di.vengono . manlttete cobeon,- . iqrzio. . r - ; .. 'gj. I . ; b C •
Come i Digilized by . . , 425 ■ Come
operano per imprefljon de' fan- . tafmi. -, 55* . Perchè abbiano la
cognizione della Botta'- nica. ■ - ' - ' _ 3*3'’ Bugia, c verità
alle volte non fi diftiaguono. " •' Buoni ,cofa farebbono
diftinti da'cattivi- , 2 . Operar bene.peramorei’ • 1 -
G C .j Accia degli uccelli di fiuolo.
V • ' 295* Calamita , e ferro, loro'proprietà. ■;■••• ---Só. ..Coperta-. ■ • '
' ■ fgb. . Come tiraiil ferro . , .Suo impedimento per rivolgerfi
allaTTfa- . . . montana. ' ' y i . ' Comcopera nelle borrafcHé di -Mare.
•219*' Camaleonte, fua proprietà. .•Come cangia-colore,' Cani
d’Egitto come bevono àl-Nilo'.' < <- -- ' S Ì » . .Quello di Dario.
• - '• ' ‘ .^^9*, . .Quello di Praflìtcl'e. '■! - ^ •• • -' jvi;
Cannocchiale , fuo ufo. - i ‘^99^ Cantare a fe medcfimo ,' prc>vcrbi0
ahtfcò. . .. ;• t » • ' ••• '•305# Cantatriciv-; ' ' ;
l;.’';-’-.'.' Gàparbierìa , dee fuggirli < ' • •/ ... Capi di
cafa , che fan da Catoni^ j c ua *Sta^ .•tifti. . . - ■-S8. . * 1
X^oro y » i 4 2 5, Loro
fpenfieratezzadannofaiL . 2oj. • Sono il Capitale de’ domeftici.
206. Loro coftanza abbattuta , da chi? • 2^5:. Capitani loro
accortezza nel riconofcere il ■ Terreno* i--. 129. Caritàiaccelàjcrefce
nelle azioni efternc.374. . Inieparabile dal fuó divino oggetto. 391. :Converte
in fuo alimento ogni cofa. 392* Catena viziofa di paflatempi. 90* Cattivi
, incapaci di mantener la concordia. S4S> 179.
®4J* *59» 179. 227. IVI 323, Simili
alle Nottole . Prevalgono > . Perchè fono ì più. .. Più numerofi
de’, buoni ... ■ . . Come fi fiiggono fenza fuggirgli. . Strage,
che ^no dell’Innocenza, loro virtù finte., : . -Incapaci d’amicizia
. Catone j.fua naturalezza nell’ operar bene. Cattolico , fuo vero
efler d’Eroe.: . . ^ 143 . Cavallo , fua ;ambiaione , quando, célfa? 1
45» .Sua qualità fi conofee dal mantello. 151. Caufidico di Marziale , dorilo.
.1 ■ 170. Celidonia , erba utile alle Rondini; aas'* Cenfùra nafee
^all’ignoranza. .. > . 1.17.- Cenlurare altri , odiolb* ivi. Cerchio ,
ufo moderno delle Donne. 164. Cervi perfeguitati da’ Cani > fi rico verano
in .;feno.air,huomo.., . : ; 320. . Suo fino odorato • , , 1 24,
Chielo . ■ 427 Chiefe |irofanate per le modci 1 97^
Chimici « ' 874 Chirurgi mal pratici . 1 88* Diffidenti pofTono
cagionare, che le pia- ghe divengan cancrene. Pref. Cibi varj , anche
ottimi , alle volte nocivi. . . 4. . . • ■ Ciechi di malizia.
106. Tra colè vaghe ridono, nè fan perché. 35^. Cieli , fuo giro « *
14. Sua mirabile ordinanza. 56. Cinofura, utile a’ naviganti.
324. Cirooftanze variano gli oggetti. 409. Città , lor vantaggio.
55. ogg* fi lodano per le glorie paflate. 277. Civiltà ILifpetta.
157. Cleopatra rovina di M. Antonio. 261. Cleope Ré d’Egitto, ftia
infame induRria. 209. Climi barbari , lor pregiudizio. i £uonl lor
vantaggio . 124. CoCodrilli ajutati dal Regolo . ^4.' - Si lafciano
divorare da un piCciolo ànima* letto 79. • Cognizione del proprio debole.
254. Di fe ftelTo . 100. ■ Porta al conofcimento di Dio. io
Degli altri , utiliffima 4 109. Quando é inutile. 262. Colonne , e
guglie , quando più filmate? 1 1 Coip'n.didli fià fofpettar di fe flelfo.
147. Colpe non temono i rimproveri. Pt. ' - ■ ' ) Co-
<~ 42B . . Comete , curiofiti > che muovono
nell^appa- rirc. 95* Commociità domsflica. 271, Comparfe
ridicole . 349* Compafibfuo motoi ' 79* Compiacenza di fe medefimo,
dannofa. 4. Vana , leva il pregio al bello. 167. Complcfìfioni , fi
guafiano per l’aria. 121. Corapoftezza criiliana . 356. Commtinicazione,
rende fóave il bene. 1 2. Conccttofi, e faceti , facili a dare in fcioc-
‘chezza. 62. Conchiglia, mirabilmente provveduta dalla natura . 34*
Quando partorifee più facilmente. 1 08. Abbortifee nelle borrafehe.
Concordia, domcfiica dipededalleDonne. 82. Quando nociva all’amore. 85.
Suoi effetti. ij. Effetto della Virth . ivi Condanna peggiore delle
altrui azioni , qual fia. ' 17. Condifeendenza dannofà Vref.
fomenta le palfioni . 508. Confcflbri debbono unirli a’f redieatori per
la codanna delle cattiveConverfazioni.30. Confronto delle cofe brutte , giova
alle mea belle . 1 66. Confufione de’ fiati, originata dal Lu(To.j47« Del
vero , e del falfo. fref. Congiunti ; poco tra fe concordi. 345< ' ’ ■
Con * 529 Congiunture preziofe , perdute 'a bella po-
fta. ^ ^ 40J. Conjugati , tutto abbiano comune . 224. Come
padroni reciprocamente l’uno dell’ altro. 67. Configlio , (ho giovamento
1 ^5. 11 chiederlo , par viltà. ^ 1 Confòrti fedeli . 86.
Confuetudine , toglie il maravigliofo alle_« cofe. 317. Contaggio y filo
rimedio ò la fuga. 1 78. Contemplativo fiia trasformazione. 369. Contemplazione
, fuo vantaggio . ^64. Continenza fenza merito y quale, 268.
Contragcnio trai Conjugati , d’ onde ven- ga. 84.
Convenienza del converfare dimoflrata dal Creatore . 12. Modefla di
feguir l’ufo. . 19^. Alle volte dannofa . 127. Quando biafimevole ?
205. Converfare feco flefib, cofa fla. 98. Converfàzioni , talora
non hanno altro ma- le, che quello dell’altrui finifiro giudizio.
Pref. De’ Nobili , condannate a torto. ivi Non proibite da Criflo , anzi
da Lui favo- rite. 9. Di Donne onefle , a chi necelTarie? ivi
21. Sofpette , quali ? Sgridate da’pulpiti inutilmente.
29 Quan- •' f 4?i Crifto , chiama a fe vicine le
pcrlbne piu ca- Tentato nel Deferto , e nell’Orto. 366- Perduto nella
moltitudine . 370. Croce in ogni ftato . joo. Cultura dell’Animo ,
fuo piacere . 362, Civile eccedente , pregiudiziale all’Inno- cenza •
242^ Cuore , come ubbidiente ne’ fuoi moti. 56. Non guieta , che in
Dio . 392. Cuori pieni di corruttele , non fon (empre_» incapaci della
virtù. fref. Pieghevoli , benehzio, della Natura, ivi Limpidi.
Buoni, fiioi indizj. Pieghevoli troppo , non fon buoni, Curiofità ,
principio del fapere. Propria delle Donne. Fomentata.
22. 165. 171. 333' 200, D
D * Abbenaggine ridicola , e ftupida. 15^0. Davide
inconfolabile depo il peccato. 386, Debolezza propria non dee fgomentare il fa
- vip . . Pref. Difpirito, - 258. Incompatibile colla virtù.
258, Decihone de’ Legifti circa il danno dato. 1 49. Deliberazioni lente,
oiù ficuirc, • 159. De- 'X 452 , Demonio
povcrifìTnno. ’ ' . 255. Replica gli alTalimcnti , quando più teme.
' . . • 367* Dcrifionc delle niaflìme favie. 556. Dcfidcrj, fpefl'o
uniti col guardo. 8. Della buona fama., debbono averli. 406. Della virtù
, poflbno condurre alla perfe- zione . ' 4*5* Dellrezza di colpire,
coprendo la mano.2i6. Sue maffime {torte . 337- 168.
185. ivi Fr. .8. 344 304- 309. • •
IVI Diamante , rilplcnde allo feuro. Diana , celebre in
Arles. Suo finto voto di pudicicia. Sua Itatua in Sicilia .
Difefa della licenza , abbominévole. Difetto grande , efier fenza
difetti. Difficoltà d’ottener piacere. Diffidenza di fe
itefTò. Digiuno , fuo vigore . Di mente , più perfetto.
Diligenza fatta per non errare , più fcufabilc rende l’errore. ( ’ '132.
Mancante nel poco. 236. Dina , d’ onde s’ originafle la Tua
difgrazia. . .. . .*54- Dionigio Eracleotc , fuo difinganno circa
il , dolore. 159. ‘ Tiranno di Siracufa , fua Ainia dc’Dotti.
315* I . .. ! Difàmpfe tra’ Coniugati . Difgordia , effetto
del vizio. 221 Difim- I •
« Difimpàrare il male , più difficile , che rap- prendere il bene ,
■ 284. Difinganno venuto dal godimento Iperimen, tale d’alcuna oofa.
25. Difordine del converfare , può eflere comu- ■ nc a tutti.: .
Pref.ts,. Di lib.ertà , conofciuto da molti. 22. . Si corregge
facilmente quando fi vede. 45, ' , Spaventofo.' 557/ Difppe'g io', come
fi compri . 116. Diffimulazione, alle volte neceflaria, Diflblutezza, germoglia
facilmente. 176Ì Dittamo cohtraveleiio . • 3o4* Divorzi fcgreti ; .
t;57* Dolcezza tròppo compiacete, pèrniziola. 21 1. Interna rende
amaro l’efterno.' 396. ** Dolore di compunzione , dolce. 365. ' Donne di
fua natura critiche , c libere nel ri- , prudere-. , io:
Pocolavvenétijlafciate fenza corteggio.75:. Altrui, con qual riferva debbono
trattarfi. Soggettate all’huomp da Dio. I4i* Sua diffinizione . ' . • ■ '
ijj, • Loro difetti attribuifeonfi a"* mariti.. .178. •
Donnadanno.' ' i6r. .Meno Ipiritòfe , più.ficufe da praticarli. ■ *
. ■ ' ' ^ • ibi. Che fanda làpute. ' ^162.,’ Attempate favie ,
profitto nel particolare. - 169. È e . Attcm- «
( » / •> » * • Attempate feorrett'e,
pih, noce voli , che le Giovani favie . ^ Vane,sbeffatc» ' • ' Suo
vantaggio nell’ Ubbidire, all* huomo. ' ' 22$r * pi ipirito ,
fuo fentiinénto circa alla facili- ■; tà di promettere. . .. ' Saggic i
quali ? • ' '/ . * Praghi , lor gemma nel capo. ‘ 3i manifeftano d?
f? col fetore, z6jt ' • ^ 3?9- l68. 39- A ’
•- »• f h % E Braifitio, fua rovina, .
jcbrei , lor cautela circa le Donne» EcclHTe del Sole , non h In Lui
Z9J. Pr. 6* Ofler’vafi la prima volta con
iftupore, Économia • -Educazione infelice nell’efito. ;
Scaduta > fuòi effetti. • Èiefante uccifo da Aleflandro, VQneilo
d’ Antioco, ; ■ ' J>erchè tardi tanto a nafcèrc, ' Atterrito dal
-Topp,, . , , Alla fua cute eadonó i dardil - Eli, Cuogaftigo peri figjù
. , Efeuventi 'Uguali perfezionano u n^uto. lyS* ’ Empio protervo ,
ed infoiente,. : rr.38. i^on fa male talvolta per timpr della pana. • , -v • ■-
■ • , ■ 5»b. : ■ ' ■ ■ ■ Epa- 4S* 276. 353- fr.
Z7* 54* ’ 3*6. 235- Pr.z<j. 205. ^ I
♦ / Epaminonda , fila cuftpdia de^ Cittadini. zo6,
Eraclito } Tua opinione circa l’amicizia. 332 ; Erba paretaria, ■ ?6o,
•Erbe cattive , crefeono fenza cultura. 121. Ermellino, fua nettezza. 75-»
> Erode , Tuo convito (àgrilpgp. ^ Efàme interno, utile,. . “ '
. g2o. Efccuzione precipitofa , propri;i de’ Barbari. *59.
Efempto , dee darfi d#’ Capi di Cafa. .Scuola e^ìcace. Altrui , dee
feguirfi , quando ? " Pe’migliori,ottinjo.; Efler d’Eroc, quando
.fofpetto? . Eflremi di ferietà , C di facezia. Èva tradita ,
[ Evidenza fmentita da molti. . Ezechicllo , fua apertura nella
paréte, del Tempio. ^ . 2?8 .29*? 124'. .*45*
80. p*ss.' .rr.23. I F ' 4
Abulia derifa da Marziale. . . Facilità d’effer .cattivo. . .’
178. P’ottenerle, fedita la cupidigia delle pofe^ • .-.5 *^»
pi prometter tutto , . .. ^ 358* Di piegar l’indole da principio. "
.• jjjy. Familiarità circofpetta . ' - 58. Fanciulli^ perchè più
aiiimofi. Pf- 42, . £ e . 2 '^ Cov- >■'
j Digltlzed by Google ; 4
r ' f . À • y Come fcioccàmcnte fi
payonéggiano per ■ le azioni' loro; Fatica dolce nella Morale. Non
fi fogge dal Valorófo.'- Fede come dirigga l’intenzióne. . Tra i
Conjugati reciproca . ■; £’ coftanza nclPavVerfità. Forza del filo
lume. • Felicità de’ Bruti in che. confifta. , peli’ Amico dee
próccurarfi. . . V Del Mondo perniziofa., • ' ; V ’ ' Férmezza del
favio. ; , Fiàccola in vetro appannato . Fiato attacca le
malattie. Fico non fa fióri. Fidanza dannofa a’ Capi di Cafa. • _
, Fidia , fuo aniore verfo'Agaróntc Parlò. J44. . Fiducia vana. ' ‘
_ ijz. FierCj perchè non amano la Compagnia. ' 2. Figli piccioli ,
condurli.; alla converfazione, .252. 67. ' 282.
S7S- •186. 37- 47- 282. FU 3 40.
s8o. ■ 37- .239* J41. 27. 37- 343- 370* 2^.
■280. 178. 339* 227. / I giova a calo.
. , Figliuol Prodigo. - Filantia , o amor proprio^ . €. plippo Neri
foa dolcezza .’ ' ; ; ■ Sua Santitàin mezzo al Secolo .' '
Filómànzia preflb Plauto.. Filqfofia delle Gale. Firiódirigge le
azioni. ; . .blamente pregevolé,’- • Ì)eé;femprc riguardarfi»
* ! ... i « ' J .1 '1 .» .» * • , '
Ti|||itizetfty Goògle* \ ^ \ P" • > ' ;
Finezza fenza fincerità. - Fonti, e loro qualità partecipate dalle Mi-
niere . 24^ Forza acquiftata dalla Gjmpagnia. j j, S. Francefco di
Saks , fua dolcezza. 403. Franchezza originata dal difetto di
rifleflìo- hc. Fref.4S-: Sicura; - 5?. _ Fulmini fóliti di
ferire i luoghi piìi eminenti.,. , . . Pref.iz», Frutti fepara ti
,confenranfi. 94*. Fuoco, d*5dca»pàrifce meglio la lira attività. 5 5
. .. . vj , ' V- G Alanterla, fuo dirpendio.
249., Galantuomo, titolò allc volte profanato. 205Ì Gale donnefche in
ogni età. 26. Eccedenti, pericòlofe . , i8c'. Talora fcuoprono i
difetti .. • 187* Gaftighi di Dio , perchè vengono. 24J Della perduta
innocenza ,. ■ 247. Spcgiati, irritarmento della Divina Giu« .fìizia . „
292, Gaftigo giovevole . , . ■. ■ Terribile.della colpa d’Adamo. .
514' Gaudio interno , traluce ipelTo nel volto di chilogode. ' ».
3664 Gclqfia fuoi pelljmi effetti . 1.51. Di viver (ano , vinta dal
piacer di viver, li- bero. ■ . . 274.' E é z / Per !
0 > , r V • ' ’ ' Per la cuftbdia
della virtù. , Genio di corteggi, indizio di leggeìfezia. 1 66, Genitori
* qual’amor aver deggino pcriFi- - ’ gliuoli. ‘ Gentili, iiio errore éi
rea l’intenzione^ 37^ Geografia , ignorata da molti . | Giacobbe , fua
fcala w ^ 7^* Giganti jfua guerra favolofa col Cielo^ J j i< .
Giglio difefo dalle fpinc; ^ Giobbe ifuo patto co‘ proprj òcchi • .
7* Giuoco , lua forza . ’ . i2i. Gio: Man Crefeimbèni j lino de*
eominòiato- rid’Arcadia< ? . I29» Giòna gettato iri Mare , perchè? 1
zS. Gionata , quaiido fi moftrò amico di Davide* ... ; ' ■ ■ '
3‘42- Gioventh difapplicata j pericololà< 28* Dee piegarli
prefto al bene. 225. • Dedita fe'mprè pih al male, che albéné.z29. Giro
curiòfo di Dotine^ ’■ ■' y . 8ò*. . • Giuda traditore, nè purécol
perttimentd pub f • trovar lode. , ; • V Giudice j fliUno è buono in
propria dàufa. 6< Ogn^uno di fe fteflb . ' ’ 267. ■
Giudittaifuafaviezzanell’ahbellirfi.. 194. , ' GiùftiziaùmatìaifUpplita
dalla Divina. •213. • *- Infegriàta da CriftòV - ' . ‘ Giudizio
degl’huomini per lo più difeenden* - "te dall’Apparenza i " .
147. Gloria rapita a chi fcl’è guadagnata.- • g 44. •'.Non fi cerfa
dove pub trova rfii '4q7< ■ . ■ GodU y -- — * _
"itizcd by Google \ * f . .. . •
.439* Godimenti imperfetti fenzà compagnia. 1 2.' ; Godimento del
Mondò » come dee regolar-.. ' ■fu Suo modo* . 80* Gorgon] *•
' 170*- Grazia jfuà ileceflità * 144* Greci , loro rifpetto ; ‘
182* Guadagno infelice. 210* H ' # > , • H Uomini
autorevoli non debbono farli. lecito ciò, eh e è contrario alle' leggi.
56.- ■ Àjl’antica migliori. ' > ^37*. Buoni , Come diflinti
da^cattivi. • 5:4* ■ , Di cuor buono, quali;'!' ,J5!9< Dabbene ,
lor ficu rezza * 09* Dotti , per' lo più lafciati foli* • •42* >
Di finezza, lor {lento . .271* > Nati liberi . : . • 140.
Sfrenati , f» credònó Continenti perchè ? Pref. ' . Spintoli j più
contenuti . ivi Spintoli , loro faviezza. ■ 35** • Valorofi i
perchè in oggi si rari? ’ 277. ^ Huomo i il faggio come dee regolarli t
quan- ' do è lodato. . Pr.iS». ‘ Abile diviene col
còmmcrziodcgl’altri.^4. '• Impara dall*altr’huomo. ► 2; E*
lociabile ; ' • ■ ' Co ine diftintp da* òrtlti nelfoperìire. ' $.j.
* ' - . E c 4 \ ID- \ . A / • # m ^ •
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'44^^ I •» 'w « r % - • 4
, IDDIO , come gode nella folitudine, . 2, Ritirata da lui dannófà.
j2g. , Immobile , ed invariabile . , . 289., Non abbandona veruno ,
fé prima none abbandonato . iyj ‘ Non ha parzialità. ■ . . In due
maniere fi piuò perdere « 569. Tutto penetra . •' : Nel cuòre ,
còme s^ihtendé, ' ^ 387. Idol atria, moderna ; ■ ; . De’ Giudei nel
deferto y fua cagione. 9 1 . Idropici; ► 252. jeu , fua deftrezza per
atterrare i’Idolo fiiu Ignoranza di fe fteffo . , loò. Ilarità ,
quando pih limabile ; 1 15. Imitazione dall’altilui altrui coftume . loò.
Impeccabilità fuppofta malamente . Pr. 1 7, Impedimenti, maggiori del bene
debbonfi pi* gliar di mira dal (àggio per levargli . ^65. Imperadori di Roma ,
come fedotti dall’adu- •lazione. • - • Pr. iq. Impoflibilc par
fulTiftente , fe non efamìna. * . \ Prgf.z^. ineendj crèlcono col
vento, 37S* nc Illazione può éfler fofpcttà.. 12*. Indifferenza ,
alle volate cattiva,. < , i 7 1 . . Dannevole. . ’ 305.
eli.' •^4 -N. « • • ► Ini V
« DIgilized dy Google - / 441
Indifcretezza , di voler abolire tutte le Cour O M verfazioni . ' Fr.
9* Indifcretò non è chi accorda il poflibilc,proi- bendo folo ciò , che
non dee farli. Fr.^o . Induftria , colpevole. ’ . infelicità fomma ,
quale ? ^ Infermi > che non fentono.il nislc* Infermità , loro
principi. Infermo , come foggetto al Medico. Cronico , fuo motto
graziole. - Inganno , facile nelle cerfe dilettevoli. Ingordigia i d’oode nafca
. .. Innefli mirabili. Z08. 286. 287»
12.1. 40.- 327: 312. 5^2 217.
Innocenza , fua debolezza dopo.il primo pec-? cato .
Perduta per rifpetto . ,< • Sua ficurezza . Intelletto fuo grave
difordinc. Sua difgrazia . , ■ Intelligenza , gioconda . . ■
^ Intemperanza . Intenzione , buona non Tempre balla. Invidia , tra
le Donne per la bellezza.. Oppofta alla benevolenza. 176.
J95- 299: 35»* 332. .9°*- » 47f. 167.
.342 Ifocrate 1 voleva i buonldiftinti da'càttivi. 2.
’ I \ t % U. ♦ , « > ; i - \
.. 1 ( . j Digitized by Google
/ \ ! ^ T J Adri ^nieftid-, più
nocivi. '
• 204/ ' Languidezza cAcrna , indizio di itialc inter-' no- ■ )
288* LatoS , alberò , fué qualità - - - 40- Lecito non è
Tempre' ciò> che fì fò da molti . ' . .. : . Pref.ii, • leggerei
talora più' ùtile jché l’afcoltare. * ■ ■ . Pref.^^. ■ Divina j più
difcfeta i òhe non quella^ della finezza. ' - 274. Sempre debbé averli
prefente. 309. '• Degli £brei< circa il traveftirfi l’huofno da ,
dontiaiCla Dònna dàhiiomo. 154. Della Moglie, è il. cofiùme del Marito.
155. Leggi fimili alle tele de’ Ragni.' • 55. ■ Leggiadria alle volte
nociva àll’Ónòre. 258. ' , ' Legioni Ungare i come fedate- nell’ ammuti-
namento da Tiberio 16. 'LegiAi,lor deCiliOne circa al dannò dato. 149. - Legno
della S. CroCé, Tua forza . . 308. . . Lentezza di riparo , lo rende
inutile . 227, 'LeAezzà della Gioventù mòdernà , fùc ca- gióni. ,
353. Libei'tà di converlàrè nociva, quando^ 66. Kou autorizza le
colpe. D’efaminarfi la Moraleda-tutti 4. 356. E’.privilegio
deirhtlomq. 403. Perduta , Tempre fi cerca . . 1 40. ■ D’ar-
• - • 4 44? ' ' D’arbitrio'^ . > ^ i^o.-
liberale mifurato . . -Tzoy* licenza di converlai'é , d’onde nafee?
Pt‘ii'y. i4S-. 52. 5:4* 372‘ 73-
30S limofina fegreta , pifi perfetta lingua perchè data all’huomoé
iione fua gcne^ofità quando manca.- Suo timore dello Scorpione ^ ■ Quello
di Domiziano < • Dornie ad occhi aperti . •Coronato <
'Morto c in fintato < , ^ ^ lodare fi debbe ognuno per quello, che è’
. fuo *' ' • ' _ ■ 4°7’ lode induce ruppófizioùe
d’innoCénza./’r.aS. Quella , che fa migliore di quanto uno fia, fton dee
gradirli; ; . ' . ■‘De’ difetti, dee ricufarfi; ■ . Falfa ,*iOri fa
lodevole , nà innocente chi • ‘ U riceve . ■ ' A ' ‘ i'^i Quella j
che toglie l’elfer lodevole;- 15. lòmbardia , motto piccante a chi né
igno-! ^ rava le qualità < .. , ' ’ ■ ?3 •* lotte , fua fuga
dalla- patria / 127: luce odiata da Chi ? 291. l'iicrezia Romàna*;
zóS. lume prefo dagli altri , non fempré giova. ':lnternO ,-ficuro
; . ' •vi, Funefio alla' Farfalla - ' " - • ■ • 408.
tuhaoppofta al Sole j càgitìiia sbaglio circa M’eCcliire « • • • -
6é V ; ■ ■ - Suo . « i * DIgitized by
Google •444 Suo corfo breve . Perle non rL, . •
Qu andò r erta dèi tutto. ecclilTata ? . Piìiluclda nel Novilunio,.pCrchè
? J.ufTo,ftiodifpendio . i, . . Fra le miferie.. ■ Pregiudiziale a’
Poveri. Dèi Volgo. ' • ■ . ' . Inutile. ^ . ■ Sua rea
intenzióne.. Lutero derilb da TommafoMorp. ■ ^02^ .
IL4? 188. 189. 191. . 237. 191. . 24?-
* • ’ ' • * Ti /f Achilie idrauliche rendono Tacqua piìi
J\(Jt utilè. 3^* Macedonj, loro adulazione adAleflaq^ro. 136. Maddalena
lodata da Grillo . ' ' l’ Marlabar : fuo albero maraviglipfo*. , Malattia
di .pirite . - .• , 322» Male delle Converl’azioni alle volte non e m elTe
, ma in che le mira . ?♦' Fatto legge per ufo . . . Non dee
difenderli, ma curarfi. * , i vi 35. Creduto leggiero è peggiore.. ivi
2^.. AlTai grave , crederfi più perfetto . : Stoltczza dMncohtrarlo
a bella polla, 140» . Interno da chi lo foffre non fi fente» aS8^
Dee.fuggirli dovunque fia.., »7^* Come fi permetta <u Dio'. 245.
Poli- t 445 Pofitivoi per nìuna circoftanza può
vo- • Icrfi. ■ ' lo. *■ Malinconia particolare . 240. Malizia
oppofla alla Prudenza. Pr. • Non c nel cònverfar male per difetto
d’ilif ■ ledìone. • ivi 46. ■ De* Cattivi , di peccare > quando
il Mondo • -non vede .'I 38 MaliziofìjC critici fìngono il male,
dove non è. ■ . . *. Manu'oodiatc uccelli , loro caccia. ’ 1
1^ Meraviglia fmoderata nocevole. 174. Marc’ Antonio , fua rovina
d’onde? 261. Mare , chi ' non l’ha più veduto , non può fu- • '
ziarfi di mirarlo . • ", 317. 'Mariti , còme han da precedere alle
Mogli. Pòlfono; arguire ciò , che fi fa nelle cafe_* loro , da quello ,
che elfi fanno nelle cafe • altrui . ■ ■ i^. Martìri loro godimento
nelle pene d’onde^ • veniffe . • ma. Maflìmo de’ Nobili perdo più
ibno corrette.; • • Pref.l^. Buone, quando fi perdono è peflìnio
fe- ;■ gno . ■ . , 1 24. -• Cattive s’iniprimono meglio .
285. .Matrimonio de’ moderni . ,87. • ■ Non oda alla virtù
criftiana. 361. Medicina , come opera ne* corpi mal’ affetti. , -
rref.2. , • Me.^ • % Digitized by Google
I 44^ ~ ' Meglio fcmprp dee piacere aJ
prudcflite/idj', , M^ieufagjne ,dannola 1 . ^ , , .39»* Mente del
Saggio immobile nel bencv, .172, Mercan ti, come travagliano per :gli altrir
>9i» Merito doppio della Bepeficenia. ' . , . SAh Metalli fi riconolcono dal
colore. J65. Mezzi per gingnerè all-pnióne pop Dio., 579. . Micie
mortale alle mofehe. . 408. Misericordia Divina » non è a far . mi*
racoli, * \ . 28^. ‘ Mil^H^) diycrfe il non; fentirle; dM pu- < rarlc
. ' . . 102. Correttivo della vana allegrezza, . Rendono inelcufabile.chi
le > . 4V Mode feguite per l’ufo igi. Moderazione partonlpe
l’ordine delle Città. M'>de(lia di ricafare , invoglia più chi
efibi*. fee? /affettata , Criftiana * p fuoi fini» •
Nell’abbigliamento, Modo in tutte le cofe . Molti fpefio rovinati
da uq folo.» Mondo giudice deil’pnOre ’ Suoi bphj fallaci , Chi
l’alfaggia lo jTprezzà . ; • Suo foadimento , e d’onde. Sua indiicretezza
. 9S‘ 161. 404. m 5N 29J
Suo fcadltnepto 9p|idiano » 19 8^ 126 *40i
Mo» I J • • 447 Moderno; quattro
apertare nella fua cor- teccia . • jjy. Come può deluderfi : ^gq.
Morale, iùo Ibllecifmo. ‘ Suoimollri, ■ ^02.. Sue bafi ,
MoralHU , Ipro ftudip nella teorica del male. . 402. mi
Mòrte defiderata da phi ? Del Saggio . , 372:
Mortificazione del corpo neceflarià a tutti. * 307. Mofche
artifiziali del yifo. I183. ' Mosè , filo roveto , . , ' 1 25. .
Sua perquifizione , prima d’entrare in Pa- ■ leftina ’ . .125, Egli , ed
Elia diverfi nello lìato , cd ambe- due cari a Dio. . 360. Moftro raro ,
nato in Oriente. , , • 302.- Motteggiamento grazibfo. . 176. V.'
N r% ^ i NArcifo invaghitoci fe medefimo. 1Ò7.
Natura , perchè non abbia jda’ buoni .diftinti i cattivi , ■ ' . .. 2. i
Perchè abbia fatto due orecchie, ed una fo- la bocca all’huomo. ' 46,
Tutta occupata nelle piccioie ppfe, 229. • ■ Sua tv •
Digitized by Google ■'448. ’ , . • • Sua provvidenza
nella tbrmazione del fe- to. ‘ • j 1 1 . * Sua miferia . ‘ ‘ 401*
Sua benignità . 414* Natura divina bada a fe'medefiraa. Naturali
buoni , come fi viziano. \ 102. Si guadano col bramare .di piacere a tut>
. ti. ■ , Nave fenza Piloto . ^8. , Naviganti ,.cofa debbono portar
foco. goy. Navigar còhtr’acqiia, penofo. , 364. Navigazione ,
quando.pii'i felice.. . ivi Nautica, Tua operazione più diffìcile. Necedìtàjdi
viver nel Mondo, come può efler uti)e. L. V ergognofa , perfuade
ogni male. 209. Negare, talora è benefizio. ; 20^. A tempo i grand’arte .
, , ’ uL. Negativa fincera più gio va , che’ la p.romefia. finta.
Nobili hanno la prefunziòne in favore nella faviezza , perchè? Fref.^ .
Debbono edere più contenuti . Noè, il primo a piantare le yiti . ed a
tirarne danno . 401. Noja , fi trova in tutte le cofe unianc. 3 28. ■
Nome buono, dee curarli. ^ 1 . . .» , . . I
> *• . Ob- »» Digltized by
Qoogle f o 449 OBbligo
d’accomodarfi l’uno al genio del- l’altro . . ' 1?. Occafione fa nafcere
la rea volontài ij Occafioni > lor forza . 112. Oche felvàggie , loro
prudenza , 6±. Occhio per lo più difeerne il folo colore de’ vizj. - Fre/.
8. Cattivo giudice nella fcelta della Conlòr- te. . • • 44? Più
fpiritofo qual fia 2 5^ Non vede fc fteflb. J 1 7* Sua licenza .
zoo. Come fi chiude facilmente fovra la pro- pria debolezza . ■
Come faccia la penitenza del ventre. 271. Occupazione geniale necefiaria ad
ognuno. 362. Lodevole de’ tèmpi feorfi . 28. Offotilo, fiera
del Meflìco , fua proprietà be- nefica . , 204. Odio venuto'dal troppo
converfare. De* Saggi pefllmo . z±. Oggetti amabili tre. 67.
Vifibili ci circondano la divina beneficen- za . 386. Ad alcuni biibgna
levare ilforprendente • dell’opinione . 39?- Olmo appoggio della vite,
153. F f Om- Digitized by Goo^e r- 45Q
. Ombra , quando pib pìccola^ 1t 49; Al tramontar del Sole più
lunga, ivi De’ Corpi, 17^. Omero , che lode defle ad Ulifle. £,
Onoratezza, errore di molti circa di effa* 142. Onore intn'pfeco j ed
eftrinfeco . 257. Meritato è giuftizia , non dono. 270. Operar fayiamente
nel ricever la lode.Pr.zS. Opere di pietà , levate dalla moda. Opinione
di poflcdcr la virtù fa perdere i’oc- cafione d’acquiftarla . ^ D’alcuni
circa |1 fupppfto acquifto dell^ virtù. Delufa facilmente , . 26.
D’al Clini d’effer neceflar j per tutto, q6. Di troppa innopenza dannolà. 1
J4. Di non avere difetti , 14^. D’un folp non bada per la vera
gloria,4o7. Ore nojofe , più fofpette , e quando? 20. Orgoglio biafimeyole
. Oro , come perfezionato dal Sole . 82. Unito coll’autorità , arme
pericolpfa.177. Orologio , fua regola dal tempo. 145 . OrtenHo Oratore,
motteggiato fpiritofamen- te da Tullio, 518. Ozio , Aia difinizione ,'
277. NecelTario alcuna volta. .. 28 1 . Oziofità , creduta dal
volgo non è tale, i j 6, I DigHized tjyl
» PAcefalfa. 1^4. Padronanza della parte debile ì 164.
Pallidezze artifiziofe 274, pane di Nozze. 87. Pantera , fua
aftuzia . 226* Sua proprietà nel cibarli. 304. Paojino Svetonio ,
fua feutenza profittevole. S. Paolo , fuo ingegRolb dilpregio delle cofe
mondane . 394, Papagallo > iùa loquacità importuna. 2.^4. Parlar
culto» nelle Donne non è Tempre con- dannabile . 16^. Parlare di Dio ,
fenza ftrepito . 369» Parlatrici eleganti pericolofe. 163.
Paflaggio d’aria ad aria , dilettevole. 102* Palfionc predominante
debbe combatterli. 311. PalTioni » lor corrente cagione di
precipizio. Pallori Arcadi più celebri . 40 jf. Patria non
dee preferirli alPeliglio^ 414. Patrocinio » quando Iblpetto . 176.
Pavone , fua vanità. 191. Pazzia degli Ebrei compian^ dal S.
Davide. 321. Peccato , caufa di tutti i mali. 245:. Non
può/are vera fortuna. ' 2^5. F f 2 Ognii* i Dlgilized
by Gobgle 4S* Ognuno d’elTi c una mala creanza! 3 8 . Pena
atroce di far diletto ad altri col proprio male . 347* Penitenza
più difereta col Corpo , che non c la Galanteria. 275. Penna , fua
differenza dalla Lingua. /*r.48. Penlieri buoni nella moltitudine fi
perdono. 565- Perfezione unica di tutte le cole. 1 06.
Pericolo , fi vede meglio da chi ne è fuori. 314. Perfone di
Rango non devono fupporfi difor. dinate. , Pn/.,;. . Sofpette anche
leggermente, debbono fug- girli. 322. . Pedeli'ai Capo di Cafa giovano al
gover- no. 232. Secolari pofibno attendere allo (pirite , come?
359. Pefei di Fimmarchia come fi confervano fen- za fale . ' 1 24.
Pefo lungi dal fòftegno è più grave, 3 65. Piacere fila forza . 244.
Infermità fomraa. 285. Sua afiuzia . 285. . Quello , che. fa
perdere la virtùèmifera- bile. ^ ^ ^11. Piaceri , impedilcono la
cognizione di noi raedefimi. loi. Piaga occulta più difficile da
faldarfi. Pr.35* Piaghe , talora fi curano meglio colle fo- men-
DIgItized by ' 4!f3‘ niente , che col ferro , e col
fuoco. Fr. i Pianeti , quando benefichi. 2 1 2. Lor moto. 301.
Piante , deboli , come diverfe dalle forti. 1 14. Piega prefa in giovinezza
durevole. Pigrizia , animale del Brafile . 227, Piloto , fua
vigilanza. 204^' Sue qualità . 171. Piramidi d’fgitto perchè non
fanno ombra. Pifone, fua meraviglia per le corone di Ger- manico*
i8j« Pitture licenziofe . 200. Platonici moderni , loro malizia.
76. Podeftà d’eleggere diftinguerhuomo da’Bru- • ti . i6o*
Poeti , teologi della Gentilità. 1 8 Polledre , come volea
Ariftotile , che fi do- ma (fero . 197» Polipo > fua proprietà
maliziofa. 1 24. Pomi »Vaghi hanno talora il verme. 17J. Pomo vietato da
Dio ad Adamo condifere- tezza . Pr.52. Pompeo condannato da’Romani per la
fab- brica del fuo Teatro . 212. Popoli deir ultimo .Settentrione
mancando di forze ulano della Magia. 1 62. Poveri qual fia il lor
patrimonio. 189* Pratica de’ Saggi , fe e continua , è utile, j 26.
Praticare, co’Superiori giovevole. 174. Con gl’Uguali quando giovevole,
175. F f 3 Con / 4S4 Con grinferion.
Pregio , in cui debbono averfi le cofe fpiri- tualié _ 4*2. DelleCofe
dall’opinione pifi lo(ÌevoÌé. 1 66. Prcfente non tolga il penfiero
dell’aVvènireé t’refenza di Dio . 1 . Prodigalità^ 207^
Profuiìorie fofpetta . 210. Progenitori peccarono j perchè fcòrdaronfi
della préienza di Dio^ 384. Prolperitàj lóro vicende. 2^6.
Provvidenza divina, rimedj, che ha dato per ogni male* ,4*4* Prudenza ,
fuo uffizio nel regolaménto inter- ' nOi • 410. , Difcretà i 20
Putifarreiliia infoienza. 1^7. a a Uadn*
belli fi guardino da lontanò; 95. , Di prolpettiva debbono effcre per- fetti.
62. R R Agazzi , loro facilità di ridir tutto alls.4
volte giova. 2^4. Ragione, fé non opera^ l’inìpoffibile par fum. ftcnte.
Pr.zz. : . Sua Digitized by Google . Sua Perdita.
29 lé Ragno , fi fvifcera per vile uffizio. 276. Rebecca Moglie
d’Ifacco difefa nell’orieftà dal Rè Abimeleccò, perchè? , 500. Regni ,
lor delblamento da che proceda.244i Regola del veftire è la comodità dello
fpen- dere. , 3I48. Keligioli , vivono fani j cd invecchiano. 273»
Remora, pefcc. , , 229. Ridicolò fi rende chi incontra volontaria- mente
i pericoli. 28 J. Rifleffione utile fovra le cofe , che fi veggo- no. ■
■ fi.iflefli,vo non s’azzarda. Pr.42. Riformar fe mdcfimo falla norma
altrui, zì Rimedio i e non querela , richiedono le cofe ineviwbili.' 22
j. ìiimorlb dono di provvidenza. 228. Dell’adulazione, dee
lafciarfi all’Adulato- re. Pref.2%* Rinoceronte , fuo odorato. 1 J i
• Ripugnanza del genio nel làfciarlò , contraf- fegtio del male. , Naturale
alle cofe cofl^annabili. , 2to. Rifoluzioni già preie difficilmente fi cangia*
no. • . igj* Rilpetto , niunò dee perderlo a fe medefimo. • ■ ' • ^
' 267* Ùmànò. . ^ ^ }tS' Rifpofla faggia data ad un Principe
giovine-i circa il viaggiare. F f 4 Ri- 4^^
Ritiratezza, fao confronto col conlbrzio. ^9. Più propria delle donne.
gì. Giova anche alla falutè del Corpo. 2';^2. Rodi , fuo coloffo'.
2^7. Roma , compendio delle bellezze d’ogn*altra Città. - J78. .
Motto piccante per efla. 152. Suo Senato come* feduffe glMmperadori ,
adulandogli. Pref.i^. Suo pregio fingulare . 20®. Romani , lor accortezza
nel fabbricar le Co- lonie. 2^2. Rondini . lor coftumanza nel paflaggio
del Mare. , 308. Rovinare fe ftcflb a genio d’altri. 28 r. Ruben ,
quando comparve vanamente aman. tedi Giufeppe . 342. Ruota , fua
moto. jjj. * S * ^ ^ # SAba Regina i
265. Saggio non puù fcon volger e le regole-» - della giuftizia. - -’l •
. , ^9. Lafcia il Mondo prima d*efler lafciato da_. ' lui.. ’ ^ . ! , ;
572. Saggi qualificano le proprie azionile non gli •' Iciocchi . -
Piùtemono>chegl?aitri« . . pref.^z. - . • . Ben- • # 4
Digitized 45^7 • • Benché nel fine convengano,
difeordan ne’ mezzi. * .328. Salomone , quando fu derifo ? 26J.
Salvezza appoggiata alla fperanza del penti- - mento . 258. Samuello ,
penfiefo che n’ebbe la Madre. 89. Sangue nòbile giova alla làviezza. . 'Pr.^ 3
. Sanità goduta fa nafcerc la gelofìa dicudo- dirla. igj. Santità ,
malamente fuppoda da taluni in le medeiìmi . 48. Debbe
defiderarfi. 412, Sapienza flolta qual fia. • II. Vera
, quale? 23. Sua abitazione . 325- Sue vie . ■
22(5. Sara Moglie d’Àbramo , rapita dal Rè Abi - melecco . -
300.. Saviezza , quanto {limata . > > . 259 Naturale.
267] Sbaglio volontario non è compatibile. 408] Scandalo , come può
naicerc. ‘ 46* Attivo. 149* Scelta del pero Amico , alfai
importante.! 1 1* Scettici , loro follia . 70* Lorofeienza. ^32*
Schiavitudine , qual Ha la piìi pefante. . 141* Schiettezza. 858*
Scialacquatorljderifl dagl’ Amici fteflì, 209. Scienza del Mondo, libro più
preziolò di tut- ti. 6. Deli’ occhio ... . , . ggj. ■ * ^ F f 5'
Sci- / 458 Scimie , loro proprietà nelP
operare. Fr.^z. Sciocchi , perchè tanti nel Mondo ? 4. Scrupolo, vano de'
maliziofì . 519. Scultore , conve può fconvolgere le regole.» ■
dell’ arte. . „ • ^9. Scultori cattolici biafimati da Tertulliano,
. perchè . • ' . . , ■ 45". Scuola efficace dell’ efeinpio . : ; ^
56. Secolo, dell’ Apparenza . . . 248. . DellaPace,<juale? ■
.278. In cui fi rive, debbe onorarli . 281. • Delle efibizioni,
quali ? . ^ ^9. Suo rumore fpegne la carità. J4. Prefentc, fua lode
. 404* Secondare gl’ altri, come li faccia lenza dan> no proprio.
14. Secondò Carinate, fua teorica della Dottrina Greca mancante nella
pratica . 162. Seme dei vizj. . 121. Senocrate, fua continenza . .
.ij8. Seiifo, à che riduce l*.Uom;ragionevoIe.i45. Sepolcro di Mennone,
fue llravaganze . 87. Servidori , loro dilbrdini imputati a i Padro- ni. • . .
. ' 9^. ■ Buoni, rari . ' . . • iSi. Servire a i piaceri viene
dall’ignoranza .259. Servitù j profclfàta a Donne di Ipiritó, cofk^ fia ?
- « 3 7* Gloriofa quale ? .141. Senza mercede, quafi ftolta
-251. . Vergognofa, quando . • v .261. ' Scr- DIgitIzed
by 459 ; Serpi n a fcofi nell* erba folta ; . Sferico
perfetto fua qualità . 57. Sfinge d’oro, donata da Verro adOrtenlìo
Oratore, perchè lo difendefl'e . ; Sì, che diventa un Nò . 358.
Sichein, perduto, per Dina . 25'o. Sicurezze di cuore alle volte falfa .
Pref. ^9. Del Savio. Silenzio Tuo profitto . * Alla femmina
dccorofo. Kecelfario ad alcuni . Simile cerca il Tuo finiile
. Simpatia naturale . Sincerità antica. Sinderefi, vinta da
chi è lodato . Singolarità, condannabile . Pccita invidia .
Sirene . Smoderatezza di converfare, dcrifa arguta- mente du una Donna .
i ì6. Sofferenza d’ udire, nieritoria . , 62. Soggetto mal
difpofto, ama il fuo contrario , il ben difpoffo ama il Tuo fimile . ..
^22. Soggezione, guardia della inodeftia. . .174. Al fenfo,
vergognola. . • , . 239. Sole, fua indifferenza nel rtfplendere.
'42. . Quando piò benignamente influifea.. 112. Di Luglio,
profterbio.- . • . -lyj. , Influilce fecondo i fogni del Zodiaco • 294.
Solitario, come deferitto da Ariftotcle.2.e 56. . SolitudinCj di cuore .
.766. Sua -ì /-, I 60. 162. 329-
176. 66-, , Fref. 2 7 . 8. h73 2 2.
228. 19* 146. 460' , Sua giocondità.
Somiglianza cagione d' amore; ' * Soipeitare, lecito a chi . ‘ ' Sofpetti
fondati, quali?' ■ ; ■ ' Sofpètto, dee torfcne l’ occafione'i Soiìanza
qualifica per Io più le cofe. Pref.15. Spada nel foderò . ’ - ■ i So
Specchi maliziofi . - • ’ 220 Specchio, che non inganna, qual fia?
6. ' • Interno. 108. Ullorio, fua mirabile qualità. 125.
Speculazione (lupida . 24J. Spedale di S. Maria Nuova in F'ircnza , avve-
nimento graziofo. 264. , Speufippo , jfua diifinizione della
Modelli^. 199. Spinolo, tradito dal? Ingordigia. Spiriti
lenti . Spirito, feparato dai fenfrpiù forte. • Sua rcftrizione odiòfa
nel Q>rpo . Senza divozione . ■ Difunito da Dio, fua infelicità
. Suo volo facile fuori del còrpo. Spola de’. Cantici, fua Carità
. Stato dell’ Innocenza, come perfettamente.^ felice . ... 12.
Statua feontrafatta-, puù elTer lodevole , 39, Che fa feordare dello Scultóre.
74. Dì Nabucco, geroglìfico di falfa fortuna.. . - .. 2SJ.
Statue ds’Greci/emplici nell’ornameto. 198* ' ■ " SteU
tij. 54^75- 72. 99- 55J' 364.
396- 390- Diglllzed by Google 4^1 Stélle,
opinione circa la lor luce 1 96.' Erro.re di Pi inio circa di effe .
120. Dall' Atmosfera lontane , più rifplendcn- ti . 3 ycé Stima,
affettata, facile a degenerare in amo- re. ; . . 5?‘ Altrui, come
s' acqniffa . 95;» Stolti, lor fonno . 372. Stordimento ftrario
. Strali, non penetrano la cute dell' Elefante-». Fref. 27.
Stratagemma , praticato da un Padre per di- flogliere il Figlio dal giuoco . i-
. 294. Strepito , e tumulto pregiudiziale all’ acqui- fto della virtù . •. . .
325:. Struzzo-Càmelo . 228- Stupidezza fpaventola . 287^
Pericolofa . • . De’ Capi di Cafa . . 228. Subordinazione tra le
Creature ordinata.. . da Dio. . , -348. Succedimento caufale di
cofe buone poco lo- devole,. - *3*^ Superbia, fuoi danni . r Nociva
all’ Innocenza,. i8» Giufta, quale. . 142. Ta-
DIgilized by Google T
TAlete,deri(bdalIàfuafantescaii 122. Tamar , principio di rovina alla
Regia cafa di Davide i ^ 251. Tartarughe, infegnano a vincere cori
ficurez- za ^ iij. Teatri, (1 volevari di legno da i Romani . 2 1 2«
Tempi j fatti dagl' huomini> non gl' huomini fatti da i tempi 4 279.
Tentazioni j aflalgono chi fi dà a Dio < j 67. Teorica^ rifplerida nella
pratica < Terra, immobile, fua prova . 288.. Terreno d’
erbe-cattivc , migliore per fcmi- narvi le bùone .■ , , 4j. Tigre, come
ingannata da 1 Cacciatori 91 . Quelle dell' Africa, (coperte ne’lorò agua- ti
dal fifchio d'uri picciolo ànimaletto. . . , , ■ Come dclufe da i
Cacciatori < 288. Timagine, (ila follia . • 190** Timore, vera
regola del vivere , Frtfi 42. 'Proprio de’ faggi . Come, e quando poifa
deporfi . ' Debbe averli, ma non moRrarlo ì £’ meglio, che la derilione
, Stolto, quale ? Giufio, è vincibile , Di Dio .
Servile , , “'x IVI 49. 52. 12J- 120.
238. 386. 187- CU-r DIgitized by Google
46? Cuftode della virtiu 409.' Imprudente, quale ? ivi
Quello che hanno alcuni d’ efler buoni ^ . , 41 ?• Timoteo, inventore della
Cetera .■ , 284. Tobia , pianto dalla Madre pel fuo viaggio . . . .
• • . 2?7- Tormento d’ Ariftotelc , fcherzo lepido , ed utile i .
62. Tollìcd, non dee bcrfi colla fperanza di riget- tarlo* . , , .
?o5, Trafcuraggine, cagiona Ipeflb là falfa^ è dan- nevoie ficurezza .• '
fref. 40. Traveflimenti moderni i 154. T roppo , in tutte le cofe
dee fuggirli ^ 8 1 • Tùrchh lor cuftódia delle Donne. 1^2.
Tutto> rifulta dalle parti . >406^ . t • ' V
VAnipa , violenta converte in fuo palco- io anche le cofe contrarie , g9
1 . Vanità, fuo danno.- ' , 42.' Vanto delle glorie antlche,naiceda
mancan- za delle preferiti , . , . ‘ 278. V'apori , feodandofi dal lor
principio cagio- riano venti, fulmini, c terremoti . ^64.' Variamento d’
indole, fuoì indizj . . 288* Variazione, fofpetta nella Morale .
2^1^ y arietà di pareri Confonde là mente . ? 27# ■' Vafi,
4*^4 Vali, confervano il primo odore ' 2 25. Ubbidienza , non
dee metterfi in anguftia^ . . Fref, $y Come debbe efiggerfi . ivi
- Uccelli, rapaci fua qualità . ' 20. Come providi per la prole . .
192. Veleno, per fe fteflb non è cattivo 5 1- Venere famofa nella
Galleria di Firenze-» . , . 168. Venti, come cangiano natura 1
ig. • Dove nafeono iòn più forti . 121. Verecondia, giovevole all’
innocenza . gSz. Vergini flolte. loro fventura . 2g5. Verifimile, più è
gradito . Fì^ef. g8. Verità, c bugia confufe dall* adulazione.Pre/.
20. Verità, odiofa . Pref. gì. Si dice con riguardo , e fi
fcrive con libcr- tà . ivi 48. Contefa da i fenfi . 99.
V ero, difficile da fcuoprif fi . Pref. go. Vefpafiano, fua dellrezza.
22. Vefpi, loro propietà . Vi- VeAi, loro ufo d’ onde venga .
182. Veftir di bugia qualé ? 189. Vetro,talqra più lugido,che
le gemme . i7g. Vie della perfezione tre, purgati va,illum ina- • tiva.
Unitiva. g6i. Vigilanza, de Capi,lè manca gran danno del» • le Famiglie .
gg. De Mariti fovra le Conforti è rifpetto. 1 7?» In- %
• 15 41 loj. 144- Intereilata.
410? Villeggiatura iufcliee per la galanteria. 272. V'^irtù, non fi
prende volentieri per norma».. Pref. 1 1 . Non fi trova a calo .
525. Criftiane poflbno inferirli dalla prudenza col vizio . Pref.
43. Col volgo non convengono . Suo feme . Fa che fi operi con
giocondità . Naturali, e morali . Che finifce può elfer feme del
vizio . 231. Felice ne’ fecoii Icorfi ; Primo palfaggio ad dia .
Conviene a tutti . Compaiiòile con ogni fiato . Vita ben regolata
dal timore . Suadivifionc . Viti novelle, fua qualità .
Vivacità, quando biafiinevole , Vivere a fe ftdfo, lodevole .
Vivezza fmoderata, biafiinevole . Vizj, fatti regola a taluni ; Non
debbono atterrire il favio . 24U 399* 4Ù. 412. Pref.
42. So. /|.2 • 54- ■ 21. „ 354- pref. 3 1 . ivi
43. Amati fegre^amente . 9. Del corpo, ^linori di quei dell’
anima .11. Del corpo, tome fi tolgono con premura. ivi II- Vili,
odiofi per fe fiefiì , 410. Piccioli, lor danno . ' 229. ) Non
finifeono mai dove cominciano .231. Si 4^6 , . . V - -
Si framifchiano colle virtvi » 241, Non fono 4®’ Tempi > ma degl’
Uomini Peggiori del fuoco. Cerpano di pccultarfi indarno.'
Comnmncmentc derifì , quali< Omogenei. Ulivo celebre de’
Megarefi. 247 250 263 264 283
S8 Uniformità di pareri , e di cuore rara. 345 Del Ornile al fuo
fimilc gioconda. 373 ynione degl’Aninii , ornamento delle Città De*
coniugati come pretefa da Dio. 66. Con Dio , contiene in fe ogni bene. 378.
Voce di Dio fi riceve diverfamente dall’urna- na. , 36S. Dello Spirito
Santo agl’Apoftoli. ivi 368. Voci interne , vopi di Dio. 386. Volauli
pifi innocenti, quali? 19, Volgo, non può render buone lecofe,/’r.34.
Volontà , fuo errore. 351. Volupia pea de’piaceri , adorata da’Romani nel
Tempio d’Angerona Dea del dilpiace- re, perchè? 299. Ufo , creduto legge.
533. ytile, unito ai dilettevòle è di St'an forza. Ze-
••T-7 467 z ZEIanti , come burlati da’
moderni Pla- tonici . 6^. Zelo indifereto. Pref.io. - Zenone , lua
fciiola derifa da Tullio. 139. IL FlfNE. /
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Digitized by GoogleCremona. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di
H. P. Grice, “Grice e Cremona,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza,
Liguria, Italia.
Luigi
Speranza -- Grice e Crescente: la ragione conversazionale al cinargo a Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A member of the Cinargo in Rome. Taziano regards him
as a greedy immoral hypocrite. Crescente. Refs.: Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Crescente,” The Swimming-Pool Library,
Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!;
ossia, Grice e Cresi: la ragione conversazionale -- cappuccino e ciserciano – scuola
dell’Aquila – filosofia abruzzese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (L’Aquila). Filosofo aquilese. Filosofo
abruzzese. Filosofo italiano. L’Aquila, Abruzzo. Essential Italian philosopher.
Filosofo italiano. Esponente di una nota famiglia abruzzese, grande studioso
nonché maestro di scherma, quindi, alla morte della madre, e decide di entrare
nell'ordine dei frati minori cappuccini. Dotato di una brillante vocazione
predicatoria che lo porta sino alla corte di Urbano VIII. Venne pubblicamente
lodato anche dal Duca di Osuna che gli propone il vescovato di Pozzuoli e dal
Granduca di Toscana che gli propone quello di Fiesole, ma in entrambi i casi V.
rifiuta. Nella prima metà Professoresi prodiga per aprire una sede dei
cappuccini nell’Aquila, colpito dalla morte di un suo confratello che il medico
non è riuscito a soccorrere nell'allora sede di San Giuseppe fuori le mura.
Acquista un vasto terreno sul margine orientale della cinta muraria e vi
costruì il convento e la chiesa di S. Michele, oggi inglobati nel complesso
monumentale dell'Emiciclo. Camerlengo dell'Aquila. Giacomo Di Marco, Storia del
complesso architettonico, in Zazzara, Palazzo dell’Emiciclo e palazzina ex G.I.
Maschile. Rigenerazione e adeguamento sismico a L’Aquila, Pescara, Carsa.
Dragonetti Frati minori cappuccini d'Abruzzo, Le attività del Convento Santi
Francesco e Chiara di L'Aquila, su frati cappuccini. L'Emiciclo Rinasce, La
storia, su emiciclo rinasce. Dragonetti, “Le vite degli illustri aquilani”
(L'Aquila, Perchiazzi). PER DNA DIFFAMAZIONE CON ABUSO DI UFFICIO Il R.
Commissario della S. Casa dogi' Incurabili E I COMPONENTI della disciolta
Amministrazione se vuoi che il ver ti sia ascoso Tutt' al contrario la storia
converti; che i greci vinti fur Troia vittrice E che Penelopea è meritrice!
Ariosto Orlando Furioso e. NAPOLI TIPOGRAFIA F. BIDERI HARVARD COLLEGE UHUIY
THE6IFT0P Hi NELSON GAY Indice Servizio Ospedaliero. PROGETTI PER NUOVE
COSTRUZIONI E NUOVI OSPEDALI RESTRIZIONE DEL NUMERO DEI MALATI. RIDUZIONE DI
SPESA PER MANTENIMENTO DEGL’INFERMI LA SOPPRESSIONE DEL VINO E L'ALTERAZIONE
DELLA VITTITAZIONE VIOLAZIONE DEL CONTRATTO PER LA FORNITURA DELLA CARNE
BIANCHERIA E CASERMAGGIO LA SOMMINISTRAZIONE DELLE MEDICATURE ANTISETTICHE
Condizioni finanziarie della Pia Casa Canee ohe prodassero le attuali
condizioni economiche Entrate Riduzioni di corrisposte ESCOMPUTI D'AMBRA,
MOCCIA E IZZO RIDUZIONE DI ESTAGLIO DEL FONDO SALICELLE Riduzioni di Canoni.
ESCOMPUTO SIGILLO Riduzioni nei fitti dei fabbricati. CONTRATTO ED ESCOMPUTO
FORINO Cauzione > 66 Inventario e consegna dei fondi urbani, Fabbricati
affidati in esazione al Tesoriere Fondi in Ariano Spese Personale
Amministrativo e Sanitario Lavori Forniture Provvedimenti per far danaro
PRELEVAMENTI SULLE CAUZIONI Alligato Rapporto d’Antonelli IGIENE DEI LOCALI
MANUTENZIONE CASA DI SALUTE CASA DI MATERNITÀ STANZE D' ISOLAMENTO STANZE DI
OPERAZIONI CUCINA CASERMAGGIO CONSULTAZIONI GRATUITE, SALA IDROTERAPICA E
STANZA PER RICEZIONE DISCIPLINA DEL BASSO PERSONALE. DIREZIONE DELL'OSPEDALE
STANZA DI MEDICATURA V anno iSgi il giorno io novembre in Napoli. Si sono
riuniti in casa del Comm. Vastarini- Cresi, il Comm. Prof. Salvatore Trinchese
y il Cav. avv. GSavio, Roberto e Cosenza. Constatatosi che tutti gP intervenuti
hanno letto P opuscolo intitolato u Relazione del R. Commissario della S. Casa
degli Jhcurabili sulla gestione, firmato Napodano Deputato ai Parlamento „,
sono stati unanimemente d'avviso che si debba rispondere a tale pubblicazione
per rimettere le cose a posto, smentire le infondate accuse e respingere gli
ingiusti apprezzamenti sugli atti cofnpiuti dalla disciolta Amministrazione, che
sono a studio travisati nel loro contenuto. U avvocato Vastarini ha fatto
rilevare che P opuscolo del R. Commissario, più che essere diretto a calunniare
gli atti compiuti dalla disciolta amministrazione, ha tutto il carattere delP
aggressione personale contro P ex So pr aintendente : se sonosi coti/use a
studio le responsabilità delle diverse amministrazioni ciò si e fatto allo
scopo di colpire, senza riguardo e mi sur a ^ la sua persona. Per la qual cosa
egli rivendica a se il diritto di rispondere personalmente alla suddetta
relazione per assumere tutta la responsabilità della forma da dare alla
risposta e della sostanza di quegli atti che non riguardano i componenti del
governo disciolto. V avv. Lo Savio ha fatto anch' egli rilevare: che gli
addebbiti contenuti nella relazione del R. Commissario riguardano in minima
parte la disciolta Amministrazione la quale è rimasta in ufficio; che parte
degli ingiusti apprezzamenti della relazione stessa si riferiscono ad epoca in
cui egli collaborò nella qualità di Governatore col Sopraintendente Vastarini e
coti altri Governatori ; che molti altri riguardano r Amministrazione
precedente presieduta dal conte Spinelli; che in ogni caso, essendo appunti
rivolti al potere esecutivo del Consiglio di Governo, feriscono direttamente
tutti coloro che tale potere esercitarono. Per la qual cosa aderisce al
desiderio espresso da C., ma non credendosi egli, nella qualità di Governatore
delegato, disinteressato nella disputa, intende di assumere, anche per parte
sua, tutta la responsabilità della sostanza e della forma della risposta da
dare al R. Commissario, nella compilazione della quale vuol collaborare con
Vastarini. Dopo le suddette dichiarazioni, i convenuti sono discesi alP esame
degli addebbiti contenuti rie Ila Relazione del R. Commissario ed hanno
constatato, che non si riferiscono alla disciolta Amminis trazione gli
addebiti: 1.° Per la deficienza della biancheria nel guardaroba; 2.° Per i
criteri che informarono la impostazione delle somme all'attivo ed al passivo
nel preventivo 1890; 3.° Per gli escomputi di estaglio agli affìttuarii Moccia,
d' Ambra e Izzo; Per la riduzione d' estaglio al fondo Salicelle, affittato al
d' Ambra; 5.° Pel conto 1887, 1888, 1889; Per Tescomputo accordato airenfiteuta
Giovanni Sigillo, Per la nuova pianta del personale amministrativo. Per i
lavori eseguiti. Che quelli rifer enfisi alla disciolfa Amminis frazione sono
limitati: i." Alla spesa votata per gì ingegneri; Al deliberato aumento di
un farmacista ; j.° Ai lavori eseguiti nel 1891; . 4? Alla generica ed
indimostrata accusa di sperpero di denaro. Fatta tale constatazione \ i signori
Trinchese, Di Roberto e Cosenza hanno dichiarato che avendo essi a suo tempo
preso cognizione esatta di molti atti compiuti dal Comm. Vasfarini coi poteri del
Consiglio dal 4 settembre al 30 dicembre iSgo, epoca in etti non esisteva un
governo regolare; ed avendo ratificato tali atti a norma della Legge e del
Regolamento^ non intendono scindere la loro responsabilità da quella dei
signori V astar ini e Lo Savio. Ma questi ultimi hanno vivamente insistito
nelle già fatte dichiarazioni e sulla necessita che la risposta al R.
Commissario, almeno per quanto riguarda la forma, abbia un carattere tutto
personale. Per la qual cosa i signori Trinchescy De Roberto e Cosenza, pur
rimanendo solidali con i signori Vastarmi e Lo Savio nella responsabilità degli
atti, compiuti col loro concorso o da loro ratificati > lasciano a questi la
libertà di rispondere in quella maniera che crederanno più conveniente a
difendere il decoro della disciolta Amministrazione e quello delle persone
singolarmente prese di mira dalla relazione del R. Commissario. C., G. Lo Savio
S. Trinchese D. Di Roberto L. Cosenza mmsm Mentre eravamo, il giorno 7 del
corrente mese, innanzi all' Ecc.ma Sezione IV del Consiglio di Stato per
discutere la nostra domanda di sospensione del r. decreto 31 Agosto 1891, T on.
Avvocato Erariale, nostro contraddittore, con cavalleresca cortesia ci mostrò
un opuscolo a stampa del quale vedevamo altri esemplari innanzi a ciascun
componente dell' alto consesso amministrativo. Ne leggemmo V intestazione, che
dicea: Relazione del r. Commissario della 5. Casa degli Incurabili sulla
gestione dal 4 Settembre al 4 Novembre iSgi, e ci riservammo di procurarcene
copia e di esaminarlo più tardi. È una pubblicazione, che vorrebbe
indirettamente combattere il ricorso, col quale i rappresentanti della
disciolta Amministrazione impugnarono il detto real decreto, senza parere d'
essere stata compilata a cotal fine. La forma inurbana e sgrammaticata , e il
contenuto riboccante di malafede, ci avrebbero consigliato di rispondervi con
la parola di Cambronne, se qualcuno ci avesse imposto V increscioso compito di
discuterne col redattore; ma tale non Eccone un saggio per ora: via via ne
daremo altri' Pag. 36. * Una rilevante quantità di fondi che 1* Opera Pia ha in
Ariano, aventi una rendita annua di circa lire 8000, è affidata in
amministrazione ad una persona del luogo; la quale non ha mai comunicato i
contratti che da lui si facevano, e da oltre 10 anni non ha inviato i resoconti
della sua gestione (che ora soltanto dopo la mia nomina, ha trasmesso)
limitandosi a mandare di quanto in quanto quel pò di danaro che egli credeva. è
il nostro dovere, e ne rendiamo grazie agli Dei immortali* Una cosa soltanto
c'importa di stabilir chiaramente, ed è che, dimostrato in modo innegabile dal
nostro ricorso, non essere la relazione del sig. Ministro dell' Interno,
precedente P impugnato decreto di scioglimento e redatta sulla falsariga d' un
rapporto prefettizio, se non un tessuto di audaci e meditate inesattezze, si
tenta ora con una mal dissimulata manovra di spostar la questione e di
fuorviare la pubblica opinione. Da ciò noi tragghiamo gli auspici più lieti per
l'esito della nostra causa innanzi alPEcc.ma Sezione IV del Consiglio di Stato,
dappoiché ivi la disputa è circoscritta fra termini precisi ed inamovibili,
quali sono, da una parte il real decreto con la relativa motivazione, e dalP
altra il ricorso coi suoi mezzi di annullamento. Il nostro avversario, che fa
proporre, come un litigante volgare, eccezioni dilatorie d' incompetenza,
sfatate, prima ancora d'essere svolte; che s* ingegna, con pubblicazioni,, come
quella, di cui dovremo occuparci, di uscir fuori dalla lizza e di trascinarvi
noi ed il pubblico, ci dà il gradito annunzio della vittoria, precorrendo la
decisione dell'alto consesso» amministrativo. Ad uomini però, come quelli, che
componevano la disciolta Amministrazione, non può bastare una decisione, che,
per la necessaria limitazione degli istituti sociali, soltanto prò veritate
habetur: essi han bisogno d* invocare il giudizio d 1 un tribunale più alto,
del tribunale della pubblica opinione, che confermi il pronunziato di quella e
lo completi. A questo giudice supremo è appunto rivolta la risposta, che ci
accingiamo a dare al libello famoso, che reca la firma del R. Commissario per
la temporanea gestione della S. Casa degP Incurabili. SERVIZIO OSPEDALIERO
Progetti per nuove costruzioni e nuovi Ospedali. li libello comincia dal
rilevare che il Governo della Santa Casa u preoccupato da strani progetti per
nuovi Ospedali da fondare, per nuove costruzioni ed abbellimenti da compiere,
mentre per quelli non si peritò di spendere somme rilevanti, studiò una severa
economia nel servizio ospedaliero con deplorevoli conseguenze per i poveri
ammalati. Una reminiscenza di pudore, fenomeno riflesso d'una sensazione
irrevocabilmente passata, fece premettere al redattore di cotesto periodo una
timida frase: Se non vado errato. Ora noi, se parlassimo con lui, gli diremmo:
Avete errato, e se con più coscienza aveste consultato i precedenti d'
archivio, ve ne sareste avveduto, perchè avreste trovato traccia di quel che
andiamo a riferirvi. Sul finire del 1889, prima ancora che il Parlamento
discutesse il progetto di legge sugli istituti pubblici di beneficenza, al
Soprintendente della disciolta Amministrazione balenò in mente il pensiero di
concentrare nell' Ospedale degli Incurabili gì* infermi dei nosocomi dipendenti
dal R. Albergo dei Poveri, Cesarea, Vita e Loreto. Era un pensiero, che,
attuato, aVrebbe potuto essere fecondo di grandi vantaggi per tutti e due i
colossi della carità napolitana. La S. Casa degl' Incurabili, assumendo il
ricovero e la cura degl' infermi del Real Albergo contro il pagamento annuale
della somma stessa, che questo spendeva per codesto titolo, avrebbe profittato
di tutta la differenza, che può derivare dalla unificazione di un servizio
duplicato. Le spese generali, come direbbe un commerciante, pel mantenimento
dei 300 infermi del R. Albergo, sarebbero state interamente, o quasi,
economizzate, perchè rispetto ad essi sarebbero state sufficienti, o con
qualche lievissimo aumento, quelle che sia si facevano per gl'infermi della S.
Casa* L' insegnamento ne avrebbe risentito senza dubbio il benefico influsso,
perchè 300 letti di più avrebbero allargato d' oltre un terzo il materiale
clinico, ciò che avrebbe richiamato un numero maggiore di studiosi in quel
libero ateneo della scienza medica napolitana, che il Soprintendente sognava di
far assorgere al grado di rivaleggiare senza svantaggio con T insegnamento
ufficiale di qualsivoglia Università d'Europa. Per l'Albergo dei Poveri il
disegno non era meno proficuo, perchè, liberandosi dalle cure proprie degli
istituti ospitalieri, avrebbe circoscritto i suoi fini al ricovero dei vecchi
inabili d* ambo i sessi ed all' istruzione ed educazione degli adolescenti.
Riacquistata la disponibilità dei vasti locali, occupati dai tre nosocomi, esso
avrebbe potuto curare V antica piaga, che rode quella grande istituzione, e che
le ha sempre impedito di dare i frutti, che Napoli ha dritto di aspettarne,
poiché avrebbe potuto separare completamente la famiglia dei vecchi, corrotti,
avanzi di pena, incorreggibili, dalla famiglia giovane, educabile, la quale può
produrre operai per ogni mestiere, agricoltori, giardinieri, marinari etc., ed
aprire per tal via una corrente nuova di vita con elementi istruiti ed educati
nelle sfere inferiori della nostra popolazione. Tolti di mezzo 300 letti, i
locali avrebbero di molto superato i bisogni della doppia famiglia dei vecchi e
dei giovani, e rimanendone disponibile qualcuno, poiché non per anco la crisi
edilizia s' era allora dichiarata, avrebbe potuto essere alienato a buone
condizioni. Con ciò un fabbricato, che per un istituto pubblico di beneficenza
rappresenta una passività, perchè soggetto alle tasse ed alla manutenzione, si
sarebbe trasformato in capitale fruttifero, atto a riequilibrare il bilancio
del R. Albergo, se ne avesse avuto bisogno. Ma perchè il pensiero del
Soprintendente si fosse potuto avvicinare air attuazione, era mestieri che la
S. Casa avesse avuto i locali necessari per ricevere i 300 infermi, che il R.
Albergo avrebbe dovuto affidare agli Incurabili. Domandi lo scrittore della
relazione ai suoi colleghi in Parlamento, on.li De Riseis e De Martino, e saprà
che il Governo del R. Albergo," in seguito ad una accurata relazione del
secondo, nella quale ebbe la cortesia di rilevare, con una forma ben diversa
dalla sua, appartenersi l' iniziativa di quel progetto al Soprintendente degl'
Incurabili, il governo del R. Albergo, diciamo, prese una deliberazione che
commetteva ai due lodati gentiluomini V incarico di trattare col governo della
S. Casa. Sorse così la necessità di far procedere allo studio dei progetti per
le nuove costruzioni, che determinò la spesa di quella somma, che il R.
Commissario avrebbe dovuto trovare tutt'altro che inutile, se dice sul serio a
pag. 4, di voler procedere al raggruppamento dei servizi ospedalieri della
città. L' ampliamento, che esigerà cotesta impresa, non può aver luogo
altrimenti che sulla base di quei progetti. Le trattative iniziate col governo
del R. Albergo furono interrotte pel sopravvenire della legge sulle Opere Pie,
e per non essersi trovata allora una via per regolare il trattamento d'un basso
personale d' infermieri, addetto agli Ospedali di quello, ma composto di
ricoverati, che non si poteva assumere dagl' Incurabili. Ciò non ostante le
difficoltà si sarebbero vinte sicuramente, se V una e 1' altra Amministrazione
non avessero dovuto, per le frequenti crisi, mutare e rimutare governatori. Ma,
posto pure che a nulla fossero approdate quelle trattative, la necessità e 1'
urgenza di ampliare i locali della S. Casa s* imponevano e s' impongono a
chiunque non è del tutto destituito di sentimento umano. Il modo come sono
allogati gl'infelici, affetti da tisi, è tale che stringe il cuore a chiunque
visita queir asilo di dolori, non leniti da alcuna speranza. I reclami del
corpo sanitario, insistenti, continui, giustificati, non ispirarono al
Soprintendente della disciolta Amministrazione, il giudizio che hanno ispirato
al R. Commissario intorno al niun bisogno ed alla niuna urgenza di quei
progetti ; ed egli, non solamente non si pente di averli ordinati, ma, se fosse
rimasto in ufficio, li avrebbe certamente attuati. E questo per i progetti,
riferentisi alle nuove costruzioni ; quanto ai nuovi Ospedali, da fondare,
l'allusione è diretta in-^ dubbiamente alla succursale di Torre del Greco. Ivi
la S. Casa possiede un podere ed un vecchio edificio, destinato principalmente
agli idropici ed a coloro, che un tempo si curavano con le stufe di vinacce, e
poi, per tolleranza dell' Amministrazione, agi' infermi che il Municipio del
luogo vi manda a pagamento, perchè non ha un ospedale proprio. Nella stessa
condizione di Torre del Greco, ossia senza ospedale proprio, si trovano le
finitime città di Resina, di Portici, di S. Giorgio a Cremano, di Ponticelli e
di Barra, e i loro infermi, affluendo a Napoli, gravano senza corrispettivo i
bilanci degli Ospedali di quest' ultima, perchè, come è noto, non v'ha nelle
province meridionali una legge che obblighi i comuni al rimborso delle spese di
spedalità. Trovar modo di diminuire 1' aggravio, che i suddetti municipii
producono al bilancio della S. Casa, e far sorgere una nuova ed importante
istituzione parve al Soprintendente una iniziativa non indegna della sua
sollecitudine. Ed accarezzando codesto pensiero, immaginò una forma di
consorzio, pel quale i mentovati municipii con le rispettive Congreghe di
Carità, così per Y impianto, come pel mantenimento, avrebbero fissato la misura
del proprio concorso proporzionalmente al numero dei letti, che ciascuno
avrebbe richiesto pei rispettivi bisogni. La S. Casa vi sarebbe intervenuta col
nome, col corpo sanitario, con la farmacia, con la somma stessa che vi spende
attualmente e con la cessione del suolo. Poteva sorgere in tal guisa un
ospedale di duecento letti, che, costruito e disposto secondo le ultime
esigenze della scienza; con padiglioni segregati per le malattie infettive e
con una trentina di stanze a pagamento, principalmente pei forestieri; servito
dalle più grandi illustrazioni medico-chirurgiche, sarebbe stato in quella
incantevole posizione il nucleo vero d' una interessantissima stazione
sanitaria. Se le città concorrenti e l' istituto promotore se ne sarebbero
vantaggiate, non è mestieri dimostrare, tanto la cosa è per sé stessa evidente.
Si fu perciò che fu commesso al Governatore prof, Giovanni Antonelli l'incarico
di studiare il problema, e di dare ad un ingegnere l' indirizzo scientifico pel
progetto d'arte che avrebbe dovuto risolverlo. V insigne uomo vi si dedicò con
amore, ed il progetto con la relazione si trovano ora nell'archivio del Pio
Luogo. Nocque all' idea 1' esser nata nel cervello d' un uomo politico, perchè
le bieche passioni di parte attraversarono a costui siffattamente la via, che
non gli fu possibile di tentare nemmeno di promuovere il consorzio. Rimane non
pertanto il progetto, ed il giorno, in cui la bufera politica sarà passata, non
vi sarà uomo di retti intendimenti, il quale non troverà che la somma, occorsa
per quel progetto, che potrà esser sempre utilmente ripreso, fu spesa assai
meglio di quella, che è servita per dare alle stampe le tremila copie del
libello famoso del r. Commissario. Restrizione del numero dei malati Questo
signore, del quale non sapremmo dire se è maggiore V ignoranza o la fallacia,
aggiunge che " mentre si spendeva nei progetti e nelle costruzioni,
indicate di sopra, si lasciò che i maggiori risparmi s'introducessero nel
servizio dell' ospedale. a II quale fu ridotto ad un numero di malati inferiore
a quello che era in passato e che il Regolamento prescrive. „ Se egli non
avesse ignorato quel Regolamento, che cita a sproposito, avrebbe saputo che,
non dallo stesso, ma dall'articolo 1 1 dello Statuto organico, è stabilito, che
hanno per anno, deliberandosi il bilancio preventivo, il Consiglio d'
amministrazione determina il numero dei letti, che, secondo la capacità dei
locali e la disponibilità dei mezzi finanziari, ravvisa potersi mantenere nel
corso dell' esercizio. Se avesse letto il citato articolo, avrebbe domandato la
deliberazione presa nella discussione del bilancio 1891 ed avrebbe trovato che
il numero degli infermi era stato fissato ad ottocento, mentre nell' esercizio
precedente era stato di ottocento cinquanta. E se avesse spinto più oltre le
sue indagini, come ne aveva il dovere, prima di scrivere ciò che scrisse,
avrebbe appreso che la misura non poteva essere più ragionevole. L' Ospedale
degl* Incurabili, per una strana antifrasi tra la sua denominazione e il suo
Statuto, non può accogliere che gì 1 infermi cronici di malattie curabili, ed è
contro il suo fine accogliere quelli affetti da morbi incurabili, per guisa
che, quando si constata che tale è divenuta la condizione d' un qualche
infermo, gli si dà la qualifica di depositario e lo si restituisce alla
famiglia o s' invitano le autorità municipali del comune, cui appartiene, per
mandarlo a rilevare . Nel corso del 1890 si verificò che cotesti depositari
erano mano mano giunti ad un centinaio, e poiché ciò contraddiceva allo scopo
dell' Opera Pia, in quanto che essi occupavano letti, che potevano essere
occupati da altri infermi, i quali con pochi Art. 546 del Reg. Gl'infermi
dichiarati insanabili, detti depositari, sono consegnati alle rispettive
famiglie. Se non abbiano parenti in Napoli, il Direttore ne informa caso per
caso la Sopraintendenza per richiedere le rispettive autorità municipali di
mandarli a rilevare. giorni di degenza potevan guarire, fu dato ordine alla
Direzione di rientrare nell* osservanza del Regolamento, fateendo sgombrare i
letti dai depositari. Havvi in archivio una voluminosa corrispondenza coi
Sindaci, col Prefetto, e col Questore di Napoli, che si riferisce a tale
argomento e che il r. Commissario non ha letta. Sbarazzate le sale dai
depositari, la forza fu diminuita di cinquanta infermi e si rimase così nei
limiti del numero ordinario di quelli che effettivamente la S. Casa ha obbligo
di ricevere. Non è vero dunque che il numero degF infermi fosse stato ridotto
al di sotto di quello che il Regolamento, ossia lo Statuto, prescrive ; ed è
men vero ancora che fosse ristretto a settecento. Il regio Commissario non sa
che neir Ospedale si compilano i quadri della statistica mensile : glielo
facciamo saper noi. Li consulti; li metta a raffronto coi registri e se egli
riuscirà ad indicarci una sola giornata, nella quale il numero degli infermi
sia stato di 700, noi ci obblighiamo a far onorevole ammenda ed a proclamarlo
un uomo di buona fede. Riduzione di spesa pel mantenimento degli infermi.
Quanto abbiamo detto basterebbe a dimostrare che la riduzione di L. 28,000
nella cifra stanziata nel bilancio preventivo del 1891, pel mantenimento dei
malati, era una conseguenza diretta e necessaria della riduzione del numero dei
letti. Ma non vogliamo contentarci di questa sola risposta, perchè abbiamo da
darne un' altra ancor più calzante. Per T esercizio 1889 era stata prevista pel
vitto degli infermi la spesa di lire 160,000, delle quali si trovarono spese in
meno a chiusura di conto lire 16,057,07 ; e perciò la previsione si riconobbe
eccessiva per una somma eguale (Vedi doc. V allig. al ricorso. Relaz. del
Segretario Generale sul conto 1889, pag. 28 air art. 22 Appalti). Il conto deir
esercizio suddetto fu dato il 3 agosto 1890, vale a dire, circa un mese prima
che si deliberasse il presuntivo del 1891, e per conseguenza le previsioni
furono commisurate alle risultanze di quello. Ora il regio Commissario avrebbe
riputata prudente la condotta della disciolta Amministrazione, se, non ostante
la provata eccedenza del preventivo per 850 infermi, avesse mantenuti invariati
gli stanziamenti, anche quando il numero veniva ridotto ad 800. E dire che
l'Italia s' abbia a dibattere nelle angustie d'una crisi economica e
finanziaria così intensa e così prolungata, mentre possiede un genio di questa
forza che potrebbe salvarla. La soppressione del vino e Y alterazione della
vittitazione u Per gì' infermi ridotti a così scarso numero con inopportune u
ed insane (!) economie fu alterata la vittitazione così conu tinua il libello
famoso e quindi per ordine dell' attuale Diu rettore, con autorizzazione del
Governo della Pia Opera, fu u soppressa totalmente la distribuzione normale del
vino, che u il Regolamento prescrive tassativamente fra V alimentazione u
ordinaria; e fu mantenuto in proporzioni molto tenui il quanu titativo del
cibo, che a ciascuno era fornito. „ Dalle trascritte parole ognuno avrà
compreso che si calunnia il Regolamento, prestando agli egregi uomini, che lo
compilarono criteri, che non ebbero, né potettero avere. A loro non passò mai
pel capo, che con ogni specie d' infermità fosse compatibile V uso del vino,
sicché potessero berne senza pregiudizio i cardiaci al pari dei tubercolotici,
quelli affetti da malattie dell' apparecchio genito-urinario, come i colpiti da
lesioni violente: da commozione cerebrale, etc. E non poteva cotesta stranezza
passar loro pel capo in quanto che non mancarono di farsi assistere, come
risulta dalla relazione che precede il Regolamento stesso, da un' apposita
Commissione Sanitaria, che li avrebbe certamente trattenuti dal prendere il
dirizzone che loro attribuisce il r. Commissario. Lo legga dunque il
Regolamento, o lo legga meglio, se non lo lesse bene la prima volta, e troverà
a pag. 268 la tabella indicativa della razione giornaliera per gì' infermi
nelle sale comuni ed in quelle a pagamento, e nell' angolo a destra, destra
della pagina, tra le annotazioni generali per tutti gl'infermi, vedrà 1' ultima
segnata con la lettera A così concepita: la razione del vino è data solo quando
è prescritta dal medico ! Richiami, dopo di ciò, le mappe della vittitazione
giornaliera, riferentisi all' epoca della quale parla, e se un qualche morbo
non gli ha offeso la retina, leggerà che i professori, non a tutti gì' infermi
indistintamente, permisero Y uso del vino, ma solo ad alcuni, così come si fa
pel latte, per le aranciate, granite e limonate. Quando avrà fatto cotesto
esame si persuaderà che, non dalla passata Amministrazione, ma da lui è stato
violato il Regolamento del P. Luogo e quello del senso comune ! Per le
proporzioni molto tenui del quantitativo del cibo il r. Commissàrio avrebbe
dovuto sapere che esse non si determinavano dall' Amministrazione, ma dalla
tabella annessa al Regolamento ed esistente alla citata pagina 268. Per
constatare poi se il Regolamento si osservava dalla dispensa e dalla cucina
doveva richiamare le mappe speciali di ciascuna. sala, e quella generale di
tutte; confrontare le prescrizioni mediche con le emissioni della dispensa e
con le ricevute della cucina; e se avesse trovate non regolari le liquidazioni,
allora avrebbe avuto il diritto di parlare, altrimenti avrebbe fatto meglio a
tacere. Compilata la mappa, il capo-sala la rassegna allo esame ed alla firma
del professore, e poi ne dà comunicazione all' ufficiale liquidatore. 643.
L'ufficiale liquidatore, riunite le mappe di ciascuna sala, le esamina
attentamente per accertare lo effettivo numeri) degli infermi presenti, tenuto
conto degli esistenti nel giorno precedente, di quelli ricevuti in giornata e
degli usciti e trapassati, e compila lo stato di giornata del movimento di
tutti gì' infermi. 644. Riconsegna poi le mappe di ciascuna infermeria ai
rispettivi capi-sala per servir loro di riscontro nella distribuzione del
vitto: ed essi ne fanno l'indomani trasmissione all'ispettore contabile. 643.
Liquidato l'effettivo numero degl'infermi presenti, l'ufficiale liquidatore lo
ripartisce sul modello in istampa, approvato dalla Soprintendenza, in distinte
categorie, secondo il trattamento disposto dai- professori di razioni intere ed
a metà, di dieta lattea e di ogni altra somministrazione straordinaria. 647. In
conformità del risultato di verificazione di cui all'art. 643, lo ufficiale
liquidatore rilascia, coll'approvazione del Direttore, le richieste ai
capi-sala per rilevare il pane dalla dispensa a mezzo dei serventi, e comunica
alla dispensa stessa ed alla cucina le quatti ita e le qualità delle
somministrazioni, tanto per la mattina, che per la sera, notando parimenti le
quantità del sale Violazione del contratto per la fornitura della carne Ma se
errò per ignoranza nel formulare le accuseche precedono, non si può dire
altrettanto per V addebito relativo al contratto della carne. Egli scrisse che
" con deplorevole condiscendenza s' era permesso al fornitore della carne,
violando il contratto di appalto, che avesse dato in vece della carne di manzo,
quella cosidetta di maglione „. Noi non troviamo la parola adatta a definire
cotesta asserzione: quella che ci verrebbe sotto la penna, non vogliamo
scriverla. Né può esimerlo dallo stigma che avremmo diritto di infliggergli T
aver citato in pruova della sua assertiva le dichiarazioni di anonimi malati,
usciti dall' Ospedale, quando il fatto affermato poteva e doveva esser
dimostrato dalle dichiarazioni delle Suore, che sovrintendono alla cucina, e
ricevonsi ogni giorno la carne; da quelle dell' Economo, che dee presenziare
air immissione e respingere i generi, se non corrispondono ai contratti, non
meno che da quelle dell'Ispettore contabile, che ha il dovere di controllare la
qualità e le quantità dei generi stessi . e del condimento corrispondente alle
proporzioni di regola, fissate dall'Amministrazione. Art. 64S. Il vitto è
trasportato dalla cucina alle infermerie ed è somministrato agli infermi per
cura dei rispettivi serventi. I capi sala e le suore di carità vigliano la
distribuzione, onde siano esattamente osservate le prescrizioni dei direttori
di sala. Art. 064. Il servizio della cucina è affidato ad una suora di carità o
ad apposito cuoco con quel numero di basso personale che il Consiglio creda
competente. Art. 668. La persona preposta alla cucina, suora o cuoco, deve
rifiutare i generi, che non le risultassero di buona qualità, facendone
rapporto al Direttore. Art. 104. L'Economo ha
obbligo di verificare l'immissione dei generi, di esaminarne la qualità e
quantità e non deve autorizzarne il ricevimento, se non quando siasi
accertato che essi corrispondono esattamente ai campioni ed alle
condizioni dei contratti per le qualità' ed alle richieste per le
quantità'. Art. 96 Egli (l'Ispettore contabile) adempie al disposto
negli articoli 644, 646, 649, 714 e 718, ed ha incarico precipuo di verificare
la esattezza dello stato generale della visitazione giornaliera etc, che
i generi che si forniscono dagli appaltatori, o di ufficio dell'
Economato, rispondano per qualità e quantità al disposto dell'art. Il
raccomandare le proprie asserzioni ad ipotetici infermi usciti
dall'Ospedale rivela, o che non si ebbe la temerità d'interpellare per
iscritto, come doveasi, coloro che avrebbero potuto dar le vere notizie; o che
s' ebbe il coraggio di nasconderne le dichiarazioni. Neil' un caso o neir
altro, si può esser più ameni ? Eppure il r. Commissario lo è
stato. In fatti quest' accusa era andata su pei giornali della
Prefettura, come una delle più maravigliose scoperte del r. Commissario, che si
sarebbe affrettato ad informarne P Ill.mo Sig. Prefetto. Allora dai componenti
della disciolta Amministrazione si fece notare che era una brutta e
sciocca invenzione, perchè all'Ospedale non era entrata mai carne di
maglione odi buffala, come pure allora si diceva; essersi invece dato il
manzetto, che è un genere di carne migliore del manzo. Ed a questo
proposito si faceva notare altresì era stato incaricato il Direttore
della Farmacia. Prof. Reale di fare il confronto tra il valore nutritivo
del brodo di manzo e del brodo di manzetto.
Il r. Commissario, in seguito di ciò, ebbe, per bontà sua, la
magnanimità d' interpellare il Prof. Reale, che gli rispose in iscritto esser
vero che la disciolta Amministrazione gli aveva dato 1' incarico di far
1' analisi comparativa dei due brodi, di averla egli fatta e di aver
trovato che quello di manzetto era più nutritivo . Ed // Paese, organo della
Prefettura e del r. Commissario, Di conseguenza, tutti gli atti,
relativi agli indicati movimenti, non possono considerarsi per le
liquidazioni dei conti in danaro, se non siano mun ti del visto di
riscontro dell' Ispettore contabile. Art. 97. L' Ispettore deve
apporre il visto suddetto ogni volta che non abbia ad osservare
irregolarità. Al
pubblico, e non al R. Commissario, che li ha letti, facciamo sapere che i
rapporti del Prof. Reale, diretti al governatore del carico, cav.
Cosenza, hanno le date del 27 e 29 Aprile ultimo, e che il primo prese il
n. di protocollo alla ricezione 1701, e 1' altro 1738. Da questo
fatto si può giudicare che, se si negarono al Soprintendente della
disciolta Amministrazione le copie legali dei documenti, ciò si fece per
poter diffamare a proprio libito, senza preoccupazione di possibili
smentite. agli 8 ottobre ultimo, anno III, n. 278, pubblicò' la lettera
del chiaro Professore, concepita nei seguenti termini :
" Ottemperando alle orali disposizioni della S. V. IlLma, mi u
pregio di rassegnarle quanto appresso : u Incaricato dal Governo di
questa Santa Casa, sottoposi " ad analisi il brodo fornitomi dalla
cucina della Pia Casa. u Con rapporti del 24 (è un errore, deve dir
27) e del 29 " aprile di questo anno dettagliatamente mostrai i
risultamenti u delle mie analisi, epperò la composizione dei brodi esamia
nati etc. etc. „. Dopo di ciò, la realtà del fatto non si poteva
più revocare in dubbio, ed il giornale, per non mostrare d' essere stato
accoppato addirittura, chiudeva il suo articoletto di cronaca, rivolgendo al
Prof. Reale le due seguenti interrogazioni: a Crede egli d' aver
analizzato due brodi dell'identico tipo ?
" cioè ottenuti da quantità uguali ed in modo uguale ?
„ Ora il r. Commissario scrive che il signor Reale ha espressamente
dichiarato, non solo di non aver manifestato l'opinione che manifestò, ma
di non esser stato mai interrogato su tale questione. Ci vuole una bella
faccia! Chi scrive non sa se la carne di maglione sia poco o
molto dura, perchè è la prima volta in vita sua che ne sente parlare. La
relazione dice che è durissima, ma v'è da scommettere cento contro uno che non
supera quella della faccia dell' on. r. Commissario. In ultimo la
relazione afferma " che dalle dichiarazioni, fatte dallo stesso
fornitore signor Pirozzi, è risultato che si era prescelta quella qualità di
carne per un sentimento di malintesa economia. „ Se son vere
coteste dichiarazioni e noi protestiamo
di non credervi, perchè il Pirozzi, nella sua modesta condizione di
beccaio, è uno dei più onesti galantuomini del mercato di Napoli chi scrisse la relazione dev' essere persona
d' una. . . . ingenuità della forza di cento cavalli. Come ?
Se s' era permesso con deplorevole condiscendenza al fornitore della
carne di violare il contratto, non è da pensare che egli si prendesse
cotesta licenza nell' interesse della S. Casa. L' economia dovrebbe
averla fatta lui: eppure, a dare ascolto al r. Commissario, egli proprio,
il Pirozzi, gli avrebbe rivelato che era stata inspirata da un malinteso
sentimento! Pel Pirozzi sarebbe stato altro che ben inteso.
Il r. Commissario poteva dar la pruova del fatto asserito, se
avesse avuto i più elementari rudimenti di cose amministrative e doveva
darla, una volta che il fatto lo aveva asserito. Egli non avrebbe avuto
che a richiamare le liquidazioni dei conti del Pirozzi, e a rilevare
dalle stesse se la carne era stata a costui pagata in conformità dei
contratto, mentre ne aveva fornito di qualità inferiore allo stabilito. In
questo caso si sarebbe verificato un furto patente, nella consumazione
dei quale non potevano non esser coinvolte le suore addette alla cucina,
l'Economo dell' Ospedale, e V Ispettore contabile: ed il r. Commissario doveva
denunziarli al potere giudiziario insieme al Pirozzi ed ai componenti
della disciolta Amministrazione, se il fatto era seguito col loro
consenso. Se non l'ha fatto o se noi fa, egli dà la pruova d'essere....
quello che è. Se poi -le liquidazioni si son fatte sul prezzo della
carne di maglione, la responsabilità è della Ragioneria di quella Ragioneria, che ha avuto le lodi
del relatore (p. 27), mentre essa, se non presenta un ordine scritto del
Soprintendente o del Governo, che a ciò la autorizzava, avrebbe proceduto
a rovescio del suo dovere, passando sopra al contratto. E in questo
caso il r. Commissario, lungi dal far gli elogi del Ragioniere, dovrebbe avere
il coraggio di destituirlo. II r. Commissario però non fa né questo
né quello, perchè sa di non poterlo fare, essendo la sua una vera
innegabile e cosciente... inesattezza. Biancheria e
casermaggio Veniamo ora al servizio
della biancheria e del casermaggio " ridotto nelle più squallide
condizioni, perchè la disciolta Amministrazione, non avendo per due anni
consecutivi speso quasi nulla per lo acquisto di detti generi, la scorta
precedentemente esistente s' era venuta assottigliando di giorno in giorno. I
mobili, i letti e le matarasse sono in pessima condizione e per mancanza
di lenzuola non possono bene spesso rifarsi i letti agli ammalati.
„ A prescindere dalla smaccata esagerazione, con la quale è
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presentata la suesposta accusa, convien rilevare, per rispondervi, che T
ultima provvista di biancheria fu fatta nel 1887, e doveva servire, non
solo per detto esercizio, ma anche pel successivo del 1888,
Nel maggio del 1889 air amministrazione del sig. conte Spinelli
succedette quella del sottoscritto, il quale trovò, com'era naturale,
deliberato ed in gran parte speso od impegnato il bilancio preventivo. In
questo, air art 25, era stanziata per biancheria una cifra di lire 25,000,
la quale, come risulta dalla citata relazione del Segretario Generale, fu
quasi interamente spesa, poiché, a chiusura del conto, non si trovò che
un residuo di lire 705.63. Deliberato il bilancio del 1890, calcato
sulle stesse orme di quello precedente per le ragioni esposte nella nota,
diretta il 16 maggio 1890 all' Illustrissimo signor Prefetto Codronchi,
il sottoscritto ed i suoi colleghi, dal modo imbarazzato, col quale
procedeva il servizio di cassa, si accorsero che le condizioni economiche
dell' istituto, a loro affidato, non eran quelle che avevan creduto
dapprima. Istituite perciò delle indagini sopra ogni singolo ramo
di servizio ebbero ad intravedere che il bilancio della S. Casa era travagliato
da un disavanzo di circa lire 170,000 Queste circostanze il r.
Commissario avrebbe potuto rilevare dall' incartamento relativo ai conti,
nel quale si legge la sopradetta nota del 16 maggio 1890 (V. alligati al
ricorso doc. IV, p. 17), che fu il primo grido d 1 allarme dato dal
Soprintendente Vastarini-Cresi. Da quel momento il Governo del P. Luogo
diede opera allo studio diligente ed accurato dei conti; rimasti
indiscussi, 1887 (secondo semestre) 1888 e 1889, per avere al più presto
il concetto preciso della vera condizione finanziaria dell' Istituto; e, com'
era ben naturale, si tennero stretti i cordoni della borsa, e s'andò
spendendo con grandissima parsimonia il bilancio del 1890, sopratutto in
quegli articoli che portavano i maggiori stanziamenti, tra' quali era pur
quello relativo alla biancheria. Alla chiusura del conto 1890 si trova in
fatti che della cifra stanziata rimasero non erogate lire
17,632,55. A tre agosto 1890 soltanto, con la deliberazione che
approvava i conti dei tre esercizii anzidetti 1887, 1888. e 1889, si potè
veder chiaro nella situazione, e cessò la ragione dell'incedere prudente e
riservato nelle spese. Ma, se a quella data i dubbi della
situazione eransi dileguati, l' Amministrazione s' era venuta
sciogliendo. Il cav. GaetanoSavarese, per gli affari del suo commercio era
rimasto lungamente a Parigi, ed al suo ritorno si credette in dovere di
rassegnare le proprie dimissioni da Governatore. Il conte Ludolf, o poco
prima o poco dopo di lui, aveva fatto altrettanto. Il Prof. Giovanni
Antonelli intervenne per V ultima volta in ufficio per prender parte alla
deliberazione del 3 agosto e per mera deferenza personale al
Soprintendente. Non rimasero in carica che quest' ultimo e il cav. Lo
Savio, i quali a 4 settembre 1890, prima ancora che giungesse in Napoli
il comm. Basile, per prendere il posto del conte Codronchi, tramutato in
Milano, si affrettarono a spedire le proprie dimissioni (Ved. doc.
XVII allig. al ricorso pag. 77). Non ricevendo alcuna
risposta, il Soprintendente a 20 settembre rinnovò le sue preghiere all'
illustrissimo signor Prefetto, perchè prendesse atto delie date
dimissioni e provvedesse alla ricostituzione dell' Amministrazione (V.
doc. XVIII alligato al ricorso pag. 78). Se il sottoscritto
dicesse oggi che, essendo dimissionario, non credette d' avere il diritto
di trattare un affare così importante come era la rifornitura del
casermaggio e delia biancheria, il r. Commissario che, certo misura dalla
propria 1' altrui buona fede, e che, gestore temporaneo con mandato d'una
legittimità molto discutibile, non esita ad affrontare la responsabilità
d'un prestito di mezzo milione, sorriderebbe d' incredulità. Ma chi
scrive lo disse allora, il 20 settembre 1890, nella chiusa della citata
lettera "... io son costretto a far deliberazioni di ur* genza per una
parte, e per un' altra a rimandare molte cose " importanti con
detrimento degli interessi dell' Istituto. „ AH' Illustrissimo
signor Prefetto piacque di prolungare per ben quattro mesi la situazione
anormale della S. Casa, e più ancora V avrebbe prolungata, se il
Vastarini-Cresi non gli avesse rotti gli alti sonni nella testa il 17
dicembre 1890 (V. doc. XIX allig. al ricorso p. 79) e se non si fosse
tolto, per giunta,. la briga di chiedere il concorso di quattro
gentiluomini, ai quali ha il rimorso d'aver procurato tutte le molestie,
che si ponno subire, quando s* ha a combattere con V inurbanità e
la malafede. Per le ragioni sovraesposte, gli strali, che al
r. Commissario hanno temprato un Ragioniere ed un Segretario di prefettura,
e che egli, grottesco Griso del fiero Innominato, crede di avventare suir
aborrito capo dei Vastarini-Cresi, vanno a colpire in pieno petto la
venerata persona del Comm. Basile. Meno male che il r. Commissario "
ritiene presso di sé una tovaglia, rinvenuta nelle stanze degli ammalati
a pagamento, e che vuol conservare a memoria a" imperituro disdoro^
certamente del Prefetto, che fu causa che la biancheria non si
rifornisse, perchè con essa potrà asciugare il sangue e fasciar le ferite
che gli ha prodotto per aberrazione di colpi ! Invece, della
lancia, sarà la tovaglia di Achille (Basile), che ferisce e sana !
Ma tutta cotesta lunga storia, ci si potrà dire, non riguarda che
il 18 C X), e, dato pure che vi si mandi buona, essa giustifica un'
Amministrazione che non è quella che è stata sciolta. Ora voi
dovete giustificare l'Amministrazione nominata il 31 dicembre 1890, che è
rimasta in ufficio fino al 4 settembre 1891. Che cosa ha essa fatto
per provvedere alla biancheria ? Se non era il r. Commissario non si
sarebbe nemmeno saputo che il Grande Ospedale versava in quelle
angustie. La negligenza per
questa parte indubitabilmente è grave; e non si limita soltanto alla biancheria
ed al casermaggio. Se non era quella mente di aquila del r.
Commissario, la disciolta Amministrazione avrebbe esaurito il periodo
sessennale della sua gestione e non avrebbe pensato alle sale di operazioni
segregate, come ci ha dovuto pensare lui, per non far sentire agli altri
ammalati le grida strazianti dei paziente. E non e' è che lui, il
quale abbia pensato " ad una distribuzione razionale e sicura degli
ammalati nei varii reparti, per evitare lo sconcio, da lui riconosciuto,
di veder confusi tra gl'infermi comuni, alcuni affetti da tubercolosi e
simili,,. Non e' è che lui, che abbia pensato u ad invitare la
commissione sanitaria a guardare il modo come trovansi aerate le sale,
studiando se sia il caso di adottare per alcune di esse o per tutte
appositi ventilatori, non senza badare alla tenuta dei cessi e della loro
disinfezione. „ Non e' è che lui, che " ha creduto di
migliorare col nuovo bilancio la condizione dei salarii al personale
degli inservienti e delle camminanti : e a quest' ultime (che ne erano
prive e non aveano facoltà di uscire, e non son morte) ha dato il
vitto ogni giorno ed ai primi il vitto solamente nei giorni di guardia:
„ Non e' è che lui, che abbia pensato u a nominare una commissione
di professori sanitari e di un illustre ingegnere (sic) per istudiare un
piano regolatore per i diversi servizi e per i definitivi adattamenti
dell' Ospedale affinchè questo, mentre intende a raggiungere lo scopo
umanitario, sia altresì condotto (sic) all' altezza dei progressi
scientifici e civili (sic) richiesti dall'odierna coltura! „.
Non e' è che lui, il quale " abbia fatto notare al signor Prefetto,
che probabilmente lo ignorava, come e qualmente la S. Casa, mentre
appresta agi' infermi la cura ospedaliera, fornisce del pari alla gioventù
studiosa il mezzo di compiere la propria cultura (sic) professionale,
mediante il suo (di chi ?) vasto materiale clinico ! Non e' è che
lui ! Non e' è che lui ! O Scarpetta,
quante volte, nel leggere la relazione del r. Commissario per la
temporanea gestione della S. Casa degli Incurabili, la tua figura, sbucando
tra le carte, che ingombrano il mio scrittoio, come le tentazioni nel
quadro del S. Antonio di Morelli, mi guarda con quel sorriso tra lo scemo
e il malizioso che ne costituisce la nota caratteristica, e mi ripete:
Non e' è che lui ! non e' è che lui! E T illusione per un
momento mi esilara e mi rinfranca; ma poi di nuovo la penna, impotente a
tradurre con la parola il sentimento d'infinito disprezzo che m* invade,
freme sulla carta; perchè non sa lasciarvi scorrere i feroci giambi di
Archiloco. Alle iniziative ed ai meriti, che il r. Commissario con
tanta modestia si attribuisce, non v' è che una lieve osservazione
a fare, ed è quella che si desume da una deliberazione, presa dalla
disciolta Amministrazione il 17 giugno ultimo sovra un rapporto del
Direttore dell' Ospedale, sig. cav. Gaetano Antonella Riportiamo qui il testo
della prima ed in alligato quello del secondo, avendone, per fortuna, il
Governatore Cosenza, che concorse largamente a ciò che forma il tema
dell' una e dell' altro, conservato le copie tra le sue carte.
Se il r. Commissario e non ci
parrebbe strano volesse
contestare V autenticità dei due menzionati documenti, tuttoché non ne ignori V
esistenza in archivio, ed ha provato di non ignorarla, saccheggiandoli,
sarà utile che sappia altra copia del rapporto del Direttore trovasi nelle mani
del chiarissimo prof. Cardarelli, che potrà anche informarlo da chi, perchè,
come e quando la ricevette. Ciò premesso, ecco la
deliberazione: u Presenti il funzionante Sopraintendente cav. Lo
Savio e i governanti comm. Trinchese e cav. Cosenza assistiti dal Segretario Generale barone De
Marinis. " Vista la elaborata relazione del Direttore di
questo Ospedale in data 16 corrente mese, con la quale da una parte si
rassegnano diverse proposte per provvedere: a) air igiene dei
locali: b) alla buona manutenzione: e) al miglioramento
della casa di salute per gli infermi a pagamento: d) della
casa di maternità: e) della cucina: della Direzione
Ospedaliera; g) della sala di medicatura; h) della
formazione di nuovi locali per stanze d'isolamento, per stanze di ricezione,
per la sala idroterapica e per le consultazioni gratuite; e da altra
parte si riferisce sul bisogno di provvedere il nuovo casermaggio e sui mezzi
più acconci per attuare questo intento, senza apportare alcuno spostamento al
bilancio della pia Opera. „ Ritenuto il pregio e V importanza del
detto lavoro e riconosciuta 1' utilità di seguirne le tracce: a Ritenuto
che in quanto alla prima parte, si rivela opportuno di procedere con un piano
regolatore, commettendo ad un ingegnere l' incarico di compilare un
regolare disegno estimativo per T attuazione delle sopraindicate molteplici
proposte; Ritenuto che in ordine alla seconda parte, è necessario
per procedere all' appalto per la provvista del nuovo casermaggio, e
per dismettere tutto il vecchio materiale inutile, un regolare
capitolato, da redigersi da persone competenti sotto tutti i
rapporti; " DELIBERA u 1° Esprimere la più sentita
soddisfazio ne al Direttore per la pregevole relazione, diretta a questo
Consiglio, sui più importanti miglioramenti da apportare all' opera
ospedaliera. " 2° Commettere al Soprintendente di far
compilare da un ingegnere, che egli crederà prescegliere, il piano
regolatore col progetto indicativo della spesa occorrevole alla relativa
attuazione in base alle proposte contenute nella relazione suddetta.
fc 3° Commettere ad una commissione, presieduta dal Governatore del
carico cav. Cosenza e composta dal Segretario Generale di quest*
Amministrazione e dello stesso Direttore dell' Ospedale, l' incarico di
compilare un capitolato che possa servire di base all'appalto pel nuovo
casermaggio „. Or come si vede dalla riferita deliberazione, ed an
che meglio dalla Relazione del Direttore, che si legge in alligato, non
erano indispensabili gli sforzi di quel poderoso intelletto del regio
Commissario per discoprire i bisogni dell' Ospedale e per proporre i
mezzi di accorrervi. Quello che sarebbe stato comandato dalla più elementare
decenza, era di non tradire la verità col manifesto fine di far emergere
la propria persona, diffamando, con la circostanza aggravante del mandato
ricevuto, altri, che tenea modestamente a fare il bene senza plagii e senza
gran cassa. La somministrazione delle medicature antisettiche Un ultimo addebito la relazione del r.
Commissario rivolge alla disciolta Amministrazione per ciò che tiene al
servizio ospedaliere e vogliamo riferirlo con le parole testuali della
relazione medesima: a Un altro fatto gravissimo, tollerato
dalla disciolta Am" ?nini s tra sione a danno degli infermi ho trovato
nella somu ministrazione delle medicature antisettiche, la quale è
affidata u ad un appaltatore per V annuo corrispettivo di lire
dodicimila. Tale servizio procedeva nel modo più irregolare che
possa " immaginarsi, sia perchè i preparati più costosi non
venivano " forniti addirittura, sia perchè quelli che erano
apprestati non " solo erano di pessime qualità, ma ancora di
quantità infeu riore a quella richiesta. u Tutto ciò ho assodato
non pure di persona (?), ma anche u dai reclami di molti professori,
Direttori di sale chirurgiche " e delle suore della Carità, preposte
a tale servizio, e sopra" tutto da un rapporto del Professore Annibale di
Giacomo, " direttore primario della sala delle lesioni
violente. u E debbo aggiungere che questo appaltatore è un impieu
gato stipendiato della S. Casa, che avrebbe dovuto prestare "
servizio in qualità di farmacista, ma per i favori che godeva "
facilmente si esimeva dai suoi obblighi, e tutto ciò mentre " il
Regolamento vieta in modo assoluto agli impiegati di con" correre o
prender parte agli appalti di qualsiasi natura „. Innanzi tutto ci
sia permesso di rilevare che, se rispondesse alla realtà dei fatti,
quanto afferma il r. Commissario, ci troveremmo di fronte ad un vero e proprio
reato, qual' è quello preveduto dall' articolo 321 del codice penale, che
suona così: " Chiunque essendo autorizzato alla vendita di
sostanze medicinali, le somministra in ispecie, qualità o quantità non
corrispondente alle ordinazioni mediche o diversa da quella dichiarata, o
pattuita,. è punito con la reclusione sino ad un anno e con la multa da
lire cinquanta a cinquecento. „ Cotesto reato, a prescindere da
tutte le prove che si ricordano nella relazione, il r. Commissario V ha
assodato di persona in tutte e tre le forme, in cui si è palesato, cioè
nel non fornirsi a dirittura i preparati più costosi, nel dar quelli, che si
fornivano, di pessima qualità, nel darli di quantità inferiore a quella
richiesta. Tutto ciò ho assodato di persona, egli dice. Or, ciò non
ostante, il r. Commissario non ha denunziato al potere giudiziario il
fornitore ed i suoi complici,; che, come vedremo, sarebbero stati parecchi;
anzi non ha nemmeno intentato contro di quello un giudizio civile per la
risoluzione del contratto ed il risarcimento dei danni. Che vuol
dire ciò? Una cosa soltanto: che il r.
Commissario sa di non aver detto il vero. Ed eccorie la dimostrazione limpida,
matematica, irrecusabile. Allorquando entrò neir amministrazione il
sottoscritto, trovò che il suo predecessore aveva concesso a trattativa
privata la fornitura a cottimo delle medicature antisettiche al signor
Alfonso D' Anna, che è precisamente il fornitore, che la relazione
presenta nel modo accennato di sopra. Siccome il Vastarini aveva ed
ha pel signor conte Spinelli, e pei suoi colleghi d' Amministrazione, tra
i quali vi era nientemeno che il comm. Francesco Saverio Correrà (un secolo
di probità e di dottrina!), non già la stima ordinaria, che si ha
per ogni galantuomo, ma quel rispetto che s' avvicina alla venerazione, tenne
per criterio direttivo dei suoi giudizii sugli atti dei suoi
predecessori, che nulla vi potesse essere che. non rispecchiasse la più alta ed
incontestabile moralità. E molti provvedimenti, dei quali non poteva
raccogliere dagli incartamenti la motivazione; li confermò sulla
considerazione che non potevano non essere giusti ed equi. Di tal natura
ritenne che fosse il contratto stipulato col D'Anna, prima d' essersi
informato della ragione òhe lo aveva determinato ; e se ne
confermò, dopo che T ebbe conosciuta. Essa gli risultò essere stata
questa, che nell'anno precedente al contratto medesimo, quando i generi
di medicatura si fornivano a consumo e non a cottimo, erasi constatata una
spesa di L. 24000, mentre il D' Anna offrì di fare servizio e lo lece per
sole 12000. Il d'Anna, anche allora, figurava nella pianta degli stipendiati
in qualità di farmacista del P. Luogo, ma non è altrimenti vero che per i
favori che godeva si esimesse dai suoi obblighi. Egli invece non prestava sotto
V amministrazione Spinelli, come non ha prestato sotto la amministrazione
Vastarini, il servizio di farmacista, perchè comandato a soprintendere
al forno. E neir esercizio di questa funzione egli portò tale una
diligente e coscienziosa sorveglianza, che la spesa pel panifìcio, che
era di L. 500 mensili, discese a sole 300, dal giorno in cui il D' Anna
se ne ebbe ad occupare. Il r. Commissario non ha che a riscontrare
in contabilità i documenti e si convincerà della verità di quanto
affermiamo. Scaduto il termine del contratto, stipulato dal D'Anna
colT Amministrazione Spinelli, alla fine del 1890, furono banditi gì'
incanti per la fornitura delle medicature antisettiche, come per ogni
altra provvista; fu indicata, come base dell'asta, la somma stabilita nel
contratto scaduto; ma non vi fu gara. All' infuori del D'Anna,
nessuno si presentò per la concessione dell' appalto. In tale stato di cose non
vi erano che due soluzioni del problema: o ripigliare il servizio in
economia con l'eventualità, più che certa, di ritornare al consumo di L.
24,000; od accettare la offerta del D'Anna, esaminando i documenti,
in base dei quali egli chiedeva d' essere autorizzato ad assumere f appalto,
quantunque fosse uno stipendiato del P. Luogo. Egli esibì i documenti
stessi, che aveva esibiti al conte Spinelli. Erano certificati di
parecchi Professori, che, letti dal Vastarini, lo determinarono così come
avevano determinato lo Spinelli, a concedere la domandata
autorizzazione. Ora che di ciò è piaciuto al r. Commissario
plasmare un'accusa, il Vastarini ha richiesto al D'Anna quei documenii
per farne argomento della propria difesa, e il D'Anna glieli ha
fatto tenere con 1' aggiunta di due altri, che meritano 1' onore d'
essere intercalati nel testo di questa risposta. Dei detti
certificati, due furono rilasciati in settembre del 1881 dai professori
di chirurgia Folinea e Mazziotti ed uno il 27 agosto dello stesso anno
dal signor professore Annibale Di Giacomo, direttore primario della Sala delle
lesioni violente, come dice la relazione, per renderne più ponderosa V
autorità. I signori Folinea e Mazziotti attestavano d'essersi serviti per
le rispettive cliniche chirurgiche delle medicature Lister dal sig.
Alfonso D' Anna e d' averle trovate di ottima qualità e perfettamente
corrispondenti allo scopo. Il prof. Di Giacomo poi certificava, ed
il documento è tutto di pugno del lodato Professore, u che gli oggetti di
medicau tura alla Lister, che vende il farmacista d'Anna, sono di otu tima
qualità ed identici a quelli che adopera lo stesso Lister a a Londra
(!?!), come avea potuto convincersi dal nome della u Casa inglese, dalla
quale li ritirava il D' Anna, non che in u parecchi casi di operazioni,
nei quali egli (il Di Giacomo) u li aveva adoperati. Ed in fede etc.
etc. „ I certificati anzidetti trovansi
presso il sottoscritto, che è pronto a mostrarli a chiunque avesse vaghezza di
esaminarli. Sarebbe deplorevole che il prof. Di Giacomo avesse con
leggerezza rilasciato il documento del 27 agosto 1881, perchè esso
principalmente fu quello, che determinò la risoluzione del Vastarini, stante
che il suo redattore, autorevole quanto gli altri due, gli era
personalmente noto, come uomo di carattere integro ed incapace di rilasciar
certificati o di far rapporti a partita doppia, secondo che ora vorrebbe
far credere la relazione del regio Commissario. Noi prevediamo che
si potrà dire d' esser vero il certificato del Di Giacomo di dieci anni
fa, ma siccome è possibile che il D'Anna siasi mutato da quel che era
allora, non è impossibile che il giudizio portato dal Di Giacomo sulla qualità
delle medicature, da lui ora fornite, sia anche mutato, e quindi
sia vero il rapporto che dice il r. Commissario aver ricevuto dal
eh. professore. Tutto questo ragionamento, come si vede, è fondato
sulla supposizione che il D' Anna non sia più quel coscienzioso fornitore
di una volta; ma a combattere codesta supposizione daremo lettura del documeuto
che segue, invitando il n Commissario ad ascoltarla nella posizione dell'
attenti ! e con la mano al berretto. Eccola: IL PREFETTO
DELLA PROVINCIA DI NAPOLI (Udite !) u Veduta la deliberazione in
data 27 maggio p. p., con cui " il Consiglio d' amministrazione
dello Spedale Clinico di questa
Città ha chiesta V autorizzazione di procedere, mediante trat"
tativa privata, all' appalto per la somministrazione degli ar41 ticoli di
medicatura a tutto 1' anno 1892; " Ritenuto che dall'atto
predetto risulta dimostrata la conu venienza e V opportunità che V appalto in
parola sia affidato " al sig. Alfonso D' Anna, il quale tiene in
appalto la detta som" ministrazione {Udite !) per 1' Ospedale militare di
questa Di" visione, per quello del 2° Dipartimento marittimo e per
quello " degl' Incurabili e dà le maggiori garantie {Udite! Udite!)
per u il buon andamento del servizio; u Ritenuto inoltre che
i prezzi dell' offerta, presentata dal u D'Anna ( Udite /), sono
notevolmente inferiori a quelli corriu sposti finora per tale somministrazione
; talché 1* Ospedale u Clinico potrà ritrarre una rilevante economia dal
novello apu paltò ; u Veduti gli articoli ecc. ecc. Decreta
: " V Ospedale Clinico è autorizzato a concedere,
mediante u trattativa privata, al sig. Alfonso D' Anna Y appalto per
la " somministrazione degli articoli di medicatura fino a tutto
il u 1892 ed in base alla tariffa alligata alla deliberazione 27
" maggio p. p. del Consiglio di amministrazione. u Napoli
{Udite!) 6 luglio 1891. Ma l'apprezzamento del decreto prefettizio
è solamente preventivo. Ascolti ancora il r. Commissario, senza ritirar la
mano dal berretto, perchè ora ce la mettiamo anche noi: Quando
parlano uomini, come quello; del quale ci apprestiamo a riferir la
parola, si ha il dovere, qualunque sia la posizione dell'ascoltatore, di
serbare P attitudine del rispetto, che impone la canizie, congiunta alla
scienza ed alla probità indiscutibili. OSPEDALE CLINICO DI NAPOLI „
u Certifico io qui sottoscritto che il sig. Alfonso D'Anna, dal u
mese di giugno del volgente anno, somministra a quest' Ou spedale gli articoli
di medicatura (bende compresse, garza ec.) u e che non ha dato motivo ad
alcun reclamo per la buona u qualità degli articoli somministrati.
u In fede del vero {udite !) ed a richiesta dell' interessato.
Napoli 12 novembre 1891 77 Presidente del Consiglio di
Ammiitistrasionv {Udite! udite!) Carlo Gallozzi u Visto
per la firma del signor Carlo Gallozzi nel presente "
certificato. u Napoli 23 novembre 1891 u II Delegalo
Municipale u Avv. Di Giulio „ Dopo di ciò potremmo cessare:
abbiamo rivendicato l'onore di un galantuomo, che per deferenza a noi,
come al nostro predecessore, ha fatto con grandissimi sacrifizi un
servizio inappuntabile air Ospedale, che fu già affidato alle nostre cure;
e ne avevamo il dovere, dappoiché egli fu calunniato, non perchè ne
avesse dato il menomo pretesto, ma perchè aveva la sventura d'esercitare
uh servizio così delicato, che, quando non si fa con coscienza, mette in
giuoco la vita degli infelici. Lanciare sul viso ai componenti
della disciolta Amministrazione T accusa del fatto gravissimo (il regio
Commissario ne intese tutta V importanza) d* aver tollerato a danno degli
infermi che quel servizio procedesse nel modo più irregolare che possa
htimaginarsi, era V ingiuria più atroce che si potesse far loro. Essa non ha un
equivalente che in quella che si facesse ad un soldato d' onore di avere
tradita la consegna per oscitanza nelP adempimento del proprio dovere,
perchè l'uno e gli altri avrebbero consegnato al nemico le vite umane,
alla lealtà, così dell' uno, come degli altri, affidata.
Rappresentando i componenti del disciolto Governo come traditori,
non per proposito, ma per ignavia, il regio Commissario li ha designati al
pubblico disprezzo. A poterlo fare logicamente però, egli doveva
passare a traverso del povero D' Anna; non ostante che questi fosse innocente.
Ma ciò, che importava? 11 regio
Commissario non ha forse la missione di dimostrare che il decreto del 31
agosto ultimo era stato giusto e provvido, e che il Prefetto di
Napoli è un fior di filantropo, che, oltre 1' affetto per 1' umanità
sofferente, non aveva nessun altro motivo
ci spieghiamo nessun altro motivo
per volerne alla disciolta Amministrazione, anzi al solo Soprintendente
? E chi oserà dire che innanzi al bisogno di ottenere cotesto
risultato dovesse arrestarsi, perchè rovinava un padre di famiglia nella
riputazione e negli interessi? Il r. Commissario è milite obbediente e
disciplinato, e a la guerre, comme à la guerre ! Potremmo
cessare; ma non vogliamo, perchè il r. Commissario ha pagato di persona,
assumendo d' aver egli, proprio egli, assodato che i preparati più
costosi non venivano forniti, e che quelli, che erano apprestati, non solo
erano di pessima qualità, ma ancora di quantità inferiore a quella
richiesta. Ora noi dobbiamo costringerlo con la forza inesorabile della
logica a confessare che non ha detto il vero, o, che in un' ipotesi
più mite, quando 'parla o scrive, non ha la coscienza degli atti
suoi. Prima di ogni altro rileviamo che non si è contentato di
affermare il fatto, che poteva esser caduto sotto la sua personale
osservazione, ma dice che quel fatto fu tollerato dalla disciolta
Amministrazione, ossia precedentemente alla sua entrata neir Ospedale e
che ciò l'ha assodato dai reclami di molti pròfessovi. Direttori di sale
chirurgiche e delle Suore di carità, preposte a tale servizio. Noi lo
sfidiamo a produrre un solo di tali reclami, diretto o alla Direzione
dell' Ospedale od alla Soprintendenza od al Governatore del carico; ma deve
produrlo col numero di protocollo, che ne accerti la data di ricezione
dal Segretariato Generale e con la immancabile decretazione, che sta in
tutte le centinaia di migliaia di carte di pugno del Soprintendente o del
Governatore Delegato. Se non lo fa, ha scritto una.... inesattezza.
Egli dice d' aver assodato di persona i fatti, che denunzia. Noi
gli abbiamo dimostrato che sono reati, ora gli aggiungiamo che non potevano
esser consumati senza la complicità delle Suore, del Ragioniere, del
vice-Direttore e dei professori di Chirurgia. li D' Anna deve
fornire a cottimo tutta quella quantità di generi, che occorrono per le
svariate operazioni. La Suora, che è preposta al servizio, gliene deve
far la richiesta. Egli deve dalla Suora ritirare la ricevuta di ciò che
fornisce, non solo per garentir sé medesimo dalle sottrazioni, che possono
cornili ettere i suoi dipendenti, ma per presentarla alla Ragioneria, che
a sua volta deve mettere a riscontro le richieste con le ricevute, per
aver la pruova che fu osservato il contratto e che si possono compilare i
mandati pel pagamento. Or se la Suora ha fatta la richiesta e non ha
avuto il genere, e come mai avrà rilasciata la ricevuta ? e se non 1* ha
rilasciata, in base a qual documento la Ragioneria avrà preparato i
mandati e sottoposti alla firma del Soprintendente ?Avrà mentito la Suora e il
Ragioniere, e perchè ? per far lucrare al D' Anna qualche centinaio di lire,
che avranno poi diviso fra loro? Evi si sono arrischiati, non
ostante gl'immancabili clamori dei Direttori di sala, degli assistenti,
dei coadiutori ? E impossibile. È assurdo. Ma sapete voi come
si fa la distribuzione dei generi di medicatura ? Vi assiste il signor Tigani,
infermiere maggiore, funzionante da Vice-Direttore, o almeno vi si assisteva al
tempo della passata Amministrazione. Senza la sua presenza non si
apre un pacchetto di cotone, né si taglia un metro di garza. Se il
genere richiesto non si trova, o se è di pessima qualità o se è in quantità
minore di quella richiesta, Tigani lo deve sapere, lo deve consentire, ne
deve trarre un corrispettivo. Senza di lui la frode è impossibile. Egli non ha
fatto alcun reclamo mai, né al Direttore, né al Soprintendente, né al
Governatore del carico; dunque, se la frode è avvenuta, il complice necessario
è Tigani. Ma chi è costui? Il r. Commissario lo sa, quanto noi. È
il marito d'una Musolino, stretto affine di S. E. il Ministro dell'
Interno. Quest' indicazione dovrebbe bastare per far riconoscere al r.
Commissario quale assurdo egli abbia sballato, quando ha scritto che i
generi più costosi non si fornivano, o si fornivano in quantità o qualità
diverse dal contratto. Ma se egli, senza pensare, ha insultato con
la sua affermazione un uomo, che per le attinenze familiari ha il dovere
di credere onesto, ha egli pensato almeno all' ingiuria
atrocissima, che ha rivolto ai professori di chirurgia scrivendo quelle
insensate parole? Un professore Direttore di Sala, nella più parte
dei casi insegnante, procede ad una grande operazione chirurgica in presenza
dei suoi alunni. Si tratta di una laparotomia, di una nefrectomia, di una
grande amputazione. Il chirurgo ha fatta una giusta diagnosi; V occhio
della fronte V ha servito bene, come quello della mente; la mano armata
del ferro ha secondato il pensiero. L'angoscia che ha turbato
per tanti giorni l'operatore, più crudele di quella che tormenta il
giuocatore, quando segue collo sguardo smarrito il moto circolare della
rollina, si calma. L'operazione è riuscita; ma!., mancano i preparati più
costosi per assicurarne il risultato !... La vita del malato è in
pericolo !... T ammalato muore... e non pel fatto del chirurgo, ma per
l'ingordigia dell' appaltatore delle medicature. Il chirurgo è costretto
a scrivere nel suo passivo una partita perduta per colpa dell' appaltatore :
deve esporsi alla maldicenza degli emuli, alla critica degli invidiosi,
alla sfiducia degli alunni, perchè?
Perchè il D'Anna gli ha fatto mancare dieci pacchi di cotone fenicato o
quindici metri di garza! E il professore tace, e tacciono gli
assistenti, 'e tacciono le Suore e tacciono gl'inservienti e i preti e i
colleghi e gli alunni e tutti, perchè D'Anna possa dare meno di quel che
dovrebbe per lire dodicimila! Eh ! via, ditelo ! non sentite
che quello che avete affermato, di fronte a quel che noi vi diciamo, è un
assurdo di cosi sfolgorante evidenza, che la sua luce, percotcndo nel torbido
specchio della vostra coscienza, rimbalza e vi sospinge fino al labro
ribelle la confessione d' aver mentito ? Prima di dar la
parola a chi ha esercitato, in qualità di Governatore delegato, al pari di noi,
il potere esecutivo dell'Amministrazione, al nostro egregio e carissimo amico
cav. Lo Savio, per rispondere a quella parte della relazione, che
tratta delle Condizioni finanziarie della Pia Casa, sentiamo il dovere
di trovare una formola, che chiuda logicamente questo scritto.
L' abbiamo cercata, ma non a lungo, perchè era sul nostro tavolo un
opuscolo, dal titolo La maggioranza del
disciolto Consiglio Provinciale di Napoli al Paese Memorandum
22 gennaio 1889 Tipi
Giannini, In quest' opuscolo, sottoscritto fra altri, anche dall'
attuale r. Commissario per la temporanea gestione della S. Casa
degli Incurabili, evvi un capitolo, intitolato : u Le feste
Pompeiane, Un presidente contabile
nel quale per sei pagine fitte in8 j grande, si leggono a carico
d'un uomo, che copri V ufficio di Presidente del Consiglio provinciale di
Napoli, accuse tali, che parea dovessero, se fondate, sbarrargli per
sempre la via del ritorno all' alto seggio. Eppure queir uomo v' è
ritornato e col voto dei r. Commissario, sottoscrittore del ricordato
memorandum ! Anzi, a dimostrazione palpabile della confessata calunnia; queir
uomo concede a questo il permesso di farsi nominare suo Vice-Presidente e
di portarsi insieme con lui nella stessa lista candidato a consigliere comunale
di Napoli ! 11 capitolo, cui alludiamo, è preceduto da una epigrafe
tolta dal libro dei Proverbi, Capo 26 n. 27, nel suo testo latino,
e con la corrispondente traduzione italiana. È la conclusione
più calzante, che si possa dare a tutto quanto innanzi abbiamo
detto. Qui fodit foveam
incidet in eam, et qui volvit lapidem, revertetur ad eum. Chi
scava la fossa vi cadrà, e la pietra cadrà addosso a chi l'ha
smossa! Napoli. PERSONALE AMMINISTRATIVO E SANITARIO
Gravissima, dice il rapporto, é la quistione del personale
amministrativo, sanitario e di assistenza addetto alla pia Casa. Esso,
calcolate le pensioni, assorbisce quasi la metà delle rendite nette del Luogo
pio. E di ciò sono responsabili tutte le amministrazioni, non esclusa
l'amministrazione Vastarini-Cresi, che è, manco a dirlo, la più
colpevole. Dopo ciò ognuno s'aspetta di sentire, non solo in che
consista questa colpa, ma quali sono i criteri del r. Commissario
per procedere ad una razionale riforma del personale amministrativo,
sanitario e di assistenza: di questi due ultimi specialmente che
assorbiscono i quattro quinti di quella metà delle rendite di cui parla
il regio Commissario. Ma niente di tutto ciò. Il Regio funzionante
sa che un esercito di 1*20 professori, 86 inservienti, 50 infermiere o
caminanti, 36 suore di carità, 20 ecclesiastici, rattoppatrici,
lavandaie, bacilari per i teatri anatomici e trasporto de' cadaveri,
uscieri, portieri; oltie un personale speciale per i gabinetti
batteriologico, idroterapico, chimico, elettroterapico, ortopedico ecc.,
insieme ai letti, biancheria, locale ecc. formano proprio V opera
ospedaliera. Dire che la somma sjjesa per tale personale è sottratta al
mantenimento dei malati è lo stesso che dire che la spesa per le
indennità ad un segretario ed un ragioniere di prefettura che aiutano il
r. Commissario a dire tante corbellerie ed i denari sciupati nello stampare
tante calunnie, sanano le piaghe dei poveri infermi!!... E un argomento a
contrariis, come dicono gli scolastici. Ma tanto è vero che
lo scrittore o firmatario del rapporto sapeva che il personale sanitario e di
assistenza non dovesse essere compreso a titolo di biasimo nell'ammontare della
spesa sottratta al mantenimento dei malati, che immediatamente se
ne scorda, e restringe i suoi benevoli, quanto esatti apprezzamenti,
al personale amministrativo. Ed allora perchè parlare, con
evidente malafede, di metà della spesa sottratta alla cura dei poveri
infermi? Perchè non parlare col linguaggio onesto delle cifre, e dire che,
sopra un'entrata annua che rasenta il milione, la spesa del personale
amministrativo è di lire 63,010.00 e non oltre, e che in questa sono
compresi gli stipendi ed i salari per tutto il personale della Direzione
ospedaliera e sue dipendenze, che potrebbe a buon dritto dirsi destinata
al servizio sanitario ? Se il regio Commissario fosse stato
assistito da buona fede e non avesse dovuto rispondere alle esigenze di
una diffamazione organizzata a detrimento di parecchi galantuomini, si
sarebbe reso conto delle innumerevoli difficoltà amministrative
della azienda affidata alla sua temporanea gestione, ed avrebbe
constatato di quale e quanta attitudine, di quale e quanto concorso
efficace di tutti fa d'uopo per porsi in grado di veder chiaro in ogni
singolo atto amministrativo e nel complesso di tutti. Se di ciò si
fosse reso conto il r. Commissario non si vedrebbe ora posto alla gogna delle
nostre categoriche smentite. Ma rientriamo presto nell'argomento
della spesa pel personale amministrativo e sbrighiamocene in poche
parole. Col regolamento generale del pio Luogo del 1879, con le
piante N. 1 e '*, la spesa per gli stipendii amministrativi fu fissata
a L. 40,420.00 a cui aggiunto il compenso di esazione dovuto al
tesoriere, compreso in detta pianta, ma non indicato, per il suo
ammontare di L. 4000,00, si ha un totale di. . L. 41,420.00 le quali, con
le modificazioni al regolamento deliberate nel 1885, discesero a L.
42,160.00 Però con l'attuazióne di detta pianta un personale
di stralcio rimase tagliato fuori, ma che però prestava un servizio
indispensabile, e che nel 1886 gravava sul bilancio per L.
20,850.00 Sicché la spesa totale annua fu di L. 63,010.00 come
fu rinvenuta dal Vastarini-Cresi. L'amministsazione da questo
presieduta, con deliberazione 17 novembre 1889, approvata dalla Giunta
provinciale il 21 gennaio 1890, approvò una nuova pianta per l'ammontare di
lire 63,880 ridotta poi a L. 57,680.00 Mantenne fuori pianta alcuni
impiegati che gravano sul bilancio per L. 5,330.00 sino a
raggiungere le L. 63,010.00 che si pagavano prima. Se
il regio Commissario non ha perduto, fra l'altro, la virtù di comprendere
l'eloquenza delle cifre, dica come L. 63,010.00 sono superiori a L.
63,010.00. E se questa è la sostanza, qual valore possono avere gli
apprezzamenti del r. Commissario? Meno male che non ha trovato modo
di giustificare, con argomenti simili a quelli adoperati finora, la formazione
di una novella pianta per il personale contenzioso come fece la relazione
ministeriale. E per quanto riguarda la voluta pianta per il personale
tecnico e l'aumento dei farmacisti, riproduciamo dal ricorso alla IV
sezione del Consiglio di Stato il brano che a questi due argomenti si
riferisce: Non differenti
apprezzamenti l'altro appunto sulla spesa deliberata per
gl'Ingegneri. Basta far notare che la Giunta provinciale
amministrativa ha approvata tale spesa (Vedi verbale 16 settembre 1891
per notar Merola), renduta necessaria dalla esecuzione del
contratto per l'assunzione a partito forzoso delle rendite e della
manutenzione dei fabbricati ; e che, approvata per lire 7,000, se ne sono
assegnate solo 4680 per tre ingegneri ispettori, che debbono vegliare alla esecuzione
della manutenzione. Qui
però cade in acconcio far notare che non si tratta di una spesa di
carattere organico e permanente, ma puramente transitorio, che vive la
vita di un' esercizio finanziario, e che, mentre, il contratto di
manutenzione ha avuto principio il 4 maggio 1890, la spesa per gli
ingegneri ispettóri non ha gravato neanche il bilancio 1891, essendosi
stanziata per la prima volta sul bilancio del 1892. (( E si
noti ancora che uno degli ingegneri ispettori, il signor Errico
Migliaccio, era già impiegato antico dell'Amministrazione con uno
stipendio uguale a quello che oggi percepisce in lire 1680 e che perciò
in definitivo la novella spesa si riduce a L. 3000.00. Se l'amministrazione disciolta ha in ultimo
chiesto all'autorità tutoria r autorizzazione per aumentare uno e non due
posti nell'organico dei farmacisti, ciò ha fatto per le aumentate
esigenze del servizio. In
fatti, oltre che l'uso delle specialità chimiche e l'introduzione degli
alcaloidi mila farmacopea rendono più penoso il servizio farmaceutico,
l'amministrazione ha impreso a fornire i farmachi a due altri istituti
Pii, al Manicomio provinciale di S. Francesco di Sales, ed ai tre ospedali (Vita,
Cesarea e Loreto), dipendenti dal Reale Albergo dei Poveri. Come possa l'
antico personale rispondere alle nuove esigenze lo dica l'imparzialità
della IV Sezione del Consiglio di Stato (e qui la verecondia del R.
Commissario ! ) Da tutto
ciò chiaramente emerge che non infruttuosi richiami della R. Prefettura vi
furono, non aggravio di novelli stanziamenti nel 1891 per un aumento di
personale, non creazione di nuovi organici, non ingiustificata proposta di
aumento di farmacisti ; ma vigile e solerte cura degli amministratori
nel migliorare le rendite del pio Istituto e nel restringere il passivo
nei limiti del puro necessario ». E tutto ciò potrebbe bastare in
risposta alle calunniose menzogne contenute per questa parte nel rapporto del
R. Commissario. Ma per dare un'altra prova della serietà dei suoi studii
giuridici, a titolo di amenità, riportiamo l'articolo 231 del regolamento del
pio Luogo, dal quale vorrebbesi trarre l' obbligo da parte degli
ingegneri inscritti nell' albo, a norma dell' art. 222, di prestar
l'opera loro gratuitamente per l'ispezione permanente di cui nel contratto di
manutenzione. Art. In generale, per tutti i lavori commessi agli ina
gegneri ed architetti, questi non hanno dritto a riscuotere compensi o rimborsi di spese dal pio Luogo
e salvo ai medesimi lo esigere direttamente dagl'
intraprenditori nel caso di
esecuzione delle opere e senzi responsabilità del Pio Luogo, quei diritti e rimborsi che potessero loro
competere. Non è il caso di far commenti ! ! ! Che dire
poi dello appunto fatto per aver dato un alloggio conveniente al
Direttore dell' importante nosocomio ? Ha compreso perfettamente il
R. Commissario che, votata la nuova pianta, non era più il caso di far
ricorso alla disposizione del regolamento, che assegnava al Direttore una casa
della pigione di L. 400 all'anno, ed allora ha detto che lo
alloggio, di cui parla la nuova pianta, dovesse limitarsi a due o
tre stanze nello interno dell'ospedale. Per verità, se V
autore del rapporto si fosse doluto che un semplice infcrmieie maggiore occupa
una casa alla discesa Maria Longo della pigione di L. 125 al mese sol
perchè parente d' un Ministro (e che Ministro!) lo avremmo compreso, tanto più
che ora il R. Commissario ha concesso allo stesso impiegato un alloggio
suppletivo come fosse un supplemento di stipendio ! Ma rivolgere
censura air amministrazione Vastarini per aver concesso al Direttore un
alloggio rispondente alla importanza del posto che occupa, è la prova
provata che il R. Commissario, compreso dal voluttuoso desiderio di
riuscir gradito al sig. Prefetto, ha voluto parlar del Direttore in un modo
purchessia, conoscendo che la corda sensibile del cuore del chiaro uomo
che siede sulle cose della Provincia di Napoli avrebbe vibrato con
insolita frequenza! C'intendiamo, onorevole R. Commissario?
LAVORI Se per combattere le altre affermazioni del R.
Commissario ci ò bastato riassumere le accuse uà esporre i fatti da cui
risultava la evidente malafede con cui lanciavansi tali accuse; per
quanto riguarda la rubrica lavori non possiamo fare altrettanto. Sono
così condensate e tante le ingiuste affermazioni del R. Commissario, che
bisogna averle presenti nel loro contesto per comprendere, dopo averle
esaminato, qua! malgoverno si è fatto della riputazione dell' amministrazione
Vastarini col famoso rapporto. Prima però di esporre i brani
testuali della relazione del R. Commissario, faremo precedere una breve
ma chiara esposizione dello stato contabile e contrattuale dei lavori,
prima dell' amministrazione Vastarini, cioè fino a tutto dicembre 1889, durante
il 1890, e per il periodo dal 30 dicembre 1890 al 2 settembre 1891, che
riguarda la dimoila amministrazione. Il 28 febbraio 1884 F
amministrazione presieduta dal signor Conte Spinelli, dietro regolare
autorizzazione della Deputazione provinciale, e previo esperimento dei
pubblici incanti, stipulò con gF imprenditori Vincenzo d'Errico, Mauro
Abate e Antonio d'Ambrosio un contratto di appalto generale per tutti i
lavori bisognevoli ai fabbricati del pio Luogo, di muratura, falegnameria
e dipintura, per qualsivoglia ammontare e per la durata di tutto il
dicembre 1889. La tariffa posta a base di tale contratto era quella del genio
civile, il ribasso contrattuale per i lavori in muratura era il 6 OjO, la
liquidazione ed il pagamento si convenne dovesse farsi dietro regolare
misura degli ingegneri direttori dei lavori. In virtù del
suddetto contratto furono affidati ai suddetti imprenditori tutti i lavori di
manutenzione dell' ospedale e del vastissimo patrimonio urbano appartenente al Pio
luogo; i lavori di riparazione e rifazione delle diverse infermerie dell'
ospedale; od in fine tutti i lavori necessari a ricostruire e ritornare
in parte il diruto ex monastero della Consolazione appartenente al
Pio luogo e clie non dava un soldo di rendita. Iniziati tali lavori
nel 1884, furono alacremente proseguiti negli anni successivi.
Nel 1886 però in parecchi importantissimi caseggiati del Pio luogo,
per le condizioni speciali del sottosuolo di Napoli, per Io stato
deplorevole delle fondazioni dei fabbricati di Napoli in generale, per le
infiltrazioni delle acque di Serino, e per il rigurgito di quelle delle
antiche conserve, sopravvennero schiacciamenti e lesioni in gran numero
con imminente pericolo di mina di molti fabbricati, per cui fu necessario
accorrere prontamente ad eseguire le più urgenti riparazioni.
Ognuno comprenderà di leggieri che ci riesce impossibile indicare la
spesa occorsa per tanta e cosi importante quantità di lavori, per non
avere a nostra disposizione la ragionerìa o l'archivio del Pio luogo e perchè
non riguardano gestioni della disciolta amministrazione. Però basterà fai*
sapere che a chiusura di conto 1889, dietro ordini severissimi e
perentori del Vastarini, i sig. ingegneri del Pio luogo fecero pervenire
tutte le misure dei lavori ordinati dalle precedenti amministrazioni ed
eseguiti nel 1887, 1888 e 1889 e, secondo la liquidazione fatta dalla
Ragioneria del Pio luogo di tali misure, il loro ammontare complessivo ascese
alla cifra di lire 211,003:89, di cui figurava pagata la somma di lire
42,841:00, era a pagar la rimanenza di lire 168,162,89 . (I) Nelle suddette misure
liquidate perla suindicata somma di lire 211003.89 figuravano :
L. 70 mila circa per lavori di sottofondazione e ricostruzione eseguiti
nel gran caseggiato a via Cisterna dell' Olio ; L. 50 mila
per lavori eseguiti nel locale dell' ex monastero della Consolazione, pel
quale si erano spese, negli anni precedenti, altre L. 70 mila già pagate,
e ciò allo scopo di ridurre detto locale redditizio. L. 20 mila per
lavori di sottofondazione e ricostruzione nel fabbricato in via Carbonara
n. 109. L. 13 mila per consimili lavori eseguiti nei caseggiati in
via Montagnola ; L. 150 mila in uno per lavori di carattere
straordinario e patrimoniale. Le rimanenti L. 70 mila rappresentavano V importo
dei lavori eseguiti nel 1889 per la manutenzione dei caseggiati e del
fabbricato ospedaliero, non che per la rinnovazione di due infermerie ncll'
ospedale stesso. Poiché però si avea ragione di ritenere che la
liquidazione eseguita dalla ragioneria non fosse stata rigorosamente
esatta e le misure stesse inviate dai sig. ingegneri risentissero
della fretta con cui erano state compilate, il Governo si riserbò
di sottoporre le liquidazioni dei lavori ad una severa revisione
contabile, tecnica e contrattuale. E, come fu dichiarato a pag. 21 della
relazione morale a stampa sul conto 1890,
tale revisione eseguita
per la parte tecnica dall' egregio prof. Udalrico Ma soni, per la parte contabile e contrattuale
dalla Segreteria e dal
Governatore Lo Savio (non dalla ragioneria) si ottenne una RIDUZIONE D2
SPESA SULLA SEMPLICE PARTITA DELLE OPERE MURARIE di ben l. 33,670:53 ». Se si tien
conto che di tutti i lavori liquidati a chiusura di conto 1889, solo una
minima parte, per pochissime migliaia di lire e per bisogni impellenti,
fu ordinata dal Vastarini : che
tutti iudistintamente tali lavori furono eseguiti in base al regolare contratto
del 26 febbraio 1884 e per bisogni riconosciuti dai precedenti
amministratori: che sulla primitiva
liquidazione già approvata dall'autorità tutoria, si fece la rilevante
economia di L. 33,670.53 come risulta dal rendiconto 1890: che la disciolta
amministrazione infine non fece essa la spesa, ma fu ben essa invece a far Y
economia suindicata, se si tien conto di tutto ciò, Ora trattandosi
di lavori eseguiti nel 1889 ed anni precedenti, la responsabilità non può
spettare ai Vastarini, nò per quanto si riferisce alla ordinazione loro,
nò per quanto tiene alla esecuzione. E se tale responsabilità non
spetta al Vastarini, molto meno spetta alla dìsciolta amministrazione che fu
nominata con decreto 30 dicembre 1890. Se però si fa accenno a tale
divisione di responsabilità, è perchè il R. Commissario sappia a chi sono
dirette le sue ingiuste e calunniose osservazioni. Che per quanto tiene
al merito degli apprezzamenti suoi sugli atti compiuti dall'
amministrazione Spinelli, sappia il R. Commissario che per tutta la gran
quantità di lavori eseguiti dal 1884 in poi, essa non ebbe bisogno di altre
risorse straordinarie fuorché delle lire 60(X) di rendita alienate nel 1888, le
quali furono compensate dal maggior utile rctratto dai locali della
Consolazione, che ora rendono L. 14 mila all'anno. diciamo, qual
uomo di buona fede presterà ascolto ai calunniosi apprezzamenti del R.
Commissario ? Questo per quanto si riferisce ai lavori eseguiti
fino a tutto il 1889. Per quanto poi riguarda i lavori
eseguiti nel 1890 bisogna aver presente che, scaduto il contratto con gì'
imprenditori d'Errico, d'Ambrosio ed Abate col 31 dicembre 1889 e
procedutosi a cottimo chiuso col Forino per la riscossione delle rendite
e manutenzione dei fabbricaliy il quale contratto dovea avere il principio
della sua esecuzione col 4 maggio 1890, era giuocoforza provvedere alla
manutenzione dell'importante patrimonio immobiliare per 4 mesi, cioè dal 31
dicembre 1889 al 4 maggio 1890. Se negli anni precedenti la
manutenzione aveva assorbito la somma di lire COmila all'anno, tutto
lasciava supporre che tale manutenzione per un quadrimestre (e nei 4 mesi
invernali specialmente) avrebbe assorbito la somma di oltre L. 20mila.
Dall' altro canto il Forino, che in tale quadrimestre dovea procedere ai
novelli affitti per suo conto, avea il massimo interesse a che gli
accomodi locativi fossero fatti in conformità dei patti da stipulare con
i nuovi inquilini, verso dei quali egli era 1' unico responsabile. Perciò
l'amministrazione con deliberazione 12 gennaio 1890 concesse a forfait al
Forino la manutenzione anticipata di tutti gli stabili compresi nel
capitolato di appalto per il compenso unico di L. lOmila. Se
il R. Commissario si fosse fatto guidare da quel sentimento di onesta
equanimità che invano si cerca nelle 45 pagine del suo rapporto, avrebbe
dovuto rilevare che i soli preventivi già presentati dagli ingegneri per
lavori di manutenzione, fino al 12 gennaio, epoca in cui fu adottata la
deliberazione, superavano le L* i Ornila accordate al Forino come compenso
a cottimo per lutto il quadrimestre. Né valga il dire che
bisognava sottoporre all'approvazione dell'autorità tutoria tale,
deliberazione, poiché la spesa trovavasi stanziata in bilancio e veniva erogata
in limiti molto inferiori allo stanziamento corrispondente; e poi, approvato
dall’autorità tutoria il contratto Forino, non era neeessario sotto*
porre a novella approvazione un atto che, altro non faceva che
anticiparne la esecuzione, anticipandone i vantaggi. Esposte queste
indispensabili notizie sullo stato contabile e contrattuale dei lavori,
veniamo alle accuse ganeriche del R. Commissario. Udite
: Dopo gli stipendii, la
spesa che fino ad ora ha assorbito le k migliori risorse della Pia opera,
ò stata quella dei lavori d'ogni
genere che si sono eseguiti, laddove, essendo la manutenzione dei fabbricati appaltata al riscuotitore di
essi, non si sarebbe a dovuto che erogare le somme occorrenti nei lavori
di carattere straordinario che si
fossero potuti verificare ed in quelli di manutenzioae del fabbricato ospedaliero e
delle poche case, la a cui esigenza è mantenuta direttamente
dall'Amministrazione b. Se quest'accusa generica fosse stata
corroborata con esempii, per verità la serietà del R. Commissario se ne
sarebbe avvantaggiata un tantino, non fosse altro nella forma, pur
rimanendo vacua nella sostanza. Ma veniamo a discuterla. Se
si tratta di lavori eseguiti fino a tutto il 18R9, questi non ci
riguardano, come abbiamo dimostrato: e d' altronde, non essendo la manutenzione
appaltata, ma eseguita in economia, in base a regolare contratto per la
valutazione dei lavori, e comprendendo gran parte delle somme spese fino a tal
epoca; lavori necessarii alla conservazione del patrimonio, l'accusa si
appalesa ingiusta e calunniosa per tale periodo precedente. Se poi
si tratta di lavori eseguiti nel 1890, bisogna aver presente: 1.
Che il contratto della manutenzione a cottimo ha avuto inizio il 4 maggio
1890 e che perciò la manutenzione per un quadrimestre era a carico dell'
amministrazione la quale erogò la somma suddetta di L. 10,000.00
2. Che essendo esclusa dal contratto Forino la manutenzione dell'
Opera ospedaliera e sue dipendenze, tale manutenzione preventivata per
lire 18mila si è verificata, per le opere straordinarie occorse nell' ospedale,
per ....;) 28,376.41) Cke è occorso pagare col bilancio 1890: a)
Parte dei lavori eseguiti nel 1889 per ri-', fare la seconda sala donne .
. L. 3954,60] b) Parte dei lavori eseguiti anche f nel
1889 per ricostruire la sala oftal- ; 11,240.80 (2) mici s.
4000,001 e) Parte dei lavori eseguiti per la ]
lavanderia a vapore ;, 3292,20' 4. Che non essendo comprese
nel contratto Forino le case soggette ad espropriazione per un
valore di L. 700 mila, e non essendo state espropriate per tutto il 1889, come
si era convenuto, è stato giocoforza manutenerle per poterle
af iìttare, erogando una somma di circa . . » 6,000,00 Tutte
le suddette somme hanno gravato sul bilancio 1890 per lo ammontare complessivo
di » 55,623.36 E sapete voi, onorevole regio Commissario, per
quanto figura nel consuntivo 1890 la cifra riguardante la partita lavori, ossia
per gli art. 14 e 44 del bilancio ? figura per » 68,702,11 Da
cui sottratta la somma di L. 55,623.36, che ha gravato sul 1890 per le
cause su esposte, si ha che la spesa sostenuta in detto esercizio
per i lavori straordinari è di sole .... » 13,079.76 Vedi conto del
Tesoriere 1890 e relazione a stampa del Segretario Generale del Pio luogo su
detto conto pag. 10. donde risulta che sull'art. 44 (Fabbricato
ospedaliero) fu fatto uno storno in aumento per L. 10,37f>,46.
(2) I lavori (a) furono eseguiti dai fratelli Russo con regolare
contratto su preventivo degli ingegneri Giambarba e Curcio ed ammontarono
a L. 12 mila circa I lavori
furono eseguiti dal D* Errico in base al contratto 28 febbraio 1884 I lavori (e) dallo stesso D' Errico col
citato contratto 28 febbraio 1884 e per speciale autorizzazione dell'
autorità tutoria (Ingegnere Fulvio). E tenuto conto dello stato gravissimo
di molti fabbricati, dei lavori che si sono eseguiti a piazza Cavour, a
Porta Carrese a Montecalvario, a Cisterna dell' Olio ecc., domandiamo
alla lealtà del R. Commissario se gli pare, non diciamo grossa, tale cifra
ma almeno sufficiente a provvedere ai più urgenti bisogni. Ed
allora perchè buttare delle frasi generiche e vuote e che non sono altro
se non la espressione della più sballata posa da grand' uomo ?
Ma qui non s' arresta il R. Commissario. Egli seguita a dire: I lavori
si eseguivano senza autorizzazione, senza contratto, senza preventivo,
illegalmente, per colpa sempre dell'Amministrazione, che anzi, con suo
rincrescimento, .ce ne dispiace davvero per lui) in ciò ha riscontrato le
maggiori colpe e le più gravi ; fino al punto da essere indotto
."senza rincrescimento, crediamo) a promuovere giudizio di responsabilità
verso i passati amministratori. Era naturale. Premessa la
incoscienza completa ed assoluta delle condizioni contabili e
contrattuali dei lavori e la deplorevole costante oscitanza delle disposizioni
di quelle leggi che invoca sempre a sproposito, un simile linguaggio, se
non si scusa si spiega ! È il linguaggio di tutti coloro che, a corto di
argomenti e di fatti, vogliono produrre una certa impressione. E
diciamo a corto di argomenti e di fatti; perchè quelli citati dal R.
Commissario stanno contro la sua tesi. Esaminiamoli.
Sarebbero illegali i lavori eseguiti per riduzione della casa del
Direttore dell' Ospedale, perchè ordinati dal Soprintendente Vastarini,
in data 10 dicembre 1 889, senza autorizzazione del Consiglio. Per
lo statuto organico del pio Luogo il Sopraintendente è il potere
esecutivo dell' amministrazione. Il Consiglio vota il bilancio preventivo, il
Sopraintendente spende le somme tutte comprese nei singoli capitoli del
bilancio. Tale disposizione, chiara, categorica, precisa, giammai
sconosciuta o posta semplicemente in dubbio dall' autorità tutoria, dava il
diritto al Soprintendente di autorizzare la spesa per quello, come per
altri lavori. E tale spesa fa primieramente autorizzata per Lire 3000 e si
elevò a Lire 8278,62 per essersi riconosciuta posteriormente la necessità di
rifare i lastrici solari grandemente avariati. E tali lavori furono
eseguiti dallo imprenditore d' Errico in virtù del contratto 28 febbraio 1884,
con uno speciale ribasso del 10 0[0 ottenuto dal Soprintendente,
Sarebbero illegali, secondo il rapporto del R. Commissario, i
lavori eseguiti a Piazza Cavour, :c per i quali dall'Ingegnere Curcio il 22 dicembre 1890 furono presentati
quattro conti ammontanti ciascuno
a Lire 499,97, 499,94, 499,96, 423,55». Per i gravissimi ed improvvisi
danni manifestatisi nei fabbricati a Piazza Cavour nel settembre 1890, fu dato
ordine immediato agli ingegneri Curcio e Fulvio di far procedere alla
puntellatura della estesa zona di case pericolanti ed ai lavori pili
urgenti per assicurarne la stabilità. Nel tempo stesso ai suddetti signori
ingegneri fu dato incarico di preparare un estimativo generale e complessivo
per la sistemazione definitiva di tutta la zona dei fabbricati
minaccianti ruina. Non ostante ripetuti richiami
dall'Amministrazione, i suddetti ingegneri tardarono a preparare V
estimativo, per non essere facile rendersi un conto preciso dello stato delle
fondazioni e per non potersi procedere ad una prova di esse, pendente
una perizia giudiziaria, che si espletava per assodare la causa
delle lesioni. Sui primi di dicembre, impartiti gli ordini a
tutti gì' ingegneri di liquidare senza ritardo, sia con misure finali, sia
con misure parziali, tutti i lavori eseguiti nel 1890, agli effetti
della chiusura di conto; V ingegnere Curcio inviò, per quelli
eseguiti a Piazza Cavour, le quattro liquidazioni indicate dal R. Commissario. Però,
mentre furono inviate alla ragioneria per essere tenute presenti agli effetti
del conto lavori 1890, allo steso ingegnere Curcio fu impartito l'ordine di
presentare il preventivo generale complessivo e comprendervi anche lo ammontare
dei lavori eseguiti e liquidali, acciò la Giunta provinciale, esaminando
la pratica, potesse avere sott' occhio la vera e precisa esposizione
delle cose. E così avvenne. Inviato dagli ingegneri Curcio e Fulvio
il preventivo generale in cui i lavori già eseguiti e liquidati erano
compresi non solo, ma portavano una speciale indicazione, fu dal Governo,
con deliberazione 12 Febbraio 1891, approvato tale preventivo per lire
7260,94, e tale spesa fu sanzionata dall'autorità tutoria alla quale furono
esposti i fatti nel modo surriferito. Non pare al R. Commissario
che prima di lanciare una calunnia, avrebbe avuto il dovere di esaminare
l'incartamento di piazza Cavour, piuttosto che prendere a casaccio delle
misure in mano e dirne di così marchiane ? Porti i nostri ringraziamenti a chi
lo ha servito così bene: egli lo conosce !!! Non occorre parlare
dei lavori di manutenzione concessi a fortait al Forino per il
quadrimestre gennaio-maggio 1890 e per L. 10 mila, avendone discorso estesamente
innanzi. Non siamo in grado di dare una risposta air accusa
che riguarda i lavori del 1891 coi numeri del registro di ragioneria 7,
17, 34, 35, 36, 37, 48, 51, 68, 69, 74, 75, 77, 78, 80, 81, 82, e 83
(tombola !) ammontanti a L. 6000 complessivamente, perchè non abbiamo
presente il registro di ragioneria e non ci ha fatto l'onore il R.
Commissario di indicare la natura dei lavori eseguiti, altrimenti avrebbe
avuto per questa parte la degna risposta. Però è facile
argomentare che, trattandosi di 18 lavori differenti per T ammontare di L.
6000, deve ognuno avere un importo inferiore a L. 500, e deve riguardare ognuno
una singola partita di lavoro. Prosegue il R. Commissario che sono
illegali i lavori in corso di restauro della casa in via Oronzio
Costa n. 12 afB dati senza contralto
all' appaltatore medesimo e che egli ha fatto perciò immediatamento sospendere ».
I lavori in via Oronzio Costa n. 12 sono lavori in condominio e
riguardano sottofondazioni e ricostruzioni di muro comune, e furono
concessi, di accordo fra tutti i condomini, all' imprenditore Francesco
Palmieri con conlraUo privalo del 27 ottobre 1890 {Beg. n. 9580 ufficio
atti priv. il 6 novembre 90, voi. 63 fol. 117 ecc.), tra la S. Casa,
Zampella, Pizzoli e Tagliatetela. La tariffa che è a base del
contratto è quella Folinea del 1886, tipi Giannini. Ah! occhi
di lince d'un R. Commissario ! Non è altrimenti vero e non risulta dall'
incartamento, a cui fa appello il R. Commissario, che i primi lavori
della lavanderia si siano dovuti distruggere per non essersi posto mente
a proporzionarli alla dimensione delle macchine; ma invece si son dovuti
modificare i primitivi lavori per modifiche apportale dallo stesso
fornitore delle macchine Ing*De Bollari nella dimensione ed ubicazione di queste.
Ciò risulta da un rapporto dell' Ing. Fulvio di cui non ricordiamo la
data e che è negli atti. Né possiamo tampoco preoccuparci
dell'altro appunto pel quale si vorrebbe far credere che sono stati posti
a carico della S. Casa dei lavori per l'ammontare di lire 2360,69 che
avrebbero dovuto cedere a carico di Forino. La stessa forma
generica dell'accusa, la dimostrata ignoranza da parte del R. Commissario
dei patti e condizioni del capitolato di appalto, ci autorizzano a ritenere
che', tali lavori sono stati posti a carico della S. Casa, perchè sono
dipendenti da altri lavori di costruzione di volte, muri maestri o
fondazioni. E ciò conformemente a quanto è disposto nel capitolato,
il quale pone a carico del pio Luogo la spesa per lavori straordinarii di
costruzione ecc. e per lavori da questi dipendenti. La
dimostrazione poi dell' asserita mancanza di preventivo, nella esecuzione
dei lavori il R. Commissario dice, che
è ri sultata dall' aver fatto
verificare da un ingegnere di sua fi
ducia(sic) alcuni lavori nell'ospedale a pagamento delle
donne, per i quali, negli ultimi
giorni dell'Amministrazione Vastarini,
era stato presentato dall'ingegnere Migliaccio un preventivo e dall'essersi trovato che i lavori stessi
erano invece da tempo stati
eseguiti ». Perii che, opportunamente interrogalo il Migliaccio, ha per
iscritto dichiarato che i lavori erano slati [verbalmente ordinati
dall'Amministrazione dicendoglisi di compilarlo poi il preventivo per corredo
della pratica ecc. Anche a quest'altra speciosa ed amena invenzione
una breve e precisa smentita. Sorto il bisogno di riformare
il reparto dei pagamenti donne, fu dall' Amministrazione dato incarico
air ingegnere Migliaccio di compilare il preventivo per tali lavori. Il
preventivo fu regolarmente compilato ; furono banditi i pubblici incanti per
lo appalto dei lavori stessi e ne rimase aggiudicatario l'imprenditore
Vincenzo d'Errico col ribasso del 33 0[0. Essendosi però preveduto
il caso del probabile aumento dei lavori oltre il limite del preventivo,
nella bozza del capitolato di appalto preparato dalla Segreteria, il
Governatore Lo Savio (quello in balia di cui restava l'amministrazione,
secondo la relazione ministeriale) aggiunse di suo pugno la clausola, che
in caso di aumento dei lavori per qualsiasi ammontare, anche oltre il
quinta voluto dalla legge (quella sui lavori pubblici, onorevole R.
Commissario ! ) / lavori si sarebbero intesi fatti alle medesime condizioni
delr aggiudicazione. L' aggiudicazione avvenne, come abbiam detto col 33
OjO di ribasso. Lungo il corso dei lavori il Governatore Cosenza,
che sorvegliava personalmente l'andamento di essi, riconobbe la necessità di
aumentarsi il numero delle camere a pagamento, e quindi di accordo col
Soprintendente e col Governatore Lo Savio, diede ordine di trasformarsi a
camere a pagamento per le donne un gran salone che aveva prima avuto
altra destinazione. Da ciò 1' aumento di lavori e la necessità di un
preventivo suppletivo per integrare la pratica. Ma era
naturale che essendosi preveduto nel capitolato di appalto il probabile aumento
dei lavori, ed essendo stati validamente garentiti gli interessi della S. Casa
con la clausola su. espressa, si poteva anche far di meno dell'altro preventivo;
potendo bastare che nella misura finale fosse compresa la maggìor quantità di
lavori eseguiti alle tnedesime condizioni della primitiva aggiudicazione.
Questo è quanto risulta dai documenti, onorevole R. Commissario, ed
affermando il contrario, (ciò che non può essere) l'ingegnere Migliaccio ha
mentito. E forte dubitiamo che l'ingegnere Migliaccio abbia
affermato ciò che asserisce il R. Commissario ; perchè, almeno
questa volta, trattandosi di una dichiarazione scritta, avrebbe dovuto
pubblicarne il testo preciso. Non diciamo parola sul fatto per il
quale il R. Commissario dice di aver prodotto formale denunzia air
autorità giudiziaria, poiché non saremo noi che preoccuperemo il libero
corso della giustizia. Però non vogliamo tacere che non può un'amministrazione
essere tenuta responsabile dell'accordo fraudolento tra un ingegnere ed
un imprenditore, se tale accordo vi fu. Dopo avere esposto con la
maggiore brevità possibile, ma crediamo, con ugual chiarezza,
l'organizzazione di questo ramo di servizio, e dopo aver distrutto i
fatti che dal R. Commissario sono posti a base dei suoi ingiusti apprezzamenti,
vegga ognuno se le ultime parole contenute nel suo rapporto che accennano
a enorme disordine, ad abusi, a sistematico disprezzo delle leggi,
possono meritare una seria considerazione o non ci autorizzano piuttosto
ad esclamare: :: Le sue parole ci fan 1' effetto che ci farebbe
fuso di feminetta o di fanciullo stocco! FORNITURE Coloro che hanno
seguito la storia dello scioglimento dell' Amministrazione degli Incurabili,
ricorderanno che, fra le accuse della relazione ministeriale, ve n'era una la
quale affermava che, quando nell'aggiudicazione delle forniture seguivasi
il sistema delle pubbliche aste, non si osservavano le regole della legge
di contabilità. Il fatto posto a base di tale accusa era il
seguente: Procedutosi agli incanti pubblici per l'aggiudicazione della
fornitura di carte e stampe, sorse divergenza sulla interpetrazione di una
cifra contenuta in una scheda di offerta di ribasso. Il Soprintendente,
che presiedeva alle aste, invitò tutti i concorrenti a leggere la scheda allo
scopo di evitare contestazioni, e tutti meno uno, tal Guadagno, ritennero
che la scheda contenesse il ribasso del 46 OjO sul prezzo d'asta.
Siccome era quella la scheda che portava il maggior ribasso, a
quell'offerente fu aggiudicato lo appalto delle carte e stampe. Il
Guadagno reclamò, contro tale provvedimento, ma il reclamo fu respinto
dall'amministrazione. Ripetuto il reclamo al Prefetto, questi non vi
provvide nei trenta giorni voluti dalla legge. Ma dopo parecchi mesi,
quando l'aggiudicatario avea già fatto gran parte della fornitura, il
signor Prefetto, che già covava nell'animo il malcelato disegno di colpire i
malvisi amministratori, mise fuori il reclamo Guadagno e minacciando
l'annullamento dell" asta seguita e dell 1 aggiudicazione
verificata, pretese che V amministrazione trovasse modo di far tacere il
Guadagno !! Tale indecoroso aggiustamento fu respinto dal Consiglio
di Governo, che con sua novella deliberazione confermò le
precedenti. Il Prefetto inviò la pratica al Ministero dell'interno
perchè fòsse annullata l' asta per violazione di legge : e prima che
il Consiglio di Stato (Sezione interni) si fosse pronunziato sul chiesto
annullamento, la relazione ministeriale lanciò 1' accusa di inosservanza
delle norme della legge e del regolamento di contabilità. Ma nello
scorso settembre, la domanda del signor Prefetto per l'annullamento della
suddetta asta, sottoposta all'esame del Consiglio di Stato, fu da questo
respinta, per non essersi riscontrata nella deliberazione della disciolta
amministrazione alcuna violazione di legge e per avere il Soprintendente, che
presiedeva alle aste, bene giudicato in fatto. Altra accusa contenuta
nella relazione ministeriale era che, parecchie forniture, anche superanti
le lire 500 9 si aggiudicassero a trattativa privata e senza alcuna
autorizzazione. Il R. Commissario ha taciuto della decisione del
Consiglio di Stato sopra riferita, e non ha potuto fare a meno di
constatare che tutte le forniture sono regolari nella forma (questa
volta il R. Commissario smentisce il Prefetto ed il Ministro Cielo!) Però siccome più che
l'interesse della verità e della giustizia, lo muove il malvolere ed il
bisogno prepotente di calunniare, sostiene che, gli appalti hanno nel più
gran numero il difetto di essere stati conclusi, a trattativa privata, in
seguito a diserzione d' incanti, e con diminuzione del prezzo di base d' asta;
il che farebbe suppone che si fissassero i prezzi alti negli incanti
appositamente per [irli andare deserti (?!!) e conchiudere poi i contratti
con prezzi molto vantaggiosi con persone che si credeva di
favorire. Il fatto sta precisamente come asserisce il R. Commissario!
Alcuni incanti andarono deserti, ma non peri prezzi alU, bensì per i
prezzi bassi messi a base delle aste. Ma ad onta dei prezzi bassi, e
delle diserzioni dagli incanti, per quasi tutti i contratti stipulati a
trattativa privata, e con debita autorizzazione, anche per somme
inferiori a lire 500, o fu dai contraenti ottenuto un lieve ribasso sul già
basso prezzo d'asta, o fu accettato puramente e semplicemente il prezzo
d'asta ad onta che per la sua bassezza avesse allontanato i concorrenti.
£ per tal modo la Santa Casa potè ottenere delle economie di
carattere contrattuale per parecchie migliaia di lire. E sappia #
l'onorevole Commissario che i prezzi furono fissati dietro indicazioni
ufficiali ricevute dal Presidente della Camera di Commercio !...
Non rileviamo neanche la sconcia irriverenza contenuta nelle ultime
parole surriferite del rapporto, che vorrebbe far credere al premeditato
favoritismo seguito nelle aste, poiché grazie al Cielo, i disciolti
governatori' non sono né il Deputato di S. Angelo dei Lombardi, ne il Vice
Presidente del Consiglio provinciale di Napoli. Che dire poi dell'altro
addebito mosso dal Regio Commissario sull'appalto degli apparecchi medici
e chirurgi ? Egli ha affermato che per tale fornitura il ribasso
offerto deir80 e 90 per cento si credè senza giustificato motivo ridurlo
al 63 e 53 °[ . Basta esporre come andarono le cose (e
risulta dallo incartamento) per convincersi che anche in ciò il R. Commissario
è in aperta mala fede. L'asta per la fornitura degli oggetti
medici e chirurgi fu aperta sulla base di un ribasso del 30 0[0 sui
prezzi della tariffa precedentemente adottata dalla S. Casa.
Apertisi gli incanti ed accesasi calorosa gara fra i concorrenti, il
Giannattasio, esasperato per vedersi contrastare un servizio che egli facea da
moltissimi anni, offrì d'un colpo il ribasso del 90,05 0|0 sui prezzi
della sua stessa tariffa, e rimase aggiudicatario dell'appalto.
Riunitosi il Consiglio di Governo considerò che era immorale ed
iniquo profittare di un momento di aberrazione di un fornitore e costringerlo
ad eseguire lo appalto a disastrose condizioni, e che d'altra parie potea
indurlo a non fornire un materiale atto al buon servizio ospedaliero ; chiese
perciò, con apposita deliberazione, alla Giunta provinciale
autorizzazione di ridurre tale ribasso al 63 e 53 per cento, che pur era
sempre superiore a quello offerto da altri concorrenti, E la
Giunta Provinciale, a relazione del senatore De Siervo, accordò la
chiesta autorizzazione, trovando giusto e morale il provvedimento del
Governo. In verità il R. Commissario comprenderà di leggieri che
tra l'accusa che muove da lui e l'encomio di Siervo (una probità
indiscussa) la scelta, per ogni uomo che si rispetta, non può esser dubbia e
non se l'abbia a malo ! Tanto più che il R. Commissario fa come
padre Zappata che predica bene e razzola male. Ed infatto ha
violato la legge ed il contratto facendo stampare il rapporto dal suo tipografo
particolare e non dal fornitore dell'Amministrazione, erogando una spesa
superiore a lire 500 (lire 700) senza lo esperimento dei pubblici incanti
e senza dispensa dell'autorità tutoria. PROVVEDIMENTI PER FAR
DENARO Prelevazioni sulle cauzioni
Siamo alla fine del rapporto e ci vediamo costretti a deplorare
ancora una volta la completa incoscienza deiraccuratore.
Tali sistemi di amministrazione
dovevano naturalmente t creare un continuo dissesto nelle condizioni
della pia Casa, (prosegue il
rapporto), la quale bene spesso veniva perciò a trovarsi in urgente bisogno di denaro. Se il
R. Commissario si fosse reso conto delle date delle scadenze mensili degli
incassi e delle spese della S. a Casa, avrebbe appreso che non ai
deplorati sistemi di Amministrazione del disciolto Governo deve
attribuirsi Yurgente bisogno di danaro in cui normalmente si trova l'opera pia,
ma alla speciale natura del maturo delle spese e delle rendite.
Legga ed apprenda! Gli potrà servire per misurare tutta
l'importanza degli impegni che assume e delle spese che autorizza a casaccio
durante la sua gestione. Supposto un preventivo in pareggio, e sia quello
del 1890 ; nel mese di gennaio si incassano per interesse de' capitali,
estagli, affìtti fabbricati, quote di arrendamene, infermi a pagamento,
tesoreria ecc. ( con poche varianti in più od in meno per ogni anno) L.
46,532.17 Si pagano invece nello stesso mese di gennaio
:•; 62,583.60 Risulta una deficienza di .... »
16,051,43 Tale deficienza nel mese di febbraio, per la differenza in più
della spesa sull'incasso, è di . . L. 36,187.35 per la qual cosa
l'ammontare complessivo della de ficienza a fine febbraio aumenta a s
52,238.78 Riporto L. 52,238.78 In marzo il supero della epesa
sull'incasso è di » 17,589.97 Nell'aprile si verifica per »
18,394.64 In maggio continua ancora per » 14,647.31 Per
modo che a fine maggio la deficienza raggiunge l'ammontare complessivo di ....
» 102,870.70 Nel giugno invece, pel fatto dell'incasso del semestre
a fine mese, l'introito supera la spesa per » 41,102.25 perciò la
dficienza verificatasi nei mesi precedenti discende a »
58,768.45 A luglio riprende però il suo cammino ascendente; aumenta
di » 17,655.99 ed ammonta perciò a fine luglio a » 76,404.44
Nell'agosto per un avanzo di
202.84 vidiscende a » 76,201.60 Ma risale nel
settembre per » 10,772.50 Sale ancora nell'ottobre per >~^®^®^
^^®~^^ -^-^i--' -^-^-~& Rapporto d’Antonelli Direttore
Amministrativo dell' Ospedale degl' Incurabili All' III.
sig. Soprintendente dello Stabilimento stesso Napoli, li 16 Luglio
t891. In seguito dei più accurati studii, fatti col concorso dell'
ili. mo signor Governatore cav. Cosenza, circa le attuali condizioni del nostro
Ospedale, relative alla igiene dei locali, alla loro manutenzione, alla Casa di
Salute, a quella di Maternità, alle stanze d'isolamento, a quelle di
operazioni, alla cucina, al casermaggio, alle consultazioni gratuite,
alla sala idroterapica, ed alle stanze per la ricezione, alla disciplina
del basso personale ed alla Direzione dell' Ospedale; e quali dovrebbero essere
per ottenere che questo grande Istituto di beneficenza risponda alle
esigenze del progresso della scienza, e che di nulla manchi per venire in
sollievo della umanità languente", pregiomi sottometterle tutto un
piano di riforme, che, se troveranno benigna eco nell'animo dei signori
componenti l'ilLmo Consiglio, salvo quelle savie modifiche che crederà
apportarvi, certamente potrà dirsi: Maria Longo fonda gl’Incurabili, e
l'attuale Amministrazione li riformò. Pria di entrare nell'
argomento, ho il dovere di dirle che base degli studii è stata la riforma
totale, progressiva, accelerata dell'Opera, senza aggravare l'attuale
bilancio, onde il pareggio conseguito possa rimanere stazionario.
Igiene dbi locali Le attuali infermerie certamente non si
possono abbattere per poi ricostruirle, ma essendo antigieniche possono
essere bonificate, sia con l'apertura di vani nelle pareti interne per
renderle maggiormente arieggiate, sia con lo sterro di una superfìcie
quadrata di terrapieno, che attualmente trovasi a ridosso di alcune di esse
nella Sezione " uomini „. Dividere l'Ospedale chirurgia da
quello medico, giacche la promiscuità procura agl'infermi in chirurgia delle
infezioni che lo isolamento ovvia del tutto. Rifare l' Ospedale a
donne „ sul tipo delle poche sale, rifatte in quello a uomini „, togliendo le
sale, che sono fomite e ricetto d'infezioni. Costruire i cessi in
modo, che, pur rimanendo in vicinanza immediata delle sale per comodo
degl'infermi, non mandino alle sale stesse tutti quei miasmi, di cui oggi
sono infetti e non propaghino tutti quei microrganismi che nelle fecci di
essi son contenuti, badando che il sistema del cesso offra solidità e
abbia tutte le garenzie per essere inodoro. Manutenzione
L' attuale manutenzione è del tutto derisoria, poiché il danaro vien
profuso per accomodare, a misura del bisogno urgente, un fabbricato
vecchio,sorto a spezzoni, senza apportare alcuna modifica radicale al
fabbricato stesso, ma producendo invece del danno nel modo come vengono
eseguiti i rappezzi, giacche le fabbriche nuove pel proprio rassetto e per lo
scuotimento che producesi alle vecchie, ne fa conseguire la necessità di rifare
quello che poco prima si rifece, e, per la verità, informino i corsi sottostanti
1' Ospedale. Verificare l'attuale incanalamento delle acque di
rifiuto, le quali ora si infiltrano in tutte le fabbriche, e si assiste al
miserando spettacolo, che mura, spesse parecchi palmi, piovano a
permanenza. Anche le grondaie anno oggi la missione di depreziare il
fabbricato per la loro cattiva costruzione e manutenzione.
Sicché risulta necessaria la radicale ricostruz 1 me di quanto vi è di
fradicio, onde per parecchi anni si possa essere esenti da manutenzioni,
ovvero fare la parte minima, cioè imbianchimento, rappezzi d'intonaco,
tegole ed altro, con mezzi economici e con qualche operaio del Pio luogo,
evitando così la permanenza nelT Ospedale di imprenditori di manutenzione
e di squadre di muratori,che sono la causa precipua dei guasti che si
verificano e che essi stessi producono per poi poter lavorare su più
vasta scala. L'attuale ordinamento della Casa di salute, se la rende non
passiva, non può calcolarsi come un cespite rilevante, se tengonsi presenti
le spese che per essa si erogano in quanto a vitto e casermaggio speciale
ed alle rette che si esigono. Pur apprezzando l'operato dell' ill.mo
Governo per aver disposto il miglioramento delle località e del mobile,
certamente non si raggiungerà lo scopo di avere una Casa di Salute,
accessibile al gentiluomo, come all'individuo del medio ceto, mantenendo
ciascuno nel proprio ambiente e con quegli agi relativi alla retta che ciascuno
paga secondo la classe. La promiscuità delle diverse classi nello
stesso appartamento condannerà il gentiluomo a non uscire di camera
per non trovarsi a contatto con persone che non sono del suo grado,
e farà nascere invidia e sospetto nell'animo di chi paga in meno,
in vista del migliore trattamento che vedrà usato, sia per vitto
che per servitù, a chi ne ha dritto per contributo di retta maggiore.
In fatti oggi vedesi qualche gentiluomo capitare nella nostra Casa di
Salute, il quale resta confinato nella sua stanza fino alla guarigione, privo
anche del benefizio di poter scambiare una parola, poiché la maggioranza
degl'infermi è gente del basso ceto. Si figuri la S. V.
illustrissima, quando la retta sarà aumentata e qualcuno crederà, venendo, di
trovarsi in un ambiente di gente del suo rango, e troverà poi della gente
del volgo, quale discredito gitterà costui sulla Casa di Salute, ed allora sarà
accessibile soltanto alle infime classi sociali con le rette mìnime,
rimanendo vuote, con tutte le migliorìe apportate, quelle stanze, la cui
retta dovrebbe formare il cespite maggiore della Casa di Salute. Risulta
manifesta la necessità di ampliare la Casa di Salute di un secondo piamo,
onde ottenere la divisione completa delle diverse classi, facendo vivere
ogni elemento nel proprio ambiente, e per conseguire lo scopo basterà
costruire due sole tese di scala in seguito delle esistenti e servirsi
del suppenno soprastante la Casa di Salute, ove le mura già sono abbastanza
sviluppate, trasferendo la Biblioteca ad altro posto, per ottenere un quadrato
completo, così nella parte settostante, come nella superiore.
Casa di maternità' La nostra casa di maternità forse è la
prima in Italia pel numero delle incinte, che vi affluisce e per le operazioni,
che in essa si praticano, e per la valentia dei professori, ma non è
certamente all'altezza dei tempi per le sue condizioni igieniche.
Le incinte sono addossate l' una all' altra, e l' aria che vi si respira
non è la migliore: i pavimenti, le pareti ed il soffitto lasciano a
desiderare; le stanze del puerperio, quelle di operazioni, l'altra da
bagno sono in condizioni pessime e mancano tutt' affatto le stanze d'
isolamento per quelle donne che durante il puerperio vanno soggette a
complicanze. Devesi venire in soccorso di tale istituzione, e porla
in grado di funzionare secondo le esigenze della igiene e della scienza e
fare che risponda alle prescrizioni del Regolamento circa la inaccessibilità a
chiunque, mentre attualmente è un via vai di persone estranee, in barba al
Regolamento. Stanze d' isolamento Il difetto assoluto di stanze d' isolamento
nell' ospedale genera ogni giorno giustissime doglianze da parte del
Corpo Sanitario, poiché, sviluppatasi una infezione qualsiasi in un
infermo, questo resta in sala con grave danno degli altri, segnatamente
per le sale di chirurgia, ove sonovi operati di recente. Cito un
esempio: oggi dalla nostra casa di maternità od anche per ricezione alla porla,
perviene all' Ospedale una donna affetta da infezione puerperale: questa
devesi attualmente collocare in sala comune ed essendosi in massima risoluto
che in tali casi devesi collocare in sala di medicina per non comunicare l'
infezione in quelle di chirurgia, pure non si è assolutamente certi della
immunità per le ragioni che dirò in seguito. Le stanze d'
isolamento sono necessarie, tanto per i casi citati, come per tanti
altri, cioè per pustola maligna, tetano ecc. e debbono essere poste fuori
T ambito dell' Ospedale, poiché è risaputo che, non solo la vicinanza dello
infermo infetto propaga agli altri la infezione, ma veicolo certo d' infezione
può essere il Medico, colui che è adibito per la medicatura, ovvero il
basso personale destinato al cambio della biancheria, al rifacimento del letto,
all'apprestamento del cibo etc. Ond' è mestieri che due quartierini nelT
Interno deli' atrio dell' Ospedale e propriamente quelli che oggi sono
tenuti dal Rettore con l'altro soprastante, vengano sfittati e messi a
disposizione per lo isolamento, uno per gli uomini ed uno per le donne,
adattando due stanze pei tetanici, delegandovi un personale a parte, sia medico
come assistente ed inserviente. Stanze di Operazioni Per quanto 1'
antisepsi è garenzia di quasi tutte le operazioni chirurgiche, pure per
molte di esse è necessità assoluta che l'ambiente, in cui si opera, sia
del tutto asettico e che l' infermo, dopo subita la operazione, possa
essere trasferito in una stanzetta attigua, restandovi per qualche giorno
pria di passare in sala comune, ond* evitare possibili complicanze. Si
rendono massimamente necessarie dal punto di vista, che dovendosi praticare
apertura dell'addome, l'ambiente, nel quale si opera, deve prestarsi ad
un facile riscaldamento, come ad una facilissima disinfezione completa, quindi
località piccola, ben disposta, pavimento di asfalto dipinto, letto di
operazione semplicissimo, e corredato^ di quanto è necessario per potere
operare con tutti' i rigori prescritti dai più recenti progressi
scientifici. L'attuale cucina, come ho avuto l'onore altra volta
d'intrattenere laS. V., non risponde per la sua costruzione alla buona
preparazione del cibo in generale e della pasta in particolare, la quale, non
potendosi cuocere in acqua a parte, dev' essere cotta col brodo;
riducendo questo, non dico guasto, ma certamente non buono, sia per 1'
acqua che vi si aggiunge per cuocere la pasta, sia per le impurità che questa
vi lascia durante le ebollizioni. Pel posto ov' è collocata, cioè tanto
lontana dalle infermerie, che il vitto arriva in esse quasi immangiabile,
rendendosi vani gli sforzi per ottenere dai fornitori materie prime
buone, quando la cattiva preparazione e la lontananza della cucina
contribuiscono efficacemente a rendere guasto il cibo, tale lontananza rende
quel servizio quasi privo di sorveglianza, tanto necessaria pel suo buon
andamento. Per ovviare a tutti siffatti sconci basta collocare la
cucina in una località più eentrale per potere apprestare con maggiore
faciltà e sollecitudine il vitto alle diverse infermerie, ed anche per
esercitarvi, durante la preparazione dei cibi, un' attiva vigilanza,
costruendola in modo che la preparazione delle vivande riesca tale da evitare
gl'inconvenienti di sopra enunciati. Casermaggio Le condizioni
del casermaggio nell' Ospedale degl' Incurabili sono deplorevolissime, come
anche altra volta ho avuto l'onore di rassegnarle, però non basterebbe il
rifornire di tela la guardaroba, ovviando cosi alle esigenze urgenti, ma credo
che debbasi radicalmente riformare il casermaggio dell'Opera in tutte le
sue più minute parti. I letti esistenti, composti di spalliere e tavole,
sono covo d' insetti nella stagione calda e fomite perenne d'infezione pei
microrganismi che in essi annidano. I pagliericci anch'essi sono fomite
perenne di infezione e coi progressi della scienza sono assolutamente da
abolirsi. Le materasse sono deficienti di lana e la lana che
contengono è tale, che dev' essere lavata e cardata. I guanciali
trovansi nelle stesse condizioni delle materasse. Le lenzuola, camice e
camici, cusciniere, traverse, salvietti, berretti etc. sono oggi in tale
deficienza che manca magari il servizio giornaliero. I zoccoli per
gì' infermi sono indecenti e parmi si dovessero abolire, sostituendo le
pantofole col sughero interno coverto, tanto per decenza, quanto per
evitare lo assorbimento da parte del legno, che oggi funziona da suola, mentre
le pantofole che si propongono possono facilmente sterilizzarsi con la
stufa. Quindi per ottenere un casermaggio che riesca soddisfacente
per le esigenze della scienza, occorre: Sostituire alle spalliere e tavole
un letto in ferro con grata di ferro invece delle tavole, leggiero, svelto, con
le minori connessure possibili, senza pomi, ond' evitare che in esso
trovino nido microbi infettivi. Sostituire all'attuale paglierìccio un
secondo materasso di lana nera, la quale, costando molto meno di quella
bianca, si presta benissimo al lavaggio ed alla disinfezione più
completa. Lavare e cardare l'attuale lana, aggiungendone tant'altra, per
quanto basti a rendere più soffici le attuali materasse e
guanciali. Provvedere ad una fornitura di tela, che possa bastare non
solamente ai bisogni ordinarli, ma bensì per tenere un deposito di
effetti nuovi, corrispondenti ad una metà almeno della dotazione generale in
uso. Abolire le scodelle sotto i letti e sostituirle con le sputacchiere
di metallo. Consultazioni gratuite, sala Idroterapica e
stanze per ricezione Trasferendo la cucina in posto più centrale, gli
attuali locali della cucina, uniti a quelli della ricezione, dovrebbero
servire a concentrare in un punto solo, con entrata a parte, senza alcuna
comunicazione con l'Ospedale, tanto le stanze per la ricezione, quanto
quelle per le consultazioni gratuite, ed il gabinetto idroterapico con
l'aggiunzione di una sala da bagno. Così facendo, potrebbero fittarsi gli
attuali locali di via Consolazione, adibiti per le consultazioni gratuite ; si
eviterebbe un via vai di gente nell'Ospedale, che recatisi al gabinetto
idroterapico ; si avrebbero le sale per la ricezione più decenti ed
igieniche, segnatamente per la stagione invernale; si avrebbe un dispensano celtico
decente, giacché lo esistente è indegno e con l'aggiunta della sala da bagno,
si potrebbero spedire sulle infermerie gli ammalati ricevuti, netti, senza
insetti e vestiti con gli abiti dell'Ospedale. Disciplina del bas3o
personale Per mantenere alta la disciplina nell'Ospedale e per
richiedere dal basso personale assistenza agli infermi, nettezza dei
locali, rifiuto delle mance, lecite ed illecite, e per essere certi che non si
perpetrino furti a danno del Pio Istituto ; è mestieri migliorare le
condizioni economiche della classe degl' inserventi e delle camminanti.
Dal modo come è pagato attualmente il basso personale, pare
tacitamente autorizzato a commettere furti; giacche, percependo un'
inserviente soli 23 soldi al giorno risolve un problema, se, dopo di aver
lavorato una giornata intera, può satollare di solo pane i figli.
Cito un caso che può servire di pruova a quanto dico. Havvi un
inserviente che fino ad ieri ha tenuto delegati tutt' i suoi averi per pigione,
e pure ha risoluto il problema della vita. Domando come lo ha risoluto,
essendo stato sempre nell' Ospedale e non avendo avuto altri prowenti ?
Io non voglio malignare, ma certamente a danno di qualcuno avrà risoluto il
problema dell' esistenza per sé e per la sua famiglia. Le camminanti con
sole 16 lire mensili, dovendo provvedere a vitto e vestito debbono, se non
altro, mangiare a danno delle povere inferme, sottraendo dal cibo comune quanto
basta ai loro bisogni. Riconosciuta la necessità di migliorare le
condizioni economiche di tale elasse, è evidente che il miglioramento debba
essere razionale e progressivo, e senza spostare di molto, come dissi, la
finanza del Pio Luogo. Nell'attuale basso personale vi sono degli
ottimi elementi, come ve ne sono di quelli non suscettivi di miglioramento, e
per fare che il basso personale ben risponda alle esigenze del servizio,
ritengo debba dividersi in due classi distinte, cioè infermieri ed
inservienti. GÌ' infermieri dovrebbero essere quegli inservienti e
camminanti intelligenti, che previo esame dessero garenzia di capacità a
prestar la cura prescritta dai professori agi' infermi, ed evitare pure
che continuasse il grave sconcio che, mentre si opera un infermo, lo
inserviente che appresta al professore operatore quant' occorre per operare,
tolga dal letto di un infermo la traversa sporca, o venga dalla pulizia del
cesso. Essi, gì' infermieri, dovrebbero solamente assistere alla
medicatura, alle operazioni, allo esatto adempimento delle prescrizioni mediche
ed alla distribuzione del cibo. GÌ' inservienti, cioè V attuale
personale meno intelligente dovrebb' essere adibito alla nettezza dei pavimenti
ed alle latrine, al trasporto del vitto dalla cucina nelle infermerie ed
a quello della biancheria lurida dalle infermerie alla lavanderia e
viceversa. Ai primi concedere un aumento di salario, dividendo il
servizio di 12 in 12 ore, senz' altro dritto, e pei secondi concedere il
vitto a quelli di guardia. Direzione dell' Ospedale L'
Ufficio di Direzione, ove attualmente trovasi, può essere considerato
fuor dell' Ospedale, giacche tutto il movimento svolgesi alla porta
maggiore. Alla porta maggiore affluisce il pubblico, che intende visitare
gl'infermi nell' Ospedale. Alla porta maggiore presentansi gì' infermi per
chiedere l'ammissione straordinaria. Alla porta maggiore si presenta il
maggior numero dei professori addetti nelle diverse sale. Per
la porta maggiore entra ed esce il basso personale e succedono tante
contrattazioni col pubblico, che è meglio tacerne. Alla porta
maggiore risiedono i Professori di guardia, delegati per la ricezione
degl'infermi e pei soccorsi urgenti. Alla porta maggiore deve risiedere il
Direttore, onde ovviare all' entrata nelV Ospedale di tante persone estranee al
servizio, proibire 1' uscita del personale e trovarsi nel centro dell'
Ospedale, onde poter sorvegliare tutti gli svariati servizii. Per le
ragioni espresse dovrebbesi trasferire la Direzione alla porta maggiore,
chiudendo l' attuale porta che mena sull' Ospedale Donne. Stanza di
medicatura Per un Ospedale come il nostro, che riceve le colpite da
lesioni violenti, si rende di somma necessità una stanza di medicatura,
atta a fornire i primi soccorsi alle infelici che si presentano,
corredata in modo da non lasciare a desiderare, con un corredo di ferri
cerusici occorrevoli, tanto per le ferite ed altre lesioni, quanto per
venire in soccórso dei bisogni urgenti nelT Ospedale senz' attendere che
si apra 1' armamentario, segnatamente di notte. Ecco detto in quali
condizioni versa 1' Ospedale degli Incurabili, e quanto è necessario che
si faccia per poter vedere all'altezza dei tempi e dei progressi scientifici
questo grande Istituto di beneficenza. Ora panni necessario
discutere del modo come conseguire gli scopi innanzi premessi, senz'
aggravare la finanza dell' Istituto, onde non abbia del poetico il
presente progetto. Attualmente 1' Amministrazione degf Incurabili
spende annualmente per l'Ospedale una vistosa cifra per mantenere un vecchio
carname senza mai potere ricostruire radicalmente nulla. Se
all' attuale spesa si aggiungesse altra cifra di circa lire 20,000 si
otterrebbe una cifra totale rilevantissima da potersi iscrìvere nel bilancio
per le spese di fabbriche. Se l’Amministrazione dell'Ospedale
ordinasse un piano regolatore generale per le riforme accennate, ponendo
come base il migliore conseguimento possibile sulla pianta dello attuale
fabbricato e la massima economia, potrebbesi bene erogare la cifra di
lire 500.000 per sola ricostruzione dell' Ospedale, senza tenere conto dei
pavimenti, che già fanno parte di altro contratto e pel quale la cifra
annuale già è prevista in bilancio. Pagandosi a lire 50.000 annue con
l'interesse del 5 p. 0j0 a scalare, sarebbe più che sufficiente la cifra
iscritta, giacché in essa sarebbero anche compresi gl'interessi. Mi
si potrebbe domandare, e l'altra cifra di 20,000 lire per venire in soccorso
dell' attuale spesa per manutenzione? La Casa di Salute, com' è
attualmente tenuta, e ristretta com' è, dà all'Amministrazione un'entrata di
circa L. 30,000 lorde; ma ampliata, come si desidera, e con F aumento delle
rette, F introito sarebbe senz' altro triplicato. E quello che asserisco
non potrà in verun modo venire smentito, dal momento che tutt' i giorni debbono
respingersi individui richiedenti per mancanza di posti nella Casa di
Salute. A maggiormente confortare questa mia asserzione, valga anche
l'ultima deliberazione dell'onorevole Consiglio circa la cura delle malattie di
occhi nella Casa di Salute. Oggi quasi tutti i provinciali
benestanti affluiscono in Napoli sulle locande e colà sona operati e
rimangono in un ambiente settico, dovendo pagare 'cibo assistenza, e
parecchie migliaia di lire per operazioni. Ma quando la nostra Casa
di Salute potrà allogare per bene siffatti infermi, ad essi converrà pagare
anche una retta giornaliera di oltre lire 20, poiché in essa è compreso
alloggio, vitto, assistenza e cura, e qualunque possa essere la durata
della degenza nell'Ospedale di un tale infermo, gli costerà sempre molto
meno di quanto pagherebbe privatamente. Rifacendo l'Ospedale, come
ho detto, non si avrebbe bisogno di manutenzione pei primi dieci anni, ma
solamente jii conservazioni. Qneste potrebbero eseguirsi economicamente,
aggiungendo all'attuale operaio fabbricatore, che già paga
l’Amministrazione, un secondo per imbiancare le pareti delle sale annualmente,
tanto per mantenerle, quanto per disinfettarle, fare qualche rappezzo -d'
intonaco o di asfalto, rimettere qualche tegola o quadrone, senza andare incontro
a contratti di manutenzione. Circa poi alla esecuzione del lavoro son
certo che non uno ma dieci imprenditori verrebbero alla subasta per
aggiudicazione, essendo certa la riscossione di una vistosa cifra in ogni fine
di anno, ovvero Y imprenditore, avendo bisogno di danaro, troverà sicuramente i
fondi a collocare mercè una inftnitisimale differenza d'interesse. Vengo
ora alla seconda parte della riforma, cioè al casermaggio. Potrebbe
1'Amministrazione nelle attuali condizioni del bilancio, appena conseguito il
pareggio e tenendo ancora iscritte delle cifre in esito per debiti precedenti,
affrontare la grave spesa per riformare tutto il casermaggio? Si
potrà conseguire lo scopo di mutare fondatamente 1' attuale casermaggio
con le risorse normali del bilancio? Converrà all' Amministrazione
vendere gli attuali letti per comprarne altri, secondo le norme più innanzi
descritte, senza subire la camorra di chi compra roba vecchia?
Ed ammesso che si avveri questa ultima previsione, sarà conveniente aggravare
V erario dell' Opera, iscrivendo una grossa cifra per casermaggio a detrimento
di altri impegni del bilancio? Converrà all' Ammintstrazione, non
potendo venire in soccorso del casermaggio con le risorse normali, fare una
operazione finanziaria per attuare la riforma con celerità, onde non
andare incontro a vedere per parecchi anni l’Ospedale messo per una
porzione sul sistema moderno e per 1' altra sull’antico? Io credo
che qualunque dei mezzi sopra citati non può essere conveniente per T
Amministrazione, giacche, o non si otterrebbe la riforma progressiva,
accelerata di questa branca di servizio, ovvero ne soffrirebbe non poco la
finanza del Pio luogo. Una sola via resta, onde compiere con sollecitudine e
senza grave spesa la riforma accennata, ed è la seguente:
Bandire gì' incanti con un capitolato redatto in modo da non lasciare
scappatoie all' aggiudicatario, e questo scopo si raggiunge presto, quando alla
Direzione degli Ufficii Amministrativi presiede quelf Egregio funzionario che è
il barone De Marinis, dando il casermaggio per retta giornaliera, per
persona e giornata di degenza, comprendendovi la lavatura ed il
rattoppo. Base dell' incanto dovrebb' essere il consumo di
casermaggio sulla media della spesa e degl' infermi di un decennio, da
stabilire questo dato la retta giornaliera per fornitura di casermaggio,
lavatura e rattoppo da corrispondersi al fornitore. Mettere
per base all' inca nto un campionario completo di letti, e quanto altro occorre
agl'infermi di ambo i sessi coi rispettivi prezzi di acquisto, pagati
dall' Amministrazione, con 1' obbligo all' aggiudicatario di rinnovare una
sala per ogni mese. Apprezzare, mercè periti scelti di accordo fra
l'Amministrazione ed il fornitore, tutto quanto possiede 1' Ospedale e sui
prezzi del campionario calcolare il valore dei capitale impiegato dal
fornitore pel nuovo impianto, giusta il numero dei letti completi ed accessorii
forniti. La differenza fra i due capitali sarebbe rimborsata al fornitore
in tante rate mensili con gì' interessi a scalare dal primo all' ultimo
mese dell' appalto. Come ben vede la S. V. IH. questo sarebbe
certamente un mezzo da riformare in tempo brevissimo tutto il casermaggio della
Pia Opera, senza che l'Opera stessa si aggravi di una spesa ingente, e noti che
come ho avuto l'onore di esporle, in fine dello appalto tutto il materiale
sarebbe di esclusiva proprietà del Pio Luogo, senza essere forzati a ricorrere
ad un secondo appalto. Aggiungo un' ultima riflessione e poi avrò
finito. Ammesso che 1' aggiudicatario dovesse spendere per mettere
il casermaggio nei modi richiesti L. 50,(KJ0 e che il nostro materiale
attuale non valesse altro che 20,000, le 30,000 lire di differenza spese
dall' aggiudicatario sarebbero rimborsate in un novennio, mese per mese,
importando una maggiore spesa mensile di lire 300 circa, ma, scaduto il
contratto, 1' Amministrazione si trova un capitale reale e non nominale di
effetti per casermaggio di lire 50,000, giacche, com' è risaputo, l'
aggiudicatario in fine dello appalto deve consegnare gli effetti come li
ha ricevuti, rifacendo i danni ove le condizioni si verificassero
diverse. Ed ora conchiudo con una speranza ed un augurio; la
speranza, che, se ho mancato di senno amministrativo e di forma nella
esposizione delle mie idee, voglia F Illustrissimo Governo essermi di
ausilio, riparandovi con la sua saggezza ; F augurio ò che, dopo un
accurato esame e quelle modifiche che crederà F 111. Governo apportarvi,
venga attuato il presente progetto. Il Direttore — G. Antonklli Vastarini Cresi. Vastarini-Cresi. Vastarini. Perhaps
under C? -- Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft, MS – Luigi Speranza,,
“Grice e Cresi: cappuccino e ciserciani” – The Swimming-Pool Library, Villa
Speranza, Liguria. Cresi.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Crespi:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale d’Antonino e
compagnia – filosofia romana – scuola di Milano – filosofia lombarda -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Milano).
Filosofo milanese. Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Milano, Lombardia. Grice:
“Crespi is an interesting figure; Strawson calls him an Englishman since he
became a Brit! My favourite is
his edition of Marcauurelio’s remembrances – which is a n irony: he was a
roman, but left his remembrances in Hellenic; and the Italians needed a
translation! It would be as if Pocahontas’s remembrances were in Anglo-Saxon!” Collaboratore della Critica sociale, si avvicina alle
posizione modernista. Collaboraa Il Rinnovamento, L'Unità, La Rivoluzione
liberale, Coenobium. Emigrato durante il fascismo, ospita numerosi esuli antifascisti.
Altre opere: “Le vie della fede” (Roma, Libreria editrice romana); “Sintesi
religiosa” (Firenze, Tip. Bonducciana di A. Meozzi); “L’impero romano” (Milano,
Treves); “Dall'io al tu” (Modena, Guanda). Nunzio Dell'Erba, Rosselli e Sturzo,
"Annali della Fondazione Ugo La Malfa", Luigi Sturzo, Mario Sturzo,
Carteggio, Roma, Edizioni di storia e letteratura-Istituto Sturzo, Giovanni
Bonomi, C., Cremona, Padus). Wikipedia Ricerca Filosofia ellenistica periodo
della filosofia greca antica La filosofia ellenistica è il periodo della
filosofiaoccidentale e della filosofia greca antica durante il periodo
ellenistico. StoriaModifica Il mondo ellenistico. Il periodo
ellenistico seguì le conquiste di Alessandro Magno, che aveva diffuso la
cultura greca antica in tutto il Medio Oriente e nell'Asia occidentale, dopo il
precedente periodo culturale della Grecia classica. Il periodo classico della
filosofia greca antica era iniziato con Socrate, il cui allievo Platone aveva
insegnato ad Aristotele, che a sua volta aveva istruito Alessandro. Mentre i
pensatori classici avevano per lo più sede ad Atene, il periodo ellenistico
vide i filosofi attivi in tutto l'impero. Il periodo iniziò con la morte di
Alessandro nel 323 a.C. (poi quella di Aristotele), e fu seguito dal predominio
della filosofia dell'antica Roma durante il periodo imperiale romano.
Sviluppi e dibattiti sul pensieroModifica I fondatori dell'Accademia, i
peripatetici, i seguaci del cinismo e del cirenaismo erano stati tutti allievi
di Socrate, mentre lo stoicismo era soltanto indirettamente influenzato da
lui.Il pensiero di Socrate fu quindi influente per molte di queste scuole
dell'epoca, portandole a concentrarsi sull'etica e su come raggiungere
l'eudaimonia (la bella vita), e alcune di loro seguirono il suo esempio di
usare l'autodisciplina e l'autarchia a tal fine. Secondo Grayling, la maggiore
insicurezza e perdita di autonomia dell'epoca spinse alcuni a usare la
filosofia come mezzo per cercare sicurezza interiore dal mondo esterno. Questo
interesse nell'usare la filosofia per migliorare la vita è stato colto
nell'affermazione di Epicuro: "vuote sono le parole di quel filosofo che
offre una terapia per nessuna sofferenza umana". L'epistemologia degli epicurei è empirica, con
la conoscenza che alla fine proveniva dai sensi.[4]Epicuro sosteneva che le
informazioni sensoriali non sono mai false, anche se a volte possono essere
fuorvianti, e che "Se combatti contro tutte le sensazioni, non avrai uno
standard contro il quale giudicare anche quelle di coloro che dici si
sbagliano". Rispose a un'obiezione all'empirismo fatta da Platone in
Menone, secondo la quale non si può cercare informazioni senza avere un'idea
preesistente di cosa cercare, quindi significa che la conoscenza deve precedere
l'esperienza. La risposta epicurea è che la prolepsi (preconcetti) sono
concetti generali che consentono di riconoscere cose particolari e che queste
emergono da ripetute esperienze di cose simili. PlatonismoModifica
Il Platonismo rappresenta la filosofia dell'allievo di Socrate, Platone, e i
sistemi filosofici da esso strettamente derivati. Antica
AccademiaModifica Il platonismo primitivo, noto come "l'Antica
Accademia", inizia con Platone, seguito da Speusippo (nipote di Platone
dell’ACCADEMIA), che gli succedette come capo della scuola, e da Senocrate.
Entrambi cercarono di fondere le speculazioni pitagoriche sul numero con la
teoria delle forme di Platone. Scetticismo accademicoModifica
Carneade, copia romana dalla statua esposta nell'Agorà di Atene, Museo
Glyptothek Lo scetticismo accademico è il periodo dell'antico platonismo
risalente intorno a quando Arcesilao divenne capo dell'Accademia platonica,
fino a quando Antioco di Ascalona respinse lo scetticismo, sebbene i singoli
filosofi, come Favorino e il suo maestro Plutarco, continuassero a difendere lo
scetticismo accademico dopo questa data. Gli scettici accademici sostenevano
che la conoscenza delle cose è impossibile. Le idee o le nozioni non sono mai
vere; tuttavia, ci sono gradi di somiglianza con la verità, e quindi gradi di
credenza, che consentono di agire. La scuola era caratterizzata dai suoi
attacchi agli stoici e al dogma stoico che impressioni convincenti portavano
alla vera conoscenza. Arcesilao Carneade Cicerone Medioplatonismo Antioco
di Ascalona respinse lo scetticismo, lasciando il posto al periodo noto come Medioplatonismo,
in cui il platonismo era fuso con alcuni dogmi peripatetici e molti stoici. Nel
medioplatonismo, le forme platoniche non erano trascendenti ma immanenti alle
menti razionali, e il mondo fisico era un essere vivente e animato, l'anima del
mondo. La natura eclettica del platonismo in questo periodo è dimostrata dalla
sua incorporazione nel pitagorismo (Numenio di Apamea) e nella filosofia
ebraica (Filone di Alessandria). Plutarco Neoplatonismo Il Neoplatonismo,
o plotinismo, era una scuola di filosofia religiosa e mistica fondata da
Plotino nel III secolo e basata sugli insegnamenti di Platone e degli altri
platonici. Il vertice dell'esistenza era l'Assoluto o il Bene, la fonte di
tutte le cose. Nella virtù e nella meditazione l'anima aveva il potere di
elevarsi per raggiungere l'unione con l'Assoluto, la vera funzione degli esseri
umani. I neoplatonici non cristiani erano soliti attaccare il cristianesimo
fino a quando cristiani come Agostino, Boezio ed Eriugena non adottarono il
neoplatonismo. Plotino Porfirio Giamblico Proclo CirenaismoModifica Il
Cirenaismo fu fondato nel IV secolo a.C. da Aristippo, allievo di Socrate.
Aristippo, nipote del fondatore, sostene che il motivo per cui il piacere era
buono era che era evidente nel comportamento umano fin dalla più giovane età,
perché questo lo rende naturale e quindi buono (il cosiddetto argomento della
culla).I Cirenaici credevano anche che il piacere presente liberasse dall'ansia
del futuro e dai rimpianti del passato, lasciandoci in pace.Queste idee furono
prese ulteriormente da Anniceride di Cirene, che espanse il piacere per
includere cose come l'amicizia e l'onore. Teodoro l'Ateo non era d'accordo e
sosteneva che i legami sociali dovrebbero essere tagliati e dovrebbe essere
sposata l'autosufficienza. Egesia di Cirene, d'altra parte, affermava che la
vita alla fine non poteva essere complessivamente piacevole.
Cinismo Il pensiero dei Cinici si basava sul vivere con il minimo
necessario e nel rispetto della natura. Il primo cinico fu Antistene, che era
un allievo di Socrate. Introdusse le idee di ascetismo e opposizione alle norme
sociali Il suo seguace fu Diogene, che seguì questa direzione. Invece del
piacere, i cinici promuovevano il vivere intenzionalmente in difficoltà
(ponos). Tutto questo perché era visto come naturale e quindi buono, mentre la
società era innaturale e quindi cattiva, così come i benefici materiali. I
piaceri forniti dalla natura (che sarebbero stati immediatamente accessibili)
erano tuttavia accettabili. Cratete di Tebe affermava quindi che "la
filosofia è un chilo di fagioli e non si cura di nulla". Altri cinici
includevano Menippo e Demetrio . Scuola peripatetica. Un busto in marmo
di Aristotele La scuola peripatetica era composta dai filosofi che avevano
mantenuto e sviluppato la filosofia di Aristotele. Sostenevano l'esame del
mondo per comprendere il fondamento ultimo delle cose. Lo scopo della vita era
l'eudaimonia che nasceva da azioni virtuose, che consistevano nel mantenere la
media tra i due estremi del troppo e del troppo poco. Teofrasto Stratone di Lampsaco Alessandro di Afrodisia
Aristocle di Messene Pirronismo Pirro d'Elide, testa in marmo, copia
romana, Museo Archeologico di Corfù Il Pirronismo era una scuola di scetticismo
filosoficoche ebbe origine con Pirrone e fu ulteriormente avanzata da Enesidemo
nel I secolo a.C. Il suo obiettivo era l'atarassia (essere mentalmente
imperturbabile), che si ottiene attraverso l'epoché(cioè la sospensione del
giudizio) su questioni non evidenti (cioè, questioni di credenza).
Pirrone Timone di Fliunte Enesidemo Sesto Empirico Epicureismo Busto
romano di Epicuro L'epicureismo fu fondato da Epicuro. La sua epistemologia era
basata sull'empirismo, ritenendo che le esperienze sensoriali non possano
essere false, anche se possono essere fuorvianti, poiché sono il prodotto del
mondo che interagisce con il proprio corpo. Ripetute esperienze sensoriali
possono quindi essere utilizzate per formare concetti (prolepsi) sul mondo, e
tali concetti ampiamente condivisi ("concezioni comuni") possono
fornire ulteriormente le basi per la filosofia. Applicando il suo empirismo,
Epicuro sostenne l'atomismo notando che la materia non poteva essere distrutta
poiché alla fine si sarebbe ridotta a nulla e che doveva esserci vuotoaffinché
la materia potesse muoversi. Anche se questo di per sé non provava l'esistenza
degli atomi, si oppose all'alternativa osservando che gli oggetti infinitamente
divisibili sarebbero infinitamente grandi, simili ai paradossi di Zenone. Considera
l'universo governato dal caso, senza alcuna interferenza da parte degli dei.
Considerava l'assenza di dolore come il più grande piacere e sosteneva una vita
semplice. Epicuro Metrodoro Ermarco di Mitilene Zenone di Sidone Filodemo
di Gadara Lucrezio
StoicismoModifica Zenone di Cizio, il fondatore dello stoicismo Lo
stoicismo fu fondato da Zenone di Cizio nel III secolo a.C. Basato sulle idee
etiche dei cinici, insegnava che l'obiettivo della vita era vivere in accordo
con la natura. Sostenne lo sviluppo dell'autocontrollo e della forza d'animo
come mezzi per superare le emozioni distruttive. Zenone di Cizio Cleante
Crisippo Panezio Posidonio Seneca Epitteto Marco Aurelio Il giudaismo
ellenistico era un tentativo di stabilire la tradizione religiosa ebraica
all'interno della cultura e della lingua dell'ellenismo. Il suo principale
rappresentante fu Filone di Alessandria. Filone di Alessandria Flavio
Giuseppe Il neopitagorismo era una
scuola di filosofia che faceva rivivere le dottrine pitagoriche, prominente nel
I e II secolo. Era un tentativo di introdurre un elemento religioso nella
filosofia greca, adorare Dio vivendo una vita ascetica, ignorando i piaceri del
corpo e tutti gli impulsi sensoriali, per purificare l'anima. Publio
Nigidio Figulo. Apollonio di Tiana. Numenio di Apamea. Cristianesimo
ellenisticoModifica Il cristianesimo ellenistico è il tentativo di riconciliare
il cristianesimo con la filosofia greca, a partire dalla fine del II secolo.
Attingendo in particolare al platonismo e al neoplatonismo emergente, figure
come Clemente Alessandrino cercarono di fornire al cristianesimo un quadro
filosofico. Clemente Alessandrino. Origene. Agostino d'Ippona. Elia
Eudocia. Voci correlate Filosofia greca Filosofia antica Ellenismo Religione
ellenistica Cento scuole di pensiero Grayling, The History of Philosophy,
Penguin, Peter Adamson, Philosophy in the Hellenistic and Roman Worlds, Oxford.
Grayling, The
History of Philosophy, Penguin, John Sellars, Hellenistic Philosophy, Oxford
University Press, Adamson, Philosophy in the Hellenistic and Roman Worlds,
Oxford University Press, Sellars, Hellenistic Philosophy, Oxford University
Press, Platonismo su Enciclopedia Britannica. Adamson, Philosophy in the
Hellenistic and Roman Worlds, Oxford, Adamson, Philosophy in the Hellenistic
and Roman Worlds, Oxford. Adamson, Philosophy in the Hellenistic and Roman
Worlds, Oxford University Press, Adamson, Philosophy in the Hellenistic and
Roman Worlds, Oxford. Adamson, Philosophy in the Hellenistic and Roman Worlds,
Oxford, Adamson, Philosophy in the Hellenistic and Roman Worlds, Oxford. Adamson,
Philosophy in the Hellenistic and Roman Worlds, Oxford University Press, Peter
Adamson, Philosophy in the Hellenistic and Roman Worlds, Oxford. Adamson,
Philosophy in the Hellenistic and Roman Worlds, Oxford, Adamson, Philosophy in
the Hellenistic and Roman Worlds, Oxford. Adamson, Philosophy in the
Hellenistic and Roman Worlds, Oxford, Adamson, Philosophy in the Hellenistic
and Roman Worlds, Oxford Long, Sedley, The Hellenistic Philosophers, Cambridge,
Reale, The Systems of the Hellenistic Age: History of Ancient Philosophy (Suny
Series in Philosophy), edito e tradotto dall'italiano da Catan, Albany, New
York "Platonismo." Cross,
FL, ed. nel dizionario di Oxford della chiesa cristiana . New York: Oxford. Portale
Antica Grecia Portale Antica Roma Portale Filosofia
Atarassia termine filosofico Scuola cirenaica Autarchia (filosofia). Nome
compiuto: Angelo Crespi. Grice: “His essay
on Antonino is brilliant – his philosophy of history is controversial. Keywords: la filosofia dell’impero romano, impero,
impero romano, impero britannico, funzione dell’impero, funzione storica
dell’impero, filosofia imperial, imperialismo, imperialismo romano, imperialism
britannico, post-imperialismo, Antonino. Filosofia della storia – aporie, lingua
latina, impero romano, lingua nazionale, nazione romana, nazione italiana,
lingua italiana, lingua fiorentina, lingua toscana, toscano, -- Refs.: Luigi
Speranza, “Crespi e Grice” – The Swimming-Pool Library. Crespi.
Luigi Speranza -- Grice e Crespo: la
ragione conversazionale -- filosofo italiano. Crespo. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice
e Crespo,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza -- Grice e Critolao:
la ragione conversazionale a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Sent as a
deputation to Rome. He emphasizes the relative unimportance of material
comforts for the good life. Critolao. Refs.:
Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Critolao,” The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Croce: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’idealismo – scuola
di Pescasseroli – filosofia aquilese – filosofia abruzzese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Pescasseroli).
Keywords:
espressione. Grice: I wouldn’t say that when I say that p, I imply that I
believe that p; only that I EXPRESS that p. Filosofo italiano. Pescasseroli, L’Aquila,
Abruzzo, Italia. Grice: “I would think the fashionable Englishwoman may think
Croce is the most important philosopher that ever lived!” -- vide under “Grice
as Croceian” -- Grice as Croceian: expression and intention -- Croce, B.,
philosopher. As CROCE observes, it is a common-place in philosophy that there
is, or appears to be, a divergence in meaning between, on the one hand, at
least some of what PEANO call this or that FORMAL device, when it is given a
standard two-valued interpretation, and, on the other, what is taken to be its
analogues or counterpart in ITALIAN — such expressions as non, e, o, se, ogni,
alcuni (almeno uno), il. Some — PEANO, VAILATI, FORTI — *may* at some time have
wanted to claim that there is in fact no such divergence. But such a claim, if
made at all, has been somewhat rashly made. And those suspected of making it —
PEANO, VAILATI, FORTI — have been subjected to some pretty rough handling —
notably by CROCE! Those who do concede that such a divergence in meaning (between,
say, Peano’s inverted iota and ‘il’) exists adhere, in the main, to one or the
other of two rival groups: the formalists and the informalists. An outline of a
not uncharacteristic formalistic position may be given as follows. Insofar as
we are concerned with the formulation of very general patterns of valid
inference, a formal device possesses a decisive advantage over its ITALIAN
counterpart. For it will be possible to construct in terms of the formal device
a system of very general formulae, a considerable number of which can be
regarded as, or are closely related to, this or that pattern of inference the
expression of which involves such a device. Such a system may consist of a
certain set of simple formulae that must be acceptable if the device has the
meaning that has been assigned to it, and an indefinite number of further
formulae, many of which are less obviously acceptable and each of which can be
shown to be acceptable if the members of the original set are acceptable. We
have, thus, a way of handling a dubiously acceptable pattern of inference, and
if, as is sometimes possible, we can apply a decision procedure, we have an
even better way. Furthermore, from a PHILOSOPHICAL point of view, the
possession by, say, ‘il,’ of that element in its meaning, which it does not
share with inverted iota, is to be regarded as an *IMPETFECTION*. Such an
element is an undesirable excrescence. The very presence of this element has a
the double result that the concept which, say, ‘il,’ manifests cannot be precisely
or clearly defined, and that at least some statements involving it cannot, in
some circumstances, be assigned a definite truth value. The indefinability of
this concept — the definite article — is objectionable in itself and leaves
open the door to ‘metaphysics.’ We cannot be certain that none of these
expressions is metaphysically *loaded.* For these reasons, the expressions of
natural speech cannot be regarded as acceptable, as they may turn out to be
ultimately UNINTELLIGIBLE or coherent. The proper course is to construct
PERFECT, language — RAGIONATO, incorporating the formal device, the sentences
containing it will be clear, determinate in truth value, and certifiably free
from metaphysical incoherence. The foundations of philosophy qua regina scientiarum
will be secured, since the statements of a scientist will be expressible within
this perfect language. To this CROCE infamously replied that the PHILOSOPHICAL
demand for a perfect language rests on an assumption not be conceded. The
primary yard-stick by which to judge the adequacy of Italian is hardly its
ability to serve the needs of a particular science. An expression in Italian
can be guaranteed as fully intelligible even if a precise definition, of the
assertion of a logical equivalence of its signification has been
provided. Italian serves many purposes other than that inquiry in this of that
science. Proficient Italian speakers know perfectly well what an expression in
Italian means — and what they mean by it — and so, a fortiori, that it is coherent)
without knowing its definition. Indeed, the provision of such a definition upon
request may (and usually does) consist in the specification, as generalised as
possible, of the conditions that count for or the applicability of sheer
felicitous use, of the expression in question. Moreover, while it may be
granted that PEANO’s inverted iota may be amenable to a systematic
treatment, the facf remains that there are very many inferences and
arguments, expressed with ‘il’ and not with the inverted iota, which are
recognisably valid. There is room for an *unsimplified* unreginented, and so
more or less free and not systematic, use in conversational discourse of ‘il’.
This use may be aided and guided by the *simplified* first-order predicate calculus
of inverted iota (with identity) but cannot be legally or officially supplanted
by it. Indeed, not only do the two enterprises differ, but sometimes they come
into conflict. A rule that may hold for inverted iota may not hold for ‘il.’ On
the general question of the place of the reformation of a natural language, I
shall here have nothing to say. I shall confine myself to the dispute in its
relation to the *alleged* divergence of meaning. In fact, I wish to maintain
that the common assumption shared by formalists and informalists that the
divergence in meaning — between, say, the inverted iota and ‘il’ — do in fact
exist is (broadly speaking) a *mistake* that arises from inadequate attention
to the nature and importance of the general conditions that, in one way or
another, apply to conversation as such, irrespective of its subject
matter. Grice: “Another way to consider Croce is as what I call an
anti-formalist. It is a commonplace of philosophical logic that there are, or
appear to be, divergences in meaning between, on the one hand, at least some of
what I shall call the formal devices-~, A, V, D, (Vx), (3x), (vx) (when these
are given a standard two-valued interpretation)-and, on the other, what are
taken to be their analogues or counterparts in natural language-such
expressions as not, and, or, if, all, some (or at least one), the. Some
logicians may at some time have wanted to claim that there are in fact no such
divergences; but such claims, if made at all, have been somewhat rashly made,
and those suspected of making them have been subjected to some pretty rough
handling. Those who concede that such
divergences exist adhere, in the main, to one or the other of two rival groups,
which I shall call the formalist and the informalist groups. An outline of a
not uncharacteristic formalist position may be given as follows: Insofar as
logicians are concerned with the formulation of very general patterns of valid
inference, the formal devices possess a decisive advantage over their natural
counterparts. For it will be possible to construct in terms of the formal
devices a system of very general formulas, a considerable number of which can
be regarded as, or are closely related to, patterns of inferences the
expression of which involves some or all of the devices: Such a system may
consist of a certain set of simple formulas that must be acceptable if the
devices have the meaning that has been assigned to them, and an indefinite
number of further formulas, many of which are less obviously acceptable and
each of which can be shown to be acceptable if the members of the original set
are accept-able. We have, thus, a way of handling dubiously acceptable patterns
of inference, and if, as is sometimes possible, we can apply a
decisionprocedure, we have an even better way. Furthermore, from a
philosophical point of view, the possession by the natural counterparts of
those elements in their meaning, which they do not share with the corresponding
formal devices, is to be regarded as an imperfection of natural languages; the
elements in question are undesirable excres-cences. For the presence of these
elements has the result both that the concepts within which they appear cannot
be precisely or clearly de-fined, and that at least some statements involving
them cannot, in some circumstances, be assigned a definite truth value; and the
indef-initeness of these concepts not only is objectionable in itself but also
leaves open the way to metaphysics-we cannot be certain that none of these
natural language expressions is metaphysically "loaded." For these
reasons, the expressions, as used in natural speech, cannot be regarded as
finally acceptable, and may turn out to be, finally, not fully intelligible.
The proper course is to conceive and begin to construct an ideal language, incorporating
the formal devices, the sentences of which will be clear, determinate in truth
value, and certifiably free from metaphysical implications; the foundations of
science will now be philosophically secure, since the statements of the
scientist will be expressible (though not necessarily actually expressed)
within this ideal language. (I do not wish to suggest that all formalists would
accept the whole of this outline, but I think that all would accept at least
some part of it.) To this, an
informalist might reply in the following vein. The philosophical demand for an
ideal language rests on certain assumptions that should not be conceded; these
are, that the primary yardstick by which to judge the adequacy of a language is
its ability to serve the needs of science, that an expression cannot be
guaranteed as fully intelligible unless an explication or analysis of its
meaning has been provided, and that every explication or analysis must take the
form of a precise definition that is the expression or assertion of a logical
equivalence. Language serves many important purposes besides those of
scientific inquiry; we can know perfectly well what an expression means (and so
a fortiori that it is intelligible) without knowing its analysis, and the
provision of an analysis may (and usually does) consist in the specification,
as generalized as possible, of the conditions that count for or against the
applicability of the expression being ana-lyzed. Moreover, while it is no doubt
true that the formal devices are especially amenable to systematic treatment by
the logician, it remains the case that there are very many inferences and
arguments, expressed in natural language and not in terms of these devices,
which are nevertheless recognizably valid. So there must be a place for an
unsimplified, and so more or less unsystematic, logic of the natural
counterparts of these devices; this logic may be aided and guided by the
simplified logic of the formal devices but cannot be supplanted by it. Indeed,
not only do the two logics differ, but sometimes they come into conflict; rules
that hold for a formal device may not hold for its natural counterpart. On the general question of the place in
philosophy of the reformation of natural language, I shall, in this essay, have
nothing to say. I shall confine myself to the dispute in its relation to the
alleged diver-gences. I have, morcover, no intention of entering the fray on
behalf of either contestant. I wish, rather, to maintain that the common
assumption of the contestants that the divergences do in fact exist is (broadly
speaking) a common mistake, and that the mistake arises from inadequate
attention to the nature and importance of the conditions governing
conversation. I shall, therefore, inquire into the gen-cral conditions that, in
one way or another, apply to conversation as such, irrespective of its subject
matter. I begin with a characterization of the
notion of "implicature."I genitori appartenevano a due abbienti
famiglie abruzzesi: la famiglia Sipari, quella materna, originaria della stessa
Pescasseroli, ma radicatasi anche in Capitanata e Terra di Lavoro,
particolarmente legata agli ideali liberali, e l'altra, quella paterna,
originaria di Montenerodomo (in provincia di Chieti), ma trapiantata a Napoli,
legata invece ad una mentalità di stampo borbonico. C. crebbe in un ambiente
profondamente cattolico, dal quale però, ancora adolescente, si distaccò, non
riaccostandosi più per tutta la vita alla religiosità tradizionale. Il
terremoto di Casamicciola A diciassette anni perse i genitori, Pasquale C. e
Luisa Sipari, e la sorella Maria, periti
durante il terremoto di Casamicciola, nell'isola d'Ischia, dove C. si
trovava in vacanza con la famiglia. Un terremoto durato non più di 90 secondi
ma dalla potenza devastatrice enorme - e per questo rimasto come esempio
terribile di distruzione nel modo di dire delle popolazioni coinvolte - dove lo
stesso Benedetto rimase sepolto per
parecchie ore sotto le macerie e fracassato in più parti del corpo. Il
"problema del male", in sottofondo alla sua filosofia ottimistica sul
progresso, rimarrà insoluto, se non addirittura negato, e dietro le quinte del
suo pensiero, influenzato da questi eventi giovanili come evidenziato dalle
meditazioni private dei Taccuini personali. Quegli anni furono i miei più
dolorosi e cupi: i soli nei quali assai volte la sera, posando la testa sul
guanciale, abbia fortemente bramato di non svegliarmi al mattino, e mi siano
sorti persino pensieri di suicidio.Fra i primi ad accorrere in suo aiuto fu il
cugino Petroni, la famiglia del quale lo assisté affettuosamente nei mesi
seguenti nella loro residenza di campagna a San Cipriano Picentino, paese non
troppo distante da Salerno. In seguito a questo tragico episodio fu affidato,
assieme al fratello superstite Alfonso, alla tutela del cugino Silvio Spaventa,
figlio della prozia Maria Anna C. e fratello del filosofo Spaventa, che,
mettendo da parte dei dissapori storici che aveva con la famiglia Croce, lo
accolse nella propria casa a Roma, dove il giovane Benedetto trascorse gli anni
dell'adolescenza ed ebbe modo di formarsi culturalmente[14] fino all'età di
vent'anni. Nel circolo culturale nella casa dello zio Silvio, C. ebbe modo di
frequentare importanti uomini politici ed intellettuali tra cui Labriola che lo
inizierà al marxismo. Pur essendo iscritto alla facoltà di giurisprudenza
dell'Università di Napoli, Croce frequentò le lezioni di filosofia morale a
Roma tenute dal Labriola. Non terminò mai i suoi studi universitari, ma si
appassionò a studi eruditi e filosofici, trascurando il pensiero hegeliano, di
cui criticava la forma incomprensibile. Il ritorno a Napoli Lasciata la
Roma troppo accesa di passioni politiche, Tornò a Napoli, dove acquistò, per
abitarvi, la casa dove aveva trascorso la sua vita VICO, il filosofo napoletano
amato da C. per la concezione filosofica anticipatrice, per certi aspetti,
della sua. Fu tra i fondatori della Società dei Nove Musi, un cenacolo di
intellettuali. Compì numerosi viaggi in Spagna, Germania, Francia e Regno
Unito mentre nella sua formazione culturale cresceva l'interesse per gli studi
storici e letterari, in particolare per la poesia di Carducci, e per le opere
di Sanctis. Attraverso Antonio Labriola con cui era rimasto in contatto, si
interessò al marxismo, di cui però criticava come astorica la visione che dava
del capitalismo. Da Marx risalì alla filosofia hegeliana che cominciò ad
apprezzare e ad approfondire. La fondazione de La critica e la vita
politica Uscì il primo numero della rivista La critica, con la collaborazione
di Gentile, e stampata a sue spese, allorché subentrò l'editore Laterza. Venne
nominato per censo senator e fu Ministro della Pubblica Istruzione nel quinto e
ultimo governo Giolitti. Con regio
decreto dgli fu concesso il titolo di "Nobile". Elaborò una riforma
della pubblica istruzione che fu poi ripresa e attuata da Gentile.
Posizione nella prima guerra mondiale Ardenti
e vivacissime furono in quei dieci mesi le polemiche tra interventisti» e neutralisti», come erano chiamati non si può
dire che [gli interventisti] avessero torto, come non si può dire che
l'avessero i loro oppositori, perché dissidî di questa sorta non sono materia,
nonché di tribunali, neppure di critica scientifica, e hanno questo carattere
entrambe le tesi, appassionatamente difese, sono necessarie per l'effetto
politico e, come suona il motto, che, se una delle due opposizioni non ci
fosse, converrebbe inventarla. Più di un cosiddetto neutralista» si sentiva talvolta scosso dalla
tesi avversaria e inclinava ad accoglierla, e il medesimo accadeva a più di un interventista. Storia d'Italia Bari, Laterza)
Il filosofo, nella scelta tra le due posizioni, neutralismo o interventismo
alla prima guerra mondiale, si rivolse alla prima; ma il suo era un neutralismo
che contemperava le posizioni liberali con la possibilità dell'intervento
(rimase comunque poco favorevole alla guerra, e, non obbligato ad arruolarsi,
per limiti di età - 49 anni -, non andò mai al fronte a differenza di altri
intellettuali come D'Annunzio, volontario. Scriveva a Bigot che era pronto ad
accettare quella guerra che saremo costretti a fare, quale che sia, anche
contro la Germania, ad accettarla come una dolorosa necessità, risoluto a non
provocarla per ragioni antinazionali e settarie» (C., Epistolario, Napoli)
Il rapporto con il fascismo L'iniziale fiducia al governo fascista C.
nella sua biblioteca Inizialmente C. fu vicino al fascismo. Ascoltò e applaudì
il discorso di MUSSOLINI al teatro San Carlo di Napoli, durante l'adunata preparatoria
per la marcia su Roma. In occasione delle votazioni al Senato, successive
all'uccisione del deputato socialista Matteotti, fu tra i 225 senatori che
votarono la fiducia al governo MUSSOLINI, insieme a Gentile e Morello. In
seguito C. spiegò in un'intervista che il suo non era stato un voto fascista, ha
votato a favore del regime perché pensava che MUSSOLINI, se sostenuto, puo esser
sottratto all'estremismo fascista a cui C. fa risalire la responsabilità del
delitto Matteotti. Abbiamo deciso di dare il voto di fiducia. Ma,
intendiamoci, fiducia condizionata. Nell'ordine del giorno che abbiamo redatto
è detto esplicitamente che il senato si aspetta che il Governo restauri la
legalità e la giustizia, come del resto Mussolini ha promesso nel suo discorso.
A questo modo noi lo teniamo prigioniero, pronti a negargli la fiducia se non
tiene fede alla parola data. Vedete: il fascismo è stato un bene; adesso è
divenuto un male, e bisogna che se ne vada. Ma deve andarsene senza scosse, nel
momento opportuno, e questo momento potremo sceglierlo noi, giacché la
permanenza di Mussolini al potere è condizionata al nostro beneplacito. C. scrive
su Il Giornale d'Italiache il regime mussoliniano non poteva e non doveva essere altro che un
ponte di passaggio per la restaurazione di un più severo regime
liberale». La rottura e il Manifesto degli intellettuali antifascisti Il
filosofo abruzzese si allontanò definitivamente dal regime allorché, su
sollecitazione di Amendola, scrisse il Manifesto degli intellettuali antifascisti
in replica al Manifesto degli intellettuali fascisti di Gentile. Lo scritto,
pubblicato sul quotidiano Il Mondo, tra l'altro sosteneva. Contaminare politica
e letteratura, politica e scienza è un errore, che, quando poi si faccia, come
in questo caso, per patrocinare deplorevoli violenze e prepotenze e la
soppressione della libertà di stampa, non può dirsi nemmeno un errore generoso.
E non è nemmeno, quello degli intellettuali fascisti, un atto che risplende di
molto delicato sentire verso la patria, i cui travagli non è lecito sottoporre
al giudizio degli stranieri, incuranti (come, del resto, è naturale) di
guardarli fuori dei diversi e particolari interessi politici delle proprie
nazioni. In che mai consisterebbe il nuovo evangelo, la nuova religione, la
nuova fede, non si riesce a intendere dalle parole del verboso manifesto; e,
d'altra parte, il fatto pratico, nella sua muta eloquenza, mostra allo
spregiudicato osservatore un incoerente e bizzarro miscuglio di appelli
all'autorità e di demagogismo, di proclamata riverenza alle leggi e di
violazione delle leggi, di concetti ultramoderni e di vecchiumi muffiti, di
atteggiamenti assolutistici e di tendenze bolsceviche, di miscredenza e di
corteggiamenti alla Chiesa cattolica, di aborrimenti della cultura e di conati
sterili verso una cultura priva delle sue premesse, di sdilinquimenti mistici e
di cinismo. Per questa caotica e inafferrabile "religione" noi non ci
sentiamo, dunque, di abbandonare la nostra vecchia fede: la fede che da due
secoli e mezzo è stata l'anima dell'Italia che risorgeva, dell'Italia moderna;
quella fede che si compose di amore alla verità, di aspirazione alla giustizia,
di generoso senso umano e civile, di zelo per l'educazione intellettuale e
morale, di sollecitudine per la libertà, forza e garanzia di ogni
avanzamento.» Secondo Norberto Bobbio, il Manifesto degli intellettuali
antifascisti sancì l'assunzione da parte di C. del ruolo di coscienza morale
dell'antifascismo italiano» e di filosofo
della libertà. Lo scritto segnò inoltre la rottura dell'amicizia con Gentile, a
causa delle ormai inconciliabili divergenze filosofiche e politiche. In seguito
Croce fu l'unica voce fuori dal coro tollerata dal regime. Il ruolo di Croce
come coscienza dell'antifascismo è testimoniato, tra gli altri, da Primo Levi,
che ricordò che negli anni del fascismo e della guerra, segnati per gli
antifascisti da smarrimento morale, isolamento e incertezze, solo La Bibbia, C., la geometria, la fisica, ci
apparivano fonti di certezza. Il mio liberalismo è cosa che porto nel sangue,
come figlio morale degli uomini che fecero il Risorgimento italiano, figlio di
Sanctis e degli altri che ho salutato sempre miei maestri di vita. La storia mi
metterà tra i vincitori o mi getterà tra i vinti. Ciò non mi riguarda. Io sento
che ho quel posto da difendere, che pel bene dell'Italia quel posto dev'essere
difeso da qualcuno, e che tra i qualcuni sono chiamato anch'io a quell'ufficio.
Ecco tutto.» (Lettera a Alfieri) Rifiutò di entrare nell'Accademia
d'Italia, e dopo un breve appoggio al movimento antifascista Alleanza Nazionale
per la Libertà, fondato dal poeta Lauro De Bosis, si allontanò dalla vita
politica, continuando peraltro ad esprimere liberamente le sue idee politiche,
senza che il regime fascista lo censurasse, almeno esplicitamente. L'unico atto
di ostilità violenta ed esplicita compiuto dal fascismo verso C. fu la
devastazione della sua casa napoletana. Negl’anni successivi, quelli della sua
affermazione e del cosiddetto consenso, il fascismo ritenne C. un avversario
poco temibile, sostenitore com'era della tesi di un fascismo inteso come
malattia morale inevitabilmente superata dal progresso della storia. Inoltre la
fama di C. presso l'opinione pubblica europea lo proteggeva da interventi
oppressivi da parte del regime. Ha altresì blandi rapporti culturali con
intellettuali in qualche modo vicini al regime, anche se marginali, come un
carteggio epistolare con il tradizionalista Julius Evola, a cui espresse
l'apprezzamento formale per due opere, da pubblicare presso Laterza con il
benestare dello stesso C., Saggi sull'idealismo magico, Teoria dell'individuo
assoluto e, successivamente, La tradizione ermetica. Il governo fascista
richiese ai docenti delle università italiane un atto di formale adesione al
regime in base all'articolo del regio decreto (il cosiddetto giuramento di
fedeltà al fascismo). A seguito di tale provvedimento, i docenti avrebbero
dovuto giurare di essere fedeli non solo alla patria, secondo quanto già
imposto dal regolamento generale universitario, ma anche al regime fascista. In
quell'occasione, C. incoraggia professori come Calogero e Einaudi a rimanere
all'università, per continuare il filo dell'insegnamento secondo l'idea di
libertà. Se la sua figura fu importante per l'area politica del liberalismo, la
sua scuola ha durante tutto il ventennio fascista una platea assai più ampia di
allievi: del resto, già prima dalle sue idee avevano tratto esempio anche
Gramsci e il gruppo comunista de L'Ordine Nuovo.Polemica sulla Giornata della
fede La non adesione di C. al fascismo parve messa in discussione dal gesto
compiuto durante la guerra d'Etiopia, quando il filosofo, in occasione della
Giornata della fede dona la propria medaglietta da senatore accompagnandola con
questa secca lettera al presidente del Senato. Eccellenza, quantunque io non
approvi la politica del Governo, ho accolto in omaggio al nome della Patria,
l'invito dell'E.V., e ho rimesso alla questura del Senato la mia medaglia, Il
gesto suscita negl’ambienti dell'antifascismo italiano, in patria e all'estero,
sorpresa, dolore e polemiche che colpirono dolorosamente C.. Al termine di un
drammatico colloquio con Ceva, inviata a sostenere il punto di vista degl’antifascisti,
dopo un iniziale tentativo di giustificazione, C. affermò. Dica che io sono
sempre lo stesso, che sono sempre con loro. Il regime varò la legislazione anti-semita.
C. non era presente nell'aula del Senato, quale forma di protesta. Egli fu uno
dei pochi a esprimersi contro di esse a livello pubblico. Il governo invia a
tutti i professori universitari e i membri delle accademie un questionario da
compilare ai fini della classificazione "razziale". Tutti gl’interpellati
risposero. L'unico intellettuale non ebreo che rifiuta di compilare il
questionario è Croce. L'unico effetto della richiesta dichiarazione
sarebbe di farmi arrossire, costringendo me, che ho per cognome CROCE, all'atto
odioso e ridicolo insieme di protestare che non sono ebreo, proprio quando
questa gente è perseguitata. Il filosofo, invece di restituire compilata la
scheda, invia una lettera al presidente dell'Istituto veneto di scienze,
lettere ed arti, in cui scrive sarcasticamente. Gentilissimo collega, ricevo
oggi qui il questionario che avrei dovuto rimandare prima del 20. In ogni caso,
io non l'avrei riempito, preferendo di farmi escludere come supposto ebreo. Ha
senso domandare a un uomo che ha circa sessant'anni di attività letteraria e ha
partecipato alla vita politica del suo paese, dove e quando esso sia nato e
altre simili cose? (C. a Messedaglia, Presidente dell’Istituto Veneto di
Scienze, Lettere e Arti di Venezia, in A. CAPRISTO, L’espulsione degl’ebrei
dalle accademie italiane, Torino, Zamorani. C. è quindi espulso da quasi tutte
le accademie di cui è membro, comprese l'Accademia Nazionale dei Lincei e la
Società Napoletana di Storia Patria. All'Istituto Veneto di Scienze,
Lettere ed Arti, unica accademia che lo mantenne socio, alla fine della guerra
C. riconosce il merito di non averlo espulso durante il regime fascista. Dopo
aver denunciato la persecuzione degl’ebrei, C. però critica anche gli
atteggiamenti degl’ebrei stessi, sia quelli che hanno aderito al fascismo, sia
quelli che vivevano separati, ritenendo la specificità ebraica come pericolosa
per gl’ebrei stessi. Quando s'iniziò l'infame persecuzione contro gl’ebrei, io
ebbi, con un brivido di orrore, la piena rivelazione della sostanziale
delinquenza che è nel fascismo, come chi fosse costretto ad assistere allo
sgozzamento a freddo di un innocente e mi misi di lancio dalla loro parte con
tutto l'esser mio per fare quello che per loro si poteva a lenire o diminuire
il loro strazio. Molti danni e molte iniquità compiute dal fascismo non si
possono ora riparare per essi come per altr’italiani che le soffersero, né essi
vorranno chiedere privilegi o preferenze, e anzi il loro studio dovrebbe essere
di fondersi sempre meglio con gl’altri italiani; procurando di cancellare
quella distinzione e divisione nella quale hanno persistito nei secoli e che,
come ha dato occasione e pretesto in passato alle persecuzioni, è da temere ne
dia ancora in avvenire l'idea di popolo eletto, che è tanto poco saggia che la
fece sua Hitler, il quale, purtroppo, aveva a suo uso i mezzi che lo resero
ardito a tentarne la folle attuazione. Essi disconoscono le premesse storiche --
Grecia, ROMA, Cristianità -- della civiltà di cui dovrebbero venire a fare
parte. Lettera a Merzagora) Espresse quindi una posizione di perplessità per il
sionismo. Il rientro nella vita politica Dopo la caduta del regime C. rientra
in politica, accettando la nomina a presidente del Partito Liberale Italiano.
Durante la Resistenza cercò di mediare tra i vari partiti antifascisti e fu
Ministro senza portafoglio nel secondo governo Badoglio, benché non stimasse né
il Maresciallo né il re Vittorio Emanuele III, a causa della loro compromissione
col fascismo. Subito dopo la liberazione di Roma entrò a far parte del secondo
governo Bonomi, sempre come ministro senza portafoglio, ma diede le dimissioni
qualche mese dopo. Egli avrebbe
preferito l'abdicazione diretta del sovrano in favore del piccolo Vittorio
Emanuele (con rinuncia di Umberto al trono), la reggenza a Badoglio e
l'incarico di capo del governo a Carlo Sforza, ma i rappresentanti del Regno
Unito si opposero. Al referendum sulla forma dello Stato votò per la monarchia,
inducendo tuttavia il Partito Liberale (di cui rimane presidente) a non
schierarsi, per far sì che prevalesse sulla questione piena ed effettiva
libertà di scelta, e dichiarando in seguito: il buon senso fece considerare a quei milioni
di votanti favorevoli alla monarchia, che, se anche essi avessero riportato la
maggioranza legale, una monarchia con debole maggioranza non avrebbe avuto il
prestigio e l'autorità necessaria, e perciò meglio valeva accettare la forma
nuova della Repubblica e procurar di farla vivere nel miglior modo,
apportandovi lealmente il contributo delle proprie forze. C. con Altavilla e il
Capo provvisorio dello Stato, Concetti che C. aveva, nella loro sostanza, già
espresso; ben prima che Umberto II, nel messaggio ribadisse tale indicazione.
Eletto all'Assemblea Costituente, non accettò la proposta di essere candidato a
Capo provvisorio dello Stato, così come in seguito rifiutò la proposta,
avanzata da Luigi Einaudi, di nomina a senatore a vita. Si oppose strenuamente
alla firma del Trattato di pace, con un accorato e famoso intervento
all'Assemblea costituente, ritenendolo indecoroso per la nuova
Repubblica. Fonda a Napoli l'Istituto italiano per gli studi storici
destinando per la sede un appartamento di sua proprietà, accanto alla propria
abitazione e biblioteca nel Palazzo Filomarino dove oggi ha sede la Fondazione
Biblioteca C. Presidente dell'associazione PEN International e, negli stessi
anni, entrò a far parte del Consiglio di Amministrazione dell'Istituto Suor Orsola
Benincasa di Napoli. Per un ictus cerebrale rimase semiparalizzato e si ritirò
in casa continuando a studiare: morì seduto in poltrona nella sua biblioteca. I
funerali solenni si tennero nella sua Napoli e le sue spoglie tumulate nella
tomba di famiglia al Cimitero di Poggioreale. Il rapporto con la cultura
cattolica Pure filosofo quale sono io
stimo che il più profondo rivolgimento spirituale compiuto dall'umanità sia
stato il cristianesimo, e il cristianesimo ho ricevuto e serbo, lievito
perpetuo, nella mia anima. Il rapporto di C. con la cultura cattolica varia nel
corso del tempo. I filosofi idealisti, come C. e Gentile, avevano esercitato
assieme alla cultura cattolica una comune critica al positivismo ottocentesco.
Alla fine degli anni venti vi era stato un progressivo allontanamento della
cultura laica e idealistica dalla cultura cattolica. C., pur non essendo un
anticlericale militante, riteneva importante la separazione liberale tra culto
e stato, propugnata da CAVOUR. Il culto con i Patti Lateranensi ha ormai
raggiunto un rapporto equilibrato con le istituzioni statali italiane
distaccandosi quindi dalle posizioni politiche antifasciste dell'idealismo
crociano. C. fu contrario al Concordato e dichiara apertamente in Senato che accanto
o di fronte ad uomini che stimano Parigi valer bene una messa, sono altri per i
quali l'ascoltare o no una messa è cosa che vale infinitamente più di Parigi,
perché è affare di coscienza. Mussolini gli rispose dichiarandolo un imboscato della storia», e accusando il filosofo
di passatismo e di viltà di fronte al progresso storico. Quando C. scrive la
Storia d'Europa, il Vaticano critica aspramente l'autore che difendeva le
filosofie esaltanti una religione della libertà senza Dio. Il Sant'Uffizio pose
all'Indice questo saggio ma, non ottenendo negli anni successivi da C. un qualsiasi
ripensamento, ninserì nell'elenco dei libri proibiti tutti i suoi scritti. La
polemica anti-concordataria crociana vide l'adesione del giovane filosofo
nonviolento e liberalsocialista Aldo Capitini che a Firenze, a casa di Luigi
Russo, aveva avuto modo di conoscere C., a cui aveva consegnato un pacco di
dattiloscritti che il filosofo napoletano aveva apprezzato e fatto pubblicare
nel gennaio dell'anno seguente presso l'editore Laterza di Bari con il titolo
Elementi di un'esperienza religiosa. In poco tempo gli Elementi diventarono uno
tra i principali riferimenti letterari della gioventù antifascista. La
posizione personale di C. nei confronti della religione cattolica è ben
espressa nel suo saggio Perché non possiamo non dirci "cristiani". Il
termine "cristiani" inserito nel titolo tra virgolette non voleva
indicare l'adesione a un credo confessionale, bensì la consapevolezza di
un'inevitabile appartenenza culturale rappresentata nella sua particolare
prospettiva dal fenomeno del cristianesimo: non si trattava di una professione
di fede cristiana dovuta a un rinnegamento dell'agnosticismo come volle fare
intendere la propaganda fascista, ma di riconoscere il valore storico e di rivolgimento spirituale»: Il cristianesimo è stato la più grande
rivoluzione che l'umanità abbia mai compiuta: così grande, così comprensiva e
profonda, così feconda di conseguenze, così inaspettata e irresistibile nel suo
attuarsi, che non maraviglia che sia apparso o possa ancora apparire un
miracolo, una rivelazione dall'alto, un intervento di Dio nelle cose umane, che
da lui hanno ricevuto legge e indirizzo affatto nuovo. Tutte le altre
rivoluzioni, tutte le maggiori scoperte che segnano epoche nella storia umana,
non sostengono il suo confronto, parendo rispetto a lei particolari e limitate.
Tutte, non escluse quelle che la Grecia fece della poesia, dell'arte, della
filosofia, della libertà politica, e Roma del diritto: per la capacità dei
princìpi cristiani di contrastare il neopaganesimo e l'ateismo propagandati dal
nazismo e dal comunismo sovietico. Sono profondamente convinto e persuaso che
il pensiero e la civiltà moderna sono cristiani, prosecuzione dell'impulso dato
da Gesù e da Paolo. Su di ciò ho scritto una breve nota, di carattere storico,
che pubblicherò appena ne avrò lo spazio disponibile. Del resto non sente Ella
che in questa terribile guerra mondiale ciò che è in contrasto è una concezione
ancora cristiana della vita con un'altra che potrebbe risalire all'età
precristiana, e anzi pre-ellenica e pre-orientale, e riattaccare quella
anteriore alla civiltà, la barbarica violenza dell'orda? C., in sintesi, vede
nel cristianesimo il fondamento storico della civiltà occidentale ma non
ripudia l'immanentismo radicale del suo pensiero che vede nella religione un
momento della realizzazione storica dello spirito che si avvia, superandolo, ad
una più alta sintesi. All'Assemblea Costituente lotterà contro
l'inserimento, voluto dalla DC, e dal comunista Togliatti, dei Patti
Lateranensi nel secondo comma dell'articolo della Costituzione della Repubblica
Italiana, giudicandolo come "sfacciata prepotenza pretesca". In vista
delle elezioni politiche, tuttavia, si accordò con il segretario della
Democrazia Cristiana, Alcide De Gasperi, per dare vita a un manifesto comune,
Europa, cultura e libertà, contro i totalitarismi passati e presenti. A seguito
della vittoria della DC, replicò severamente ai laici benpensanti schierati col
Fronte Popolare che sbeffeggiavano il ceto umile e contadino di cui era
composto in prevalenza l'elettorato cattolico: Beneditele quelle beghine di cui ridete,
perché senza il loro voto e il loro impegno oggi non saremmo liberi. Lasciando
disposizioni per la sua morte (che avverrà tre anni dopo) scriverà invece che
la sensibilità religiosa della moglie cattolica le consentirà di evitare che un
sacerdote tenti di "redimerlo" all'ultimo minuto, perché è "cosa
orrenda profittare delle infermità per strappare a un uomo una parola che sano
egli non avrebbe mai detta". C. fu
legato sentimentalmente e convisse con Angelina Zampanelli, fino alla morte di
lei. La coppia prese alloggio a Palazzo Filomarino, a Napoli. Angelina,
sofferente di cuore, morì poco più che quarantenne a Raiano, dove insieme a
Croce ella soggiornava spesso d'estate, presso il Palazzo Rossi-Sagaria, ospiti
della cugina del filosofo, Petroni, moglie di Rossi. C. sposa a Torino, con
rito religioso e poi civile, Adele Rossi, da cui ha V figli: Giulio, Elena,
Alda, Lidia (moglie dello scrittore e dissidente anticomunista polacco Grudziński)
e Silvia. Il filosofo, oggi, deve non già fare il puro filosofo, ma esercitare
un qualche mestiere, e in primo luogo, il mestiere dell'uomo.» (C.,
Lettere a Vittorio Enzo Alfieri, Sicilia Nuova Editrice, Milazzo. L'opera di
Croce può essere suddivisa in tre periodi: quello degli studi storici,
letterari e il dialogo con il marxismo, quello della maturità e delle opere
filosofiche sistematiche e quello dell'approfondimento teorico e revisione
della filosofia dello spirito in chiave storicista. Come idealista, ritiene che
la realtà sia quella che viene concepita dal soggetto, in quanto riflesso della
sua idea e interiorità, ed è convinto che la razionalità e la libertà emergano
nella storia, pur tra immani difficoltà. La filosofia idealista riconduce
totalmente l'essere al pensiero, negando esistenza autonoma alla realtà
fenomenica, ritenuta il riflesso di un'attività interna al soggetto; l'idealismo,
come in Hegel, implica una concezione etica fortemente rigorosa, come ad
esempio nel pensiero di Fichte che è incentrato sul dovere morale dell'uomo di
ricondurre il mondo al principio ideale da cui esso ha origine; in C. questo
ideale è la libertà umana. Definito da Gramsci "papa laico della cultura
italiana", a sua filosofia ha goduto di enorme credito nella cultura
italiana del XX secolo, perlomeno fino agli anni settanta e ottanta, in cui si
sono levate molte critiche verso il suo approccio, ritenuto superato. C. È un
intellettuale rispettato anche al di fuori dell'Italia. La rivista Time gli
dedica la copertina e contestualmente alla rivalutazione del pensiero crociano,
si è registrato l'interesse della collana editoriale di Stanford, mentre la
rivista statunitense di politica internazionale Foreign Affairs lo inserì tra i
pensatori più attuali, accanto a intellettuali come Berlin, Fukuyama e Trotsky.
Parallelamente allo studio del marxismo, C. approfondisce anche il pensiero di
Hegel; secondo entrambi la realtà si dà come spirito che continuamente si
determina e, in un certo senso, si produce. Lo spirito è quindi la forza
animatrice della realtà, che si auto-organizza dinamicamente divenendo storia
secondo un processo razionale. Da Hegel egli recupera soprattutto il carattere
razionalistico e dialettico in sede gnoseologica: la conoscenza si produrrebbe
allora attraverso processi di mediazione dal particolare all'universale, dal
concreto all'astratto, per cui C. afferma che la conoscenza è data dal giudizio
storico, nel quale universale e particolare si fondono recuperando la sintesi a
priori di Kant e lo storicismo di VICO, suo altro filosofo di riferimento. Da
destra, Giovanni Laterza, Jacini, C. e Secly. Il divenire e la logica della
dialettica, in Hegel e in Marx, è esso stesso verità in movimento; anche per C.
la verità è dialettica, ma occorre esprimere un giudizio storico ed esistono
delle regole che arginano la pretesa giustificativa di ogni fenomeno: in Croce
lo Spirito - in quanto intelletto umano - si realizza nella storia ma nel
rispetto della libertà. Per questo ogni fatto è quindi calato nella realtà
storica, ma questo non può giustificare, con la scusa del divenire e del
progresso, aspetti deplorevoli come, ad esempio, il totalitarismo fascista o
comunista, il primo come necessario (concezione di Gentile e della sua idea di
realtà come atto puro di pensare e agire) e il secondo come fase storica
obbligata (seguendo il concetto marxiano della dittatura del proletariato, di
cui il filosofo tedesco parla nella sua teoria "razionalista" del
materialismo storico). Quindi il materialismo dialettico di Engels e quello
storico di Marx sono da ritenersi errati. In questo, il suo storicismo si
differenzia dal pensiero di un altro filosofo liberale, Popper, secondo cui
dialettica e storicismo finiscono invece per generare quasi sempre
totalitarismo (concezione assai diffusa nel pensiero del liberalismo
novecentesco). Al contrario di Popper e Arendt, per C. la radice totalitaria è
proprio nell'antistoricismo, cioè nel rifiuto dello storicismo stesso. Il
neoidealismo entrò in crisi, sostituito da nuove filosofie come
l'esistenzialismo e la fenomenologia; sempre in nome del libertà e
dell'umanesimo, C. critica l'esistenzialista Heidegger, divenuto poi
anti-umanistico e colpevole di accondiscendenza verso il nazismo, definendolo
anche "un Gentile più dotto e più acuto, ma sostanzialmente della stessa
pasta morale. Esprime così un tagliente
giudizio sul filosofo di Essere e tempo. Scrittore di generiche sottigliezze,
arieggiante a un Proust cattedratico, egli che, nei suoi libri non ha dato mai
segno di prendere alcun interesse o di avere alcuna conoscenza della storia,
dell'etica, della politica, della poesia, dell'arte, della concreta vita
spirituale nelle sue varie forme - quale decadenza a fronte dei filosofi, veri
filosofi tedeschi di un tempo, dei Kant, degli Schelling, degli Hegel! -, oggi
si sprofonda di colpo nel gorgo del più falso storicismo, in quello, che la
storia nega, per il quale il moto della storia viene rozzamente e
materialisticamente concepito come asserzione di etnicismi e di razzismi, come
celebrazione delle gesta di lupi e volpi, leoni e sciacalli, assente l'unico e
vero attore, l'umanità. E così si appresta o si offre a rendere servigi
filosofico-politici: che è certamente un modo di prostituire la
filosofia.» (Conversazioni Critiche, Serie Quinta, Bari, Laterza. L'asserzione
di Hegel che "la storia sia storia di libertà" viene da C. inquadrata
nella sua concezione dialettica della libertà vista nel suo iniziale nascere,
nel successivo crescere e infine nel raggiungimento di uno stadio finale e
definitivo di maturità. C. fa proprio questo detto hegeliano chiarendo però che
non si vuole assegnare alla storia il
tema del formarsi di una libertà che prima non era e che un giorno sarà, ma per
affermare la libertà come l'eterna formatrice della storia, soggetto stesso di
ogni storia. Come tale essa è per un verso, il principio esplicativo del corso
storico e, per l'altro, l'ideale morale dell'umanità». I popoli e gli individui
anelano sempre alla libertà, e come dice Hegel ciò che è razionale è reale» (cioè la ragione
concepisce quello che può diventare reale) e ciò che è reale è razionale» (cioè esiste
un'intrinseca razionalità, anche minima, in ogni fenomeno storico, anche se non
tutto il reale è ovviamente razionale). Alcuni storici, senza ben rendersi
conto di quello che scrivono, sostengono che ormai la libertà ha abbandonato la
scena della storia. Ma affermare che la libertà è morta vorrebbe dire che è
morta la vita. Non esiste nella storia un ideale che possa sostituire quello
della libertà che è l'unica che faccia
battere il cuore dell'uomo, nella sua qualità di uomo». Ciò significa che la
libertà non è una fase di presa di coscienza che conduce allo Stato etico o al
socialismo, venendo superata, ma è essa stessa la verità nel divenire, non una
fase. Egli critica Hegel, poiché secondo lui il filosofo ha concepito la
dialettica in modo riduttivo, ovvero semplicemente come dialettica degli
opposti, mentre secondo C. sussiste anche una logica dei distinti: non ogni
negazione è infatti opposizione, ma può essere semplice distinzione. Ciò
significa che certi atti ed eventi devono essere sempre considerati appunto
distinti rispetto ad altri ordini di atti ed eventi, e non ad essi opposti.
Elabora, quindi, un vero e proprio sistema, da lui denominato la filosofia
dello spirito. Inoltre, la prima importante differenza con Hegel è che nel
sistema crociano non vi rientra né la religione, né la natura. La religione
sarebbe infatti un complesso miscuglio di elementi poetici, morali e filosofici
che le impediscono di presentarsi come forma autonoma dello Spirito. La natura
poi non è altro che l'oggetto "mascherato" dell'attività economica, è
il frutto della considerazione economica diretta al mondo. Qui la realtà in
quanto attività (ovvero produzione dello spirito o della storia) è articolata
in quattro forme fondamentali, suddivise per modo (teoretico o pratico) e grado
(particolare o universale): estetica (teoretica - particolare), logica
(teoretica-universale), economia (pratica - particolare), etica (pratica -
universale). La relazione tra queste quattro forme opera la suddetta logica dei
distinti, mentre all'interno di ognuna di esse si ha la dialettica degli
opposti. All'interno dell'estetica infatti si ha opposizione dialettica tra bello
e brutto, all'interno della logica, l'opposizione è tra vero e falso; nella
economia tra utile e inutile e infine nell'etica tra bene e male.
Estetica C. scrisse anche importanti opere di critica letteraria (saggi su
Goethe, Ariosto, Shakespeare e Corneille, "La letteratura della nuova
Italia" e "La poesia d’ALIGHIERI (si veda)"). Egli si mosse
nell'ambito della sua teoria estetica che mirava alla scoperta delle
motivazioni profonde dell'ispirazione artistica. Quest'ultima era ritenuta
tanto più valida quanto più coerente con le categorie di bello-brutto. La prima
parte della teoria estetica la ritroviamo in opere come Estetica come scienza
dell'espressione e linguistica generale, Breviario di estetica e Aesthetica in
nuce. In seguito modificò questa iniziale teoria stabilendo per la storia un
nesso con la filosofia. L'estetica, dal significato originario del termine
aisthesis (sensazione), si configura in primo luogo come attività teoretica
relativa al sensibile, si riferisce alle rappresentazioni e alle intuizioni che
noi abbiamo della realtà. Come conoscenza del particolare l'intuizione
estetica è la prima forma della vita dello Spirito. Prima logicamente e non
cronologicamente poiché tutte le forme sono presenti insieme nello spirito.
L'arte, come aspetto dell'Estetica, è una forma della vita spirituale che
consiste nella conoscenza, intuizione del particolare che: come forma
dello spirito, come creatività non è sensazione, conoscenza sensibile che è un
aspetto passivo dello spirito rispetto ad una materia oscura e ad esso
estranea; come conoscenza (prima forma dell'attività teoretica) non ha a che
fare con la vita pratica. Bisogna quindi respingere tutte le estetiche che
abbiano fini edonistici, sentimentali e moralistici; quale espressione di un valore
autonomo dello spirito, l'arte non può né deve essere giudicata secondo criteri
di verità, moralità o godimento; come intuizione pura va distinta dal concetto
che è conoscenza dell'universale: compito proprio della filosofia. L'arte può
essere definita quindi come intuizione-espressione, due termini inscindibili
per cui non è possibile intuire senza esprimere né è possibile espressione
senza intuizione. Ciò che l'artista intuisce è la stessa immagine (pittorica,
letteraria, musicale ecc.) che egli per ispirazione crea da una considerazione
del reale, nel senso che l'opera artistica è l'unità indifferenziata della
percezione del reale e della semplice immagine del possibile. La distinzione
tra arte e non arte risiede nel grado di intensità dell'intuizione-espressione.
Tutti noi intuiamo ed esprimiamo: ma l'artista è tale perché ha un'intuizione
più forte, ricca e profonda a cui sa far corrispondere un'espressione adeguata.
Coloro che sostengono di essere artisti potenziali poiché hanno delle intense
intuizioni ma che non sono capaci di tradurre in espressioni, non si rendono
conto che in realtà non hanno alcuna intuizione poiché se la possedessero
veramente essa si tradurrebbe in espressione. L'arte non è aggiunta di una
forma ad un contenuto ma espressione, che non vuol dire comunicare,
estrinsecare, ma è un fatto spirituale, interiore come l'atto inscindibile da
questa che è l'intuizione. Nell'estetica dobbiamo far rientrare anche quella
forma dell'espressione che è il linguaggio che nella sua natura spirituale fa
tutt'uno con la poesia. L'estetica quindi come una linguistica in generale». Dall'estetica deriva
la critica letteraria crociana, espressa in molti saggi. Della logica, C.
tratta essenzialmente nella Logica come scienza del concetto puro); essa corrisponde
al momento in cui l'attività teoretica non è più affidata alla sola intuizione
(all'ambito estetico), ma partecipa dell'elemento razionale, che attinge dalla
sfera dell'universale. Il punto di arrivo di questa attività è l'elaborazione
del concetto puro, universale e concreto che esprime la verità universale di
una determinazione. La logica crociana è anche storica, nella misura in cui
essa deve analizzare la genesi e lo sviluppo (storico) degli oggetti di cui si
occupa. Il termine logica in C. assume quindi un significato più vicino al
termine dialettica ovvero ricerca storiografica. In genere, la Logica di C. è
lontana da criteri scientifico-razionali, e si ispira ai metodi
dell'immaginazione artistica e dell'eleganza estetico-letteraria, nei quali il
filosofo raggiunge risultati eccellenti. Di carattere decisamente diverso è
invece la filosofia delle scienze fisiche, matematiche e naturali delle quali C.
non si occupa affatto nei suoi studi. Del resto, come segnala Geymonat nel suo
Corso di filosofia - immagini dell'uomo, la vera indubbia grandezza di C. va
cercata assai più nella sua opera di storiografo, di critico letterario, ecc.,
che non nella sua opera di filosofo. Gentile ai tempi del direttorato alla
Scuola normale di Pisa. In ogni caso la logica e la filosofia della scienza è
stata sviluppata in Italia da altre correnti di pensiero contemporaneo a quello
crociano, con studiosi fra quali PEANO (si veda) e lo stesso GEYMONAT (si veda).
Un orientamento parzialmente diverso ebbe invece Gentile che, pur criticando
gli eccessi del positivismo, intrattenne anche rapporti con matematici e fisici
italiani e cercò di instaurare un rapporto costruttivo con la cultura
scientifica. Invece C. ha con la logica e la scienza un rapporto difficile. La
sua posizione portò in Italia nella prima metà del Novecento ad uno scontro
dialettico fra due culture contrapposte: quella artistico-letteraria e quella
tecnico-scientifica. Il rapporto conflittuale con le scienze matematiche e
sperimentali Un caso emblematico del giudizio di C. nei confronti della
matematica e delle scienze sperimentali è la sua nota diatriba con il
matematico e filosofo della scienza Enriques, avvenuta in seno al congresso
della Società Filosofica Italiana, fondata e presieduta dallo stesso Enriques.
Questi sostene che una filosofia degna di una nazione progredita non potesse
ignorare gli apporti delle più recenti scoperte scientifiche. La visione di
Enriques mal si confaceva a quella idealistica di C. e Gentile, come pure a
gran parte degli esponenti della filosofia italiana di allora, per lo più
formata da idealisti crociani. C., in particolare, rispose ad
Enriques[84], liquidando in modo deciso - antifilosofico secondo Enriques - la
proposta di considerare la scienza come un valido apporto alle problematiche
filosofiche e sostenendo, anzi, che matematica e scienza non sono vere forme di
conoscenza, adatte solo agli ingegni
minuti» degli scienziati e dei tecnici, contrapponendovi le menti universali», vale a dire quelle dei
filosofi idealisti, come C. medesimo. I concetti scientifici non sono veri e
propri concetti puri ma degli pseudoconcetti, falsi concetti, degli strumenti
pratici di costituzione fittizia. La realtà è storia e solo storicamente
la si conosce, e le scienze la misurano bensì e la classificano come è pur
necessario, ma non propriamente la conoscono né loro ufficio è di conoscerla
nell'intrinseco. Sul tema C. sostenne, tra l'altro, che: Gli uomini di
scienza sono l'incarnazione della barbarie mentale, proveniente dalla
sostituzione degli schemi ai concetti, dei mucchietti di notizie all'organismo
filosofico-storico. (C. da Il risveglio filosofico e la cultura italiana, A
proposito dello sviluppo della logica matematica e dell'introduzione dei
formalismi simbolici, ad opera di matematici e filosofi quali Frege, Peano,
Russell, C. dichiara. I nuovi congegni della logica matematica sono stati
offerti sul mercato. E tutti, sempre, li hanno stimati troppo costosi e
complicati, cosicché non sono finora entrati né punto né poco nell'uso. Vi
entreranno nell'avvenire? La cosa non sembra probabile e, ad ogni modo, è fuori
della competenza della filosofia e appartiene a quella della pratica riuscita:
da raccomandarsi, se mai, ai commessi viaggiatori che persuadano dell'utilità
della nuova merce e le acquistino clienti e mercati. Se molti o alcuni
adotteranno i nuovi congegni logici, questi avranno provato la loro grande o
piccola utilità. Ma la loro nullità filosofica rimane, sin da ora, pienamente
provata. (C. da Logica come scienza del concetto puro. Anni dopo, ancora scrive.
Le scienze naturali e le discipline matematiche, di buona grazia, hanno ceduto
alla filosofia il privilegio della verità, ed esse rassegnatamente, o
addirittura sorridendo, confessano che i loro concetti sono concetti di comodo
e di pratica utilità, che non hanno niente da vedere con la meditazione del
vero. C. da Indagini su Hegel e e schiarimenti filosofici e ribadiva
come: Le finzioni delle scienze
naturali e matematiche postulano di necessità l'idea di un'idea che non sia
finta. La logica, come scienza del conoscere, non può essere, nel suo oggetto
proprio, scienza di finzioni e di nomi, ma scienza della scienza vera e perciò
del concetto filosofico e quindi filosofia della filosofia. C. da Indagini su
Hegel e schiarimenti filosofici. Tuttavia ebbe altresì un cordiale e rispettoso
scambio epistolare con Albert Einstein. Secondo diversi storici e filosofi (es.
Giorello, Bellone, Massarenti), l'influenza antiscientifica di C. e di Gentile
sarebbe stata fortemente deleteria sia sul piano dell'istituzione scolastica
per gli orientamenti pedagogici della scuola italiana, che si sarebbe
indirizzata prevalentemente agli studi umanistici considerando quelli
scientifici di secondo piano, sia per la formazione di una classe politica e
dirigente che attribuisse importanza alla scienza e alla tecnica e portando,
per conseguenza, ad un ritardo dello sviluppo tecnologico e scientifico
nazionale. La scuola sarà caratterizzata dal primato dell'umanesimo
letterario e in particolare dell'umanesimo classico. Tutte le istituzioni
culturali saranno improntate al primato delle lettere, della filosofia e della
storia. Giorello nel quarantennale della morte di C. ha scritto che
"predicò la religione della libertà e per questo gli siamo riconoscenti.
Ma la sua condanna della scienza e la sua estetica hanno causato danni
gravissimi alla nostra cultura. Che ora esige riparazione. Lo stesso Giorello però ha in parte ritrattato
l'affermazione, negando che sia da attribuire a C. il mancato sviluppo
scientifico italiano, adducendo che quelle che lui considerava una
"colpa" sarebbero da accreditare maggiormente alla Chiesa, agli
scienziati stessi e alla classe politica, più che all'idealismo, che trascura
le scienze ma nemmeno le ostacola, definendo la filosofia di Croce interessante sotto altri profili, ma poco
interessante, quando si parla di scienza. C. riteneva le scienze umane e
sociali prive di qualunque validità e del tutto inutili per lo studio dei
fenomeni umani. Lui stesso dichiarò più volte di non riuscire a capire perché
si dovesse sprecare del tempo a studiare i cretini, i bambini e i selvaggi, quando
esistono pensatori come Kant. ilosofia della pratica La legge morale è la suprema forza della vita
e la realtà della Realtà.» (Filosofia della pratica. Etica ed economica, Laterza,
Bari) Economia ed etica vengono trattate in Filosofia della pratica. Economica
ed etica. C. dà molto rilievo alla volizione individuale che è poi l'economia,
avendo egli un forte senso della realtà e delle pulsioni che regolano la vita
umana. L'utile, che è razionale, non sempre è identico a quello degli altri:
nascono allora degli utili sociali che organizzano la vita degli individui. Il
diritto, nascendo in questo modo, è in un certo qual senso amorale, poiché i
suoi obiettivi non coincidono con quelli della morale vera e propria.
Egualmente autonoma è la sfera politica, che è intesa come luogo di
incontro-scontro tra interessi differenti, ovvero essenzialmente conflitto,
quello stesso conflitto che caratterizza il vivere in generale. C. critica
anche l'idea di Stato etico elaborata da Hegel ed estremizzata da Gentile. Lo stato
non ha nessun valore filosofico e morale, è semplicemente l'aggregazione di
individui in cui si organizzano relazioni giuridiche e politiche. L'etica è poi
concepita come l'espressione della volizione universale, propria dello spirito;
non vi è un'etica naturale o un'etica formale, e dunque non vi sono contenuti
eterni propri dell'etica, ma semplicemente essa è l'attuazione dello spirito,
che manifesta in modo razionale atti e comportamenti particolari. Questo
avviene sempre in quell'orizzonte di continuo miglioramento umano. Teoria e
storia della storiografia La storia non
è giustiziera, ma giustificatrice» C., Teoria e storia della
storiografia) La storia e lo spirito: lo storicismo assoluto VICO Come si
evince anche da Teoria e storia della storiografia la filosofia di C., ispirata
soprattutto a VICO, è fortemente storicista. Per ciò, se volessimo riassumere
con una formula la filosofia di C., questa sarebbe storicismo assoluto, ossia
la convinzione che tutto è storia, affermando che tutta la realtà è spirito e
che questo si dispiega nella sua interezza all'interno della storia. La storia
non è dunque una sequela capricciosa di eventi, ma l'attuazione della Ragione.
La conoscenza storica ci illumina a proposito delle genesi dei fatti, è una
comprensione dei fatti che li giustifica con il suo dispiegarsi. Si delinea in
quest'ottica il compito dello storico: egli, partendo dalle fonti storiche,
deve superare ogni forma di emotività nei confronti dell'oggetto studiato e
presentarlo in forma di conoscenza. In questo modo la storia perde la sua
passionalità e diviene visione logica della realtà. Quanto appena affermato si
può evincere dalla celebre frase la
storia non è giustiziera, ma giustificatrice». Con questo afferma che lo
storico non giudica e non fa riferimento al bene o al male. Quest'ultimo
delinea, inoltre, come la storia abbia anche un preciso orizzonte gnoseologico,
poiché in primo luogo è conoscenza, e conoscenza contemporanea, ovvero la
storia non è passata, ma viva in quanto il suo studio è motivato da interessi
del presente. Il bisogno pratico, che è nel fondo di ogni giudizio storico,
conferisce a ogni storia il carattere di "storia contemporanea",
perché, per remoti e remotissimi che sembrino cronologicamente i fatti che vi
entrano, essa è, in realtà, storia sempre riferita al bisogno e alla situazione
presente, nella quale quei fatti propagano le loro vibrazioni.La storiografia è
in seconda istanza utile per comprendere l'intima razionalità del processo
dello spirito, e in terzo luogo essa è conoscenza non astratta, ma basata su
fatti ed esperienze ben precise. Anche se subisce l'influsso dello storicismo
di Voltaire, C. critica gli illuministi e in generale tutti coloro che
pretendono di individuare degli assoluti che regolino la storia o la
trascendano: invece la realtà è storia nella sua totalità, e la storia è la
vita stessa che si svolge autonomamente, secondo i propri ritmi e le proprie
ragioni. La storia è un cammino progressivo per cui Nulla c'è al di fuori dello spirito che
diviene e progredisce incessantemente: nulla c'è al di fuori della storia che è
per l'appunto questo progresso e questo divenire. Ma il positivo destinato a
superare storicamente la negatività dei periodi bui della storia non è una
certezza su cui adagiarsi: questa consapevolezza del progresso storico deve
essere confermata da un impegno costante degli uomini in azioni i cui risultati
non sono mai scontati né prevedibili. La storia diviene, allora, anche storia
di libertà, dei modi in cui l'uomo promuove e realizza al meglio la propria
esistenza. La libertà si traduce, sul piano politico, in liberalismo: una sorta
di religione della libertà o di metodo interpretativo della storia e di
orientamento dell'azione, che è imprescindibile nel processo del progresso
storico-politico, come si evince dal volume. La storia come pensiero e come
azione Per C. la libertà può essere apprezzata solo difendendola costantemente
in maniera dialettica, poiché la storia è necessariamente contrasto. Chi
desideri in breve persuadersi che la libertà non può vivere diversamente da
come è vissuta e vivrà sempre nella storia, di vita pericolosa e combattente,
pensi per un istante a un mondo di libertà senza contrasti, senza minacce e
senza oppressioni di nessuna sorta; e subito se ne ritrarrà inorridito come
dall'immagine, peggio che della morte, della noia infinita.» (La storia
come pensiero e come azione). Ciò però non vuol dire che C. giustifichi la
violenza come necessaria; nello stesso saggio ammonisce infatti che la violenza non è forza ma debolezza, né mai
può essere creatrice di cosa alcuna, ma soltanto distruggerla». La
concezione storica crociana ebbe grande seguito in Italia per molto tempo ed
ebbe notevole influenza anche all'estero, ad esempio per quanto riguarda la
formazione del maggior storico americano del nazismo, George Mosse. C. interviene
al congresso liberale. C. critico letterario, specie quello di Poesia e non
poesia, esercitò molta influenza successiva, quasi una "dittatura
intellettuale sulla cultura italiana, ma ricevette anche critiche: ad esempio
furono ritenute scorrette, "pseudoconcetti" (riprendendo una parola
usata da Croce), poiché non presentate come opinione personale ma come veri
canoni estetici, varie tesi, come la sua opposizione alle novità letterarie
europee, esemplificate dalle stroncature verso gran parte dell'opera di
Annunzio, Pascoli (di cui apprezzò solo alcune parti di Myricae e dei Canti di
Castelvecchio criticando i saggi e le poesie civili), del crepuscolarismo e di Leopardi:
di quest'ultimo salvò, nei Canti, gli idilli e i canti pisano-recanatesi, ma
criticò le poesie dottrinali e polemiche (in particolare i Paralipomeni della
Batracomiomachia e la Palinodia al marchese Capponi) e le opere filosofiche
(apprezzò solo una minima parte delle Operette morali), affermando che quella
leopardiana non era vera filosofia, ma solo uno sfogo poetico in prosa,
inferiore comunque alle liriche, dovuto esclusivamente alle condizioni fisiche
e psicologiche del poeta recanatese. C. non considera Leopardi un vero
filosofo, come Schopenhauer, a cui invece riconosce dignità filosofica ma che
non apprezza come individuo poiché ritenuto cinico e indifferente, ma solo un
pensatore, il cui pensiero è essenzialmente al servizio della sua poesia. Sulla
scorta di Sanctis, esprime simpatia umana al poeta recanatese per lo spirito
civile, l'impegno e la lotta eroica contro le sofferenze fisiche, come espresso
nella poesia La Ginestra. Egli fu grande ammiratore soprattutto del Carducci,
in quanto classicista, razionale e sentimentale al tempo stesso, ma senza
scadere nel sentimentalismo irrazionale, e, a proposito del decadentismo e
degli autori di questo movimento, scrisse, in Del carattere della più recente
letteratura italiana: Nel passare da
Carducci a questi tre, sembra, a volte, come di passare da un uomo sano a tre
malati di nervi». La polemica contro il decadentismo è figlia di quella contro
il positivismo: Croce sostiene che il misticismo decadente, che egli disapprova
come sintomo di vuoto spirituale e filosofico (C. è razionalista e idealista al
tempo stesso), è figlio dello scientismo positivistico e delle pseudoscienze da
esso generate (come lo spiritismo): Di qua il positivismo, di fronte il
misticismo; perché questo è figlio di quello: un positivista dopo la gelatina
dei gabinetti, non credo abbia altro di più caro che l'inconoscibile, cioè la
gelatina dove si coltiva il microbio del misticismo». Le opere di C. spaziano
dalla filosofia, alla storiografia, all'aneddotica, alla critica letteraria e
all'erudizione storica. Qui si indicano le più importanti. Per un elenco
completo si veda L'opera di Benedetto Croce, bibliografia a cura di S. Borsari,
Napoli, Istituto italiano per gli studi storici, I principi dell'estetica
crociana, oltre ad essere formulati in opere organiche, trovarono anche
applicazione critica in prefazioni e curatele di opere altrui. Tale è, ad
esempio, la prefazione all'opera di Parodi, Poesia e letteratura: conquista di
anime e studi di critica, pubblicata postuma da Laterza, a cura di C.. Il
filosofo napoletano collabora inoltre con numerosi articoli su vari argomenti
pubblicati su molti giornali e riviste stranieri e italiani (Cfr. Panetta,
Settant'anni di militanza: C., tra riviste e quotidiani) Ad esempio la sua
collaborazione con il quotidiano Il Resto del Carlino dura per più di 40 anni. Filosofia
dello spirito Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale
Logica come scienza del concetto puro Filosofia della pratica. Economica ed
Etica Teoria e storia della storiografia; Problemi di estetica e contributi
alla storia dell'estetica italiana La filosofia di VICO Saggio sullo Hegel
seguito da altri scritti di storia della filosofia Materialismo storico ed
economia marxistica Nuovi saggi di estetica Etica e politica. La poesia.
Introduzione alla critica e storia della poesia e della letteratura La storia
come pensiero e come azione Il carattere della filosofia moderna Discorsi di
varia filosofia; Filosofia e storiografia; Indagini su Hegel e schiarimenti
filosofici; Perché non possiamo non dirci "cristiani"; Primi saggi
Cultura e vita morale L'Italia. Pagine sulla guerra Pagine sparse; Nuove pagine
sparse; Terze pagine sparse; Scritti e discorsi politici; Carteggio C.-Vossler;
C. - Papini, Carteggio; Il caso Gentile e la disonestà nella vita universitaria
italiana; Saggi sulla letteratura italiana del Seicento La rivoluzione
napoletana La letteratura della nuova Italia; I teatri di Napoli dal
Rinascimento alla fine del secolo decimottavo La Spagna nella vita italiana
durante la Rinascenza Conversazioni critiche Storie e leggende napoletane
Manifesto degli intellettuali antifascisti Goethe Una famiglia di patrioti ed
altri saggi storici e critici Ariosto, Shakespeare e Corneille Storia della
storiografia italiana nel secolo decimonono; La poesia di Dante Poesia e non
poesia Storia del Regno di Napoli Uomini e cose della vecchia Italia Storia
d'Italia; Storia dell'età barocca in Italia Nuovi saggi sulla letteratura
italiana del Seicento Storia d'Europa nel secolo decimonono Poesia popolare e
poesia d'arte Varietà di storia letteraria e civile Vite di avventure, di fede
e di passione Poesia antica e moderna Poeti e scrittori del pieno e del tardo
Rinascimento La letteratura italiana del Settecento Letture di poeti e
riflessioni sulla teoria e la critica della poesia Aneddoti di varia
letteratura Morra e Castro Edizione nazionale La casa editrice Bibliopolis ha
in corso di pubblicazione l'edizione nazionale delle opere di C., promossa con
Decreto del Presidente della Repubblica. Eugenio Montale, Tutte le poesie,
Milano, Mondadori, Enciclopedia italiana Treccani alla voce
"neoidealismo" Severino, La filosofia dai Greci al nostro tempo. La
filosofia contemporanea, Milano, Rizzoli, Giorello, Dimenticare Croce? C. - Senato
Partito Liberale Italiano nato
nel 1924, sciolto durante il fascismo e ricostituito». In Enciclopedia Treccani
alla voce "Partito Liberale Italiano" Pagina jpg del Corriere
del Mezzogiorno: Luigi Mosca, L'America innamorata di C. La prestigiosa rivista
USA "Foreign Affairs" lo incorona tra i pensatori più attuali, Einaudi
infatti sosteneva che il liberismo non è
né punto né poco "un principio economico", non è qualcosa che si
contrapponga al liberalismo etico; è una "soluzione concreta" che
talvolta e, diciamo pure, abbastanza sovente, gli economisti danno al problema,
ad essi affidato, di cercare con l’osservazione e il ragionamento quale sia la
via più adatta, lo strumento più perfetto per raggiungere quel fine o quei
fini, materiali o spirituali che il politico o il filosofo, od il politico
guidato da una certa filosofia della vita ha graduato per ordine di importanza
subordinandoli tutti al raggiungimento della massima elevazione umana.» (in Einaudi,
Il buongoverno. Saggi di economia politica, a cura di Rossi, Il filosofo dedica
ai paesi degli avi, sia paterni che materni, due monografie, intitolate
Montenerodomo: storia di un comune e due famiglie e Pescasseroli, uscite per
Laterza e in seguito collocate in appendice alla Storia del Regno di Napoli
(Laterza, Bari). È noto, a tal
proposito, l'aneddoto narrato in un testo coevo, secondo il quale il padre del
filosofo, prima di morire tra le macerie, avrebbe detto al figlio offri centomila lire a chi ti salva». Cfr.
Balzo, Cronaca del tremuoto di Casamicciola, Tip. De Blasio e C., Napoli, Un'analisi
di quella traumatica esperienza anche in relazione all'opera di C. è in S.
Cingari, Il giovane C. Una biografia etico-politica, Rubbettino, Soveria
Mannelli, Il problema del male nell’indagine di Cucci. Testimonianza di C. sul
terremoto C., Memorie della mia vita,
Istituto italiano per gli studi storici, Napoli. "Il superstite è accolto allora nella
casa romana del politico Spaventa, cugino del padre e fratello del filosofo. Il
lutto, lo spaesamento, l’adolescenza: non stupisce che questa miscela abbia
precipitato il giovane in una crisi d’ipocondria; e l’ostentato contegno
olimpico dell’adulto deriva forse da questo periodo oscuro. Quegli anni», confessa l’autore del
Contributo, furono i soli nei quali
assai volte la sera, posando la testa sul guanciale, abbia fortemente bramato
di non svegliarmi al mattino». Nella Roma del trasformismo, Benedetto si chiude
in biblioteca. Ma a scuoterlo è Labriola, che con le lezioni sull’etica di Herbart
gli offre un appiglio cui aggrapparsi nel naufragio della fede. C. ricorda di
averne recitato più volte i capisaldi sotto le coperte, come una
preghiera": v. A cento anni dal “Contributo” di C., di Matteo Marchesini,
Sole 24 ore, Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Ministri
della Pubblica Istruzione, su storia.camera.
Ultimo Governo Giolitti, su storia.camera. Jannazzo, C. e la corsa verso
la guerra, in Idem, C. e il prepartito degli intellettuali, Zisa, Palermo, Levi
della Vida, Fantômes retrouvés, Diogène, Gnoli, C. e il suo fantasma, in la
Repubblica, Camera dei deputati - Portale storico; citato in Levi Della Vida,
Fantasmi ritrovati, Venezia, Salvatore Guglielmino/Hermann Grosser, Il sistema
letterario. Guida alla storia letteraria e all'analisi testuale: Novecento; Casa
Editrice G. Principato S.p.A.,. Guglielmino/Grosser, Sambugar, Salà,
Letteratura italiana, C. e il manifesto antifascista. Levi, Potassio, in Il sistema periodico, poi
in Opere, Torino, Einaudi, La più
efficace difesa della civiltà e della cultura si è avuta in Italia, per opera
di C.. Se da noi solo una frazione della classe colta ha capitolato di fronte
al nemico a differenza di quel che è avvenuto in Germania, moltissimo è dovuto
al C.. (Ruggiero) Osserva Nicola Abbagnano nella sua Storia della filosofia: Il regime fascista, certo per costituirsi un
alibi di fronte agli ambienti internazionali della cultura, consentì
tacitamente a C. una certa libertà di critica politica; e Croce si avvalse di
questa possibilità [...] per una difesa degli ideali di libertà... Negli anni
del fascismo e della seconda guerra mondiale la figura di C. ha assunto perciò,
agli occhi degli italiani, il valore di un simbolo della loro aspirazione alla
libertà, e ad un mondo in cui lo spirito prevalga sulla violenza. E tale si
mantiene a distanza di anni. Il terzo volume del carteggio tra C. e Laterza
(l'editore delle opere crociane) offre una grande quantità di esempi delle
difficoltà di mantenersi in equilibrio “tra l'opposizione concreta e
organizzata al fascismo, e l'adesione o la cinica indifferenza”. Esempi “quasi
tutti orientati però verso una precisa direzione: quella dell'autocensura, a
volte praticata, altre volte orgogliosamente respinta... Tra i molti casi che
potrebbero essere citati a illustrazione di questo atteggiamento, è notevole
quello sorto attorno alla dedica apposta da Paolo Treves, nel libro sulla
filosofia di Campanella, al padre Claudio, scrittore e parlamentare socialista,
famigerato tra i fascisti soprattutto per il celebre duello ingaggiato con
Mussolini. La dedica recitava: “A mio padre, che mi additò con l'esempio la
dignità della vita”. Laterza scrive a C. accostando, con diplomatica
sottigliezza, la lettura di un volgare trafiletto anticrociano e antilaterziano
sul “Lavoro fascista” alla questione della dedica, che egli propone al Treves
di limitare “alle prime tre parole essenziali, non essendo opportuno motivarla
allo stato attuale delle cose”. Alla lettera C. risponde il giorno dopo,
tranquillizzando Laterza sulla “purezza” del lavoro storico del Treves e
sull'assenza in esso di riferimenti al presente, e aggiungendo, con maliziosa e
retorica ingenuità: “ma veramente non capisco perché vi abbia fatto senso
quella dedica affettuosa di un figlio al padre. O che la dignità della vita (il
corsivo è ovviamente di Croce) è un fatto politico del giorno?”. Comunque sia,
la dedica uscì poi nella versione “purgata”. Maurizio Tarantino, recensione a C.-Giovanni
Laterza, Carteggio, a c. di Antonella Pompilio, Napoli, Roma-Bari, Istituto
italiano per gli studi storici, Laterza, “L'indice”. L'episodio è narrato con dovizia
di particolari in una lettera di Nicolini a Gentile riportata da Sasso in Per
invigilare me stesso, Bologna, Il mulino, Barbera, La biblioteca esoterica.
Carteggi editoriali Evola-C.-Laterza, Roma, Fondazione Julius Evola, Cesare
Medail, Evola: mi manda Don Benedetto, in Corriere della Sera, Cfr. la
prefazione del testo Lettere di Julius Evola a C.. Regio Decreto Legge, Disposizioni
sull'istruzione superiore (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia,
Tacchi, Storia illustrata del fascismo, Giunti, La Repubblica, Giarrizzo
rivendicò con una punta di orgoglio l'essere annoverato tra i “nipotini” di C.
(se, nel corso di uno sgradevole scontro, sono stato per Martino un basco verde di Palazzo Filomarino. Giarrizzo,
Giuseppe, Di C. e del filosofare sine titulo, Archivio di storia della cultura:
Napoli: Liguori, si veda: Gramsci, Il
materialismo storico e la filosofia di C.
C., Epistolario, I, Napoli, Istituto italiano per gli studi storici, La
vicenda è descritta e analizzata da Sasso, La guerra d'Etiopia e la “patria”,
in Per invigilare me stesso, Bologna, Il mulino, Battista, Corriere della Sera,
B. Croce, Taccuini di lavoro, Napoli, La tentazione antisemita di tre
antifascisti liberali Dante Lattes, Ferruccio
Pardo, C. e l'inutile martirio d'Israele. L'ebraismo secondo C. e secondo la
filosofia crociana Sarfatti, Il ritorno
alla vita: vicende e diritti degli ebrei in Italia dopo la seconda guerra
mondiale, Tompkins, L'altra Resistenza. Servizi segreti, partigiani e guerra di
liberazione nel racconto di un protagonista, Il Saggiatore, C. rimane fermo
sulle sue posizioni: l'unica condizione alla quale i partiti antifascisti
dell'opposizione avrebbero accettato di entrare nel governo di Badoglio è
l'abdicazione di Vittorio Emanuele III. È stato il re, dice C., ad APRIRE LE
PORTE AL FASCISMO, favorendolo, appoggiandolo e servendolo per 'anni. Tompkins,
Operti, Lettera aperta a C., Torino, Lattes, Mazzini, poi in Scritti e discorsi
politici, Bari, Laterza; sulle caratteristiche "affettive" del
pronunciamento di C. al referendum, vedi Fulvio Tessitore, Il percorso
psicologico dalla monarchia alla repubblica attraverso i Taccuini di lavoro di
C., in C. e la nascita della Repubblica. Atti del convegno tenutosi presso il
Senato della Repubblica, Soveria Mannelli, Rubbettino, "non sono veri liberali...coloro che si
fregiano, come ora taluni hanno preso a fare, del nome di monarchici, perché il
liberalismo non ha altro fine che quello di garantire la libertà" e se
"la forma Repubblicana gli offre questa...garanzia quando non gliene offre
sicura la monarchia, sarà anche eventualmente repubblicano" (Taccuini di
lavoro; "se il tentativo la duplice abdicazione di Vittorio Emanuele III e
di Umberto II] fallisse, noi sosterremo il partito della Repubblica,
adoperandoci a farla sorgere temperata e non sfrenata, sennata e non
dissennata" (Taccuini di lavoro. C., mai nominato, formalmente rifiutò
prima ancora che la sua ventilata nomina potesse concretizzarsi. (In Galliani,
Il Capo dello Stato e le leggi, Giuffrè, Ente Morale, su Uni SOB.na.Senato
della Repubblica-Cinecittà Luce, Il filosofo della libertà: Napoli - il
funerale di C. C., Maria Curtopassi, Dialogo su Dio: carteggio, Archinto, Il
carteggio fra C. e Curtopassi è stato pubblicato presso la casa editrice
Archinto da Giovanni Russo, autore anche della nota introduttiva, Griffo, Il
pensiero di C. tra religione e laicità. La citazione è tratta da: C, Taccuini
di lavoro, vol. 6, Napoli. C., Perché non possiamo non dirci anticoncordatari.
Discorso contro i patti lateranensi, tratto da: C., Discorsi parlamentari, Bardi
editore, Roma, Atti parlamentari della Camera: Guido Verucci, Idealisti
all'Indice. C., Gentile e la condanna del Sant'Uffizio, Laterza, Capitini, La
compresenza dei morti e dei viventi, Il Saggiatore, Milano, La Critica. Rivista
di Letteratura, Storia e Filosofia diretta da C., Il ministro dell'Educazione
Nazionale, Bottai alluse ironicamente all'operetta crociana con un articolo intitolato
Benedetto Croce rincristianito per dispetto (In Ruggiero Romano, Paese Italia:
venti secoli di identità, Donzelli Editore,Perché non possiamo non dirci
"cristiani, in La Critica; poi in Discorsi di varia filosofia, Laterza,
Bari, Croce, M. Curtopassi, Dialogo su Dio. Carteggio op.cit. ibidem. Focher,
Rc. a Capanna, La religione in C.. Il momento della fede nella vita dello
spirito e la filosofia come religione, Bari, in Rivista di studi crociati, Sandro
Magister, Colloquio con Foa (Da l'Espresso, Documenti) In Vittorio Messori, Pensare la storia: una
lettura cattolica dell'avventura umana, Paoline, Nello Ajello, Solo per amore,
"La Repubblica, Sasso, Per invigliare me stesso, Bologna, Il mulino, Nel
registro mortuario di Raiano, vicino a L'Aquila, viene indicata erroneamente
come "moglie del senatore C." C. e l'amore Giannangeli, C. a Raiano, in
"L'Osservatore politico letterario", Milano-Roma, Morta Alda C.,
figlia di C. È morta Silvia C. l'ultima
nata del filosofo Morta Lidia, l'ultima
figlia ancora vivente di C. Si è spenta a Napoli. Il pensiero filosofico di C.
- senato C., La storia come pensiero e come azione, Laterza, Bari Saggio
sullo Hegel C., da "papa
laico" a grande dimenticato
Grassano, La filosofia politica di Popper: 1 - La critica della
dialettica hegeliana e dello storicismo; commento a La società aperta e i suoi
nemici e Miseria dello storicismo di Popper
Croce e il totalitarismo
Carteggio C.-Omodeo Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto,
Bompiani, Milano In opposizione al positivismo che voleva riportare la storia
ad una forma della scienza, Croce si era interessato dell'estetica nella quale
avrebbe dovuto essere compresa la storia; cfr. La storia sotto il concetto
generale dell'arte, Bari. Per questo
motivo C. della Divina Commedia di Dante apprezza la prima cantica dell'Inferno
in quanto risultato di una forte e sentita intuizione-espressione, mentre
apprezza meno la cantica del Paradiso dove Dante mescolerebbe poesia e
filosofia Nella premessa C. scrive di
aver trattato l'argomento nello scritto intitolato Lineamenti di una logica
come scienza del concetto puro pubblicato negli Atti dell’Accademia pontaniana.
In effetti però avverte C. che il volume È una seconda edizione del mio pensiero,
piuttosto che del mio libro» (C., Logica, Ricerca in Italia. Un passato da
salvare, conferenza del prof. Bernardini, dal sito Centro Studi Enriques, C.,
La storia come pensiero e come azione, Laterza, Bari. Quel che si scrivevano
Einstein e C. Dimenticare C.? (Corriere della
Sera) La scienza negata. Il caso
italiano, Codice, l'Italia della scienza negata (dal blog de Il Sole 24
Ore) Ministro dell'Istruzione del
governo MUSSOLINI, promotore della riforma scolastica varata in Italia. Radice
in Faracovi, Enriques, Approssimazione e
verità, Belforte, Livorno, Giorello, Dimenticare C.?, in Il Corriere della
Sera, L'arretratezza dell'Italia in campo scientifico è il risultato di cattive
scelte dei politici da una parte e di resistenze culturali e di incapacità
degli scienziati stessi a comunicare dall'altra e che quindi risultano
indipendenti dall'idealismo crociano. A livello culturale, casomai, esistono
altre forze che potrebbero essere imputate del ritardo scientifico, si veda per
esempio la nefasta influenza della Chiesa in merito ad alcuni aspetti delle
ricerche bioetiche. La mia perplessità nei confronti di Croce non riguarda le
pretese conseguenze della sua filosofia sullo sviluppo tecnico-scientifico del
nostro Paese. Mi sembra che sia una polemica datata e ormai superata. Non credo
che dalle posizioni antiscientifiche di Croce derivi un ritardo della società
italiana nei confronti della scienza. Quella di C. è una filosofia interessante
sotto altri profili, ma poco interessante, quando si parla di scienza e quindi
è deficitaria sotto il profilo di una seria trattazione del problema della
conoscenza.» (Giorello), in È vero che C. odiava la scienza? - Dialogo tra
Giorello e Ocone, Matera, Biscaldi, Giusti, Pezzotti, Rosci, Scienze umane -
Corso integrato, Marietti Scuola, 9. C., La storia come pensiero e come azione,
Laterza, Bari, Abbagnano, Storia della filosofia, Benadusi, Caravale, M.s
Italy: Interpretation, Reception, and Intellectual Heritage, Palgrave
Macmillan, Sambugar, Salà, Letteratura italiana
Paolo Ruffilli, Introduzione alle Operette morali di Leopardi, ed.
Garzanti Sebastiano Timpanaro,
Classicismo e illuminismo nell'Ottocento italiano C., Schopenhauer e il nome del male Si riferisce a d'Annunzio, Fogazzaro e
Pascoli Riportato in Pazzaglia,
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carattere della più recente letteratura italiana, in Letteratura della nuova
Italia, Bari, Dino Biondi, Il Resto del Carlino, Edizioni Nazionali istituite
anteriormente alla legge su Ministero per i Beni e le Attività Culturali, concernente
l'«Edizione Nazionale delle opere di C. Integrazione della composizione della
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dell'Edizione Nazionale delle opere di C.».Bibliografia Fassò, C., in Novissimo
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Operatori letterari abruzzesi, Lanciano, Itinerari). Damiano Venanzio Fucinese,
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della dialettica, Napoli, Morano, Badaloni, Muscetta, Labriola, Croce, Gentile,
Roma-Bari, Laterza (in part. di Muscetta: La versatile precocità giovanile di
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«La Critica. Rivista di letteratura, storia e filosofia» ai «Quaderni della
“Critica”» su biblioteca filosofia.uniroma1. C., il filosofo liberale, sul RAI
Filosofia, su filosofia.rai. Alessandra Tarquini, C., il filosofo liberale, Radio3.
Aus dieser Schule
sind die beiden großen zeitgenössischen Philosophen Italiens
hervorgegangen, C. und Gentile. Beide
Denker knüpfen an die J Gentile, Che cosa e il fascismo. Gentile hat einen
Neudruck seiner Werke veranlaßt. In seiner,,Introduzione alla filosotia'
sagt er: Damit aus einem Volke eine Nation werde, muß es sich seiner
Nationalität, seiner Kraft und seiner Kultur bewußt sein. Philosophie
Hegels an, die gerade in Italien, namentlich an der Universität Neapel,
von jeher gepflegt wurde. C. übernimmt von dem großen deutschen Denker den
Leitgedanken, nämlich die Idee des Geistes als einer
dialektischen Tätigkeit, die sich im Rhytmus von Gegensätzen bewegt. Diese
Gegensätze formuliert er allerdings etwas anders als Siegel, indem er
zwischen kontradiktorischen und nur konträren Momenten unterscheidet. Ferner
lehnt C. die empirischen Gedanken völlig ab; für ihn erzeugt nur der Geist die
Realität. Es gibt in der
Welt nichts, was nicht Manifestation des Geistes wäre. Er gliedert sich
in zwei Hauptformen: theoretische Aktivität (Erkennen) und praktische
(Wollen und Handeln). Unterformen sind: intuitives Anschauen (Kunst),
intellektuelles Denken (Wissenschaft), ulititalisches Handeln (Ökonomie),
moralisches Wollen (Ethik). So schrieb denn C. ein Buch über Lebendiges
und Totes in Hegels Philosophie und betonte seine innere Verwandtschaft
mit Vico, dessen Lehre er gleichfalls eine besondere Schrift gewidmet
hat. Diese Verwandtschaft tritt besonders in C. Werken über Historik
und Ästhetik hervor. Diese und andere Bücher des italienischen
Philosophen haben internationales Ansehen erlangt. Gentile schließt sich
zwar im allgemeinen an den Geist der Hegelschen Dialektik an. Er faßt sie aber
nicht als abstrakte Reflexion auf, sondern als konkretes Denken, das
zugleich ein landein ist. Daher bezeichnet er seine Philosophie als
Aktualismus. Die wahre Realität liegt in dem schöpferischen Akt des
Geistes. Dieser ist nicht etwa nur Bewußtsein und Kontemplation der Welt,
sondern schöpferisches Hervorbringen der Welt; Ethik und Politik sind
daher ein Ausfluß des Geistes. Selbst die historische Schau bedeutet nicht
nur einen Bericht über Geschehnisse der Vergangenheit, sondern auch eine
geistige Schöpfung 1). In dieser Lehre erblickt Gentile eine Fortführung
der italienischen Tradition, die von Bruno bis auf Vico, Gioberti und
Spaventa reicht. Er hat sich vollkommen dem Faschismus angeschlossen, war
eine Zeitlang Unterrichtsminister und Urheber einer tiefgreifenden
Schulreform. Gentile hat auch wichtige Beiträge zur Staatstheorie des
Faschismus geliefert 2 ), welche weiter unten erwähnt werden sollen. Es
sei noch hinzugefügt, daß auf dem Gebiete der Rechtsphilosophie sich G. Del
Vecchio auch außerhalb Italiens einen Namen gemacht hat durch seinen
Kampf gegen den reinen Rechtspositivismus und seine philosophische
Begründung des Imperialismus; dadurch hat seine Lehre eine nahe Beziehung
zum Faschismus. Von den zahlreichen Schriften Gentiles ist,,Der aktuale Idealismus“
auch in deutscher Übersetzung erschienen. -I Vgl. besonders „Che cosa e il fascismo", „La
filosolia de] fascismo“. Charakteristisch ist der Satz:,,Lo stato del fascismo
e una creazionc tutta spirituale". Benedetto Croce. Croce. Keywords: idealism,
la filosofia di Croce come antecedente del fascismo, Mussolini giornalista, la
ruttura Croce-Gentile – l’idealismo di Croce pre-fascismo come fascista: hegel,
idea dello spirito, idealism assoluto, la relazione tra Vico e Hegel. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Croce:
implicatura: intenzione, espressione, e communicazione” Croce.


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