BALOESSAR EASTUiLIONE puhulicato per cura BKI. C'ON’I'K CARLO BALDI DI VB8MK Sraatorv 4«1 n*giio di S«ntrgo^ >• 5 /( 6 ? 552 > -ìj 54(5 ?> O P E R E V «lei cuDtv BALDKSSAR CASTUiLlONE. VOI.UMi; l'IUMO. DIgllized by Digitized by Google F. 6'- COKTROIAAO DEL CONTE KALDHSSAR (CASTIGLIONE PLBLICATO PEH CUBA l»Kf. C'ON’TK C;AHI.<» BAUni »l VENUK Senitura del Regno di Serdegnn. FIUENZE. KKLinK LE MONNIEH. 185 «. Digilized by Goosle Digilized by Googlf Nel ripublicare, corretta sopra i migliori testi, la princi- pale fra le opere del Conte Bàldassar Castiglione, alla quale va più particolarmente debitore dell’alta sua fama come scrittore, non è nostra intenzione di farla precedere dalla esposizione della vita e dall’ esame degli altri scritti letterarii e politici dell’Autore; che l’uno e l’altra aggiungeremo in luogo più opportuno dove ne publicheremo le Lettere, in parte inedite, e gli altri scritti latini e volgari. Crediamo tut- tavia non inutile premettere al presente Volume alcuna pa- rola intorno a questa sua opera, che fu accolta con univer- sale applauso fino dal primo apparire, e che, unica nel suo genere in Italia, viene meritamente reputata fra le più leg- giadre scritture che vanti la lìngua nostra. Movevasi il Castiglione, com’egli stesso riferisce, a scri- vere il Dialogo del Cortegiano per la grata memoria degli anni passati a’ servigii di Guidubaldo da Montefeltro duca d’Urbino; ed, introducendo ad interlocutori i principali fra i personaggi che con lui si trovavano in quella Corte, ne traeva occasione di encomio ai principi di Urbino, ed a’ suoi com- pagni ed amici erigeva in quest’ opera un monumento non perituro. Nel presente Dialogo tolse il Castiglione ad imitare Pla- tone, Senofonte, e sopratutto Cicerone, nelle opere dove cer- carono ritrarre l’ idea della perfetta Republica, del perfetto Re, del perfetto Oratore, come il Castiglione l’ idea del per- fetto Cortegiano. Se non che mal si apporrebbe chi, dalle a Digitized by Google — li- cose dei nostri tempi o di quelli a noi più vicini estimando gli usi del tempo del Castiglione, e dell’ opera traendo giudìzio dal solo titolo, credesse raccogliersi in questo libro ridotte ad arte le vanità o nequizie che troppo spesso infettano le corti. Lo stesso universale consenso, con che fino dai tempi dell’Au- tore quest’opera fu ricercata e tenuta in sommo pregio den- tro e fluori d'Italia, dimostra come, sebbene col titolo e con Li scelta degli interlocutori il Castiglione intendesse a pagare alla corte di Urbino un tributo di gratitudine e di lode, pure in realtà nel suo Dialogo non tanto espresse l’idea di un perfetto Cortcgìano, quanto sodisfece ad un più vero ed uni- versale bisogno. Il Dialogo del Cortegiano del Castiglione di- fatti nella massima sua parte altro non è, che un trattato di morale e di bel costume, nel quale con fine giudizio e bello stile si espone, secondo i consigli della ragione e della espe- rienza, di quali doti da natura e dall’arte debba essere for- nito chi voglia procacciarsi la stima e l’ affetto delle persone che lo circondano ; soltanto in una parte del IV Libro trat- tandosi dei doveri del Cortegiano come tale, ed insieme di quelli del principe. Il libro incomincia con un elogio di Federico da Monte- feltro e del suo figliolo Guidubaldo duchi di Urbino, e di va- ni fra gli uomini insigni che praticavano in quella corte. Finge poscia l’Autore proposto da Federico Fregoso e scelto ad ar- gomento di conversazione, il formare con parole un perfetto Cortegiano ; onde si dimostrasse , ■ che in tutta Italia forse con fatica si ritrovariano altrettanti cavalieri così singolari, ed, oltre alla principal profession della cavalleria, così eccellenti in diverse cose, » come allora si trovavano alla corte di Ur- bino. Il Conte Ludovico da Canossa, al quale ne fu dato l’in- carico , descrive le qualità di corpo , d’ animo e di fortuna , che 0 per sè stesse, o nella opinione altrui, valgono ad ag- giunger pregio, 0 siano esse dono di natura, od opera dello studio e dell’arte, come scienza di lettere, cognizione di va- Digitized by Coogle lU — rie lingue, di musica, di disegno, di pittura. Nel primo libro inoltre v’ ha una lunga ed importante digressione, nella quale il Castiglione esprime le sue opinioni intorno al modo di par- lare e di scrivere la nostra lingua. Avendo cioè il Canossa dichiarato, doversi in ogni cosa con sommo studio fi^gire rafTettaùone, e perciò anche nello scrivere e nel parlare: Ludovico da Canossa condanna l’ uso di parole e di modi an- tiquati e caduti in desuetudine; laddove Federico Fregoso vuole siadoprino, eccede aggiungano spesso grazia e gravità al discorso. Colla stessa occasione l’ Autore espone la sua dottrina intorno alla ortografia: nel che, come noteremo più sotto, dà senza dubio in grave eccesso, svestendo la lingua italiana del proprio carattere, troppo concedendo alla etimo- logia e ritraendo la nostra lingua alia forma latina. Federico Fregoso, quegli stesso che aveva proposto il gioco o ragionamento del Cortegiano, fu incaricato di prose- guirlo la seguente sera, e nominatamente di esporre, quando e come si abbia a far uso delle buone qualità descritte dal Conte Ludovico. Essendo quindi caduta menzione delle face zie, Bernardo Bibiena ne discorre ampiamente, portandone molti esempii. Tutto questo lungo tratto, nel quale, ma non servilmente, è seguito Cicerone nel secondo Libro De Orato- re, è uno dei più ameni del Dial(^o, e quasi un riposo fra i gravi ragionamenti delle qualità richieste nel Cortegiano. Tolta occasione da alcuna parola che pone in bocca a Gasparo Pallavicino contro le femine, nel terzo Libro, sotto la persona di Giuliano de’Medici il Magnifico, l’Autore espone di quali doti debba essere ornata una perfetta Donna di Palazzo; passa indi agli elogi delle donne, e adduce esempii di molte che furono insigni per ogni genere di virtù; tratta del modo con che debbano comportarsi con chi loro parli di amore; ed infine, tornando Gaspar Pallaviciuo a dir mal delle donne, l’Autore, per bocca di Ottaviano Fregoso, conchiude, la verità essere nel mezzo, fra i troppi biasimi del signor Ga- *r BC H i y C oogte IV — \ sparo, e le troppe laudi che da altri erano loro state prodi- gate. La prima parte del quarto Libro riguarda più diretta- mente i doveri del Cortegiano, officio e fine del quale è gui- dare al bene il suo principe. Di qui si toglie occasione di par- lare delle varie forme di reggimento degli stati, nonché dei doveri dei principi, e come abbiano a procurare la felicità dei loro popoli. Passa infine a trattare per bocca di Pietro Bembo delle cose di Amore , seguendo le dottrine dei Platonici ; in tutto il qual tratto il Castiglione è mirabile di eloquenza quanto forse non in altra fra le più belle parli dell’ opera : e COSI compionsi i discorsi delia quarta sera, e il Dialogo del Cortegiano. Il Castiglione scrisse questo Dialogo nel 1514, e compi- tolo in breve tempo, a più riprese diede poi opera in limarlo ed accrescerlo. Nel 1518 essendo stimolato dagli amici a darlo in luce, lo mandò a Giacomo Sadoleto e a Pietro Bembo, richiedendoli di consiglio. Lo communicò anche a Vittoria Co- lonna marchesa di Pescara : il che fu poscia occasione della pu- blicazione dell’opera ; poiché avendone Vittoria Colonna, con- tro la fede data, fatto trascrivere gran parte, onde se ne spar- sero copie : il Castiglione, sebbene allora distratto in altre cose, ed inoltre avesse in mente di aggiungere al libro parecchie cose, che già aveva ordinate nell’ animo, pensò non dover più oltre differire a publicarlo, affinchè intanto non venisse in luce mutilo e corrotto per mano d’altri. Due lettere del no- stro Autore, recentemente publicate dal Conte Valdrighi, for- niscono curiose ed importanti notizie intorno alla prima edi- zione del Cortegiano, che il Castiglione, allora Nunzio in Ispagna, fece eseguire in Venezia presso Aldo, in foglio, l’anno 1528: bella e nitida edizione, ma macchiata di non pochi e talor gravi errori. Poco sopravisse il Castiglione alla publicazione del suo Cortegiano, che intanto era stato l’anno stesso ristampato in Digitized by Googfe V Firenze dagli eredi di Filippo Giunta, edizione che fu in breve seguita da altre parecchie. Nel 1533 gli eredi d’Aldo 10 ristampavano in minore formalo, dicendo essere più cor- retto del primo, secondo l'esemplare iscritto di mano propria d'esso Autore; ma fatto sta che nulla vi è mutato, e soltanto corretti i manifesti errori di impressione. Non così la terza Aldina, fatta da Giovanni Padovano, ma ad istanza e spesa di Riesser Federico Torresano d’Asola (1538); poiché in questa 11 testo in più luoghi è mutato in modo, da non potersi attri- buire fuorché ad una più diligente collazione del manoscritto. Tracce ancor più evidenti di un nuovo esame del manoscritto si trovano nella quarta Aldina (1541), sebbene abbia pure non pochi proprii errori. L'ultima Aldina (1547) non é che una materiale ristampa della terza; come la quinta, in fo- glio (1545), é a un di presso una ripetizione dell'edizione originale del 1528. Numerosissime sono le ristampe di quest’ opera nel se- colo decimosesto, contandosene presso a quaranta oltre le Aldine, e oltre le traduzioni che tosto se ne fecero in quasi tutte le lingue di Europa; e ben può dirsi, che fra le opere in prosa che illustrarono la letteratura italiana nel secolo di Leone X, non altra fu accolta con più universale favore. — Le anzidetto edizioni, fino a quelle del Dolce del 1 556 e del 1559, sono una materiale ristampa di alcuna delle Aldine. Il Dolce poi asserisce bensì avere emendato il testo secondo l' esemplare del proprio Autore ; ma é evidente ch’ei non ebbe sott’ occhio il manoscritto originale, né appare ben certo se abbia raffron- tato almeno l'edizione Aldina del 1528; le mutazioni nel te- sto che s’incontrano nelle edizioni del Dolce scorgonsi fatte ad arbitrio, sebbene alcune colgano nel segno. 11 testo del Dolce fu seguito in tutte le altre edizioni di quel secolo, com- presa quella del Ciccarelli (1584), che diede il Cortegiano espurgato, e fu più volte ripetuta gli anni seguenti. Se non che appunto pei vincoli frapposti alla libera publicazione di Dioilìzed hv .Qjpgtf — VI — quest' opera, più non ne fu publicata in Italia che una sola edizione intera nei secoli decimosettimo e decimottavo, e sole tre secondo la correzione del Ciccarelli; fra le quali tuttavia è degna di memoria quella dei fratelli Volpi (1755), che, oltre all’ avere restituito alcuni più innocenti fra i passi tolti dal Ciccarelli, corresse accuratamente il testo con un diligente confronto dell’edizione originale del 1528; e su questa edi- zione, ma coir aggiunta dei passi omessi dal Volpi, è fatta l’edizione di Vicenza, come pure, quantunque assai negli- gentemente, quella di Milano detta dei Classici, dalla quale derivano tutte le edizioni posteriori! In difetto del manoscritto originale, il quale sembra es- sere passato in Francia, e, venuto in potere del Professore Guglielmo Libri, trovarsi ora colla maggior parte della ricca sua biblioteca in Inghilterra : ' abbiamo creduto dover seguire esclusivamente le edizioni Aldine, tratte dall’ esemplare spe- dito di Spagna per la stampa dall’Autore. A fondamento del- r edizione abbiamo posto quella del 1528, la quale, non te- nuto conto degli evidenti errori tipografici, pel testo e per r ortografìa appare avvicinarsi più che alcun’ altra all’ originale dell’Autore ; nè mai da questa ci siamo dipartiti senza avver- tirne in nota il lettore : sebbene siansi tenute ad accurato con- fronto anche le seguenti Aldine, delle quali abbiamo portato in nota le principali varianti. Restano tuttavia alcuni luoghi, dove la lezione di tutte le Aldine è evidentemente falsa; e quivi, avvertendone il lettore, abbiamo ricevuto le emenda- zioni del Dolce o dei Volpi, e rare volte alcuna nostra con- gettura. In fìne dell' opera riproduciamo alcuni passi del Cor- tegiano diversi da quelli che si trovano nelle edizioni, i quali furono per la prima volta publicati dall’Abbate Pierantonio Se- rassi, tratti dalla prima bozza del Gortegiano, che si conser- vava e sembra conservarsi tuttora presso gli eredi del Casti- glione. Nè vi ha dubio, che il confronto di quella bozza * Revue des Deux-Mondes, 18S2, cahier de mai, page 325. — VII — sarebbe di grande utilità in correggere molti luoghi dubii od errati delle edizioni. Non lieve difficoltà ci si presentava nella scelta della or- tografia, in che si avessero a publicare le opere del nostro Autore. La maggior parte degli scrittori di quella età posero alla ortografìa poca cura, scrìvendo spesso le stesse parole con diversa forma, ora strettamente attenendosi all'etimolo- gia, ora seguendo la pronunzia volgare. Non così il Casti- glione, il quale, non nella tessitura dei periodi, ma nella scrittura dei vocaboli, reputa doversi conservare e conserva difatti la forma latina in modo , che le sue opere a’ nostri giorni riescirebbero di pressoché impossibile lettura. Noi pure opiniamo, e l’abbiamo altrove* dichiarato, doversi nella scrittura delle voci italiane seguire piuttosto l' etimologìa, che non l’incerta ed incostante pronunzia del volgo. Ma questa regola non deve estendersi tant’ oltre, che più che l’ ortogra- fia si muti la forma stessa dei vocaboli, ovvero si ammettano modi repugnanti all’ indole della nostra lingua, figliola bensì della latina, ma avente regole, carattere, scrittura propria. Chitolererebbe, che per popolo scrivessimo populo, come vuole il Castiglione, edHercule, ed excepto, e così via? Ritenemmo adunque bensì costantemente la forma di vocaboli adottata dall’Autore ; ma quanto all’ ortografìa non la seguimmo se non in parte, onde non allontanarci di troppo dalla scrittura che l’Autore professa voler seguire, nè tuttavia rendere il libro illegibile. Abbiamo conservato le più importanti fra le annotazioni dei precedenti editori, ed aggiuntone alcune nostre; alle an- notazioni abbiamo premesso brevi cenni biografici sui perso- naggi introdotti dal Castiglione ad interlocutori nel Dialogo. 11 testo fu con somma diligenza e a più riprese confrontato e * Dialogo di Santo Gregorio : Volgariaamento di Fra Domenico Cavalca. Testo di lingua ridotto alla vera letione da Carlo Baudi di Vesme. Torino, Stamperia Reale, ISSI: nella prefazione, a pag. xii. vili corretto sulle edizioni Aldine. Insomma non fu da noi omessa cura 0 fatica, affinchè questa nostra riesca ottima fra le edi- zioni del Cortegiano ; e simile diligenza porremo intorno agli altri scritti del Conte Baldassar Castiglione, che daremo fra breve, accresciuti di un gran numero di lettere inedite, non meno importanti per argomento, che notevoli per purezza di lingua, e per chiarezza, semplicità e nobiltà di dettato. Carlo Vesme 1 gennaio 18S4. .1 i. Al rsTeieado ed illastie signor DON MICHEL DE SILVA VESCOVO DI VISEO. Quando il signor Goid’Ubaldo di Montefellro, duca d’ Urbino, passò di questa vita, io, insieme con alcun’aitri cavalieri che l’aveano servito , restai alli servizi! del duca Francesco Maria dalla Rovere , erede e successor di quello nel stalo; e come nell’animo mio era re* cenle l’ odor delle virtù del duca Guido , e la satisfazione che in quegli anni aveva sentilo dell’amorevole compagnia di cosi eccellenti per* sone, come allora si ritrovarono nella corte d’ Urbino, fui stimolato da quella memoria a scrivere questi Libri del Cortegiano: il che io feci in pochi giorni, con intenzione di castigar col tempo quegli errori, che dal desiderio di pagar tosto questo debito erano nati. Ha la fortuna già moli’ anni m’ ha sempre tenuto oppresso in così continui travagli, che io non ho mai potuto pigliar spazio di ri- durgli a termine, che il mio debii giudicio ne restasse contento. Ri* trovandomi adunque in Ispagna, ed essendo d’Italia avvisato, chela signora Vittoria dalla Colonna, marchesa di Pescara, alla quale io già feci copia del libro, contra la promessa sua ne avea fatto trascrivere una gran parte, non potei non sentirne qualche fastidio, dubitan- domi di molti inconvenienti, che in simili casi possono occorrere; nientedimeno mi confìdai che l’ ingegno e prudenza di quella Signora (la virtù della quale io sempre ho tenuto in venerazione come cosa divina ) bastasse a rimediare che pregiudicio alcuno non mi venisse dall’aver obedito a’ suoi comandamenti. In ultimo seppi, che quella parte del libro si ritrovava in Napoli in mano di molli; e, come sono gli uomini sempre cupidi di novità , parea che quelli tali ten- tassero di farla imprimere. Ond’io, spaventalo da questo pericolo, determinaimi di riveder subito nel libro quel poco che mi compor- tava il tempo, con intenzione di publicarlo; estimando men male lasciarlo veder poco castigato per mia mano, che mollo lacerato per man d’altri. Cosi, per eseguire questa deliberazione, cominciai a ri- leggerlo; e subito nella prima fronte, ammonito dal titolo, presi non mediocre tristezza, la qual ancora nel passar più avanti mollo si accrebbe, ricordandomi, la maggior parte di coloro che sono intro- dotti nei ragionamenti, esser già morti: che, oltre a quelli de chi si 1 Digitized by DEDICA dell’ autore. 2 fa menzione nel proemio dell’ ultimo, morto è il medesimo mcsscr Aifonso Ariosto, a cui il libro è’indrizzato; giovane affabile, discre- to, pieno di soavissimi costumi, ed atto ad ogni cosa conveniente ad uomo di corte. Medesimamente il duca Julìano de’ Medici, la cui bontà e nobii cortesia meritava più lungamente dal mondo esser goduta. Messcr Bernardo, Cardinal di Santa Maria in Portico, il quale per una acuta e piacevole prontezza d’ ingegno fu gratissimo a qua- lunque lo conobbe, pur è morto. Morto è il signor Ottavian Fre- goso, uomo a’ nostri tempi rarissimo; magnanimo, religioso, pien di bontà, d’ ingegno , prudenza e cortesia, e veramente amico d’onore e di virtù, e tanto degno di laude, che li medesimi inimici suoi fu- rono sempre costretti a laudarlo; e quelle di^razie che esso co- stantissimamente sopportò, ben furono bastanti a far fede che la fortuna, come sempre fu, cosi è ancor oggidì contraria alla virtù. Morti sono ancor molti altri dei nominati nel libro, ai quali parca che la natura promettesse lunghissima vita. Ha quello che senza lacrime raccontar non si devria, è die la signora Duchessa essa an- cor è morta; e se l’animo mìo si turba per la perdita di tanti amici e signori miei, che m’hanno lasciato in questa vita come in una solitudine piena d’ affanni , ragion è che molto più acerbamente senta il dolore della morte della signora Duchessa, che di tutti gli altri, perchè essa molto più che tutti gli altri valeva, ed io ad essa molto più che a tutti gli altri era tenuto. Per non tardare adunque a pagar quello che io debbo alla memoria di cosi eccellente signora, e degli altri che più non vivono, indotto ancora dal perìcolo del libro, bollo fatto imprimere e pubiicare tale qual dalla brevità del tempo m’ è stato conceaso. E perchè voi nè della signora Duchessa nè degli altri che son morti, fuorehe del duca Juliano e del. Cardinal (K 9aoU Maria in Portico, aveste notizia in vita loro, acciò che, per quanto io posso, t'abbiate dopo la morte, mandovi questo libro, come un ritratto di rittura della corte d’ Urbino, non di mano di Rafaello o Michel Angelo, ma di pittor ignobile, e che solamenie sappia tirare le linee principali, senza adornar la verità di vaghi co- leri, 0 far parer per arte di prospettiva quello che non è. E come di’ io mi sia sforzato di dimostrar coi ragionamenti le proprietà e condizioni di quell! che vi sono nominati , confesso non avere non che espresso ma nè anco accennato le virtù della signora Dudiessa; perchè non solo il mio stile non è sufficiente ad esprimerle, ma pur l’intelletto ad imaginarle: e se circa questo o altra cosa degna di riprensione (come ben so che nel libro molle non mancano) sarò ripreso, non contradìrò alla verità. Ma perchè talor gli uomini tanto si dilettano di riprendere, die DEDICA DELL ADTOBE. O riprendono ancor quello che non merita riprensione , ad alcuni cbe mi biasimano pcrch’ io non ho imitato il Boccaccio, nò mi sono obli- gato alla consuetudine del parlar toscano d’ oggidì , non restarò di dire , cbe ancor che ’l Boccaccio fosse di gentil ingegno , secondo quei tempi, e che in alcuna parte scrivesse con discrezione ed in- dustria, nientedimeno assai meglio scrisse quando si lasciò guidar solamente dall’ingegno ed instinto suo naturale, senz’altro studio 0 cura di limare i scrìtti suoi, che quando con diligenza e fatica si sforzò d’ esser più culto e castigato. Perciò li medesimi suoi fautori affermano, cbe esso nelle cose sue proprie molto s’ ingannò di giu- dicio, tenendo in poco quelle cbe gli hanno fatto onore, ed in molto quelle che nulla vagliono. Se adunque io avessi imitato quella ma- niera di scrivere cbe in lui è ripresa da chi nel resto lo lauda, non poteva fuggire elmen quelle medesime calunnie che al proprio Boc- caccio son date circa questo; ed io tanto maggiori le meritava, quanto cbe l’error suo allor fu credendo di far bene, ed or ii mìo sarebbe stato conoscendo di far male. Se ancora avessi imitato quel modo cbe da molti è tenuto per buono , e da esso fu men apprez- zalo, parevamì con tal imitazione far testimonio d’ esser discorde di giudicio da colui che io imitava : la qual cosa , secondo me, era in- conveniente. E quando ancora questo rispetto non m’avesse mosso, io non poteva nel sobietto imitarlo, non avendo esso mai scritto cosa alcuna di maniera simile a questi Libri del CoaTECi&NO : e nella lin- gua , al parer mio , non doveva ; perchè la f<»za e vera regola del parlar bene consiste più nell’ uso che in altro, e sempre è vìzio usar parole che non siano in consuetudine. Perciò non era conveniente, ch’io usassi molte di quelle del Boccaccio, le quali a’ suoi tempi s’ usavano, ed or sono disusate dalli medesimi Toscani. Non ho an- cor voluto obligarmi alla consuetudine del parlar toscano d’ oggidì; perchè il commercio tra diverse nazioni ha sempre avuto forza di trasportare dall’una all’altra, quasi come le mercanzie, così ancor nuovi vocaboli, i quali poi durano o mancano, secondo che sono dalla consuetudine ammessi o reprobati ; e questo, oltre il testimonio de- gli antichi, vedesi chiaramente nel Boccaccio, nel qual son tante pa- role franzesi, spagnole e provenzali , ed alcune forse non ben intese dai Toscani moderni; cbe chi tutte quelle levasse, farebbe il libro mollo minore. E perchè, ai parer mio, la consuetudine del parlare dell’ altre cittò nobili d’Italia, dove concorrono uomini sa vii, inge- gnosi ed eloquenti, e cbe trattano cose grandi di governo dei stali , di lettere, d’arme e negozii diversi, non deve essere del tutto sprez- zata; dei vocaboli cbe in questi loclii parlando s’usano, estimo aver potuto ragionevolmente usar scrivendo quelli cbe hanno in sè grazia. Digiiized by Google DEDICA dell’autore. 4 ed eleganm nella pronunzia, e son tenuti communemente per buoni e significativi , benché non siano toscani, ed ancor abbiano origine di fuor d’Italia. Oltre a questo, usansi in Toscana molli vocaboli chiaramente corrotti dal latino, li quali nella Lombardia e nell’ altre parti d’ Italia son rimasti integri e senza mutazione alcuna , e tanto universalmente s’ usano per ognuno, che dalli nobili sono ammessi per buoni , e dal volgo intesi senza difficoltà. Perciò, non penso aver commesso errore, se io scrivendo ho usato alcuni di questi , e piut- tosto pigliato l’integro e sincero della patria mia, che’l corrotto e guasto della aliena. Nè mi par buona regola quella che dicon molti , che la lingua volgar tanto è più bella , quanto è men simile alla la- tina; nè comprendo perchè ad una consuetudine di parlare si debba dar tanto maggiore autorità che all’ altra, che, se la toscana basta per nobilitare i vocaboli latini corrotti e manchi , e dar loro tanta grazia che, cosi mutilati, ognun possa usarli per buoni (il che non si nega), la lombarda o qualsivoglia altra non debba poter sostener li medesimi latini puri, integri, proprii, e non mutati in parte alcuna , tanto che siano tolerabili. E veramente, si come il voler formar voca- boli nuovi o mantenere gli antichi in dispetto della consuetudine, dir si può temeraria presunzione : cosi il voler centra la forza della medesima consuetudine distruggere e quasi sepelir vivi quelli che durano già molti secoli, e col scodo della usanza si son difesi dalla invidia del tempo, ed ban conservato la dignità e ’l splendor loro, quando per le guerre e ruine d’ Italia si son fatte le mutazioni della lingua, degli edifizii, degli abiti e costumi ; oltra che sia difficile, par quasi una iropielà. Perciò, se io non ho voluto scrivendo osare le parole del Boccaccio che più non s’ usano in Toscana, nè sottopormi alla legge di coloro che stimano che non sia licito usar quelle che non usano li Toscani d’oggidl, parmi meritare escnsazione. Penso adun- que, e nella materia del libro e nella lingua, per quanto una lingua può ajotar l’altra, aver imitato autori tanto degni di laude quanto è il Boccaccio; nè credo che mi si debba imputare per errore lo aver eletto di farmi piuttosto conoscere per Lombardo parlando lom- ' bardo, che per non Toscano parlando troppo toscano : per non fare come Teofrasto, il qual , per parlare troppo ateniese, fu da una sem- plice vecchiarella conosciuto per non Ateniese. Ma perchè circa questo nel primo Libro si parla a bastanza, non dirò altro, se non che, per rimover ogni contenzione, io confesso ai miei riprensori, non sapere questa lor lingua toscana tanto difficile e recondita ; e dico aver scritto nella mia, e come io parlo, ed a coloro che par- lano come pari’ io : e cosi penso non avere fatto ingiuria ad alcuno ; chè, secondo me, non è proibito a chi si sia scrivere e parlare nella Digitized by CoogL DEDICA dell’autore. 5 sua propria lingua ; nè meno alcuno è astretto a leggere o ascol- tare quello che non gli aggrada. Perciò, se essi non vorran leggere il mio CoRTEGiANO, non mi tonerò io punto da loro ingiuriato. Altri dicono, che essendo tanto difllcile e quasi impossibile tro- var un uomo così perfetto come io voglio che sìa il Cortegìano , è stato superfluo il scriverlo , perchè vana cosa è insegnar quello che imparar non si può. A questi rispondo, che mi contenterò aver er- rato con Platone, Senofonte e Marco Tullio, lasciando il disputare del mondo intelligibile e delle Idee; tra le quali, si come (secondo quella opinione) è la Idea della perfetta Republica, e del perfetto Re, e del perfetto Oratore , cosi è ancora quella del perfetto Corte- giano: alla imagìne della quale s’io non ho potuto approssimarmi col stile, tanto minor fatica averanno i cortegiani d’approssimarsi con r opere al termine e méta , eh’ io collo scrivere ho loro pro- posto ; e se, con tutto questo, non potran conseguir quella perfezion , qual che ella si sia , eh’ io mi sono sforzato d’esprimere , colui che più se le avvicinerà sarà il più perfetto ; come di molti arcieri che tirano ad un bersaglio, quando ninno è che dia nella brocca, quello che più se le accosta senza dubio è miglior degli altri. Alcuni an- cor dicono, eh’ io ho creduto formar me stesso, persuadendomi che le condizioni eh’ io al Cortegìano attribuisco, tutte siano in me. A questi tali non voglio già negar, di non aver tentato tutto quello eh’ lo vorrei che sapesse il Cortegiano ; e penso che chi non avesse avuto qualche notizia delle cose che nel libro si trattano , per eru- dito che fosse stato, mal averebbe potuto scriverle : ma io non son tanto privo di giudicio in conoscere me stesso, che mi presuma saper tutto quello che so desiderare. La difesa adunque di queste accusazioni, e forse di molt’ altre, rimetto io per ora al parere della commune opinione; perchè il più delle volte la moltitudine, ancor che perfettamente non conosca, sente però per instinto di natura un certo odore del bene e del male, e, senza saperne rendere altra ragione, l’uno gusta ed ama, e l’altro rifluta ed odia. Perciò, se universalmente il libro piacerà, terròllo per buono, e penserò che debba vivere ; se ancor non pia- cerà , terròllo per malo, e tosto crederò che se n’ abbia da perder la memoria. E se por i miei accusatori di questo commun giudicio non restano satisfatti, conténtinsi almeno di quello del tempo; il quale d’ ogni cosa al fin scopre gli occulti difetti, e, per esser padre della verità e giudice senza passione, suol dare sempre della vita o morte delle scritture giusta sentenza. Baloesar Castiglione. r ■ by Lioosle Digitized by Google IL PRIMO LIBRO DEL CORTEGIANO DEL COXTE BÀLOESÀB CiETIGUONE A MESSER ALFONSO ARIOSTO. I. Fra me stesso lungamente ho dubitato, messer Alfonso carissimo, qual di due cose più diibcil mi fosse; o il negarvi quel che con tanta instanza più volle m’ avete richiesto, o il farlo : perchè da un canto mi parea durissimo negar alcuna cosa, e massimamente laudevole, a persona eh’ io amo som- mamente, e da cui sommamente mi sento esser amato; dal- r altro ancor, pigliar impresa, la qual io non conoscessi po- ter condur a fine, pareami disconvenirsi a chi estimasse le giuste riprensioni quanto estimar si debbano. In ullimo, dopo molti pensieri, ho deliberato esperimentare iu questo, quanto ajuto porger possa alla diligenza mia quella aITczione c desi- derio intenso di compiacere, che nelle altre cose tanto suole accrescere la industria degli uomini. Voi adunque mi richiedete ch’io scriva, qual sia al pa- rer mio la forma di Cortegiania più conveniente a gentiluo- mo che viva in corte de’ principi, per la quale egli possa e sappia perfettamente loro servir in ogni cosa ragionevole, acquistandone da essi grazia, e dagli altri laude; in somma, di che sorte debba esser colui, che meriti chiamarsi perfetto Cortegiano, tanto che cosa alcuna non gli manchi. Onde io, considerando tal richiesta, dico, che se a me stesso non pa- resse maggior biasimo l’ esser da voi reputato poco amore- vole, che da tutti gli altri poco prudente, arei fuggito questa fatica, per dubio di non esser tenuto temerario da tutti quelli che conoscono, come difficil cosa sia, tra tante varietà di co- Digitized by Googk 8 IL CORTEGIANO. Sturai che s’usano nelle corti di Cristianità, eleggere la piu perfetta forma, e quasi il fior di questa Cortegiania ; perchè la consuetudine fa a noi spesso le medesime cose piacere e dispiacere: onde talor procede, che i costumi, gli abiti, iriti, e i modi, che un tempo son stati in pregio, divengon vili, e per contrario i vili divengon pregiali. Però si vede chiara- mente, che r uso più che la ragione ha forza d’introdur cose nuove tra noi, e cancellar l’ antiche; delle quali chi cerca giudicar la perfezione, spesso s’inganna. Per il che, cono- scendo io questa e molte altre difficoltà nella materia propo- stami a scrivere, son sforzato a fare un poco di escusazione, e render testimonio che questo errore (se pur si può dir er- rore) a me è commune con voi, acciò che se biasimo avve- nire me ne ha, quello sia ancor diviso con voi; perchè non minor colpa si dee estimar la vostra avermi imposto carico alle mie forze diseguale, che a me averlo accettalo. Yegniamo adunque ormai a dar principio a quello che è nostro presupposto, e, se possibii è, formiamo un Cortegian tale, che quel principe che sarà degno d’ esser da lui servito, ancor che poco stato avesse, si possa però chiamar grandis- simo signore. Noi in questi Libri non seguiremo un certo or- dine o regola di precetti distinti, che ’l più delle volle nel- r insegnare qualsivoglia cosa usar si Suole ; ma , alla foggia di molti antichi, rinovando una grata memoria, recilaremo alcuni ragionamenti, i quali già passarono tra nomini singo- larissimi a tale proposito : e benché io non v’ intervenissi presenzialmente, per ritrovarmi, allor che furon delti, in In- ghilterra, avendogli poco apresso il mio ritorno intesi da •persona che fedelmente me gli narrò, sforzerommi a punto, per quanto la memoria mi comporterà, ricordarli, acciò che noto vi sia quello che abbiano giudicato e creduto di questa materia uomini degni di somma laude, ed al cui giudizio in ogni cosa prestar si potea indubitata fede. Né fia ancor fuor di proposito, per giungere ordinatamente al fine dove tendo il parlar nostro, narrar la causa dei successi ragionamenti. II. Alle pendici dell’ Appennino, quasi al mezzo della Italia verso il mare Adriatico, è posta, come ognun sa, la piccola città d’ Urbino; la quale, benché tra monti sia, e non LIBRO PRIMO. 9 cosi ameni come forse alcun* altri che vergiamo in molti lo- chi, pur di tanto avuto ha il cielo favorevole, che intorno il paese è fertilissimo e pien di frutti; di modo che, oltre alla salubrità dell* aere, si trova abondantissima d* ogni cosa che fa mestieri per lo vivere umano. Ma tra le maggior felicità che se le possono attribuire, questa credo sia la principale, che da gran tempo in qua sempre è stala dominata da ot- timi signori; avvenga che, nelle calamità universali delle guerre della Italia, essa ancor per un tempo ne sia restata priva. Ma non ricercando più lontano, possiamo di questo far buon testimonio con la gloriosa memoria del duca Fede- rico, il quale a’ di suoi fu lume della Italia ; nè mancano veri ed amplissimi testimoni!, che ancor vivono, della sua prudenza, della umanità, della giustizia, della liberalità, del- 1* animo invitto e della disciplina militare : della quale pre- cipuamente fanno fede le sue tante vittorie, le espugnazioni de* lochi inespugnabili, la subita prestezza nelle espedizioni, l’ aver molte volte con pochissime genti fugato numerosi c validissimi eserciti, né mai esser stato perditore in battaglia alcuna ; di modo che possiamo non senza ragione a molli famosi antichi aguagliarlo. Questo, tra l’ altre cose sue lode- voli, nell’ aspero sito d’ Urbino edificò un palazzo, secondo la opinione di molli il più bello che in tutta Italia si ritrovi; e d* ogni oportuna cosa si ben lo forni, che non un palazzo ma una città in forma di palazzo esser pareva; e non sola- mente di quello che ordinariamente si osa, come vasi d’ ar- gento, apparamenti di camere di ricchissimi drappi d’oro, di seta e d* altre cose simili, ma per ornamento v* aggiunse una infinità di statue antiche di marmo c di bronzo, pitture singolarissime, instmmenli musici d’ogni sorte; nè quivi cosa alcuna volse, se non rarissima ed eccellente. Appresso, con grandissima spesa adunò un gran numero di eccellen- tissimi e rarissimi libri greci, latini ed ebraici, quali tutti ornò d* oro e d* argento, estimando che questa fosse la su- prema eccellenza del suo magno palazzo. III. Costui adunque, seguendo il corso della natura, già di sessantacinque anni, come era visse, cosi gloriosamente mori ; ed un figliolino di diece anni, che solo maschio avc- Digitized by Coogle 10 IL CORTEGIANO. va, e senza madre, lasciò signore dopo sè; il qual fu Guid’ Ubaldo. Questo, come dello stalo, cosi parve che di tutte le virtù paterne fosse erede, e subito con maravigliosa indole cominciò a promettere tanto di sè, quanto non parca che fosse licito sperare da uno nom mortale; di modo che estimavano gli uomini, delli egregii fatti del duca Federico iiiuno esser maggiore, che l’avere generato un tal figliolo. Ma la fortuna, invidiosa di tanta virtù, con ogni sua forza s’ oppose a cosi glorioso principio ; talmente che, non es- sendo ancor il duca Guido giunto alti venti anni, s’ infermò di podagre, le quali con atrocissimi dolori procedendo, in |M>co spazio di tempo talmente tutti i membri gl’ impediro- no, che nè stare in piedi nè mover si potea; e cosi restò un dei più belli e disposti corpi del mondo deformato e guasto nella sua verde età. £ non contenta ancor di questo la foi^ tuna, in ogni suo disegno tanto gli fu contraria, ch’egli rare volte trasse ad etTetto cosa che desiderasse ; e benché in esso fosse il consiglio sapientissimo e l’animo invittissimo, parea che ciò che incominciava, e nell’ arme e in ogni altra cosa o picciola o grande, sempre male gli succedesse: e di ciò fanno testimonio molte e diverse sue calamità, le quali esso con tanto vigor d’animo sempre telerò, che mai la virtù dalia fortuna non fu superala; anzi, sprezzando con l’animo valoroso le procelle di quella, e nella infermità co- me sano e nelle avversità come fortunatissimo, vivea con somma dignità ed estimazione appresso ognuno ; di modo che, avvenga che cosi fosse del cor|)0 infermo, militò con onorevolissime condizioni a servizio dei serenissimi re di Napoli Alfonso e Ferrando minore; appresso con papa Ales- sandro VI, coi signori V’eneziani, e Fiorentini. Essendo poi asceso al pontifìcalo Julio li, fu fatto capitan della Chiesa ; nel qual tempo, seguendo il suo consueto stile, sopra ogni altra cosa procurava che la casa sua fosse di nobilissimi e valorosi gentiluomini piena, coi quali mollo familiarmente viveva, godendosi della conversazione di quelli: nella qual cosa non era minor il piacer che esso ad altrui dava, che quello che d’altrui riceveva, per esser dottissimo nell’ una e nell’altra lingua, ed aver insieme con la affabilità e piacevo- LIBRO PRIMO. 11 iezza congiunta ancor la cognizione d’inrinile cose: ed, olire a ciò, tanto la grandezza dell’animo suo lo stimolava, che, ancor che esso non potesse con la persona esercitar l’ opere della cavalleria come avea già fatto, pur si pigliava grandis- simo piacer di vederle in altrui ; e con le parole, or correg- gendo or laudando ciascuno secondo i meriti, chiaramente dimostrava quanto giudicio circa quelle avesse ; onde nelle giostre, nei tornìamenti, nel cavalcare, nel maneggiare tulle le sorti d’arme, medesimamente nelle feste, nei giochi, nelle musiche, in somma in tutti gli esercizi! convenienti a nobili cavalieri, ognuno si sforzava di mostrarsi tale, che meritasse esser giudicalo degno di cosi nobile commercio. IV. Erano adunque tutte l’ore del giorno divise in ono- revoli e piacevoli esercizii cosi del corpo come dell’ animo ; ma perchè il signor Duca continuamente, per la infirmilà, dopo cena a'ssai per tempo se n’ andava a dormire, ognuno per ordinario dove era la signora duchessa Elisabetta Gon- zaga a quell’ora si riduceva; dove ancor sempre si ritrovava la signora Emilia Pia, la qual per esser dolala di cosi vivo ingegno e giudicio, come sapete, pareva la maestra di tutti, e che ognuno da lei pigliasse senno e valore. Quivi adunque i soavi ragionamenti e l’ oneste facezie s’ udivano, e nel viso di ciascuno dipinta si vedeva una gioconda ilarità, talmente che quella casa certo dir si poteva il proprio albergo della allegria: né mai credo che in altro loco si gustasse quanta sia la dolcezza che da una amata e cara compagnia deriva, come quivi si fece un tempo ; chè, lasciando quanto onore fosse a ciascun di noi servir a tal'signore come quello che già di sopra ho detto, a tutti nascea nell’ animo una somma contentezza ogni volta che al cospetto della signora Duchessa ci riducevamo ; e parca che questa fosse una catena che lutti in amor tenesse uniti, talmente che mai non fu concor- dia di volontà 0 amore cordiale tra fratelli maggior di quello, che quivi tra lutti era. Il medesimo era tra le donne, con le quali si aveva liberissimo ed onestissimo commercio; che a ciascuno era licito parlare, sedere, scherzare e ridere con chi gli parca : ma tanta era la reverenza che si portava al voler della signora Duchessa, che la medesima libertà era Digilized by Google 12 IL CORTEGIANO. grandissimo freno ; nè era alcuno che non estimasse per lo maggior piacere che al mondo aver potesse il compiacer a lei, e la maggior pena il dispiacerle. Per la qual cosa, quivi onestissimi costumi erano con grandissima libertà congiunti, ed erano i giochi e i risi al suo cospetto conditi, oltre agii argutissimi sali, d’una graziosa e grave maestà; chè quella modestia e grandezza che tutti gli atti e le parole e i gesti componeva della signora Duchessa, motteggiando e ridendo, facea che ancor da chi mai più veduta non l’avesse, fosse per grandissima signora conosciuta. E cosi nei circostanti imprimendosi, parea che tutti alla qualità e forma di lei temperasse; onde ciascuno questo stile imitare si sforzava, pigliando quasi una norma di bei costumi dalla presenza d’ una tanta e cosi virtuosa signora : le ottime condizioni della quale io per ora non intendo narrare, non essendo mio proposito, e per esser assai note al mondo, e molto più ch’io non potrei nè con lingua nè con penna esprimere; e quelle che forse sariano siale alquanto nascoste, la fortuna, come ammiratrice di cosi rare virtù, ha voluto con molte avver- sità e stimoli di disgrazie scoprire, per far testimonio che nel tenero petto d’ una donna in compagnia di singoiar bel- lezza possono stare la prudenza e la fortezza d’animo, e tulle quelle virtù che ancor ne’ severi uomini sono rarissime. V. Ma lasciando questo, dico, che consuetudine di tutti i gentiluomini della casa era ridursi subito dopo cena alia signora Duchessa ; dove, tra l’ altre piacevoli feste e musi- che e danze che continuamente si usavano, talor si propo- neano belle questioni, talor si faceano alcuni giochi inge- gnosi ad arbitrio or d’uno or d’un altro, nei quali sotto varii velami spesso scoprivano i circonslanli allegoricamente i pensier sui a chi più loro piaceva. Qualche volta nasceano altre disputazioni di diverse materie, ovvero si mordea con pronti detti; spesso si faceano imprese, come oggidì chia- miamo: dove di tali ragionamenti maraviglioso piacere si pigliava, per esser, come ho detto, piena la casa di nobilis- simi ingegni; tra i quali, come sapete, erano celeberrimi il signor Ottavian Fregoso, messer Federico suo fratello, il Ma- gnifico Julian de’ Medici, messer Pietro Bembo, messer Ce- LIBRO PRIMO. 13 sar Gonzaga, il conte Ludovico da Canossa, il signor Gaspar Pallavicino, il signor Ludovico Pio, il signor Morello da Òr- tona, Pietro da Napoli, messer Roberto da Bari, ed intìniti altri nobilissimi cavalieri: oltra che molti ve n’erano, i quali, avvenga che per ordinario non slessino quivi fermamente, pur la maggior parto del tempo vi dispensavano; come mes- ser Bernardo Bibiena, l’ Unico Aretino, Joan Cristoforo Ro- mano, Pietro Monte, Terpandro, messer Nicolò Frisio ; di modo che sempre poeti, musici, e d’ogni sorte uomini pia- cevoli, e li più eccellenti in ogni facoltà che in Italia si tro- vassino, vi concorrevano. YI. Avendo adunque papa Julio II con la presenza sua e con r ajuto de’ Franzesi ridotto Bologna alla obedienza della sede apostolica nell’anno MDVI, e ritornando verso Roma, passò per Urbino; dove quanto era possibile onora- tamente, e con quel più magnifico e splendido apparato che si avesse potuto fare in qualsivoglia altra nobil città d’Italia, fu ricevuto: di modo che, oltre al papa, tutti i signor cardi- nali ed altri cortegiani restarono sommamente satisfatti ; c furono alcuni, i quali, tratti dalla dolcezza di questa compa- gnia, partendo il papa e la corte, restarono per molli giorni ad Urbino; nel qual tempo non solamente si continuava nel- r usato stile delle feste e piaceri ordinarli, ma ognuno si sforzava d’accrescere qualche cosa, e massimamente nei giochi, ai quali quasi ogni sera s’attendeva. E l’ordine d’ essi era tale, che, subito giunti alla presenza della signor.i Duchessa, ognuno si ponea a sedere a piacer suo, o come la sorte portava, in cerchio; ed erano sedendo divisi un uomo ed una donna, fin che donne v’ erano , chè quasi sempre it numero degli nomini era molto maggiore; poi, come alla si- gnora Duchessa pareva si governavano, la quale per lo più delle volte ne lasciava il carico alla signora Emilia. Cosi il giorno apresso la partita del papa, essendo all’ora usata ri- dotta la compagnia al solilo loco, dopo molti piacevoli ragio- namenti la signora Duchessa volse por che la signora Emilia cominciasse i giochi; ed essa, dopo l’aver alquanto rifiutala taf impresa, così disse: Signora mia, poiché pur a voi piace eh’ io sia quella che dia principio ai giochi di questa sera , 2 Digitized by Google 14 IL CORTEGIANO. non possendo ragionevolmente mancar d’obedirvi, delibero proporre un gioco, del qual penso dover aver poco biasimo e men fatica: e questo sarà, che ognun proponga secondo il parer suo un gioco non più fatto; da poi si eleggerà quello che parerà esser più degno di celebrarsi in questa compa- gnia. — £ cosi dicendo, si rivolse al signor Gaspah Palla vicino, imponendogli che '1 suo dicesse; il qual subito rispose: A voi tocca, signora, dir prima il vostro. — Disse la signora Emilia: Eccovi eh’ io 1’ ho dello; ma voi, signora Duchessa, comandategli eh’ e’ sia obedienle. — Allor la signora Du- chessa ridendo. Acciò, disse, che ognuno v’abbia ad obe- dire, vi faccio mia locotenenle, e vi do tutta la mia auto- rità. — VII. Gran cosa 6 pur, rispose il signor Gaspab, che sempre alle donne sia licito aver questa esenzione di fati- che, e certo ragion saria volerne in ogni modo intender la cagione ; ma per non esser io quello che dia priucìpio a dis- obedire, lascierò questo ad un altro tempo, e dirò quello che mi tocca ; — e cominciò : A me pare, che gli animi no- stri, si come nel resto, cosi ancor nell’ amare siano di giudi- ciò diversi: e perciò spesso interviene, che quello che all’uno è gratissimo, all’ altro sia odiosissimo; ma con tutto questo, sempre però si concordano in aver ciascuno carissima la cosa amata; talmente che spesso la troppo aSezion degli amanti di modo inganna il lor giudicio, che eatiman quella persona che amano esser sola al mondo ornata d’ ogni eccellente virtù, e senza difetto alcuno; ma perchè la natura umana non ammette queste cesi compite perfezioni, nè si trova persona a cui qualche cosa non manchi, non si può dire che questi tali non s’ingannino, e che lo amante non divenga cieco circa la cosa amata. Vorrei adunque che questa sera il gioco nostro fosse, che ciascun dicesse, di che virtù precipua- mente vorrebbe che fosse ornata quella persona ch’egli ama; e, poiché cosi è necessario che tutti abbiano qualche mac- chia, qual vizio ancor vorrebbe che in essa fosse: imr veder chi saprà ritrovar più lodevoli ed utili virtù, e più escusabili vizii, e meno a chi ama nocivi ed a chi è amato. — Avendo cosi detto il signor Gaspar, fece segno la signora Emilia a Digitized by Google LIBRO PRIMO. 15 madonna Costanza Fregosa, per esser in ordine vicina, che seguitasse; la qual già s’apparecchiava a dire; ma la signora Duchbssà subito disse: Poiché madonna Emilia non vuole aflaticarsi in trovar gioco alcuno, sarebbe pur ragione che l’ altre donne participassino di questa commodità, ed esse ancor fessino esente di tal fatica per questa sera, essendoci massimamente tanti uomini, che non è pericolo che.mancbin giochi. — Cosi faremo, — rispose la signora Emilia ; ed im- ponendo silenzio a madonna Costanza, si volse a messer Cesare Gonzaga che le sedeva a canto, e gli comandò che parlasse ; ed esso cosi cominciò : Vili. Chi vuol con diligenza considerar tutte le nostre azioni, trova sempre in esse varii difetti; e ciò procede perchè la natura, cosi in questo come nell’ altre cose varia, ad uno ha dato lume di ragione in una cosa, ad un altro in un’altra: però interviene, che sapendo l’un quello che l’al- tro non sa, ed essendo ignorante di quello che l’altro inten- de, ciascun conosce facilmente l’ error del compagno e non il suo, ed a tutti ci par esser molto savii, e forse più in quello in che più siamo pazzi ; per la qual cosa abbiam ve- duto in questa casa. esser occorso, che molli i quali al prin- cipio sono stati reputati saviissimi, con processo di tempo si son conosciuti pazzissimi: il che d’altro non è proceduto, che dalla nostra diligenza. Ché, come si dice che in Puglia circa gli atarantati s’ adoprano molti instrumenti di musica, e con varii suoni si va investigando, fin che quello umore che fa la infirmità, per una certa convenienza eh’ egli ha con alcuno di quei suoni, sentendolo, subitosi move, e tanto agita lo infermo, che per quella agilazion si riduce a sanità: cosi noi, quando abbiamo sentito qualche nascosa virtù di pazzia, tanto sottilmente e con tante varie persuasioni l’ab- biamo stimolata e con si diversi modi, ohe pur al fine inteso abbiamo dove tendeva; poi, conosciuto lo umore, cosi ben r abbiam agitato, che sempre s’è ridotto a perfezion di pu- blica pazzia: e chi è riuscito pazzo in versi, chi in musica, chi in amore, chi in danzare, chi in far moresche, chi in cavalcare, chi in giocar di spada, ciascun secondo la miniera del suo metallo; onde poi, come sapete, si sono avuti mara- Digitized by Google 16 IL CORTEGIANO. vigliosi piaceri. Tengo io adunque per certo, che in ciascun di noi sia qualche seme di pazzia,, il qual risveglialo, possa moltiplicar quasi in infinito. Però vorrei che questa sera il gioco nostro fosse il disputar questa materia, e che ciascun dicesse : Avendo io ad impazzir publicamente, di che sorte di pazzia si crede eh’ io impazzissi, e sopra che cosa, giudi- cando questo esito per le scintille di pazzia che ogni di si veggono di me uscire : il medesimo si dica di lutti gli altri, servando l’ordine de’ nostri giochi, ed ognuno cerchi di fon- dar la opinion sua sopra qualche vero segno ed argomento. E così di questo nostro gioco ritrarremo frutto ciascun di noi di conoscere i nostri difetti, onde meglio ce ne potrem guar- dare; e se la vena di pazzìa che scopriremo sarà tanto abon- dante che ci paja senza rimedio, l’ ajuteremo, e, secondo la dottrina di fra Mariano, averemo guadagnato un’anima, che non ila poco guadagno. — Di questo gioco si rise molto, nè alcun era che si potesse tener di parlare : chi diceva. Io impazzirci nel pensare, chi, Nel guardare; chi diceva, lo già son impazzilo in amare ; e tai cose. IX. Allor FRA Serafino, a modo suo ridendo: Questo, disse, sarebbe troppo lungo; ma se volete un bel gioco, fate che ognuno dica il parer suo. Onde è che le donne quasi tutte hanno in odio i ratti, ed aman le serpi; e vederete che niuno s’apporrà, se non io, che so questo secreto per una strana via. — E già cominciava a dir sue novelle; ma la si- gnora Emilia gl’ impose silenzio, e trapassando la dama che ivi sedeva, fece segno all’ Unico Aretino, al qual per l’or- dine toccava ; ed esso, senza aspettar altro comandamento , Io, disse, vorrei esser giudice con autorità di poter con ogni sorte di tormento investigar di sapere il vero da’ malfattori ; e questo per scoprir gl’inganni d’una ingrata, la qual, con gli occhi d’angelo e cor di serpente, mai non accorda la lingua con 1’ animo, e, con simulala pietà ingannatrice, a niun’ altra cosa intende che a far anatomia de’ cori : nè si ritrova cosi velenoso serpe nella Libia arenosa, che tanto di sangue umano sia vago, quanto questa falsa; la qual non so- lamente con la dolcezza della voce e meliflue parole, ma con gli occhi, coi rìsi, coi sembianti^ e cmt tutti i modi è veris- Digitized by Google LIBRO PRIMO. 17 sima Sirena. Però, poi che non m’è licito, com’io vorrei, usar le catene, la fune o ’l foco per saper una verità, desi- dero di saperla con un gioco, il quale è questo : Che ognun dica ciò che crede che signiflchi quella lettera S, che la si- gnora Duchessa porta in fronte ; perchè, avvenga che cer- tamente questo ancor sia un artiCcioso velame per poter in- gannare, per avventura se gli darà qualche interpretazione da lei forse non pensata, e trovarassi che la fortuna, pietosa riguardatrice dei martini degli uomini, l’ha indotta con questo piccol segno a scoprire non volendo l’ intimo deside- rio suo, di uccidere e sepelir vivo in calamità chi la mira o la serve. — Rise la signora Duchessa, e vedendo 1’ Unico ch’ella voleva escusarsi di questa imputazione. Non, disse, non parlate. Signora, che non è ora il vostro loco di parla- re. — La signora Emilia allor si volse^ e disse : Signor Uni- co, non è alcun di noi qui che non vi ceda in ogni cosa, ma molto più nel conoscer l’ animo della signora Duchessa ; e cosi come più che gli altri lo conoscete per lo ingegno vo- stro divino, l’amate ancor più che gli altri; i quali, come quegli uccelli debili di vista, che non affisano gli occhi nella spera del sole, non possono cosi ben conoscer quanto esso sia perfetto : però ogni fatica saria vana per chiarir questo dubio, fuor che ’l giudicio vostro. Resti adunque questa im- presa a voi solo, come a quello che solo può trarla al fine. — L’Unico avendo taciuto alquanto, ed essendogli pur repli- cato che dicesse, in ultimo disse un sonetto sopra la materia predetta, dichiarando ciò che signiGcava quella lettera S; che da molti fu estimato fatto all’improvviso, ma, per esser inge- gnoso e colto più che non parve che comportasse la brevità del tempo, si pensò pur che fosse pensato. X. Cosi, dopo l’aver dato un lieto applauso in laude del sonetto, ed alquanto parlato, il signor Ottavian Frbgoso, al qual toccava, in tal modo, ridendo, incominciò: Signori, s’ io volessi aflermare non aver mai sentito passion d’ amore, son certo che la signora Duchessa e la signora Emilia, an- cor che non lo credessino, mostrarebbon di crederlo, e di- riano che ciò procede perch’ io mi son diffidato di poter mai indur donna alcuna ad amarmi : di che in vero non ho 2 ’ Digilized by Google 18 IL CORTEGIAXO. io insili qui fallo prova con tanta instanza, che ragionevol- mente debba esser disperato di poterlo una volta consegui- re. Nè già son restalo di farlo perch'io apprezzi me stesso tanto, 0 cosi poco le donne, che non estimi che molle no siano degne d’ esser amate e servite da me; ma piuttosto spaventato dai continui lamenti d’ alcuni innamorati, i quali pallidi, mesti e taciturni, par che sempre abbiano la propria scontentezza dipinta negli occhi ; e, se parlano, accompa- gnando ogni parola con certi sospiri triplicali, di nuli’ altra cosa ragionano che di lacrime, di tormenti, di disperazioni, e desiderii di morte : di modo che, se lalor qualche scintilla amorosa pur mi s’è accesa nel core, io subito sónomi sfor- zato con ogni industria di spegnerla, non per odio ch’io porti alle donne, come estimano queste signore, ma per mia salute. Ho poi conosciuti alcun’ altri in tutto contrarii a que- sti dolenti, i quali non solamente si laudano e contentano dei grati aspetti, care parole, .e sembianti soavi delle lor donne, ma tutti i mali condiscono di dolcezza; di modo che le guerre, l’ ire, li sdegni di quelle per dolcissimi chiamano: perchè troppo più che felici questi tali esser mi pajono. Che se negli sdegni amorosi, i quali da quell’ altri più che morte sono reputati amarissimi, essi ritrovano tanta dolcezza, penso che nelle amorevoli dimostrazioni debban sentir quella bea- titudine estrema, che noi in vano in questo mondo cerchia- mo. Vorrei adunque che questa sera il gioco nostro fosse, che ciascun dicesse, avendo ad esser sdegnala seco queHa persona ch’egli ama, qual causa vorrebbe che fosse quella che la inducesse a tal sdegno. Che se qui si ritrovano alcuni che abbian provalo questi dolci sdegni, son certo che per cortesia desideraranno una di quelle cause che cosi dolci li fa ; ed io forse m’assicurarò di passar un poco più avanti in amore, con speranza di trovar io ancora questa dolcezza, dove alcuni trovano I’ amaritudine ; ed in tal modo non po- tranno queste signore darmi infamia più eh’ io non ami. — XI. Piacque molto questo gioco, e già ognuno si prepa- rava di parlar sopra tal materia; ma non facendone la si- gnora Emilia altramente molto, messer Pietro Bembo, che era in ordine vicino, cosi disse: Signori, non piccol dubio ha LIBRO PRIMO. 19 risveglialo nell’ anioio mio il gioco proposto dal signor Otla- viano, avendo ragionato de’ sdegni d’ amore; i quali, avvenga che vari! siano, pur a me sono essi sempre stati acerbissimi, né da me credo che sì potesse imparar condimento bastante per addolcirgli; ma forse sono più e meno amari secondo la causa donde nascono. Ché mi ricordo già aver veduto quella donna ch’io serviva, verso me turbata o per sospetto vano che da sé stessa della fede mia avesse preso, ovvero per qualche altra falsa opinione in lei nata dalle altrui parole a mio danno; tanto eh’ io credeva niuna pena alla mia potersi agguagliare, eparevami che ’l maggior dolor ch’io sentiva fos.se il patire non avendolo meritato, ed aver questa afflizione non per mia colpa, ma per poco amor di lei. Altre volle la vidi sdegnata per qualche error mio , e conobbi l’ira sua proceder dal mio fallo; ed in quel punto giudicava che ’l passato mal fosse stato levissimo a rispetto di quello ch’io sentiva allora; e parcami che Tesser dispiaciuto, e per colpa mia , a quella persona alla qual sola io desiderava e con tanto studio cer- cava di piacere, fosse il maggior tormento e sopra tutti gli altri. Vorrei adunque che ’l gioco nostro fosse, che ciascun dicesse, avendo ad esser sdegnata seco quella persona ch’egli ama, da chi vorrebbe che nascesse la causa dello sdegno, o da lei, 0 da sé stesso: per saper qual è maggior dolore, o far dispiacere a chi s’ama, o riceverlo pur da chi s’ ama. — XII. Attendeva ognun la risposta della signora Emilia; la qual non facendo altrimenti molto al Bembo, si volse, e fece segno a messer Federigo Fregoso che ’l suo gioco dicesse; ed esso subito cosi cominciò: Signora, vorrei che mi fosse li- bito, come qualche volta si suole, rimettermi alla sentenza un altro; eh’ io per me volentieri approverei alcun de’gio- '^chi proposti da questi signori, perchè veramente parmi che lutti sarebbon piacevoli: por, per non guastar l’ordine, dico, che chi volesse laudar la corte nostra, lasciando ancor i me- riti della signora Duchessa, la qual cosa con la sua divina virtù basteria per levar da terra al cielo i più bassi spirili che siano al mondo, ben poria senza sospetto d’adulazion dire, che in tutta Italia forse con fatica si ritrovariano altrettanti cavalieri cosi singolari, ed , oltre alla principal profession della Digitized by Google 20 IL CORTEGIANO. cavalleria, cosi eccellenti in diverse cose, come or qui si ri- trovano: però, se in loco alcuno son nomini che meritino esser chiamati buon Cortegiani , e che sappiano giudicar quello che alla perfezion della Gortegiania s’appartiene, ragionevolmente s’ ha da creder che qui siano. Per reprimere adunque molti sciocchi, ì quali per esser presuntuosi ed inetti si credono acquistar nome di buon Cortegiano, vorrei che’l gioco di que- sta sera fosse tale, che si eleggesse uno della compagnia, ed a questo si desse carico di formar con parole un perfetio Cor- tegiano, esplicando tutte le condizioni e particolar qualità che si richieggono a chi merita questo nome; ed in quelle cose che non pareranno convenienti sia licito a ciascun con- tradire, come nelle scole de’ filosofi a chi tien conclusioni. — Seguitava ancor più oltre il suo ragionamento messer Fede- rico, quando la signora Emilia, interrompendolo. Questo, disse, se alla signora Duchessa piace, sarà il gioco nostro per ora. — Rispose la signora Duchessa : Piacemi. — Allor quasi tutti i circonstanti, e verso la signora Duchessa e tra sè, co- minciarono a dir che questo era il più bel gioco che far si potesse; e senza aspettar l’uno la risposta deH’altro, facevano inslanza alla signora Emilia che ordinasse chi gli avesse a dar principio. La qual, voltatasi alla signora Duchessa, Co- mandate, disse. Signora, a chi più vi piace che abbia que- sta impresa; ch’io non voglio, con eleggerne uno più che l’altro, mostrar di giudicare, qual in questo io estimi più suf- ficiente degli altri, ed in tal modo far ingiuria a chi si sia.— Rispose la signora Duchessa: Fate pur voi questa elezione; e guardatevi col disobedire di non dar esempio agli altri, che siano essi ancor poco obedienti. — XIll. Allor la signora Emilia, ridendo, disse al conte Lodovico da Canossa: Adunque, per non perder più tempo, voi. Conte, sarete quello che averà questa impresa nel modo che ha detto messer Federico; non già perchè ci paja che voi siate cosi buon Cortegiano, che sappiate quel che si gli con- venga, ma perchè, dicendo ogni cosa al contrario, come spe- rarne che farete, il gioco sarà più bello, chè ognun averà che rispondervi; onde se nn altro che sapesse più di voi avesse questo carico, non se gli potrebbe contradir cosa alcuna, per- Digitized by Googlc LIBRO PRIMO. 21 chè diria la verità , e cosi il gioco saria freddo. — Subito ri- spose il Conte: Signora, non ci saria pericolo che mancasse contradizione a chi dicesse la verità, stando voi qui presen- te; — ed essendosi di questa risposta alquanto riso, seguitò: Ma io veramente molto volentier fuggirei questa fatica, pa- rendomi troppo difficile, e conoscendo in me, ciò che voi avete per burla detto, esser verissimo; cioè eh’ io non sap- pia quello che a buon Cortegian si conviene: e questo con altro testimonio non cerco di provare, perchè non facendo r opere, si può estimar eh’ io noi sappia; ed io credo che sia minor biasimo mio, perchè senza dubio peggio è non voler far bene, che non saperlo fare. Pur essendo cosi che a voi piac- cia eh’ io abbia questo carico, non posso nè voglio rifiutarlo, per non contravenir all’ ordine e giudicio vostro, il quale estimo più assai che ’t mio. — Allor messer Cesare Gonzaga, Perchè già, disse, è passata buon’ora di notte, e qui son apparecchiate molte altre sorti di piaceri, forse buon sarà differir questo ragionamento a domani, e darassi tempo al Conte di pensar ciò eh’ egli s’ abbia a dire; chè in vero di tal subietto parlare improviso è difficil cosa. — Rispose il Conte: Io non voglio far come colui, che spogliatosi in ginp- pone saltò meno che non avea fatto col sajo; e perciò parmi gran ventura che l’ ora sia tarda, perchè per la brevità del tempo sarò sforzato a parlar' poco, e ’l non avervi pen- salo mi escuserà, talmente chi^ mi sarà licito dire senza biasimo tutte le cose che prima mi verranno alla bocca. Per non tener adunque più lungamente questo carico di obligazione sopra le spaile, dico, che in ogni cosa tanto è dif- ficil conoscer la vera perfezion, che quasi è impossibile; e questo per la varietà dei giudizii. Però si ritrovano molli, ai quali sarà grato un uomo che parli assai, e quello chiama- ranno piacevole; alcuni si dileltaranno più della modestia; alcun’ altri d’ un uomo attivo ed inquieto; altri di chi in ogni cosa mostri riposo e considerazione: e cosi ciascuno lauda e vitupera secondo il parer suo, sempre coprendo il vizio col nome della propinqua virtù, o la virtù col nome del propin- quo vizio; come chiamando un prosunlnoso, lìbero; un mo- desto, arido; un nescio, buono; un sceleralo, prudente; e Digitized by Google 22 IL CORTEGIANO. medesimamente nel reslo. Pur io estimo, in ogni cosa esser la sua perfezione, avvenga che nascosta; e questa potersi con ragionevoli discorsi giudicar da chi di quella tal cosa ha no- tizia. £ perchè, com’ho detto, spesso la verità sta occulta, ed io non mi vanto aver questa cognizione, non posso laudar se non quella sorte di Cortegiani eh’ io più apprezzo, ed ap- provar quello che mi par più simile al vero, secondo il mio poco giudicio: il qual seguitarete se vi parerà buono, ovvero v’ allenerete ai vostro, se egli sarà dal mio diverso. Nè io già contrasterò che ’l mio sia miglior che ’l vostro; ciiè non so- lamente a voi può parer una cosa ed a me un’altra, ma a me stesso poria parer or una cosa ed ora un’ altra. XIV. Voglio adunque che questo nostro Cortegiano sia nato nobile, c di generosa famiglia; perchè molto men si disdice ad un ignobile mancar di far operazioni virtuose, che ad uno nobile, il qual se desvia del cammino de’ suoi ante- cessori, macula il nome della famiglia, e non solamente non acquista, ma perde il già acquistato; perchè la nobiltà è quasi una chiara lampa, che manifesta e fa veder l’opere buone e le male, ed accende e sprona alla virtù cosi col timor d’in- famia, come ancor con la speranza di laude: e non scoprendo questo splendor di nobilita l’o|)ere degl’ignobili, essi man- cano dello stimolo, e del timore di quella infamia, nè par loro d’esscr ohligati passar più avanti di quello che fallo abbiano i suoi antecessori; ed ai nobili par biasimo non giugner almeno al termine da’ suoi primi mostratogli. Però inlervien quasi sempre, che e nelle arme e nelle altre virtuose operazioni gli uomini più segnalali sono nobili, |>crchè la natura in ogni cosa ha insilo quello occulto seme, che porge una certa forza e proprietà del suo principio a lutto quello che da esso deri- va, ed a sè lo fa sìmile: come non solamente vedemo nelle razze de’ cavalli e d’altri animali, ma ancor negli alberi, i rampolli dei quali quasi sempre s’ assimigliano al tronco; e se qualche volta degenerano, procede dal mal agricoltore. £ cosi intervicn degli uomini, i quali se di buona creanza sono coltivati, quasi sempre son simili a quelli d' onde procedono, e spesso migliorano; ma se manca loro chi gli curi bene, di- vengono come selvalichi, nè mai si maturano. Vero è che, Digitized by C.ooeL LIBRO .PRIMO. 23 o sia per favor delle Bielle o di natura , nascono alcuni accom- pagnali da tante grazie, che par che non siano nati, ma che un qualche dio con le proprie mani formali gli abbia , ed or- nati di tulli i beni dell’animo e del corpo; si come ancor molli si veggono tanto inetti e sgarbati, che non si può credere se non che la natura per dispetto o per ludibrio prodotti gli ab- bia al mondo. Questi si come per assidua diligenza e buona creanza poco frullo per lo più delle volte posson fare, cosi quegli altri con poca fatica vengon in colmo di somma eccel- lenza. £ per darvi un esempio: vedete il signor don Ippolito da Esle Cardinal di Ferrara , il quale tanto di felicità ha por- talo dal nascere suo, che la persona, lo aspetto, le parole, e tulli i suoi movimenti sono talmente di questa grazia com- posti ed accomodati, che tra i più antichi prelati, avvenga che sia giovane, rapresenta una tanto grave autorità, che più presto pare allo ad insegnare, che bisognoso d’ imparare; me- desimamente, nel conversare con nomini e con donne d’ogni qualità, nel giocare, nel ridere e nel motteggiare tiene una certa dolcezza e cosi graziosi costumi, che forza è che cia- scun che gli parla o pur lo vede gli resti perpetuamente affe- zionalo. Ma, tornando al proposito nostro, dico, che tra que- sta eccellente grazia e quella insensata sciocchezza si trova ancora il mezzo; e posson quei che non son da natura cosi perfettamente dotati , con studio e fatica limare e correggere in gran parte i difetti naturali. Il Cortegiano adunque, oltre alla nobiltà, voglio che sia in questa parte fortunato, ed ab- bia da natura non solamente lo ingegno, e bella forma di persona e di volto, ma una certa grazia, e, come si dice, un sangue, che lo faccia al primo aspetto a chiunque lo vede grato ed amabile, e. sia questo un ornamento che componga e compagni tutte le operazioni sue, e prometta nella fronte, quel tale esser degno del commercio e grazia d’ ogni gran signore. — XV. Quivi, non aspettando più oltre, disse il signor G a- SPAR Palla vicino: Acciò che il nostro gioco abbia la forma ordinata, e che non paja che noi cslimiam poco l’ autorità dataci del contradire, dico, che nel Cortegiano a me non par cosi necessaria questa nobilita; e s’io mi pensassi dir cosa ^ Digitized by Googlc 24 IL COnXEGIANO. che ad alcun di noi fosse nova, io addurrei molli, li quali, nati di nobilissimo sangue , son siali pieni di vizii; e per Io contrario molti ignobili, che hanno con la virtù illustrato la posterità loro. E se è vero quello che voi diceste dianzi, cioè che in ogni cosa sia quella occulta forza del primo seme: noi tutti saremmo in una medesima condizione, per aver avuto nn medesimo principio, nè più un che l’altro sarebbe nobile. Ma delle diversità nostre e gradi d’ altezza e di bassezza credo io che siano molte altre cause: tra le quali estimo la fortuna esser precipua; perchè in tutte le cose mondane la veggiamo dominare, e quasi pigliarsi a gioco d’alzar spesso fin al cielo chi par a lei, senza merito alcuno, e sepelir nel- l’ abisso i più degni d’ esser esaltati. Confermo ben ciò che voi dite della felicità di quelli che nascon dotati dei beni dell’animo e del corpo: ma questo cosi si vede negl’ ignobili come nei nobili, perché la natura non ha queste cosi sottili distinzioni; anzi, come ho detto, spesso si veggono in per- sone bassissime altissimi doni di natura. Però non acquistan- dosi questa nobiltà nè per ingegno nè per forza nè per arte, ed essendo piuttosto laude dei nostri antecessori che nostra propria, a me par troppo strano voler che se i parenti del nostro Cortegiano son stati ignobili, tutte le sue buone qua- lità siano guaste, e che non bastino assai qneli’altre condi- zioni che voi avete nominate, per ridurlo al colmo della per- fezione: cioè ingegno, bellezza di volto, disposizion di persona, e quella grazia che al primo aspetto sempre lo fac- cia a ciascun gratissimo. — XVI. Allor il conte Lunonco, Non nego io, rispose, che ancora negli nomini bassi non possano regnar quelle mede- sime virtù che nei nobili : ma (per non replicar quello che già avemo detto, con molte altre ragioni che si poriano ad- durre in lande della nobiltà, la qual sempre ed appresso ognuno è onorala , perchè ragionevole cosa è che de’ buoni nascano i buoni) avendo noi* a formare un Cortegiano senza difetto alcuno, e cumulato d’ogni laude, mi par necessario farlo nobile, si per molle altre cause, come ancor per la opi- nione universale, la qual subito accompagna la nobilità. Che se saranno dui uomini di palazzo, i quali non abbiano per Digitized by Googte LIBRO PRIMO. 25 prima dato impression alcuna di sè stessi con l’opere o buo- ne 0 male: subito che s’ intenda l’ un esser nato gentiluomo e r altro no, appresso ciascuno lo ignobile sarà molto meno estimato che ’l nobile , e bisognerà che con molle fatiche e con tempo nella mente degli uomini imprima la buona opi- nion di sè, che T altro in un momento, e solamente con l’ esser gentiluomo, averà acquistata. E di quanta importanza siano queste impressioni, ognun può facilmente comprendere: chè, parlando di noi, abbiam veduto capitare in questa casa uomini, i quali essendo sciocchi e goffissimi, per tutta Italia hanno però avuto fama di grandissimi Corlegiani; e benché in ultimo siano stati scoperti e conosciuti, pur per molti di ci hanno ingannato, e mantenuto negli animi nostri quella opinion di sè che prima in essi hanno trovato impressa, ben- ché abbiano operato secondo il lor poco valore. Avemo ve- duti altri al principio in pochissima estimazione, poi esser all’ ultimo riusciti benissimo. E di questi errori sono diverse cause: e tra l’altre, la ostinazion dei signori, i quali, per vo- ler far miracoli , talor si mettono a dar favore a chi par loro che meriti disfavore. E spesso ancor essi s’ ingannano ; ma perchè sempre hanno inGnili imitatori, dal favor loro deriva grandissima fama, la qual per lo più i giudicii vanno seguen- do: e se ritrovano qualche cosa che paja contraria alla com- mone opinione, dubitano d’ ingannar sè medesimi, e sempre aspettano qualche cosa di nascosto: perchè pare che questo opinioni universali debbano pur esser fondate sopra il vero, e nascere da ragionevoli cause; e perchè gli animi nostri sono prontissimi allo amore ed all’odio, come si vede nei spettacoli de’combatlimenti e de’ giochi e d’ogni altra sorte contenzione, dove i spettatori spesso si affezionano senza manifesta cagione ad una delle parti, con desiderio estremo che quella resti vin- cente e r altra perda. Circa la opinione ancor delle qualità degli uomini, la buona fama o la mala nel primo entrare move l’ animo nostro ad una di queste due passioni. Però inter- viene che per lo piò noi giudichiamo con amore, ovvero con odio. Vedete adunque di quanta importanza sia questa prima impressione, e come debba sforzarsi d’acquistarla buona nei principi!, chi pensa aver grado e nome di buon Corlegiano. 20 IL COKTEGIANO. XVII- Ma per venire a qualche particolarità, estimo che la principale e vera profcssion del Cortegiano debba esser quella dell’ arme; la qual sopra tutto voglio che egli faccia vivamente, e sia conosciuto tra gli altri per ardito e sforzato c fedele a chi serve. E ’l nome di queste buone condizioni si acquisterà facendone l’ opere in ogni tempo e loco; imperoc- ché non è licito in questo mancar mai senza biasimo estre- mo: e come nelle donne la onestà una volta macchiata mai più non ritorna al primo stalo, cosi la fama d’un gentiluomo che porti l’arme, se una volta in un minimo punto si deni- ^ra per codardia o altro rimprocchio, sempre resta vitupe- rosa al mondo e piena d’ignominia. Quanto più adunque sarà eccellente il nostro Cortegiano in questa arte, tanto più sarà (lesno di laude; bench’ io non estimi esser in lui necessaria quella perfetta cognizion di cose, e l’ altre qualità, che ad un capitano si convengono; che per esser questo troppo gran mare, ne conlenlaremo, come avemo detto, della integrità di fede e dell’animo invitto, e che sempre si vegga esser tale: perchè molte volle più nelle cose piccole che nelle grandi si conoscono i coraggiosi; e spesso ne’ pericoli d’importanza, e dove son molli leslimonii, si ritrovano alcuni i quali, benché abbiano il core morto nel corpo, pur, spinti dalla vergogna 0 dalla compagnia, quasi ad occhi chiusi vanno inanzi, e fanno il debito loro, e Dio sa come; e nelle cose che poco premo- no, e dove par che possano senza esser notali restar di met- tersi a pericolo, volcnticr si lasciano acconciare al sicuro. Ma quelli che ancor quando pensano non dover esser d’ alcuno né mirati né veduti nè conosciuti, mostrano ardire, c non lascian passar cosa, per minima che ella sia, che possa loro esser carico, hanno quella virtù d’animo che noi ricerchia- mo nel nostro Cortegiano. Il quale non volerne però che si mostri tanto fiero, che sempre stia in su le brave parole, c dica aver tolto la corazza per moglie, e minacci con quelle fiere guardature che .spesso avemo vedute fare a Berlo: chè a questi tali meritamente si può dir quello, che una valorosa donna in una nobile compagnia piacevolmente disse ad uno, ch’io pier ora nominar non voglio; il quale essendo da lei, per onorarlo, invitalo a danzare, c rifiutando esso e questo, r , ized Ì^.-50gU LIBRO PRIMO. 27 e Io adir musica, e molti altri interlenimenti offertigli, sem- pre con dir, cosi fatte novelluzze non esser suo mestiero; in ultimo dicendo la donna. Qual é adunque il mestier vostro? — rispose con un mal viso. Il combattere; — allora la donna subito. Crederei, disse, che or che non siete alla guerra né in termine di combattere, fosse buona cosa che vi faceste molto ben untare, ed insieme con tutti i vostri arnesi di bat- taglia riporre in un armario, finché bisognasse, per non rug- ginire più di quello che siate; — e cosi, con molte risade'cir- constanti, scornato lascioUo nella sua sciocca prosanzione. Sia adunque quello che noi cerchiamo, dove si veggon gl’ inimici, fierissimo, acerbo, e sempre tra i primi; in ogni altro loco, umano, modesto e ritenuto, fuggendo sopra tutto la ostenta- zione, e lo impudente laudar sé stesso, per lo quale 1’ uomo sempre si concita odio e stomaco da chi ode. — XVIII. Ed io, rispose allora il signor Gàspab, ho co- nosciuti pochi uomini eccellenti in qualsivoglia cosa, che non laudino sé stessi: e parmi che mollo ben comportar lor si possa; perchè chi si sente valere, quando si vede non esser per r opere dagli ignoranti conosciuto , si sdegna che’l valor suo stia sepolto, e forza é che a qualche modo Io scopra, per non esser defraudato dall’ onore, che è il vero premio delle virlaose fatiche. Però, tra gli antichi scrittori, chi mollo vale, rare volte si astien da laudar sé stesso. Quelli ben sono in- tolerabili, che essendo di ninn merito, si laudano; ma tal non presumiam noi che sia il nostro Corlegiano. — Allor il Conte, Se voi, disse, avete inteso, io ho biasimalo il laudare sé stesso impudentemente e senza rispetto: e certo, come voi dite, non si dee pigliar mala opinion d’un uomo valoroso, che modestamente si laudi; anzi lòr quello per testimonio più certo, che se venisse di bocca altrui. Dico ben che chi, lau- dando sé stesso, non incorre in errore, nè a sé genera fasti- dio 0 invidia da chi ode, quello è discretissimo, ed, oltre alle laudi che esso si dà, ne merita ancor dagli altri; perchè è cosa difflcii assai. ~ Allora il signor Gaspar, Questo, disse, ci avete da in^gnar voi.— Rispose il Conte: Fra gli antichi scrittori non è ancor mancalo chi l’abbia insegnalo; ma, al parer mio, il tutto consiste in dir le cose di modo, che paja Digitized by Google 28 IL CORTEGIANO. non che si dicano a quel fine, ma che caggìano talmente a proposito, che non si possa restar di dirle, e sempre mostran- do fuggirle proprie laudi, dirle pure; ma non di quella ma- niera che fanno questi bravi, che aprono la bocca, e lascia n venir le parole alla ventura. Come pochi di fa disse un de’ nòstri, che essendogli a Pisa stato passato una coscia con una picca da una banda all’altra, pensò che fosse una mosca che l’avesse punto; ed un altro disse, che non teneva spec- chio in camera, perchè quando si crucciava diveniva tanto terribile nell’ aspetto, che veggendosi aria fatto troppo gran paura a sè stesso. — Rise qui ognuno; ma messer Cesare Gonzaga soggiunse: Di che ridete voi? Non sapete che Ales- sandro Magno, sentendo che opinion d’un filosofo era che fossino infiniti mondi, cominciò a piangere, ed essendogli domandato, perchè piangeva, rispose. Perch’io non ne ho ancor preso un solo; — come se avesse avuto animo di pi- gliarli tolti? Non vi par che questa fosse maggior braveria, che il dir della puntura della mosca? — Disse allor il Conte ; Anco Alessandro era maggior uomo, che non era colui che disse quella. Ma agli uomini eccellenti in vero si ha da per- donare quando presumono assai di sè; perchè chi ha da far gran cose, bisogna che abbia ardir di farle e confidenza di sè stesso, e non sia d’animo abietto o vile, ma si ben mo- desto in parole, mostrando di presumer meno di sè stesso che non fa, pur che quella presunzione non passi alla te- merità. — XIX. Quivi facendo un poco di pausa il Conte, disse ri- dendo messer Bernabdo Bibiena: Ricordomi che dianzi dice- sti, che questo nostro Corlegiano aveva da esser dotalo da natura di bella forma di volto e di persona, con quella gra- zia che lo facesse cosi amabile. La grazia e ’l volto bellissi- mo penso per certo che in me sia, e perciò interviene che tante donne quante sapete ardeno dell’ amor mio ; ma della forma del corpo sto io alquanto dubioso, e massimamente per queste mie gambe, che in vero non mi pajono così atte com’io vorrei: del busto, e del resto contentomi pur assai bene. Di- chiarate adunque un poco più minutamente questa forma del corpo, quale abbia ella da essere, acciò che io possa levarmi Digilized by Google LIBRO PRIMO. 20 dì questo dubio, e star con l’animo riposalo. — Essendosi di questo riso alquanto , soggiunse il Conte: Certo, quella grazia del volto, senza mentire, dir si può esser in voi, nè altro esempio adduco che questo, per dichìarire che cosa ella sia; chè senza dubio veggiamo, il vostro aspetto esser gratissimo e piacere ad ognuno, avvenga che i lineamenti d’esso non siano molto delicati; ma tien del virile, e pur è grazioso; e trovasi questa qualità in molle e diverse forme di volti. E di tal sorte voglio io che sia lo aspetto del nostro Cortegiano , non cosi molle e feminile come si sforzano d’aver molti, che non solamente si crespano i capegli e spelano le ciglia, ma si strisciano con lutti que’ modi che si faccian le più lascive e disoneste femine del mondo; e pare che nello andare, nello stare, ed in ogni altro lor atto siano tanto teneri e lan- guidi, che le membra siano per staccarsi loro l’uno dall’al- tro; e pronunziano quelle parole cosi afflitte, che in quel punto par che lo spirito loro finisca: e quanto più si trovano con nomini di grado, tanto più usano tai termini. Questi, poi che la natura, come essi mostrano desiderare di parere ed essere, non gli ha fatti femine, dovrebbono non come buone femine esser estimati, ma, come publiche meretrici, non so- lamente delle corti de’ gran signori, ma del consorzio degli uomini nobili esser cacciati. XX. Yeguendo adunque alla qualità della persona, dico bastar ch’ella non sia estrema in piccolezza nè in grandez- za; perchè e l’una e l’altra di queste condizioni porla seco una certa dispettosa maraviglia, e sono gli uomini di tal sorte mirali quasi di quel modo che si mirano le cose mostruose: benché, avendo da peccare nell’una delle due estremità, mcn male è Tesser un poco diminuto, che ecceder la ragioncvol misura in grandezza; perchè gli nomini cosi vasti di corpo, olirà che molte volle di ottuso ingegno si trovano, sono an- cor inabili ad ogni esercizio di agilità: la qual cosa io desi- dero assai nel Cortegiano. £ perciò voglio che egli sia di buona disposizione e de’ membri ben formato, e mostri forza e leggerezza e discioltura, e sappia di tutti gli esercizi! di persona che ad uom di guerra s’appartengono: e di questo penso, il primo dover essere maneggiar ben ogni sorte d’ar- Digitìzed by Google 30 IL CORTEGIANO. me a piedi ed a cavallo, e conoscere i vantaggi che in esse sono, e massimamente aver notìzia di quell’arme che s’usano ordinariamente tra’ gentiluomini ; perchè, oltre all’ operarle alla guerra, dove forse non sono necessarie tante sottilità, intervengono spesso differenze tra un gentiluomo e l’altro, onde poi nasce il combattere, e molte volte con quell’ arme che in quel punto si trovano a canto: però il saperne è cosa securissiraa. Nè son io già di quei che dicono, che allora l’arte si scorda nel bisogno; perchè certamente chi perde l’arte in quel tempo, dà segno che prima ha perduto il core e ’l cervello di paura. XXL Estimo ‘ancora, che sia di momento assai il saper lottare, perchè questo accompagna molto tutte l’arme da piedi. Appresso, bisogna che e per sé e per gli amici intenda le querele e differenze che possono occorrere, e sia avvertito nei vantaggi, in tutto mostrando sempre ed animo e pruden- za; nè sia facile a questi combattimenti, se non quanto per l’onor fosse sforzato: chè, oltre al gran pericolo che la du- biosa sorte seco porta, chi in tali cose precipitosamente e senza urgente causa incorre, merita grandissimo biasimo, avvenga che ben gli succeda. Ma quando si trova l’aomo es- ser entrato tanto avanti, che senza carico non si possa ri- trarre, dee e nelle cose che occorrono prima del combattere, e nel ^combattere, esser deliberatissimo , e mostrar sempre prontezza q core; e non far com’alcuni, che passano la cosa in dispute e punti, ed avendo la elezion dell’arme pigliano arme che non tagliano nè pungono, e si armano come s’aves- sero ad aspettar le cannonate; e parendo lor bastare il non esser vinti, stanno sempre in sul difendersi e ritirarsi, tanto che mostrano estrema viltà; onde fannosi far la baja da’ fan- ciulli: come que’dui Anconitani, che poco fa combatterono a Pei^gia, e fecero rìdere chi gli vide — E quali furon que-- sti? — disse il signor Gaspàb Palla vicmo. Rispose roesser Ce- sare: Dui fratelli consobrini. — Disse allora il Conte: Al combattere parvero fratelli carnali; — poi soggiunse: Ado- pransi ancor l’arme spesso in tempo dì paca in diversi eser- cizii, e veggonsi i gentiluomini nei spettacoli publici alla pre- senza de’ popoli, di donne e di gran signori. Però voglio che ’l LIBRO PRIMO. 31 nostro Cortegiano sia perfetto cavalier d’ogni sella; ed oltre allo aver cognìzion di cavalli e di ciò che ai cavalcare s’ap- partiene, ponga ogni stadio e diligenza di passar in ogni cosa un poco più avanti che gli altri, di modo che sempre tra tatti sia per eccellente conosciuto. E come si legge d’ Alcibiade, che superò tutte le nazioni appresso alle quali egli visse, e ciascuna in quello che più era suo proprio: cosi questo nostro avanzi gli altri, e ciascuno in quello di che più fa professione. E perché degli Italiani é peculiar laude il cavalcar bene alla brida, il maneggiar con ragione massimamente cavalli aspe- ri, il correr lance e’I giostrare, sia in questo dei migliori Italiani: nel torneare, tener un passo, combattere una sbar- ra, sia buono tra i miglior Franzesi: nel giocare a canne, correr tori, lanciar aste e dardi, sia tra i Spagnoli eccellente. Ma sopra tutto, accompagni ogni suo movimento con un certo buon giudicio e grazia, se vuole meritar quell’ universa! fa- vore che tanto s’apprezza. XXII. Sono ancor molti altri esercizi!, i quali benché non dipendano drittamente dalle arme, pur con esse hanno molta convenienza, e tengono assai d’una strenuità virile; e tra questi parmi la caccia esser de’ principali, perché ha una certa similitudine di guerra: ed é veramente piacer da gran signori, e conveniente ad uom di corte, e comprendesi che ancora tra gli antichi era in molta consuetudine. Conveniente é ancor saper nuotare, saltare, correre, gittar pietre, per- ché, oltre alla utilità che di questo si può avere alla guerra, molle volte occorre far prova di sé in tai cose; onde s’acqui- sta buona estimazione, massimamente nella moltitudine, con la quale bisogna pur che l’uora s’accommodi. Ancor nobile esercizio e convenientissimo ad uom di corte é il gioco di pal- la, nel quale molto si vede la disposizion del corpo, e la pre- stezza e discioltura d'ogni membro, e tutto quello che quasi in ogni altro esercizio si vede. Né di minor laude estimo il volteggiar a cavallo; il quale benché sia faticoso e difficile, fa l’uomo leggerissimo e destro più che alcun’ altra cosa; ed, oltre alla utilità, se quella leggerezza é compagnala di buona grazia, fa, al parer mio, più bel spettacolo che alcun degli altri. Essendo adunque il nostro Cortegiano in questi eserci- Digilized by Google 52 IL CORTEGIANO. zii più che mediocremenle esperto, penso che debba lasciar gli altri da canto ; come volteggiar in terra , andar in su la corda, e tai cose, che quasi hanno del giocolare, e poco sono a gentiluomo convenienti. Ma, perchè sempre non si può ver- sar tra queste cosi faticose operazioni , oltra che ancor la as- siduità sazia mollo e leva quella ammirazione che si piglia delle cose rare, bisogna sempre variar con diverse azioni la vita nostra. Però voglio che’l Cortegiano discenda qualche volta a più riposati e placidi esercizi!, e per schivar la invi- dia e per intertenersi piacevolmente con ognuno, faccia tutto quello che gli altri fanno, non s’allontanando però mai dai landevoli atti, e governandosi con quel buon giudicio che non lo lasci incorrere in alcuna sciocchezza; ma rida, scherzi, motteggi, balli e danzi, nientedimeno con tal maniera, che sempre mostri esser ingenioso e discreto, ed in ogni cosa che faccia o dica sìa aggraziato. — XXIII. Certo, disse allor messer Cesare Gonzaga, non si dovria già impedir il corso di questo ragionamento; ma se io tacessi, non satisfarei alla libertà ch’io ho di parlare, nè al desiderio di saper una cosa: e siami perdonato s’io, avendo a contradire, dimanderò; perchè questo credo che mi sia licito, per esempio del nostro messer Bernardo, il qual, per troppo voglia d’esser tenuto bell’ uomo, ha contrafatto alle leggi del nostro gioco, domandando, e non contradicen- do.— Vedete, disse allora la signora Dociiessa, come da nn crror solo molti ne procedoùo. Però chi falla, e dà mal esem- pio, come messer Bernardo, non solamente merita esser pu- nito del suo fallo, ma ancor dell’ altrui. — Rispose allora mes- ser Cesare: Dunque io. Signora, sarò esente di pena, avendo messer Bernardo ad esser punito del suo e del mio errore. — Anzi, disse la signora Duchessa, tutti dui dovete aver doppio castigo: esso del suo falle, e dello aver indotto voi a fallire; voi del vostro fallo, e dello aver imitato chi falliva. — Signora, rispose messer Cesare, io fin qui non ho fallito; però, per lasciar tutta questa punizione a messer Bernardo solo, tacerommi. — E già si taceva; quando la signora Emi- lia ridendo. Dite ciò che vi piace, rispose, chè, con licenza però della signora Duchessa, io perdono a chi ha fallito e a nir '.7r^ by Uoogic LIBRO PRIMO. 33 chi fallirà in cosi piccol fallo. — Soggianse la signora Dccues- sa: io son contenta: ma abbiate cura che non v’inganniate, pensando forse meritar più con Tesser clemente che con Tes- ser giusta; perchè, perdonando troppo a chi falla, si fa in- giuria a chi non falla. Pur non voglio che la mia austerità , per ora, accusando la indulgenza vostra, sia causa che noi perdiamo d’udir questa domanda di messer Cesare. — Cosi esso, essendogli fatto segno dalla signora Duchessa e dalla signora Emilia, subito disse: XXIV. Se ben tengo a memoria, parmi, signor Conte, che voi questa sera più volte abbiale replicato, che’l Corle- giano ha da compagnar Toperazion sue, i gesti, gli abiti, in somma ogni suo movimento con la grazia; e questo mi par che mettiate per un condimento d'ogni cosa, senza il quale tulle Taltre proprietà e buone condizioni siano di poco valore. E veramente credo io , che ognun facilmente in ciò si lascie- rebbe persuadere, perchè, per la forza del vocabolo, si può dir che chi ha grazia, quello è grato. Ma perchè voi diceste, questo spesse volle esser don della natura e de’ cieli , ed an- cor quando non è cosi perfetto potersi con studio e fatica far molto maggiore: quegli che nascono cosi avventurosi e tanto ricchi di tal tesoro come alcuni che ne veggiamo , a me par che in ciò abbiano poco bisogno d’altro maestro; perchè quel benigno favor del cielo quasi al suo dispetto i guida più alto che essi non desiderano, e fagli non solamente grati ma am- mirabili a tutto il mondo. Però di questo non ragiono, non essendo in poter nostro per noi medesimi Tacquistarlo. Ma quegli che da natura hanno tanto solamente, che son atti a poter essere aggraziati aggingnendovi fatica, industria e stu- dio, desidero io di saper con quaTarle, con qual disciplina e con qual modo possono acquistar questa grazia, cosi negli csercizii del corpo, nei quali voi estimate che sia tanto ne- cessaria, come ancor in ogni altra cosa che si faccia o dica. Però, secondo che col laudarci molto questa qualità a tutti avete, credo, generato una ardente sete di conseguirla, per lo carico dalla signora Emilia impóstovi siete ancor, con lo insegnarci, obligaio ad estinguerla. — XXV. Obligatonon son io, disse il Conte, ad insegnarvi Digitized by Google 34 IL CORTEGIANO. a diventar aggraziati, nè altro; ma solamente a dimostrarvi qual abbia ad essere un perfetto Cortegiano. Nè io già piglia- rci impresa di insegnarvi questa perfezione; massimamente avendo poco fa detto che ’i Cortegiano abbia da saper lottare c volteggiare, c tant’altre cose, le quali come io sapessi in- segnarvi, non le avendo mai imparate, so che tutti Io cono- scete. Basta che si come un buon soldato sa dire al fabro di che foggia e garbo e bontà hanno ad esser l’arme, nè perù gli sa insegnar a farle, nè come le martellio tempri; cosi io forse vi saprò dir qual abbia ad esser un perfetto Cortegiano, ma non insegnarvi come abbiate a fare |)er divenirne. Pur per satisfare ancor quanto è in poter mio alla domanda vostra, l)enchè e’ sia quasi in proverbio, che la grazia non s’ impa- ri: dico, che chi ha da esser aggrazialo negli esercizii corpo- rali, presupponendo prima che da natura non sia inabile, dee cominciar per tempo, ed imparar i principii da ottimi maestri; la qual cosa quanto paresse a Filippo re di Macedo- nia importante, si può comprendere, avendo voluto che Ari- stotele, tanto famoso filosofo e forse il maggior che sia stato al mondo mai, fosse quello che insegnasse i primi clementi delle lettere ad Alessandro suo figliolo. E degli uomini che noi oggidì couoscemo, considerate come bene ed aggrazia- tamente fa il signor Galeazzo Sanseverino gran scudiero di Francia tutti gli esercizii del corpo; c questo perchè, oltre alla naturai disposizione ch’egli tiene della persona, ha posto ogui studio d’imparare da buon maestri, ed aver sempre presso di sè uomini eccellenti, e da ognun pigliar il meglio di ciò che sapevano: chè siccome del lottare, volteggiare, c maneggiar molle sorti d’armi, ha tenuto per guida il nostro messer Pietro Monte, il qual, come sapete, è il vero e solo maestro d’ogni artificiosa forza e leggerezza, cosi del caval- care, giostrare, e qualsivoglia altra cosa, ha sempre avuto ìnanzi agli occhi i più p>erfetti che in quelle professioni siano stali conosciuti. XXVI. Chi adunque vorrà esser buon discepolo, oltre al far le cose bene, sempre ha da metter ogni diligenza per assimigliarsi al maestro, e se possibil fosse, trasformarsi in lui. E quando già si sente aver fatto profitto, giova molto vo- Dì- LIBRO PRIMO. 35 der diversi uomini di tal pr9fessione, e, governandosi con qoel buon giudicio che sempre gli ha da esser guida, andar sce* gliendo or da un or da un altro varie cose. E come la pec- chia ne’ verdi prati sempre tra l’erbe va carpendo i fiori , COSI il nostro Cortesiano averà da rubare questa grazia da que’che a lui parerà che la tenghino, e da ciascun quella jtarle che più sarà landevole; e non far come un amico no- stro, che voi tutti conoscete, che si pensava esser molto si- mile al re Ferrando minore d’ Aragona, né in altro avea po- sto cura d’imitarlo, che nei spesso alzar il capo, torzendo una parte della bocca, il qual costume il re avea contratto cosi da infirraità. E di questi, molti si ritrovano, che pensan far assai, pur che sian simili ad un grand’uomo in qualche cosa; e spesso si appigliano a quella che in colui è sola vi- ziosa. Ma avendo io già più volle pensalo meco onde nasca questa grazia, lasciando quegli che dalle stelle l’hanno, trovo una regola universalissima, la qual mi par valer circa questo in tutte le cose umane che si facciano o dicano più che al- cuna altra: e ciò è fuggir quanto più si può, e come un aspe- rissìmo e pericoloso scoglio, la affettazione; e, per dir forse una nuova parola, usar in ogni cosa una certa sprezzatura, che nasconda l’arte, e dimostri, ciò che si fa e dice venir fatto senza fatica e quasi senza pensarvi. Da questo credo io che derivi assai la grazia: [terché delle cose rare e ben fatte ognun sa la difficoltà , onde in esse la facilità genera gran- dissima maraviglia; e per lo contrario, il sforzare, e, comesi dice, tirar per i capegli, dà somma disgrazia, e fa estimar poco ogni cosa, per grande ch’ella si sia. Però si può dir quella esser vera arte, che non appare esser arte; né più in altro si ha da poner studio, che nel nasconderla: perché se é scoperta, leva in lutto il credito, e fa ruòmo poco estimato. E ricórdomi io già aver letto, esser stati alcuni antichi ora- tori eccellentissimi, i quali, tra l’altre loro industrie," sforza- vansi di far credere ad ognuno, sé non aver notizia alcuna di lettere; e, dissimulando il sapere, mostravan le loro ora- zioni esser fatte semplicissimamenlc, e piuttosto secondo che loro porgea la natura e la verità, che lo studio e l’arte: la qual se fosse stala conosciuta, aria dato dubio negli animi Uiyil1?t!8 by Google 36 IL CORTEGIANO. del popolo di non dover esser da quella ingannali. Vedete adunque come il mostrar l’arte, ed un cosi intento studio, levi la grazia d’ogni cosa. Qual di voi è che non rida, quando il nostro messer Pierpaolo danza alla foggia sua, con que’ sal- telli e gambe stirale in punta di piede, senza mover la lesta, come se tutto fosse un legno, con tanta attenzione, che di certo pare che vada numerando i passi? Qual occhio è cosi cieco, che non vegga in questo la disgrazia della affettazio- ne? e la grazia in molti uomini e donne che sono qui pre- senti, di quella sprezzata disinvoltura (chè nei movimenti del corpo molti così la chiamano), con un parlar o ridere o adattarsi, mostrando non estimar e pensar più ad ogni altra cosa che a quello, per far credere a chi vede quasi di non sa- per nè poter errare? — XXVII. Quivi non aspettando, messer Bernardo Bibiena disse: Eccovi che messer Roberto nostro ha pur trovalo chi lauderà la foggia del suo danzare, poiché tutti voi altri paro che non ne facciale caso; chè se questa eccellenza consiste nella sprezzatura, e mostrar di non estimare, e pensar più ad ogni altra cosa che a quello che si fa , messer Roberto nel danzare non ha pari al mondo; chè per mostrar ben di non pensarvi, si lascia cader la roba spesso dalle spalle e le pan- toffolc de’ piedi , e senza raccòrrà nè l’uno nè l’altro, tuttavia danza. — Rispose allor il Conte: Poiché voi volete pur ch’io dica, dirò ancor de’vizii nostri. Non v’accorgete che questo, che voi in messer Roberto chiamate sprezzalura, è vera affetta- zione? perchè chiaramente si conosce che esso si sforza con ogni studio mostrar di non pensarvi: e questo è il pensarvi troppo; e perchè passa certi termini di mediocrità, quella sprezzalura è affettala c sta male; ed è una cosa che appunto riesce al contrario del suo presupposito, cioè di nasconder l’arte. Però non estimo io che minor vizio della affetlazion sia nella sprezzatura, la quale in sè è laudevole, lasciarsi cadere i panni da dosso, che nella attillatura, che pur medesima- mente da sè è laudevole, il portar il capo cosi fermo per paura di non guastarsi la zazzera, o tener nel fondo della berretta il specchio, e ’l pettine nella manica, ed aver sem- pre drìelo il paggio per le strade con la sponga e la scope l- LIBRO PRIMO. 7)1 (a: perchè questa cosi fatta attilatura c sprezznliira tendono troppo allo estremo; il che sempre è vizioso, e contrario a quella pura ed amabile simplicità, che tanto è grata agli ani- mi umani. Vedete come un cavalier sia di mala grazia, quando si sforza d’andare cosi stirato in su la sella, e, come noi $o- gliam dire, alla veneziana, a comparazion d’ un altro, che paja che non vi pensi, e stia a cavallo cosi disciolto e sicuro come se fosse a piedi. Quanto piace più e quanto più é lau- dato un gentiluom che porti arme, modesto, che parli poco e poco si vanti, che un altro, il qual sempre stia in sul lau- dar sé stesso, e biastemando con braveria mostri minacciar al mondo I e niente altro è questo, che affettazione di voler parer gagliardo. Il medesimo accade in ogni esercizio, anzi in ogni cosa che al mondo fare o dir si possa. — XXVllI. Allora il signor Magnifico, Questo ancor, disse, si verifica nella musica, nella quale è vizio grandissimo, far due consonanze perfette l’una dopo l’altra; tal che il mede- simo sentimento dell’andito nostro l’aborrisce, e spesso ama una seconda o settima, che in sè è dissonanza aspera cd intolcrabile: c ciò procede , che quel continuare nelle per- fette genera sazietà, e dimostra una troppo affettata armo- nia; il che, mescolando le imperfette, si fuggc, col far quasi un paragone, donde più le orecchie nostro stanno sospese, e più avidamente attendono e gustano le perfette, e dilettansi talor di quella dissonanza della seconda o settima, $ome di cosa sprezzata. — Eccovi adunque, rispose il Conte, che in questo nóce l’ affettazione, come nell’altre cose. Dicesi ancor esser stato proverbio appresso ad alcuni eccellentissimi pit- tori antichi , troppo diligenza esser nociva , ed esser stato biasimato Protogene da Apelle, che non sapea levar le mani dalla tavola. — Disse allor messer Cesare: Questo medesimo difetto parmi che abbia il nostro fra Serafino, di non saper levar le mani dalla tavola, almen fin che in tutto non ne sono levate ancora le vivande. — llise il Conte, c sog- giunse: Voleva dire Apelle, che Protogene nella pittura non conoscea quel che bastava; il che non era altro, che ri- prenderlo d’essere affettato nelle opere sue. Questa virtù adunque contraria alla affettazione, la qual noi per ora cbia- Digitized by CoofJ». 38 IL CORTEGIANO. marno sprezzatora, olirà che ella sia il vero fonte donde de- riva la grazia, porta ancor seco un altro ornamento, il qua- le accompagnando qualsivoglia azione umana per minima che ella sia, non solamente subito scopre il saper di chi la fa, ma spesso lo fa estimar molto maggior di quello che è in effetto ; perchè negli animi delti circonstanti imprime opi- nione, che chi cosi facilmente fa bene sappia molto più di quello che fa, e se in quello che fa ponesse studio e fatica, potesse farlo molto meglio. £, per replicare i medesimi esem- pii, eccovi che un uom che maneggi l’arme, se per lanciar un dardo, ovver lenendo la spada in mano o altr’arma, si pon senza pensar scioltamente in una attitudine pronta, con tal facilità che paja che il corpo e tutte le membra stiano in quella disposizione naturalmente e senza fatica alcuna , ancora che non faccia altro, ad ognuno si dimostra esser perfettissimo in quello esercizio. Medesimamente nel dan> zare, un passo solo, un sol movimento della persona grazioso e non sforzato, subito manifesta il sapere di chi danza. Un musico, se nel cantar pronuncia una sola voce terminata con soave accento in un groppetto duplicato con tal facilità che paja che così gli venga fatto a caso, con quel ponto solo fa conoscere che sa molto più di quello che fa. Spesso ancor nella pittura una linea sola non stentata, un sol colpo di pen- nello tirato facilmente, di modo che paja che la mano, senza esser guidata da studio o d’arte alcuna, vada per sé stessa al suo termine secondo la hitmision dd pittore, scopre chia- ramente la ecceHensa dell’artehoe , circa la opinion della qoale ognuno poi si estende secondo il suo giudicio: e ’l me- desimo interviene quasi d’ ogni altra cosa. Sarà adunque il nostro Cortegiano estimato eccellente, ed in ogni cosa averà grazia, e massimamente nel parlare, se fuggirà raSettazione: nel qual errore incorrono molli, e talor più che gli altri, al- cuni nostri Lombardi ; i quali se sono stati un anno fuor di casa, ritornati, subito cominciano a parlare romano, talor spagnolo 0 franzese, e Dìo sa come; e tolto questo procede da troppo desiderio di mostrar di saper assai : ed in tal modo r uomo mette studio e diligenza in acquistar un vizio odio- sissimo. E certo, a me sarebbe non piccola fatica, se in que- LIBRO PRIMO. 59 \ sii nostri ragionamenti io volessi usar quelle parole antiche toscane, che già sono dalla consuetudine dei Toscani d’ og- gidì riOntate; e con lutto questo credo che ognun di me ri- deria. — XXIX. Allor messcr Fedeoico, Veramente, disse, ra- gionando tra noi come or facciamo , forse saria male usar quelle parole antiche toscane; perchè, come voi dite, da- riano fatica a chi le dicesse ed a chi le udisse, e non senza ditfìcoltà sarebbono da molli intese. Ma chi scrìvesse, crede- rei ben io che facesse errore non usandole , perchè dànno molta grazia ed autorità alle scritture , e da esse risulta una lingua più grave e piena di maestà che dalle moderne. — Non so, rispose il Conte, che grazia o autorità possan dar alle scritture quelle parole che si deono fuggire , non sola- mente nel modo del parlare, come or noi facciamo ( il che voi stesso confessate), ma ancor in ogni altro che imagìnar si possa. Chè se a qualsivoglia nomo di buon giudicio occor- resse far una orazione di cose gravi nel senato proprio di Fiorenza, che è il capo di Toscana, ovver parlar privata- mente con persona di grado in quella città di negozii im- portanti, o ancor con chi fosse dimcslichissimo di cose pia- cevoli , con donne o cavalieri d’amore, o burlando o scher- zando in feste, giochi, odove si sia, oin qualsivoglia tempo, loco o proposito, son certo che si guarderebbe d’osar quelle parole antiche toscane ; ed usandole , oltre al far far beffe di sè, darebbe non poco fastidio a ciascun che lo ascoltasse. Farmi adunque mollo strana cosa usare nello scrivere per buone quelle parole, che si fuggono per viziose in ogni sorte di parlare; e voler che quello che mai non si conviene nel parlare, sia il più conveniente modo che usar si possa nello scrivere. Chè pur, secondo me, la scrittura non è altro che una forma di parlare, che resta ancor poi che l’ uomo ha parlato, e quasi una imagine o più presto vita delle parole: e però nel parlare , il qual, subito uscita che ò la voce , si disperde, son forse tolerabili alcune cose che non sono nello scrivere; perchè la scrittura conserva le parole , e le sotto- pone al giudicio di chi_ legge , c dà tempo di considerarle maturamente. E perciò è ragionevole che in questa si metta Digitized by Googte iO IL CORTEGIANO. maggior diligenza, per farla più colla e castigala; non però di modo, che le parole scritte siano dissimili dalle dette, ma che nello scrivere si eleggano delle più belle che s’ usano nel parlare. E se nello scrivere fosse licito quello che non è licito nel parlare, ne nascerebbe un inconveniente al parer mio grandissimo: che è, che più licenza usar si poria in quella cosa nella qual si dee usar più studio ; e la industria che si mette nello scrivere, in loco di giovar, nocerebbe. Però certo è, che quello che si conviene nello scrivere, si convien ancor nel parlare; e quel parlar è bellissimo, che è simile ai scritti belli. Estimo ancora, che molto più sia necessario Tes- ser inteso nello scrivere, che nel parlare ; perchè quelli che scrivono non son sempre presenti a quelli che leggono, co- me quelli che parlano a quelli che parlano. Però io laudarei che l’uomo, oltre al fuggir molte parole antiche toscane, s’assicurasse ancor d’usare, e scrivendo e parlando, quelle che oggidì sono in consuetudine in Toscana e negli altri lo- chi della Italia, e che hanno qualche grazia nella pronun- cia. E parrai che chi s’ impone altra legge, non sia ben si- curo di non incorrere in quella affettazione tanto biasimata, della qual dianzi dicevamo.,— XXX. Allora messer Federico, Signor Conte, disse, io non posso negarvi che la scrittura non sia un modo di par- lare. Dico ben, che se le parole che si dicono hanno in sè qualche oscurità, quel ragionamento non penetra nell’ animo di chi ode, e passando senza essere inteso, diventa vano: il che non interviene nello scrivere ; chè se le parole che usa il scrittore portan seco un poco non dirò di difficoltà, ma d'acutezza recondita, e non cosi nota come quelle che si di- cono parlando ordinariamente, dànno una certa maggior autorità alla scrittura, e fanno che ’l lettore va più. ritenuto e sopra di sè, e meglio considera, e si diletta dello ingegno e dottrina di chi scrive; e col buon giudici o affaticandosi un poco, gusta quel piacere che s’ ha nel co nseguir le cose diflìcili. E se la ignoranza di chi legge è tanta, che non possa superar quelle difficoltà, non è la colpa dello scrittore, nò per questo si dee stimar che quella lingua non sìa bella. Però, nello scrivere credo io che si convenga usar le parole Digilized by Googk . LIBHO PRIMO. 41 toscane, e solamente le usate dagli antichi Toscani; perchè quello è gran testimonio ed approvato dal tempo che sian buone, e significative di quello perché si dicono ; ed oltra questo, hanno quella grazia e venerazion che l’ antiquità presta non solamente alle parole, ma agli edificii, alle sta- tue, alle pitture, e ad ogni cosa che è bastante a conservar- la ; e spesso solamente con quel splendore e dignità, fanno la elocuzipn bella, dalla virtù della quale ed eleganza ogni subietto, per basso che egli sia, può esser tanto adornato, che merita somma lande. Ma questa vostra consuetudine, di cui voi fate tanto caso, a me par molto pericolosa, e spesso può esser mala; e se qualche vizio di parlar si ritrova esser invalso in molti ignoranti, non per questo parmi che si debba pigliar per una regola, ed esser dagli altri seguitato. Oltre a questo, le consuetudini sono molto varie, nè è città nobile in Italia che non abbia diversa maniera di parlar da tutte r altre. Però non vi ristringendo voi a dichiarir qual sia la migliore, potrebbe l’ uomo attaccarsi alla bergamasca cosi come alla fiorentina, e secondo voi non sarebbe error alcu- no. Parmi adunque, che a chi vuol fuggir ogni dubio ed es- ser ben sicuro, sia necessario proporsi ad imitar uno, il quale di consentimento dì tutti sia estimato buono, ed averlo sempre per guida e scudo contra chi volesse riprendere : e questo (nel volgar dico) non penso che abbia da esser altro che il Petrarca e ’l Boccaccio ; e chi da questi dui si disco- sta, va tentoni, come chi cammina per le tenebre senza lu- me, e però spesso erra la strada. Ma noi altri siamo tanto arditi, che non degnamo di far quello che hanno fatto i buoni antichi; cioè attendere alla imitazione, senza la quale estimo io che non si possa scriver bene. E gran testimonio di questo parmi che ci dimostri Virgilio; il quale, benché con quello ingegno e giudicio tanto divino togliesse la speranza a tutti i posteri che alcun mai potesse ben imitar lui, volse però imitar Omero. — XXXI. Allor il signor Gaspar Pallavicino, Questa dis- putazion, disse, dello scrivere, in vero è ben degna d’esser udita: nientedimeno, più farebbe al proposito nostro se voi c’ insegnaste di che modo debba parlar il Cortegiano, perché 4 * Digitized by Google 42 IL CORTEGIANO. panni che n’ abliia maggior bisogno, e pki spesso gli occórra il servirsi del parlare che dello scrivere. — Rispose il Ma- gnifico: Anzi a Cortegiano tanto eccellente e cosi perfetto, non è dubio che l’ uno e l’altro è necessario a sapere, e che senza queste due condizioni forse tutte l’ altre sariano non molto degne di laude: però, se il Conte vorrà satisfare al de- bito suo, insegnerà al Cortegiano non solamente il parlare, ma ancor il scriver bene. — Allor il Conte, Signor Magnifi- co, disse, questa impresa non accettarò io già: chè gran sciocchezza saria la mia voler insegnare ad altri quello che io non so; e, quando ancor lo sapessi, pensar di poter fare in cosi poche parole quello, che con tanto studio e fatica hanno fatto appena uomini dottissimi ; ai scritti de’ quali ri- metterei il nostro Cortegiano, se pur fossi obligato d’ inse- gnargli a scrivere e parlare. — Disse messer Cesare : Il si- gnor Magnifico intende del parlare e scriver volgare, e non latino ; però quelle scritture degli uomini dotti non sono al proposito nostro : ma bisogna che voi diciate circa questo ciò che ne sapete , chè del resto v’ averemo per escusato. — Io già l’ ho detto, rispose il Conte; ma, parlandosi della lin- gua toscana, forse più saria debito del signor Magnifico che d’ alcun altro il darne la sentenza. — Disse il Magnifico: Io non posso nè debbo ragionevolmente contradir a chi dice che la lingua toscana sia più bella dell’ altre. È ben vero che molle parole si ritrovano nel Petrarca e nel Boccaccio, che or son interlasciate dalla consuetudine d’ oggidì ; e que- ste io, per me, non usarci mai, nè parlando nè scrivendo; e credo che essi ancor, se insin a qui vivuli fossero, non le usarebbon più. — Disse allor messer Federico: Anzi le usa- rebbono ; e voi altri signori Toscani dovreste rinovar la vo- stra lingua, c non lasciarla perire, come fate; chè ormai si può dire che minor notizia se n’abbia in Fiorenza, che in molti altri lochi della Italia. — Rispose allor messer Bernar- do: Queste parole che non s’usano più in Fiorenza, sono restale ne’ contadini, e, come corrotte e guaste dulia vec- chiezza, sono dai nobili riGulale. — XXXII. Allora la signora Duchessa, Non usciam, disse, dui primo proposito, e facciuiu che ’l conte Ludovico in&cgni Digilized by LIBRO PRIMO. i5 al Corlcgiano il parlare e scriver bene, e sia o toscano o co- me si voglia. — Rispose il Conte: lo già, Signora, ho detto quello che ne so ; e tengo che le medesime regole che ser- vono ad insegnar l’uno, servano ancor ad insegnar l’altro. Ma poiché mel comandate, risponderò quello che m’occorre a messer Federico, il quale ha diverso parer dal mio; e forse mi bisognerà ragionar un poco più diffusamente che non si conviene : ma questo sarà quanto io posso dire. £ prima- mente dico, che, seconda il mio giudicio, questa nostra lin- gua, che noi chiamiamo volgare, è ancor tenera e nuova, benché già gran tempo si costumi ; perché, per essere slata la Italia non solamente vessala e depredata, ma lungamente abitata da’ Barbari, per Io commercia di quelle nazioni la lingua latina s’é corrotta e guasta, e da quella corruzione son nate altre lingue; le quai, come i fiumi che dalla cima dell’Apennino fanno divorzio e scorrono nei due mari, cosi si son esse ancor divise, ed alcune tinte di latinità perve- nute per diversi cammini quiM ad una parte e quale all’ al- tra, ed una tinta di barbarie rimasta in Italia. Questa adun- que é stata tra noi lungamente incomposta e varia, per non aver avuto chi le abbia posto cura, né in essa scritto, né cercato di darle splendor o grazia alcuna: pur é poi stata alquanto più colta in Toscana, che negli altri lochi della Ita- lia ; 0 per questo par che ’l suo fiore insino da que’ primi tempi qui sia rimaso, per aver servalo quella nazion gentil accenti nella pronunzia, ed ordine grammaticale in quello che si convien, più che l’altre; ed aver avuti tre nobili scrit- tori, i quali ingeniosamente, e con quelle parole e termini che usava la consuetudine de’ loro tempi, hanno espresso i lor concetti: il che più felicemente che agli altri, al parer mio, é successo al Petrarca nelle cose amorose. Nascendo poi di tempo in tempo, non solamente in Toscana ma in tutta la Italia, tra gli uomini nobili e versati nelle corti e ncH’arme e nelle lettere qualche studio di parlare e scrivere più elegantemente, che non si faceva in quella prima età rozza ed incolta, quando lo incendio delle calamità nate da’ Barbari non era ancor sedato: sonsi lasciate molte paro- le, cosi nella città piopria di Fiorenza ed in tutta la Tosca- Digitized by Google u IL COUTEGIANO. na, come nel resto della Italia, ed in loco di quelle riprese deir altre, e fattosi in questo quella mutazion che si fa in tulle le cose umane : il che è intervenuto sempre ancor delle altre lingue. Che se quelle prime scritture antiche la- tine fossero durate insino ad ora, vederemmo che altra- mente parlavano Evandro e Turno e gli altri latini di que’ tempi, che non fecero poi gli ultimi re romani e i primi consoli. Eccovi che i versi che cantavano i Salii a pena erano dai posteri intesi ; ma essendo di quel modo dai primi institutori ordinali, non si mutavano per riverenza della religione. Cosi successivamente gli oratori e i poeti an- darono lasciando molle parole usate dai loro antecessori ; chè Antonio, Crasso, Ortensio, Cicerone fuggivano molte di quelle di Catone, e Virgilio molle d’ Ennio; e cosi fecero gli altri : che ancor che avessero riverenza aH’antiquità, non la cslimavan però tanto, che volessero averle quella obbliga- zion che voi volete che ora le abbiam noi; anzi, dove lor pa- rca, la biasimavano : come Orazio, che dice che i suoi anti- chi aveano scioccamente laudalo Plauto, e vuol poter acqui- stare nuove parole. E Cicerone in molli lochi riprende molli suoi antecessori ; e per biasimare Sergio Galba, afferma che le orazioni sue aveano dell’ antico ; e dice che Ennio ancor sprezzò in alcune cose i suoi antecessori : di modo che, se noi vorremo imitar gli antichi, non gl’ imitaremo. E Virgi- lio, che voi dite che imitò Omero, non lo imitò nella lingua. XXXIII. Io adunque queste parole antiché, quanto per me, fuggirei sempre d’usare, eccetto però che in certi lo- chi, ed in questi ancor rare volte ; e parmi che chi altri- menti le usa, faccia errore, non meno che chi volesse, per imitar gli antichi, nutrirsi ancora di ghiande, essendosi già trovala copia di grano. E perchè voi dite che le parole anti- che, solamente con quel splendore d’antichità, adornan tanto ogni subiello, per basso che egli sia, che possono farlo degno di molta laude : io dico, che non solamente di queste parole antiche, ma nè ancor delle buone faccio tanto caso, ch’estimi debbano senza ’l suco delle belle sentenze esser prezzale ragionevolmente ; perchè il dividere le sentenze dalle jiarole è un divider l’anima dal corpo : la qual cosa nè Digitized by Google LIBRO PRIMO. 45 nell’ uno nè nell’ altro senza distruzione far si può. Quello adunque che principalmente importa ed è necessario al Cortegiano per parlare e scriver bene, estimo io che sia il sapere • perchè chi non sa, e nell’ animo non ha cosa che ineriti esser intesa, non può nè dirla nè scriverla. Appres- so, bisogna dispor con bell’ordine quello che si ha a dire o scrivere; poi esprimerlo ben con le parole; le q«al«, » non m’inganno, debbono esser proprie, elette, splendide e ben composte, ma sopra lutto usale ancor dal popolo ; per- chè quelle medesime fanno la grandezza e pompa dell ora- zione, se colui che parla ha buon giudicio e diligenza, e sa pigliar le più significative di ciò che vuol dire, ed inalzarle, c come cera formandole ad arbitrio suo collocarle in tal parte e con tal ordine, che al primo aspetto mostrino e fac- cian conoscere la dignità e splendor suo, come tavole di pittura poste al suo buono e naturai lume. E questo cosi dico dello scrivere, come del parlare : al qual però si richiedono alcune cose che non son necessarie nello scrivere; come la voce buona, non troppo sottile o molle come di femina, nè ancor tanto austera ed orrida che abbia del rustico, ma so- nora, chiara, soave e ben composta, con la pronunzia espe- dita, e coi modi e gesti convenienti ; li quali, al parer mio, consistono in certi movimenti di tutto ’l corpo, non affettati nè violenti, ma temperali con un volto accommodalo, e con un mover d’ occhi che dia grazia e s’ accordi con le parole, e più che si può significhi ancor coi gesti la intenzione ed affetto di colui che parla. Ma tulle queste cose sarian vane e di poco momento, se le sentenze espresse dalle parole non fossero belle, ingegnose, acute, eleganti e gravi, secondo 1 bisogno. — XXXIV. Dubito, disse allora il signor Morello, che se questo Cortegiano parlerà con tanta eleganza e gravità, fra noi si trovaranno di quei che non lo intenderanno. Anzi da ognuno sarà inteso, rispose il Conte, perchè la facilità non impedisce la eleganza. Nè io voglio eh’ egli parli sem- pre in gravità, ma di cose piacevoli, di giochi, di motti c di burle, secondo il tempo; del tutto {wrò sensatamente, c con pioiilezza e coiiia non confusa ; nè mostri in parte al- TSa'by Coogic 46 IL CORTEGIANO. cuna vanità o sciocchezza paerìle. E quando poi parlerà dì cosa oscura o dilBcile, voglio che e con le parole e con le sentenze ben distinte esplichi sottilmente la intenzion sua, ed ogni ambiguità faccia chiara e piana con un certo modo diligente senza molestia. Medesimamente, dove occorrerà, sappia parlar con dignità e veemenza , e concitar quegli af- fetti che hanno in sè gli animi nostri , ed accenderli o mo- verli secondo il bisogno; talor con una semplicità di quel candore, che fa parer che la natura istessa parli, intenerir- gli, c quasi inebbriargli di dolcezza, e con tal facilità, che chi ode estimi eh’ egli ancor con pochissima fatica potrebbe conseguir quel grado, e quando ne fa la prova se gli trovi lontanissimo. Io vorrei che ’l nostro Cortegiano parlasse e scrivesse di tal maniera; e non solamente pigliasse parole splendide ed eleganti d’ogni parte della Italia, ma ancor lauderei che talor usasse alcuni di quei termini e franzesi e spagnoli, che già sono dalla consuetudine nostra accettati. Però a me non dispiacerebbe che, occorrendogli, dicesse primor; dicesse accertare, avventurare; dicesse ripassare una persona con ragionamento, volendo intendere riconoscerla e trattarla per averne perfetta notizia ; dicesse «n cavalier senza rimproccio, attilato, creato d' un principe, ed altri tal termini, pur che sperasse esser inteso. Talor vorrei che pi- gliasse alcune parole in altra signiheazione che la lor pro- pria; e, traportandole a proposito, quasi le inserisse come rampollo d’ albero in piA felice tronco, per farle più vaghe e belle, e quasi per accostar le cose al senso degli occhi pro- pri!, e, come si dice, farle toccar con mano, con diletto di chi ode o legge. Nè vorrei che temesse formarne ancor di nuove, e con nuove hgure di dire, dedocendole con bel modo dai Latini, come già .i Latini le deducevano dai Greci. XXXV. Se adunque degli nomini litterati e di buon in- gegno e giudicio, che oggidì tra noi si ritrovano, fossero al- cuni, li quali ponessino cura di scrivere del modo che s’ è detto in questa lingua cose degne d’ esser lette, tosto la ve- deressimo colla ed abondante di termini c di belle Rgure, e capace che in essa si scrivesse cosi bene come in qualsivo- LIBRO PRIMO. 47 glia altra; c so ella non fosse para toscana antica, sarebbe italiana, commane, copiosa e varia, e qaasi come an deli- zioso giardino pien di diversi fiori e fratti. Nè sarebbe que- sto cosa nuova ; perchè, delle quattro lingue che aveano in consuetudine i scrittori greci, eleggendo da ciascuna parole, modi e figure, come ben loro veniva, ne facevano nascere un’ altra che si diceva commune, e tutte cinque poi sotto un sol nome chiamavano lingua greca ; e benché la ateniese fosse elegante, pura e faconda più che l’ altre, i buoni scrit- tori che non erano di nazion Ateniesi non la affettavan tan- to, che nel modo dello scrivere, e quasi all’odore e proprietà del suo naturai parlare, non fossero conosciuti : nè per que- sto però erano sprezzati ; anzi quei che volevan parer troppo Ateniesi, ne rapportavan biasimo. Tra i scrittori latini ancor furono in prezzo a’ suoi di molti non Romani, benché in essi non si vedesse quella purità propria della lingua roma- na, che rare volte possono acquistar quei che son d’altra na- zione. Già non fu rifiutato Tito Livio, ancora che colui di- cesse aver trovato in esso la patavinità, nè Virgilio, per es- ser stato ripreso che non parlava romano; e, come sapete, furono ancor Ietti ed estimati in Roma molti scrittori di na- zione Barbari. Ma noi, molto più severi che gli antichi, im- ponemo a noi stessi certe nuove leggi fuor di proposito ; ed avendo inanzi agli occhi le strade battute, cerchiamo andar per diverticoli: perchè nella nostra lingua propria, della quale, come di tutte l’ altre, 1’ officio è esprimer bene e chiaramente i concetti dell’ animo, ci dilettiamo della oscu- rità ; e, chiamandola lingua volgare, volemo in essa usar pa- role che non solamente non son dal volgo, ma nè ancor da- gli uomini nobili e litterati intese, nè più si usano in parte alcuna ; senza aver rispetto, che tutti i buoni antichi biasi- mano le parole rifiutate dalla consuetudine. La qual voi, al parer mio, non conoscete bene ; perchè dite, se qualche vizio di parlare è invalso in molti ignoranti, non pèr questo si dee chiamar consuetudine, nè esser accettato per una re- gola di parlare; o, secondo che altre volte vi ho udito dire, volete poi, che in loco di CapiloUo si dica Campidoglio; per Jeronimo, Girolamo; aldace per audace; e per patrone, podro- DigtfTzed by Googic 48 IL CORTEGIANO. n«, ed altre lai parole corrotte e guaste; perchè cosi si tro- van scritte da qualche antico Toscano ignorante, e perché cosi dicono oggidì i contadini toscani. La buona consuetudine adunque del parlare credo io che nasca dagli uomini che hanno ingegno, e che con la dottrina ed esperienza s’ hanno guadagnato il buon gindicio, e con quello concorrono e con- sentono ad accettar lé parole che lor pajon budnc, le quali si conoscono per un certo gindicio naturale, e non per arto o regola alcuna. Non sapete voi, che le figure del parlare, le qnai dànno tanta grazia e splendor alla orazione, tutte sono abusioni delle regole grammaticali, ma accettate e confermate dalla usanza, perchè, senza poterne render altra ragione, pia- cene, ed al senso proprio dell’ orecchia par che portino soa- vità e dolcezza? E questa credo io che sia la buona consue- tudine; delia quale cosi possono essere capaci i Romani, i Napoletani, i Lombardi e gli altri, come i Toscani. \X\VI. È ben vero, che in ogni lingua alcune cose sono sempre buone: come la facilità, il bell’ordine, l’abon- danza, le belle sentenze, le clausole numerose; e, per con- trario, r affettazione e l’ altre cose opposite a queste son ma- le. Ma delle parole son alcune che durano buone un tempo, poi s’invecchiano ed in tutto perdono la grazia; altre pigliai! forza e vengono in prezzo: perchè, come le stagioni del- r anno spogliano de’ fiori e de’ frutti la terra, e poi di nuovo d’ altri la rivestono, cosi il tempo quelle prime parole fa ca- dere, e Taso altre di nuovo fa rinascere, e dà lor grazia c dignità, fin che, dall’invidioso morso del tempo a poco a poco consumate, giungono poi esse ancora alla lor morte ; perciocché, al fine, e noi ed ogni nostra cosa è mortale. Con- siderate che della lingua Osca non avemo più notizia alcuna. La provenzale, che pur mo, si può dir, era celebrata da no- bili scrittori, ora dagli abitanti di quel paese non è intesa. Penso io adunque, come ben ha detto il signor Magnifico, che se ’l Petrarca e ’l Boccaccio fossero vivi a questo tempo, non nsariano molte parole che vedemo ne’ loro scritti : però non mi par bene che noi quelle imitiamo. Laudo ben som- mamente coloro che sanno imitar quello che si dee imitare; nientedimeno non credo io già che sia impossibile scriver uy Cuoiai LIBRO PRIMO. 49 bene ancor senza imitare ; e massimamente in questa nostra lingua, nella quale possiam esser dalla consuetudine ajutatì: il che non ardirei dir nella latina. — XXXVII. Allor messer Federico, Perchè volete voi, disse, che più s’estimi la consuetudine nella volgare che nella latina? — Anzi, dell’ una e dell’altra, rispose il Conte, estimo che la consuetudine sia la maestra. Ma perchè* que- gli uomini, ai quali la lingua latina era cosi propria come or è a noi la volgare, non sono più al mondo, bisogna che noi dalle lor scritture impariamo quello che essi aveano impa- rato dalla consuetudine; nè altro vuol dir il parlar antico, che la consuetudine antica di parlare: e sciocca cosa sarebbe amar il parlar antico non per altro, che per voler più presto parlare come si parlava, che come si parla. — Dunque, ri- spose messer Federico, gli antichi non imitavano?— Credo, disse il Conte, che molti imitavano, ma non in ogni cosa. E se Virgilio avesse in tutto imitato Esiodo, non gli saria passato inanzi; nè Cicerone a Crasso, nè Ennio ai suoi an- tecessori. Eccovi che Omero è tanto antico, che da molti si crede che egli cosi sia il primo poeta eroico di tempo, come ancor è d’ eccellenza di dire : e chi vorrete voi che egli imi- tasse? — Un altro, rispose messer Federico, più antico di lui, del quale non avemo notizia per la troppa antiquità. — Chi direte adunque, disse il Conte, che imitasse il Petrarca e ’l Boccaccio, che pur tre giorni ha, si può dir, che son stati al mondo? — Io noi so, rispose messer Federico; ma creder si può che essi ancor avessero l’ animo indrizzato alla imi- tazione, benché noi non sappiam di cui. — Rispose il Conte: Creder si può che que’ che erano imitati fossero migliori che que’ che imitavano ; e troppo maraviglia saria che così pre- sto il lor nome e la fama, se erano buoni, fosse in tutto spenta. Ma il lor vero maestro cred’io che fosse l’ingegno, ed il lor proprio gindicio naturale; e di questo ninno è che si debba maravigliare, perchè quasi sempre per diverse vie si può tendere alla sommità d’ ogni eccellenza. Nè è natura alcuna che non abbia in sè molle cose della medesima sorte dissimili runa dall’ altra, le quali però son Ira .sè di egual laude degne. Vedete la musica, le armonie della quale or son 5 --*■ A Digitized by Google 50 IL CORTEGIANU. gravi c (arde, or velocissime e di novi modi e vie ; niente- dimeno (ulte dilettano, ma per diverse cause : come si com- prende nella maniera del cantare di Bidon; la quale è tanto artificiosa, pronta, veemente, concitata, e di cosi varie me- lodie, che i spiriti di chi ode tutti si commoveno e s’inGam- mano, e cosi sospesi par che si levino insino al ciclo. Né mem commove nel suo cantar il nostro Marchetto Cara, ma con più molle armonia ; chè per una via placida e piena di flebile dolcezza intenerisce e penetra le anime, imprimendo in esse soavemente una dilettevole passione. Varie cose an- cor egualmente piacciono agli occhi nostri, tanto che con diflìcoltà giudicar si può quai più lor son grate. Eccovi che nella pittura sono eccellentissimi Leonardo Vincio, il Man- (egna, Rafacllo, Michelangelo, Georgio da Castelfranco : nientedimeno, tutti son tra sé nel far dissimili; di modo che ad alcun di loro non par che manchi cosa alcuna in quella maniera, perchè si conosce ciascun nel suo stil esser perfet- tissimo. Il medesimo ò di molti poeti greci c latini, i quali, diversi nello scrivere, son pari nella laude. Gli oratori ancor hanno avuto sempre tanta diversità tra sé, che quasi ogni età ha prodotto ed apprezzato una sorte d’ oratori peculiar di quel tempo ; i quali non solamente dai precessori e suc- cessori suoi, ma tra sé son stati dissimili: come si scrive ne’ Greci, d’ Isocrate, Lisia, Eschinc^ e molt’ altri, tutti ec- cellenti, ma a niun |)cró simili fuor che a sé stessi. Tra i La- tini poi quei Carbone, Lelio, Scipione Africano, Galba, Sul- pizio, Cotta, Gracco, Marc’ Antonio, Crasso, e tanti che saria lungo nominare, tutti buoni, e l’un dall’ altro diversissimi; di modo che chi potesse considerar tutti gli oratori che sono stati al mondo, quanti oratori tanto sorti di dire trovarebbe. Farmi ancor ricordare che Cicerone in un loco introduca Marc’Antonio dir a Sulpizio, che molti sono i quali non imi- tano alcuno, e nientedimeno pervengono al sommo grado della eccellenza ; e parla di certi, i quali aveauo introdotto una nova forma e figura di dir, bella, ma inusitata agli altri oratori di quel tempo, nella quale non imilavano se non sé stessi : però aflcrma ancor che i maestri debbano conside- rar la natura dei discepoli, e, quella tenendo per guida, in- Digitizi^d bv Gno^Ic LIBRO PRIMO. 51 drizzarli ed ajutargli alla via che lo ingegno loro e la natu- rai disposizion gl’ inclina. Per questo adunque, messer Fede- rico mio, credo, se l’ uomo da sè non ha convenienza con qualsivoglia autore, non sia ben sforzarlo a quella imitazio- ne ; perchè la virtù di quell’ ingegno s’ ammorza e resta im- pedita, per -esser deviata dalla strada nella quale avrebbe fatto profitto, se non gli fosse stata precisa. Non so adunque come sia bene, in loco d’ arricchir questa lingua e darli spi- rilo, grandezza e lume, farla povera, esile, umile ed oscura, e cercare di metterla in tante angustie, che ognuno sia sfor- zato ad imitare solamente il Petrarca e ’l Boccaccio ; e che nella lingua non si debba ancor credere al Poliziano , a Lo- renzo de' Medici, a Francesco Diaceto, e ad alcuni altri che pur sono Toscani , e forse di non minor dottrina e gindicio che si fosse il Petrarca e '1 Boccaccio. E veramente, gran miseria saria mejlter fine e non passar più avanti di quello che s’ abbia fatto quasi il primo che ha scritto, e disperarsi che tanti e cosi nobili ingegni possano mai trovar più che una forma bella di dire in quella lingua, che ad essi è pro- pria e naturale. Ma oggidì son certi scrupolosi, i quali, quasi con una religion e misterii ineffabili di questa lor lingua to- scana, spaventano di modo chi gli ascolta, che inducono an- cor molli uomini nobili e lilterati in tanta timidità, che non osano aprir la bocca, e confessano di non saper parlar quella lingua, che hanno imparata dalle nutrici inaino nelle fasce. Ma di questo parmi che abbiam detto pur troppo; però seguitiamo ormai il ragionamento del Cortegiano. — XXXVIII. Allora messer Fedkbigo rispose: Io voglio pur ancor dir questo poco, che è, eh’ io già non niego che le opi- nioni e gli ingegni degli uomini non siano diversi tra sè; nè credo che ben fosse che uno, da natura veemente e concitato, si mettesse a scriver cose placide; nè meno un altro severo c grave, a scriver piacevolezze: perchè in questo parmi ra- gionevole che ognuno s’ accommodi allo instinto suo proprio. E di ciò, credo, parlava Cicerone quando disse, che i maestri avessero riguardo alla natura dei discepoli, per non far come i mali agricoltori, che talor nel terreno che solamenre è fruttifero per le vigne vogliono seminar grano. Ma a me non Digitized by Google 52 IL CORTEGIANO. può capir nella testa, che d’nna lingua particolare, la quale non è a tutti gli uomini cosi propria come i discorsi ed i pensieri e molte altre operazioni, ma una invenzione conte- nuta sotto certi termini , non sia più ragionevole imitar quelli che parlan meglio, che parlare a caso; e che, così come nel latino l’ nomo si dee sforzar di assimigliarsi alla lingua di Virgilio e di Cicerone, piuttosto che a quella di Silio o di Cornelio Tacito, cosi nel volgar non sia meglio imitar quella del Petrarca e del Boccaccio, che d’ alcun altro; ma ben in essa esprimere i suoi propri! concetti, ed in questo attende- re, come insegna Cicerone, allo instinto suo naturale: e cosi si troverà, che quella differenza che voi dite essere tra i buoni oratori, consiste nei sensi, e non nella lingua.— Allor il Conte, Dubito, disse, che noi entreremo in un gran pe- lago, e lasciaremo il nostro primo proposito del Cortcgiano. Por domando a voi: in che consiste la bontà di questa lin- gua? — Rispose messer Fedebico: Nel servar ben le pro- prietà di essa, e tòrla in quella significazione , usando quello stile e que’ numeri, che hanno fatto tutti quei che hanno scritto bene. Vorrei, disse il Conte, sapere se questo stile e questi numeri di che voi pariate, nascono dalle sentenze o dalle parole. — Dalle parole, rispose messer Fedebico. Adunque, disse il Conte, a voi non par che le parole di Silio e di Cornelio Tacito siano quelle medesime che usa - Virgilio e Cicerone? nè tolte nella medesima significazione? — Rispose messer Fedebico: Le medesime son si, ma alcune mal osservate e tolte diversamente. — Rispose il Conte: E se d’ un libro di Cornelio e d’un di Silio si levassero tutte quelle ' parole che son poste in altra significazion di quello che ’ fa Virgilio e Cicerone, che sariano pochissime: non direste voi poi, che Cornelio nella lingua fosse pare a Cicerone, e Silio a Virgilio? e che ben fosse imitar quella maniera di dire? — XXXIX. Allora la signora Emiliì, A me par, disse, che questa vostra disputa sia mo troppo lunga e fastidiosa ; però fia bene a differirla ad un altro tempo. — Messer Fede- rico pur incominciava a rispondere; ma sempre la signora Emilia lo interrompeva. In ultimo disse il Conte: Molli vo- LIBRO PRIMO. 55 sliono giudicare i sUii e parlar de’ numeri e della imitazione; ma a me non sanno già essi dare ad intendere che cosa sia stile nè numero, nè in che consista la imitazione, nè perchè le cose tolte da Omero o da qualche altro stiano tanto bene in Virgilio, che più presto pajono illustrate che imitate: e ciò forse procede ch’io non son capace d’ intendergli. Ma perchè grande argomento che l’ uom sappia una cosa è il sa- perla insegnare, dubito che essi ancora poco la intendano; e che e Virgilio e Cicerone laudino perchè sentono che da molti son laudali , non perchè conoscono la differenza che è tra essi e gli altri: chè in vero non consiste in avere una osservazione di due, di tre o di dieci parole usate a modo diverso dagli altri. In Saluslio, in Cesare, in Varrone e negli altri buoni si trovano usati alcuni termini diversamente da (luello che usa Cicerone; e pur l’ uno e l’ altro sta bene, per- chè in cosi frivola cosa non è posta la bontà e forza d’ una lingua: come ben disse Demostene ad Eschine, che lo mor- deva, domandandogli d’ alcune parole le quali egli aveva usate, e pur non erano attiche, se erano mostri o portenti; e Demostene se ne rise, e risposegU , che in questo non con- sistevano le fortune di Grecia. Cosi io ancora poco mi cura- rci se dà un Toscano fossi ripreso d’ aver detto piuttosto so- tis fatto che sodisfatto, ed onorewle che orrevole, e causa che cagione, e populo che popolo, ed altre tai cose. Allor mes- se r Fedbbico si levò in piè, e disse: Ascoltatemi, prego, queste poche parole. — Rispose, ridendo, la signora Emilia: Pena la disgrazia mia a qual di voi per ora parla più di que- sta materia , perchè voglio che la rimettiamo ad un’ altra sera. Ma voi. Conte, seguitate il ragionamento del Corte- giano ; e mostrateci come avete buona memoria, chè, credo, se saprete ritaccarlo ove lo lasciaste, non farete poco. — XL. Signora, rispose il Coste, il filo mi par tronco: pur, s’ io non m’inganno, credo che dicevamo, che somma disgrazia a tulle le cose dà sempre la pestifera affettazione, e per contrario grazia estrema la semplicità e la sprezzalura: a laude della quale, o biasimo della affettazione, molte altre cose ragionar si potrebbono; ma io una sola ancor dir no voglio, e non più. Gran desiderio universalmente lengon sìiaitiz I Googie 5-i IL CORTEGIANO. tulle le donne di essere, e, quando esser non possono, aimcn di parer belle: perù, dove la natura in qualche parte in questo è mancala, esse si sforzano di supplir con l’ artiGcio. Quindi nasce l’ acconciarsi la faccia con tanto studio e talor pena , I>elarsi le ciglia e la fronte, ed usar tutti que’ modi e patire que’ fastidii, che voi altre donne credete che agli uomini siano molto secreti, e pur tutti si sanno. — Rise quivi Ma- donna Costanza Fbegosa, e disse: Voi fareste assai più cor- tesemente seguitar il ragionamento vostro, e dir onde nasca la buona grazia, e parlar della Corlegiania, che voler scoprir i difetti delle donne senza proposito. — Anzi mollo a propo- sito, rispose il Conte; perchè questi vostri difetti di che io parlo vi levano la grazia, perchè d’altro non nascono che da affettazione, per la qual fate conoscere ad ognuno scoperta- mente il troppo desiderio vostro d’ esser belle. Non v’accor- gete voi, quanto più di grazia tenga una donna, la qual, se pur si acconcia, Io fa cosi parcamente e cosi poco, che chi la vede sta in dubio s’ella è concia o no; che un’altra, em- piaslrala tanto, che paja aversi posto alla faccia una masche- ra, e non osi ridere per non farsela crepare , nè si muti mai di colore se non quando la mattina si veste; e poi tutto il remanenle del giorno stia come statua di legno immobile, comparendo solamente a lume di lorze, come mostrano i cauli mercatanti i lor panni in loco oscuro? Quanto più poi di tulle piace una, dico non brutta, che si conosca chiara- mente non aver cosa alcuna in su la faccia, benché non sia cosi bianca nò cosi rossa, ma col suo color nativo pallidelta, e talor per vergogna o per altro accidente tinta d’ un inge- nuo rossore, coi capelli a caso inornati e mal composti, e coi gesti semplici e naturali, senza mostrar industria nè studio d’ esser bella? Questa è quella sprezzata purità gratissima agli occhi ed agli animi umani, i quali sempre temono essere dall’ arte ingannali. Piacciono multo in una donna i bei denti, |)erchè non essendo cosi scoperti come la faccia , ma per lo più del tempo stando nascosi, creder si può che non vi si ponga tanta cura per fargli belli, come nel volto: pur citi ridesse senza proposito e solamente per mostrargli, scoprirla r urte, c benché belli gli avesse, a tutti parerla disgraziatis- Digitized by CoogI‘ LIBRO PRIMO. 55 sìmo, come lo Egnazio Catulliano. 11 medesimo è delle mani; le quali, se delicate e belle sono, mostrate ignude a tempo, secondo che occorre operarle, e non per far veder la lor bel- lezza, lasciano di sè grandissimo desiderio, e massimamente revestite di guanti; perchè par che chi le ricopre non curie non estimi molto che siano vedute o no, ma cosi belle lo ab- bia più per natura che per studio o diligenza alcuna. Avete voi posto cura talor, quando, o per le strade andando alle chiese o ad altro loco, o giocando o per altra causa, accade che una donna tanto della roba si leva, che il piede e spesso un poco di gambetta senza pensarvi mostra? non vi pare che grandissima grazia tenga, se ivi si vede con una certa don- nesca disposizione leggiadra ed altilata nei suoi chiapinetti di velluto, e calze polite? Certo a me piace egli molto, e credo a tutti voi altri, perchè ognuno estima che la attila- tura in parte cosi nascosa e rare volte veduta, sia a quella donna piuttosto naturale e propria che sforzata, e che ella di ciò non pensi acquistar laude alcuna. XLI. In tal modo si fugge e nasconde l’ affettazione, la qual or potete comprender quanto sia contraria, e levi la grazia d’ ogni operazion cosi del corpo come dell’ animo: del quale per ancor poco avemo parlato, nè bisogna però la- sciarlo; chè si come l’ animo più degno è assai che ’l corpo, cosi ancor merita esser più culto e più ornato. ■£ ciò come far si debba nel nostro Cortegiano, lasciando li precetti di tanti savii filosoG che di questa materia scrivono, e difGni- scono le virtù dell’animo, e cosi sottilmente disputano della dignità di quelle: diremo in poche parole, attendendo al no- stro proposito, bastar che egli sia, come si dice, uomo da bene ed intiero; chè in questo si comprende la prudenza, bontà, fortezza e temperanza d’animo, e tutte l’altre condi- zioni che a cosi onorato nome si convengono. Ed io estimo, quel solo esser vero filosofo morale, che vuol esser buono; ed a ciò gli bisognano pochi altri precetti , che tal volontà. E però ben dicea Socrate, parergli che gli ammaestramenti suoi già avessino fatto buon frutto quando per quelli chi si fosse s’ incitava a voler conoscer ed imparar la virtù : perchè quelli che son giunti a termine che non desiderano cosa alcuna __.niniiizixJ by Coogle 6G IL COKTEGIANO. più che l’essere banni, facilmente conseguono la scienza di lutto quello che a ciò bisogna; però di questo non ragione- remo più avanti. XLII. Ma, oltre alla bontà, il vero e principal ornamento deir animo in ciascuno penso io che siano le lettere: benché i Franzesi solamente conoscano la nobilità delle arme, e tutto il resto nulla estimino; di modo che, non solamente non ap- prezzano le lettere, ma le aborriscono; e tutti i letterati ten- gon per vilissimi uomini ; e pare lor dir gran villania a chi si sia, quando lo chiamano clero. — Allora il Magnifico Jcluno, Voi dite il vero, rispose, che questo errore già gran tempo regna tra’ Franzesi; ma se la buona sorte vuole che monsignor d’Angolem, come si spera, succeda alla corona, estimo che si come la gloria dell’ arme fiorisce e risplende in Francia , cosi vi debba ancor con supremo ornamento fiorir quella delle lettere: perchè non è mollo ch’io, ritrovandomi alla corte, vidi questo signore, e parvemi che, oltre alla disposizion della persona e bellezza di volto, avesse nell’ aspetto tanta grandezza, congiunta però con una certa graziosa umanità, che ’l reame di Francia gli dovesse sempre parer poco. Intesi da poi da molti gentiluomini , e franzesi ed italiani , assai dei nobilissimi costumi suoi, della grandezza dell’animo, del va- lore e della liberalità ; e tra l’ altre cose fnmmi detto, che egli sommamente amava ed estimava le lettere, ed avea in gran- dissima osservanza tutti e’ litterati; e dannava i Franzesi proprii dell’ esser tanto alieni da questa professione, avendo massimamente in casa un cosi nobil Studio come è quello di Parigi, dove tutto il mondo concorre. — Disse allor il Conte : Gran maraviglia é che in cosi tenera età, solamente per istinto di natura, contra l’usanza del paese, si sia da sé a sé volto a cosi buon cammino; e perché li sud- diti sempre seguitano i costumi de’ superiori, può esser che, come voi dite, i Franzesi siano ancor per estimar le lettere di quella dignità che sono: il che facilmente, se vorranno intendere, si potrà lor persuadere; perché niuna cosa più da natura é desiderabile agli uomini né più propria che il sapere; la qual cosa gran pazzia é dire o credere che non sia sempre buona. Digitized by Google LIBKO PKIMO. 57 XLIII. E s’io parlassi con essi o con altri che fossino d’opinion contraria alla mia, mi sforzare! mostrar loro, quanto le lettere, le quali veramente da Dio son state agli uomini concedute per un supremo dono , siano utili e necessarie alla vita ed alla dignità nostra ; nè mi mancheriano esempi! di tanti eccellenti capitani antichi, i quali tutti giunsero l’orna- mento delle lettere alla virtù dell’arme. Chè, come sapete, Alessandro ebbe in tanta venerazione Omero, che la Iliade sempre si teneva a capo del letto ; e non solamente a questi studi!, ma alle speculazioni Glosofice diede grandissima opera sotto la disciplina d’ Aristotele. Alcibiade le buone condizioni sue accrebbe e fece maggiori con le lettere, e con gli ammae- stramenti di Socrate. Cesare quanta opera desse ai studi!, ancor fanno testimonio quelle cose che da esso divinamente scritte si ritrovano. Scipione Africano dicesi che mai di mano non si levava i libri di Senofonte, dove instituisce sotto ’l nome di Ciro un perfetto re. Potrei dirvi di Lucnllo, di Siila, di Pompeo, di Bruto e di moli’ altri Romani e Greci ; ma so- lamente ricordarò che Annibaie, tanto eccellente capitano, ma però di natura feroce ed alieno da ogni umanità, infe- dele e dispregiator degli uomini e degli dei, pur ebbe notizia di lettere e cognizion della lingua greca ; e, s’io non erro, parmi aver letto già, che esso un libro por in lingua greca lasciò da sé composto. Ma questo dire a voi è superfluo, chè ben so io che tutti conoscete quanto s’ingannano i Franzesi pensando che le lettere nuocciano all’ arme. Sapete che delle cose grandi ed arrischiate nella guerra il vero stimolo è la gloria; e chi per guadagno o per altra causa a ciò si move, oltreché mai non fa cosa buona, non merita esser chiamato gentiluomo, ma vilissimo mercatante. E che la vera gloria sia quella che si commenda al sacro tesauro delle lettere, ognun può comprendere, eccetto quegli infelici che gustate non l’hanno. Qual animo è cosi demesso, timido ed umile, che, leggendo i fatti e le grandezze di Cesare, d'Alessandro, di Scipione, d’ Annibaie e di tanti altri, non s’infìammi d’ un ardentissimo desiderio d’ esser simile a quelli, e non posponga questa vita caduca di dui giorni per acquistar quella famosa quasi perpetua, la quale, a dispetto della O'ifììlizod by Google 58 IL CORTEGIANO. morte, viver lo fa più chiaro assai che prima? Ma chi non sente la dolcezza delle lettere, saper ancor non può quanta sia la grandezza della gloria cosi lungamente da esse conser- vata, e solamente quella misura con la età d’nn nomo, o di dui, perchè di più oltre non tien memoria: però quésta breve tanto estimar non può, quanto faria quella quasi perpetua, se per sua disgrazia non gli fosse velato il conoscerla ; e non estimandola tanto, ragionevol cosa è ancor credere, che tanto non si metta a pericolo per conseguirla come chi la conosce. Non vorrei già che qualche avversario mi adducesse gli effetti contrarii, per riflutar la mia opinione, allegando- mi , gli Italiani col lor saper lettere aver mostrato poco valor nell’ arme da un tempo in qua : il che por troppo è più che vero; ma certo ben si poria dir, la colpa d’alcnni pochi aver dato , oltre al grave danno , perpetuo biasimo a tutti gli altri ; e la vera causa delle nostre mine e della virtù prostrata, se non morta, negli animi nostri, esser da quelli proceduta: ma assai più a noi saria vergognoso il publicarla, che a’ Franzesi il non saper lettere. Però meglio è passar con silenzio quello che senza dolor ricordar non si può ; e, fuggendo questo pro- posito, nel quale centra mia voglia entrato sono, tornar al nostro Cortegiano. XLIV. Il qual voglio che nelle lettere sia più che me- diocremente erudito, almeno in questi stndii che chìamamo d’umanità; e non solamente della lingua latina ma ancor della greca abbia cognizione, per le molte e varie cose che in quella divinamente scritte sono. Sia versato nei poeti, e non meno negli oratori ed istorici, ed ancor esercitato nel scriver versi o prosa, massimamente in questa nostra lingua volgare; chè, oltre al contento che egli stesso pigliarà, per questo mezzo non gli mancheran mai piacevoli interleni- menti con donne, le quali per ordinario amano tali cose. £ se, o [)cr altre faccènde o per poco studio, non giugnerà a tal perfezione che i suoi scritti siano degni di molta lande, sia cauto in sopprimergli, per non far ridere altra! di sé, e solamente i mostri ad amico di chi fidar sì possa ; perchè al- meno in tanto li giovaranno, che per quella esercitazion sa- prà giudicar le cose d’altrui: chè invero rare volte intervie- LIBRO PRIMO. 59 ne, che chi non è assueto a scrivere, per erudilo che egli sia, possa mai conoscer perfettamente le fatiche ed indastric de’ scrittori , nè gnstar la dolcezza ed eccellenza de’ stili, e quello intrinseche avvertenze che spesso si trovano negli an* tichi. Ed oltre a ciò, farànnolo questi stodii copioso, e, come rispose Aristippo a quel tiranno, ardito in parlar sicuramente con ognuno. Voglio ben perù, che ’l nostro Cortegiano fisso si tenga nell’animo un precetto; cioè che in questo ed in ogni altra cosa sia sempre avvertito e timido più presto che audace, e guardi di non persuadersi falsamente di sapere quello che non sa: perchè da natura tutti siamo avidi troppo più che non si devria di laude , e più amano le orecchie no^ stre la melodia delle parole che ci laudano, che qualunque altro soavissimo canto o suono; e però spesso, come voci di Sirene, sono causa di sommergere chi a tal fallace armonia , bene non se le ottura. Conoscendo questo pericolo, si è ritro- vato tra gli antichi sapienti chi ha scritto libri, in qual modo possa l’uomo conoscere il vero amico dall’adulatore. Ma que- sto che giova? se molti, anzi infiniti son quelli che manife- stamente comprendono esser adulati, e pur. amano chi gli adula, ed hanno in odio chi dice lor il vero? e spesso paren- dogli che chi landa sia troppo parco in dire, essi medesimi lo ajutano, e di sè stessi dicono tali cose, che lo impuden- tissimo adulator se ne vergogna. Lasciamo questi ciechi nel lor errore, c facciamo che ’l nostro Cortegiano sia di cosi buon gìudicio , che non si lasci dar ad intendere il nero per lo bianco, nè presuma di sè, se non quanto ben chiaramente conosce esser vero ; e massimamente in quelle cose, che nel suo gioco, se ben avete a memoria, messer Cesare ricordò che noi più volte avevamo osate per instromento di far im- pazzir molti. Anzi, per non errar, se ben conosce le laudi che date gli sono esser vere, non le consenta cosi aperta- mente, nè cosi senza contradizione le confermi; ma piutto- sto modestamente quasi le nieghi, mostrando sempre e te- nendo in efietto |>er sua principal professione l’arme, e l’ altre buone condizioni tutte per ornamento di quelle; e massima- mente tra i soldati, per non far come coloro che ne’ studi! voglion parere uomini di guerra, e tra gli uomini di guerra 60 IL COKTtGlANO. litterati. In questo modo, per le ragioni che avemo dette, fuggirà r affettazione, e le cose mediocri che farà parranno grandissime. — XLY. Rispose quivi messer Pietro Bembo: Io non so. Conte, come voi vogliate che questo Cortegiano, essendo litterato, e con tante altre virtuose qualità, tenga ogni cosa per ornamento dell’ arme, e non l’ arme e ’l resto per orna- mento delle lettere ; le quali, senza altra compagnia, tanto son di dignità all’arme superiori, quanto l’animo al corpo, per appartenere propriamente la operazion d’ esse all’ ani- mo, cosi come quella delle arme al corpo. — Rispose allor il Conte: Anzi, all’animo ed al corpo appartiene la operazion dell’arme. Ma non voglio, messer Pietro, che vói di tal causa siate giudice, perchè sareste troppo sospetto ad una delle parti : ed essendo già stata questa disputazione lunga- mente agitata da uomini sapientissimi , non è bisogno rino- varla ; ma io la tengo per difllnita in favore dell’ arme , e voglio che ’l nostro Cortegiano , poich’ io posso ad arbitrio mio formarlo, esso ancor cosi la estimi. E se voi sete di con- trario parer, aspettate d’ udirne una disputazion, nella qnal cosi sia licito a chi difende la ragion dell’ arme operar l’ ar- me, come quelli che difendon le lettere oprano in tal difesa le medesime lettere ; chè se ognuno si vaierà de’ suoi iiistru- menti, vedrete che i litterati perderanno. — Ah, disse mes- ser Pietro; voi dianzi avete dannati i Franzesi che poco ap- prezzan le lettere, e detto quanto lume di gloria esse mo- strano agli uomini, e come gli facciano immortali; ed or pare che abbiate mutala sentenza. Non vi ricorda, che Giunto Alessandro alla famosa tomba Del fero Achille, sospirando disse : 0 fortunato, che si chiara tromba Trovasti, e chi di te si alto scrisse! E se Alessandro ebbe invidia ad Achille non de’ suoi fatti, ma della fortuna che prestalo gli avea tanta felicità che le cose sue fosseno celebrate da Omero, comprender si può che estimasse più le lettere d’ Omero, che l’arme d’Achille. Qual altro giudice adunque o qual’ altra sentenza aspettate voi Digitized by Google f LlllKO HilMO. 61 della dignità dell’ arme e delle lettere, che quella che fu data da un de’ più gran capitani che mai sia stato? — XLYI. Rispose allora il Contk: Io biasimo i Franzesi che estiman le lettere nuocere alla profession dell’ arme, e tengo che a niun più si convenga Tesser litlerato che ad un uom di guerra; e queste due condizioni concatenate, e Tuna dall’ altra ajutate, il che è convenientissimo, voglio che siano nel nostro Cortegiano : nè per questo parmi esser mutalo d’opinione. Ma, come ho detto, disputar non voglio qual d’ esse sia più degna di laude. Basta che i litterati quasi mai non pigliano a laudare, se non uomini grandi e fatti gloriosi , i quali da sè meritano laude per la propria essenzial virlute donde nascono; oltre a ciò sono nobilissima materia dei scrittori: il che è grande ornamento, ed in parte causa di perpetuare i scritti, li quali forse non sariano tanto letti nè apprezzati se mancasse loro il nobile soggetto, ma vani e di poco momento. E se Alessandro ebbe invidia ad Achille per esser laudato da chi fu, non conchiude però questo che esti- masse più le lettere che Tarme; nelle quali se tanto si fosse conosciuto lontano da Achille , come nel scrivere estimava che dovessero esser da Omero lutti quelli che di lui fossero per scrivere , son certo che molto prima averia desiderato il ben fare in sè, che il ben dire in altri. Però questa credo io che fosse una tacita laude di sé stesso, ed un desiderar quello che aver non gli pareva , cioè la suprema eccellenza d’un scrittore; e non quello che già si presumeva aver con- seguito, cioè la virtù dell’arme, nella quale non estimava che Achille punto gli fosse superiore : onde chiamollo fortu- nato, quasi accennando, che se la fama sua per lo innanzi non fosse tanto celebrata al mondo come quella, che era per cosi divin poema chiara ed illustre, non procedesse perché il valore ed i meriti non fossero tanti e di tanta laude degni, ma nascesse dalla fortuna, la quale avea parato inanti ad Achille quel miracolo di natura per gloriosa tromba del- T opere sue ; e forse ancor volse eccitar qualche nobile in- gegno a scrivere di sè, mostrando per questo dovergli esser tanto grato, quanto amava e venerava i sacri monumenti delle lettere: circa le quali ornai s’è parlato a bastanza. — G Digitized by Google UBUO PRIMO. ori E ricordomi aver già inteso, che Platone ed Aristotele vo- gliono che rnom bene institnito sia ancor musico; e con in- finite ragioni mostrano, la forza della musica in noi essere grandissima, e per molte cause, che or saria lungo a dir, doversi necessariamente imparar da puerizia; non tanto per quella superficial melodia che si sente, ma per esser suftì- ciente ad indur in noi un nuovo abito buono, ed un costume tendente alla virtù, il qual fa l’ animo più capace di felicità, secondo che lo esercizio corporale fa il corpo più gagliardo ; c non solamente non nuocere alle cose civili e deUa guerra, ma loro giovar sommamente. Licurgo ancora, nelle severe sue leggi, la musica approvò. E leggesi , i Lacedemoni! belli- cosissimi ed i Crelensi aver usalo nelle battaglie citare ed altri instrumenti molli; e molti eccellentissimi capitani anti- chi, come Epaminonda, aver dato opera alla musica; e quelli che non ne sapeano, come Temistocle, esser stati molto meno apprezzati. Non avete voi letto, che delle prime discipline che insegnò il buon vecchio Chirone nella tènera eia ad Achille, il qual egli nutrì dallo latte e dalla culla, fu la musica ; e volse il savio maestro che le mani che aveano a sparger tanto sangue Irojano, fossero spesso occupate nel suono della cilara ? Qual soldato adunque sarà che si vergo- gni d’imitar Achille, lasciando molti altri famosi capitani eh’ io potrei addurre ? Però non vogliate voi privar il nostro Corlegiano della musica, la qual non solamente gli animi umani indolcisce, ma spesso le fiere fa diventar mansuete; e chi non la gusta, si può tener certo che abbia gli spi- riti discordanti l’ un dall’ altro. Eccovi quanto essa può, che già trasse un pesce a lasciarsi cavalcar da un uomo per mezzo il procelloso mare. Questa veggiamo operarsi ne’ sa- cri tempii in rendere lande e grazie a Dio; e credibil cosa è che ella grata a lui sia , ed egli a noi data l’ abbia per dol- cissimo alleviamento delle fatiche e fastidii nostri. Onde spesso i duri lavoratori de’ campi sotto l’ ardente solo in- gannano la lor noja col rozzo ed agreste cantare. Con que- sto la incolta contadinella, che inanzi al giorno a filare o a tessere si lieva, dal sonno si difende, e la sua fatica fa pia- cevole ; questo è giocondissimo trastullo dopo le piogge, i Digitized by Coogte 64 IL CORTEGIANO. venti e le tempeste ai miseri marinari ; con questo conso- lansi i stanchi peregrini dei nojosi e lunghi viaggi, e spesso gli afflitti prigioneri delle catene e ceppi. Cosi, per maggior argomento che d’ ogni fatica e molestia umana la modula- zione, benché incolta, sia grandissimo refrigerio, pare che la natura alle nutrici insegnata l’abbia per rimedio precipuo del pianto continuo de’ teneri fanciulli ; i quali al suon di tal voce s’inducono a riposato e placido sonno, scordandosi le lacrime cosi proprie, ed a noi per presagio del rimanente della nostra vita in quella età da natura date. — XLVIII. Or quivi tacendo un poco il Conte, disse il Magnifico Joluno : Io non son già di parer conforme al si- gnor Gaspar ; anzi estimo, per le ragioni che voi dite e per molte altre, esser la musica non solamente ornamento, ma necessaria al Cortegiano. Vorrei ben che dichiaraste, in qual modo questa e 1’ altre qualità che voi gli assegnate siano da esser operate, ed a che tempo e con che maniera : perchè molte cose che da sé meritano laude, spesso con 1’ operarle fuor di tempo diventano inettissime ; e per contrario, alcune che pajon di poco momento, usandole bene, sono pregiate assai. — XLIX. Allora il Conte, Prima che a questo proposito entriamo, voglio, disse, ragionar d’ un’ altra cosa, la quale io, perciò che di molta importanza la estimo, penso che dal nostro Cortegiano per alcun modo non debba esser lasciata adietro; e questo è il saper disegnare, ed aver cognizion dell’arte propria del dipingere. Nè vi maravigliate s’ io de- sidero questa parte, la qual oggidì forse par mecanica e poco conveniente a gentiluomo : chè ricordomi aver ietto che gli antichi, massimamente per tutta Grecia, voleano che i fan- ciulli nobili nelle scole alia pittura dessero opera, come a cosa onesta e necessaria, e fu questa ricevuta nel primo grado dell’ arti liberali; poi per publico editto vetato che ai servi non s’ insegnasse. Presso ai Romani ancor s’ ebbe in onor grandissimo; e da questa trasse il cognome la casa no- bilissima de’ Fabii, chè il primo Fabio fu cognominato Pitto- re, per esser in effetto eccellentissimo pittore, e tanto dedito alla pittura, che avendo dipinto le mura del tempio della LiBno rumo. G5 Salute, gl’ inscrisse il nome suo; parendogli che, benché fosse nato in una famiglia cosi chiara, ed onorata di tanti ti- toli di consolati, di trionfi e d’ altre dignità, e fosse litterato e perito nelle leggi e numerato tra gli oratori, potesse ancor accrescere splendore ed ornamento alla fama sua lasciando memoria d’ essere stalo pittore. Non mancarono ancor molli altri di chiare famiglie celebrali in quest’arte; della qual, olirà che in sé nobilissima e degna sia, si traggon molte uti- lità, e massimamente nella guerra, per disegnar paesi, siti, fiumi, ponti, ròcche, fortezze, e tai cose; le quali se ben nella memoria si servassero, il che però è assai diffìcile, al- trui mostrar non si possono. E veramente, chi non estima questa arte, parmi che molto sia dalla ragione alieno; chè la machina del mondo, che noi veggiamo coll’ampio cielo di chiare stelle tanto splendido, e nel mezzo la terra dai mari cinta, di monti, valli e fiumi variata, e di si diversi alberi e vaghi fiori e d’ erbe ornata, dir si può che una nobile e gran pittura sia, per man della natura e di Dio composta; la qual chi può imitare, parmi esser di gran laude degno: nè a que- sto pervenir si può senza la cognizion di molle cose, come ben sa chi lo prova. Però gli antichi e l’ arte e gli artefici aveano in grandissimo pregio , onde pervenne in colmo di somma eccellenza : e di ciò assai certo argomento pigliar si può dalle statue antiche di marmo e di bronzo che ancor si veggono. £ benché diversa sia la pittura dalla statuaria, pur runa e l’altra da un medesimo fonte, che é il buon dise- gno, nasce. Però, come le statue sono divine, cosi ancor cre- der si può che le pitture fossero ; e tanto più, quanto che di maggior artificio capaci sono. — L. Allor la signora Emilia , rivolta a Joanni Cristoforo Romano, che ivi con gli altri sedeva. Che vi par, disse, di questa sentenza? confermarele voi, che la pittura sia capace di maggior artificio che la statuaria? — Rispose Joanni Cri- stoforo : Io, Signora, estimo che la statuaria sia di più fati- ca, di più arte e di più dignità, che non è la pittura. — Sog- giunse il Conte : Per esser le statue più durabili, si poria forse dir che fossero di più dignità ; perchè, essendo fatte I>er memoria, satisfanno più a quello eflello perchè son fatte, e* Digitized by Coogte 1 06 IL COHTKGIANO. che la pillura. Ma, oltre alla memoria', sono ancor e la pit- tura e la statuaria fatte per ornare, ed in questo la pittura è molto superiore ; la quale se non è tanto diuturna, per dir cosi, come la statuaria, è però molto longeva; e tanto che dura, è assai più vaga. — Rispose allor Joanni Cbistoforo : Credo io veramente che voi parliate centra quello che avete nell’animo, e ciò tutto fate in grazia del vostro Rafaello; e forse ancor parvi che la eccellenza che voi conoscete in lui della pittura sia tanto suprema, che la marmoraria non possa giungere a quel grado : ma considerate , che questa è laudo d’un artefice, e non dell’arte. — Poi soggiunse: Ed a me par bene, che 1’ una o l’ altra sia una artiGciosa imitazion di na- tura ; ma non so già come possiate dir che più non sia imi- tato il vero, e quello proprio che fa la natura, in una figura di marmo o di bronzo, nella qual sono le membra tutte ton- de, formate e misurate come la natura le fa, che in una ta- vola, nella qual non si vede altro che la superficie, e que’ co- lori che ingannano gli occhi : nè mi direte già, che più pro- pinquo al vero non sia l’essere che ’l parere. Estimo poi, che la marmoraria sia più dilllcile, perchè se un error vi vien fatto, non si può più correggere, chè ’l marmo non si ritac- ca, ma bisogna rifar un’ altra figura ; il che nella pittura non accade, chè mille volte si può mutare, giungervi e smi- nuirvi, migliorandola sempre. — LI. Disse il CoKTE ridendo: Io non parlo in grazia di Rafaello ; nè mi dovete già riputar per tanto ignorante, che non conosca la eccellenza di Michel’Angelo e vostra e degli altri nella marmoraria: ma io parlo dell’arte, e non degli ar- tefici. E voi hen dite vero , che l’ una e 1’ altra è imitazion della natura; ma non è già così, che la pittura appaja, e la statuaria sìa. Chè, avvenga che le statue siano tutte tonde come il vivo, e la pittura solamente si veda nella superficie, alle statue mancano molte cose che non mancano alle pittu- re, e massimamente i lumi e 1’ ombre : perchè altro lume fa la carne ed altro fa il marmo; e questo naturalmente imita' il pittore col chiaro e scuro, più e meno, secondo il bisogno; il che non può far il marmoràrio. E se ben il pittore non fa la figura tonda, fa que’ muscoli o membri tondeggiuti di sorte Digitized by Google LlBnO PIUMO. 67 che vanno a ritrovar quelle parli che non si veggono, con tal maniera, che benissimo comprender si può che ’l pitlor ancor quelle conosce ed intende. Ed a questo bisogna un al | tro artifìcio maggiore in far quelle membra che scortano e diminuiscono a proporzion della vista con ragion di prospet- tiva; la qual per forza di linee misurate, di colori, di lumi e d’ombre, vi mostra anco in una superfìcie di muro dritto il piano e ’l lontano, più e meno come gli piace. Parvi poi che di poco momento sia la imitazione dei colori naturali in contraffar le carni, i panni, e tutte l’ altre cose colorate? Questo far non può già il marmorario, nè meno esprimer la graziosa vista degli occhi neri o azzurri, col splendor di que’ raggi amorosi. Non può mostrare il color de’ capegli flavi, no ’l splendor dell’ arme, non una oscura notte, non una tempesta di mare, non que’ lampi e saette, non lo in- cendio d’ una città, no ’l nascere dell’ aurora di color di ro- se , con que’ raggi d’ oro e di porpora ; non può in somma mostrare cielo, mare, terra, monti, selve, prati, giardini, fiumi, città nè case: il che tutto fa il pittore. LII. Per questo parmi la pittura più nobile e più capace d’ artiQcio che la marmoraria, e penso che presso agli anti- chi fosse di suprema eccellenza come l’ altre cose: il che si conosce ancor per alcune piccole reliquie che restano , mas- simamente nelle grotte di Roma; ma mollo più chiaramente si può comprendere per ì scritti antichi, nei quali sono tante onorate e frequenti menzioni e delle opre e dei maestri; e per quelli intendesi quanto fossero appresso i gran signori e le republiche sempre onorali. Però si legge che Alessandro amò sommamente Apelle Efesio, e tanto, che avendogli fatto ritrar nuda una sua carissima donna, ed intendendo, il buon pittore per la maravigliosa bellezza di quella restarne arden- tissìmamente inamorato, senza rispetto alcuno gliela donò: liberalità veramente degna d’Alessandro, non solamente do- nar tesori e stati, ma i suoi proprii affetti e desideri!; e se- gno di grandissimo amor verso Apelle, non avendo avuto rispetto , per compiacer a lui , di dispiacere a quella donna che sommamente amava; la qual creder si può che molto si dolesse di cambiar un tanfo re con un |)itlurc. Narransi an- Digitized by Googfe 68 IL CORTEGIANO. cor molli altri seleni di benivolenza d’Alessandro verso d’Apelle; ma assai chiaramente dimostrò quanto lo estimasse, avendo per publico comandamento ordinato che niun altro pittore osasse far la imagine sua. Qui potrei dirvi le conten- zioni di molti nobili pittori con tanta laude e maraviglia quasi del mondo; potrei dirvi con quanta solennità eli impe- radori antichi ornavano di pitture i lor trionfi , e ne’ lochi publici le dedicavano, e come care le comperavano; e che siansi già trovati alcuni pittori che donavano l’ opere sue, parendo loro che non bastasse oro nè argento per pagarle ; e come tanto pregiata fosse una tavola di Protogene, che es- sendo Demetrio a campo a Rodi, e possendo intrar dentro appiccandole ii foco dalla banda dove sapeva che era quella tavola, per non abrusciarla restò di darle la battaglia, e cosi non prese la terra; e Metrodoro, filosofo e pittore eccellen- tissimo, esser stalo da Ateniesi mandato a Lucio Paolo per ammaestrargli i Gglioli,ed ornargli il trionfo che a far avea. E molli nobili sciitlori hanno ancora di quest’arte scritto; il che è assai gran segno per dimostrare in quanta estimazione ella fosse: ma non voglio .che in questo ragionamento più ci estendiamo. Però basti solamente dire , che al nostro Corfe- giano conviensi ancor della pittura aver notizia, essendo one- sta ed utile, ed apprezzata in que’ tempi che gli uomini erano di mollo maggior valore che ora non sono: e quando mai altra utilità o piacer non se ne traesse, oltra che giovi a saper giudicar la eccellenza delle statue antiche e moder- ne, di vasi, d’ediQcii, di medaglie, di carnei, d'intagli e tai cose, fa conoscere ancor la bellezza dei corpi vivi, non solamente nella delicalura de’ volti , ma nella proporzion di tutto il resto, cosi degli uomini come di ogni altro animale. Vedete adunque come lo aver cognizione della pittura sia causa di grandissimo piacere. E questo pensino quei che tanto godono contemplando le bellezze d’ una donna che par lor essere in paradiso, e pur non sanno dipingere: il che se sapessero, arian mollo maggior contento, perchè più per- fettamente conosceriano quella bellezza, che nel cor genera lor tanta satisfazione.>- LIII. Rise quivi messer Cesare Gonzaga, e disse: Io già Digitized by Google LIBKO PRIMO. 69 non son pittore; pur certo so aver molto maggior piacere di vedere alcuna donna, che non aria, se or tornasse vivo, quello eccellentissimo Apelle che voi poco fa avete nomina- to. — Rispose il Conte: Questo piacer vostro non deriva in- teramente da quella bellezza, ma dalla affezion che voi forse a quella donna portate; e, se volete dir il vero, la prima volta che voi a quella donna miraste, non sentiste la mille- sima parte del piacere che poi fatto avete, benché le bellezze fossero quelle medesime: però potete comprender quanto più parte nel piacer vostro abbia raffezion che la bellezza. — Non nego questo, disse messer Cesare; ma secondo cbe ’l piacer nasce dalla affezione, cosi 1’ affezion nasce dalla bel- lezza: però dir si può cbe la bellezza sìa pur causa del pia- cere. — Rispose il Conte: Molte altre cause ancor spesso in- fiammano gli animi nostri, oltre alla bellezza; come i costumi, il sapere, il parlare, i gesti, e mill’ altre cose, le quali però a qualche modo forse esse ancor si poriano chiamar bellezze; ma sopra tutto il sentirsi essere amato: di modo che si può ancor senza quella bellezza di cbe voi ragionate amare ar- <lentissimamente; ma quegli amori che solamente nascono dalla bellezza che superficialmente vedemo nei corpi , senza dubìo daranno molto maggior piacere a chi più la conoscerà, che a chi meno. Però, tornando al nostro proposito, penso che molto più godesse Apelle contemplando la bellezza di Campaspe, che non faceva Alessandro: perchè facilmente si può creder che l’ amor dell’ uno e dell’ altro derivasse sola- mente da quella bellezza; e che delib ;rasse forse ancor Ales- sandro per questo rispetto donarla a chi gli parve che più perfettamente conoscer la potesse. Non avete voi letto, che quelle cinque Fanciulle da Crotone, le quali tra l’altre di quel ]iopolo elesse Zeusi pittore , per far di tutte cinque una sola figura eccellentissima di bellezza, furono celebrale da molti poeti , come quelle che per belle erano state approvate da co- lui, che perfettissimo giudicio di bellezza aver dovea? — LIV. Quivi, mostrando messer Cesare non restar sati- sfatto, nè voler consentir per modo alcuno che altri che esso medesimo potesse gustare quel piacer eh’ egli sentiva di con- icmplar l.n bellezza d’una donna, ricominciò a dire: ma in Digitìzod by Googic 70 IL CORTEGIANO. quello s’ndi un gran calpestare di piedi, con strepito di par- lar alto: e cosi rivolgendosi ognuno , si vide alia porta della stanza comparire un splendor di torchi, e subito drieto giunse con molta e nobil compagnia il signor Prefetto, il qual ritor- nava, avendo accompagnato il papa una parte del cammino; e già allo entrar del palazzo dimandando ciò che facesse la signora Duchessa, aveva inteso di che sorte era il gioco di quella sera, e’I carico imposto al conte Ludovico di parlar della Cortegiania; però quanto più gli era possibile studiava il passo, per giungere a tempo d’ udir qualche cosa. Cosi, su- bito fatto riverenza alla signora Duchessa, e fatto seder gli altri, che tutti in piedi per la venuta sua s’ erano levati , si pose ancor esso a seder nel cerchio con alcuni de’ suoi gen- tiluomini; tra i quali erano il marchese Febus e Ghirardino fratelli da Ceva, messer Ettor Romano, Vincenzo Calmela, Orazio Florido, e molti altri; e stando ognun senza parlare, il signor Pbbfetto disse: Signori, troppo nociva sarebbe stata la venuta mia qui, s’ io avessi impedito cosi bei ragionamenti, come estimo che sian quelli che ora tra voi passavano; però non mi fate questa ingiuria, di privar voi stessi e me di tal piacere. — Rispose allora il conte Ludovico: Anzi, signor mio, penso che’l tacer a tutti debba esser molto più grato che ’l parlare; perchè essendo tal fatica a me più che agli altri questa sera toccata, oramai m’ ha stanco di dire, e credo tutti gli altri d’ascoltare, per non esser stato il ragiona- mento mio degno di questa compagnia, nè bastante alla gran- dezza della materia di che io aveva carico; nella quale aven- do io poco satisfatto a me stesso, penso molto meno aver satisfatto ad altrui. Però a voi, Signore, è stato ventura il giungere al flne; e buon sarà mo dar la impresa di quello che lesta ad un altro che succeda nel mio loco; perciò che, qua- lunque egli si sia, so che si porterà molto meglio eh’ io non farei se pur seguitar volessi, essendo oramai stanco come sono. — LV. Non sopporterò io, rispose il Magnifico Joliano, |)cr modo alcuno esser defraudato della promessa che fatta m’avete; e certo so che al signor Prefetto ancor non dispia- cerà lo intender questa parte. — E qual promessa? — disse il tjoogle LIBRO PRIMO. 71 Conte. Rispose il Magnifico : Di dechiarirci in qual modo abbia il Cortegiano da osare quelle buone condizioni, che voi avete detto che convenienti gli sono.— Era il signor Pre- fetto, benché di età puerile, saputo e discreto, più che non parea che s’appartenesse agli anni teneri, ed in ogni suo movimento mostrava con la grandezza dell’ animo una certa vivacità dello ingegno, vero pronostico dello eccellente grado di virtù dove pervenir doveva. Onde subito disse : Se tutto questo a dir resta, parmi esser assai a tempo venuto; perchè intendendo in- che modo dee il Cortegiano usar quelle buone condizioni, intenderò ancora quali esse siano, e così verrò a saper tutto quello che intìn qui è stato detto. Però non riCu- tate. Conte, di pagar questo debito, d’una parte del quale già sete uscito. — Non arei da pagar tanto debito, rispose il Conte, se le fatiche fossero più egualmente divise ; ma lo er- rore è stato dar autorità di comandar ad una signora troppo parziale: — e cosi, ridendo, si volse alla signora Emilia; la qual subito disse : Della mia parzialità non dovreste voi do- lervi; pur, poi che senza ragion lo fate, daremo una parte di questo onor, che voi chiamate fatica, ad un altro; — e, rivoltasi a messer Federigo Fregoso, Voi, disse, proponeste il gioco del Cortegiano; però è ancor ragionevole che a voi tocchi il dirne una parte : e questo sarà il satisfare alla do- manda del signor MagniGco, dechiarando in qual modo e maniera e tempo il Cortegiano debba usar le sue buone con- dizioni, ed operar quelle cose che ’l Conte ha detto che se gli convien sapere. — Allora messer Federico, Signora, dis- se, volendo voi separare il modo e ’l tempo e la maniera delle buone condizioni e ben operare del Cortegiano , volete separar quello che separar non si può, perchè queste cose son quelle che fanno le condizioni buone e l’operar buono. Però, avendo il Conte detto tanto e cosi bene, ed ancor par- lalo qualche cosa di queste circostanze, e preparatosi nel- l’animo il resto che egli avea a dire , era pur ragionevole che seguitasse insin al fine. — Rispose la signora Emilia : Fate voi conto d’essere il Conte, e dite quello che pensate che esso direbbe ; e cosi sarà satisfatto al tutto. — LVl. Disse allor il Calhbta : Signori, poiché l’ora è tar- Digitized by Googte IL COnTEGIANO. da, acciò che messer Federico non abbia escusazione alcuna di non dir ciò che sa, credo che sia buono differire il resto del ragionamento a domani ; e questo poco tempo che ci avanza si dispensi in qualche altro piacer senza ambizione. — Cosi confermando ognuno, impose la signora Duchessa a madonna Margherita e madonna Costanza Fregosa, che danzassero. Onde subito Barletta, musico piacevolissimo e danzator ec- cellente, che sempre tutta la corte teneva in festa, cominciò a sonare suoi instrumenti; ed esse, presesi per mano, ed avendo prima danzato una bassa, ballarono una roegarze con estrema grazia, e singoiar piacer di chi le vide ; poi, per- chè già era passata gran pezza della notte, la signora Du- chessa si levò in piedi: e cosi ognuno reverentemente presa lircnza, se ne andarono a dormire. Digiti7ec! IL SECONDO LIBRO DEL CORTEGIANO DKI, CO?(TE BALDEStR CASTIGI.IO>K A MESSER ALFONSO ARIOSTO. 1. Non senza maraviglia ho piu voiic considerato, oiiuc nasca un errore, il quale, perciò che universalmente ne’vec- cbi si vede, creder si può che ad essi sia proprio e naturale: e questo è, che quasi tutti laudano i tempi passali e biasi- mano i presenti , vituperando le azioni e i modi nostri u tutto quello che essi nella lor gioventù non Tacevano ; aOer- mando ancor, ogni buon costume e buona maniera di vive- re , ogni virtù, in somma ogni cosa, andar sempre di mal in peggio. £ veramente par cosa molto aliena dalla ragione e degna di maraviglia, che la età matura, la qual con la lunga esperienza suol far nel resto il giudicio degli nomini più per- fetto, in questo lo corrompa tanto, che non si avveggano, che se T mondo sempre andasse peggiorando, e che i padri fossero generalmente migliori che i figlioli, molto prima che ora saremmo giunti a quell’ ultimo grado di male, che peggiorar non può. E pur vedemo , che non solamente ai di nostri, ma ancor nei tempi passati, fu sempre questo vizio peculiar di quella età; il che per le scritture di molti autori antichissimi chiaro si comprende, e massimamente dei Co- mici, iquaii più che gli altri esprimeno la imagine della vita umana. La causa adunque di questa falsa opinione nei vec- chi estimo io per me eh’ ella sia , perchè gli anni fuggendo se ne porlan seco molle commodilà, e tra l’altre levano dal sangue gran parte degli spiriti vitali; onde la compicssion si Ti IL CORTEGIANO. inula , c (livengon debili gli organi, [ler i quali l’anima opera le sue virtù. Però dei cori nostri in quel tempo, come allo autunno le foglie degli alberi , caggiono i soavi fiori di con- tento, e nel loco dei sereni e chiari pensieri entra la nubi- losa e torbida tristizia, di mille calamità compagnata; di modo che non solamente il corpo, ma I’ animo ancora è in- fermo; nè dei passati piaceri riserva altro che una tenace memoria, e la imagine di quel caro tempo della tenera età, nella quale quando ci ritrovamo, ci pare che sempre il cielo c la terra ed ogni cosa faccia festa e rida intorno agli occhi nostri, e nel pensiero, come in un delizioso e vago giardino, fiorisca la dolce primavera d’ allegrezza. Onde forse saria utile, quando già nella fredda stagione comincia il sole della nostra vita, spogliandoci di quei piaceri, andarsene verso l’occaso, perdere insieme con essi ancor la loro memoria, c trovar, come disse Temistocle, un’arte che a scordar inse- gnasse; perchè tanto sono fallaci i sensi del corpo nostro, che spesso ingannano ancora il giudicio della mente. Però panni che i vecchi siano alla condizion di quelli, che partendosi dal porlo tengon gli occhi in terra, e par loro che la nave stia ferma e la riva si parla, e pur è il contrario; chè il por- to , e medesimamente il tempo ed i piaceri, restano nel suo stato, e noi con la nave della mortalità fuggendo n’andiamo r un dopo l’altro per quel procelloso mare che ogni cosa as- sorbe e devora, nè mai più ripigliar terra ci è concesso, anzi, sempre da conlrarii venti combattuti, al fine in qualche sco- glio la nave romperne. Per esser adunque l’animo senile sub- jello disproporzionalo a molti piaceri, gustar non gli può; e come ai febricitanli , quando dai vapori corrotti hanno il palato guasto, pajono lutti i vini amarissimi, benché preziosi e delicati siano: cosi ai vecchi per la loro indisposizione, alla qual però non manca il desiderio , pajon i piaceri insipidi e freddi, e mollo differenti da quelli che già provati aver si ricordano, benché i piaceri in sè siano i medesimi; però, sentendosene privi , si dolgono , e biasimano il tempo pre- sente come malo, non discernendo che quella mutazione da sè e non dal tempo procede ; e, per contrario , recandosi a memoria i passali piaceri , si arrecano ancor il t£mpo nel LIBRO SECONDO. 7j quale avuti gli hanno, e però lo laudano come buono, per- chè pare che seco porli un odore di quello che in esso sen- liano quando era presente ; perchè in elTctto gli animi no- stri hanno in odio tutte le cose che state sono compagne de’ nostri dispiaceri, ed amano quelle che state sono compa- gne dei piaceri. Onde accade , che ad uno amante è caris- simo talor vedere una finestra, benché chiusa, perchè al- cuna volta quivi ara avuto grazia di contemplar la sua don- na; medesimamente, vedere uno anello, una lettera, un giardino o altro loco o qualsivoglia cosa, che gli paja esser stata consapevol testimonio de’ suoi piaceri ; e , per lo con- trario, spesso una camera ornatissima e bella sarà nojosa a chi dentro vi sia stato prigione, o patito v’abbia qualche al- tro dispiacere. Ed ho già io conosciuto alcuni, che mai non beveriano in un vaso simile a quello, nel quale già avessero, essendo infermi, preso bevanda medicinale; perchè, cosi come quella finestra, o l’anello o la lettera, all’ uno rappre- senta la dolce memoria che tanto gli diletta, per parergli che quella già fosse una parte de’ suoi piaceri: cosi all’altro la camera o ’l vaso par che insieme con la memoria rapporti la infermità o la prigionia. Questa medesima cagion credo che mova i vecchi a laudare il passato tempo, e biasimar il pre- sente. II. Però come del resto , cosi parlano ancor delle corti, alTermando , quelle di che essi hanno memoria esser state molto più eccellenti e piene d’uomini singolari , che non son quelle che oggidì veggiamo; e subito che occorrono tai ra- gionamenti, cominciano ad estollere con infinite laudi i Cor- tegiani del duca Filippo, ovvero del duca Borso; e narrano i delti di Nicolò Piccinino; e ricordano che in quei tempi non si saria trovato, se non rarissime volte, che si fosse fatto un omicidio; e che non erano combattimenti, non insidie, non inganni, ma una certa bontà fedele ed amorevole tra tutti, una sicurtà leale; e che nelle corti allor regnavano tanti buoni costumi, tanta onestà, che i Corlegiani tutti erano come religiosi; e guai a quello che avesse detto una mala parola all’ altro, o fatto pur un segno men che onesto verso una donna: e per lo contrario dicono, in questi tempi esser Digitized by Googic 7G IL CORTEGIANO. tulio r opposito; e che non solamente tra i Cortegiani è per> dato queir amor fraterno e quel viver costumato, ma che nelle corti non regnano altro che invidie e malivolenze, mali costumi, e dissolutissima vita in ogni sorte di vizii; le donne lascive senza vergogna, gli uomini eOeminati. Dannano an- cora i vestimenti, come disonesti e troppo molli. In somma riprendono infinite cose, tra le quali molte veramente meri- tano riprensione, perchè non si può dir che tra noi non siano molti mali uomini e scelerati, e che questa età nostra non sia assai più copiosa di vizii, che quella che essi laudano. Farmi ben che mal discernano la causa di questa diflcrenza, e che siano sciocchi ; perchè vorriano che al mondo fossero tutti i beni senza male alcuno; il che è impossibile; perchè essendo il mal contrario al bene, e ’l bene al male, è quasi necessa- rio che per la opposizione e per un certo contrapeso l’ un sostenga e fortifichi l’altro, e mancando o crescendo l’uoo cosi manchi o cresca l’ altro, perchè niuno contrario è senza r altro suo contrario. Chi non sa che al mondo non saria la giustizia, se non fossero le ingiurie? la magnanimità, se non fossero li pusillanimi? la continenza, se non fosse la incon- tinenza? la sanità, se non fosse la infermità? la verità, se non fosse la bugia? la felicità, se non fossero le disgrazie? Però ben (lice Socrate appresso Platone, maravigliarsi che Esopo non abbia fatto uno apologo, nel quale finga, Dio, poiché non avea mai potuto unire il piacere e’i dispiacere insieme, aver- gli attaccati con la estremità, di modo che ’l principio del- r uno sia il fin dell’ altro; perchè vedemo, niuno piacer po- terci mai esser grato, se ’l dispiacere non gli precede. Chi può aver caro il riposo, se prima non ha sentilo raffanno della stracchezza? chi gusta il mangiare, il bere e ’l dormi- re, se prima non ha palilo fame, sete e sonno? Credo io adunque, che le passioni e le infermità sian date dalla natura agli uomini non principalmente per fargli soggetti ad esse, perchè non par conveniente, che quella che è madre d’ogni bene dovesse di suo proprio consiglio determinato darci tanti mali ; ma facendo la natura la sanità, il piacere e gli altri lieni, conscguentemente dietro a questi furono congiunte le infermità, i dispiaceri e gli altri mali. Però, essendo le virtù LIBRO SECONDO. 77 stale al mondo concesse per grazia e don della natnra, subito i vizii, per quella concatenata contrarietà, necessariamente le furono compagni ; di modo che sempre, crescendo o man- cando r uno, forza è che cosi l’ altro cresca o manchi. 111. Però quando i nostri vecchi laudano le corti pas- sate, perchè non aveano gli uomini cosi viziosi come alcuni che hanno le nostre, non conoscono che quelle an- cor non gli aveano cosi virtuosi come alcuni che hanno le nostre; il che non è maraviglia: perchè niun male è tanto malo, quanto quello che nasce dal seme corrotto del bene; e però producendo adesso la natura molto miglior in- gegni che non facea allora , si come quelli che si voltano al bene fanno molto meglio che non facean quelli suoi, cosi ancor quelli che si voltano al male fanno molto peggio. Non è adunque da dire, che quelli che restavano di far male per non saperlo fare, meritassero in quel caso laude alcuna; perchè avvenga che facessero poco male, faceano però il peggio che sapeano. E che gli ingegni di que’tempi fossero generalmente molto inferiori a que’che son ora, assai si può conoscere da tutto quello che d’essi si vede, cosi nelle lettere, come nelle pitture, statue, edificii, ed ogni altra cosa. Biasimano ancor questi vecchi in noi molte cose che in sè non sono nè buone nè male, solamente perchè essi non le faceano; e dicono, non convenirsi ai giovani passeggiar per le città a cavallo, massimamente nelle mule; portar fodre di pelle, nè robe lunghe nel verno; portar berretta, finché almeno non sia l’uomo giunto a diciotto anni, ed altre tai cose: di che ve- ramente s’ingannano; perchè questi costumi, oltra che sian commodi ed utili, son dalla consuetudine introdotti, ed uni- versalmente piacciono, come allor piacea l’ andar in giornea con le calze aperte e scarpette pulite, e, per esser galante, portar tutto di un sparvieri in pugno senza proposito, e ballar senza toccar la man della donna, ed usar molti altri modi, i quali, come or sariano goffissimi, allor erano prezzati assai. Però sia licito ancor a noi seguitar la consuetudine de’ no- stri tempi, senza esser calunniati da questi vecchi, i quali spesso, volendosi laudare, dicono: Io aveva vent’anni, che ancor doimiva con mia madre e mie sorelle, nè seppi ivi a ( Digitized by Google 78 IL CORTEGIANO. gran tempo che cosa fossero donne; ed ora i rancinlli non hanno appena asciutto il capo, che sanno più malizie che in que’tempi non sapeano gli uomini fatti: nè si avveggono, che dicendo cosi, confermano! nostri fanciulli aver più ingegno, che non aveano i loro vecchi. Cessino adunque di biasimare i tempi nostri, come pieni di vizii, perchè levando quelli, levariano ancora le virtù; e ricordinsi, che tra i buoni anti- chi, nel tempo che fiorivano al mondo quegli animi gloriosi e veramente divini in ogni virtù, e gli ingegni più che umani, trovavansi ancor molti sceleratissimi; i quali, se vivessero, tanto sariano tra i nostri mali eccellenti nel male, quanto que’ buoni nel bene: e di ciò fanno piena fede tutte le istorie. IV. bla a questi vecchi penso che ornai a bastanza sia ri- sposto. Però lascieremo questo discorso, forse ormai troppo diffuso, ma non in tutto fuor di proposito; e bastandoci aver dimostrato, le corti de’ nostri tempi non esser di minor laude degne che quelle che tanto laudano i vecchi, attenderemo ai ragionamenti avuti sopra il Cortegiano, per i quali assai facilmente comprender si può, in che grado tra l’ altre corti fosse quella d’ Urbino, e quale era quel Principe e quella Si- gnora a cui servivano cosi nobili spiriti, e come fortunati si poteano dir tutti quelli, che in tal commercio viveano. V. Venuto adunque il seguente giorno, tra i cavalieri e le donne della corte furono molti e diversi ragionamenti so- pra la disputazion della precedente sera; il che in gran parte nasceva perchè il signor Prefetto, avido di sapere ciò che detto s’era, quasi ad ognun ne dimandava, e, come suol sempre intervenire, variamente gli era risposto; però che al- cuni laudavano una cosa, alcuni un’ altra, ed ancor tra molti era discordia della sentenza propria del Conte, chè ad ognuno non erano restate nella memoria cosi compiutamente le cose dette. Però di questo quasi tutto ’l giorno si parlò; e come prima incominciò a farsi notte, volse il signor Prefetto che si mangiasse, e tutti i gentiluomini condusse seco a cena; e subito fornito di mangiare, n’andò alla stanza della signora Duchessa; la quale vedendo tanta compagnia, e più per tempo che consueto non era, disse: Gran peso parmi, mcsscr Federico, che sia quello che posto è sopra le spalle vostre, Di: UDRÒ SECONDO 79 e grande aspellazion quella a cui corrisponder dovete. — Quivi, non aspettando che messer Federico rispondesse: E che gran peso è perù questo? — disse 1’ Unico Abetino: Chi è tanto sciocco, che quando sa fare una cosa non la faccia a tempo conveniente? — Cosi di questo parlandosi, ognuno si pose a sedere nel loco o modo usato, con attentissima aspet- tazion del proposto ragionamento. VI. Allora messer Fkdebico, rivolto all’ Unico, A voi adunque non par, disse, signor Unico, che faticosa parte e gran carico mi sia imposto questa sera, avendo a dimostrare in qual modo e maniera e tempo debba il Cortegiano osar le sue buone condizioni, ed operar quelle cose che già s’è detto convenirsegli? — A me non par gran cosa, rispose I’Unico; e credo che basti tutto questo, dir che’l Cortegiano sia di buon giudicio, come jersera ben disse il Conte essere neces- sario; ed essendo cosi, penso che senza altri precetti debba poter usare quello che egli sa a tempo e con buona maniera: il che volere più minutamente ridurre in regola, saria troppo difiQcile e forse superfluo; perchè non so qual sia tanto inetto, che volesse venire a maneggiar l’arme quando gli altri fossero nella musica; ovvero andasse per le strade ballando la more- sca, avvenga che ottimamente far lo sapesse; ovvero andando a confortar una madre, a cui fosse morto il figliolo, comin- ciasse a dir piacevolezze e far l’ arguto. Certo questo a niun gentiluomo, credo, inierverria, che non fosse in tutto pazzo. — A me par, signor Unico, disse quivi messer Federico, che voi andiate troppo in su le estremità: perchè intervien qual- che volta esser inetto di modo che non cosi facilmente si conosce, e gli errori non son tutti pari: e potrà occorrere che r uomo si astenerà da una sciocchezza publica e troppo chiara, come saria quel che voi dite d'andar ballando la mo- resca in piazza, e non saprà poi astenersi di laudar sè stesso fuor di proposito, d’ usar una prosunzion fastidiosa, di dir talor una parola pensando di far ridere, la qual, per esser detta fuor di tempo, riuscirà fredda e senza grazia alcuna. E spesso questi errori son coperti d’un certo velo, che scorger non gli lascia da chi gli fa, se con diligenza non vi si mira; e benché per molte cause la vista nostra poco disccrna, |Mir Digiiized by Google 80 IL CORTEGIANO. sopra lutto per 1’ ambizione divien tenebrosa : chè ognun vo- lentier si mostra in quello che si persuade di sapere, o vera o falsa che sia quella persuasione. Però il governarsi bene in questo, parmi che consista in una certa prudenza e giudicio di elezione, e conoscere il più e ’l meno che nelle cose si accresce e scema per operarle opportunamente o fuor di sta- gione. E benché il Cortegian sia di cosi buon giudicio che possa discemere queste differenze, non è però che più facile non gli sia conseguir quello che cerca essendogli aperto il pensiero con qualche precetto, e mostratogli le vie e quasi i lochi dove fondar si debba, che se solamente attendesse al generale. VII. Avendo adunque il Conte jersera con tanta copia e bel modo ragionato della Corlegiania, in me veramente ha mosso non poco timor e dubio di non poter cosi ben satisfare a questa nobil audienza in quello che a me tocca a dire, come esso ha fatto in quello che a lui toccava. Pur per farmi par- tecipe più eh’ io posso della sua laude, ed esser sicuro di non errare almen in questa parte, non gli contradirò in cosa al- cuna. Onde, consentendo con le opinioni sue, ed, oltre al re- sto, circa la nobililà del Cortegiano, e lo ingegno, eia dispo- sìzion del corpo e grazia dell’aspetto, dico, che per acquistar laude meritamente e buona estimazione appresso ognuno, e grazia da quei signori ai quali serve, parmi necessario che e’ sappia componere tutta la vita sua e valersi delle sue buone qualità universalmente nella conversazion di tuffi gli uomini senza acquistarne invidia: il che quanto in sé difBciI sia, con- siderar si può dalla rarità di quelli che a tal termine giunger si veggono; perchè in vero lotti da natura siamo pronti più a biasimar gli errori, che a laudar le cose ben fatte, e par che per una certa innata malignità molti, ancor che chiara- mente conoscano il bene, si sforzino con ogni studio ed in- dustria di trovarci dentro o errore, o almen similitudine d’er- rore. Però è necessario, che '1 nostro Cortegiano in ogni sua operazion sia cauto, e ciò che dice o fa sempre accompagni con prudenza; e non solamente ponga cura d’aver in sé parti c condizioni eccellenti, ma il tenor della vita sua ordini con tal disposizione, che ’l tutto corrisponda a queste parti, c si Digilizod by Google LIBRO SECONDO 81 vegga il medesimo esser sempre ed in ogni cosa tal che non discordi da sè stesso, ma faccia un corpo solo di tutte queste buone condizioni; di sorte che ogni suo atto risulti e sia com- posto di -tutte le virtù, come dicono i Stoici esser officio di chi è savio: benché però in ogni operazion sempre una virtù è la principale; ma tutte sono talmente tra sè concatenate, che vanno ad un fine, e ad ogni eifelto tutte possono concor- rere e servire. Però bisogna che sappia valersene, e per lo paragone e quasi contrarietà dell' una talor far che l’ a ltra sia più chiaramente conosciuta: come i buoni pittori, i quali con r ombra fanno apparerò e mostrano i lumi de’ rilievi ; e cosi col lume profondano l’ombre dei piani, e compagnano i colori diversi insieme di modo, che per quella diversità l’uno e r altro meglio si dimostra, e 'I posar delle figure contrario l’ una all’ altra le ajuta a far quell’ officio che è intenzion del pittore. Onde la mansuetudine è molto maravigliosa in un gen- tiluomo il qual sia valente e sforzato nell’arme; e come quella fierezza par maggiore accompagnata dalla modestia, cosi la modestia accresce e più compar per la fierezza. Però il par- lar poco, il far assai, e ’l non laudar sè stesso delle opere lan- devoli, dissimulandole di buon modo, accresce l’una e l’altra virtù in persona che discretamente sappia usar questa manie- ra ; e cosi intervien di tutte 1’ altre buone qualità. Voglio adunque che ’l nostro Cortegiano in ciò che egli faccia o dica usi alcune regole universali, le quali io estimo che brevemente contengano lutto quello che a me s’appartiene di dire; e per la prima e più importante, fugga, come ben ricordò il Conte jersera, sopra tutto raiTellazione. Appresso, consideri ben che cosa è quella che egli fa o dice, e ’l loco dove la fa, in pre- senza di cui, a che tempo, la causa perchè la fa, la età sua, la professione, il fine dove tende, e i mezzi che a quello con- dor lo possono; e cosi con queste avvertenze s’accomodi dis- cretamente a tutto quello che fare o dir vuole. — Vili. Poi che cosi ebbe detto messer Federico, parve che si fermasse un poco. Allor subito. Queste vostre regole, disse il signor Mobello dì Obtonì, a me par che poco insegnino ; ed io per me tanto ne so ora, quanto prima che voi ce le mo- straste; benché mi ricordi aucor qualche altra volta averle Digitized by Google 82 IL CORTEGIANO. udite da* frati co’ quali confessato mi sono, e parmi che le chiamino le circostanze. ~ Rise allor messer Federico , e disse : Se ben vi ricorda, volse jersera il Conte che la prima profession del Cortegiano fosse quella dell’ arme , e larga- mente parlò di che modo far la doveva; |>erò questo non re- plicaremo più. Pur sotto la nostra regola si ()olrà ancor in- tendere, che ritrovandosi il Cortegiano nella scaramuzza o fatto d’ arme o battaglia di terra, o in altre cose tali, dee dis- cretamente procurar d’appartarsi dalla moltitudine, e quelle cose segnalate ed ardite che ha da fare farle con minor com- pagnia che può, ed al cospetto di tutti i più nobili ed estimati uomini che siano nell’esercito, e massimamente alla presenza e, se possibii è, inanzi agli occhi proprii del suo re o di quel signore a cui serve; perchè in vero è ben conveniente valersi dello cose ben fatte. Ed io estimo, che siccome è male cer- car gloria falsa e di quello che non si merita, cosi sia ancor male defraudar sè stesso del debito onore, e non cercarne quella laude, che sola è vero premio delle virtuose fatiche. Ed io ricordami aver già conosciuti di quelli, che, avvenga che fossero valenti, pur in questa parte erano grossieri ; e cosi metteano la vita a pericolo per andar a pigliar una man- dra di pecore, come per esser i primi che montassero le mura d’ una terra combattuta: il che non farà il nostro Cortegiano, se terrà a memoria la causa che lo conduce alla guerra, che dee esser solamente l’onore. E se poi si ritroverà armeggiare nei spettacoli publici, giostrando, torneando, o giocando a canne, o facendo qualsivoglia altro esercizio della persona ; ricordandosi il loco ove si trova, ed in presenza di cui, pro- curerà esser nell’arme non meno attilato e leggiadro che si- curo, e pascer gli occhi dei spettatori di tutte le cose che gli parrà che possano aggiungergli grazia; e porrà cura d’ aver cavallo con vaghi guarniracnti, abiti ben intesi, motti appro- priati, ed invenzioni ingeniose, che a sè tirino gli occhi de’ circostanti, come calamita il ferro. Non sarà mai degli ultimi che compariscano a mostrarsi, sapendo che i popoli, o mas- simamente le donne, mirano con molto maggior attenzione i primi che gli ultimi ; i)crchè gli occhi e gli animi, che nel principio son avidi di quella novità, notano ogni minuta cosa. UBRO SECONDO. 83 c di quella fanno impressione ; poi per la continuazione non solamente si saziano, ma ancora si stancano. Però fu un no- bile istrione antico, il qual per questo rispetto sempre voleva nelle fabule esser il primo che a recitare uscisse. Così ancor, parlando pur d’ arme, il nostro Cortegiano avrà risguardo alla profession di coloro con chi parla, ed a questo accomo- darassi ; altramente ancor parlandone con nomini, altramente con donne : e se vorrà toccar qualche cosa che sia in lande sua propria, lo farà dissimulatamente, come a caso e per trànsito, e con quella discrezione ed avvertenza, che jeri ci mostrò il conte Ludovico. IX. Non vi par ora, signor Morello, che le nostre regole possano insegnar qualche cosa? Non vi par che quello amico nostro, del qual pochi di sono vi parlai, s’avesse in tutto scordato con chi parlava e perchè, quando, per intertenere una gentildonna, la quale per prima mai più non aveva ve- duta, nei principio del ragionar le cominciò a dire che aveva morti tanti uomini, e come era fiero, e sapea giocar di spada a due mani? nè se le levò da canto, che venne a volerle in- segnar come s’ avessero a riparar alcuni colpi d’azza essendo armato, e come disarmato, ed a mostrar le prese di pugna- le ; di modo che quella meschina stava in sulla croce, e par- vele un’ ora mill’ anni levarselo da canto, temendo quasi che non ammazzasse lei ancora come quegli altri. In questi errori incorrono coloro che non hanno riguardo alle circostanze, che voi dite aver intese dai frati. Dico adunque, che degli esercizii del corpo sono alcuni che quasi mai non si fanno se non in publìco, come il gio- strare, il torneare, il giocare a canne, e gli altri tutti che dependono dall’ arme. Avendosi adunque in questi da adope- rare il nostro Cortegiano, prima ha da procurar d’esser tanto bene ad ordine di cavalli, d’arme e d’abbigliamenti, che nulla gli manchi; e non sentendosi ben assettato del tutto, non vi si metta per modo alcuno: perchè, non facendo bene, non si può escnsare che questa non sia la profession sua. Ap- presso dee considerar molto, in presenza di chi si mostra, e quali siano i compagni; perchè non saria conveniente che un gentiluomo andasse ad onorare con la persona sua una festa I Digitir ^ Coogie 84 IL CORTEGIANO. di contado, dove i spettatori ed i compagni fossero gente ignobile. — X. Disse allor il signor Gasparo Palla vicino: Nel paese nostro di Lombardia non s’hanno questi rispetti; anzi molti gentiluomini giovani trovansi, che le feste ballano tutto ’l di nel sole coi villani, e con essi giocano a lanciar la barra, lot- tare, correre e saltare: ed io non credo che sìa male, perchè ivi non si fa paragone della nobilità, ma della forza e destrez- za, nelle quai cose spesso gli nomini di villa non vaglion meno che i nobili; e par che quella domestichezza abbia in sè una certa liberalità amabile. — Quel ballar nel sole, rispose mes- ser Federico, a me non piace per modo alcuno, nè so che guadagno vi si trovi. Ma chi vuol pur lottar, correr e saltar coi villani, dee, al parer mìo, farlo in modo di provarsi, e, come si suol dir, per gentilezza, non per contender con loro; e dee l’uomo esser quasi sicuro di vincere: altramente non vi si metta; perchè sta troppo male e troppo è brutta cosa e fuor della dignità vedere un gentiluomo vinto da un villano, e massimamente alla lotta: però credo io che sia ben aste- nersene, almeno in presenza di molti, perchè il guadagno nel vincere è pochissimo, e la perdita nell’esser vinto è gran- dissima. Fassi ancor il gioco della palla quasi sempre in pu- blico; ed è uno di que’ spettacoli , a coi la moltitudine ap- porta assai ornamento. Voglio adunque che questo e tutti gli altri, dall’ armeggiar in fuora, faccia il nostro Cortegiano come cosa che sua professione non sia, e di che mostri non cercar o aspettar lande alcuna, nè si conósca che molto stu- dio 0 tempo vi metta, avvenga che eccellentemente lo faccia; nè sia come alcuni che si dilettano di musica, e parlando con chi si sia, sempre che si fa qualche pausa nei ragiona- menti, cominciano sotto voce a cantare; altri, camminando per le strade e per le chiese vanno sempre ballando; altri, incontrandosi in piazza o dove si sia con qualche amico, si metton subito in atto di giocar di spada o di lottare, secondo che più si dilettano. — Quivi disse messer Cesare Gonzaga: Meglio fa un cardinale giovane che avemo in Roma, il qual, perchè si sente ajutante della persona, conduce tutti quelli che lo vanno a visitare , ancorché mai più non sii abbia ve- LIBRO SECONDO. 85 duli, in un suo giardino, ed invitagli con grandissima in- slanza a spogliarsi in giuppone e giocar seco a saltare. — XI. Rise messer Fedebico; poi soggiunse: Sono alcuni altri esercizi!, che far si possono nel publico e nel privato, come è il danzare ; ed a questo estimo io che debba aver ri- spetto il Cortegiano : perché danzando in presenza di molti ed in loco pieno di popolo parmì che si gli convenga servare una certa dignità, temperata però con leggiadra ed aerosa dolcezza di movimenti; e benché si senta leggierissimo, e che abbia tempo e misura assai , non entri in quelle prestezze dei piedi e duplicati rebattimenti , i quali veggiamo che nel nostro Barletta stanno benissimo, e forse in un gentiluomo sariano poco convenienti: benché in camera privatamente, come or . noi ci troviamo , penso che licito gii sìa e questo , e ballar moresche e brandi ; ma in publico non cosi , fuorché trave- stito, e benché fosse di modo che ciascun lo conoscesse, non dà noja ; anzi per mostrarsi in tai cose nei spettacoli pu- blici, con arme e senza arme, non è miglior via di quella; perché lo esser travestito porta seco una certa libertà e licen- za, la quale tra l’ altre cose fa che l’ uomo può pigliare forma di quello in che si sente valere, ed usar diligenza ed attila- tura circa la princìpal intenzione della cosa in che mostrar si vuole, ed una certa sprezzatura circa quello che non im- porta, il che accresce molto la grazia : come saria vestirsi un giovane da vecchio , ben però con abito disciolto, per potersi mostrare nella gagliardia ; un cavaliero in forma di pastor selvatico o altro tale abito, ma con perfetto cavallo, e leg- giadramente acconcio secondo quella intenzione: perché su- bito r animo de’ circostanti corre ad imaginar quello che agli occhi al primo aspetto s’ appresenta ; e vedendo poi riu- scir molto maggior cosa che non prometteva quell’abito, si diletta c piglia piacere. Però ad un principe in tai giochi e spettacoli, ove inter- venga fìzione di falsi visaggi, non si converria il voler man- tener la persona del principe proprio, perché quel piacere che dalla novità viene ai spettatori mancheria in gran parte, chè ad alcuno non é nuovo che il prìncipe sia il principe; ed esso, sapendosi che. nUre allo esser principe, vuol aver an- 8 DigitnKxJ by Google 86 IL CORTEGIANO. cor forma di principe, perde la libertà di far tutte quelle cose che sono fuor della dignità di principe; e se in questi giochi fosse contenzione alcuna, massimamente con arme, poria ancor far credere di voler tener la persona di principe per non esser battuto, ma riguardato dagli altri; oltra che, facen- do nei giochi quel medesimo che dee far da dovero quando fosse bisogno, levaria l’ autorità al vero, e parerla quasi che ancor quello fosse gioco: ma in tal caso, spogliandosi il prin- cipe la persona di principe, e mescolandosi egualmente con i minori di sé, ben però di modo che possa esser conosciuto, col rifiutar la grandezza piglia un’altra maggior grandezza, che è il voler avanzar gli altri non d’autorità ma di virtù, e mostrar che ’l valor suo non è accresciuto dallo esser principe. XII. Dico adunque che ’l Cortegiano dee in questi spel- (acoli d’arme aver la medesima avvertenza, secondo il grado suo. Nel volteggiar poi a cavallo, lottar, correr e saltare, pia- ccmi molto fuggir la moltitudine della plebe, o almeno la- sciarsi veder rarissime volle; perchè non è al mondo cosa tanto eccellente, della quale gli ignoranti non si sazieno, e non lengan poco conto, vedendola spesso. Il medesimo giu- dico della musica : però non voglio che ’l nostro Cortegiano faccia come molti, che subito che son giunti ove che sia, e alla presenza ancor di signori de’ quali non abbiano notizia alcuna, senza lasciarsi mollo pregare, si mettono a far ciò che sanno, e spesso ancor quel che non sanno; di modo che par che solamente per quello elTelto siano andati a farsi ve- dere, e che quella sia la loro principal professione. Venga adunque il Cortegiano a far musica, come a cosa per passar tempo, e quasi sforzalo, e non in presenza di gente ignobile, nè di gran moltitudine; e benché sappia ed intenda ciò che fa, in questo ancor vogUo che dissimuli il studio e la fatica che è necessaria in tutte le cose che si hanno a far bene, e mostri estimar poco in sè stesso questa condizione, ma, col farla eccellentemente, la faccia estimar assai dagli altri.— XIII. AJlor il signor Gàspar Palla vicino, molle sorti di musica, disse, si Irovan, cosi di voci vive, come d’ instru- menti: però a me piacerebbe intender qual sia la miglior Ira tutte, ed a che tempo debba il Cortegiano operarla. — Bella LIBRO SECONDO. 87 musica, rispose messer Fkdbrico, parmi il cantar bene a li- bro sicuramente e con bella maniera; ma ancor molto più il cantare alla viola , perché tutta la dolcezza consiste quasi in un solo, e con mollo maggior attenzion si nota ed intende il bel modo e 1’ aria non essendo occupate le orecchie in più che in una sol voce, e meglio ancor vi si disceme ogni pic- colo errore; il che non accade cantando in compagnia, per- ché l’ uno ajuta 1’ altro. Sia sopra tutto parmi gratissimo il cantare alla viola per recitare; il che tanto di venustà ed etS- cacia aggiunge alle parole , che é gran maraviglia. Sono an- cor armoniosi tutti gli instrumenli da tasti, perché hanno le consonanze mollo perfelle, e con facilità vi si possono far molte cose che empiono 1’ animo della musical dolcezza. E non meno diletta la musica delle quattro viole da arco, la qual é soavissima ed artificiosa. Dà ornamento e grazia assai la voce umana a lutti questi instrumenli, de’ quali voglio che al nostro Corlegian basti aver notizia: e quanto più però in essi sarà eccellente, tanto sarà meglio; senza impacciarsi molto di quelli che Minerva rifiutò ad Alcibiade, perché pare che abbiano del schifo. 11 tempo poi nel quale usar si pos- sono queste sorti di musica estimo io che sia, sempre che r uomo si trova in una domestica e cara compagnia, quando altre faccende non vi sono; ma sopra tutto conviensi in pre- senza di donne,, perché quegli aspetti indolciscono gli animi di chi ode, e più i fanno penetrabili dalla soavità della mu- sica, e ancor svegliano i spirili di chi la fa: piacemi ben, come ancor ho detto, che si fugga la moltitudine, e massi- mamente degl’ ignobili. Ma il condimento del tutto bisogna che sia la discrezione: perché in effetto saria impossibile ima- ginar tutti i casi che occorrono; e se il Corlegiano sarà giu- sto giudice di sé stesso, s’accommoderà bene ai tempi, e cono- scerà quando gli animi degli auditori saranno disposti ad udire, e quando no ; conoscerà l’ età sua: ohé in vero non ai conviene e dispare assai vedere un uomo di qualche grado, vecchio, canuto e senza denti, pien di rughe, con una viola in braccio sonando, cantare in mezzo d’una compagnia di donne, avvenga ancor che mediocremente lo facesse: e que- sto, perché il più delle volle cantando si dicon parole amo^ Digitized by Google IL CORTEGIANO. 88 rose, e ne’ vecchi l’amor è cosa ridicola; benché qualche volta paja che egli si diletti, tra gli altri suoi miracoli, d’ac- cendere in dispetto degli anni i cori agghiacciati. — XIV, Rispose allora il MAcmnco : Non private, messer Federico, i poveri vecchi di questo piacere ; perchè io già ho conosciuti uomini di tempo, che hanno voci perfettissime, e mani dispostissime agl’ instrumenti, molto più che alcuni gio- vani. — Non vogho, disse messer Federico, privare i vecchi di questo piacere, ma voglio ben privar voi e queste donne del ridervi di quella inezia ; e se vorranno i vecchi cantare alla viola, faccianlo in secreto, e solamente per levarsi del- r animo qne’ travagliosi pensieri e gravi molestie di che la vita nostra è piena, e per gustar quella divinità ch’io credo che nella musica sentivano Pitagora e Socrate. E se bene non la eserciteranno, per aver fattone già nell’ animo un certo abito la gustaran molto più udendola, che chi non avesse cognizione: perchè, si come spesso le braccia d’un fabro, debile nel resto, per esser più esercitate sono più gagliarde che quelle d’ un altro uomo robusto, ma non assueto a fati- car le braccia, cosi le orecchie esercitate nell’armonia molto meglio e più presto la dìscerneno, e con molto maggior pia- cer la giudicano, che l’ altre, per buone ed acute che siano, non essendo versate nelle varietà delle consonanze musicali; perchè quelle modulazioni non entrano, ma senza lasciare gusto di sè via trapassano da canto all’ orecchie non assuete d’ adirle : avvenga che insino alle fiere sentano qualche di- lettazion della melodia. Questo è adunque il piacer, che si conviene ai vecchi pigliare della musica. Il medesimo dico del danzare ; perchè in vero questi esercizii si deono lasciare prima che dalla età siamo sforzati a nostro dispetto lasciar- gli. — Meglio è adunque , rispose quivi il signor Morello quasi adiralo, escludere tutti i vecchi, e dir che solamente i giovani abbiam da esser chiamati Cortegiani. — Rise allor messer Federico, e disse rjVedele voi, signor Morello, che quelli che amano queste cose, se non son giovani, si studiano d’ apparare; e però si tingono i capelli, e fannosi la barba due volte la settimana: e ciò procede, che la natura tacita- mente loro dice, che tali cose non si convengono se non Dir;---; LIBRO SECONDO. 89 a’ giovani. — Risero tutte le donne, perchè ciascuna com- prese che quelle parole toccavano al signor Morello; ed esso parve che un poco se ne turbasse. XV. Ma sono ben degli altri intertenimenti con donne, sosgiunse subito messer Fedeb^co, che si convengono ai vec- chi. — E quali? disse il signor Mobello; dir le favole? — E questo ancor, rispose messer Feoebico. Ma ogni età, come sapete, porla seco i suoi pensieri, ed ha qualche peculiar virtù e qualche peculiar vizio ; chè i vecchi, come che siano ordinariamente prudenti più che i giovani, più continenti e più sagaci, sono anco poi più parlatori, avari, diSlcili, timidi; sempre gridano in casa, asperi ai figlioli, vogliono che ognun faccia a modo loro: e per contrario i giovani, animosi, libe- rali, sinceri, ma pronti alle risse, volubili, che amano e dis- amano in un punto, dati a tutti i lor piaceri, nimici a chi ìor ricorda il bene. Ma di tutte le età la virile è più tempe- rata, che già ha lasciato le male parli della gioventù, ed an- cor non è pervenuta a quelle della vecchiezza. Questi adun- que, posti quasi nelle estremità, bisogna che con la ragion sappiano correggere i vizii che la natura porge. Però deono i vecchi guardarsi dal molto laudar sè stessi, e dalfaltrc coso viziose che avemo detto esser loro proprie, e valersi di quella prudenza e cognizion che per lungo uso avranno acquietata, ed esser quasi oracoli a cui ognun vada per consìglio, ed aver grazia in dir quelle cose che sanno, accommodatamente ai pro- positi, accompagnando la gravità degli anni con una certa temperata e faceta piacevolezza. In questo modo saranno buoni Cortegiani, ed interterrannosi bene con uomini e con donne, ed in ogni tempo saranno gratissimi, senza cantare o danzare; e quando occorrerà il bisogno, mostreranno il va- lor loro nelle cose d’importanza. XVI. Questo medesimo rispetto e giudicio abbian i gio- vani, non già di tener lo stile dei vecchi, chè quello che all’uno conviene non converrebbe in lutto all’altro, e suolsi dir che ne’ giovani troppo saviezza è mal segno, ma di cor- regger in sè i vizii naturali. Però a me piace mollo veder un giovane, e massimamente nell’ arme, che abbia un poco del grave e del taciturno ; che stia sopra di sè, senza que’ modi 8 * ?cd by Google 90 IL CORTEGIANO. inquieti che spesso in tal età si veggono ; perchè par che ab- hian non so che di più che gli altri giovani. Oltre a ciò quella * maniera cosi riposata ha in sè una certa fierezza riguardevo- le, perché par mossa non da ira ina da giudicio, e più presto governata dalla ragione che dallo appetito: e questa quasi sempre in tutti gli uomini di gran core si conosce; e mede- simamente vedemola negli animali bruti, che hanno sopra gli altri nobilitò e fortezza, come nello leone e nella aquila : nè ciò è fuor di ragione, perchè quel movimento impetuoso c subito, senza parole o altra dimostrazion di collera, che con tutta la forza unitamente in un tratto, quasi co'me scop- pio di bombarda, erompe dalla quiete, che è il suo contrario, è molto più violento e furioso che quello che, crescendo per gradi, si riscalda a poco a poco. Però questi che, quando son per far qualche impresa, parlan tanto e saltano, né posson star fermi, pare che in quelle tali cose si svampino; e, come ben dice il nostro messer Pietro Monte, fanno come i fan- ciulli, che andando di notte per paura cantano, quasi che con quel cantare da sè stessi si facciano animo. Cosi adunque come in un giovane la gioventù riposata e matura è molto laudevole, perché par che la leggerezza, che è vizio peculiar di quella età, sia temperata e corretta, cosi in un vecchio è da estimare assai la vecchiezza verde e viva, perchè pare che ’l vigor dell’ animo sia tanto, che riscaldi e dia forza a quella debile e fredda età, e la mantenga in quello stato me- diocre, che è la miglior parte della vita nostra. XVII. Ma in somma, non bastaranno ancor tutte queste condizioni nel nostro Cortegiano per acquistar quella univer- sa! grazia de’ signori, cavalieri e donne, se non arà insieme una gentil e amabile maniera nel conversare cotidiano: e di questo credo veramente che sia ditlìcile dar regola alcuna, per le infinite e varie cose che occorrono nel conversare, es- sendo che tra tutti gli uomini del mondo non si trovano dui, che siano d’animo totalmente simili. Però chi ha da accom- modarsi nel conversare con tanti, bisogna che si guidi col suo giudicio proprio, e, conoscendo le differenze dell’uno e dell’altro, ogni di muti stile e modo, secondo la natura di quelli con chi a conversar si mette. Né io per me altre regole LIBRO SECONDO. 91 circa ciò dar gli saprei, eccello le già date, le quali sin da fanciullo, confessandosi, imparò il nostro signor Morello. — Rise quivi la signora Emilia, e disse : Voi fughile troppo la fatica, messer Federico: ma non vi verrà fatto» ckò pur avete da dire fin che I’ ora sia d’ andare a lètto. — B s^io. Signo- ra, non avessi che dire? — rispose messer Federico. Disse la signora Emilia: Qui si vedrà il vostro ingegno ; e se è vero quello eh* io già ho inteso, essersi trovato uomo tanto inge- gnoso ed eloquente, che non gli sia mancalo subjetto per comporre un libro in laude d’ una mosca, altri in laude della febre quartana, un altro in laude del calvìzio : non dà il core a voi ancor di saper trovar che dire per una sera sopra la Cortegiania? — Ormai, rispose messer Federico, tanto ne avemo ragionato, che ne sariano fatti doi libri ; ma poi che non mi vale escusazione, dirò pur fin che a voi paja eh’ io abbia satisfatto, se non all’ obligo, almeno al poter mio. XYIII. lo estimo che la conversazione, alla quale dee principalmente attendere il Cortegìano con ogni suo studio per farla grata, sia quella che averà col suo principe; e ben- ché questo nome di conversare importi una certa parità, che pare che non possa cader tra ’l signore e '1 servitore, por noi per ora la chiamaremo cosi. Voglio adunque che ’l Corlegia- no, oltre lo aver fatto ed ogni di far conoscere ad ognuno, sé esser di quel valore che già avemo detto, si volti con tutti i pensieri e forze dell’ animo suo ad amare e quasi adorare il principe a chi serve, sopra ogni altra cosa ; e le voglie sue e costumi e modi, lutti indirizzi a compiacerlo. — Quivi non aspettando più, disse Pietro da Napoli : Di questi Gorlegiani oggidì trovarannosi assai, perchè mi pare che in poche pa- role ci abbiate dipinto un nobile adulatore. — Voi v’ ingan- nate assai, rispose messer Federico; perchè gli adulatori non amano i signori nè gli amici, il che io vi dico che voglio che sia principalmente nel nostro Cortegiano ; e ’l compiacere e secondar le voglie di quello a chi si serve si può far senza adulare, perché io intendo delle voglie che siano ragionevoli ed oneste, ovvero di quelle che in sé non son nè buone nè male, come saria il giocare, darsi più ad uno esercizio ohe ad un altro ; ed a questo voglio che il Cortegiano s’ accom- Digitized by Google 02 IL CORTEGIAXO. modi, sebbcn da natura sua vi fosse alieno, di modo che, sempre che ’l signore lo vegga, pensi che a parlar gli abbia di cosa che gli sia grata : il che interverrà, se in costui sarà il buon giudicio per conoscere ciò che piace al principe, e Io ingegno e la prudenza per saperscgli accommodare, e la de- liberala volontà per farsi piacer quello che forse da natura gli dispiacesse; ed avendo queste avvertenze, inanzi al prin- cipe non starà mai di mala voglia nè melanconico, nè cosi taciturno, come molti che par che tenghino briga coi patro- ni, che è cosa veramente odiosa. Non sarà maledico, e spe- cialmente dei suoi signori; il che spesso interviene, chè pare che nelle corti sia una procella che porli seco questa condi- zione, che sempre quelli che sono più beneficati dai signori, e da bassissimo loco ridotti in alto stato, sempre si dolgono e dicono mal d’essi: il che è disconveniente, non solamente a questi tali, ma ancor a quelli che fossero mal trattati. Non usarà il nostro Corlegiano prosunzion sciocca ; non sarà ap- portator di nuove fastidiose ; non sarà inavvertito in dir ta- lor parole che offendano in loco di voler compiacere ; non sarà ostinato e contenzioso, come alcuni, che par che non godano d’altro che d’essere molesti e fastidiosi a guisa di mosche, e fanno profession di contradire dispettosamente ad ognuno senza rispetto ; non sarà cianciatore, vano o bugiar- do, vantatore nè adulatore inetto, ma modesto e ritenuto, usando sempre, e massimamente in publico, quella reverenza e rispetto che si conviene al servitor verso il signor; e non farà come molti, i quali, incontrandosi con qualsivoglia gran principe, se pur una sol volta gli hanno parlalo, se gli fanno inanti con un certo aspetto ridente e da amico, cosi come se volessero accarezzar un suo equale, o dar favor ad un minor di sè. Rarissime volte o quasi mai non domanderà al signor cosa alcuna per sè stesso, acciò che quel signor avendo ri- spetto di negarla cosi a lui stesso, talor non la conceda con fastidio, che è molto peggio. Domandando ancor per altri, osserverà discretamente i tempi, e domanderà cose oneste e ragionevoli; ed assetlarà talmente la petizion sua, levandone quelle parti che esso conoscerà poter dispiacere e facilitando con destrezza le diflìcollà, che ’l signor la concederà sempre, / LIBRO SECONDO. 93 0 se par la negherà, non crederà aver olTeso colai a chi non ha voluto compiacere : perchè spesso i signori, poi che hanno negato una grazia a chi con molta importunità la domanda, pensano che colui che l’ ha domandata con tanta instanza la desiderasse molto ; onde, non avendo potato ottenerla, debba voler male a chi glie l’ ha negata ; e per questa credenza essi cominciano ad odiar quel tale, e mai più noi posson ve- der con buon occhio. XIX. Non cercherà d’ intromettersi in camera o nei lo- chi secreti col signor suo non essendo richiesto , sebben sarà di molta autorità; perchè spesso i signori, quando stanno privatamente, amano una certa libertà di dire e far ciò che lor piace, e però non vogliono essere nè vedati nè uditi da persona da cui possano esser giudicati ; ed è ben conveniente. Onde quelli che biasimano i signori che tengono in camera persone di non molto valore in altre cose che in sapergli ben servire alla persona, panni che facciano errore, perchè non so per qual causa essi non debbano aver quella libertà per relasciare gli animi loro, che noi ancor volemo per rclasciar 1 nostri. Ma se’l Cortegiano, consueto di trattar cose impor- tanti, si ritrova poi secretamente in camera, dee vestirsi un’ altra persona, e difTerir le cose severe ad altro loco e tempo, ed attendere a ragionamenti piacevoli e grati al signor suo, per non impedirgli quel riposo d’ animo. Ma in questo ed in ogni altra cosa sopra tutto abbia cura di non venirgli a fa- stidio, ed aspetti che i favori gli siano otièrti più presto, che uccellargli cosi scopertamente come fan molti, che tanto avidi ne sono, che pare che, non conseguendogli , abbiano da per- der la vita; e se per sorte hanno qualche disfavore, ovvero veggono altri esser favoriti, restano con tanta angonia, che dissimular per modo alcuno non possono quella invidia: onde fanno ridere di sè ognuno, e spesso sono causa che i signori dian favore a chi si sia, solamente per far loro dispetto. So poi ancor si ritrovano in favor che passi la mediocrità, tanto s’ inebriano in esso, che restano impediti d’ allegrezza; nè par che sappian ciò che si far delle mani nè dei piedi, e quasi stanno per chiamar la brigata che venga a vedergli e con- gratularsi seco, come di cosa che non siano consueti mai Diy ; uy VI' oogle 94 IL CORTEGIANO. più d’avere. Di questa sorte non voglio che sia il nostro Cor- tegiano. Voglio ben che ami i favori, ma non però gli estimi tanto, che non paja poter ancor star senz’ essi; e quando gli consegue non mostri d’ esservi dentro nuovo nè forestiero, nè maravigliarsi che gli siano offerti; nè gli rifiuti di quel modo che fanno alcuni, che per vera ignoranza restano d’ac- cetlargli, e cosi fanno vedere ai circonstanti che se ne cono- scono indegni. Dee ben l’ uomo star sempre un poco più ri- messo che non comfjorta il grado suo; non accettar così facilmente i favori ed onori che gli sono offerti, e rifiutarli modestamente, mostrando estimargli assai, con tal modo però, che dia occasione a chi gli offerisce d’ offerirgli con molto maggior instanza; perchè quanto più resistenza con tal modo s’ usa nello acccttórgli, tanto più pare a quel principe che gli concede d’ esser estimato, e che la grazia che fa tanto sia maggiore, quanto più colui che la riceve mostra apprezzarla e più di essa tenersi onorato. E questi son i veri e sodi fa- vori, e che fanno l’uomo esser estimato da chi di fuor li vede; perchè, non essendo mendicati, ognun presume che nascano da vera virtù; e tanto più, quanto sono accompa- gnali dalla modestia. — XX. Disse allor messer Cesabk Gonzaga : Farmi che ab- biale rubalo questo passo allo Evangelio, dove dice: Quando tei imilalo a nozxe, va, ed assellali nell’infimo loco, acciò che venendo colui che l’ ha invilato, dica; Amico, ascendi più su; e cosi li sarà onore alla presenza dei convitali. — Rise messer Federico, e disse: Troppo gran sacrilegio sarebbe rubare allo Evangelio; ma voi siete più dotto nella Sacra Scrittura ch’io non mi pensava; — poi soggiunse: Vedete come a gran pe- ricolo si mettano talor quelli che temerariamente inanzi ad un signore entrano in ragionamento, senza che altri li ricer- chi; e spesso quel signore, per far loro scorno, non risponde e volge il capo ad un’altra mano, e se pur ris|>onde loro, ognun vede che lo fa con fastidio. Per aver adunque favor dai signori, non è miglior via che meritargli; nè bisogna che r uomo si confidi, vedendo un altro che sia grato ad un prin- cipe per qualsivoglia cosa, di dover, per imitarlo, esso ancor medesimamente venire a quel grado: perchè ad ognun non Digitized by CpQglc LIBRO SECONDO. 95 si convien ogni cosa; e trovarassi talor un uomo, il qual da natura sarà tanto pronto alle facezie, che ciò che dirà por- terà seco il riso, e parerà che sia nato solamente per quello: e s’ nn altro che abbia maniera di gravità, avvenga che sia di buonissimo ingegno, vorrà mettersi a farii medesimo, sarà freddissimo e disgraziato, di sorte che farà stomaco a chi r udirà; e riuscirà appunto quell’ asinof, che ad imitazion del cane volca scherzar col patrone. Però bisogna che ognun conosca sé stesso e le forze sue, ed a quello s’accommodi, e consideri quali cose ha da imitare e quali no. — X\I. Prima che più avanti passate, disse quivi Vincen- zio Calhetz, s’ io ho ben inteso , parmi che dianzi abbiate detto che la miglior via per conseguir favori sia il meritargli; e che più presto dee il Cortegiano aspettar che gli siano of- ferti, che prosuntuosamente ricercargli. Io dubito assai che questa regola sia poco al proposito, c parmi che la esperienza ci faccia molto ben chiari del contrario: perchè oggidì po- chissimi sono favoriti da’ signori, eccetto i prosuntuosi ; e so che voi potete esser buon testimonio d’alcuni, che, ritrovan- dosi in poca grazia dei lor principi , solamente con la prosun- zione si son loro fatti grati; ma quelli che per modestia siano ascesi, io per me non conosco, ed a voi ancor do spazio di pensarvi , e credo che pochi ne troverete. E se considerato la corte di Francia, la qual oggidì è una delle più nobili di cristianità, troverete che tutti quelli che in essa hanno gra- zia universale, tengon del presuntuoso; c non solamente l’uno con l’altro, ma col re medesimo. — Questo non dite già, ri- spose messer Federico; anzi in Francia sono modestissimi e cortesi gentiluomini: vero è che usano una certa libertà e do- mestichezza senza cerimonia, la qual ad essi è propria e na- turale; e però non si dee chiamar presunzione, perchè in quella sua cosi fatta maniera, benché rìdano, e piglino pia- cere dei presuntuosi, pur apprezzano molto quelli che loro pajono aver in sè valore e modestia. — Rispose il Calmetà: Guardate i Spagnoli, i quali par che siano maestri della Cortegiania, e considerale quanti ne trovate, che con donne e con signori non siano presuntuosissimi ; e tanto più de’Fran- zesi, quanto che nel primo aspetto mostrano grandissima Digitized by Gdogle 96 IL CORTEGIANO. modestia: e veramente in ciò sono discreti, perché, come ho detto, i signori de’ nostri tempi tutti favoriscono que’ soli che hanno tai costumi. — XXII. Rispose allor messcr Fkbebico: Non voglio già comportar, messer Vincenzio, che voi questa nota diate ai signori de’ nostri tempi; perchè por ancor molti sono che amano la modestia, ia quale io non dico però che sola basti per far l’ uom grato: dico ben, che quando è congiunta con un gran valore, onora assai chi la possedè; e se ella di sè stessa tace, l’ opere laudevoli parlano largamente, e son molto più maravigliose che se fossero compagnatc dalla prosanzio- ne e temerità. Non voglio già negar che non si trovino molti Spagnoli prosuntuosi; dico ben, che quelli che sono assai esti- mali, per il più sono modestissimi. Riirovansi poi ancor alcun’ altri tanto freddi, che fuggono il consorzio degli uomini trop- po fuor di modo, e passano un certo grado di mediocrità, tal che si fanno estimare o troppo timidi o troppo superbi; c questi per niente non laudo, nè voglio che la modestia sia tanto asciutta ed arida, che diventi rusticità. Ma sia il Corte- gìano, quando gli vien in proposito, facondo, e nei discorsi de’ stali prudente e savio, cd abbia tanto giudicio, che sappia accommodaréi ai costumi delle nazioni ove si rilrova;poi nelle cose più basse sia piacevole, e ragioni ben d’ ogni cosa ; ma sopra tutto tenda sempre al bene: non invidioso, non maldi- cente; nè mai s’induca a cercar grazia o favor per via viziosa, nè per mezzo di mala sorte. — Disse allora il Calheta: Io v’ assicuro che tutte l’altre vie son molto più dubiose e più lunghe che non è questa che voi biasimate; perchè oggidì, per replicarlo un’ altra volta , i signori non amano se non que’ che son volli a tal cammino. — Non dite cosi, rispose allor messcr Federico, perchè questo sarebbe troppo chiaro argomento, che i signori de’ nostri tempi fossero lutti viziosi c mali; il che non è, perchè pur se ne ritrovano alcuni buo- ni. Ma se ’l nostro Cortegiano per sorte sua si troverà esser a servizio d’un che sia vizioso e maligno, subito che lo co- nosca se ne levi, per non provar quello estremo affanno che sentono tulli i buoni che serveno ai mali. — Bisogna pregar Dio, rispose il Calmeta, che ce gli dia buoni, perchè quando Digitized by Google LIBRO SECONDO. 97 8* hanno, è forza patirgli (ali quali sono ; perchè infiniti ri- spetti astringono chi è gentilnomo, poi che ha cominciato a servire ad un patrone, a non lasciarlo; ma la disgrazia con- siste nel principio: e sono i Cortegiani in questo caso alla condizion di que’ malavventurati uccelli, che nascono in trista valle. — A me pare, disse messer Federico, che ’l de- bito debba valer più che tutti i rispetti; e pur che un gentil- uomo non lasci il patrone quando fosse in su la guerra o in qualche avversità, di sorte che si potesse credere che ciò fa- cesse per secondar la fortuna, o per parergli che gli mancasse quel mezzo del qual potesse trarre utilità, da ogni altro tem- po credo che possa con ragion e debba levarsi da quella ser- vitù, che tra i buoni sia per dargli vergogna; perchè ognun presume che chi serve ai buoni sìa buono , e chi serve ai mali sia malo. — XXIIl. Vorrei, disse allor il signor Ludovico Pio, che voi mi chiariste un dubio eh’ io ho nella mente; il qual’ è, se un gentiluomo, mentre che serve ad un principe, è obli- gato ad ubedìrgli in tutte le cose che gli comanda , ancor che fossero disoneste e vituperose. — In cose disoneste non sia- mo noi obligati ad ubedire a persona alcuna, — rispose mes- ser Federico. E come, replicò il signor Ludovico, s’ io starò al servizio d’ un principe il qual mi (ratti bene, c si cenfidi eh’ io debba far per lui ciò che far si può, comandan- domi ch’io vada ad ammazzare un uomo, o far qualsivoglia altra cosa, debbo io rifiutar di farla? — Voi dovete, rispose messer Federico, ubedire al signor vostro in tutte le cose che a lui sono utili ed onorevoli, non in quelle che gli sono di danno e di vergogna: però se esso vi comandasse che face- ste un tradimento, non solamente non sete obligato a farlo ^ ma sete obligato a non farlo, e per voi stesso, e per non es- ser ministro della vergogna del signor vostro. Vero è che molte cose pajono al primo aspetto buone che sono male , e molte pajono male e pur son buone. Però è licito talor per servizio de’ suoi signori ammazzare non un uomo ma diece milia, e far molte altre cose, le quali, a chi non le conside- rasse come si dee, pareriano male , e pur non sono. — Ri- spose allor il signor Gaspar Pallavicino: Deh , per vostra fè, t» Digitiz ed by Google IL CORTEGIANO. 98 ragionate an poco sopra questo, ed insegnateci come si pos- san discerner le cose veramente buone dalle apparenti. — Per- donatemi, disse messer Fedbbico; io non voglio entrar qua, chè troppo ci saria che dire, ma il tutto si rimetta alla discre- zion vostra. — XXIV. Chiaritemi almen un altro dubio, — replicò il signor Gasparo. E che dubio? — disse messer Federico. Que- sto, rispose il signor Gasparo. Vorrei sapere, essendomi im- posto da un mio signor terminatamentc quello eh’ io abbia a fare in una impresa o negozio di qualsivoglia sorte, s’ io, ri- trovandomi in fallo, e parendomi con l’operare più o meno 0 allrimenli di quello che m’ è stato imposto, poter fare suc- cedere la cosa più prosperamente o con più utilità di chi m’ha dato tal carico, debbo io governarmi secondo quella prima norma senza passar i termini del comandamento, o por far quello che a me pare esser meglio? — Kisiiose allora messer Federico: Io, circa questo, vi darei la sentenza con lo esem- pio di Manlio Torquato, che in tal caso per troppo pietà uc- cise il figliolo , se lo estimassi degno di molta laude , che in vero non l’ estimo; benché ancor non oso biasimarlo, contra la opinion di tanti secoli: perchè senza dubio è assai pericolosa cosa desviare dai comandamenti de’ suoi maggiori, confidan- dosi più del giudicio di sé stessi che di quegli ai quali ragio- nevolmente s'ha da ubedire; perchè se per sorte il pensier vicn fallilo, e la cosa succeda male, incorre l’uomo noll’er- ror della disubedienza, e ruina quello che ha da far senza via alcuna di escusazione o speranza di perdono; se ancor la cosa vien secondo il desiderio, bisogna laudarne la ventura, e contentarsene: pur con tal modo s’introduce una usanza d’estimar poco i comandamenti de’ superiori ; e per esempio di quello a cui sarà successo bene , il quale forse sarà pru- dente ed ara discorso con ragione, ed ancor sarà stato aiu- talo dalla fortuna, vorranno poi mille altri ignoranti e leg- gieri pigliar sicurtà nelle cose importantissime di far al lor modo, e, per mostrar d’ esser savii od aver autorità, desviar dai comandamenti de’signori: il che è malissima cosa, e spesso causa d’ infiniti errori. Ma io estimo che in tal caso debba quello a cui tocca considerar maturamente, e quasi porre io LIBRO SECONDO. 99 bilancia il bene e la commodllà che gli è per venire del fare centra il comandamento, ponendo che ’l disegno suo gli suc- ceda secondo la speranza; dall’ altra banda, contrapcsare il male e la incommodità che glie ne nasce se per sorte, con- trafacendo al comandamento, la cosa gli vien mal fatta: c conoscendo che '1 danno possa esser maggiore e di più impor- tanza succedendo il male, che la utilità succedendo il bene, dee astenersene, e servar apuntino quello che imposto gli è; e per contrario, se la utilità è per esser di più im|)ortanza succedendo il bene, che '1 danno succedendo il male, credo che possa ragionevolmente mettersi a far quello che più la ragione e’I giudicio suo gli detta, e lasciar un poco da canto quella propria forma del comandamento; per fare come i buoni mercatanti, li quali per guadagnare l’ assai Avventu- rano il poco, ma non l’assai per guadagnar il poco. Laudo ben che sopra tutto abbia rispetto alla natura di quel signore a cui serve, e secondo quella si governi; perchè se fosse cosi austera, come di molti che se ne trovano, io non lo con- sigliare! mai, se amico mio fosse, che mutasse in parte alcu- na r ordine datogli: acciò che non gl’ intravenisse quel che si scrive esser intervenuto ad un maestro ingegnerò d’ Ate- niesi, al quale, essendo Publio Crasso Muziano in Asia, e volendo combattere una terra, mandò a domandare un de’dui alberi da nave che esso in Atene avea veduto, per far uno ariete da battere il muro, e disse voler il maggiore. L’ inge- gnerò, come quello che era iutendenlissimo, conobbe quel maggiore esser poco a proposito per tal ctTetto; e per esser il minore più facile a portare, ed ancor più conveniente a far quella machina, mandollo a Muziano. Esso, intendendo come la cosa era ita, fecesi venir quel povero ingegnerò, e doman- datogli, perchè non l’avea ubedito, non volendo ammettere ragion alcuna che gli dicesse, lo fece spogliar nudo, e bat- tere e frustare con verghe tanto che si mori, parendogli che in loco d’ ubedirlo avesse voluto consigliarlo: si che con questi cosi severi uomini bisogna usar molto rispetto. X\Y. Ma, lasciamo da canto ornai questa pratica de’si- gnori, c vengasi alla conversazione coi pari o poco diseguali; chè ancor a questa bisogna allendere, ijcr esser univcrsal- Digiii.;Qd by Google 100 IL CORTEGIANO. mente più frequentala, e trovarsi l’uomo più spesso in que- sta che in quella de’ signori. Benché son alcuni sciocchi, che se fossero in compagnia del maggior amico che abbiano al mondo, incontrandosi con un meglio vestito, subito a quel s’attaccano; se poi gli ne occorre un altro meglio, fanno pur il medesimo. £ quando poi il principe passa per le piazze, chiese o altri lochi publici, a forza di cubiti si fanno far strada a tutti, tanto che se gli mettono al costato ; c se ben non hanno che dirgli, pur lor voglion parlare, e tengono lunga la diceria, e rideno, e batteno le mani e ’l capo, per mostrar ben aver faccende d’importanza, acciò che ’l popolo gli vegga in favore. Ma poi che questi tali non si degnano di parlare se non coi signori, io non voglio che noi degnamo parlar d’ essi. — XXVI. Allora il MagniBco Jdliano, Vorrei, disse, mes- scr Federico, poiché avete fatto menzion di questi che s’ac- compagnano cosi volontieri coi ben vestiti, che ci mostraste di qual maniera si debba vestire il Cortegiano, e che abito più se gli convenga, e circa tutto l’ ornamento del corpo, in che modo debba governarsi ; perchè in questo veggiamo in- finite varietà : e chi si vestp alta franzese, chi alla spagnola, chi vuol parer Tedesco; né ci mancano ancor di quelli che si vestono alla foggia de’ Turchi ; chi porta la barba, chi no. Saria adunque ben fatto, saper in questa confusione eleggere il meglio. — Disse messer Fedebico: Io in vero non saprei dar regola determinata circa il vestire, se non che l’ uom s’accomodasse alla consuetudine dei più; e poiché, come voi dite, questa consuetudine è tanto varia, e che gl’italiani tanto son vaghi d’abigliarsi alle altrui fogge, credo che ad ognuno sia licito vestirsi a modo suo. Ma io non so per qual fato in- tervenga che la Italia non abbia, come soleva avere, abito che sia conosciuto per italiano ; che benché lo aver posto in usanza questi nuovi faccia parer quelli primi gotlìssimi, pur quelli forse erano segno di libertà, come questi son stati au- gurio di servitù ; il qual ormai parmi assai chiaramente adem- piuto. E come siscrive, che, avendo Dario, l’anno prima che combattesse con Alessandro, fatto acconciar la spada che egli portava a canto, la quale era persiana, alla foggia di Mace- LIBRO SECONDO. 101 donia, fu interpretato dagl’ indovini che questo signiGcava, che coloro, nella foggia de’ quali Dario aveva tramutato la forma della spada persiana, vernano a dominar la Persia ; cosi r aver noi mutati gli abiti italiani negli stranieri panni che signiGcasse, tutti quegli, negli abili de’quali i nostrf erano trasformati, dover venire a subjugarci; il che è stato troppo più che vero, cbè ormai non resta nazione che di noi non abbia fatto preda: tanto che poco più resta che predare, e pur ancor di predar non si resta. XXVII. Ma non voglio che noi entriamo in ragionamenti di fastidio : però ben sarà dir degli abiti del nostro Cortegia- no ; i quali io estimo che, pur che non siano fuor della con- suetudine, nè contrarii alla protessione, possano per lo resto tutti star bene, purché satisfacciano a chi gli porta. Vero è eh’ io per me amerei che non fossero estremi in alcuna par- te, come talor suol essere il franzese in troppo grandezza, e ’l tedesco in troppo piccolezza, ma come sono e l’uno e l’al- tro corretti e ridotti in miglior forma dagl’ Italiani. Piacemi ancor sempre, che tendano un poco più al grave e riposato, che al vano: però parmi che maggior grazia abbia nei vesti- menti il color nero, che alcun altro; e se pur non è nero, che almen tenda al scoro: e questo intendo del vestir ordina- rio, perchè non è dubio che sopra l’ arme più si convengan colori aperti ed allegri, ed ancor gli abiti festivi, trinzati, pomposi e superbi. Medesimamente nei spettacoli pnblici di feste, di giochi, di mascare, e di lai cose ; perchè cosi divi- sati porlan seco una certa vivezza ed alacrità, che in vero ben s’ accompagna con l’ armi e giochi : ma nel resto, vorrei che mostrassino quel riposo che mollo serva la nazion spagnola, perchè le cose estrinseche spesso fan testimonio delle intrin- seche. — Allor disse messer Cesare Gonzaga : Questo a me daria poca noja, perchè, se un genliluom nelle altre cose vale, il vestire non gli accresce nè scema mai reputazione. — Ri- spose messer Federico : Voi dite il vero. Pur qual è di noi che, vedendo passeggiar un gentiluomo con una roba adosso quartata di diversi colori, ovvero con tante slringhette e fet- tuzze annodate e fregi traversali, non Io tenesse per pazzo o per buffone? — Nè pazzo, disse messer Pietro Bembo, nè buf- 0 * Digiiized by Google 102 IL CORTEGIANO. fone sarebbe cosini tenuto da chi fosse qualche tempo vivalo nella Lombardia, perchè cosi vanno tatti. — Adunque, ri- spose la signora Duchessa ridendo, se cosi vanno lutti, op- porre non se i'ii dee per vizio, essendo a loro questo abito tanto* conveniente e proprio, quanto ai Veneziani il portar le maniche a corneo, ed a’ Fiorentini il cappuzzo. — Non parlo io, disse mcsser Fedbhico, più della Lombardia che de- gli altri lochi, perchè d’ogni nazion se ne trovano e di scioc- chi e d’avveduti. Ma per dir cii che mi par d’importanza nel vestire, voglio che ’l nostro Cortegiano in tutto l’abito sia pulito e delicato, ed abbia una certa conformità di mode- sta attilatura, ma non però di maniera feminile o vana, nè più in una cosa che nell’altra, come molti ne vederne, che pongon tanto studio nella capigliara, che si scordano il re- sto; altri fan professione di denti, altri di barba, altri di borzacchini, altri di berrette, altri di cuffie; e cosi intervien che quelle poche cose più colle pajono lor prestale, e tulle r altre che sono sciocchissime si conoscono per le loro. E questo tal costume voglio che fugga il nostro Cortegiano, per mio consiglio ; aggiugnendovi ancor, che debba fra sè stesso deliberar ciò che vuol parere, e di quella sorte che desidera esser estimato, della medesima vestirsi, e far che gli abili lo ajutino ad esser tenuto per tale ancor da quelli che non l’odono parlare, nè veggono far operazione alcuna. — XXVllI. A me non pare, disse allor il signor Gaspab Pal- LAviciNO, che si convenga, nè ancorché s’usi tra persone di valore, giudicar la condizion degli uomini agli abili, e non alle parole ed alle opere, perchè molli s’ ingannariano ; nè senza causa dicesi quel proverbio, che 1’ abito non fa il mo- naco. — Non dico io, rispose messer Federico, che per que- sto solo s’abbiano a far i giudici! resoluti delle condizion de- gli uomini, nè che più non si conoscano per le parole e per r opere che per gli abili : dico ben, che ancor l’ abito non è piccolo argomento della fantasia di chilo porla, avvenga che talor possa esser falso ; e non solamente questo, ma tutti i modi e costumi, oltre all’ opere e parole, sono giudicio delle qualità di colui in cui si veggono. — E che cose trovate voi, rispose il signor Gasparo, sop<"> le uuali noi possiam far giu- Digitlzed by Google LIBRO SECONDO. 103 dicio, che non siano nè parole nè opere? — Disse allor mes- ser Federico: Voi siete troppo sottile loico. Ma per dirvi come io intendo, si trovano alcune operazioni, che, poi che son fat- te, restano ancora , come l’ edificare, scrivere ed altre simi- li ; altre non rèstano, come quelle di che io voglio ora inten- dere : però non chiamo in questo proposito che *1 passeggia- re, ridere, guardare, e tai cose, siano operazioni'; e pur tutto questo di fuori dà notizia spesso di quel dentro. Ditemi, non faceste voi giudicio che fosse nn vano e leggier uomo quello amico nostro, del quale ragionammo pur questa mattina, sa- bito che lo vedeste passeggiar con quel torzer di capo, dime- nandosi lutto, ed invitando con aspetto benigno la brigata a cavarsegli la berretta? Cosi ancora quando vedete uno che guarda troppo intento con gli occhi stupidi a foggia d’insen- sato, 0 che rida cosi scioccamente come que’ mutoli gozzuti delle montagne di Bergamo, avvenga che non parli o faccia altro, non lo tenete voi per un gran babuasso? Vedete adunque che questi modi e costumi, che io non intendo per ora che siano operazioni, fanno in gran parte che gli nomini sian conosciuti. XXIX. Ma un’altra cosa parrai che dia e lievi molto la riputazione, e questa è la elezion degli amici coi quali si ha I da tenere intrinseca pratica ; perchè indubitatamente la rà- gion vuol, che di quelli che sono con stretta amicizia ed in- dissolnbil compagnia congiunti, siano ancor le volontà, gli animi, i giudicii e gl’ ingegni conformi. Cosi chi conversa con ignoranti o mali, è tenuto per ignorante o mate; e per contra- rio chi conversa con buoni e savii e discreti, è tenuto per tale: chè da natura par che ogni cosa volentieri si congiunga col suo simile. Però gran riguardo credo che si convenga aver nel cominciar queste amicizie, perchè di dui stretti amici chi conosce l’uno, subito imagina l’ altro esser della medesi- ma condizione. — Rispose allor messer Pietro Bembo : Del ristringersi in amicizia cosi unanime, come voi dite, parmi veramente che si debba aver assai riguardo, non solamente per r acquistar o perdere la riputazione, ma perchè oggidì pochissimi veri amici si trovano, nè credo che più siano al mondo quei Piladi ed Oresti, Tese! e Pirìtoi, nè Scipioni • by Google IL CORTEGIANO. 104 Lelii; anzi non so per qual deslin interviene ogni di, che dui amici , quali saranno vivuli in cordialissimo amore moli’ anni, pur al fine l’un l’altro in qualche modo s’ingan- nano, o per malignità, o per invidia, o per leggerezza, o per qualche altra mala causa; e ciascun dà la colpa al compagno di quello, che forse l’uno e l’altro la merita. Però essendo a me intervenuto più d’una volta l’ esser ingannato da chi più amava, e da chi sopra ogni altra persona aveva confidenza d’ esser amato, ho pensato talor da me a me, che sia ben non fidarsi mai di persona del mondo, nè darsi cosi in preda ad amico, per caro ed amato che sia, che senza riservo l’ uomo gli communichi tutti i suoi pensieri come farebbe a sè stesso; perchè negli animi nostri sono tante latebre e tanti recessi, che impossibil è che prudenza umana possa conoscer quelle simulazioni, che dentro nascose vi sono. Credo adunque che ben sia, amare e servire l’un più che l’altro, secondo i me- riti e ’l valore; ma non però assicurarsi tanto con questa dolce esca d’amicizia, che poi lardi se n’abbiamo a pentire. — XXX. Allor messer Fedebico, Veramente, disse, molto maggior saria la perdila che ’l guadagno, se del consorzio umano si levasse quel supremo grado d’amicizia, che, secondo me, ci dà quanto di bene ha in sè la vita nostra ; e però io per alcun modo non voglio consentirvi che ragionevol sia, anzi mi daria il core di concludervi, e con ragioni evidentis- sime, che senza questa perfetta amicizia gli uomini sariano mollo più infelici che tutti gli altri animali ; e se alcuni gua- stano, come profani, questo santo nome d’ amicizia, non è però da estirparla cosi degli animi nostri, e per colpa dei mali privar i buoni di tanta felicità ; ed io per me estimo, che qui tra noi sia più di un par di amici, l’amor dei quali sia indissolubile e senza inganno alcuno, e per durar fin alla morte con le voglie conformi, non meno che se fossero que- gli antichi che voi dianzi avete nominati ; e cosi interviene quando, oltre alla inclinazion che nasce dalle stelle, l’ uomo s’ elegge amico a sè simile di costumi ; e ’l lutto intendo che sia tra buoni e virtuosi, perchè l’amicizia de’ mali non è amicizia. Laudo ben che questo nodo cosi stretto non com- prenda 0 leghi più che dui, che altramente forse saria peri- LIBRO SECONDO. 105 coloso; perchè, come sapete, più difficilmente s’accordano (re instrumenli di musica insieme, che dui. Vorrei adunque che ’l nostro Cortegiano avesse un precipuo e cordial amico, se possibii fosse, di quella sorte che detto avemo; poi, se- condo ’l valore e meriti, amasse, onorasse ed osservasse tutti gli altri, e sempre procurasse d’intertenersi più con gli esti- mali e nobili e conosciuti per buoni, che con gl’ ignobili e di poco pregio ; di maniera che esso ancor da loro fosse amato ed onorato: e questo gli verrà fatto se sarà cortese, umano, liberale, affabile e dolce in compagnia, officioso e diligente nel servire e nell’ aver cura dell’utile ed onor degli amici cosi assenti come presenti, sopportando i lor difetti naturali e sopportabili , senza rompersi con essi per piccol causa , e correggendo in sè stesso quelli che amorevolmente gli sa- ranno ricordati ; non si anteponendo mai agli altri con cer- car i primi e i più onorali lochi; nè con fare come alcuni, che par che sprezzino il mondo, e vogliano con una certa austerità molesta dar legge ad ognuno; ed, oltre allo essere contenziosi in ogni minima cosa e fuor di tempo, riprender ciò che essi non fanno, e sempre cercar causa di lamentarsi degli amici: il che è cosa odiosissima. — XXXI. Quivi essendosi fermalo di parlare messer Fede- rico, Vorrei, disse il signor Gasparo Pallavicino, che voi ra- gionaste un poco più minutamente di questo conversar con gli amici, che non fate; chè in vero vi tenete molto al ge- nerale, e quasi ci mostrate le cose per transito. — Come per transito? rispose messer Federico. Vorreste voi forse che io vi dicessi ancor le parole proprie che si avessero ad usare? Non vi par adunque che abbiamo ragionalo a bastanza di questo? — A bastanza parmi, rispose il signor Gasparo. Pur desidero io d’intendere qualche particolarità ancor della foggia dell’ interlenersi con uomini e con donne : la qual cosa a me par di molla importanza, considerato che ’l più del tempo in ciò si dispensa nelle corti ; e se questa fosse sem- pre uniforme, presto verrina fastidio. — A me pare, rispose messer Federico, che noi abbiam dato al Cortegiano cogni- zion di tante cose, che molto ben può variar la conversazio- ne, ed accommodarsi alle qualità delie persone con le quai Digitized by Google 106 IL CORTEGIANO. ha da conversare, presupponendo che egli sia di buon giodi- cio, e con quello si governi, e secondo i tempi lalor intenda nelle cose gravi, talor nelle feste e giochi. — £ che giochi? — disse il signor Gaspibo. Rispose allor messer Fedebico riden- do : Dimandiamone consiglio a fra Seratino, che ogni di ne trova de’ nuovi. — Senza motteggiare, replicò il signor Ga- sparo, parvi che sia vìzio nel Cortcgiano il giocare alle carte ed ai dadi? — A me no, disse messer Federico, eccetto a cui noi facesse troppo assiduamente e per quello lasciasse l’altre cose di maggior importanza, o veramente non per altro che per vincer danari, ed ingannasse il compagno, e perdendo mostrasse dolore e dispiacere tanto grande, che fosse argo- mento d' avarizia. — Rispose il signor Gasparo: £ che dite del gioco de’scacchi? — Quello certo è gentile intertenimento ed ingegnoso, disse messer Federico, ma parrai che un sol difetto vi si trovi; e questo è, che si può saperne troppo, di modo che a cui vuol esser eccellente nel gioco de’scacchi credo bisogni consumarvi molto tempo, e mettervi tanto stu- dio, quanto se volesse imparar qualche nobii scienza, o far qualsivoglia altra cosa ben d’ importanza ; e pur in ultimo con tanta fatica non sa altro che un gioco : però in questo l>enso che intervenga una cosa rarissima, cioè che la medio- crità sia più laudevole che la eccellenza. — Rispose il si- gnor Gasparo: Molli Spagnoli trovansi eccellenti io questo ed in molli altri giochi, i quali però non vi mettono molto stu- dio, nè ancor lascian di far 1’ altre cose. — Credete, rispose messer Federico, che gran studio vi mettano, benché dissi- mulatamente. Ma quegli altri giochi che voi dite, oltre agli scacchi, forse sono come molli eh’ io ne ho veduti far pur di poco momento, i quali uou serveno se non a far maravigliare il vulgo; (lerò a me non |>areche meritino altra laude nè al- tro premio, che quello che diede Alessandro Magno a colui, che, stando assai lontano, cosi ben intìlzavai ceci in un ago. XXXII. Ma perchè par che la fortuna, come in molle altre cose, cosi ancor abbia grandissima forza nelle opinioni degli uomini, vedesi lalor che uu gentiluomo, per ben con- dizionalo che egli sia e dotato di molte grazie, sarà poco grato ad un signore, e, come si dice, non gli arà sangue; c ipiesto m . LIBRO SECONDO. 107 senza cassa alcuna che si possa comprendere: però giungendo alla presenza di quello, e non essendo dagli altri per prima eonosciolo, benché sia arguto e pronto nelle risposte, e si mostri bene nei gesti, nelle maniere, nelle parole, ed in ciò che si conviene, quel signore poco mostrarà d’ estimarlo, anzi più presto gli farà qualche scorno; e da questo nascerà che gli altri subito s’accommodaranno alla volontà del signore, e ad ognun parerà che quel tale non vaglia, né sarà persóna che r apprezzi o stimi, o rida de’ suoi detti piacevoli, o ne tenga conto alcuno ; anzi cominciaranno tutti a burlarlo, e dargli la caccia ; né a quel meschino basteran buone rispo- ste, nè pigliar le cose come dette per gioco, ché inaino a’paggi se gli metteranno attorno, di sorte che, se fosse il più valo- roso uomo del mondo, sarà forza che resti impedito e burla- to. £ per contrario, se ’l principe si mostrarà inclinato ad un ignorantissimo, che non sappia né dir nè fare, saranno spesso i costumi ed i modi di quello, per sciocchi ed inetti che sia- no, laudati con le esclamazioni e stupore da ognuno, e pa- rerà che tutta la corte lo ammiri ed osservi, e ch’ognun rida de’ suoi motti, e di certe arguzie contadinesche e fredde, che più presto dovrian mover vomito che riso : tanto son fermi ed ostinati gli uomini nelle opinioni che nascono da’ favori e disfavori de’ signori. Però voglio che ’l nostro Cortegiano, il meglio che può, oltre al valore, s’ ajuti ancor con ingegno ed arte ; e sempre che ha d’ andare in loco dove sìa nuovo e non conosciuto, procuri che prima vi vada la buona opinion di sé che la persona, e faccia che ivi s’ intenda che esso in altri lochi, appresso altri signori, donne e cavalieri, sia ben estimato; perché quella fama che par che nasca da molli gindicii genera una certa ferma credenza di valore, che poi, trovando gli animi cosi disposti e preparati, facilmente con l’ opere si mantiene ed accresce : olirà che si fugge quel fa- stidio eh’ io sento quando mi viene domandato chi sono, e quale è il nome mio. — XXXIII. Io non so come questo giovi, rispose messer Bebnabdo Bibibnz; perchè a me più volte é intervenuto, e, credo, a molt’ altri, che avendomi formato nell’ animo, per detto di persone di giudicio, una cosa esser di molta eccel- Digitizedby Google 108 IL CORTEGIANO. lenza, prima che vedala l’ abbia, vedendola poi assai mi è mancala, c di gran lunga restalo son ingannalo di quello eh’ io cslimava ; e ciò d’ allro non è proceduto che dali'avcr troppo credulo alla fama, ed aver fallo nell’ animo mio un tanto gran concetto, che, misurandolo poi col vero, rclTetlo, avvenga che sia sialo grande ed eccellente, alla comparazion di quello che imaginato aveva m’ è parso piccolissimo. Cosi dubito ancor che possa intervenir del Cortegiano. Però non so come sia bene dar queste aspettazioni, e mandar inanzi quella fama ; perchè gli animi nostri s|>esso formano cose alle quali impossibii è poi corrispondere, c cosi più se ne |)erde che non si guadagna. — Quivi disse messer Fedbkicu: Le coso che a voi, ed a moli’ altri riescono minori assai che la fama, son per il più di sorte, che l’ occhio al primo as)>ctto le può giudicare; come se voi non sarete mai stalo a Napoli o a Ro- ma, sentendone ragionar tanto imaginarele più assai di quello che forse poi alla vista vi riuscirà ; ma delle condizioni de- gli uomini non intervicn cosi, perche quello che si vede di fuori è il meno. Però se ’l primo giorno, sentendo ragionare un gentiluomo, non comprenderete che in lui sia quel valore che avevate prima imaginato, non cosi presto vi spogliacele della buona opinione come in quelle cose delie quali l'occhio subito è giudice, ma aspeltarcle di di in di scoprir qualche altra nascosta virtù, tenendo j>ur ferma sempre quella impres- sione che v’è nata dalle parole di tanti; ed essendo poi que- sto (come io presuppongo che sia il nostro Cortegiano) cosi ben qualificalo, ogn’ora meglio vi confermarà a creder a quella fama, perchè con 1’ opere ve ne «larà causa, e voi sempre estimarete qualche cosa più di quello che vederele. XXXIV. E certo non si può negar che queste prime im- pressioni non abbiano grandissima forza, e che molla cura aver non vi si debba; ed acciò che comjirendiale quanto im- portino, dicovi che io ho a’ miei di conosciuto un gentiluo- mo, il quale, avvenga che fosse di assai gentil aspetto e di modesti costumi, ed ancor valesse nell’ arme, non era però in alcuna di queste condizioni tanto eccellente, che non se gli Irovassino molli pari, ed ancor superiori: pur, come la sorto sua volse, inlervenne che una donna si vollò ad amarlo fcr- Digitized by Google LIBRO SECONDO. 109 ventissimamente, e crescendo ogni dì qnesto amore per la dlmoslrazion di correspondenza che faceva il giovane, e non vi essendo modo alcun da potersi parlare insieme, spinta la donna da troppo passione scoperse il sno desiderio ad un’ al- tra donna, per mezzo della quale sperava qualche commodi- tà. Questa né di nobilità nè di bellezza non era punto infe- rior alla prima; onde intervenne che sentendo ragionare così aflettuosamente di questo giovane, il qual essa mai non aveva veduto, e conoscendo che quella donna, la quale ella sapeva ch’era discretissima e d’ ottimo giudicio, l’amava estrema- mente, subito imaginò che costui fosse il più bello e '1 più savio e ’l più discreto ed in somma il più degno uomo da es- ser amalo, che al mondo si trovasse ; e cosi, senza vederlo, tanto fieramente se ne innamorò, che non per l’ amica sua ma per sé stessa cominciò a far ogni opera per acquistarlo, s farlo a sé corrispondente in amore : il che con poca fatica le venne fatto, perchè in vero era donna più presto da esser pregata, che da pregare altrui. Or udite bel caso. Non molto tempo appresso occorse che una lettera, la qual scrivea que- sta ultima donna allo amante, pervenne in mano d’ un’altra pnr nobilissima, e di costumi e di bellezza rarissima, la qual essendo, come è il più delle donne, curiosa e cupida di saper secreti, e massimamente d’ altre donne, aperse questa lette- ra, e leggendola, comprese ch’era scritta con estremo alTetlo d’ amore; e le parole dolci e piene di foco che ella lesse, pri- ma la mossero a compassion di quella donna, perché mollo ben sapea da chi veniva la lettera ed a cui andava; poi tanta hrza ebbero, che rivolgendole nell’ animo, e considerando di che sorte doveva esser colui che avea potuto indnr quella donna a tanto amore, subito essa ancor se ne innamorò ; e fece quella lettera forse maggior effetto, che non averia fatto se dal giovane a lei fosse stala mandata. E come talor inter- viene, che ’l veneno in qualche vivanda preparalo per un si- gnore ammazza il primo che ’l gusta, cosi questa meschina, per esser troppo ingorda, bevvè quel veneno amoroso che per altrui era preparato. Che vi debbo io dire? la cosa fu as- sai palese, ed andò di modo, che molte donne, oltre a queste, parte per far dispetto all’altre, parte per far come l’ altre, po- to Digitized by Google IL CORTEGIANO. 110 sero ogni industria e studio per goder dell’ amore di costai , e ne fecero per un tempo alla grappa, come i fanciulli delle cerase: e tutto procedette dalla prima opinione che prese quella donna, vedendolo tanto amato da un’ altra. — XXXV. Or quivi ridendo rispose il signor Gaspabo Pal- LAviciNo: Voi per confermare il parer vostro con ragione, m'allegate opere di donne, le quali per lo più son fuori d’ ogni ragione; e se voi voleste dir ogni cosa, questo cosi favorito da tante donne dovea essere un nescio e da poco uomo in eflelto; perchè usanza loro è sempre attaccarsi ai peggiori, e, come le pecore, far quello che veggon far alla prima, o bene o male che si sia: oltra che son tanto invidiose Ira sé, che se costui fosse stato un mostro, pur averian voluto rubarselo r una all’ altra. — Quivi molti cominciarono, e quasi lutti a voler conlradire al signor Gasparo ; ma la signora Ducurssa im|K>se silenzio a lutti; poi, pur ridendo, disse: Se ’l mal che voi dite delle donne non fosse tanto alieno dalla verità, che nel dirlo piuttosto desse carico e vergogna a chi lo dice che ad esse, io lasciare! che vi fosse risposto; ma non voglio che col conlradirvi con tante ragioni come si poria, siale rimosso da questo mal costume, acciò che del peccato vostro abbiate gravissima pena; la qual sarà la mala opinion che di voi pi- gliaran tulli quelli, che di tal modo vi sentiranno ragionare. — Allor messer Feubbico, Non dito, signor Gasparo, rispose, che le donne siano cosi fuor di ragione, se beo lalor si mo- veno ad amar più per 1’ altrui giudicio che per lo loro ; per- chè i signori e molli savii uomini spesso fanno il medesimo; e, se licito è dir il vero, voi stesso e noi altri tutti molle vol- le, ed ora ancor, credemo più all’ altrui opinione che alla no- stra propria. E che sia ’l vero, non è ancor mollo tempo, che essendo appresenlati qui alcuni versi sotto ’l nome del San- nazaro, a tulli parvero mollo eccellenti, e furono laudati con le maraviglie ed esclamazioni ; poi, sapendosi per certo che erano di un altro, persero subito la reputazione, e parvero inen che mediocri. E cantandosi pur in* presenza delia si- gnora Duchessa un mottetto, non piacque mai nè fu estimato per buono, fin che non si soj>pe che quella era com|>osizion di Josquin de Prie. Ma che più chiaro segno volete voi delia Digitized by Google LIBRO SECONDO. IH forza della opinione? Non vi ricordale che, bevendo voi slesso d’ un medesimo vino, dicevole lalor che era perfellissimo , lalor insipidissimo? e qneslo, perchè a voi era persuaso che eran dui vini, l’ un di Riviera di Genoa e l’allro di que- slo paese; e poi ancor che fu scoperto l’errore, per modo al- cuno non volevate crederlo: tanto fermamente era confermata nell’ animo vostro quella falsa opinione, la qual però dalle al- trui parole nasceva. XXXVl. Deve adunque il Coiiegiano por molta cura nei principi!, di dar buona impression di sé, e considerar come dannosa e mortai cosa sia lo incorrer nel contrario : ed a tal pericolo stanno più che gli altri quei che voglion far profes- sion d’ esser molto piacevoli, ed aversi con queste sue piace- volezze acquistato una certa libertà, per la qual lor convenga e sia licito e fare e dire ciò che loro occorre cosi senza pen- sarvi. Però spesso questi tali entrano in certe cose, delle quai non sapendo uscire, voglion poi ajntarsi col far riderete quello ancor fanno cosi disgraziatamente che non riesce: tanto che inducono in grandissimo fastidio chi gli vede ed ode, ed essi restano freddissimi. Alcuna volta, pensando per quello esser arguti e faceti, in presenza d’onorate donne, e spesso a quelle medesime, si mettono a dir sporchissime e disoneste parole; e quanto più le veggono arrossire, tanto più si tengon buon Cortegiani, e tuttavia ridono, e godono tra sé di cosi belia vir- tù, come lor par avere. Ma per ninna altra causa fanno tante pecoragini, che per esser estimati buon compagni: questo è quel nome solo che lor pare degno di laude, e del quale più che di niun altro essi si vantano; e per acquistarlo si di- con le più scorrette e vituperose villanie del mondo. Spesso s’ urtano giù per le scale, si dan de’ legni e de’ mattoni l’ un r altro nelle reni, mettonsi pugni di polvere negli occhi, fan- nosi minar i cavalli adosso ne’ fossi o giù di qualche poggio; a tavola poi, minestre, sapori, gelatine, tutte si danno nel volto : e poi'ridono ; e chi di queste cose sa far più, quello per mcglior Cortogiano o più galante da sé stesso s’apprezsa, e pargli aver guadagnalo gran gloria; e se lalor invitano a colai sue piacevolezze un gentiluomo, e che egli non voglia usar questi scherzi selvatichi, subito dicono eh’ egli si tien 112 IL CORTEGIANO. troppo savio c gran maestro, e che non è buon compagno. Ma io vi vo’ dir peggio. Sono alcuni che contrastano e mettono il prezzo a chi può mangiare e bere più stomacose c fetide cose; e trovante tanto aborrenti dai sensi umani, che impossibil è ricordarle senza grandissimo fastidio. — XXXVIl. E che cose possono esser queste? - disse il signor Ludovico Pio. Rispose messer Federico: Fatevele dire al marchese Febus, che spesso l’ha vedute in Francia, e forse gli è intervennto. — Rispose il marchese Febus : lo non ho veduto far cosa in Francia di queste, che non si faccia ancor in Italia; ma ben ciò che hanno di buon gl’ltaliaiy nei vesti- menti, nel festeggiare, banchettare, armeggiare, ed in ogni altra cosa che a Cortegian si convenga, tutto l’ hanno dai Franzesi. — Non dico io, rispose messer Federico, che an- cor tra Franzesi non si trovino dei gentilissimi e modesti cavalieri; ed io per me n’ho conosciuti molli veramente de- gni d’ogni laude; ma por alcuni se ne trovan poco riguar- dati; e, parlando generalmente, a me par che con gli Italiani più si confaccian nei costumi i Spagnoli che i Franzesi, per- chè quella gravità riposata peculiar deti Spagnoli mi par molto più conveniente a noi altri, che la pronta vivacità, la qual nella nazion franzese quasi in ogni movimento si conosce; il che in essi non disdice, anzi ha grazia, perchè loro è cosi na- turale e propria, che non si vede in loro atTcttazione alcuna. Trovansi ben molti Italiani che vorriano pur sforzarsi d’imi- tare quella maniera; e non sanno far altro che crollar la te- sta parlando, e far riverenze in traverso di mala grazia, e quando passeggian per la terra camminar tanto forte, che i slalTleri non possano lor tener drieto: e con questi modi par loro esser buon Franzesi, ed aver di quella libertà; la qual cosa in vero rare volte riesce, eccetto a quelli che son nutriti in Francia e da fanciulli hanno presa quella maniera. 11 me- desimo intervien del saper diverse lingue ; il che io laudo molto nel Cortegiano, e massimamente la spagnola e la fran- zese: perchè il commercio dell’ una e dell’ altra nazione è molto frequente in Italia, e con noi sono queste due più con- formi che alcuna deU’altre;e que’dui principi, per esser po- tentissimi nella guerra e splendidissimi nella pace, sempre Digitized by Gelale LIBRO SECONDO. 113 hanno la corte piena di nobili cavalieri, che per tutto ’l mondo si spargono; ed a noi pur bisogna conversar con loro. XXXVIII. Or io non voglio seguitar più minutamente in dir cose troppo note, come che ’l nostro Cortegian non debba far profession d’ esser gran mangiatore, nè bevitore, nè dissoluto in alcun mal costume, nè laido e mal assettato nel vivere, con certi modi da contadino, che chiamano la zappa e l' aratro mille miglia di lontano; perchè chi è di tal sorte, non solamente non s’ ha da sperar che divenga buon Cortegiano, ma non se gli può dar esercizio conveniente, al- tro che di pascer le pecore. E, per concluder, dico, che buon saria che ’l Cortegian sapesse perfettamente ciò che detto avemo convenirsigli, di sorte che tutto ’l possibile a lui fosse facile, ed ognuno di lui si maravigliasse, esso di niuno; in- tendendo però che in questo non fosse una certa durezza su- perba ed inumana, come hanno alcuni, che mostrano non maravigliarsi delle cose che fanno gli altri, perchè essi pre- sumon poterle far molto meglio, e col tacere le disprezzano, come indegne che di lor si parli ; e quasi voglion far segno che niuno altro sia non che lor pari, ma por capace d’inten- dere la profondità del saper loro. Però deve il Cortegian fug- gir questi modi odiosi, e con umanità e benivolenza laudar ancor le buone opere degli altri ; e benché esso si senta am- mirabile, e di gran lunga superior a tutti, mostrar però di non estimarsi per tale. Ma perchè nella natura umana raris- sime volte e forse mai non si trovano queste così compito perfezioni, non dee 1’ uomo che si sente in qualche parto manco difTidarsi però di sè stesso, nè perder la speranza di giungere a buon grado, avvenga che non possa conseguir quella perfetta e suprema eccellenza dove egli aspira; per- chè in ogni arte son molti lochi, oltr’ al primo, landevoli ; e chi tende alla sommità, rare volte interviene che non passi il mezzo. Voglio adunque che ’l nostro Cortegiano, se in qual- che cosa, olir’ all’ arme, si trovarà eccellente, se ne vaglia e se ne onori di buon modo ; e sia tanto discreto e di buon giu- dicio, che sappia tirar con destrezza o proposito le persone a vedere ed udir quello, in che a lui par d’essere eccellente, 10 ' Digitized by Googl 114 IL COBTEGIANO. mostrando sempre farlo non per ostentazione, ma a caso, c pregato d’ altrui più presto che di volontà sua ; ed in ogni cosa che egli abbia da far o dire, se possibii è, sempre venga premeditato e preparato, mostrando però il tutto esser all’ improvìso. Ma le cose nelle guai si sente mediocre, toc- chi per transito, senza fondarsici molto, ma di modo, che si possa credere che più assai ne sappia di ciò ch’egli mostra: come talor alcuni poeti che accennavano cose sottilissime di filosofìa 0 d’ altre scienze, e per avventura n’ intendevan poco. Di quello poi di che si conosce totalmente ignorante non voglio che mai faccia professione alcuna, nè cerchi d’ac- quislarne fama; anzi, dove occorre, chiaramente confessi di non saperne. — XXXIX. Questo, disse il Calheta, non arebbe fallo Ni- colelto, il quale essendo eccellentissimo filosofo, nè sapendo più leggi che volare, benché un Podestà di Padoa avesse do- liberafo dargli di quelle una lettura, non volse mai, a per- suasion di molti scolari, desingannar quel Podestà e confes- sargli di non saperne, sempre dicendo, non si accordar in questo con la opinione di Socrate, nè esser cosa da filosofo il dir mai di non sapere. — Non dico io, rispose messer Fe- derico, che ’l Cortcgian da sè stesso, senza che altri lo ri- cerchi, vada a dir di non sapere ; chè a me ancor non piace questa sciocchezza d’ accusar o disfavorir sè medesimo : c però talor mi rido di certi uomini, che ancor senza necessità narrano volentieri alcune cose, le quali, benché forse siano intervenute senza colpa loro, portan però seco un’ ombra d’infamia; come faceva un cavalier che lutti conoscete, il qual sempre che udiva far mcnzion del fatto d’ arme che si fece in Pafmegiana contra ’l re Carlo, subito cominciava a dir in che modo egli era fuggito, nè parca che di quella gior- nata altro avesse veduto o inteso; parlandosi poi d’una certa giostra famosa, contava pur sempre come egli era caduto; o spesso ancor parca che nei ragionamenti andasse cercando di far venire a proposito il poter narrar che una notte, an- dando a parlar ad una donna, avca ricevuto di molte basto- nate. Queste sciócchezze non voglio io che dica il nostro Cor- tegieno, ma parai lieh che olTerendoscli occasion di mostrarsi r' ■ - by Googli. LIBRO SECONDO. 115 in cosa di che non sappia punto, debba fuggirla; e se pur la necessità lo stringe, confessar chiaramente di non saperne, più presto che mettersi a quel rischio: e cosi fuggirà un bia- simo che oggidì meritano molli, i quali, non so per qual loro perverso instinto o giudicio fuor di ragione sempre si met- tono a far quel che non sanno, e lascian quel che sanno. £, per confermazion di questo, io conosco uno eccellenlissimu musico, il qual, lasciala la musica, s’ é dato totalmente a compor versi, e credesi in quello esser grandissimo uomo, c fa ridere ognun di sé, e ornai ha perduta ancor la musica. (Jn altro de’ primi pittori del mondo sprezza quell’ arte dove ó rarissimo, ed èssi posto ad imparar filosofìa ; nella quale ha cosi strani concetti e nuove chimere, che esso con tutta la sua pittura non sapria dcpingerle. E di questi tali, infìnili si trovano. Son bene alcuni, i quali, conoscendosi avere eccel- lenza in una cosa, fanno principal professione d’un’altra, della qual però non sono ignoranti; ma ogni volta che loro occorre mostrarsi in quella dove si senton valere, si mostran gagliar- damente ; e vien lor talor fatto che la brigata, vedendogli valor tanto in quello che non è sua professione, estima che vaglian molto più in quello di che fan professione. Quest’ar- te, s’ella è compagnala da buon giudicio, non mi dis|>iacc punto. — XL. Rispose allor il signor Gaspar Pallavicino : Que- sta a me non par arte, ma vero inganno ; nè credo che si convenga, a chi vuol esser uomo da bene, mai lo ingannare. — Questo, disse messer Federico, è più presto un ornamento il quale accompagna quella cosa che colui fa, che inganno ; e se pur è inganno, non è da biasimare. Non direte voi anco- ra, che di dui che maneggian I’ arme quel che batte il com- pagno lo inganna ? e questo è perchè ha più arie che l’ al- tro. E se voi avete una gioja, la qual dislegala mostri esser bella, venendo poi alle mani d’ un buon oreGce, che col le- garla bene la faccia [>arer molto più bella, non direte voi che quello orefice inganna gli occhi di chi la vede? e pur dì quello inganno merita laude, perchè col buon giudicio c con l’ arte le maestrevoli mani spesso aggiungon grazia ed orna- mento allo avorio ovvero allo argento, ovvero ad una bella 116 IL CORTEGIANO. pietra circondandola di Gn oro. Non diciamo adunque che r arte o tal inganno, se pur voi Io volete cosi chiamare, me- riti biasimo alcuno. Non è ancor'disconveniente che un uomo che si senta valere in una cosa, cerchi destramente occasion di mostrarsi in quella, e medesimamente nasconda le parti che gli pajan poco laudevoli, il tutto però con una certa av- vertita dissimulazione. Non vi ricorda come, senza mostrar di cercarle, ben pigliava l’occasioni il re Ferrando di spo- gliarsi talor in giupponc? e questo, perchè si sentiva dispo- sitissimo ; e perchè non avea troppo buone mani, rare volto o quasi mai non si cavava i guanti? e pochi erano che di questa sua avvertenza s’accorgessero. Farmi ancor aver letto che Julio Cesare portasse volentieri la laurea, per nascondere il calvizie. Ma circa questi modi bisogna esser molto pru- dente e di buon giudicio, per non uscire de’ termini ; perchè molte volte l’uomo per fuggir un errore incorre nell’altro, c per voler acquistar laude acquista biasimo. XLl. È adunque securissima cosa, nel modo del vivere e nel conversare, governarsi sempre con una certa onesta mediocrità, che nel vero è grandissimo e fermissimo scudo centra la invidia, la qual si dee fuggir quanto più si può. Vo- glio ancor che ’l nostro Cortegiano si guardi di non acquistar nome di bugiardo, nè di vano; il che talor interviene a que- gli ancora che noi meritano : però ne’ suoi ragionamenti sia sempre avvertito di non uscir della verisimilitudine, e di non dir ancor troppo spesso quelle verità che hanno faccia di menzogna, come molti che non parlan mai se non di mira- coli, e voglion esser di tanta autorità, che ogni incrcdibil cosa a loro sia creduta. Altri nel principio d’ una amicìzia, per acquistar grazia col nuovo amico, il primo di che gli parlano giurano non aver persona al mondo che più amino ;hclui, e che vorrebben volontier morir per fargli servizio, e lai cose fuor di ragione ; e quando da luì si partono, fanno le viste di piangere, e di non poter dir parola |)cr dolore ; cosi, per voler esser tenuti troppo amorevoli, si fanno esti- mar bugiardi, e sciocchi adulatori. Ma troppo lungo e fati- coso saria voler discorrer tulli i vizii che possono occorrere nel modo del conversare: i>erò per quello eh’ io desidero net Digitized by Googk- UBRO SECONDO. 117 Corlegiano basii dire, oltre alle cose già dette, eh’ el sia tale, che mai non gii manchin ragionamenti buoni, e commodati a quelli co’ quali parla, e sappia con una certa dolcezza re* crear gli animi degli auditori, e con motti piacevoli e face- zie discretamente indurgli a festa e riso, di sorte che, senza venir mai a fastidio o por a saziare, continuamente diletlL XLII. lo penso che ormai la signora Emilia mi darà li- cenza di tacere ; la qual cosa s’ ella mi negarà, io per le pa- role mie medesime sarò convinto non esser quel buon Corte- gìano di cui ho parlato ; ché non solamente i buoni ragiona- menti, i quali nè mo nè forse mai da me avete uditi, ma ancor questi miei, come voglia che si siano, in lotto mi mancano. — Allor disse, ridendo, il signor Prefetto: lo non voglio che questa falsa opinion resti nell’animo d’ alcun di noi, che voi non siate buonissimo Gorlegiano; ché certo il desi- derio vostro di tacere più presto procede dal voler fuggir fatica, che da mancarvi ragionamenti. Però, acciò che non paja che in compagnia cosi degna come è questa , e ragio- namento tanto eccellente, si sia lasciato a drieto parte alcu- na, siate contento d' insegnarci come abbiamo ad usar le facezie, delle quali avete or fatta menzione, e mostrarci l’arte che s’appartiene a tolta questa sorte di parlar piace- vole, per indurre riso e festa con gentil modo, perchè in vero a me pare che importi assai, e molto si convenga al Cortegiano. — Signor mio, rispose allor messer Federico, le facezie e i motti sono più presto dono e grazia di natura che d’arte; ma bene in questo si trovano alcune nazioni pronte più r una che l’ altra, come i Toscani, che in vero sono acu- tissimi. Pare ancor che ai Spagnoli sia assai proprio il mot- teggiare. Trovansi ben però molli, e di queste e d’ ogni al- tra nazione, i quali per troppo loquacità passan talor i ter- mini, e diventano insulsi ed inetti, perchè non han rispetto alla sorte delle persone con le quai parlano, al loco ove si trovano, al tempo, alla gravità ed alla modestia che essi pro- pri! mantenere devriano. — XLllI. Allor il signor Prefetto rispose: Voi negate che nelle facezie sia arte alcuna; e pur, dicendo mal di que’ che non servano in esse la modestia e gravità, e non hanno ri- Digitized by Coogle 118 IL CORTEGIANO. spetto al tempo ed alle persone con le qnai parlano, parmi che dimostriate che ancor questo insegnar si possa, ed ab- bia in sè qualche disciplina. — Queste regole, Signor mio, rispose messer Fedebico, son tanto universali, che ad ogni cosa si confanno e giovano. Ma io ho detto nelle facezie non esser arte, perchè di due sorti solamente parmi che se ne trovino; delle quai l'nna s’ estende nel ragionar lungo e con- tinuato; come si vede di alcun’ uomini, che con tanto buona grazia e cosi piacevolmente narrano ed esprimono una cosa che sia loro intervenuta, o veduta o udita l’abbiano, che coi gesti e con le parole la mettono inanzi agli occhi, e quasi la fan toccar con mano: e questa forse, per non ci aver altro vocabolo, si poria chiamar festività, ovvero urbanità. L’altra sorte di facezie è brevis^ma, e consiste solamente nei detti pronti ed acuti, come spesso tra noi se n’odono, e de’ mor- daci; nè senza quel poco di puntura par che abbian grazia: e questi presso agli antichi ancor si nominavano detti; adesso alcuni le chiamano arguzie. Dico adunque che nel primo modo, che è quella festiva narrazione, non è bisogno arte alcuna, perchè la natura medesima crea e forma gli uomini alti a narrare piacevolmente; e dà loro il volto, i ge- sti, la voce e le parole appropriato ad imitar ciò che voglio- no. Nell’ altro, delle arguzie, che può far 1’ arte? con ciò sia cosa che quel salso dello dee esser uscito ed aver dato in brocca, prima che paja che colui che lo dice v’ abbia potuto pensate; altramente è freddo, e non ha del buono. Però esti- mo, che ’l tutto sia opera dell’ ingegno e della natura. — Ri- pre.se allor le parole messer Pietro Bembo, e disse: Il signor Prefetto non vi nega quello che voi dite , cioè che la natura e lo ingegno non abbiano le prime parli, massimamente circa la invenzione; ma certo è che nell’animo di ciascu- no, sia pur r uomo di quanto buono ingegno può essere, na- scono dei concetti buoni e mali, e più e meno ; ma il giudi- ciò poi e l’ arte i lima e corregge, e fa elezione dei buoni e rifiuta i mali. Però, lasciando quello che s’appartiene allo ingegno, dechiaraleci quello che consìste nell’ arte : cioè, delle facezie e dei molti che inducono a ridere, quai son convenienti al Cortegiano e quai no, ed in qual tempo o blgitireSTjy C o< v g . LIBRO SECONDO. HQ modo si debbano osare; cbè questo è quello che ’l signor Prefetto v’ addimanda. — XLIV. AUor messer Federico, pur ridendo, disse: Non è alcun qui di noi al qual io non ceda in ogni cosa, e mas* simamente nell’ esser faceto ; eccetto se forse le sciocchezze, che spesso fanno rider altrui più che i bei detti, no» fossero esse ancora accettale per facezie. — E cosi, voltandosi al conte Ludovico ed a messer Bernardo Bibiena, disse: Eccovi i maestri di questo; dai quali, s’io ho da parlare de’ delti giocosi, bisogna che prima impari ciò che m’abbia a dire. Rispose il conte Lunorico: A me pare che già cominciate ad usar quello di che dite non saper niente, cioè di voler far ridere questi signori, burlando messer Bernardo e me; per- chè ognun di lor sa, che quello di che ci laudate, in voi è molto più eccellentemente. Però se siete faticalo, meglio è dimandar grazia alia signora Duchessa, che faccia differire il resto del ragionamento a domani, che voler eoa inganni sulterfugger la fatica. — Cominciava messer Federico a ri- spondere ; ma la signora Emilia subito l’ interruppe e disse: Non è r ordine, che la disputa se ne vada in laude vostra; basta che tutti siete molto ben conosciuti. Ma perchè ancor mi ricordo che voi, Conte, jersera mi deste impntazionè eh’ io non partiva egualmente le fatiche, sarà bene che roes- ser Federico si riposi un poco, e ’l carico del parlar delle facezie daremo a messer Bernardo Bibiena, perchè non so- lamente nel ragionar contìnuo lo conoscemo facetissimo, ma avemo a memoria che di questa materia più volte ci ha pro- messo voler scrivere, e però possiam creder che già molto ben vi abbia pensalo, e per questo debba compiutamente sa- 'tisfarci. Poi, parlato che si sìa delle facezie, messer Federico seguirà in quello che dir gli avanza del Cortegiano. — Allor messer Federilo disse: Signora, non so ciò che più mi avan- zi ; ma io, a guisa di viandante già stanco dalla fatica del lungo camminare a mezzo giorno, rìposerommi nel ragionar di messer Bernardo al suon delle sue parole, come sotto qualche amenissimo ed ombroso albero al mormorar soave d’un vivo fonte; poi forse, un poco ristorato, potrò dir qual- che altra eosa — Rispose, ridendo, messer Bernardo: S’io Digitized by Googl 120 IL CORTEGIANO. vi mostro il capo, vedcrete che ombra si può aspettar dalle foglie del mio albero. Di sentire il mormorio di quel fonte vivo, forse vi verrà fatto, perch’io fui già converso in un fonte, non d’ alcuno degli antichi Dei, ma dal nostro Fra Mariano, c da indi in qua mai non m’ è mancala l’acqua. — Allor ognun cominciò a ridere, perchè questa piacevolezza, di che messer Bernardo intendeva, essendo intervenuta in Roma alla presenza di Galeotto cardinale di san Pietro in Vincola, a tutti era notissima. XLV. Cessato il riso, disse la signora Emilia: Lasciale voi adesso il farci ridere con l’ operar le facezie, c a noi in- segnate come l’abbiamo ad usare, e donde si cavino, e tutto quello che sopra questa materia voi conoscete. E, per non perder più tempo, cominciale ornai. — Dubito, disse messer Bernabdo, che l’ora sia tarda; ed acciò che ’l mio parlar di facezie non sia infaceto e fastidioso, forse buon sarà difle- rirlo insino a domani. — Quivi subito risposero molti, non esser ancor, nè a gran pezza, l’ora consueta di dar fine al ragionare. Allora, rivoltandosi messer Bernardo alla signora Duchessa ed alla signora Emilia, lo non voglio fuggir, dis- se, questa fatica; bench’io, come soglio maravigliarmi del- l’audacia di color che osano cantar alla viola in presenza del nostro Jacomo Sansecondo, cosi non devrei in presenza d’auditori che mollo meglio inlendon quello che io ho a dire che io stesso, ragionar delle facezie. Pur, per non dar causa ad alcuno di questi signori di ricusar cosa che imposta loro sia, dirò quanto più brevemente mi sarà possibile ciò che mi occorre circa le cose che movono il riso ; il qual tanto a noi è proprio, che per descriver l’ uomo, si suol dir che egli è un animai risibile : perchè questo riso solamente negli uomini si vede, ed è quasi sempre testimonio d’ una certa ilarità che dentro si sente nell’ animo, il qual da na- tura è tirato al piacere, ed appetisce il riposo e ’l recrearsi ; onde veggiamo multe cose dagli uomini ritrovate per questo effetto, come le feste, e tante varie sorti di spettacoli. E per- chè noi amiamo que’ che son causa di tal nostra recreazio- ne, usavano i re antichi, i Romani, gli Ateniesi, e molli al- tri, per acquistar la benivolenza dei popoli, e pascer gli occhi Digitized b^^yogle LIBRO SECONDO. 121 e gli aninai della moltitadine, far magni teatri ed altri pa- blici edificii ; ed ivi mostrar nuovi giochi, corsi di cavalli e di carrette, combattimenti, strani animali, comedie, trage- die e moresche ; nè da tal vista erano alieni i severi fìlosoG, che spesso e coi spettacoli di tal sorte e conviti rilasciavano gli animi affaticati in quegli alti lor discorsi e divini pensie- ri ; la qual cosa volentier fanno ancor tutte le qualità d’ uo- mini: ché non solamente i lavoratori de’ campi, i marinari, e tutti quelli che hanno dori ed asperi esercizii alle mani, ma i santi religiosi, i prigionieri che d’ ora in ora aspettano la morte, por vanno cercando qualche rimedio e medicina per recrearsi. Tutto quello adunque che move il riso, ^ilara r animo e dà piacere, nè lascia che in quel punto l’ uomo si ricordi delle nojose molestie, delle quali la vita nostra è piena. Però a tutti, come vedete, il riso è gratissimo, ed è molto da laudare chi lo move a tempo e di buon modo. Ma che cosa sia questo rìso, e dove stia, ed in che modo talor occupi le vene, gli occhi, la bocca e i fianchi, e par che ci voglia far scoppiare, tanto che per forza che vi mettiamo, non è possibile tenerlo, lasciarò disputare a Democrito; il quale, se forse ancor lo promettesse, non lo saprebbe dire. XLVI. Il loco adunque e quasi il fonte onde nascono i ridicoli consiste in una certa deformità; perchè solamente si ride di quelle cose che hanno in sè disconvenienza, e par che stian male, senza però star male. Io non so altrimenti dicbiarirlo; ma se voi da voi stessi pensale, vederete che quasi sempre quel di che si ride è una cosa che non si con- viene, e pur non sta male. Quali adunque siano quei modi che debba usar il Cortegiano per mover il riso, e fin a che termine, sforzeromroi di dirvi, per quanto mi mostrerà il mio gindicio ; perchè il far rider sempre non si convìeu al Cortegiano, nè ancor di quel modo che fanno i pazzi e gl’ imbriachi, ed i sciocchi ed inetti, e medesimamente i buffoni ; e benché nelle corti queste sorti d’ nomini par che si ricbieggano, pur non meritano esser chiamali Cortegiani, ma ciascun per lo nome suo, ed estimati tali quai sono. 11 termine e misura di far ridere mordendo bisogna ancor es- 11 Digitized by Google 122 IL CORTEGIANO. ser diligentemente considerato, e chi sia qoello che si mor- de ; perchè non s’ induce riso col dileggiar un mìsero e cala- mitoso, nè ancora un ribaldo e sceleralo publico: perchè questi par che meritino maggior castigo che Tesser burlati; e gli animi umani non sono inclinati a beffar i miseri, ec- cetto se quei tali nella sua infelicità non si vantassero, e fossero superbi e prosuntuosi. Decsi ancora aver rispetto a quei che sono universalmente grati ed amati da ognuno e potenti, perchè talor col dileggiar questi poria T uom acqui- starsi inimicizie pericolose. Però conveniente cosa è beffare e ridersi dei vizii collocati in pcisonc nè misere tanto che movano compassione, nè tanto scelerate che paja che meri- tino esser condennate a pena capitale, nè tanto grandi che un loro picco! sdegno possa far gran danno. XLVll. Avete ancor a sapere, che dai lochi donde si cavano motti da ridere, si posson medesimamente cavare sentenze gravi, per laudare e per biasimare, e talor con le medesime parole: come, per laudar un uomo liberale, che metta la roba sua in commune con gli amici, suolsi dire che ciò eh’ egli ha non è suo ; il medesimo si può dir per biasi- mo d’ uno che abbia rubalo, o per altre male arti acquistalo quel che tiene. Dicesi ancor: Colei è una donna d' assai, — volendola laudar di prudenza e bontà; il medesimo poria dir chi volesse biasimarla, accennando che fosse donna di mollL Ma più spesso occorre servirsi dei medesimi lochi a questo proposito, che delle medesime parole : come a questi di, stando a messa in una chiesa tre cavalieri ed una signora, alla quale serviva d’ amore uno dei tre, comparve un povero mendico, e postosi avanti alla signora, cominciolle a doman- dare elimosiua ; e cosi con molla importunità e voce lamen- tevole gemendo replicò più volte la sua domanda: pur con lutto questo, essa non gli diede mai elimosina, nè ancor gliela negò con fargli segno che s’ andasse con Dio, ma stette sem- pre sopra di sè, come se pensasse in altro. Disse allor il ca- valier inamorato a' dui compagni : Vedete ciò eh’ io posso sperare dalla mia signora, che è tanto crudele, che non so- lamente non dà elimosina a quel poveretto ignudo morto di fame, che con tanta passion e tante volle a lei la domanda, Digilized by GoogU LIBRO SECONDO. 125 ma ncm gli dà par licenza ; lanlo gode di vedersi inanzi ona persona che languisca in miseria, e in van le domandi mer- cede. — Rispose un dei dui : Questa non è crudeltà, ma un tacito ammaestramento di questa signora a voi, per farvi co- noscere che essa non compiace mai a chi le domanda con molla importunità. — Rispose l’altro : Anzi è un avvertirlo, che ancor eh’ ella non dia quello che se le domanda, pur le piace d’ esserne pregala. — Eccovi , dal non aver quella signora dato licenza ai povero , nacque un detto di se- vero biasimo, uno di modesta laude, cd un altro di gioco mordace. XLVIII. Tornando adunque a dechiarire le sorti delle facezie appartenenti al proposito nostro, dico che, secondo me, di tre maniere se ne trovano, avvenga che messer Fe- derico solamente di due abbia fatto menzione: cioè di quella urbana e piacevole narrazion continuata, che consiste nel- r effetto d’ una cosa ; e della subita ed arguta prontezza, che consiste in un detto solo. Però noi ve ne giungeremo la terza sorte, che chiamamo burle; nelle quali intervengon le nar- razioni lunghe, e i detti brevi, ed ancor qualche operazione. Quelle prime adunque, che consistono nel parlar continualo, son di maniera tale, quasi che 1’ uomo racconti una novella. £, per darvi un esempio : In que’ proprii giorni che mori papa Alessandro Sesto, e fu crealo Pio Terzo, essendo in Roma e ne! palazzo messer Antonio Agnello, vostro mantuano, si- gnora Duchessa, e ragionando appunto della morte dell’ano e creazion dell’ altro, e di ciò facendo varii giudici! con certi suoi amici, disse: Signori, fin al tempo di Catullo comincia- rono le porte a parlare senza lingua ed udir senza orecchie, ed in tal modo scoprir gli adulterii; ora, se ben gli uomini non sono di tanto valor com’ erano in que’ tempi, forse che le porte, delle quai molte, almen qui in Roma, si fanno do’ marmi antichi, hanno la medesima virtù che aveano al- lora ; ed io per me credo che queste due ci saprian chiarir lutti i nostri dubii, se noi da loro i volessimo sapere. — Al- lor quei gentiluomini stettero assai sospesi, ed aspettavano dove la cosa avesse a riuscire; quando messer Antonio, se- guitando pur r andar inan:fi e ’ndielro, alzò gli occhi, come Digitized by Google 124 IL CORTEGIANO. all’ improviso, ad una delie due porte della sala nella qnal passeggiavano, e fermatosi un poco, mostrò col dito a’ com- pagni la inscrizion di quella, che era il nome di papa Ales- sandro, nel Gn del quale era un V ed I, perché signiGcas- se, come sapete. Sesto ; e disse : Eccovi che questa porla dice: Ales$andro papa vi, che vuol signiGcare, che è stalo papa per la forza che egli ha osata, e più dì quella si è va- luto che della ragione. Or veggiamo se da quest’ altra pote- rne intender qualche cosa del nuovo pontiGce; — e voltatosi, come per ventura, a quell’ altra porla, mostri la inscrizione d’nn N, dui PP, ed un V, che signiBcava Nieolaut Papa Quinlus; e subito disse: Oimé male nove ; eccovi che questa -dice : Nifiii Papa Valel. — XLIX. Or vedete come questa sorte di facezie ha delle elegante e del buono, come si conviene ad non? di corte, o vero 0 fìnto che sia quello che si narra ; perché in tal caso è licito fingere quanto all’uom piace, senza colpa ; e dicendo la verità, adornarla con qualche bugietta, crescendo o dimi- nuendo secondo ’l bisogno. Ma la grazia perfetia e vera virtù di questo è il dimostrar tanto bene e senza fatica, cosi coi gesti come con le parole, quello che l’ uomo vuole esprimere, che a quelli che odono paja vedersi inanzi agli occhi far le cose che sì narrano. E tanta forza ha questo modo cosi espresso, che talor adorna e fa piacer sommamente una cosa, che in sé stessa non sarà molto faceta né ìngeniosa. E ben- ché a queste narrazioni si ricerchino ì gesti, e quella etlica- cia che ha la voce viva, pur ancor in scritto qualche volta si conosce la lor virtù. Chi non ride quando, nella ottava àiornata delle sue Cento Novelle, narra Giovan Boccaccio, •come ben sì sforzava di cantare un Chirie ed un Sanctus il prete di Varlungo quando sentia la Belcolore in chiesa? Pia- cevoli narrazioni sono ancora in quelle di Calandrino, ed in molle altre. Della medesima sorte pare che sia il far ridere contrafacendo o imitando, come noi vogliam dire; nella qual cosa fin qui non ho veduto alcuno più eccellente di messer Roberlo nostro da Bari. — L. Questa non sarà poca lande, disse messer Kobkkto, se fosse vera, perch’io certo m’ingegnerei d’ imitare più Digitized by Google LIBRO SECONDO. 125 presto il ben che ’l male, e s’ io potes» assimigliarmi ad al Clini ch’io conosco, mi terrei per molto felice; ma dubito non saper imitare altro che le cose che fanno ridere, le quali voi dianzi avete detto che consistono in vizio. — Rispose messer Bernabdo : In vizio si, ma che non sta male. E sa per dovete, che questa imitazione di che noi parliamo non ' può essere senza ingegno ; perché, oltre alla maniera d’ ac- commodar le parole e i gesti, e mettere inanzi agli occhi de- gli auditori il volto e i costumi di colui di cui si parla, biso- gna essere prudente, ed aver molto rispetto al loco, al tempo, ed alle persone con le quali si parla, e non descendere alla buffoneria, n^ uscire de’ termini ; le quai cose voi mirabil- mente osservate, e però estimo che tutte le conosciate. Chò in vero ad un gentiluomo non si converria fare i volti pian- gere e ridere, far le voci, lottare da sé a sé, come fa Berto, vestirsi da contadino in presenza d’ognuno, come Strascino; e tai cose, che in essi son convenientissime, per ^ser quella la lor professione. Ha a noi bisogna per transito e nascosa- . mente rubar questa imitazione, servando sempre la dignità del gentiluomo, senza dir parole sporche o far atti men che onesti , senza disforcersi il viso o la persona cosi senza rite- gno ; ma far i movimenti d’ un certo modo, che chi ode e vede per le parole e gesti nostri imagini molto più di quello « che vede ed ode, e perciò s’induca a ridere. Deesi ancor fug- gir in questa imitazione d’ esser troppo mordace nel ripren- dere, massimamente le deformità del volto o della persona; ché si come i vizii del corpo danno spesso bella materia di ridere a chi discretamente se ne vale, cosi l’usar questo modo troppo acerbamente é cosa non sol da buffone, ma an- cor da inimico. Però bisogna, benché diSìcil sia, circa que- sto tener, come ho detto, la maniera del nostro messer Ro- berto, che ognun contrafà, e non senza pungerl’in quelle cose dove hanno difetti, ed in presenza d’ essi medesimi ; e . pur ninno se ne turba, né par che possa averlo per male : e di questo non ne darò esempio alcuno, perché ogni di in esso tutti ne vederne inhnili. LI. Induce ancor molto a ridere, che pur si contiene eotto la narrazione, il recitar con buona grazia alcuni difetti tf Dj-jiti7ed by Googli: 126 IL CORTEGIANO. d’altri, mediocri però, e non degni di maggior supplicio, come le sciocchezze lalor semplici, lalor accompagnate da un poco di pazzia pronta e mordace ; medesimamente certe af- fettazioni estreme : talor una grande e ben composta bugia. Come narrò pochi di sono messer Cesare nostro una bella sciocchezza, che fu, che ritrovandosi, alla presenza del Po- destà di questa terra, vide venire un contadino a dolersi che gli era stalo rubato un asino; il qual, poi che ebbe detto della povertà sua e dell’ inganno fattogli da quel ladro, per far più grave la perdila sua, disse: Messere, se voi aveste veduto il mio asino, ancor più conoscereste quanto io ho ragion di dolermi; chè quando aveva il suo basto adosso, parea pro- priamente un Tullio. — Ed un de’ nostri incontrandosi in una matta di capre, inanzi alle quali era un gran becco, si fermò, e con un volto maraviglioso disse : Guardate bel bec- co I pare un san Paolo. — Un altro dico il signor Gasparo aver conosciuto, il qual per essere antico servitore del duca Ercole di Ferrara, gli avea offerto dui suoi piccoli figlioli per paggi; e questi, prima che potessero venirlo a servire, erano tulli dui morti : la qual cosa intendendo il signore, amore- volmente si dolse col padre, dicendo che gli pesava mollo, perchè in avergli veduti una sol volta gli eran parsi molto belli e discreti figlioli; il padre gli rispose : Signor mio, voi non avete veduto nulla ; ché da pochi giorni in qua erano riusciti mollo più belli o virtuosi eh’ io non arei mai potato credere, e già cantavano insieme come dui sparvieri. — E stando a questi di un dottor de’ nostri a vedere uno, che |>er giustizia era frustato intorno alla piazza, ed avendone com- passione, perchè ’l meschino, benché lo spalle fieramente gli sanguinassero, andava così lentamente come se avesse pas- seggialo a piacere per passar tempo, gli disse : Cammina, po- veretto, ed esci presto di questo affanno. — Allor il buon uomo rivolto, guardandolo quasi con maraviglia, stette un poco senza parlare, poi disse ; Quando sarai frustalo tu, an- derai a modo tuo ; eh’ io adesso voglio andar al mio. — Do- vete ancora ricordarvi quella sciocchezza, che poco fa rac- contò il signor Duca di quell’abbate; il quale essendo pre- sente un di che ’l duca Federico ragionava di ciò che si Digitized by Google LIBHO SECONDO. 127 dovesse far di cosi gran quantità di terreno, come s* era ca- vata per far i fondamenti di questo palazzo, che tuttavia si lavorava, disse: Signor mio, io ho pensalo henissimo dove e’ s’abbia a mettere. Ordinale che si faccia una grandissima fossa, e quivi riponeresi potrà, senza altro impedimento. — Rispose il duca Federico, non senza risa: E dove metteremo noi quel terreno che si caverà di questa fossa?— Soggiunse l’abbate: Fatela far tanto grande, che l’uno e l’altro vi^ stia. — Cosi, benché il Dnca più volle replicasse, che quanto, la fossa si facea maggiore, tanto più terren si cavava, mai non gli potè caper nel cervello eh’ ella non si potesse far tanto grande, che l’uno e 1’ altro metter non vi si potesse, nè mai rispose altro se non : Fatela tanto maggiore. — Or vedete, che buona estimativa avea questo abbate. — Lll. Disse allor messer Pietro Bembo: £ perchè non dite voi quella del vostro commissario fiorentino? il qual era assediato nella Castellina dai duca di Calavria, e dentro essendosi trovato un giorno certi passatori avvelenati, che erano stali tirali dal campo; scrisse al Duca, che se la guerra s’ aveva da far cori crudele, esso ancor farebbe por il medi- carne in su le pallette dell’ artigliarla, e poi chi n'avesse il peggio, suo danno — Rise messer Bernardo, e disse: Mes- ser Pietro, se voi non stale cheto, io dirò tutte quelle che 10 stesso ho vedute e udite de’ vostri Veneziani, che non son poche, e massimamente quando voglion fare il cavalcato- re. — Non dite, di grazia, rispose messer Pietro, che io ne tacerò due altre hcllissime che so de’ Fiorentini. — Disse messer Bernardo: Deono esser più presto Sanesi, che spesso vi cadeno. Come a questi di uno, sentendo leggere in consi- glio certe lettere, nelle quali, per non dir tante volte il no- me di colui di chi si parlava era replicato questo termine, 11 prelibalo, disse a colui che leggeva: Fermatevi un poco qui, e ditemi ; cotesto Prelibalo, è egli amico del nostro commune? — Rise messer Pietro, poi disse: Io parlo de’Fio- rentini, e non de’ Sanesi. — Dite adunque liberamente, sog- giunse la signora Ehii.ia, e non abbiale tanti rispetti. — Se- guitò messer Pietro: Quando i signori Fiorentini faceano la guerra conira Pisani, trovaronsi talor per le molte spese Digitized by Gdogle 128 IL CORTEGIANO. esausti di denari ; e parlandosi un giorno in consiglio del modo di trovarne per i bisogni che occorreano, dopo l’ es- sersi proposto molti partiti, disse un cittadino de’ più anti- chi: lo ho pensato dui modi, per li quali senza molto im- pazzo presto potrem trovar buona somma di denari ; e di questi l’uno è, che noi, perchè non avemo le più vive in- trate che le gabelle delle porte di Firenze, secondo che v’ abbiam undeci porte, subito ve ne facciam far undeci al- tre, e cosi raddoppieremo quella entrala. L’altro modo è, che si dia ordine che subito in Pistoja e Prato s’aprino le zecche, nè più nè meno come in Firenze, e quivi non si faccia altro, giorno e notte, che batter denari, e tatti siano ducati d’oro; e questo partito, secondo me, è più breve, e ancor di minor spesa. — LUI. Risesi mollo del sottil avvedimento di questo cit- tadino ; e, racchetato il riso, disse la signora Emilia : Com- portarete voi, mcsscr Bernardo, che messer Pietro burli così i Fiorentini, senza farne vendetta? — Rispose, pur ridendo, messer Bebnabdo: Io gli perdono questa ingiuria, perchè s’ egli m’ ha fatto dispiacere in burlar i Fiorentini, hammi compiaciuto in obedir voi , il che io ancor farei sempre. — Disse allor messer Cesabe : Bella grosseria udi’ dir io da un Bresciano, il quale essendo stato quest’ anno a Venezia alla festa dell'Ascensione, in presenza mia narrava a certi suoi compagni le belle cose che v’ avea vedute; e quante mercan- zie, e quanti argenti, speziane, panni e drappi v’erano; poi la Signoria con gran pompa esser uscita a sposar il mare in Bucenloro, sopra il quale erano tanti gentiluomini ben ve- stiti, tanti suoni e canti, che parea un paradiso; e diman- dandogli un di que’suoi compagni, che sorte di musica più gli era piaciuta di quelle che avea udite, disse: Tutte eran buone ; pur tra 1’ altre io vidi un sonar con certa tromba strana, che ad ogni tratto se ne ficcava in gola più di dui palmi, e poi subito la cavava, e di nuovo la reficcava; che non vedeste mai la più gran maraviglia. — Risero allora lutti, conoscendo il |)azzo pensier di colui, che s’avea ima- ginato che quel sonatore si ficcasse nella gola quella parto del trombone, che rientrando si nasconde. — Digitized by C'-’Csh LIBRO SECONDO. 129 LIV. Soggiunse allor messer Bernardo: Le affettazioni poi mediocn fanno fastidio ; ma quando son fuor di misura, inducono da ridere assai : come talor se ne sentono di bocca d’ alcuni circa la grandezza, circa l’ esser ralente, circa la nobilità; talor di donne circa la bellezza, circa la delicatura. Come a questi giorni fece una gentildonna, la qual stando in una gran festa di mala voglia e sopra di sè, le fu domanda- to a che pensava, che star la facesse cosi mal contenta; ed essa rispose: Io pensava ad una cosa, che sempre che mi si ricorda mi dà grandissima noja, nè levar me la posso del co- re; e questo è, che avendo il di del gindicio universale tutti i corpi a resuscitare e comparir ignudi inanzi al tribu- nal di Cristo, io non posso tolerar l’ affanno che sento, pen- sando che il mio ancor abbia ad esser veduto ignudo. — Que- ste tali affettazioni, perchè passano il grado, inducono più riso che fastidio. Quelle belle bugie mo, cosi ben assettate, come movano a ridere, tutti lo sapete. E quell’amico nostro, che non ce ne lassa mancare, a questi di me ne raccontò una molto eccellente. — LV. Disse allora il MagniGco Joliano: Sia come si vuo- le, nè più eccellente nè più sottile non può ella esser di quella che l’ altro giorno per cosa certissima affermava un nostro Toscano, mercatante lucchese.— Ditela, — soggiunse la signora Dochessa. Rispose il Magnifico Joliano, ridendo : Questo mercatante, siccome egli dice, ritrovandosi una volta in Polonia, deliberò di comperare una quantità di zibellini, coh opinion di portargli in Italia e fame un gran guadagno; e dopo molte pratiche, non potendo egli stesso in persona andar in Moscovia, per la guerra che era tra ’l re di Polo- nia e ’l duca di Moscovia, per mezzo d’ alcuni del paese or- dinò che un giorno determinalo certi mercatanti moscoviti coi lor zibellini venissero ai confini di Polonia, e promise esso ancor di trovarvisi, per praticar la cosa. Andando adunque il Lucchese coi suoi compagni verso Moscovia, giunse al Boriatene, il qual trovò lutto duro di ghiaccio co- me un marmo, e vide che i Moscoviti, li quali per lo so- spetto della guerra dubitavano essi ancor de’ Poloni, erano già su r altra riva, ma non s’accostavano, se non quanto era Digitized by Coogle IL COnTEGIANO. 130 largo il 6amc. Così conosciutisi l’nn l’aKro, dopo alcuni cen- ni, li Moscoviti cominciarono a parlar alto, e domandar il prezzo che volevano dei loro zibellini, ma tanto era estremo il freddo, che non erano intesi ; perchè le parole, prima che 'giungessero all’ altra riva, dove era questo Lucchese e i saoi interpreti, si gielavano in aria, e vi restavano ghiacciate e prese di modo, che quei Poloni che sapeano il costume, pre- sero per partilo di far un gran foco proprio al mezzo del fiume, |)6rchè, al lor parere, quello era il termine dove giun- geva la voce ancor calda prima che ella fosse dal ghiaccio intercetta; od ancora il fiume era tanto sodo, che ben poteva sostenere il foco. Onde, fatto questo, le parole, che per spa- zio d’ un' ora erano state ghiacciale, cominciarono a lique- farsi e discender giù mormorando, come la neve dai monti il maggio; e cosi subito furono intese benissimo, benché già gli uomini di là fossero parliti : ma perchè a lui parve che quelle parole dimandassero troppo gran prezzo per i zibel- lini, non volle accettare il mercato, e cosi se ne ritornò senza. — LVI. Risero allora lutti: e messer Bbrnabdo, In vero, disse, quella eh’ io voglio raccontarvi non è tanto sottile ; pur è bella, ed è questa. Parlandosi pochi di sono del paese 0 Mondo novamente trovato dai marinari portoghesi, e dei varii animali e d’altre cose che essi di colà in Portogallo ri- portano, quello amico del qual v’ho dello atfermò, aver ve- duto una scimia di forma diversissima da quelle che noi sia- mo usali di vedere, la quale giocava a scacchi eccellenlissi- mamente ; e, tra l’ altre volte, un di essendo inanzi al re di Portogallo il gentiluom che portala l’avea, e giocando con lei a scacchi, la scimia fece alcuni tratti sottilissimi, di sorte che lo strinse molto ; in ultimo gli diede scaccomalto : per- ’ebè il gentiluomo turbato, come soglion esser lutti quelli che 'perdono a quel gioco, prese in mano il re, che era assai ^grande, come usano i Portoghesi, e diede in su la lesta alla scimia una grande scaccata; la qual subito saltò da banda, lamentandosi forte, e parea che domandasse ragiono al re del torlo che le era fallo. Il gentiluomo poi la reinvilò a giocare; essa avendo alquanto ricusalo con cenni, pur si Digitized by f' igle LIBRO SECONDO. % 131 pose a giocar di nnovo, e, come Taltra volta avea fatto, cosi questa ancora lo ridusse a mal termine : in ultimo, vedendo la scimia poter dar scaccomalto al genliluom, con una nuova malizia volse assicurarsi di non esser più battala ; e cheta- mente, senza mostrar che fosse suo fatto, pose la man de- stra sotto '1 cubito sinistro del gentiluomo, il qual esso per delicatura riposava sopra un guancialetto di taffettà, e pre- stamente levatoglielo, in un medesimo tempo con la man si- nistra gliel diede matto di pedina, e con la destra si pose il guancialetto in capo, per farsi scudo alle percosse; poi fece un salto inanti al re allegramente, quasi per testimonio della vittoria sua. Or vedete se questa scimia era savia, avveduta e prudente. — Allora messcr Cesare Gonzaga, Questa, è for- za, disse, che tra l’ altre scimie fosse dottore, e di molta an- torità; e penso che la Republica delle Scimie Indiane la man- dasse in Portogallo per acquistar reputazione in paese inco- gnito. — Allora ognun rise e della bugia, e della aggiunta fattagli per messer Cesare. LVII. Cosi, seguitando il ragionamento, disse messer Bernardo: Avete adunque inteso delle facezie che sono nel- r effetto e parlar continualo, ciò che m’occorre; perciò ora è ben dire di quelle che consistono in un detto solo, ed hanno quella pronta acutezza posta brevemente nella sentenza o nella parola: e siccome in quella prima sorte di parlar fe- stivo s’ ha da fuggir, narrando ed imitando, di rassìmig liarsi ai buffoni c parasiti, ed a quelli che inducono altrui a ridere l>er le lor sciocchezze ; cosi in questo breve devesi guardare il Cortegiano di non parer maligno e velenoso, e dir motti ed arguzie solamente per far dispetto e dar nel core; |)erché tali uomini spesso per difetto della lingua meritamente hanno castigo in tutto ’l corpo. LVllI. Delle facezie adunque pronte, che stanno in un breve detto, quelle sono acutissime, che nascono dalla am- biguità ; benché non sempre inducono a ridere, perchè più presto sono laudate per ingeiiiose che per ridicole : come pochi di sono disse il nostro messer Annibai Paleoito ad uno che gli proponea un maestro per insegnar grammatica a’ suoi tìglioli, e poi che gliel’ ebbe laudalo |)er molto dotto. Digitìzed by Google 132 IL CORTEGIANO. venendo al salario disse, che olire ai denari volea nna ca- mera fornita per abitare c dormire, perchè esso non avea letto: allor messer Annibai subito rispose : £ come può egli esser dotto, se non ha letto? — Eccovi come ben si valse del vario signifìcalo di quel non aver letto. Ma perché questi motti ambigui hanno molto dcH’acuto, per pigliar l’ uomo le parole in significalo diverso da quello che le pigliano tutti gli altri, pare, come ho detto, che più presto movano mara- viglia che riso, eccetto quando sono congiunti con altra ma- niera di delti. Quella sorte adunque di motti che più s’ usa per far ridere è quando noi aspettiamo d’udir una cosa, e colui che risponde ne dice un’ altra, e chiamasi fuor d' opi- nione. E se a questo è congiunto lo ambiguo, il motto di- venta salsissimo; come l’altr’jeri, disputandosi di fare un bel mattonato nel camerino della signora Duchessa, dopo molte parole voi, Joanni Cristoforo, diceste: Se noi potessi- mo avere il vescovo di Potenza, e farlo ben spianare, saria molto a proposito, perchè egli è il più bel matto nato eh’ io vedessi mai. — Ognun rise mollo, perché dividendo quella parola malto nato faceste lo ambiguo ; poi dicendo che si avesse a spianare un vescovo, e metterlo per pavimento d’un camerino, fu fuor di opinione di chi ascoltava ; cosi riuscì il motto argutissimo e risibile. LIX. Ma dei molti ambigui sono molle sorti ; però bi- sogna essere avvertito, ed uccellar soltilissimamcnte alle pa- role, e fuggir quelle che fanno il molto freddo, o che paja che siano tirate per i capelli; ovvero, secondo che avemo detto, che abbian troppo dello acerbo. Come ritrovandosi al- cuni compagni in casa d’un loro amico, il quale era cieco da un occhio, e invitando quel cieco la compagnia a restar quivi a desinare, lutti si partirono eccello uno; il qual dis- se: Ed io vi restarò, perché veggo esserci vuoto il loco per uno ; — e cosi col dito mostrò quella cassa d’ occhio vuota. Vedete che questo è acerbo e discorlese troppo, perchè morse colui senza causa, e senza esser stalo esso prima punto, e disse quello che dir si poria conira tutti i ciechi ; c tal cose universali non dilettano, perchè pare che possano essere |>ensale. E di questa sorte fu quel detto ad un senza LIBRO SECONDO. 133 naso : E dove appicchi la gli occhiali? — o : Con che fiuti (u r anno le rose? — LX. Ma tra gli altri molti, quegli hanno bonissima gra- zia, che nascono quando dal ragionar mordace del compagno l’uomo piglia le medesime parole nel medesimo senso, e conlra di lui le rivolge, pungendolo con le sue proprie ar- me ; come un litigante, a cui in presenza del giudice dal suo avversario fu detto: Che baji tu? — subito rispose: Perchè veggo un ladro. — E di questa sorte fu ancor, quando Ga- leotto da Narni, passando per Siena, si fermò in una strada a domandar dell’ ostarla ; e vedendolo un Senese cosi corpu- lento come era, disse ridendo: Gli altri portano le bolgie dietro, e costai le porta davanti. — Galeotto subito rispose: Cosi si fa in terra di ladri. — LXL Un’ altra sorte è ancor, che chiamiamo bitchizzi, e questa consiste nel mutare ovvero accrescere o minuire una lettera o sillaba; come colui che disse: Tu dei esser più dotto nella lingua latrina che nella greca. — Ed a voi , Si- gnora, fu scritto nel titolo d’ una lettera : Alla signora Emi- lia Impia. — E ancora faceta cosa interporre un verso o più, pigliandolo in altro proposito che quello che lo piglia l’ au- tore, o qualche altro detto volgato ; talor al medesimo pro- posito, ma mutando qualche parola : come disse un gentil- uomo che avea una bratta e dispiacevole moglie, essendogli dimandato come stava , rispose : Pensalo tu , chè Puriarum maxima juxla me cubai. — E messer Jeronimo Donato, an- dando alle Stazioni di Roma la Quadragesima insieme con molli altri gentiluomini, s’ incontrò in una brigala di belle donne romane, e dicendo uno di quei gentiluomini : Quel calum steìlas, lot habet tua Roma puellas; — subito soggiunse : Pascua quolque hados, tot habet tua Roma cincedos, — mostrando una compagnia di giovani, che dall’ altra banda venivano. Disse ancora messer Marc’ Antonio dalla Torre al vescovo di Padoa di questo modo. Essendo un monasterio di donne in Padoa sotto la cura d’ un religioso estimato 12 134 IL C0RTE6IAN0. molto di bona vita e dotto, intervenne che ’l padre, prati- cando nel monasterio domesticamente, e confessando spesso le madri, cinque d’esse, che altrettante non ve n’ erano, s’ ingravidorono ; e scoperta la cosa, il Padre volse fuggire, e non seppe ; il vescovo lo fece pigliare, ed esso subito con- fessò, per tentazion del diavolo aver ingravidate quelle cin- que monache ; di modo che monsignor il vescovo era deli- beratissimo castigarlo acerbamente. E perchè costui era dotto, avea molti amici, i quali tutti fecer prova d’ajutarlo, e con gli altri ancor andò messer Marc’Antonio al vescovo per impetrargli qualche perdono. Il vescovo per modo alcuno non gli voleva udire; alfine, facendo pur essi ìnstanza, e raccomandando il reo, ed escusandolo per la commodità del loco, per la fragilità umana, e per molte altre cause, disse il vescovo : Io non ne voglio far niente, perchè di questo ho io a render ragione a Dio ; — e replicando essi, disse il ve- scovo: Che responderò io a Dio il di del giudicio quando mi dirà : Hedde ralionem villicalionis luce? — rispose allor su- bito mcs.ser Marc’ Antonio: Monsignor mio, quello che dice lo Evangelio : Domine, quinque talenta Iradiditti mihi; ecce alia quinque superlucralus $um. — Allora il vescovo non si potè tenere di ridere, e mitigò assai l’ira sua e la pena pre- parala al malfattore. LXll. È medesimamente bello interpretare i nomi e fìn- ger qualche cosa , perchè colui di chi si parla si chiami cosi, ovvero perchè una qualche cosa si faccia; come pochi * di sono domandando il Proto da Luca, il qual, come sapete, è molto piacevole, il vescovato di Caglio, il papa gli rispose: Non sai tu che Caglio in lingua spagnola vuol dire laccio? e tu sei un cianciatore ; però non si converria ad un vescovo non poter mai nominare il suo titolo senza dir bugia ; or ca- glia adunque. — Quivi diede il Proto una risposta, la quale, ancor che non fosse di questa sorte, non fu però men bella della proposta ; ché avendo replicato la domanda sua più volle, e vedendo che non giovava, in ultimo disse : Padre Santo, se la Santità Vostra mi dà questo vescovato, non sarà senza sua ntilità, perch’ io le la.sciarò dui otllcii. — E che of- fici! hai tu da lasciare? — disse il papa. Rispose il Proto : lo Digitized by ■ jli LIBRO SECONDO. 155 lasciarò l’ officio grande, e quello della Madonna. — Allora non potè il papa, ancor che fosse severissimo, tenersi di ri- dere. Un altro ancor a Padoa disse, che Calfurnio si doman- dava cosi, perchè solea scaldare i forni. £ domandando io un giorno a Fedra, perchè era, che facendo la Chiesa il vener santo orazioni non solamenla per i Cristiani, ma ancor per i Pagani e per i Giudei, non si facea menzione dei Cardinali, come dei Vescovi e d’ altri Prelati, risposemi, che i Cardi- nali s’intendevano in quella orazione che dice: Oremus prò hosreliàs el scùmalieis. E ’l conte Ludovico nostro disse, che io riprendeva una signora che usava un certo liscio che molto lucea, perchè in quel volto, quando era acconcio, cosi vedeva me stesso come nello specchio ; e però, per esser brutto, non avrei voluto vedermi. Di questo modo fu quello di messcr Ca- millo Palleotto a messer Antonio Porcaro, il qual parlando d’un suo compagno, che confessandosi diceva al sacerdote che digiunava volentieri, ed andava alle messe ed agli officii divini, e facea tutti i beni del mondo, disse : Costai in loco d’ accusarsi si lauda ; — a cui rispose messer Camillo : Anzi si confessa di queste cose, perchè pensa che il farle sia gran peccato. — Non vi ricorda, come ben disse l’ altro giorno il signor Prefetto? quando Giovantomaso Galeotto si maravi- gliava d’ un che domandava ducento ducali d’ un cavallo ; perchè dicendo Giovantomaso che non valeva un quattrino, e che, tra gli altri difetti, fuggiva dall’ arme tanto, che non era possibile farglielo accostare, disse il signor Prefetto (vo- lendo riprender colui di viltà) : Se ’l cavallo ha questa parte di fuggir dall’ arme, maravegliomi che egli non ne domandi mille ducali. — > LXlll. Dicesi ancora qualche volta una parola medesi- ma, ma ad altro fin di quello che s’ usa. Come essendo il si- gnor Duca per passar un fiume rapidissimo, e dicendo ad un trombetta : Passa; — il trombetta si voltò con la berretta in mano, e con alto di reverenza disse : Passi la Signoria Vo- stra. — È ancor piacevol maniera di molleggiare, quando l’uomo par che pigli le parole e non la sentenza di colui che ragiona; come quest’ anno un Tedesco a Roma, incontrando osa sera il nostro messer Filippo Beroaldo, del qual era dl- Digilized by Googk* IL CORTEGIANO. 136 .cepole, disse: Domine magisler, Deus del vobis bonumsero; i ’l Beroaldo sobilo rispose ; Tibi malum cito. — Essendo an- ;or a tavola col Gran Capitano Diego de Chignones, disse un litro Spagnolo, che pur vi mangiava, per domandar da bere : Vino ;-rispose Diego, T no io conocisles,-poT mordere co- lui d’ esser marrano. Disser ancor messer Jacomo Sadoleto al Beroaldo, che affermava voler in ogni modo andare a Bolo- sna: Che causa v’induce cosi adesso lasciar Roma, doveson tanti piaceri, per andar a Bologna, che tutta è involta nei travagli? - Rispose il Beroaldo: Per tre conti m’è forza andar a Bologna, - e già aveva alzati tre dita della man si- nistra per assignar tre cause dell’ andata sua ; quando mes- ser Jacomo subito interruppe, e disse : Questi tre conti che vi fanno andare a Bologna sono, l’ uno il conte Ludovico da san Bonifacio , l’ altro il conte Ercole Rangone, il terzo il conte de’ Popoli. — Ognun allora rise, perchè questi tre conti eran stati discepoli del Beroaldo, e bei giovani, e studiavano in Bologna. Di questa sorte di motti adunque assai si ride, perchè portan seco risposte contrarie a quello che l’ uomo aspetta d’ udire , e naturalmente dilettaci in tai cose il nostro errore medesimo ; dal quale quando ci troviamo ingannati di quello che aspettiamo, ridemo. LXIV. Ma i modi del parlare e le Bgure che hanno gra- zia, i ragionamenti gravi e severi, quasi sempre ancor stanno ben nelle facezie e giochi. Vedete che le parole contraposte danno ornamento assai, quando una clausola contraria s’ op- pone all’altra. 11 medesimo modo spesso è facetissimo. Come un Genoese, il quale era molto prodigo nello spendere, es- sendo ripreso da un usurario avarissimo che gli disse : E quando cessarai tu mai di gittar via le lue facoltà? — Allor, rispose, che tu di rubar quelle d’ altri. — E perchè, come già avemo detto, dai lochi donde si cavano facezie che mordano, dai medesimi spesso si possono cavar delti gravi che laudi- no, per r uno e l’ altro effetto è mollo grazioso e gentil mo- do quando l’ uomo consente o conferma quello che dice co- lui che parla, ma lo interpreta altramente di quello che esso intende. Come a questi giorni, dicendo un prete di villa la messa ai suoi popolani, dopo l’aver publicalo le feste di quella Digitized Google LIBRO SECONDO. 137 settimana, cominciò in nome del popolo la confession gene- rale; e dicendo: Io ho peccalo in mal fare, in mal dire, in mal pensare, — e quel che seguila, facendo menzion di tulli i peccati mortali ; un compare, e molto domestico del prete, per burlarlo disse ai circostanti: Sialo testimonii tutti di quello che per sua bocca confessa aver fallo, perch’ io in- tendo notificarlo al vescovo. — Questo medesimo modo usò Sallaza dalla Pedrada per onorar una signora, con la quale parlando, poi che l’ebbe laudala, oltre le virtuose condizioni, ancor di bellezza, ed essa rispostogli che non meritava tal laudo, per esser già vecchia, le disse : Signora, quello che di vecchio avete, non è altro che lo assomigliarvi agli angeli, che furono le prime e più antiche creature che mai for- masse Dio. — LXV. Molto servono ancor cosi i detti giocosi per pun- gere, come i detti gravi per laudar, le metafore bene accom- modate, e massimamente se son risposte, e se colui che ri- sponde persiste nella medesima metafora detta dall’ altro. E di questo modo fu risposto a messer Palla de’ Strozzi, il quale essendo forauscito di Fiorenza , e mandandovi un suo per al- tri negozi!, gli disse, quasi minacciando: Dirai da mia parte a Cosimo de’ Medici, che la gallina cova. — Il messo fece l’ambasciata impostagli; e Cosimo, senza pensarvi, subito gli rispose : E tu da mia parte dirai a messer Palla, che le gal- line mal possono covar fuor del nido. — Con una metafora laudò ancor messer Camillo Porcaro gentilmente il signor Marc’ Antonio Colonna; il quale avendo inteso, che messer Camillo in una sua orazione aveva celebrato alcuni signori italiani famosi nell’arme, e, tra gli altri, d’esso aveva fatto onoratissima menzione, dopo l’averlo ringrazialo, gli disse: Voi, messer Camillo, avete fallo degli amici vostri, quello che de’ suoi denari talor fanno alcuni mercatanti, li quali quando si ritrovano aver qualche ducato falso, per spazzarlo pongon quel solo tra molti buoni, ed in tal modo lo spende- rlo; cosi voi per onorarmi, bench’io poco vaglia, m’avete posto in compagnia di cosi virtuosi ed eccellenti signori, ch’io col merito loro forsi passerò per buono. — Rispose al- lor messer Camillo : Quelli che falsìfican li ducati sogliono 12 * Digiti' ed by 138 IL CORTEGIANO. cosi ben dorargli, che all’ occhio pajon mollo più belli che i buoni ; però se cosi si trovassero alchimisti d’ uomini, come sì trovano de’ ducati, ragion sarebbe sospettar che voi foste falso, essendo, come sete, di molto più bello e lucido metallo, che alcun degli altri. — Eccovi che questo loco è communc all’ una e l’ altra sorte di motti; e cosi sono moli’ altri, dei quali si potrebbon dar infiniti esempi!, o massimamente in delti gravi ; come quello che disse il Gran Capitano, il quale, essendosi posto a tavola, ed essendo giù occupali tutti i lo- chi, vide che in piedi erano restati dui gentiluomini ilaliaoi, i quali avean servilo nella guerra molto bene ; e subito esso medesimo si levò, e fece levar tutti gli altri e far loco a que’ doi, e disse : Lasciate sentare a mangiar questi signori, che se essi non fossero stati, noi altri non aremmo ora che man- giare. — Disse ancor a Diego Garzia, che lo confortava a le- varsi d’ un loco pericoloso, dove batteva l’artiglìaria : Dapoi che Dio non ha messo paura nell’animo vostro, non la vo- gliate voi metter nel mio. — £ ’l re Luigi, che oggi è re di Francia, essendogli, poco dapoi che fu crealo re, detto che allor era il tempo di castigar i suoi nemici, che lo aveano tanto offeso mentre era duca d’Orliens, rispose, che non toc- cava al re di Francia vendicar l’ingiurie fatte al duca d’Orliens. LWI. Si morde ancora spesso facetamente con una certa gravità senza indur riso; come disse Gein Ottomani, fratello del Gran Turco, essendo prigione in Roma, che 'I giostrare, come noi usiamo in Italia, gli parca troppo per scherzare, e poco per far da dovere. E disse, essendogli re- ferito quanto il re Ferendo minore fosse agile e disposto della persona nel correre, saltare, volteggiare e lai cose ; che nel suo paese i schiavi facevano questi esercìzii, ma i signori im- paravano da fanciulli la liberalità, e di questa si laudavano. Quasi ancora di tal maniera, ma un poco più ridicolo, fu quello che disse l’ arcivescovo di Fiorenza al cardinale Ales- sandrino: che gli uomini non hanno altro che la roba, il corpo e l’anima; la roba è ior posta in travaglio dai juriscon- sulU, il corpo dai medici, e l’anima dai teologi. — Rispose allor il Magnifico Juliano: A questo giunger si potrebbe quello che diceva Nicotetto, cioè che di raro si trova mai ju- LIBRO SECONDO. 139 rìsconsoUo che litighi, nè medico che pigli medicina, nè teo- logo che sia buon cristiano. — LXVII. Rise messer Bernardo, poi soggiunse: Di questi sono inhniti esempii, delti da gran signori ed nomini gravis- simi. Ma ridesi ancora spesso delle comparazioni, come scrisse il nostro Pistoja a Serafino : Rimanda il valigion che l’ assi- miglia; — chè, se ben vi ricordate. Serafino s’ assimigliava molto ad una valigia. Sono ancora alcuni che si dilettano di comparar uomini e donne a cavalli, a cani, ad uccelli, e spesso a casse, a scanni, a carri, a candelieri; il che lalor I ha grazia, talor è freddissimo. Però in questo bisogna consi- { derare il loco, il tempo, le persone, e l’ altre cose che già tante volle avemo detto. — Allor il signor Gaspar Pallavi- GINO, Piacevole comparazione, disse, fu quella che fece il si- gnor Giovanni Gonzaga nostro, di Alessandro Magno al si- gnor Alessandro suo figliolo. — Io non lo so, — rispose mes- ser Bernardo. Disse il signor Gasparo: Giocava il signor Gio- vanni a tre dadi, e, come è sua usanza, aveva perduto molti ducati, e tottavia perdea; ed il ngaor Alessandro suo figliolo, il quale, ancor che sia fancinOo, non gioca men volentieri che ’l padre, stava con molta attenzione mirandolo, e parea tutto tristo. 11 conte di Pianella, che con molti altri gentiluo- mini era presente, disse: Eccovi, signore, che ’l signor Ales- sandro sta mal contento della vostra perdita, e si strugge aspettando pur che vinciate, per aver qualche cosa di vinta ; però cavatelo di questa angonia, e prima che perdiate il re- sto, donategli almen un ducato, acciò che esso ancor possa andare a giocare co’ suoi compagni. — Disse allor il signor Giovanni: Voi v’ingannate, perchè Alessandro non pensa a cosi piccol cosa ; ma, come si scrive che Alessandro Magno, mentre che era fanciullo, intendendo che Filippo suo padre; avea vinto una gran battaglia ed acquistato un certo regno, cominciò a piangere,, ed essendogli domandato perchè pian- geva, rispose, perchè dubitava che suo padre vincerebbe tanto paese, che non lasciarebbe che vincere a lui : cosi ora Alessandro mio figliolo si duole e sta per pianger vedendo ch’io suo padre perdo, perchè dubita eh’ io perda tanto, che non lasci che perder a lui.— Digitized by Google nicsst;! liisn.^Auuu. - — -...-oo-— — -— sia impio ; chè la cosa passa poi al voler esser arguto nel biastcmare, e studiare di trovar in ciò nuovi modi : onde di quello che 1’ uomo mcrila non solamente biasimo ma grave castigo, par che ne cerchi gloria ; il che è cosa abominevole: e però questi tali, che voglion mostrar di esser faceti con poca reverenza di Dio, meritano esser cacciati dal consorzio d’ogni gentiluomo. Nè meno quelli che son osceni e sporchi nel parlare, c che in presenza di donne non hanno rispetto alcuno, e pare che non piglino altro piacer che di farle aros- sire di vergogna, e sopra di questo vanno cercando motti ed arguzie. Come quest’ anno in Ferrara ad un convito in pre- senza di molte gentildonne ritrovandosi un Fiorentino ed un Sanese, ì quali per lo più, come sapete, sono nemici ; disso il Sanese per mordere il Fiorentino: Noi abbiam maritalo Siena allo imperatore, ed avemoglidato Fiorenza indola; — e questo disse, perchè di que’ di s’ era ragionalo che Sanesi avean dato una certa quantità di danari allo imperatore, cil ' esso aveva tolto la lor protezione. Rispose subito il Fiorenti- .. no : Siena sarà la prima cavalcata (alla franzese, ma disse il vocabolo italiano); poi la dote si litigherà a bell’ agio. — Ve- dete che il motto fu ingenioso, ma, per esser in presenza di „ donne, diventò osceno e non conveniente. — L\1X. Allora il signor Gaspah Paliavicino, Le donne, disse, non hanno piacere di sentir ragionar d altro; e voi volete levargliele. Ed io per me sonomi trovato ad arossirmi di vergogna per parole detterai da donne, mollo più spesso che da nomini. — Di queste tai donne non parlo io, dissa messerBERHARDo; ma di quelle virtuose, che meritano reve- renza ed onore da ogni gentiluomo. — Disse il signor Gaspa- ro : Bisogneria ritrovare una sottil regola per conoscerle, perchè il più delle volle quelle che sono in apparenza le mi- gliori, in effetto sono il contrario. — Allor messcr Bernardo ridendo disse : Se qui presente non fosse il signor Magnifico nostro, il quale in ogni loco è allegato per protetlor delle don- ne, io pigliare! l’ impresa di rispondervi ; ma non voglio far ingiuria a lui. — Quivi la signora Emilia, pur ridendo, disr Digitized by Google ge : L.e don accusatore Gasparo in suo Tvou av che da matT (5 ttBRO SECONDO. ... ragionamene dell, donne, o seguicaie LXX. M. MOf'^ disse, onaai r»Sroii avp?!I signor» possono motCm arguti • ^ molti lochi onde cavar * quanto sono hanno tanto più grazi»‘ cor mou- allr. _ M «na teUa narrazione. P^_ socre o per n» itinirg ' quando, o per accreT mente la '''®^’®'niilituj* *^he eccedono incredibii disse Mario da me; e di questa sorte fu quclJa ~ aranti’ ao/na, che prelato, che si tenea fani** hasaava per non , egli entrava in San Pietro s' Disse ancora il V t*e della lesta nell’ architravo della porf /ore era tanto nagnifìco nostro qui, che Golpino suo sery^ soU'tI foco per magro e secco, che una mattina, so/Ba»,j*' lo camino insin^..^®*^®®aderIo, era stato portato dal fumo su . . . . 'd pe,. ad una di quel ®'“a; ed essendosi per sorte traversato"^ che non era voì^ ^•nestrcne, aveva avuto tanto di ventura A A» n VIA in.SiPmo TVIgcì» n /«/««» »_ ’ Augastino Beva;^ '“«'eme con esso. Disse ancor mess, luto vendere il avaro, il qual non aveva vo fera molto avvi/^"° mentre che era caro, vedendo che pò/ cr‘ della sua camer^ '^ìlo, per disperazione s’ impiccò ad un trav^ pilo, corse, e vi(% ’ "" sentito n ^ . il patron impiccato, e prestamente tagliò a fune, e cosi dalla morte ; dapoi l’avaro, tornato va Oat ^^nel servitor gli pagasse la sua fané che ta- gliala gli aNta.\li questa sorte pare ancor che sia quello che disse Lorenzo de’ JVfcdici ad un butTon freddo : Non mi fare- ste ridere se mi so(jg(i(.ngti, — E medesimamente rispose ad MTV a\V.TO scÀocto, \\ quale una mattina l’avea trovato in ietto mollo lardi, e ^\\ rimproverava il dormir tanto, dicendo- gli*. lo a quest’ ora sono stato in Mercato Nuovo e Vec- chio, poi fuor della Porta a San Gallo, intorno alle mura a far esercizio, ed ho fallo miU’alIre co.se; e voi ancor dormi- " 'e? — Disse allora H-orenzo: Più vale quello che ho sognato D i g i ltfoO by Google IL CORTEGIANO. che avele fallo in quattro voi. ^ ”"LXXl'Va»crb««o, -l»»»-!» '=»» ""•«•isposla l „o«. LXxl. riprendere non voglia. Come il “os?ra essendo a tavola con molli genl.luom.ni un d’essi, dapoi che ebbe mangialo tulio un minestro, disse: Signor Marchese, perdonatemi e cosi dello, cominciò a sorbire uuel brodo che gli era avanialo. Allora il Marchese subilo disse : Domanda i>ur perdono ai porci, chè a me non fai lu ingiuria alcuna. — Disse ancora messer Nicolò Leoiiico, per tassar un tiranno eh’ avea falsamente fama di liberale: Pensale quanta liberalità regna in costui, che non solameule dona la roba sua, ma ancor 1’ alimi. — LXXll. Assai genlil modo di facezie è ancor quello che consiste in una certa dissimulazione, quando si dice una co- ga, e tacitamente se ne intende un’altra; non dico già di quella maniera totalmente contraria, come so ad un nano si dicesse gigante, e ad un negro bianco, ovvero ad un brut- tissimo bellissimo, perchè son troppo manifeste contrarietà, benché queste ancor'alcuna volta fanno ridere ; ma quando con un parlar severo e grave giocando si dice piacevolmente quello che non s’ha in animo. Come dicendo un geuliltiomo una espressa bugia a messer Auguslin Foglielta, ed aOérman- dola con eOìcacia, perché gli parca pur che esso assai dilQ- cilmeute la credesse, disse in ultimo messer Auguslino: Gen- tiluomo, se mai spero aver piacer da voi, fatemi tanta grazia che siale conlenlo, eh’ io non creda cosa che voi diciate. Keplicando pur costui, e con sacramento, esser la verità, in fine disse: Poiché voi pur cosi volete, io lo crederò jier amor vostro, perché in vero io farei ancor maggior cosa jier voi. Quasi di questa sorte disse don Joaiini di tardona d’uno che gl voleva partir di Roma: Al |>aror mio, costui pensa male; perchè ó tanto sccleralo, che stando in Roma ancor col tempo potria esser cardinale. - Di questa sorte è ancor queUo che disse Alfonso Santacroce; il qual avendo avuto poco pri- ma alcuni oltraggi dal Cardinale di Pavia, e passeggiando fuori di Rologna con alcuni gentiluomini presso al loco dove gl fa la giustizia, e vedendovi un uomo poco prima impic- Di ' Google calo, se gli tanto forte c=^ fare col Care; V seco.vdo. rse'nn? '"’ co pare tnoU ^ ^«"VenientTaVl™^®^'® <»el|* ironì> e salsa, e puc»s«, »« «om.n, grandi, perchè è erave vere. Però n» «=» Ili cose giocose ed ancor nelle se_ come Catone, ®®*pione Àr • P'’\^^iioaati, 1’ hanno usata questa dicesi e «ser o.-, . dicano minore ; ma sopra luUi jJ stri tempi il re» Alfonso Socrate fìlosofo, ed a* no- nna mattina p«^ *" hiangia ' Aragona ; il quale essendo ne\\\ ò\V\ evea.^ per j/ molle preziose anella eh© cosi le diede a quello”? nello lavar delle mani, ^ rar chi fosse. Quei ^ ;® Peima gli occorse, quasi senza tnì- sto cura a cui date pg *^''*^®ce pensò che ’l re non avesse po.. importanza, facit esse, e che, per i pensieri di niaggioj. in questo p/à si ^ fosse che in ludo se Io scordasse: e<j domandava ; e ^ onfermó, vedendo che *1 re più non le Urne mai parola^ -landò giorni e settimane o mesi senza seq vicino all’ anno pensò di certo esser .sicuro. E cosi essendo pur quando il res^ « questo gli era occorso, un* altra mattina mano per pigliti^ mangiare, si ra presentò, e porse r orecchio, gli cìg ; allora il re, accoslatosegli buone per un aìt^ Baslinti le prime, chè queste saran gnosoegrave, e ^ -Vedete come il mollo è salso, Alessandro. ^egno veramente della magnanimità LXXIV. Siir^ ^ ■^.ile a questa maniera che tende all ironie© è ancora un altro modo, quando con oneste parole si nomina tQ'ìa. Come disse il Gran Capitano ad un sao genVòuwcMi, 'A Q^ale dopo la giornata della Cirignoia, e quando le cose già ^rano in securo, gli venne incontro ar- mato riccamente qvtgnlo dir si possa, come apparecchialo di tOTCvbaUetft •, ed aWr^r il Gran Capitano, rivolto a don Ugo di Cardoua, disse*.* "Kon abbiate ormai più paura di tormento di mare, cbè Santo Ermo è comparito ; — e con quella one- sta parolaio punse, perchè sapete che Santo Ermo sempre ai marinari appar dopo la tempesta, e dà segno di tranquil- lità ; e cosi volse dire il Gran Capitano, che essendo compa- IL COBTEGIANO. ' .-..«ma era segno Che » pericolo già era in luUo passalo, ^ssen ciUadim di molla aulorilà, Fi.«n..,nco«^ gU .aima„d6 sa...: 0:“*,;,, « ,»»> »«»' - «a, di Fiorenza. Rispose il signor OUaviano . non lo conosco .nllrimcnli, ma sempre l’ho sentilo ricordare per un sollecito soldato ; - disse allor un altro Fiorentino : edete come egli è sollecito, che si parte prima che domandi licenza LXXV. Arguti molli son ancor quelli, quando del par- lar proprio del compagno 1’ uomo cava quello che esso non vorria; e di lai modo intendo che rispose il signor duca no- stro a quel castellano che perdè San Leo, quando questo stalo fu tolto da papa Alessandro e dato al duca Valentino; c fu, che essendo il signor duca in Venezia in quel tempo ch’io ho dello, venivano di continuo molti de’ suoi sudditi a dargli secrelamente notizia come passavan le cose del sialo, e fra gli altri vennevi ancor questo castellano ; il quale dopo Faversi escusato il meglio che seppe, dando la colpa alla sua disgrazia, disse : Signor, non dubitale, ché ancor mi basta l’animo di far di modo, che si potrà recuperar San Leo. — Allor rispose il signor Duca : Non ti aflaticar più in questo ; che già il perderlo è sialo un far di modo, che ’I si possa recuperare. — Son alcun’ altri delti, quando un uomo, cono- sciuto per ingenioso, dice una cosa che par che proceda da sciocchezza. Come l’altro giorno disse messer Camillo Pal- Icotto d’uno: Questo pazzo, subito che ha comincialo ad ar- ricchire, si è morto. — È simile a questo modo una certa dissimulazion salsa ed acuta, quando un uomo, come ho detto, prudente, mostra non intender quello che intende. Come disse il marchese Federico di Mantua, il quale, es- sendo stimolalo da un fastidioso, che si lamentava che al- cuni suoi vicini con lacci gli pigliavano i colombi della sua colorahara, e tuttavia in mano ne lenea uno impiccalo per un piè insieme col laccio, che cosi morto trovalo l’aveva, gl. rispose che si provederia. Il fastidioso non solamente una volta ma molle replicando questo suo danno, col mostrar sempre il colombo cosi impiccato, dicea pur : E che vi par • Digitized by Google f LIBRQ SECONDO. . cosa? - Il marchese ia ,j, P®*" n*en*e quel colombo non *fe^da cTe«^=^ **e ch?’f essendosi impiccalo da sè sles- ’ A disperalo. - Quasi di lai modo fu *^”®' ^ rasa. «3’p Ennio; che essendo andato Sci- pione a ^ per parlargli, e chiamandol giù dalla anie gli rispose che egli non era in casa; e Scipione nd\»3Cianifeg(3jjjgjjjg^ che Ennio proprio avea delio alla fan ® ® ®**’egli non era in casa: cosi si partì T^on mollo ap^JR-esso venne Ennio a casa di Scipione, e pup medesimameim lo chiamava stando da basso; a cui Scipione 5^Va. NOc» e esimo rispose, che non era in casa. Allora Ennio, ome non conosco io, rispose, la voce Ina? — Disse ;;%‘"fante tua discorlese; l’ altro giorno io credetti Jere a me stesso^ ^ ”®" ^"ss* casa, e ora tu noi vuoi cre- I.JCXVI. medesima cosa ^«Cor belìo, quando uno vien morso in qaeijg j Ajonso esso prima ha morso il compagno; come esscn gp Carino alla corte di Spagna, ed avendo com- ®®®*® . ^"ori giovenili e non di molta importanza, p^j, comandamenio ^ prigione, e quivi lasciato una nolle. 11^ ^^gnente ne fu trailo, o cosi venendo a pg, lazzo la mallina y giunse nella sala dove eran molti cavalieri e dame; e rii prigionia, disse la signora BoadiUa: Signor a me mollo pesava di questa vostra disavventura, miti quelli che vi conoscono pensava- no che '1 re dove^ impiccare. — Allora Alonso subito. Signora, disse, io ancor ebbi gran paura di questo; par aveva mi dimandaste per manto. — Vedete come aucslo ^ aiCXsNo ingenioso; perchè in Spagna, come ancor rmoHÌ al.ri lochi, usanza 6 che quando a. mena ano alle forche, se una me»-elrice publica l’addimanda P doAvascalUa nàU. r^i questo modo rispose ancor Rafaello p.t- uo\\Aì.v,o“ i aua i, per farlo dire, lore a to\ cattoal. aooi f he egli ave. tm., Vatsavano >n an Paolo, dicendo che quelle <lne ' dove erano aan Pie Allora Rafaello subilo disse; Xrrirho" Tn.aq.vìg.lalei ;hé lo quesH ho fallo a soai- Digitized by Googl IL VA i aa credere che san Pielro e àan Paolo uo studio, perchè ««cor in cielo cosi rossi , per ver- rixVll Sono ancor arguti quei molti che hanno in sé ^ ri» nascosta sospixion di ridere; come lamentandosi un raVlo motto, e piangendo sua mogUe, che da ^ sles^ s'era un fico impiccala, un altro se gli accostò, e, tiratolo per ,a veste, disse; Fratello, potrei io per grazia grandissima aver un rametto di quel fico, per inserire in qualche albero del- 1’ orto mio? — Son alcuni altri motti pazienti, e detti lenta- mente con una certa gravità; come, portando un contadino una cassa in spalla, urlò Catone con essa, poi disse: Guar- jji ^ Rispose Catone; Hai tu altro in spalla che quella cas- Ridesi ancor quando un uomo, avendo fallo un erro- re per rimediarlo dice una cosa a sommo studio, che par sciocca, e pur tende a quel fine che esso disegna, e con quella s’ajnla per non restar impedito. Come a questi di, in consi- ,t\ìo di Fiorenza ritrovandosi doi nemici, come spesso inter- viene in queste republiche, l’ uno d’essi, il quale era di casa Altoviti, dormiva; e quello che gli sedeva vicino,, per ride- re, benché ’l suo avversario, che era di casa Alamanni, non parlasse né avesse parlalo, toccandolo col cubilo lo risvegliò, c disse; Non odi tu ciò che U tal dice? rispondi, chè i Signori domandan del parer tuo. — Allor l’Alloviti, tutto sonnacchio- so e senza pensar altro, si levò in piedi e disse; Signori, io dico tulio i* contrario di quello che ha detto TAIamanni. — IVbpose l’ Alamanni: Oh, io non ho dello nulla. — Subito disse l'AUoviti; Di quello che tu dirai. — Disse ancor di questo modo maestro Serafino, medico vostro urbinate, ad un con- tadino, il qual, avendo avuta una gran percossa in un occhio di sorte che in vero glielo avea cavato, deliberò pur d’aul dar per rimedio a maestro Serafino; ed esso vedendolo, ben- ché conoscesse esser impossibile il guarirlo, per cavargli de- nari delle mani, come quella percossa gU avea cavato l’occhio della lesta, gli promise largamente di guarirlo; e cosi ogni di gli addimandava denari, aflermando che fra cinque o Li dì comincmria a riaverla vista. U poyer contadiuo ^ dava quel I Digitized by Google LIBRO SECONDO. 147 poco che «''®; pur, vedendo che la cosa andava in lungo, comi»®** medico, e dir che non sentiva miglio- ramene® ^ discernea con quell’ occhio più che se tvoTv V *Vulo in capo. In ultimo, vedendo maestro Se- iiiscciuea con qaeii occnio più che se „„„ - - — ' ••* capo. In ultimo, vedendo maestro Se- rafme cYvc pi,j potea trargli di mano, disse: Fratello mio, bisogna av^ *” Pazienza: tu hai perduto 1’ occhio, nè più v’aè rimedio alc*^ ® voglia che lo non perdi anco queir ni- tro. — Ude*:» ® questo il contadino, si mise a piangere e do- lersi fotte, disse: Maestro, voi m’avete assassinato e ru- balo i mio' ci ^oari: io mi lamenterò al signor Duca; — e facea i maggiori s®'*'|di del mondo. Allora maestro SeraQno in col- \e,va., «-"y ‘Popparsi, Ah villan traditor, disse, dunque tu ancor vorresti aver dui occhi, come hanno i cittadini e gj, uomini da bene? vattene in malora: — e queste parole ac- coatpagn^ con tanta furia, che quel povero contadino spa. ventato si ^ ^ andò con Dio, credei,- <•»« f 'Xyl t torto. LXXyi^€ È anco bello quando si dech.ara una cosa, « si iaierpreta ^.orte di bpagna com- parendo nna Q^aiiina a pahwzo un cavaliero, il *1“®’®®;» brut- tissimo» ® i* *^Oglie, che era bellissima, n aliti di damasco bianco, disse la Reina ad Che vi par, di questi dui? — Signora, rispose Alon- so, parrai che q ^ damo e questo Io jirichiro. aooor Rafael do-Paza. Prior di ch’egli scriveva ad una sna signora, ,i ^‘Ipiaacrinodell causa mtpeMr, barrai, diss^ c _ ^ perché ognun,, ®®“® nrpslalo al Prior diece mila aapea Toloaa aveva „„„ ,„,ava a.„d„ ducati; ed esso, esser 8*'®“ ^„uando si dà una ammoni- di rendergli- A questo *' jjo pur dissimulalamenle. ;U vzx t»™» aolioo. il ,..l ara Come à\ss« „oUo sapere,® per mezzo pur di Co- assav ricco, ma di non m ^ dimandando gimo aveva cosimo , che modo gli parca che egli costui nel governarsi bene in questo suo odicio, avesse a tenere p Digiti^“J by Gòogle It CORTEO! ANO. . 4o • 1 - • vpsli di rosato, e parla poco. — Di qae- riTrrlc fJ’qucUo che disse il conte Ludovico ad uno che volea passar incognito per un certo loco pericoloso , e non sapea come travestirsi; ed essendone rispose- Vestili da dottore, o di qualche altro abito da savio — Disse ancor Giannotto de’ Pazzi ad un che volea far un sajo d’arme dei più diversi colori che sapesse trovare: Piglia pa- role ed opre del Cardinale di Pavia. — LXXIX. Ridesi ancor d’ alcune cose discrepanti; come disse uno l’ altro giorno a messer Antonio Rizzo d’ un certo Forlivese; Pensale s’ è pazzo, che ha nome Bartolomnico I?d un altro; Tu cerchi un'maeslro Stalla, e non hai caval- li: ed, A costui non manca però altro che la roba e ’l cer- vello. — E d’ alcun’ altre che pajon consentanee; come, a questi di, essendo stalo suspicione che uno amico nostro avesse fatto fare una rcnunzia falsa d’ un benefìcio, essendo poi malato un altro prole, disse Antonio Torello a quel (ale: Che slai tua far, che non mandi per quel tuo nolaro, e vedi di carpir quest’ altro beneficio? — Medesimamente d’ alcune che non sono consentanee; come l’ altro giorno avendo il papa mandalo per messer Jean Luca da Ponlreraolo e per messer Domenico dalla Porla, i quali, come sapete, son tutti dui gobbi, e fattogli Auditori, dicendo voler indrizzarc la Rota, disse messer Latin Juvenale: Nostro Signore s’ingan- na, volendo con dui torti indrizznr la Rota. LXXX. Ridesi ancor spesso quandol’uomoconcede quel/o che se gli dice, ed ancor più, ma mostra intenderlo allramen (c. Come, essendo il capitan Peralla già condotto in campo por combattere con Aldana, e domandando il capitan Mohrr rb^ era palnno d’ Aldana a Peralla il sacramento, previ 0 meant, che lo guardassero da esser ferito; iS -? nl“™cvolio^e^^tcuL'?nThe"aVéI^^^ pungerlo che fosse marrano, disse; Non sto, che senza giurare credo che non abbiale VlT a in Cristo. _É ancor bello usar le riaforc ! T proposili; conio il noslro maeslro Marc’ Am . Bollon da Cesena, che Io slimolava con parotcT|{;tlon''Bolt » t ( I I Digitized by Google Ione, lu sai libro secondo. ancor inals/rn®^ «ar ^*«ed,a e di varii alT «««Posto «n»-, :«;» «.-• A„ir ’ aT,!' “xr ° *«- i49 “■■*'• fe»«.ret- i^er oomedia la. — Ed av- moUo \oT\ ptir a T''^^ bisognerannc» nia; ^ — risposa tua tragedia ■ spesso «■ H' "' una nascosta »«&ni6ca,LJ‘’t parola, nella quale i sì yogli.. Co«»« a quello cha par™"!* A’nxv cap\lan» ■» i] «oalo '"ofelto qui, sentendo rag/onar«v PCtAuVo, eA a.11or pjjj. s’saoi di il più delle volte h colui che ragionava*^ P®** avventura avea vinto; e diceod* quella terra s’ era vés/-,^ entrata che egli avea fatta i ** mogi, yf^ualport^y '‘o nn bellissimo sajo di velluto che ** Pretèf/o.* X>ee e«sk ®empre dopo le vittorie; disse il sigfjS' talor si rispont/ì^ Ouoyo. — JVon meno induce il riso, qaaad *” /«irte, orrer si a quello che non ha detto colui con cui „? non ha /atto, 0 mostra creder che abbia fat-to quello dato a visitare ^ — ^ si «.'■wucia qUeJIO c |. ®vea fare. Come Andrea Coscia, essendo an° e lo Vo pose a sedere. *“anda, per obedire io sederò; — e cosi LXXXU. R f. zia accasa sè qnando I’ uomo con buona g^j,. lasciava stare im w ?* il quale discortesemente**^ Signorìa me lo «“« sedea, disse: Poiché Vost-, fcriavirl»* ^1 a • • a jl . _ ■m si dicendo io al cap^ qualche errore; come V altro giorno, avea nn canelIancO®"®" Monsignor mio P che dicea messa più presto di lui, mi ri- spose; None gjj accostatomisi all’ orecchio, disse \n 'n'^ou dico un terzo delle secrete. — ftag/n Crivello ancor, essendo stato morto un prete a Milano, do- mandò il benefìcio Duca, il qual pure slava in opinion di darlo ad nn altro, -^iagin in ultimo, vedendo che altra ragio- ne non %\\ ve\ea, 1E come? disse; s’io ho fatto amazzar il prete, perchè non mi volete voi dar il beneficio? — Ha gra- zia ancor spesso desiderare quelle cose che non possono es- sere; come r altro giorno un dei nostri, vedendo questi si- gnori che tatù giocatvano d’arme, ed esso slava colcafo sopra un letto, disse: Ob come mi piacerla, che ancor questo fosse 43 ’ Digiti- jd iiy C'nogU _ — ' ju J gTU .., esercizio da valenle uomo e buon soldalol — È ancor bel modo e salso di parlare, e massiniameule in persone gravi e d’ aulorilà, rispondere al contrario di quello che vorria colui con chi si parla, ma lentamente, e quasi con una certa con- siderazione dubiosa e sospesa. Come già il re Alfonso pruno tl’ Araaona, avendo donalo ad un suo servitore arme, cavalli c veslimenli, perchè gli avea detto che la notte avanU s^ enava che Sua Altezza gli dava tutte quelle cose; e non molto ,H,i dicendogli pur il medesimo servitore, che <1!*^ ‘.otte avea sognato che gli dava una buona quantità di Gorin d’oro, gli rispose: Non crediate da mo inanzi ai sogni, chè „oo sono veritevoli.-Di questa sorte rispose ancor d papa al vescovo di Cervia, il qual, per tentar la volontà sua, gli disse: Padre Santo, per tutta «orna e per lo si dice, che Vostra Santità mi fa governatore. - Allor il pa. Lasciategli dire, rispose, che son ribaldi; non dubitate, che non è vero niente.— m^iii LXXXllI. Potrei forse ancor, signori, raccorre naolU altri lochi, donde si cavano motU ridicoli; come le con timidità, con maraviglia, con minaccia, fuor d ord.n , con troppo coUera; oltra di questo, certi casi ^^a tervenuU inducono il riso; lalor la taciturnità, con una wrla maraviglia; talor il medesimo ridere senza proposito, ma a ormai aver detto a bastanza, perchè te facezie che me pare oim drche avemo ragionato. Quelle poi che sono ncll’etret- t avvenga che abbian inOnite parti, pur si riducono a po- chi capi: ma nell’ una e nell’ altra sorte la principal cosa è Io ingannar la opinion, e rispondere altramente che quello che aspetta l’auditore; ed è forza, se la facezia ha d’aver grazia, sia condita di quello inganno, o dissimulare o beffare o riprendere o comparare, o qual altro modo voglia usar l’uomo. E benché le facezie inducano tutte a ridere, fanno però ancor in questo ridere diversi effetti: perchè alcune hanno in sè una certa eleganza e piacevolezza modesta, altre pun- gono talor copertamente, talor publico, altre hanno del lasci- vetto, altre fanno ridere subito che s’ odono, altre quanto (tiù vi si (lensa, altre col riso fanno ancor arrossire, altre indù- cono nn poco disposizion tl spesso i libro secondo. ^ «n/ini «Jan ’■**>« in tutti i modi ^Jegii auditori, perché I s’ha da considera «gii afll fermili, ehe, q a e ,„„„ “ '".lo .T" "■•«'■.’ina, Ia„,„ mcruuisco.— ® atiungue il Corf^n.- p,ù e dir piacevolea= =me ri.pe,,„ J e di non esser,,, ^ «empo, alle persone, al gr? fastidio, tutto il giorno, j‘„ ché in vero •tn star sen» su „ ' »'ag»onamenti , e senza pi !I?,Ìl.Hàndo anco»- di chiamato facei Guardando anuw » w, non esupr », # ^ .acci S latito acerbo e mordace, c] «\ faceva conosci^ ,.,;r ma/irrr. ’ ver con odSo raa»iifes(o. „„5,. !_ ^“"Sendo senza causa, o imprudenza; ovvero Parsone troppo potenti, che ,^Plx> miserò, che è se'eJeraie, che ^ ^''^ ^‘sere, che è crudeltà; ovve dan cfuelli che esso ver dicendo cose che ofTeti « 1 t w^yy%'^TJ€f A. Morris o/TV»n/J#>r'o A ig^noroiizs perchè si irav/irja rorria offendere, che é ignoranz yunser senza r/sp^ Cum che si credon esser obligafi a dir la cosa conte ruolfy ogni volta che possono, vada pur poi punger osa ^ 1? I ■ parola argutan^ ^ ‘ra questi tali son quelli, che perdine •V il ch^^*®> guardan di macular ronord’uua una nobil donna; _ , • IJJC1 castigo, perchè m J. ^ fT, - ^ malissima cosa, e degna di gravissimo . caso le donne sono nel numero dei miseri, e per *a ciò essere mordale , ché non hanno Rvroe ^ *^Jersi. Ma, oltre a questi rispetti, biso, gna che co ut esser piacevole e faceto, sia formato d’ una certa tia ti ‘ ^ sorti di piacevolezze, ed a quelle accomodo . j gf,gn e ’l volto; il quale qoanl’ è più grav'G e severo e saldo, tanto più fa le cose che argute. "V -oi , messer Federico, che pensaste di ri- posarvi sotto questo sfi*gHato albero e nei miei secchi ragio- namenti, credo che nes siate pentito, e vi paja esser entrato *c\V osVetta <i’t "MonVe t\ore : però ben sarà che, a guisa di ^ralico corrten, per fuggir un tristo albergo, vi leviate un .. icmno che 1 ’ ordinario, e seguitiale il canimin poco più per tempo vnelrO — -Anzi, tisi vuoiti- penso di starvi piu che prima non aveva cono io venuto , i - i . Bouu ^ però r/poscrommi pur ancor nn a (an(o die voi ^lehb^aj)^ 7 ragic^uamenio proposto, del quale avete burle; e di ciò non è buono che questa compagnia sia de- fraudata da voi. Ma si come circa le faceiie ci gvete inse- gnato molle beile cose, e fattoci audaci nello usarle, per esem- pio di lami singolari ingegni e grand’ uomini, e principi e re e papi, credo medesimamente che nelle burle ci darete tanto ardimento, che pigliaremo segurlà di metterne in opera qualch’nna ancor centra di voi. — Allora messer Bebnabdo ridendo. Voi non sarete, disse, i primi; ma forse non vi verrà fatto, perchè ornai tante n’ ho ricevute, che mi guar- do da ogni cosa; come i cani, che, scottati dall’ acqua calda, hanno paura della fredda. Por, poiché di questo ancor vo- lete eh’ io dica , penso potermene espedire con poche parole. LXXXV. E parlili che la burla non sia altro, che un inganno amichevole di cose che non offendano, o almen po- co; e si come nelle facezie il dir centra l’aspettazione, cosi nelle burle il far conira l’aspettazione induce riso. E queste tanto più piacciono e sono laudate, quanto piu banno dello ingenioso e modesto; perchè chi vuol burlar senza ri- spetto spesso offende, e poi ne nascono disordini e gravi ini- micizie. Ma i lochi donde cavar si posson le burle son quasi i medesimi delle facezie. Perù, per non replicarli, dico sola- mente, che di due sorti burle si trovano, ciascuna delle quali in più parli poi divider si poria. L’ una è, quando s’ inganna ingeniosamenle con bel modo e piacevolezza chi si sia; l’al- tra quando si tende quasi una reto, e mostra un poco d’esca, talché l’uomo corre ad ingannarsi da sè stesso. 11 primo modo è tale, quale fu la burla che a questi di due gran signore, ch’io non voglio nominare, ebbero per mezzo d’uno Spa- gnuolo chiamato Castiglio. — Allora la signora Duchessa, E perchè, disse, non le volete voi nominare? — Rispose mes- ser Bebnardo: Non vorrei che lo avessero a male. — Replicò la signora Duchessa ridendo: Non si disconvien talor usare lo burle ancor coi gran signori; ed io già ho udito molle es- serne state fatte al Duca Federico, al Re Alfonso d Arago- na, alla Reina donna Isabella di Spagna, ed a molti altri gran principi; ed essi non solamente non lo aver avuto a male, ma aver premialo largamente i burlatori. — Rispose Digitized by Google Né f-JBno secondo. o. — vi pi*ace^'^ quesfa speranza 1© . AUor soggiunse la 1 not iTjesser Beiin.4.i narò io. CWKSS*^- iviivji ^ -“-IO messer s' 5 ?nora j; „o, c\.c TveUa *e e,,i Pochi di , ^oeco Tier se*r— w iz,,, '"'ondo capKù un cor,i ..i:_ gaixii»»'''' 1 — — ui un Boniiiii *^®P**" oonladin b( tanto ben divisa * « Ui cortegiano, i, che, avvenga cimo usalo 50/3^^?** ^“'ialaincni sapesse far altro «estie^o da eh ® ^ guardar buoi, , saria stato «-«uufo ’ ' avesse sentilo rasi se^doTtVa qu^ cavaire^^r" . ' --Uo^e de, f-P'!a‘o u ragi cosi e CaslìsVvo, \n%en\c*sissinj^ ^dmale Borgia, che si chiauiav più accorto coricgia„o ^,1 r danzatore, ballalore, , estremo desiderio di m tutta Spagna , vennero h c dopo Io onorevoli ^iccoer^^'’ ® mandarono per esso; ciarono a parlargli ° ’^iìzc, Io fecero sedere, e comin- d’ ognuno; e poc/n Sbandissimo riguardo in presenza che non sapessero ban di quelli che si trovavano presenti, Però vedendos/ c/r^^ costui era un vaccaro bergamasco. • e\lo c tanto l’ ^ ^“*^**® signore J’inlertenevano con tanto r^*to più che ’l buc:>^*®''®'ano, furono Io risa grandissime; . * .,07 sempre parlava del suo nativo buHa aveano gentiluomini die faceano la bu 1 detto a queste signore, die costui, tra l’ altre ^ /oa^ hurlatore, e parlava eccellentemente (ulte le '”»“^'^.^^^^‘^^/njauienle lombardo contadino: di sorte che sempre e -^o che fingesse; o spesso si voltavano r una con ^^^^rte maraviglie, e diceano: Udito gran coulvafa <^^ucsla lingua! — In sonimti, tanto durò questo ta^v^’a^vcvcxvVo , che ad ognuno dolcano gli fianchi per Io rìsa; e fu forza eVv^i esso medesimo desse tanti conlrase- gni della sua nobililà, che pur in ultimo queste signore, ma con S)b0.n fatica, credettero ch’el fo.sse quello che egli era. D\ questa sorte burle ogni di reggiamo; ma tra V altre quelle son piacevoli, che al principio spaventano, ^ oi riescono in cosa sccura; perchè il medesimo burlato si ^'d di sè stesso, vedendosi aver avuto paura di niente. Co- mc^essendo io una notte alloggiato in Paglia, inlcrvenne che nella medesima oslexm ov’eio io, erano ancor tre altri Digitized by Coogle Bi misero, come spesso si fa, a giocare: cosi non v anuo molto che uno dei dui Pistoiesi, perdendo il resto, resto senza un quattrino, di modo che cominciò a disperarsi, e maleilire e l.iastemare fieramente; e cosi rinegando, se n’andò a dormire. Gli altri dui avendo alquanto giocato, deliberarono fare una burla a questo che era ito al letto. Onde, sentendo che esso già dormiva, spensero lutti i lumi, e velarono i foco; poi si misero a parlar allo, e far i maggiori rumori del mondo, mostrando venire a contenzion del gioco, dicendo uno: Tu hai tolto la carta di sotto; -1’ altro negandolo, con dire : E tu hai invitato sopra flusso; il gioco vadi a monte; e colai cose, con tanto strepilo, che colui che dormiva si ri- svegliò ; e sentendo che costoro giocavano e parlavano cosi come se vedessero le carte, un poco aperse gli occhi, e non vedendo lume alcuno in camera, disse: E che diavol farete voi tutta notte di gridare? - Poi subito si rimise giù, come r*r dormire. I dui compagni non gli diedero altrimenti risposta ma seguitarono l’ordine suo; di modo che svegliato, cominciò a maravigliarsi; e vedendo non era nè foco nè splendor alcuno, e che pur coslor g cavano e contendevano, disse: E come potete voi veder 1 carte senza lume? - Rispose uno delli dnlo la vista insieme con li denari: non vedi tu, se qui ab biam due candele? — Levossi quello che era in letto su le bragia, o quasi adirato, disse: O eh’ io sono ebriaco o cie- Z o yoi dite le bugie. - Li dui levaronsi, ed andarono al letto tentoni, ridendo, e mostrando di credere che colui si facesse beffe di loro; ed esso pur replicava: Io dico che non vi veggo. — In ultimo li dui cominciarono a mostrar di ma- ravigliarsi forte, e l’uno disse all’ altro: Oimè, parmi eh el dica da dovero: dà qua quella candela, e veggiamo se forse gli si fosse intorbidata la vista. — Allor quel meschino tenne per fermo d’ esser diventalo cieco, e piangendo dirottamente disse: O fratelli miei, io son cieco; — e subito cominciò a chiamar la Nostra Donna di Loreto, e pregarla che gli per- donasse le biaslemme e le maledizioni che gli aveva date per aver perduto i denari. 1 dui compagni pur lo conforta- vano, e dicevanc ^ ^ po8«sihii» u egli è una fantas^^^ Che r hai pos a ‘ìnVa“ *'* ■ ..libava 1 ’ altro, fi m capo. — OimA _ ^-'BRO SECONDO. ^ ^ Roti ,. licava i; .uro . qaeaia „„„ é ia"*^'. ~ a Vf^co : “ «vuU oThi Tn ^®egli e diceanol*!^^ ' diss«r„. ..V misericordia a Dio. aUrimenVi cVve se hai pur la vista r altro : Guarda ct> belli I e chi poria c tuttavia piangea pa In ultimo costoro fe. — - uisse^^. a uio. Donna di Loreto de »«lan,e„,^ sca|.T.a ““a'"'® c il miglior rimedio e *ie g; ed ignudo .che questo é der di qualche medico, ^ ^ altre terre vicine, per ve- oossibile. — Allora qoe, » mancciremo di cosa alcuna letta, a con infìDÌi& ^acri^j subito s' inginocchiò nel aver'biastemata, fece ® amarissima penitenza dello gira Signora di' ZeO/Te/^ ® solcane d’andare ignudo a No- 10 e Boa maagiar offerirle un pajo d’ occhi d'argen- giunar pane *1 mercore, né ova il venere, e di- g'annra se gli conce^;^* ®gm sabbato ad onore di Nostra compagni, entrali in recuperar la vista. I dui ^ „„„ ip altra camera, accesero un lume, e se ne venne ^ aualv», ®^8i®r risa del mondo davanti a que- sto povere o , » benché fosse libero di cosi grande affanno, come -Pensare, pur era tanto attonito della passata ^ ^ ^ solamcole non potea ridere, ma né pur parlare; e n non faceano altro che stimo- larlo, dicendo, che era ^oijUggjo a pagar tutti questi voti, per- chè avea ottenuta la gl^ azia domandata. ^ — ^tra sorte di burle, quando l’uomo inganna sé stesso, darò io altro esempio, se non quello che a me intervenne, non è gran tempo : perché a questo carnevai passalo. Monsignor mio di San Pietro ad Vincala, 11 qual sa come lo mi piglio piacer, quando son maschera, a‘ K lar Frali avendo prima ben ordinato ciò che fare in- tèndeva vennè insieme un di con Monsignor d’Aragona ed ^1 i altri cardinali a certe Gneslre in Banchi, mostrando voler star quivi a veder passar le maschere, come é usanza d' Boina lo essendo maschera, passai, e vedendo un Frale 156 IL CORTEGIANO. sospeso, giudicai aver :osV da un canto g^^Uo^i corsi come un famelico trovala la ima veni , jomandatoRli chi egli era, ert falcone “''^^^-"“^’J^^^rcloscerlo, e con molte parole esso risposlom, mostra barigello 1’ andava cer- ''alcune male informazioni che <1* erano avu- e cLforlarlo che venisse meco ins.no a a cancellarla, ché io quivi lo salvarei. 11 Frale, pauroso e lutto tremante, parca che non sapesse che si fare, e dicea dubitar, se si dilungava (l i San Celso, d’ esser preso, lo pur facendogli buon animo, gii dissi tanto, che mi montò in groppa; ed allor a me parvo d’ aver appien compilo il mio disegno : cosi subito cominciai a rimettere il cavallo per Banchi, il quat andava saltellando, e traendo calci. Iinaginale or voi, che bella vista facea un Frate in groppa d’ una maschera, col volare del mantello e scuotere il capo inanzi c ’ndrieto, che sempre parca che an- dasse per cadere. Con questo bel spettacolo cominciarono que’ signori a tirarci ova dalle finestre, poi tulli i banchieri, e quante persone v’ erano; di modo che non con maggior- impeto cadde dal ciclo mai la grandine, come da quelle fine- stre cadcano l’ova, le quali per la maggior parie sopra di me venivano; ed io per esser maschera non mi curava, e pareami che quelle risa fossero tulle per lo Frale e non per me; c per questo più volle tornai .nunzi e’iidieiro per Ban- chi, sempre con quella furia alle spalle: benché il Frale quasi piangendo mi pregava eh’ io lo lasciassi scendere, e non facessi questa vergogna all’ alalo ; poi di nascoslo il . i- baldo si facea dar ova ad alcuni slafiìeri posii quivi per que- sto efletlo, e mostrando tenermi sirello per non cadere me le schiacciava nel petto, spesso in sul capo, c lalor in su la fronte medesima ; lanlo ch’io era tulio consumalo. In ultimo quando ognuno era slanco e di ridere c di tirar ova, mi saltò d. groppa, e calatosi indietro lo scapolaro, mostrò una gran zazzara, e disse: Alesser Bernardo, io son un famiglio di stalla di San Pietro ad \ incula, c son quello che Kovcrna il vostro muletto. - Allor io non so qual maggiore avessi ó dolore o.rao vergogna; pur, per men male, mi posi a fu-irc- verso casa, c la matlina scgucnle non osava comparerérma le risa di questa, quasi insino ades rìnovaVo iV rider* modo di burlare cavano facezie, c alia fare una cos ^tBRO SECO.\DO. 15 ^ solamente il hi /> durate. — * seguente, m Cosi . ^ Pian.” f “ = * «cor Che credere che 1* nomo , uomo vo tendo io in sul «te di «s dando insieme ccm wi dopo cena, e an- crammo l’un 1’ ^ ^ -“in- volessimo-, e quest -*=• perche adir il se lottare quel ponve non fes-se Persona, « dui Franzesi, i quali vedenrf ®'ando cosi, sopragiunsero tJarono che cosa era, e ^ " 9«estp nostro' debatlo, diman- oi volerci spartire, con Ajulatem/, dissi, sj^^ HfJestione da dovero. Allor io tosto, certi tempi di iarra h chè questo povero gentiluomo a che adesso si vorria ^ mancamento di cervello ; ed ecco quei dui corsero, e ■^^***' 8'*tar dal ponte nel fiume. — Allora liMimo- ed esso, seir^ ^o presero Cesare, e tenevanlo stret- ner ch’io era pazzo, meltea piu forza per sv joro dalle mani , e costoro tanto più Io s * sorte, che la brigata cominciò a ve- dere ^ ognun corse; e quanto più il buon fl":Z loZa, chè già cominciava en- trare in co ^ più gente sopragiungea ; e per la forza grande c metteva, estimavano fermamente che volesse saltar nel ^ qyggj^ jq stringevan più: di XùQdc che una gran b — a-igala d’ uomini lo portarono di peso )W\j vivkvj — «-» — •• • - r — r all’ ?>t^’i’®^/gliato e senza berretta, pallido dalla ■m •■_ rvCt V» A ^ _ ^1 : m O ■ ^ 1, ... all <=* • collera e dalla vergogvia , chè non gli valse mai cosa che dicesse, tra perchè quei Franzesi non lo intendevano, tra ecchè io ancor condocsendogli all’ osteria sempre andava dolendomi deWa dvsaNN Cintura del poverello, che fosse cosi impaz2Ul^ come avcmo detto, delle burle si poria ma basti il replicare, che i lochi ondosi parlar delle facezie. Deg li esempii poi ^TrZo^ZnJlJ, ché «gni di ne veggiamo; e tra e« u T 158 IL CORTEGIANO. altri , molti piacevoli ne sono nelle Novelle dei Bocc» come quelle che facevano Bruno e BufTalmacco al «n landnno ed a Maestro Simone, e molle altre di doni veramente sono ingeniose e belle. Molti uomini ni/’ di questa sorte ricordomi ancor aver conosciuti a H e ira Padoa uno scolar siciliano, chiamalo il qual vedendo una volta un contadino che aveva di grossi capponi, fingendo volergli comperare fece eon esso e disse che andasse a casa seco, chè, olire al 20, gli darebbe da far colazione : e cosi Io condusse in dove era un campanile, il quale è diviso dalla chiesi r"" ohe andar V. s. può d’ intorno; e proprio ad una delle ^ ,ro facce del campanile rispondeva una slradella ^ Quivi Ponzio avendo prima pensalo ciò che for intenT"'*' disse al conlad.no : Io ho giocalo questi capponi con compagno 11 qual d.ce che questa torre circonda ben aT vanta piedi, ed io dico di no; e appunto allora quand-Tr trovai aveva comperato questo spago per misurarla- ni a prima che andiamo a casa, voglio chiarirmi chi di noi ’ vinto:- e cosi dicendo, trassesi della manica quel spai/ e diello da un capo in mano al contadine, e disse- Dà ou ^ ’ e tolse i capponi, e prese il spago dall’altro capo- e^/’~ misurar volesse, cominciò a circondar la torre aven’rin’„ fatto affermar il contadino e tener il spago dalla era opposta a quella faccia che rispondeva nella sil^radeM»” alla quale come esso fu giunto, cosi ficcò un chiodo nm’ muro, a CUI annodò il spago; e lasciatolo in lai clielo cheto se n’ andò per quella siradetta coi ra » contadino per buon spazio stette fermo asnetla ? colui finisse di misurare; in ullirno, poi rho m" ° aedo. Che fate vai '«lo? _ ’»"« ebbe (|Uclio che tenea lo spago non era Ponzio ma ' fitto nel muro, il qual solo gli restò per paBam//*!! poni. Di questa sorte fece Ponzio infinite burle" M ir sono ancora stati uomini piacevoli di tal mani Gonella, il Meliolo in quei tempi, ed ora il nosTro f viano, e frate Serafino qui, e molti che tutti m in vero, questo modo è lodevole in uomini che "“a 'acciailo Digitized by Google LIBRO SECONDO. i59 altra professione; ma le burle del Corlegiano par che si debbano allontanar un poco più dalla scurrilità. Deesi ancora guardar che le burle non passino alla barraria; come ve- demo molli mali uomini che vanno per lo mondo con di- verse astuzie per guadagnar denari, fingendo or una cosa ed or un’ altra : e che non siano anco troppo acerbe ; e sopra tutto aver rispetto e reverenza, cosi in questo come in tutte r altre cose, alle donne, e massimamente dove in- tervenga oflesa della onestà. — XC. Allora il signor Gasparo, Per certo, disse, messer Bernardo, voi sete pur troppo parziale a queste donne. E perchè volete voi che più ris|>eUo abbiano gli uomini alle donne, che le donne agli uomini? Non dee a noi forse esser tanto caro 1’ onor nostro, quanto ad esse il loro? A voi pare adunque che le donne debban pungere e con parole e con beffe gli uomini in ogni cosa senza riservo alcuno, e gli uo- mini se ne stiano muti, e le ringrazino da vantaggio? — Ri- spose allor messer Bernardo: Non dico io cho le donne non debbano aver nelle facezie e nelle burle quei rispetti agli nomini che avemo già delti: dico ben che esse possono con più licenza morder gli uomini di poca onestà, che non pos- sono gli uomini mordere esse ; e questo perchè noi stessi avemo fatta una legge, che in noi non sia vizio nè manca- mento nè infamia alcuna la vita dissoluta, e nelle donne sia tanto estremo obbrobrio e vergogna, che quella di chi una volta si parla male, o falsa o vera che sia la calunnia che se le dà, sia per sempre vituperala. Però essendo il parlar deir onestà delle donne tanto pericolosa cosa d’ offenderlo gravemente, dico che doverne morderle in altro, e astenerci da questo ; perchè pungendo la facezia o la burla troppo acerbamente, esce del termine che già avemo detto conve- nirsi a gentiluomo. — XCI. Quivi, facendo un poco di pausa messer Bernardo, disse il signor Ottavian Fhegoso ridendo: Il signor Gaspar potrebbe rispondervi, che questa legge che voi allegate che noi stessi avemo fatta non è forse cosi fuor di ragione come a voi pare; perchè essendo le donne animali imiJerleltissi- mi, e di poca o ninna dignità a rispetto degli uomini, biso- Digiti. — ■ by Google 160 IL CORTEGIANO. gnava, poi che da sè non erano capaci di far alto alcuno virtuoso, che con la vergogna e timor d’ infamia si ponesse loro un freno, che quasi per forza in esse introducesse qual- che buona qualità ; e parve che più necessaria loro fosse la continenza che alcuna altra, per aver certezza dei figlioli: onde è stato forza con tutti gl’ ingegni ed arti e vie possi- bili far le donne continenti, e quasi conceder loro che in tutte r altre cose siano di poco valore, e che sempre fac- ciano il contrario di ciò che devriano. Però essendo lor li- cito far tutti gli altri errori senza biasimo, se noi le vor- remo mordere di quei difetti i quali, come avemo detto, tutti ad esse sono conceduti, e però a loro non sono disconve- nienti nè esse se ne curano, non moveremo mai il riso; perchè già voi avete detto che ’l riso si move con alcune cose che son disconvenienti. — XCII. Allorla signora Dcciiessa, In questo modo, disse, signor Ottaviano, parlate delle donne; e poi vi dolete che esse non v’amino? — Di questo non mi doglio io, rispose il signor Ottaviano, anzi le ringrazio, poiché con lo amar- mi non m’ obligano ad amar loro; nè parlo di mia opinio- ne, ma dico che ’l signor Gasparo potrebbe allegar queste ragioni. — Disse messer Bernardo: Gran guadagno in vero fariano le donne se potessero riconciliarsi con dui suoi tanto gran nemici, quanto siete voi e ’l signor Gasparo. — Io non son lor nemico, rispose il signor Gasparo, ma voi siete ben nemico degli uomini ; chè se pur volete che le donne non siano mordute circa questa onestà, dovreste mettere una legge ad esse ancor, che non mordessero gli uomini in quello che a noi cosi è vergogna, come alle donne la incon- tinenza. E perchè non fu cosi conveniente ad Alonso Carillo la risposta che diede alla signora Boadilla della speranza che avea di camparla vita, perchè essa lo pigliasse per ma- rito; come a lei la proposta, che ognun che lo conoscea pen- sava che '1 Re lo avesse da far impiccare I E perchè non fu cosi licito a Riciardo Minatoli gabbar la moglie di Fifip- pello e farla venir a quel bagno, come a Beatrice far uscire del letto Egano suo marito, e fargli dare delle bastonale da Anichino, poi che un gran pezzo con lui giaciuta si fu? E Digilized by Google LIBRO SECONDO. ÌG1 queir altra che si legò lo spago al dito del piede, e fece cre- der al marito proprio non esser dessa ? Poiché voi dite che quelle burle di donne nel Jovan Boccaccio son cosi inge- niosc e belle. — xeni. Allora messer Bkrnardo ridendo, Signori, disse, essendo stalo la parte mia solamente disputar delle facezie, io non intendo passar quel termine; e già penso aver detto, perchè a me non paja conveniente morder le donne né in delti nè in falli circa l’onestà, e ancor ad esse aver posto regola, che non pungan gli uomini dove lor duole. Dico ben che delle burle e motti che voi, signor Gasparo, alle- gate, quello che disse Alonso alla signora Boadilla, avvenga che tocchi un poco la onestà, non mi dispiace, perchè è ti- ralo assai da lontano, ed è tanto occulto che si può inten- dere semplicemente, di modo che esso polea dissimularlo, ed alTermare non l’aver dello a quel fine. Un altro ne disse al parer mio disconveniente molto; e questo fu, che passando la Bcina davanti la casa pur della signora Boadilla, vide Alonso la porla tutta dipinta con carboni, di quegli animali disonesti che si dipingono per Posterie in tante forme; ed accostatosi alla Contessa di Castagneto, disse: Eccovi, Signo- ra, le teste delle fiere che ogni giorno ammazza la signora Boadilla alla caccia. — Vedete che questo , avvenga che sia ìngeniosa metafora, e ben tolta dai cacciatori, che hanno per gloria aver attaccale alle lor porle molte teste di Qere, pur è scurrile c vergognoso : olirà che non fu risposta; cliò il rispondere ha molto più del cortese, perchè par che ruomo sia provocalo; e forza è che sia all’ improviso. Ma, tornando a proposito delle burle delle donne, non dico io che faccian bene ad ingannar i mariti, ma dico che alcuni di quegl* in- ganni che recita Jovan Boccaccio delle donne son belli ed ingeniosi assai, e massimamente quelli che voi proprio avete delti. Ma, secondo me, la burla di Riciardo Minutoli passa il termine, ed ò più acerba assai che quella di Bea- trice, chè mollo più tolse Riciardo Minatoli alla moglie di l’ilippello, che non tolse Beatrice ad Egano suo nriarito; perchè Riciardo con quello inganno sforzò colei , o feccia far di se stessa quello che ella non voleva; e Beatrice Digitized by G?>ogl<’ 162 IL COHTEGIANO. ingannò suo marito per far essa di sé slessa quello che le piaceva. XCIV. AUor il signor Gaspabo, Per ninna altra causa, disse, si può escusar Beatrice, eccetto che per amore ; il che si deve cosi ammettere negli uomini, come nelle donne. —Allora messer Bebnardo, In vero, rispose, grande escusazione d’ogni fallo porlan seco le passioni d’ amore ; nientedimeno io per me giudico che un gentiluomo di valore il qual ami, debba, cosi in questo come in tutte 1’ altre cose, esser sincero e ve- ridico ; e se è vero che sia viltà e mancamento tanto abomi- nevole r esser traditore ancora contra un nemico , conside- rate quanto più si deve estimar grave tal errore contra per- sona che s’ami: ed io credo che ogni gentil innamorato toleri tante fatiche, tante vigilie, si sottoponga'a tanti pericoli, sparga tante lacrime, usi tanti modi e vie di compiacere l'amala donna, non per acquistarne principalmente il corpo, ma per vincer la ròcca di quell’ animo, spezzare quei duris- simi diamanti, scaldar que’ freddi ghiacci, che spesso ne’ de- licati petti stanno di queste donne; e questo credo sia il vero e sodo piacere, e ’l fine dove tende la intenzione d’ un nobii coro: e certo io per me amerei meglio, essendo innamoralo, conoscer chiaramente che quella a cui io servissi mi reda- masse di core e m’ avesse donalo l’ animo, senza averne mai altra salisfazìono, che goderla ed averne ogni copia contra sua voglia; ché in tal caso a me pareria esser patrone d’un corpo morto. Però quelli che conseguono i suoi desiderii per mezzo di queste burle, che forse piuttosto tradimenti che burle chiamar si portano, fanno ingiuria ad altri; né con lutto ciò han quella salisfazione che in amor desiderar si deve possedendo il corpo senza la volontà. Il medesimo dico d’al- cun’ altri, che in amore osano incantesmi, malie, e talor forza, talor sonniferi, e simili cose; e sappiale, che li doni ancora molto diminuiscono i piaceri d’amore , perché r uomo può star in dubio di non essere amato , ma che quella donna faccia dimostrazion d’ amarlo per trarne uti- lità. Però vedete gli amori di gran donne essere estimati perchò par che non possano proceder d' altra causa che da proprio e vero amore, né si dee credere che una gran si- Digitized by Googlt LIBRO secondo. *«*> minore, «e un 163 non l’ ama gnora mai dimostri amare veramente. — XCV. Allor il signor Gasp ar, Io non ne^^o la intentione, le fatiche e i pericoli de^l' *^spose, che debbano aver principalmente il fin suo •ndrizzatr'°i7*' ■ dell’animo più che del corpo della donna ^ * '"'Ito- • • -u_ : ma dico ria che questi inganni, che voi negli uomini chiama(e"^r"*j° menti e nelle donne burle, son ottimi mezzi per già *^^*^*" questo fine, perchè sempre chi possedè il corpo dell^T*^^ * è ancora signor dell’animo; e, se ben vi ricorda la di Filippello, dopo tanto rammarico per Io inganno da Riciardo, conoscendo quanto più saporiti fossero ' h • deir amante che quei del marito, voltata la sua durez dolce amore verso Riciardo, lencrissimamente da quel *** inanzi I’ amò. Eccovi che quello che non aveva potuto^f”*^”^ sollicito frequcnlare, i doni, e tant’ altri segni cosi I mente dimostrati, in poco d’ora fece lo star con lei Qr dete che pur questa burla, o tradimento, come vogliate fu buona via per acquistar la ròcca di quell* animo. ^ ai messer Bkrnardo, Voi, disse, fate un presupposto mo; chè se le donne dessero sempre 1’ animo a chi lor ,*.*®*'" il corpo, non se ne trovaria alcuna che non amasse n rito più che altra persona del mondo; il che si vede ìq trario. Ma Jovan Boccaccio era, come sete ancor v gran torto nemico delle donne. — ^ XCVI. Rispose il signor Gaspar: Io non son già raico; ma ben pochi uomini di valersi trovano, che gon mente tengan conto alcuno di donne, se ben lalor per ' che suo disegno mostrano il conlrario. — Rispose messer Bernardo: Voi non solamente fate ingiuria allea ne, ma ancor a lutti gli uomini che 1’ hanno in reveren ”* nienledimeno io, come ho dello, non voglio per ora usd' del mio primo proposito delle burle, ed entrar in iaiprej’^ cosi difficile, come sarebbe il difender le donne conira voi* che sete grandissimo guerriero: però darò fine a questo mio ragionamento, il qual forse è stalo mollo piu lungo che non bisognava, ma certo men piacevole che voi non aspettavate E poi eh io veggio le donne si arsi cosi chete, e sopportar lo Digitized by 164 IL CORTEGIANO. ingiurie da voi cosi pazicnlemenlc come fanno, estimaró da mo inanzi esser vera una parte di quello che ha detto il si- gnor Ottaviano, cioè che esse non si curano che di lor sia detto male in ogni altra cosa , pur che non siano mordute di poca onestà. — Allora una gran parte di quelle donne, ben per averle la signora Duchessa fatto cosi cenno, si levarono in piedi, e ridendo tutte corsero verso il signor Gasparo, come per dargli delle busse, e farne come le Baccanti d’Or- feo, tuttavia dicendo: Ora vedrete, se ci curiamo che dì noi si dica male. — XCVII. Cosi, tra per le rìsa, tra per lo levarsi ognun in piedi, parve che ’l sonno, il quale ornai occupava gli occhi c l’animo d’ alcuni, si partisse; ma il signor Gaspabo co- minciò a dire: Eccovi, che per non aver ragione voglion valersi della forza, ed a questo modo finire il ragionamento, dan- doci, come si suol dire, una licenza bracciesca. — Allor, Non vi verrà fatto, rispose la signora Euilia; che, poiché avete veduto messer Bernardo stanco del lungo ragionare, avete cominciato a dir tanto mal delle donne, con opinione di non aver chi vi contradica; ma noi metteremo in campo un ca- valier più fresco, che combatterà con voi, acciò che l’error vostro non sia cosi lungamente impunito. — Cosi, rivoltan- dosi al Magnifico Juliano, il qual fin allora poco parlato avea, disse: Voi sete estimato protcllor dell’onor delle donne; però adesso è tempo che dimostriate non aver acquistalo questo nome falsamente: o so per lo adielro di tal professione avete mai avuto remunerazione alcuna, ora pensar dovete, repri- mendo cosi acerbo nemico nostro, d’obligarvi molto più tutte le donne, e tanto, che, avvenga che mai non si faccia altro che pagarvi, pur l’obligo debba sempre restar vivo, nò mai si possa finir di pagare. — XCVIII. Allora il Magnifico Joluno, Signora mia, ri- spose, parmi che voi facciate molto onore al vostro nemico, e pochissimo al vostro difensore; perchè certo insin a qui ninna cosa ha detta il signor Gasparo contro le donne, che messer Bernardo non gli abbia ottimamente risposto; e credo che ognun di noi conosca, che al Cortegiano si convien aver grandissima reverenza alle donne, e che chi è discreto e cor- Digitized by Google libro secondo. i6o lese non deve mai scherzando „è da dovere: per6 il Palese veri.à è noasi un metter dubio nell ,,«« i ben che ’l Zr^or Ottaviano sia un poco uscito de termini . dicendo che le'donne sono animali itnpcrfeUissim, , e non capaci di far atto alcuno virtuoso, e di poca luna dignità a rispetto de- siti uomini: e perchè spesso si a fedo a coloro che hanno molta autorità, se ben non dicono cosi compitamente il vero, od ancor quando parlano da befle, hassi il signor Gaspar lasciato indur dalle parole del signor Ottaviano a dire che Rii uomini savii d’esse non tengon conto alcuno; il che è fal- sissimo; anzi, pochi uomini di valore ho io mai conosciuti, che non amino ed osservino le donne: la virtù delle quali, è conseguentemente la dignità, estimo io che non sia punto infcrior a quella degli uomini. Nientedimeno, se si avesse da venire a questa contenzione, la causa delle donno averehbe brandissimo disfavore; perchè questi signori hanno formato un Cortegiano tanto eccellente, e con tante divine condizio- ni, che chi averà il pensiero a considerarlo tale, injaginerà i meriti delle donne non poter aggiungere a quel termine Ma, se la cosa avesse da esser pari, bisognarebbe prima che un tanto ingenioso e tanto eloquente quanto sono il confo Ludovico e raesser Federico, formasse una Donna di Palazzo con tutte le perfezioni appartenenti a donna, cosi come essi - hanno formato il Cortegiano con le perfezioni appartenenti ad uomo; ed allor se quel che difendesse la lor causa fosse d’ingegno c d’eloquenza mediocre, penso che, per esser ajulalo dalla verità, dimoslreria chiaramente, che le donne son così virtuose come gli uomini.— Rispose la signora £,, 1 - ma: Anzi molto più; e che cosi sia femina, e ’l vizio maschio. — XCIX. Rise allor il signor Gaspaho, c voltatosi a messcr Nicolò Frigio, Che ne credete voi. Frigio? — disse. Rispose il Frigio: Io ho compassione al signor Magnifìco, il quale, ingannalo dalle promesse e lusinghe della signora Emilia, è incorso in errore di dir quello di che io in suo servizio mi vergogno. — Rispose la signora Emilia, pur ridendo; Rcn vi vergognarete voi di voi stesso quando vedrete il signor Ga- Digiii.’ìd by Google 166 IL CORTEGIANO. Sparo, convinto, confessar il suo e ’l vostro errore, e doman- dar quel perdono, che noi non gli vorremo concedere. — Allora la signora Duchessa: Per esser l’ ora mollo larda, vo- glio, disse, che differiamo il lullo a domani; lanlo più per- chè mi i>ar ben fallo pigliar il consiglio del signor Magnifico: cioè che, prima che si venga a qoesla dispula, cosi si formi una Donna di Palazzo con lulle le perfezioni, come hanno formalo quesli signori il perielio Corlegiano. — Signora, disse allor la signora Emiua, Dio voglia che noi non ci abbal- liamo a dar quesla impresa a qualche congiuralo col signor Gasparo, che ci formi una Corlegiana che non sappia far al- tro che la cucina e filare. — Disse il Fhigio: Ben è queslo il suo proprio officio. — Allor la signora Duchessa, lo voglio, disse, confidarmi del signor Magnifico, il qual, per esser di (juello ingegno e giudicio che son cerla, imaginerà quella perfezion maggiore che desiderar si può in donna, ed cspri- meralla ancor ben con le parole, e cosi averemo che opporre alle false calunnie del signor Gasparo. — C. Signora mia, rispose il Magnifico, io non so come buon consiglio sia il voslro, impormi impresa di lanla im- porlanza, ch’io in vero non mi vi senio suflicienle; nè sono io come il Conte e messer Federico, i quali con la eloquenza sua hanno formato un Corlegiano che mai non fu nè forse può essere. Pur se a voi piace eh’ io abbia questo carico, sia almen con quei palli che hanno avuti quest altri signori; cioè che ognun possa dove gli parerà conlradirmi , eh’ io questo estiinarò non conlradizione, ma ajulo; c forse col cor- reggere gli errori miei, scoprirassi quella perfezion della Donna di Palazzo, che si cerca. — Io spero, rispose la si- gnora Duchessa, che ’l voslro ragionamento sarà tale, che poco vi si potrà contradire. Sicché, mellele pur 1’ animo a questo sol pensiero, e formateci una tal donna, che questi nostri avversarli si vergognino a dir eh’ ella non sia pari di virtù al Corlegiano: del quale ben sarà che messer Federico non ragioni più, chè pur troppo l’ha adornalo, avendogli massimamente da esser dato paragone d’ una donna. — A me. Signora, disse allor messer Fedeeico, ormai poco o niente avanza che dir sopra il Corlegiano; e quello che pen- Digitized b, ^';^oglc libro secondo. • 167 :r e vr- re:. presa riverenlemenle licenza dalla signora Duchessa, ciascun si fu alla stanza sna. — ^gitized by Googl 1C8 IL TERZO LIBRO DEL CORTEGIANO, DEL COATE DiLDESiR CASTIGLIOXB A MESSEII ALFOxNSO ARIOSTO. 1. Leggasi che Pilagora soltilissimamenle e con bel modo trovò la misura del corpo d’ Ercole; e questo, che sa- pendosi, quel spazio nel quale ogni cinque anni si celebra- van i gio.chi Olimpici in Acaja presso Elide inanzi al tempio di Giove Olimpico esser stato misurato da Ercole, e fatto un stadio di seicento e venticinque piedi, de’ suoi proprii; e gli altri stadii, che per tutta Grecia dai posteri poi furono instituiti, esser medesimamente di seicento e venticinque piedi, ma con tutto ciò alquanto più corti di quello: Pilagora facilmente conobbe a quella proporzion quanto il piè d’ Er- cole fosse stato maggior degli altri piedi umani; c cosi, intesa la misura del piede, a quella comprese, tutto ’l corpo d’ Er- cole tanto esser stato di grandezza superiore agli altri uomini proporzionalmente, quanto quel stadio agli altri stadii. Voi adunque, messer Alfonso mio, per la medesima ragione, da questa piccol parte di tutto ’l corpo potete chiaramente co- noscer quanto la corte d’ Urbino fosse a tutte 1’ altre della Italia superiore, considerando quanto i giochi, lì quali son ri- trovati per recrear gli animi affaticati dalle faccende più ar- due, fossero a quelli che s’usano nell’ altre corti della Italia superiori. E se queste eran tali, imaginate quali eran poi r altre operazion virtuose, ov’eran gli animi intenti e total- mente dediti; e di questo io conndenlemente ardisco di par- lare con speranza d’esser creduto, non laudando cose tanto Digilized by Go(' jle icy approvar libro terzo. antiche che mi sia licito e possendo appro, quant’io ragiono col enzia"!^*” , *'®"**"* degni di fede, che vivono ancora, e presenzialmente hanno veduto e conosciuto la vita e i costumi clie m quella casa fiorirono un tempo; ed io mi tengo obligato, per quanto posso, di sfor- zarmi con ogni studio vendicar da la mortai oblivione questa chiara memoria, e scrivendo tarla vivere negli animi dei posteri. Onde forse per T avvenire non mancherà chi per questo ancor porli invidia al secol nostro; chè non è alcun che legga le maravigliose cose degli antichi , che nell’ animo suo non formi una certa maggior opinion di coloro di chi si scrive, che non pare che possano esprimer quei libri, av- venga che divinamente siano scritti. Cosi noi desideramo che tulli quelli, nelle cui mani verrà questa nostra fatica, se pur mai sarà di tanto favor degna che da nobili cavalieri e valorose donne meriti esser veduta, presumano e per fermo tengano, la Corte d’ Urbino esser stala molto più eccellente ed ornata d’uomini singolari, che noi non potemo scrivendo esprimere; e se in noi fosse tanta eloquenza, quanto i„ era valore, non aremmo bisogno d’altro testimonio per che alle parole nostre fosse da quelli che non riiaiino vedm dato piena fede. 11. Essendosi adunque ridoUa il seguente giorno all’ora consueta la compagnia al solilo loco, e postasi con silenz/ó a sedere, rivolse ognun gli occhi a messer Federico ed al Magiiitico Jtiliano, aspellando qual di lor desse principio a ragionare. Onde la Signora Duchessa, essendo stala alqua„jó chela, Signor Magnifico, disse, ognun desidera veder questa vostra Donna ben ornala; e se non ce la mostrate di (al modo che le sue bellezze lulle si veggano, cstimaremo che ne siate geloso. — Rispose il Magnifico: Signora, se io Ja tenessi per bella, la moslrarci senza altri ornamenti, c di quel modo che volse veder Paris le Ire Dee; ma se queste donne, che pur lo sanno fare, non mi ajulano ad acconciar- la, io dubito che non solamente il Signor Gasparo e ’l Frigio ma tulli quest’ altri signori aranno giusta causa di dirne male. Però, mentre che ella sta pur in qualche opinioii di bel- lezza, forse siirà meglio lenerla occulta, e veder quello che 170 IL CORTEGIANO. avanza a messer Federico a dir del Corlegiano, che senza dubio è mollo più bello che non può esser la mia Donna. — ()uello eh’ io mi aveva posto in animo, rispose messer Fede- nico, non è tanto appartenente al Corlegiano, che non si. jiossa lasciar senza danno alcuno; anzi è quasi diversa ma-l leria da quella che sin qui s’è ragionala. — E che cosa è egli adunque? — disse la signora Duchessa. Rispose messer Federico: Io m’era deliberato, per quanto poteva, di chia- rir le cause di queste compagnie ed ordini di cavalieri falli . da gran principi sotto diverse insegne: com' è quel di San Michele nella casa di Francia; quel del Garlier, che è sotto il nome di San Giorgio, nella casa d’Inghilterra; il Toison d’ oro in quella di Borgogna: ed in che modo si diano queste dignità, e come se ne privino quelli che lo meritano; onde siano nate, chi ne siano stati gli autori, ed a che fine I’ ab- biano insliluite: perchè pur nelle gran corti son questi cava- lieri sempre onorali. Pensava ancor, se ’l tempo mi fosse bastato, oltre alla diversità de’ costumi che s’usano nelle corti de’ principi cristiani nel servirgli, nel festeggiare, e farsi vedere nei spettacoli publici, parlar medesimamente qualche cosa di quella del Gran Turco, ma mollo più parti- colarmente di quella del Sofi re di Persia: chè, avendo io inteso da mercatanti che lungamente son stali in quel pae- se, gli uomini nobili di là esser mollo valorosi e di gentil co- stumi, ed usar nel conversar I un con I altro, nel servir donne, cd in tulle le sue azioni molta cortesia e molla dis- crezione, e, quando occorre, nell’arme, nei giochi e nelle feste molla grandezza, molla liberalità e leggiadria, sonomi dilettato di saper quali siano in queste cose i modi di che essi più s’appressano, in che consisleno le lor pompe ed al- tilalure d’abiti e d’arme; in che siano da noi diversi ed in che conformi; che maniera d’ iniertenimenti usino le lor donne, e con quanta modestia favoriscano chi le serve per amore. Ma invero non è ora conveniente entrar in questo ragionamento, essendovi massimamente altro che dire, e mollo più al nostro proposito che questo. — III. Anzi, disse il signor Gasparo, e questo e molte al- tre cose son più al proposito, che ’l formar questa Donna di Digitized by Google ' UBftO TIìKZO. VnW7.*o; atteso che le ««« date per Io - lejrlano , servono ancor a a na, i>erchè cosi deve ella er rispetto ai tempi e lochi , Per quanto com- Ina la sua imbecillità, luti» quegli alln modi di che tanto ri ragionato, come il Cortegiano. E però in loco di questo, nn sarebbe forse stalo male insegnar qualche particolarità U alleile che appartengono al servizio della persona del Prin- irve che pur al Cortegian si convien saperle, ed aver grazia farle; o veramente dir del modo che s’ abbia a tener ne- lli eserlizii del corpo, e come cavalcare, maneggiar Tarme, lottare ed in che consiste la dilTicolta di queste operazioni.— Disse ’allor la signora Dbchessa ridendo: I Signori non si servono alla persona di cosi eccellente Cortegiano, come è onesto- gli esercizii poi del corpo, e forze e destrezze della ^rsona, lasciaremo che messer Pietro Monte nostro abbia cura d’ insegnar, quando gli parerà tempo più commodo; oerchè ora il Magnifico non bada parlar d’ altro che di que- sta Donna, della qual parrai che voi già cominciate aver paura e però vorreste farci uscir di proposito. — Rispose u FbigiÒ-. Certo è, che ira|>ertinenle e fuor di proposito è ora il parlar di donne, restando massimamente ancora che dire del Cortegiano, perchè non si devria mescolar una cosa con T altra. — Voi sete in grande errore, rispose messer Cesar Gonzìoa; perchè come corte alcuna, per grande che ella sia, non può aver ornamento o splendore in sé né allegria senza donne, nè Cortegiano alcun essere aggraziato, p/ace. vole o ardito , nè fa mai opera leggiadra di cavalleria, se non mosso dalla pratica e dall’ amore e piacer di donne: cosi an- cora il ragionar del Cortegiano è sempre imperfettissimo , se le donne, interponendovisi, non danno lor parte di quella urazia, con la quale fanno perfetta ed adornano la Cortegia- nia. — Rise il signor Ottaviano, e disse: Eccovi un poco di quell’esca che fa impazzir gli uomini. — IV. Allor il signor Magnifico, voltatosi alla signora Duchessa, Signora, disse, poiché pur cosi a voi piace, io dirò quello che m’occorre, ma con grandissimo dubio di non satisfare; e certo mollo minor fatica mi saria formar una Si- gnora che meritasse esser regina del mondo , che una per- Dir: IL COKTEUIANO. 1 72 fetta Cortegiana: perchè di questa non so io da che pigliarne lo esempio ; ma della regina non mi bisogneria andar troppo lontano, c solamente basteriami imaginar le divine condi- zioni cl'una Signora ch’io conosco, e, quelle contemplando, indrizzar tutti i pcnsier mici ad esprimer chiaramente con le parole quello che molti veggon con gli occhi; e quando al- tro non potessi, lei nominando solamente, avrei satisfatto aU’obligo mio. — Disse allora la signora Duchessa: Non uscite dei termini, signor Magnifico, ma attendete all’ordine dato, e formale la Donna di Palazzo, acciò che questa cosi nobil Signora abbia chi possa degnamente servirla. — Seguitò il lo adunque. Signora, acciò che si vegga che i comandamenti vostri possono indurmi a provar di far quello ancora ch’io non so fare, dirò di questa Donna eccellente come io la vorrei; e formata ch’io l’averòa modo mio, non potendo poi averne altra , lerrolla come mia a guisa di Pigmalione. E perchè il signor Gaspar ha dello , che le me- desime regole che son date per lo Corlegiano, serveno ancor alla Donna: io son di diversa opinione; chè , benché alcune qualità siano communi, e cosi necessarie all’uomo come alla donna, sono poi alcun’altre che più si convengono alla donna che all’ uomo , ed alcune convenienti all’ uomo , dalle quali essa deve in lutto esser aliena. Il medesimo dico degli eser- cii ii corpo ; ma sopra lutto parmi che nei modi, manie- re , parole, gesti , portamenti suoi, debba la donna essere motto dissimile dall’ uomo; perchè come ad esso conviene mostrar una certa virilità soda e ferma , cosi alla donna sla ber* over una tenerezza molle e delicata, con maniera in ogni suo movimento di dolcezza feminile, che nell’ andar e stare ed**" ciò che si voglia sempre la faccia parer donna, senza sire» alcuna d’ uomo. Aggiungendo adunque questa avV®*"*®”^® ohe regole che questi signori hanno insegnato al Coft®8*®oo, penso ben che di molte di quelle ella debba po- lenti servire, ed ornarsi d'ottime condizioni, come dice il sigr»®*" ^ospor; perchè molle virtù dell’ animo estimo io die siar**^ donna necessarie cosi come all’ uomo; medesinia- mer»^® nobilità, il fuggire l’ alTellazionc, l’csscr aggraziala da operazion sue, l’ esser di buoni costumi, ubbo tekzo. 175 mgeniosa, prudente, invidiosa, „o„ „a|o_ ,„?a, non vana, non . sapersi g™d . conservar la grazia delia sua Signora anar e conservai ■« s-""— ^ e <li (»•(: „i: aUri , far bene ed ^li esercizi,- che si con- vengono alle donne. Parrai ben he ,n le, sia poi più neces- saria la bellezza che nel Corlegiano perchè in vero moI(o manca a quella donna a cui manca la bellezza. Deve ancor esser più circonspella, ed aver piu riguardo di non dar oc casion che di sè si dica male, e far di modo che non sola- mente non sia macchiata di colpa, ma nè anco di sospizio- ne , perchè la donna non ha tante vie da difendersi dallo false calunnie, come ha 1' uomo. Ma perchè il conte Ludo- vico ha esplicalo mollo minutamente la principal profession del Corlegiano , ed ha voluto eh’ ella sia quella dell’ arme • panni ancora conveniente dir, secondo il mio giudicio, qua[ sia quella della Donna di Palazzo: alla qual cosa quando io averò satisfallo, pensarommi d’ esser uscito della maggior parte del mio debito. V. Lasciando adunque quelle virtù dell’ animo che io hanno da esser communi col Corlegiano, coìrne la prudenza la magnanimità, la continenza, e molle altre; e medesima' mente quelle condizioni che si convengono a tutte le donne' come r esser buona e discreta , il saper governar le facoltà del marito e la casa sua e i figlioli quando è maritata tulle quelle parli che si richieggono ad una buona madre famiglia: dico, che a quella che vive in corte parrai conve- nirsi sopra ogni altra cosa una certa affabilità piacevole, p^r la qual sappia gentilmente interlenere ogni sorte d’ uomo con ragionamenti grati ed onesti, ed accoramodali al tempo e loco , ed alla qualità di quella persona con cui parlerà , ac compagnando coi costumi placidi e modesti , e con quella onestà che sempre ha da componer tulle le sue azioni , una pronta vivacità d’ingegno , donde si mostri aliena da ogni grosseria ; ma con lai maniera di bontà , che si faccia esti- mar non men pudica, prudente ed umana, che piacevole, ar- guta e discreta: e però le bisogna tener una certa mediocrità diflicilc, e quasi composta di cose contrarie, e giugneracerli termini appunto, ma non passargli. Non dove adunque que- t5- Digitized b, C- -Ogl IL COKTEGIAISO. 174 sta Donna , per volersi far estimar buona ed onesta , esser tanto ritrosa e mostrar tanto d’aborrire e le compagnie e i ragionamenti ancor un poco lascivi, che ritrovandovisi se ne levi ; i>ercliè facilmente si poria |>ensar ch’ella fìngesse d’es- scr tanto austera per nascondere di sé quello ch’ella dubi- tasse eh’ altri potesse risapere ; e i costumi cosi selvatichi son sempre odiosi. Non deve tampoco , per mostrar d’ esser libera c piacevole , dir parole disoneste , nè usar una certa domestichezza intemperata e senza freno, e modi da far cre- der di sè quello che forse non è ; ma ritrovandosi a tai ra- gionamenti , deve ascoltargli con un poco di rossore e ver- gogna. Medesimamente fuggir un errore , nel quale io ho veduto incorrer molte ; che è, il dire ed ascoltare volentieri chi dice mal d’ altre donne : perchè quelle che, udendo nar- rar modi disonesti d’altre donne , se ne turbano e mostrano non credere , ed estimar quasi un mostro che una donna sia impudica, danno argomento che, parendo lor quel di- fetto tanto enorme, esse non lo commettano ; ma quelle che van sempre investigando gii amori dell’altre, e gli narrano cosi minutamente e con tanta festa , par che lor n’ abbiano invidia, e che desiderino che ognun lo sappia , acciò che il medesimo ad esse non sia ascritto per errore; e cosi vengon in certi risi, con certi modi, che fanno testimonio che allor scnton sommo piacere. £ di qui nasce che gli uomini, ben- ché ascoltino volentieri, per lo più delle volle le tcDgono in mala opinione, od hanno lor pochissimo riguar- do, ® que’modi siano invitali a pas®^*" “vanti , e spesso poi scorrono a termini che dan loro meritamente infamia, ed in ultimo le estimano cosi po- co, cl*e non curano il lor commercio, anzi le hanno in fasti- dio • P®*" cuuirurio, non è uomo tanto procace ed insolen- te, che non abbia riverenza a quello che sono estimale buone ed oneste; perchè quella gravità temperata di sapere e bontà è qi*nsi un scudo contra la insolenza e bestialità dei proson- tuo^i ; ‘>“‘1® vede che una parola, un riso, un atto di lieni- volon**» P®>' minimo ch’egli sia, d’ una donna onesta, è più appcczzalu *1“ ognuno, che tulle le demostrazioni e carezze di cj nelle che cosi senza riservo mostran poca vergogna; e Digitized by Google UUHO TKUZO. non sono impudiche, con risi dissoluti, cilà, insolenza, e lai costui»» scarriU , fanno 1 7ò ®on la loqua- segno d’es- E perchè le parole sotto le quali non è subjello di qualche importanza son vane e puerili , bisogna che la Donna di Palazzo, oltre al giudicio di conoscere la qualità di colui con cui parla, per intertenerlo gentilmente, abbia notizia di molte cose; e sappia, parlando, elegger quelle che sono a proposito della condizion di colui con cui parla , e sia cauta in non dir talor non volendo parole che lo olTendano. Si quardi, laudando sé stessa indiscretamente, ovvero con l’es. ser troppo prolissa, non gli eenerar fastidio. Non vada me- scolando nei ragionamenti piacevoli e da riilere cose di i^ra- vilà , nè meno nei gravi facezie e burle. Non mostri inelia mente di saper quello che non sa, ma con modestia cerchi d’onorarsi di quello che sa, fuggendo, come si è dello paf. feltazione in ogni cosa. In questo modo sarà ella ornala di buoni costumi, e gli esercizii del corpo convenienti a donna farà con suprema grazia , e i ragionamenti suoi saranno co piosi, e pieni di prudenza, onestà e piacevolezza; e cosi sari essa non solamente amala ma reverita da tutto ’l mondo forse degna d’ esser agguagliata a questo gran Corlegij,nJj ® cosi delle condizioni deiranimo come di quelle del corpo -J VII. Avendo insin qui dello il Magnifico , si lacqu^ stette sopra di sé , quasi come avesse posto line ai suo ra gionamenlo. Disse allora il signor Gasparo: Voi avete vera mente , signor Magnifico , molto adornala questa Donna e fattola di eccellente condizione : nientedimeno parmi che vi siale tenuto assai al generale, e nominato in lei alcune cose tanto grandi , che credo vi siale vergognato di chiarirle • e più presto le avete desiderale, a guisa di quelli che bramano talor cose impossibili e sopranalurali , che insegnale. Però j vorrei che ci dichiariste un poco meglio quai siano gli eser- cizii del corpo convenienti a Donna di Palazzo , e di che modo ella debba interlencre, e quai sian queste molte cose (li che voi dite che le si conviene aver notizia; e se la pru- denza, la magnanimità, la continenza, e quelle molle altre virlù che avete detto, infendele che abbian ad ajularla soia- iti- Jd by Googli 176 IL CORTEGIANO. menlo circa il governo della casa, dei figlioli e della fami- glia; il che però voi non volele che sia la sua prima profes- sione: o veramente allo inlerlenere, e far aggraziatamente questi esercizii del corpo; e per vostra fé guardate a non mettere queste povere virtù a cosi vile officio, che abbiano da vergognarsene. — Rise il Magnifico, e disse: Pur non * potete far, signor Gasparo, che non mostriate mal animo ^ verso le donne; ma in vero a me pareva aver detto assai, e massimamente presso a tali auditori; ché non penso già che sia alcun qui che non conosca, che, circa gli esercizii del corpo, alla donna non si convien armeggiare, cavalcare, giocare alla palla, lottare, e molte altre cose che si conven- gono agli uomini. — Disse allora I’Unico Aretino : Appresso gli antichi s’ usava che le donne lottavano nude con gli uo- mini; ma noi avemo perduta questa buona usanza insieme con molt’ altre. — Soggiunse messer Cesare Gonzaga: Ed io a’ miei dì ho veduto donne giocare alla palla, maneggiar l’arme, cavalcare, andare a caccia, e far quasi tutti gli esercizii che possa fare un cavaliere. Vili. Rispose il Magnifico : Poi eh’ io posso formar que- sta Donna a modo mio, non solamente non voglio ch’ella usi questi esercizii virili cosi robusti ed asperi, ma voglio che quegli ancora che son convenienti a donna faccia con ri- guardo, e con quella molle dclicatura che avemo detto con- venirsele ; e però nel danzar non vorrei vederla usar movi- menti troppo gagliardi e sforzati, nè meno nel cantar o so- nar quelle diminuzioni forti e replicate, che mostrano più arte che dolcezza : medesimamente gl’ instrumenti di musica che ella usa, secondo me, debbono esser conformi a que- sta intenzione. Imaginatevi come disgraziata cosa saria veder una donna sonare tamburi, piffari o trombe, o altri tali instrumenti ; e questo perchè la loro asprezza nasconde e leva quella soave mansuetudine, che tanto adorna ogni alto che faccia la donna. Perù quando ella viene a danzar o far musica di che sorte sì sia, deve indurvisi con lasciarsene alquanto pregare, e con una certa timidità, che mostri quella nobile vergogna che è contraria della impudenza. Deve an- ror accoimnodar gli abiti a questa intenzione, e vestirsi di Digitized by Google luì IVO ’TKHzo „ e le^sriera \r^ '77 aver più cura ^e//a a/fe donne WVo e deln o ^ ^^nne ni, e diverse soT^‘ questa donn, fi.dtó« di conosce' 1“»l sono <I“es« »l,/„- »'er ftam, o Hù acconimodati a quegl, csercieli eh' elu, ,„r«" di fare in qoe\ punto, e di quelli servirsi: e conoscendo in sè una beUezza vaga ed allegra, deve ajuiar/a coi movimen- ti, con le parole e con gli abiti, che tulli tendano allo alle- gro ; cosi come un’ altra , che si senta aver maniera man- sueta e grave, deve ancor accompagnarla coi modi di quella sorte, per accrescer quello che è dono della natura. Cosi es- sendo un poco più grassa o più magra del ragionevole, o bianca o bruna, ajularsi con gli abili, ma dissimulatamente più che sia possibile; e tenendosi delicata e polita, mostrar sempre di non mettervi studio o diligenza alcuna. IX. E perché il signor Gasparo domanda' ancor, quai siano queste molte cose di che ella deve aver notizia, e di che modo intertenere, e se le virtù deono servire a questo interlenimento; dico che voglio che ella abbia cognizìon di ciò che questi signori han voluto che sappia il Cortegiano; e di quelli csercizii che avemo detto che a lei non si convengo- no, voglio che ella n’abbia almen quel giudìcio che possono aver delle cose coloro che non le oprano: e questo per saper laudare ed apprezzar i cavalieri più e meno, secondo i meri- (i. E per replicar in parie in poche parole quello che già s’è dolio, voglio che questa Donna abbia notizia di lettere, di musica, di pittura, e sappia danzar e festeggiare; accompa- gnando con quella discreta modestia e col dar buona opinion <li sè ancora le altre avvertenze che son siale insegnale al Corlegiano. E cosi sarà nel conversare, nel ridere, nel gio- care, nel molleggiare, in somma in ogni cosa , gratissima; ed inlertenerà accoramodalamente, e con molti e facezie convenienti a lei, ogni persona che le occorrerà. E bene e la continenza, la magnanimità, la temperanza, la fortezza d’animo, la prudenza e le altre virtù paja che non impor lino allo intertenere, io voglio che eli tulle sia ornata, non tanto per lo inlcrlencrc, benché perù ancor a questo i>os: servire, quanto per esser virtuosa , ed acciò clie qncs c Digitized by Gii'ogl». 178 II' COUTEGIANO. la faccian tale che meriti esser onorata, e che ogni sua ope- razion sia di quelle composta. X. Maravigliomi pur, disse allora ridendo il signor Ga- SPAB, che poiché date alle donne e le lettere e la continen- za e la magnanimità e la temi>eranza, che non vogliate an- cor che esse governino le città, e faccian le leggi, e condu- cano gli eserciti; e gli uomini si stiano in cucina o a (ìlare. — Rispose il Magnifico, pur ridendo: Forse che questo an- cora non sarebbe male; poi soggiunse: Non sapete voi che Platone, il quale in vero non era molto amico delle don- ne, dà loro la custodia della città; e tutti gli altri ofiìcii mar- ziali dà agli uomini? Non credete voi che molte se ne tro- vassero, che saprebbon cosi ben governar le città e gli eserciti, come si faccian gli uomini? Ma io non ho lor daU questi oflìcii, perchè formo una Donna di Palazzo, non una Regina. Conosco ben che voi vorreste tacitamente rinovar quella falsa calunnia, che jeri diede il signor Ottaviano alle donne; cioè, che siano animali imiierfettissimi, e non capaci di far allo alcun virtuoso, e di pochissimo valore e di niuna dignità, a rispetto degli uomini: ma in vero ed esso e voi sa- reste io grandissimo errore se pensaste questo. XI. Disse allora il signor Gaspab: lo non voglio rino- var le coso già delle, ma voi ben vorreste indurmi a dir qualche parola che offendesse l’ animo di queste signore, per farmele nemiche, cosi come voi col lusingarle falsamente volete guadagnar la toro grazia. Ma esse sono tanto discrete sopra le altre, che amano più la verità, ancora che non sia tanto in suo favore, che le laudi false; nè hanno a male, che altri dica che gli uomini siano di maggior dignità, e confes- saranno che voi avete dello gran miracoli, ed attribuito alla Donna di Palazzo alcune impossibilità ridicole, e tante vir- tù, che Socrate e Catone e tulli i lìlosoli del mondo vi sono per niente; chè, a dir pur il vero, maravigliomi che non abbiate avuto vergogna a passar i termini di tanto. Chè ben bastar vi dovea far questa Donna di Palazzo bella, discreta, bnesta, affabile, e che saiiesse inlerlencre, senza incorrere in infamia, con danze, musiche, giochi, risi, molli, c Pat- ire cose che ogni di vedemo che s’ usano in corte; ma il vo- Digitized by Google ^Uilvo .^iondiluUe Ics ^ ^ Vette dat eogn'^ volte si soq «“'•'^«'rJe ancm »«. »e“ j, „é «,pp„«,„ appena ascoVWr » mo anima/i im- perfelli, e per conse? ente d, minor dig„Uà che gii uomini, e non capaci di q«e"« ''«'tu che sono essi, non voglio io al- trimenti affermare, perchè il valor di queste signore basla- ria a farmi mentire: dico ben che uomini saoien (issimi hanno enu Ciucia**'*--' . - -- Dasia- ria a farmi mentire: dico ben che uomini sapientissimi hanno lasciato scritto che la natura, perciò che sempre iiilende e discena far le cose più perfette, se potesse, produrria conti- nuamente uomini; c quando nasce una donna, è difetto o er- ror della natura, e conira quello che essa vorrebbe fare: co- me si vede ancor d’uno che nasce cieco, zoppo, o con qualche altro mancamento, e negli arbori molti frulli che non maturano mai: cosi la donna si può dire animai prodotto a sorte e per caso; e che questo sia, vedete 1’ operazion del- l’uomo e della donna, e da quelle pigliate argomento della perfezion dell’uno e dell’ altro. Nientedimeno, essendo que- sti difetti delle donne colpa di natura che 1’ ha prodotte tali, non devemo per questo odiarle, nè mancar di aver loro quel rispetto che vi si conviene; ma estimarle da più di quello che elle si siano, parrai error manifesto. — XII. Aspettava il Magnifico Juliano che ’l signor Gaspa- ro seguitasse più oltre; ma vedendo che già Iacea, disse: Della imperfezion delle donne parmi che abbiate addotto una freddissima ragione; alla quale, benché non si convenga forse ora entrar in queste sottilità, rispondo, secondo il parer di chi sa e secondo la verità, che la sostanza in qualsivoglia cosa non può in sé ricevere il più o il meno: chè, come niun sasso può esser più perfettamente sasso che un altro quanto alla es- senza del sasso, nè un legno più perfettamente legno che l’altro, cosi un uomo non può essere più jierfellamenle u^ ino che 1’ altro; c conseguentemente non sarà il maschio più perfetto che la femina, quanlo alla sostanza sua formale, per- ché r uno e r altro si comprende sotto la specie dell’ uomo, c quello in che l’uno dall’ allro son ditTercnli è cosa acciden- tale, e non essenziale. Se mi direte atlunque che l’ uomo sia più perfetto che la donna.se non quanlo alla essenza, almcn Digitized by Google 180 IL COHTKGIANU. Quanto agli accidenti; rispondo, che questi accidenti bisogna che consistano o nel corpo o nell’ animo: se nel corpo, per esser l’uomo più robusto, più agile, pm leggiero, o più tole- rante di fatiche, dico che questo è argomento di pochissima perfezione, perchè tra gli uomini medesimi quelli che hanno queste qualità più che gli altri non son per quelle più esti- mati; e nelle guerre, dove son la maggior parte delle opere laboriose e di forza, i più gagliardi non son però i più pre- giali: se nell’ animo, dico che tutte le cose che possono in- tendere gli uomini, le medesime possono intendere ancor le donne; e dove penetra l’ inlelletlo del uno, può penetrare eziandio quello dell’ altra. — XIII. Quivi avendo il Magnifico Juuano fatto un poco di pausa, soggiunse ridendo: Non sapete voi, che in filosofia si tiene questa proposizione; che quelli che son molli di car- ne, sono alti della mente? perciò non e dubio, che le donne, per esser più molli di carne, sono ancor piu atte della men- te, e d’ingegno più accommodato alle speculazioni che gli uomini. — Poi seguitò: Ma, lasciando questo, perchè voi di- ceste ch’io pigliassi argomento della perfezion dell’un e dell’ altro dalle opere, dico, se voi considerale gli elfelli della natura, Irovarete ch’ella produce le donne tali come sono, non a caso, ma accommodale al fine necessario: cliè benché le faccia del corjio non «agliarde e d’animo placido, con molle altre qualità contrarie a quelle degli uomini, pur le condizioni dell’ uno c dell’ altro tendono ad un sol line con- cernente alla medesima utilità. Chè secondo che per quella debole fievolezza le donne son meno animose, per la medesi- ma sono ancor poi più caute: però le madri nutriscono i figlio- li, i padri gli ammaestrano, e con la fortezza acquistano di fuori quello, che esse con la sedulilà conservano in casa, che non è minor laude. Se considerate poi l’ istorie antiche (ben- ché gli uomini sempre siano stali parcissimi nello scrivere le laudi dello donne) e le moderne, trovarete che continua- mente la virtù è stala tra le donne cosi come tra gli uomini; e che ancor soiiosi trovate di quelle che hanno mosso delle guerre, c conseguitone gloriose vittorie; governalo i regni con somma prudenza e giustizia, e fallo lutto quello che s’ali- Digitized by Google . t-lBIVO terzo. accusalo e difeso manzi ai ^ ’C' eIoquentjssimamente?De/- ;^pere manuali sana lungo «arrare, nè cJi ciò bisogna far leslimonio. Se adunque nella sostanza essenziale 1' uomo non è più perfello della donna , «é meno negli accidenti; e di fluesto, olire la ragione, veggonsi gli effetti: non so in che qacsla saa perte^ione. XIV. E perche voi diceste che intento della natura é sempre di produr le cose più perfette, e però, s* ella potes- se sempre produrria l’uonao, e che il predar la donna è piu prèsto errore o difetto della natura che intenzione: rispondo, che questo lotalmenle si nega; nè so come possiate dire che la natura non intenda produr le donne, senza le quali la spe- cie umana conservar non si può, di che più che d’ogni altra cosa è desiderosa essa natura. Perciò col mezzo di questa *^oropagnia di maschio e di femina produco i Gglioli, i quali ^ ndono i bcneficii ricevuti in puerizia ai padri già vecchi, bè gli nutriscono, poi gli rinovano col generar essi an- fìgliolì, dai quali aspettano in vecchiezza ricever '*uelto, che essendo giovani ai padri hanno prestato; onde ornatura, quasi tornando in circolo, adempie la eternità, ed lai modo dona la immortalità ai mortali. Essendo adunque ucslo tanto necessaria la donna quanto T uomo, non vedo ”cr qual causa 1’ una sia falla a caso più che 1’ altro. È ben ■ero che la natura intende sempre produr le cose più perfet- te e però intende produr 1’ uomo in specie sua, ma non più màschio che femina; anzi, se sempre producesse maschio, faria una imperfezione; perchè come del corpo e dell’anima visulta un composito più nobile che le sue parti, che è I’ uo- mo: cosi della compagnia di maschio e di femina risulta un composito conservativo della specie umana, senza il quale le parli si deslruiriano. E però maschio e femina da natura son sempre insieme, nè può esser l’un senza l’altro: cosi quello non si dee chiamar maschio che non ha la femina, secondo la difiìnizionc dell’uno c dell’allro; nè femina quella che non ha il maschio. E perché un sesso solo dimostra ira- ■ic Googk- ^g2 IL CORTEGIANO. perfezione, attribuiscono gli antichi teologi V uno e V altro a Dio: onde Orfeo disse che Jove era maschio e femina; e leg- gesi nella Sacra Scrittura che Dio fornnò gli uomini maschio e femina a sua similitudine; e spesso i poeti, parlando dei Dei, confondono il sesso. — XV. Allora il Signor Gaspabo, Io non vorrei, disse, che noi entrassimo in tali sollililà, perchè queste donne non c’in- tenderanno; e benché io vi risponda con ottime ragioni, esse crederanno, o almen mostraranno di credere, eh’ io abbia il torto, e subito daranno la sentenza a suo modo. Pur, poiché noi vi siamo entrati, dirò questo solo, che, come sapete es- ser opinion d’uomini sapientissimi, I’ s’assimiglia alla forma, la donna alla materia; e però, cosi come la forma é più perfetta che la materia, anzi le dà I essere, cosi l’uomo è più perfetto assai che la donna. E ricor orni aver già udito che un gran filosofo in certi suoi problemi dice: Onde é che naturalmente la donna ama sempre qo® uomo che è stato il primo a ricever da lei amorosi piaceri? e per contrario r uomo ha in odio quella donna che è stata la prima a con- giungersi in tal modo con lui? — e, soggiungendo la causa, atTcrma, questo essere perché in tal atto la donna riceve dal- l’uomo perfezione, e l’uomo dalla donna imperfezione; e però ognun ama naturalmente quella cosa che lo fa perfetto, ed odia quella che lo fa imperfetto. Ed, oltre a ciò, grande argomento della perfezion dell' uomo e della imperfezion della donna è, che universalmente ogni donna desidera esser uo- mo, per un certo instinto di natura, che le insegna deside- rar la sua perfezione. — XVI. Rispose subito il Magnifico Jcliano: Le meschine non desiderano Tesser uomo per farsi più perfette, ma per aver libertà, c fuggir quel dominio che gli uomini si hanno vendicato sopra esse per sua propria autorità. E la similitu- dine che voi date della materia e forma non si confà in ogni cosa; perché non così è fatta perfetta la donna dall’uomo, come la materia dalla forma: perché la materia riceve I’ es- ser dalla forma e senza essa star non può, anzi quanto più di materia hanno le forme tanto più hanno d’ imperfezio- ne, e separate da essa son perfettissime; ma la donna non LIBI TERZO. 185 . daU’ uomo , »«UI cosi come essa é fan» riceve lo ancor fa V>^ rfetlo lui; onde V una J r fella da Im» ^ generare 9 la qual cosa far n ^ f:m tarfv”" poi m àonna verso >l primo 00 n cui sia siala , e dell* odio del- , nomo verso la pruna donna , non darò io già a quello che LTvoslro Fdosofo ne* suoi problemi, ma alla fermezza e h'IHà della donna, ed alla ioslabilità dell’ uomo: né senza **.' naturale; perchè essendoli maschio calido, nalural- da quella qualità piglia la leggerezza, il molo e la in- ”**brtà- c, per conlrario, la donna dalla frigidità la quiete * tà ferma, e più Asse impressioni. — ^*^*%Vll- Allora la signora Emilia rivolta al si signor Magni- materie e forme, e maschi e femiiie, e parlale di modo giate inteso; perchè noi avemo udilo e mollo ben inteso Per amor di Dio, disse, uscite una volta di queste vo- fico, . 4“ iAf*YT 1 A _ O Tiri £1 C.é' Il I a (Vim mA a . 1 ! >» n . 1 ... sire che »•«»' detto il signor Ottaviano e ’l signor Ga- . tna or non intendemo già in che modo voi ci difeu- sparo, questo mi par un uscir di proposito, e lasciar diate. D ^ d’ognuno quella mala impressione, che di noi nell questi nostri nemici. — Non ci date questo no- banno ora^ rispose il signor Gaspar, chè più presto si ®®’ . g gl signor Magnifico, il qual col dar laudi false alle mostra che per esse non ne sian di vere. — Soggìun- JnriANo: Non dubitate. Signora, che al lutto ** '• onderà; ma io non voglio dir villania agli uomini cosi si come hanno fatto essi alle donne; e so per senza „ alcuno che scrivesse i nostri ragionamenti, «nri6 ^ ^ » vorrei che poi »n loco dove fossero intese queste male- forme, si vedessero senza risposta gli argomenti e le • ni che il signor Gasparo conira di voi adduce. — Non signor Magnifico, disse allora il signor Gasparo, come gggm negar potrete, che l’uomo per le qualità naturali '"n sia più perfetto che la donna, la quale è frigida di sua ”omples8Ìone, e l’ uomo caUdo; e mollo più nobile e più jier- fello è il caldo che’l freddo, per essere attivo e produttivo; e come sapete, i cieli qua giù tra noi infondono il caldo so- lamente, e non il freddo, il quale non entra nelle opere della Digitized by Google IL CORTEGIANO. torà; e però \o esser le donne frigide di complessione, credo - 0 sia causa della viltà e Umidità loro. — \V111. Ancor volete, rispose il Magnifico Juliano, pur ^i-ar nelle sollililà; ma vederete che ogni volta peggio ve ^^verrà: e che così sia, udite. Io vi confesso che la cali- in sè è più perfetta che la frigidità; ma questo non se- nelle cose miste e composite, perchè, se cosi fosse, quel * pO che più caldo fosse, quel saria più perfetto; il che è ^ ^ perchè i corpi temperali son perfettissimi. Dicovi an- ^ che la donna è di coraplession frigida in comparazion * » uomo, il quale per troppo caldo è distante dal Icmpera- * ^to; ma, quanto in sè, è temperata, o almen più propinqua ^ ^ ^inperamcnto che non è l’uomo, perchè ha in sè quel- li .^ido proporzionalo al calor naturale che nell’ uomo per Y ^opP* siccità più presto si risolve e si consuma. Ha ancor Aa. tal frigidità che resiste e conforta il calor naturale, e Io vicino al temperamento; e nell’ uomo il superfluo caldo fa ^to riduce il calor naturale all’ultimo grado, il quale, -andogli il nutrimento, pur si risolve; e però, perchè ^joniini nel generar si diseccano più che le donne, spesso ?'*jgj.yiene che son meno vivaci che esse: onde questa per- ione ancor si può attribuire alle donne, che, vivendo più gamente che gli nomini, eseguiscono più quello che è in- della natura che gli uomini. Del calore che infondono •*^*icli sopra noi non si parla ora, perchè è equivoco a quello ' ^che ragioniamo; chè essendo conservativo di tutte le cose ^ nInVin luna . rnei raltio <<nn,n r..n.l.l» che SO" gotto ’l globo della luna, cosi calde come fredde, non lauo*'*'" ’ anali rapresentano tosto ie specie allo intelletto, perturbano facilmente per le cose estrinseche. Ve esser contrario al freddo. Ma la timidità nelle donne, llvvenga che dimostri qualche imperfezione, nasce però da iaudabil causa, che è la sottilità e prontezza dei spiriti, i i^edercte ben molle volle alcuni, che non hanno paura nè di morie nè d’ altro, nè con tulio ciò si possono chiamare ardili, perchè non conoscono il pericolo, e vanno come insensati dove ve- dono la strada, e non pensano più; e questo procede da una certa grossezza di spirili ottusi: però non si può dire che un pazzo sia animoso; ma la vera magnanimità viene da una Digitized by GuOgle 185 estimare più ' . benché si i^‘b;‘»^*=*o terzo, t:^»rminata volontà Hi r«» «- -norie ma„ires,a, eoeer di“l conosca 1 « sentimenti non restino impe- tanlo saWo, clmes si spavcnlino, ma faccian rotficio loro circa il dis- e pensare, così come se fossero qaietissimi. Di questa do; e e d’ animo diti nè "^""le^avetno veduto ed inteso esser molli grand’ nomini; me^ “ unente tnoUe donne, le quali, e negli antichi secoli e “ resenti, hanno mostrato grandezza d’animo, e fallo al mondo effetti degni d’ infinita laude, non men che s’abbian fatto «ti aomini’ ~“ Aìlo*' il Frigio, Quegli effetti, disse, cominciarono do la pT**®*^ donna errando fece altrui errar conira Dio, eredità lasciò all’ umana generazion la morte, gli af- ® g I dolori , e tutte le miserie e calamità che oggidì al ^*"”do si sentono. — Rispose il Magnifico Juliano: Poiché sacrestia ancor vi giova d’ entrare, non sapete voi, che Il error medesiroamente fu corretto da una Donna, che •1^® ° molto maggior utilità che quella non n’ avea fatto CI app modo che la colpa che fu pagata con tai meriti si danno, j^jj^jggjma? Ma io non voglio or dirvi quanto di di- ® .®, le creature umane siano inferiori alla Vergine 8®' a Signora, per non mescolar le cose divine in questi ragionamenti; nè raccontar quante donne con in- costanza s’abbiano lasciato crudelmente ammazzare dai lo nome di Cristo, nè quelle che con scienza dis- 4 i nnTU pc* * do hanno confuso tanti idolatri: e se mi diceste, che era miracolo e grazia dello Spirito Santo, dico che virtù merita più lande, che quella che è approvala per " Emonio di Dio. Molte altre ancor , delle quali tanto non si ìona, da voi stesso potete vedere, massimamente leggen- ggn ’jeronimo, che alcune de’ suoi tempi celebra con tan- te maravigliose laudi , che ben penano bastar a qualsivoglia santissimo uomo. XX. Pensale poi quante altre ci sono stale delle quali non si fa menzione alcuna, perché le meschine stanno chiuso senza quella pomposa superbia di cercare appresso il volgo nome di santità, come fanno oggidì moli’ uomini ipocriti ma- ^ 0 Digitized by Google IL CORTEGIANO. A * ti » i quaU , scordati o più presto facendo poco caso della \0d^ 'fia di Cristo, che vuole che quando 1 ’ uom digiuna si ^\oL^^ la faccia perchè non paja che digiuni, e comanda che ,^joni, le elemosine e 1 ’ altre buone opere si facciano jg ^ ^ piazza, nè in sinagoghe, ma in secreto, tanto che la noi* ^^i»'*9ha non sappia della destra , aflfermano, non esser ina*^ mondo che’l dar buon esempio: e cosi, col torlo e gli occhi bassi, spargendo fama di non voler a donne, nè mangiar altro che erbe crude, alTumali, toniche squarciale, gabbano i semplici; che non si pari coti , ^(1 poi da falsar testamenti, mettere inimicizie mortali ^fito e moglie, e talor veneno, usar malie, incanti ed ribalderia; e poi allegano una certa autorità di gUO ^pO che dice. Si non caste lamen caule; e par loro con medicare ogni gran male, e con buona ragione per- qu«^ a chi non è ben cauto, che lutti i peccati, per gravi facilmente perdona Iddio, pur che stiano secreti, eh© ^ fiasca il mal esempio. Cosi, con un velo di santità e con ® ® gecretezza, spesso tulli i lor pensieri volgono a conta- ?!ioare il casto animo di qualche donna; spesso a seminare fratelli; a governare stali; estollere l’uno e deprimer *^.^'ilro‘ far decapitare, incarcerare e proscrivere uomini; ^ * r ministri delle scelerilà e quasi de|H>silarii delle rubane fanno molli principi. Altri senza vergogna si dilettano arer morbidi e freschi, con la colica ben rasa, e ben ve- ^ • ed alzano nel passeggiar la tonica per mostrar le calze ' e la disposiiion della persona nel far le riverenze. Ajfri usano certi sguardi e movimenti ancor nel celebrar la messa, per i quali presumeno essere aggraziali, e farsi mi- ™ re^ l^lalvagi e scelerali uomini, alienissimi non solamente dalla religione, ma d ogni buon costume; e quando la lor vita dissoluta è lor rimproverata, si fan beffe e ridonai di chi lor ne parla, e quasi si ascrivono i vizii a laude. — AUora la signora Emilia: Tanto piacer, disse, avete di dir mal de’ frali, che fuor d’ ogni proposito siete entralo in questo ragiona- mento. Ma voi fate grandissimo male a mormorar dei reli- giosi, e senza ulililù alcuna vi caricale la coscienza: che se non fossero quelli che pregano Dio |>er noi altri, aiemmo terzo. 187 ,, flageH» *he non avemo r- ancor mono ^ disse = Com,. . ^ *^'8® a«ora ina»»*”- — Ri i.,.ixKO, e disse = Come avele voi c- eh’ io frali nona **“°*'®» ®o*i ben indovinato c . ^ chiama " fallo il nomef noa in » ® mormorare “i parlo io ben apcrlo o oh . aratale; aè dioo dai dei malvagi c rei, e dea qudJj ancor non parlo la mille- di ciò ch’io 80. Or non parlale de’ frali, rispose mora Emilia; ch’io per me estimo grave jieccalo l’ascoi- e però io, ver non ascollarvi, levarummi di qui ^vi. Son contento, disse il Magnifico Juliano, non par- ma sinaa parte la signora larvi, . XX-1. Son , r . ’ ■ — " r""*" lar piò questo; ma, tornando alle laudi delle doune, dico he’l signor Gasparo non mi Iroverà uomo alcun singolare, ch’io non vi trovi la moglie, ^figliola, o sorella, di merito eguale e talor superiore: olirà che molte son state causa di 'ntinili beni ai loro uomini, e lalor hanno corretto di molti loro errori. Però essendo, come avemo dimostrato, le donne ^aluralniente capaci di quelle medesime virtù che son gii " mini , essendosene più volte veduto gli efietli, non so **”rchè,* dando loro io quello che è possibile che abbiano e ^*^8so 'hanno avuto e tuttavia hanno, debba esser estimato d^ miracoli, come m’ ha opposto il signor Gasparo; atteso he sempre sono stale al mondo, ed ora ancor sono, donne cosi vicine alla Donna di Palazzo che ho formata io, come uoniiai vicini all’ uomo che hanno formato questi signori Disse allora il signor Gasparo; Quelle ragioni che hanno la esperienza in contrario, non mi pajon buone; e certo s’io vi addimandassi quali siano o siano siale queste gran donne tanto degne di laude, quanto gli uomini grandi ai quali son stale moglie, sorelle o figliole, o che siano loro stale causa di bene alcuno, o quelle che abbiano corretto i loro errori, penso che reslaresle impedito. — XXll- Veramente, ris|)ose il Magnifico Juliano, niuna altra cosa poria farmi restar im(>edito, eccetto la moltitudi- ne- e se’l tempo rui bastasse, vi conlarei a questo propo- sito la istoria d’ Ottavia moglie di Marc’ Antonio e sorella d> Augusto; quella di Porcia figliola di Catone e moglie di rviiolln fli GrBÌri iimalÌA rii 'IaITOqItìÌO PrìSCOZ silo la istoria d’ Ottavia moglie di Marc’ Antonio e sorella d> Augusto; quella di Porcia figliola di Catone e moglie di Bruto; quella di Gaja Cecilia moglie di Tarquinio Prisco; quella di Cornelia figliola di Scipione; e d’ inljnile allre che 188 IL CORTEGIANO. sono notissime: e non solamente delle nostre, ma ancora delle barbare; come di quella Alessandra, moglie pur d’Ales- sandro re de’ Giudei, la quale dopo la morte del marito, ve- dendo i popoli accesi di furore, e già corsi all’arme per am- mazzare doi figlioli che di lui le erano restati, per vendetta dellR crudele e dura servitù nella quale il padre sempre gli avea tenuti, fu tale , che subito mitigò quel giusto sdegno, c con prudenza in un punto fece benivoli ai figlioli quegli g^iiTii che ’l padre con infinite ingiurie in moli’ anni avea falli loro inimicissimi. — DitCcalmen, rispose la signora Emi- lia » come ella fece. — Disse il Magnifico: Questa, vedendo i fìj?li°ii in tanto pericolo , incontenente fece gitlare il corpo (j» Alessandro in mezzo della (piazza; poi, chiamali a sèi cit- tadini» disse, che sapea gli animi loro esser accesi di giuslis- sit»o sdegno contea suo marito, perchè le crudeli ingiurie che esso iniquamente gli avea falle lo meritavano; e che come mentre era vivo avrebbe sempre voluto poterlo far rimanere tal scelerata vita, cosi adesso era apparecchiala a farne fede, c loro ajutar a castigamelo cosi morto, per quanto si poto®» ® P®*"® ®i pigliassero quel corpo, e lo faccssino mangiar ai cani, e lo straziassero con que’ modi più crudeli che ima- gijjar sapeano: ma ben gli pregava che avessero compassione a «jnegli innocenti fanciulli, i quali non potevano non che ave*" ™a pur esser consa|)Cvoli delle male opere del j re. Di tanta ctllcacia furono queste parole, che ’l fiero sj^gno già conceputo negli animi di tutto quel popolo, subito joiligalo, e converso in cosi pialoso alTcllo, che non sola- m^?***® ‘l‘®°acordia elessero quei figlioli per loro signori, ma al corpo del morto diedero onoratissima sepoltura. — Q^ivi fece il Magnifico un poco di pausa; poi soggiunse: sapete voi, che la moglie e le sorelle di Mitridate rao- gjj.jirono molto minor paura della morte, che Mitridate? e la Asdrubale, che Asdrubale? Non sapete che Armo- nia» fio'*®*® Jeron siracusano, volse morire nell’incendio dell^ patria sua? — Allor il FniGio, Dove vada ostinazione, cprlo ù, disse, che talor si trovano alcune donne che mai noo mulariano proposito; come quella che non polendo più jir ni marito forbeci, con le mani glie ne facca segno. — ^ptized by G terzo. 189 Kise À' f e disse: La ostina- a f'"® >r»«-*-uoso s, dee chiamar costanza; lione cWa Epica v» , liberlina romana, che essendo come fu gran cori giura centra di Nerone, fu di consapcvo e ^ slraxi£it£i con tutti i più asperi tormenti (anta costanza possano, mai non palesò alcuno dei com- che ’®*^*?^gdesinio pericolo molti nobili cavalieri e sena- plici; c accusarono fratelli, amici, e le più care ed (ori limiJa”' avessero al mondo. Che direte voi di inliro® P®*" • chiamava Leona? in onor della quale eli queir jnanzi alla porla della ròcca una leona j^teniesi 11*^5?“®» pcr dimoslrar in lei la costante virtù dibronzo perchè essendo essa medesiinamenle con- (IcU^ - «oorrinir»?» r»r\r»lrf» i (irnnnt non Ql Qnnvi^nf/i c\ la morte della congiura conira i tiranni, non sapcYole grandi uomini suoi amici, c per la lorinenli fosse lacerala, mai non pa- infinili c congiurali. — Disse allor madonna Marghe- Icsò aleno ^ Pnrmi che voi narriate Ironno brevemente RITA si spaventò c benché con jlcuno narriate troppo brevemente RITA GoN* ^ .yjfiuose falle da donne; chè se ben questi nostri queste op^ ^^^ lede, mostrano non .«.Amici ■ !«««« qucsi»^ y^i(e e ielle, mostrano non saperle, e vor- ncini®^ I perdesse la memoria: ma se fato che noi riJìtlO ^ 'lirvtnn a» nA farf^mO OflOrG. — ~ riano .gj^jiamo, almen ce ne faremo onore. — altre le >n Juliano, Piacerai , risposo. Or •dirvi d’una, la qual fece quello che io credo che ’l io voglio medesimo confessarà che fanno pochissimi ' signor In Massilia fu già una consuetudine, uomini; ^ gi,e Grecia fosse Iraporlala, la quale era, la ‘1““'°,* niente si servava veneno temperato con cicuta, e elle pumic* jgiiario ^ ei,i approvava al senato doversi le- inccuevas ;„„„mmo(lo che in essa sentisse, ov co ner qualche incommodo che in essa sentisse, ov- la vita, i '^""P"L‘avea o troppo prospera gustalo, in quella non voràsse o questa non mutasse. Rilrovandos. adunque rfo ?òmp=».- - Qxivi il F..™, non aspoll-ondo cho I Ma- ® Lo Joliano passasse piò avanli, Quoslo mi par, disse, <cLrona qualche luuga fabula. - Allora i Magnirico C.r voluilosi ridondo a madonna Mar*hcr,l.a, Eccovi, disse, chc’l Frigio non mi lascia parlare, lo vocia or C\, ^oci C'JOglc 190 IL CORTEGIANO. tarri d’una donna, la quale avendo dimostrate al senato che ragionevolmente dovea morire, allegra e senza timor alcuno tolse in presenza di Sesto Pompeo il veneno, con tanta co- stanza d’animo, e cosi prudenti ed amorevoli ricordi ai suoi, che Pom|>eo e tulli gli altri, che videro in una donna tanto sapere e sicurezza nel tremendo passo della morte , restarono non senza lacrime confusi di molta maraviglia. — XXV. Allora il signor Gasparo, ridendo. Io ancora mi ricordo, disse, aver letto una orazione, nella quale un infe- lice marito domanda licenza al senato di morire, ed approva averne giusta cagione, per non poter tolerare il continuo fa- stidio del cianciare di sua moglie, e più presto vuol bere quel veneno, che voi dite che si servava publicamente per tali ef- fetti, che le parole della moglie. — Rispose il Magnifico Jd- LiA>o: Quante meschine donne ariano giusta causa di doman- dar licenza di morir, per non poter tolerare, non dirò le male parole, ma i malissimi fatti dei mariti! ch’io alcune ne co- nosco, che in questo mondo patiscono le pene che si dicono esser nell’inferno. — Non credete voi, rispose il signor Ga- sparo, che molti mariti ancor siano che dalle mogli hanno tal tormento, che ogni ora desiderano la morte? — E che dis- piacere, disse il Magnifico, possono far le mogli ai mariti, che cosi senza rimedio come son quelli che fanno i ma- riti alle mogli? le quali, se non per amore, almen per timor sono ossequenti ai mariti. — Certo è, disse il signor Gaspar, che Q*^cl poco che lalor fanno di bene procede da timore, perché poche ne sono al mondo che nel secreto dell’animo suo F>cn abbiano in odio il marito. — Anzi in contrario, ri- spo^ il Magnifico; e se ben vi ricorda quanto avete letto, jg tutte le istorie si conosce che quasi sempre le mogli amano i niariti più che essi le mogli. Quando vedeste voi o leggeste mai che un marito facesse verso la moglie un tal segno d’amo- re 1 fece quella Camma verso suo marito? — lo non so, rjgpose il signor Gaspar, chi si fosse costei, nè che segno la 0Ì facesse. — Nè io, — disse il Frigio. Rispose il Magnifi- ca s Uditelo; e voi, madonna Margherita, mettete cura di te- nerlo a memoria. XXVI. Questa Camma fu una bellissima giovane, or- Digitized by C-iogle terzo. 191 .. imta niodcslia e «:es«UI costumi, che non men per ”* .! chTper la maraviiriiosa ; e sopra Ta^e S on '* chiamava Su intervenne che «« «' « &enl,Juomo, il quale era di Sito maggior stalo che S.watto, e quasi tiranno di quella . dovr abitavano, s’i«arooro di questa giovane; e dopo . lungamenle Icnlalo per ogni via e modo d’acquistar- * Ilo in vano, persuadendosi che Io amor che essa por- ® ì* marito fosse la sola cagione che ostasse a’ suoi desi- ammaliar questo Sinatto. Cosi poi sollicilando ^mcnte, non ne potè mai Irar altro frutto che quello continna fallo; onde, crescendo ogni di più questo che pr* jg^ibcrò torta per moglie, benché essa di stato gli amore^oU^ inf®*'*®’^®" t^osi richiesti li parenti di lei da Sino- ^*?***^^ hè cosi si chiamava lo innamoralo), cominciarono a derla a contentarsi di questo, mostrandole, il consen- persua jjblc assai, e ’l negarlo pericoloso per lei e per tutti ^^Essa poi ebbe alquanto contradetto, rispose in esser contenta. 1 parenti fecero intendere la nuova uUnno» qual allegro sopra modo, procurò che subito si * aero le nozze. Venato adnnqne l’ano e Taltro a que- Ilo solennemente nel tempio di Diana, Camma fece ® certa bevanda dolce, la quale essa avea compo- porlar (javanli al simulacro di Diana in presenza di Si- bevvè la metà; poi di sua mano, perchè questo norige^^^^^ s’usava di fare, diede il rimanente allo sposo; il 1 tulio lo bevvè. Camma come vide il disegno suo riu- tutta lieta appiè della imagine di Diana s’inginocchiò, **^dis^’ fi fi®®* conosci lo intrinseco del cor mio, sia- ® . testimonio, come difiicilmente dopo che ’l mio caro ”” sorte mori, contenuta mi sia di non mi dar la morte, e quanta fatica abbia sofferto il dolore di star in questo a vita, nella quale non ho sentito alcuno altro bene o **^cere, fuor che la speranza di quella vendetta che or .mi U-ovo aver conseguila: però allegra e contenta vado a trovar la dolce compagnia di quella anima, che in vita ed in morte t>iù che me stessa ho sempre amala. E tu, scelerato, che pen- sasti esser mio marito, in iscambio del letto nuziale dà or- 192 IL CORTEGIANO. dine che apparecchialo ti sia il sepolcro, ch’io di te fo sa- crificio all’ombra di Sinallo. — Sbigottito Sinorige di queste parole, e già sentendo la virtù del veneno che lo perturbava, cercò molli rimedii; ma non valsero: ed ebbe Camma di tanto la fortuna favorevole, o altro che si fosse, che inanzi che essa morisse, seppe che Sinorige era morto. La qual cosa intendendo, contentissima si pose al letto con gli occhi al cielo, chiamando sempre il nome di Sinalto, e dicendo: 0 dolcissimo consorte, or ch’io ho dato per gli aitimi doni alla tua morte e lacrime e vendetta, nù veggio che più altra cosa qui a far per te mi resti, fuggo il mondo, e questa senza le crudel vita, la quale per te solo già mi fu cara. Vicmmi adunque incontra, signor mio, ed accogli così volonlieri que- sta anima, come essa volentieri a te ne viene: — e di questo modo parlando, e con le braccia aperte, quasi che in quel punto abbracciar lo volesse , se ne mori. Ór dite. Frigio , che vi par di questa? — Rispose il Fbigio: Farmi che voi vorre- ste far piangere queste donne. Ma poniamo che questo ancor fosse vero, io vi dico che lai donne non si trovano più al mondo. — XXVII. Disse il Magnifico: Si trovan si; e che sia ve- ro, udite. A’dì miei fu in Pisa un gentiluomo, il cui nome era messer Tomaso; non mi ricordo di qual famiglia, ancora che da mio padre , che fu suo grande amico , sentissi più volle ricordarla. Questo messer Tomaso adunque, passando uo di sopra un piccolo legnello da Pisa in Sicilia per sue bi- sogne, fu soprapreso d’ alcune fuste de’ Mori, che gli furono adesso cosi all’improviso, che quelli che governavano il le* gncllo non se n’accorsero; e benché gli uomini che dentro ‘iifnndessino assai, pur, per esser essi pochi, e gl» inimici molli, il legnetto con quanti v’eran sopra rimase noi P® ®i Mori, chi ferito e chi sano, secondo la sorte, e cjon essi messer Tomaso, il qual s’ era portato valorosamen- te, morto di sua mano un fratello d’un dei capitani di «luehe fuste. Della qual cosa il Capitanio sdegnato, come poss®*® pensare, della perdila del fratello, volse costui jier suo prigioniwo; e battendolo e straziandolo ogni giorno. Io condusse in arberia, dove in gran miseria aveva deliberalo Digitized by Google terzo. . . .«sua capavo o * S^an pena. Gli altri lutti, chi lenerlo m vita ^„-aUra via, «rtirono in capo d'un tempo liberi perunaecb casa, e riporli» reno alla moglie, che Madonna avea i » é?Mi, la dura vita e ’l grand’af- Argentina a Tomaso viveva ed era continuamente senza speranza , se Dio miracolosamente non per vive qualcosa poi che essa e loro furono chiariti, l'ajulava. j^pri modi di liberarlo, e dove esso medesimo lenialiac di morire, intervenne che una solerle tanto Vingegno e l’ardir d’un suo fìgliolo, che Paolo, che non ebbe risguardo a niuna sorte dì pietà svegliò si chiama^ deiibcrò o morir o liberar il padre: la qual cosa pericolo, di modo che lo condusse cosi cautamente, gli >cnnc Ligorno, die si risapesse in Baiberia eh’ e’ che partito. Quindi raesser Tomaso sicuro, scrisse alla fosse di intendere la libcrazion sua, e dove era, e nioghe» gegucnte sperava di vederla. La buona e gentil * .^r,(Tiunta da tanta e non pensata allegrezza di do- resto, e per pietà e per virtù del figliolo, vedere il ver quale amava tanto, e già credea fermamente non marito» vederlo : letta la lettera, alzò gli occhi al cie- dover il nome del marito, cadde morta in terra; nè lo, c, c « che se le facessero, la fuggita anima più ri- mai con ^ Crudel spettacolo , e bastante a temperar le tornò ne - rilrarle dal desiderar troppo efllcacemente volontà umane , e cnverchic allcgro^^® i ” XXVllL Disse allora ridendo il Frigio: Che sapete voi, non morisse di dispiacere, intendendo che ’l marilo ch’c a n^ — Rispose il Magnifico: Perchè il resto della tornava _ accordava con questo; anzi penso che quel- viia sua n^^^ polendo tolerarc lo indugio di vederlo con gli corpo, quello abbandonasse, e traila dal desiderio subito dove , leggendo quella lettera , era volalo il — Disse il signor Gasparo: Può esser che questa pensi iroppo amorevole, perchè le donne in ogni cosa pmnre s’allaccano allo estremo, che è male; e vedete, che «or essere troppo amorevole fece male a s6 stessa, ed al ma- pcr esse ^ I _ amaiiludinc il piacere di 17 rlto, ed ai figliob, ai quali converse in 194 IL CORTEGIANO. quella pericolosa e desiderala liberazione. Però non dovete già allegar questa per una di quelle donne, che sono stale causa di tanti beni. — Rispose il Magnifico: Io la allego per una di quelle che fanno testimonio, che si trovino mogli che amino i mariti; chè di quelle che siano state causa di molli beni al mondo potrei dirvi un numero infinito, e narrarvi delle tanto antiche che quasi pajon fabule, e di quelle che appresso agli uomini sono state inventrici di lai cose, che hanno meritato esser estimate Dee, come Pallade, Cerere; o delle Sibille, per bocca delle quali Dio tante volte ha par- lato e rivelato al mondo le cose che aveano a venire; e di quelle che hanno insegnalo a grandissimi uomini , come Aspa- sia e Diotima, la quale ancora con sacriiìcii prolungò dieci anni il tempo d’una peste che aveva da venire in Atene. Po- trei dirvi di Nicoslrala, madre d’ Evandro, la quale mostrò le lettere ai Latini; o d'un'alira donna ancor, che fu maestra di Pindaro lirico; e di Corinna e di Saffo, che furono eccel- lentissimo in poesia: ma io non voglio cercar le cose tanto lontane. Dicovi ben, lasciando il resto, che della grandezza di Roma furono forse non minor causa le donne che gli uo- mini. — Questo, disse il signor Gasparo, sarebbe bello da intendere. — XXIX. Rispose il Magnifico: Or uditelo. Dopo la espu- gnazion di Troja molti Trojani, che a tanta ruina avanzaro- no, fuggirono chi ad una via chi ad un’altra; dei quali una parte, che da molte procelle furono battuti, vennero in Ita- lia, nella contrata ove il Tevere entra in mare. Cosi discesi in terra per cercar de’ bisogni loro, cominciarono a scorrere il paese: le donne, che orano restate nelle navi, pensarono tra sè un utile consiglio, il qual ponesse fine al pericoloso e lungo error maritimo , ed in loco della perduta patria una nuova loro ne recuperasse; e, consultale insieme, essendo absenti gli uomini, abriisciarono le navi; e la prima che tal opera cominciò, si chiamava Roma. Pur temendo la iracon- dia dogli uomini i quali ritornavano, andarono conira essi; ed alcune i mariti, alcune 1 suoi congiunti di sangue abbrac- ciando e basciaiido con segno di bcnivolenza , mitigarono quel primo impeto; poi manifestarono loro quietamente la Digitized by Googli LIBRO TERZO. 193 causa del lor prudente pensiero. Onde i Trojani, si per la necessità, si per esser benignamente accettati dai paesani, furono contentissimi tìi ciò che le donne avean fatto, e quivi abitarono coi Latini, nel loco dove poi fu Roma ; e da questo processe il costume antico appresso i Romani , che le donne incontrando basciavano i parenti. Or vedete quanto queste donne giovassero a dar principio a Roma. XXX. Nè meno gfiovarono aUo augumcnto di queIJa le donne sabine, che si facessero le trojane al principio: chè avendosi Romolo concitato generale inimicizia di tutti i suoi vicini per la rapina che fece delle lor donne, fu travaglialo di guerre da ogni banda; delle quali, per esser uomo val<^ roso, tosto s’espedl con vittoria, eccetto di quella de’Sabini, che fu grandissima , perchè Tito Tazio re de’ Sabini era va- lentissimo e savio r onde essendo stato fatto uno acerbo fatto d’arme tra Romani c Sabini, con gravissimo danno dell’ una e dell’altra parte, e<l apparecchiandosi nuova e crudcl bat- taglia, le donne sabine, vestite di nero, co capelli sparsi e lacerati, piangendo , meste, senza timore dell’ arme che già erano per ferir mosse , vennero nel mezzo tra i padri e i ma riti, pregandogli die non volessero macclùarsi le mani del sangue de’ soceri e dei generi; e se pur erano mal conlenli di tal paventato, voltassero l’arme conira esse, chè molto meglio loro era il morire che vivere vedove, o senza padri e fratelli, e ricordarsi ebe i suoi GgUoli fossero nati di chi loro avesse morti i lor p»adri, o che esse fossero nate di chi lor avesse morti i lor mariti. Con questi gemili piangendo, mo le di loro nelle braccia noriavano i suoi piccoli figliobni, dei quali già alcuni cominciavano a snodar la lingua, e parca che chiamar volessero e far festa agli avoli loro; ai qua i c donne .Boslrand» i ^ ... .. p.eu , . c-;- — mollo accrebbe quest IL. CORTEGIANO. 196 delle saggle e magnanime donne ; ie quali in (an(o da Ro- molo furono remunerate, che, dividendo il popolo in trenta curie, a quelle pose i nomi delle donne Sabine. — XXXI. Quivi essendosi un poco il Magnifico Jdliano fermato, e vedendo che ’l signor Gasparo non parlava. Non vi par, disse, che queste donne fossero causa di bene agli loro uomini, e giovassero alla grandezza di Roma? — Rispose il signor Gasparo: In vero queste furono degne di molta laude; ma se voi cosi voleste dir gli errori delle donne come le buone opere, non areste taciuto che in questa guerra di Tito Tazio una donna tradì Roma, ed insegnò la strada ai nemici d’oc- cupar il Capìtolio, onde poco mancò che i Romani tutti non fossero distrutti. — Rispose il Magnifico Juliano: Voi mi fate menzion d’ona sola donna mala, ed io a voi d’infinite buo- ne; ed, oltre le già dette, io potrei addurvi al mio proposito mille altri esempli delle utilità fatte a Roma dalle donne, e dirvi perchè già fosse edificato un tempio a Venere Armala, ed un altro a Venere Calva, e come ordinata la festa delle Anelile a Junone, perché le anelile già liberarono Roma dalle insidie de’ nemici. Ma, lasciando tutte queste cose, quel ma- gnanimo fatto d’aver scoperto la congiurazion di Calilina, di che tanto si lauda Cicerone, non ebbe egli principalmente origine da una vii femina? la quale per questo si porla dir che fosse stata causa di lutto ’l bene che si vanta Cice- rone aver fatto alla republica romana. E so ’l tempo mi ba- stasse, vi mostrarci forse ancor le donne spesso aver cor- retto di molti errori degli uomini; ma temo che questo mio ragionamento ormai sia troppo lungo e fastidioso : perchè avendo, secondo il poter mio, satisfatto al carico datomi da queste signore, penso di dar loco a chi dica cose piu degne d’esser udite, che non posso dir io. — XXXII. Allor la signora Emilia, Non defraudale, disse, le donne di quelle vere laudi che loro sono debite; e ricorda- tevi che se ’l signor Gasparo, ed ancor forse il signor Otta- viano, vi odono con fastidio, noi, c tulli quest’ altri signori, vi adiamo con piacere. — Il Magnifico pur volca por fine, ma (ulte le donne cominciarono a pregarlo che dicesse: onde egli ridendo. Per non mi provocar, disse, per nemico il si- Digitized by Go(^Ie LIBRO TERZO. 197 gnor Gaspar più di quello che egli si sia, dirò brevemenlo d* alcune che mi occorrono alla memoria, lasciandone molte eh’ io potrei dire; poi soggiunse: Essendo Filippo di De- metrio intorno alls città di Chio, ed avendola assediata, mandò un bando , che a tatti i servi che della città foggiva- oo, ed a sé venissero, prometteva la libertà, e le mogli dei ior patroni. Fu tanto lo sdegno delle donne per cosi ignomi- nioso bando, che con l’ arme vennero alle mura, e tanto fe- rocemente combatterono, che in poco tempo scacciarono Fi- lippo con vergogna e danno; il che non aveano potato far gli aomini. Queste medesime donne essendo coi lor mariti, padri e fratelli, che andavano in esilio, pervenute in Leuco- nm, fecero an atto non men glorioso di questo: chè gli Eri- *roi, che ivi erano co’ suoi confederati, mossero guerra a questi Chij; li quali non potendo contrastare, tolsero patto coi ginppon solo * o la camiscia uscir della città. Intendendo c donne cosi vituperoso accordo, si dolsero, rimproverali* egli che lasciando l’ arme uscissero come ignudi tra nemici; e rispondendo essi , già aver stabilito il patto, dissero che Imitassero Io scudo e la lanza e lasciassero i panni, e rispon- dessero ai nemici , questo essere il loro abito. E cosi facendo essi per consiglio delle lor donne ricopersero in gran parte la vergogna, che in tutto fuggir non poteano. Avendo an- cor Ciro in un Tatto d’arme rotto un esercito di Persiani, essi in fuga correndo verso la città incontrarono te lor donne fuor della noria^ :»/.nnira. dissero: Dove fuor della porla, le quali fattesi loro incontra, dissero: Dove uggite voi, vili uomini? vnlnto voi forso nascondervi in Digitized by Googli IL CORTEGIANO. 198 laudi di donne; ed intendere dì molte Spartane, che hanno avuta cara la morte gloriosa dei figlioli ; e dì quelle che gli hanno rifiutati, o morti esse medesime, quando gli hanno veduti usar viltà. Poi, come le donne Saguntine nella ruina della patria loro prendessero l’ arme contra le genti d’An- nibale; e come essendo lo esercito de’ Tedeschi superato da Mario, le lor donne, non potendo ottener grazia di vìver li- bere in Roma al servizio delle Vergini Vestali, tutte s’am- mazzassero insieme coi lor piccoli fìgliolini; e di mille altre, delle quali tutte le istorie antiche son piene. — Allora il si- gnor Gasfzbo, Deh, signor Magnifico, disse, Dio sa come passarono quelle cose; perchè que’ secoli son tanto da noi lontani, che molle bugie si posson dire, e non v’ è chi le ri- provi. — XXXiV. Disse il Hasinrico: Se in ogni tempo vorrete misurare il valor delle donne con quel de^ uomini, trova- rete che elle non son mai state nè ancor sono adesso di virtù punto iofmiorì agli uomini: chè, lasciando quei tanto anti- chi, se venite al tempo che i Goti regnarono in Italia, tro- verete tra loro essere stata una regina Amalasunta, che go- vernò lungamente con maravigliosa prudenza; poi Teodo- linda, regina de’ Longobardi, di singoiar virtù; Teodora, greca imperatrice; ed in Italia fra molte altre fu singolaris- sima signora la contessa Matilda, delle laudi della quale la- Bciarò parlare al conte Ludovico , perché fu della case sua. — Anzi, disse il Conte, a voi tocca, perché sapete ben che non conviene che l’ uomo laudi lo cose sue proprie. — Sog- giunse il Maunuico: e quante donne famose ne’ tempi pas- sati trovate voi di questa nobilissima casa di Montefeltrol quante della casa Gonzaga, da Esle, de’ Pili Se de’ tempi presenti poi parlare vorremo, non ci bisogna cercar esempli troppo di lontano, che gli avemo in casa. Ma io non voglio ajalarmi di quelle che in presenza vedemo, acciò che voi non mostriate consentirmi per cortesia quello che in alcun modo negar non mi potete. E, per uscir dì Italia, ricordatevi che a’ di nostri avemo Veduto Anna regina di Francia, grandis- sima Bìgoora non meno di virtù che di stalo; che se di giu- stizia e clemenza, liberalità e santità di vita, comparare la LIBRO TERZO. 199 vorrete alli re Carlo e Ludovico, deU’unoe dell’aUro de’qualì fu moglie, non la Irovarete punto inferiore d’ essi. Vedete madonna Margherita, figliola di Massimiliano imperatore, la quale con somma prudenza e giustizia inaino a qui ha go- vernato e tuttora governa il stato suo. XXXV. Ma, lasciando a parte tutte T altre, ditemi. Si- gnor Gaspar, qual re o qual principe è stato a’ nostri di cd ancor moli' anni prima in cristianità, che meriti esser com- l|arato alla regina Isabella di Spagna? — Rispose il signor fi*8PARo: Il re Ferrando suo marito. — Soggiunse il Magm- Fico: Questo non negherò io; chè, poiché la Regina lo giudicò *lcgno d’esser suo marito, e tanto lo amò ed osservò, non si può diro ch’el non meritasse d’ esserle comparato; ben credo ‘‘he la ripulazion eh* egli ebbe da lei fosse dote non minor che’J regno di Castiglia. — Anzi, rispose il signor Gaspar, l‘enso io che di molte opere del re Ferrando fosse taudata la •■egina Isabella A.llor il Magnifico, Se i popoli di Spagna, disse, i signori, i privali, gli uomini e le donne, poveri e Ticchi, non si sor» t-utti accordati a voler naentire in laude di lei, non è stato a' lempi nostri al mondo più chiaro esempio di vera bontà, di grandezza d’animo, di prudenza, di reli- gione, d’onestà, di cortesia, di Ubcralilà, in somma d’ ogni virtù, che la regina Isabella; e benché la fama di quella si- gnora in ogni loco e presso ad ogni nazione sia grandissima, quelli che con lei vissero e furono presenti alle sue azioni lutti affermano, questa fama esser nata dalla virtù e menti di lei. E chi vorràcuusiCer^m foperesue, facilmente esser cosi il vero: ché , lasciando infinite cose che fan di questo, e potrebborasi dire se fosse nostro sa che quando essa «menare trovò la maggior parte di Castiglia occupata da* crandr- nientedimeno il tutto recu- però cosi giustificatanaeot* e con lai modo, che i “«J™! che ne furono privati Mg restarono affeiionaUssimi, ,» r, regni sJi con quanlo .nino e ! ,ri «.ta « P»* da potentissimi mimi osi - ” aMimamcnle a lei «« ‘ dar 1’ onor del glorio^^ ’ ® regno di Granata; che in cosi lunga e dmìciM oslmaU, c by Googlr IL CORTEGIANO. 200 comballevano per le facoltà, per la vita, per la legge sua, cd, al parer loro, per Dio, mostrò sempre col consiglio e con la persona propria tanta virtù, che forse a’ tempi nostri po- chi principi hanno avuto ardire non che di imitarla, ma pur d’averle invidia. Oltre a ciò, affermano tutti quegli che la co- nobbero, essere stato in lei tanto divina maniera di gover- nare, che parea quasi che solamente la volontà sua bastasse, perchè senza altro strepito ognuno facesse quello che dove- va; tal che appena osavano gli nomini in casa sua propria e secretamente far cosa che pcnsassino che a lei avesse da dis- piacere: e di questo in gran parte fu causa il maraviglioso giudicio eh’ ella ebbe in conoscere ed eleggere i ministri atti a quelli ofTìcii nei quali intendeva d’ adoperargli; e cosi ben seppe congiungerc il rigor della giustizia con la mansuetu- dine della clemenza c la liberalità, che alcun buono a’ suoi di non fu che si dolesse d’ esser poco remuneralo, nò alcun malo d’ esser troppo castigato. Onde nei popoli verso di lei nacque una somma riverenza, composta d’amore e timore; la quale negli animi di tutti ancor sta cosi stabilita, che par quasi che aspettino che essa dal cielo i miri, e di lassù debba darle laude o biasimo; e perciò col nome suo e coi modi da lei ordinali si governano ancor que’ regni, di maniera che, benché la vita sia mancata, vive l’ autorità, come rota che, lungamente con impelo voltata, gira ancor per buon spazio da sè, benché altri più non la mova. Considerale oltre di que- sto, signor Gasparo, che a’ nostri tempi tutti gli uomini grandi di Spagna c famosi in qualsivoglia cosa, sono stali creati dalla regina Isabella; e Gonsalvo Ferrando, Gran Ca- pitano, molto più di questo si prezzava, che di tutte le sue famose vittorie, e di quelle egregie e virtuose opere, che in pace ed in guerra fatto I’ hanno cosi chiaro cd illustre, che se la fama non è ingratissima, sempre al mondo publicherà le immortali sue lode, c farà fede, che alla età nostra pochi re o gran principi avemo avuti, i quali stali non siano da lui di magnanimità, sapere, e d’ogni virtù superali. XXXVI. Ritornando adunque in Italia dico, che ancor qui non ci mancano eccellentissime signore; che in Napoli avemo due singoiar regine; e poco fa pur in Napoli mori l’al- Digitized LffiRO TERZO. 201 tra regina d’Ongaria, (anto eccellente signora quanto voi sa- late, e bastante di far paragone allo invitto e glorioso re Mattia Corvino, suo marito. Medesimamente la duchessa Isabella d’Aragona » degna sorella del re Ferrando di Napoli ; la quale, come oro nel foco, cosi nelle procelle di fortnna ha mostrata la virtù e *1 valor suo. Se nella Lombardia verrete, v’occorrerà la signora Isabella marchesa di Manina; alle ec- cellentissime virti!i della quale ingiuria si faria parlando cosi sobriamente, come saria forza in questo loco a chi pur vo- lesse parlarne. Pesami ancora che tutti non abbiate cono- sciuta la duchessa Beatrice di Milano sua sorella, per non RVer mai piij g nn a T*a vigliarvi di ingegno di donna. E la du- chessa Eleonora d’ Aragona, duchessa di Ferrara, e madre. *Jl’ana e l’altra di queste due signore eh’ io v’ho nomina- le» fu tale, che lo eecellentissime sne virtù faceano buon te- stimonio a tutto '1 mondo, che essa non solamente era de- figliola di Re , ma che meritava esser regina di mollo maggior stato dm© *mon aveano posseduto tutti i suoi anteces- sori. E, per dirvi «i* mm’ altra, quanti uomini, conoscete voi al mondo, che avessero toleralo gli acerbi colpi della fortuna cosi moderafamemmt.e , come ha fatto la regina Isabella di Na- poli? la quale, dopto la perdita del regno, lo esilio e morte del re Federico suo marito, e duo figlioli, e la prigionia del Duca di Calabria suo primogenito, pur ancor si dimo- stra esser regina, e, ai tal modo sopporla i calamitosi in- commodi della misera povertà, che ad ognuno fa fede che, ancor che ella abbia mutalo fortuna, non ha mutalo con- dizione Lascio ai «ominar influite altre donne di basso gra<lo; come molle Pisane, che alla di- fesa della lor patria eonira Fiorentini hanno Bimi Ra^a I, — semP''’ ale aUe don"® voi ste«, o'.nó;«. oompveoOo'» che Digitized by Google IL CORTEGIANO. 202 esse per il più non sono di valore o meriti inferiori ai padri, fratelli e mariti loro; e che molte sono state causa di bene agli uomini, e spesso hanno corretto di molti loro errori; e se adesso non si trovano al mondo quelle gran regine, che vadano a subjngare paesi lontani, e facciano magni edifìcii, piramidi e città, come quella Tomiris, regina di Scizia, Ar- temisia, Zenobia, Semìramis o Cleopatra, non ci son ancor uomini come Cesare, Alessandro, Scipione, Lucullo, e quegli altri imperatori romani. — XXXVII. Non dite cosi, rispose allora ridendo il Fal- cio, chè adesso più che mai si trovan donne come Cleopatra o Semìramis; e se già non hanno tanti siati, forze e ricchez- ze, loro non manca però la buona volontà di imitarle almen nel darsi piacere, e satisfare più che possano a tutti i suoi appetiti. — Disse il MagniCco Jdliano: Voi volete pur, Fri- gio, uscire de’ termini; ma se si trovano alcune Cleopalre, non mancano infiniti Sardanapali; che è assai peggio. — Non fate, disse allor il signor Gasparo, queste comparazio- ni, nè crediate già che gli uomini siano più incontinenti che le donne; e quando ancor fossero, non sarebbe peggio, per- ché dalla incontinenza delle donne nascono infiniti mali, che non nascono da quella degli uomini: e però, come jeri fu dello, èssi prudentemente ordinato, che ad esse sia licito senza biasimo mancar in tutte l’altre cose, acciò che possano mettere ogni lor forza per manlenerse in questa sola virtù della castità, senza la quale i figlioli sariano incerti, o quello legame che stringe tutto ’i mondo per lo sangue, e per amar naturalmente ciascun quello che ha prodotto, si discioglieria: |ierò alle donne più si disdice la vita dissoluta che agli uo- mini , i quali non portano nove mesi i figlioli in corpo. — XXXV III. Allora il Maonìpico, Questi, rispose, veramente sono belli argomenti che voi fate, e non so perchè non gli inel- tiale in scritto. Ma, ditemi, per qual causa non s’è ordinalo, che negli uomini cosi sia vituperosa cosa la vita dissoluta come nelle donne, atteso che se essi sono da natura più virtuosi e di maggior valore, più facilmente ancora |>oriano mante- nersi in questa virtù della continenza, e i figlioli nè più nè meno sariano certi; chè sebben le donne fossero lascive, Digitized by Google LIBRO TERZO. 205 pnrcliè gli uomini fossero continenti e non consentissero alla lascivia delle donno, esse da sè a sé e senza altro ajoto già non ponan generare. Ma se volete dir il vero, voi ancor co- noscete che noi di nostra autorità ci averne vendicato una li- cenza, per la guaio volerne che i naedesimi peccati in noi siano leggerissimi, © talor meritino laude, e nelle donne non possano a bastanza essere castigali se non con una vitupe- *^a morte, o almen perpetua infamia. Però, poiché questa opinion è invalsa , parrai che conveniente cosa sia castigar oncor acerbamente quelli che con bugie dànno infamia alte ed estimo eli' ogni nobil cavaliere sia obligato a di- . sempre con 1 * arme, dove bisogna, la verità, e mas- simaroenle quando conosce qualche donna esser falsamente ca odiala di poca onestà. — XXXIX. Ed io, rispose ridendo il signor Gaspabo, non 0 amente affermo esser debito d’ ogni nobil cavaliere quello estimo gran cortesia e gentilezza coprir ffua c e errore, ove per disgrazia, o troppo amore, una donna a incorsa ; e cosi veder potete eh’ io tengo più la parte delle onne, dove la ragion nae lo comporta, che non fate voi. Non ®cgo già cho gli Uomini non si abbiano preso nn poco di li- bertà ; e questo perché» sanno, che per la opinion universale ad essi la vita dissoluta non porta così infamia come alle donne; le quali, la imbecillità del sesso, sono molto più inclinate agli appetiti che gli uomini, e se talor si astengono dal satisfare ai suoi desiderii, lo fanno per vergogna, non mchè la volontà uo« sia loro prontissima: e però gli uomini hanno posto loro il t i or d’ infamia per un freno che le tenga quasi per forza in questa virtù, senza la quale, per dir il vero, ariano poco d’ il mondo non ha utilità dalle donne, se nou h> ’u^eraro dei figUoli. Ma ciò non i aZ governano le città, gU e«rm. . . . - » ^er lo aeneraro aei - intervien degli uom i „ i , i ® ^ governano le città, gU esercì- ti, e fanno tante altre «ose d* importanza: il che, po. che vm volete cosi, non vogl io sanessero far le donne; basta che non Io faur»o - iT'^^^Indo è occorso agli nomini far paragon della continer,*^ " hanno superato le donne in questa, virtù come auoo^ ’ ! ii,o hencliè voi non lo con- s»tia(c. E,l io circa „ .ogto rccHatrì •.«« I»'»”» Digttized by Google IL CORTEGIANO. 204r fabule quante avete fatto voi, e rimettovi alla continenza solamente di dui grandissimi signori giovani, e su la vittoria, quale suol far insolenti ancora gli uomini bassissimi: edel- 1 » uino è quella d’Alessandro Magno verso le donne bellissime Dario, nemico e vinto; l’altra di Scipione, a cui, essendo ventiquattro anni, ed avendo in Ispagna vinto per forza mia città, fu condotta una bellissima e nobilissima giovane, presa tra moli’ altre; ed intendendo Scipione, questa esser sposa d’ un signor del paese, non solamente s’astenne da Qgtii allo disonesto verso di lei, ma immaculala la rese al marito, facendole di sopra un ricco dono. Potrei dirvi di Se- nocrale, il quale fu tanto continente, che una bellissima donna cssendosegli colcala accanto ignuda, e facendogli tulle le carezze, ed usando lutti i modi che sapea, delle quai cose era bonissima maestra, non ebbe forza mai di far che mo- strasse pur un minimo segno d’ impudicizia, avvenga che ella in questo dispensasse tutta una notte; e di Pericle, che udendo solamente uno che laudava con troppo efiìcacia la bellezza d’un fanciullo, lo riprese agramente; e di moli’ altri continentissimi di lor propria volontà, e non per vergogna o paura di castigo, da che sono indotte la maggior parte di quelle donne che in tal virtù si mantengono: le quali però ancor con tutto questo meritano esser laudate assai, e chi falsamente dà loro infamia (l’impudicizia è degno, come avete detto, di gravissima punizione. — XL. Allora messer Cesare, il qual per buon spazio ta- ciuto avca. Pensate, disse, di che modo parla il signor Ga- sparo a biasimo delle donne, quando queste son quelle coso eh’ ei dice in laude loro. Ma se ’l signor MagniGco mi con- cede eh’ io possa in loco suo rispondergli alcune poche cose circa quanto egli, al parer mio, falsamente ha detto conira le donne, sarà bene per 1’ uno c per l’ altro : perchè esso si riposerà un poco, e meglio poi potrà seguitare in dir qualche altra eccellenza della Donna di Palazzo; ed io mi terrò per molla grazia l’ aver occasione di far insieme con lui questo olTìcio di buon cavaliere, cioè difender la verità. — Anzi ve nc priego, ris|K>sc il signor Magnifico; chè già a me parca aver satisfatto, secondo le forze mie, a quanto io doveva, e DIgitized by Google LIBRO TERZO. 205 che questo ragionanaenlo fosse ormai faor del proposito aio.— Soggiunse inesser Cesare: Non voglio già parlar della uliiijà che ha il mondo dalle donne, oltre al generar i figlioli: per- chè a bastanza s’ ó dimostrato, quanto esse siano necessarie non solamente all’ esser ma ancor al ben esser nostro ; ma dico, signor Gaspar, che se esse sono, come voi dite, più inclinate agli appetiti che gli uomini, e con tatto questo se ne astengono più che gli uomini, il che voi stesso consentite: sono tanto più degne di laude, quanto il sesso loro è men orlo per resistere agli appetiti naturali ; e se dite che lo anno per vergogna , parmi che in loco d’ una virtù sola no late lor due; chè se in esse più può la vergogna che 1’ ap- petito, e perciò si astengono dalle cose mal fatte, estimo che questa vergogna, che in fine non è altro che timor d’infa- ®*a, sia nna rarissima virtù, e da pochissimi uomini posse- ota. £ s io potessi senza infinito vituperio degli uomini dire come molti d’essi siano immersi nella impudenza, che è il ^«lo contrario a questa virtù, contaminarei queste sante pi^chie che m’ascoltano: e per il più questi tali ingiuriosi ® io ed alla natuara sono uomini già vecchi, i quali fan pro- fessione chi di sacerdozio, chi di filosofia, chi delle santo teggi; e governano lo republiche con quella severità Cato- niana nel viso, cho p»romelte tutta la integrità del mondo; e sempre allegano, il «esso feminile esser incontinentissimo: nè mai essi d’altro si dolgon piìb che del mancar loro il vi- gor naturale per poter satisfare ai loro abominevoli deside- ni, I quali loro restano ancor nell’animo, quando già la na- tura h nega al corpo ; « però spesso trovano modi dove lo forze non sono necessarie. XLI. Ma io non 'voglio dir più avanti; e bastami che mi consentiate che le donne si astengano più dalla vita impn- dica che gli uomini ; « certo è che d’altro freno non sono ritenute, che da quello che esse stesse si mettono: e che sia vero, la più Darlo — . „„ custodite con troppo ielle che men pudì- <3 ai manli p ^ ► gualche bber ■ ^ deside- rio d’ onore, del ouaì'^ ol I conosciute, più parte di stretta guardia, o batto t^s' che che quelle che ha nn. alle donno 206 IL CORTEGIANO. fanno più stima che della vita propria; e se volete dir il vero, osmun di noi ha veduto giovani nobilissimi, discreti, savii, valenti c belli, aver dispensato molt’anni amando, senza la- sciare adrieto cosa alcuna di sollecitudine, di doni, di preghi, di lacrime, in somma di ciò che imaginar si può ; e tutto in vano. £ se a me non si potesse dire, che le qualità mie non meritarono mai eh’ io fossi amalo, allegherei il testimonio di me stesso, che più d’ una volta per la immutabile e troppo severa onestà d’ una donna fui vicino alla morte. — Rispose il signor Gaspabo : Non vi maravigliate di questo : perchè le donne che son pregale sempre negano di compiacer chi le prega ; e quelle che non son pregate, pregano altrui. — XLII. Disse messer Cesabe: io non ho mai conosciuti questi, che siano dalle donne pregati; ma si ben molli, li quali, vedendosi aver in vano tentato e speso il tempo scioc- camente, ricorrono a questa nobil vendetta, e dicono aver avuto abondanza di quello che solamente s’hanno imaginato; e par loro che il dir male e trovar invenzioni, acciò che di qualche nobil donna per lo volgo si levino fabule vituperose, sia una sorte di corlegiania. Ma questi tali, che di qualche donna di prezzo villanamente si dònno vanto, o vero o falso, meritano castigo e supplicio gravissimo; e se talor loro vien dato, non si può dir quanto siano da laudar quelli che tale oflìcio fanno. Chè se dicon bugie, qual scelerità può esser maggiore, che privar con inganno una valorosa donna di quello che essa più che la vita estima? e non per altra causa, che por quella che la devria fare d’ infinite laudi celebrata? So ancora dicon vero, qual pena poria bastare a chi è cosi perfido, che renda tanta ingratitudine per premio ad una donna, la qual, vinta dalle false lusinghe, dalle lacrime finte, dai preghi continui, dai lamenti, dalle arti, insidie e perjnrii, s’ ha lascialo indurre ad amar troppo; poi, senza riservo, s’ è data incautamente in preda a cosi maligno spirto? Ma, per rispondervi ancor a questa inaudita continenza d’Alessandro e rii Scipione, che avete allegala, dico ch’io non voglio ne- gjjre che e l’uno e l’altro non facesse allo degno di molla lau<lo; nientedimeno, acciò che non possiate dire che per raccontarvi cose antiche io vi narri fabule, voglio allegarvi LIBRO TERZO. 207 una doQoa de’ nostri tempi di bassa condizione, la qaaJ mo slrò molto maggior continenza che questi dui grand’ uomini XLln. Dico adunque, che io già conobbi una bella e elicata giovane, il nome della quale non vi dico, per non ar materia di dir male a molti ignoranti, i quali subito che jntendono una donna esser inamorata, ne fan mal concetto. Vuesta adunque essendo lungamente amata da un nobile e R condizionato giiovane, si volse con tutto l’animo e cor suo ad amar lui ; e di questo non solamente io, al quale essa ' sua volontà og^ni cosa conQdentemènte dicea, non altri- menti che 8’ io non dirò fratello ma una sua intima sorella ®*nto, ma tutti quelli che la vedeano in presenza del- smato giovano, erano ben chiarì della sua passione. Cosi nmando essa ferventissimamente quanto amar possa nn amo- nevolissiino animo, durò dui anni in tanta continenza, che ***** non fece segno alcuno a questo giovane d’ amarlo, se *wn quelli che nasconder nonpotea; nè mai parlar gli volse, n a lui accetta lettere, uè presenti, che dell’uno e dei- altro non passai va. mai giorno che non fosse sollecitala: e quanto lo desiderasse, io ben lo. so ; che se talor nascosa- *nente potea aver cosa che del giovane fosse stata , la tenea Jn tante delizie, che parca che da quella le nascesse la vita . bene: n4> pur mai in tanto tempo d’altro com- piacer gli volse che di vederlo e di lasciarsi vedere, e qual- cne volta intervenendo alle feste publiche ballar con lui, come con gli altri. ^ perchè le condizioni dell’ uno e dell’al- tro erano assai con>renienti, essa e’I giovane desideravano Che un tanto amor terminasse felicemente, ed esser insieme manto e moglie. H medesimo desideravano tutti gli altri uo- n anat città, eccello il crudel padre d. lei ; Il qual per una pervo*-sa e strana opinion volse maritarla ad co”n*i r i*» ciò dalla infelice fanciuUa non fu con altro contradette, «ho con amarissime lacrime. Ed sendo successo cosi Itaralo matrimonio, con molla compassion di quel paneetl"' teJperazion dei poveri amanti, non bastò però quest ai ® Soriana per estirpare cosi fondato amor dei co»- - ^^^•‘cossa di t dopo ancor per spazio di venga che essa pruden- Digìtized by Googlc IL COnXEGIANO. 208 tissimamenle lo dissimulasse, e per ogni via cercasse di (ron- car que’ dcsiderii, che ormai erano senza speranza. Ed in questo tempo seguitò sempre la sua ostinata volontà delta continenza; c vedendo che onestamente aver non potea colui che essa adorava al mondo, elesse non volerlo a modo al- cuno, e seguitar il suo costume di non accettare ambasciate, nè doni, nè pur sguardi suoi; e con questa terminata volontà la meschina, vinta dal crudelissimo affanno, e divenuta per la lunga passione estenuatissima, in capo di tre anni se nc mori ; e prima volse ritìutare i contenti e piacer suoi tanto desiderati, in ultimo la vita propria, che la onestà. Nè le man- cavan modi e vie da satisfarsi secretissimamenle, c senza pericoli d’infamia o d’altra perdita alcuna; e pur si astenne da quello che tanto da sé desiderava, e di che tanto era con- tinuamente stimolala da quella persona, che sola al mondo desiderava di compiacere: nè a ciò si mosse per paura, o per alcun altro rispetto, che per lo solo amore della vera virtù. Che direte voi d’ un’ altra? la quale in sei mesi quasi ogni notte giacque con un suo carissimo innamorato ; nientedi- meno , in un giardino copioso di dolcissimi fruiti, invitata dall’ardentissimo suo proprio desiderio, e da’ preghi e la- crime di chi più che la propria vita le era caro, s’astenne dal gustargli ; e, benché fosse presa e legala ignuda nella stretta catena di quelle amale braccia, non si rese mai per vinta, ma con.servò immaculato il fior della onestà sua ? XLIV. Parvi, signor Gasparo, che questi sian alti di continenza eguali a quella d’ Alessandro? il quale , ardentis- simaraente inamorato non delle donne di Dario , ma di quella fama e grandezza che lo spronava coi stimoli della gloria a patir fatiche e pericoli per farsi immortale, non che le altre cose ma la propria vita sprezzava per acquistar no- me sopra lutti gli nomini; e noi ci maravigliamo che con lai pensieri nel core s’astenesse da una cosa la qual molto non desiderava? chè, per non aver mai più veduto quelle donne, non è possibile che in un punto l’amasse, ma ben forse 1‘ tiborriva, per rispetto di Dario suo nemico; ed in (al caso os^ni suo allo lascivo verso di quelle saria stalo ingiuria e non amore: e però non è gran cosa che Alessandro, il quale Digitized by Go< '' le LIBRO TERZO. S09 non meno con la magnanimità che con Tarme vinse il mon- 00, 8 * astenesse da far ingiaria a femine. La continenza an- cor di Scipione è veramente da laudar assai ; nientedimeno w ben considerate , non è da aguagliare a quella di queste ue donne; perchè esso ancora medesimamente si astenne a cosa non desiderata , essendo in paese nemico , capitano aoovo, nel principio d’ una impresa importantissima; avendo nella patria lasciato tanta aspettazion di sèj ed avendo an- cor a rendere conto a giudici severissimi, i quali spesso ca- 'Savano non solamente i grandi ma i pìccolissimi errori ; ® Ira essi sapea averne de’nìmici; conoscendo ancor che, se ramente avesse fatto, per esser quella donna nobilissima ® od un nobilissimo signor maritata, potea concitarsi tanti nemici e talmente , clie molto gli arian prolungala e forse •n fallo tolta la vittoria. Cosi per tante cause e di tanta im- porlanza s’astenne da un leggiera e dannoso appetito, mo- strando continenza ed una liberale integrità: la quale, come SI scrive, gli diede tutti gli animi di quo’ popoli , e gli valse n a fro esercito espugnar con bonivolenza i cori, che orse per forza d* arme sariauo siati inespugnabili; sicchà «lueslo piuttosto «ra stratagcma militare dir si poria, che pura continenza: avvenga ancora che la fama di questo non sia molto sincera, i^ercliè alcuni scritlori d’autorità affer- mano, questa giovane esser stata da Scipione goduta in amorose delizie; ma di quello che vi dico io, dubio alcuno non è. ... il is-azco : Dovete averlo trovalo negli Evan- geli!. _ Io stesso vedalo , rispose messer Cesare e ^rò Cli?" certezza che non polele aver nè voi nè altri che Alcibiade si levasse dal letto di Socrale non altri- rnent. che si facciano i dal letto dei padri ; chè pur strano loco e tempo fi ietto e la notte per contemplar quella pura bellezza , qù Jsi alcnn desiderio disono«t;«^ mamente amando piu label- is... dell’ anta, ebo “I vecchi , ancor che sia corpo, „„„ ,i potea già trovar miglior esemiDi*^^^ ^ continenza degli uomi- IL CORTEGIANO. 210 dii , aslrelto cd obligalo dalla profession sua, che é la filoso- fia, la quale consiste nei buoni coslumi e non nelle parole , vecchio, esausto del vigor naturale, non polendo nè mo- strando segno di potere , s’ astenne da una femina publica , la quale por questo nome solo polea venirgli a fastidio. Più crederei che fosse stalo continente, se qualche segno di ri- sentirsi avesse dimostralo , ed in tal termine usato la conti- nenza; ovvero astenutosi da quello che i vecchi più deside- rano che le battaglie di Venere, cioè dal vino: ma per com- probar ben la continenza senile, scrivesi che di questo era pieno e grave. E qual cosa dir si può più aliena dalla conti- nenza d’ un vecchio, che la ebrietà? o se lo astenerse dalle cose venereo in quella pigra e fredda olà merita tanta lau- de , quanta ne deve meritar in una tenera giovane , come quelle due di chi dianzi v’ ho detto? dello quali 1’ una impo- nendo durissimo leggi a lutti i sensi suoi, non solamente agli occhi negava la sua luce, ma toglieva al core quei pensieri, che soli lungamente erano stati dolcissimo cibo per tenerlo in vita; l’altra, ardente inaraorata, ritrovandosi tante volle sola nelle braccia di quello che più assai che tutto ’l resto del mondo amava, contro sè stessa e conira colui che più che sè stessa le era caro combattendo, vincea quello ar- dente desiderio che spesso ha vinto e vince tanti savii uo- mini- Non vi pare ora, signor Gasparo, che dovessino i scrit- tori vergognarsi di far memoria di Senocrate in questo caso, e chiamarlo per continente? che chi potesse sa]>ere, io met- terei pegno che esso tutta quella notte sino al giorno seguente ad ora di desinare dormi come morto, sepolto nel vino; nè mai , por stropicciar che gli facesse quella femina, potè aprir qli occhi, come se fosse stalo allopialo.— XhVl. Quivi rìsero lutti gli uomini e donne; e la si- 3Dora Emilia, pur ridendo. Veramente, disse, signor Ga- sparo, se vi pensate un poco meglio, credo che Irovarele ancor qualche altro bello esempio di continenza simile a que- Ris|>ose messer Cesahb : Non vi l»ar. Signora , che l>ello esempio di continenza sia quell’ altro che egli ha alle- gato di Pericle? Maravigliomi ben ch’el non abbia ancor ri. cordalo la continenza e quel bel detto che si scrive di colui, r „ -«ibyCo^Ie LIBRO TERZO. 21 i a chi Una donna domandò troppo gran prezzo por una not- te, ed esso le rispose , che non comprava così caro il pen- tirsi. — Rideasi tullavia; e messer Cksark avendo alquanto taciuto. Signor Gasparo, disse, perdonatenai s’io dico il vero, perchè in somma queste sono le miracoloso continenze che di sè stessi scrivono gli uomini, accusando per incontinenti le donne, nelle quali ogni disi veggono inGnitì segni di con- tinenza; ché cerio se ben considerate, non è ròcca tanto inespugnabile nò cosi ben difesa, che essendo combattuta eon la millesima parie delle machine ed insidie, che per espugnar il costante animo d’una donna s’adoprano, non si rendesse al primo assalto. Quanti creati da signori, e da ®ssi fatti ricchi o posti in grandissima estimazione, avendo Relle mani le lor fortezze e ròcche, onde dependeva tolto 1 stato e la vita ed ogni ben loro, senza vergogna o cura d’es- ser chiamati traditori le hanno pertìdamenle per avarizia date a chi non doveanol e Rio volesse che a di nostri di questi tali fosse tanta carestia, che non avessimo molto mag- gior fatica a ritro-var qualcuno che in tal caso abbia fatto quello che dovea , che nominar quelli che hanno mancato. Non vedemo noi la ni’ altri che vanno ogni di ammazzando uomini per le scl'V'e , e scorrendo per mare , solamente per rubar danari? Quanti prelati vendono le cose della chiesa di RioI quanti juriscnnsulti falsilìcano testamenti! quanti per- jurii fanno, quan t ■ falsi leslimonii, solamente per aver de-- nari! quanti medici avvelenano gl’ infermi per tal causai quanti poi per paura della morte fanno cose vihssimel E pur a lune queste cosi eOicaci e dure battaglie spesso «s.sle una tenera e delicata vane • chè molte sonosi trovale, le quali hanno eletto la morie niù’nresto che perder VoBeslà.- XI VII A 11^ . piu presivi V, • „ d sse, messer XLVII. Allora il signor Gasvaro, Quesi®' "' ’ Cesare, credo che- non n al mondo oggnii- — R‘»PO“ covi ben questo cf» a vogh e trovansi, che in fai caso non si cura n ^ *•' Ed or m’ occorre nell’ammo, che quando Capua fC * Sa dai Franzesi, che ancora non è tanto ,0^0 memoria, una bella „ j no ^ .^Jonna capuana css feiRck-vane , Digitized by Google IL CORTEGUNO. 212 condoUa faor di casa saa, dove era stala presa da una com- pagnia di Guasconi, quando giunse al fiume che passa per Capua fìnse volersi attaccare una scarpa , tanto che colui che la menava un poco la lasciò, ed essa subito si gittò nel fiume. Che direte voi d’una contadinella, che non molti mesi fa, a Gazuolo in Mantoana, essendo ita con una sua sorella a raccorre spìche ne’campi, vinta dalla sete entrò in una casa |ier bere dell’acqua; dove il patron della casa, che giovane era , vedendola assai bella e sola, presala in braccio, prima con buone parole poi con minacce cercò d' indurla a far i suoi piaceri; e contrastando essa sempre più ostinatamente, in ultimo con molle battiture e per forza la vinse. Essa cosi scapigfìst^ e piangendo ritornò nel campo alla sorella , nè mai, P®r mollo ch’ella le facesse instanza, dir volse che dis- piacere avesse ricevuto in quella casa; ma tuttavia, cam- minando verso l’albergo, e mostrando di racchetarsi a poco a poco e parlar senza perturbazione alcuna, le diede certe coroni‘ss‘0"*') poi, giunta che fu sopra Oglio, che è il fiume che passa accanto Gazuolo , allontanatasi un poco dalla so- rella, la quale non sapea nè imaginava ciò ch’ella si volesse fare, subito vi sigillò dentro. La sorella dolente e piangendo l’ andava secondando quanto più polca lungo la riva del fiu- me, che assai velocemente la portava all’ ingiù; ed ogni volta che la meschina risorgeva sopra l’acqua, la sorella le gil- java una corda che seco aveva recala per legar le spiche; e benché la corda più d’una volta le pervenisse alle mani, per- chè pur era ancor vicina alla ripa, la costante e delil)erala fanciulla sempre la rifiutava e dilungava da sé; c cosi fug- gendo ogni soccorso che dar le potea vita, in poco spazio ebbe la morte: nè fu questa mossa dalla nobilita di sangue, nè da paura di più crudcl morte o d’ infamia, ma solamente dal dolore della perduta verginità. Or di qui |>otele compren- der, quante altre donne facciano atti degnissimi di memoria che non si sanno, poiché avendo questa, tre di sono, si può dir fallo un tanto testimonio della sua virtù, non si parla di lei, nè pur se ne sa il nome. Ma se non sopragiungea in quei lemjio la morte del vescovo di Mantua zio della signora Duchessa nostra, ben saria adesso quella ripa d’ Oglio , nel LIBRO TERZO. 213 loco onde ella si gittò, ornala d un bellissimo sepolcro, per memoria di cosi gloriosa anima, che meritava tanto più chiara fama dopo la morte, quanto in men nobii corpo vi- vendo era abitala* ■ XL.VI1L Quivi fece naesser Cesare un poco di pausa ; poi soggiunse: A’ miei di ancora in Roma intervenne un si- mil caso; e fu che una bella e nobii giovane romana , es- sendo lungamente seguitata da uno che molto mostrava amarla, non volse mai, non che d’altro, ma d’ un sguardo solo compiacergli; di modo che costui per forza di denari corruppe una sua fante; la quale, desiderosa di satisfarlo per toccarne più denari , persuase alla patrona, che un certo giorno non mollo celebrato andasse a visitar la chiesa di santo Sebastiano: ed avendo il tutto fallo intendere allo amante, e mostratogli ciò che fardovea, condusse la giovane in una di quelle grolle oscure che soglion visitar quasi tutti quei che vanno a santo Sebastiano; ed in questa tacitamente s’era nascosto prima il giovane: il quale, ritrovandosi solo con quella che amava tanto , cominciò con tutti i modi a pregarla più dolcemente che seppe , che volesse avergli com- passione , e mutar la sua passala durezza in amore ; ma poi che vide tutti i prieghi esser vani, si volse alle minacce* non giovando ancora queste , cominciò a batterla neramente- in ultimo, essendo in ferma disposizion d’ ottener lo intento suo, se non altrimenti, per forza , ed in ciò operando il soc- corso della malvagia femina che quivi l’aveva condotta, mai non potè tanto fare che essa consentisse; anzi e con parole e con fatti, benché poche forze avesse, la meschina giovane si difendeva quanto le era possibile: di modo che tra per lo sdegno conceputo, vedendosi non poter ottener quello che volea , tra per la paura che non forse i parenti di lei, se ri- sapeano la cosa, gli ne facessino portar la pena, questo sce- lerato, ajutato dalla fante, la qual del medesimo dubitava, affogò la malavventurata giovane, e quivi la lasciò; e fuggi- tosi, procurò di non esser trovalo. La fante, dallo error suo medesimo acciecata, non seppe fuggire, e presa per alcuni indicii, confessò ogni cosa; onde ne fu come meritava casti- gala. Il corpo della costante e nobii donna con grandissimo Digilized by 214 IL CORTEGIANO. onore fu levalo di quella grotta, e portato alia sepoltura in Roma, con una corona in lesta di lauro, accompagnalo da un numero infinito d’uomini e di donne; tra’ quali non fu alcuno che a casa riportasse gli occhi senza lacrime ; e cosi universalmente da lutto ’l popolo fu quella rara anima non raen pianta che laudala. XL1\. Ma per parlarvi di quelle che voi stesso cono- scete, non vi ricorda aver inteso che andando la signora Fe- lice dalla Rovere a Saona, e dubitando che alcune vele che si erano scoperte fossero legni di Papa Alessandro che la seguitassero, s’apparecchiò con ferma deliberazione se si accostavano, e che rimedia non vi fosse di fuga , di gillarsi nel mare: e questo non si può già credere che lo facesse per leggerezza, perchè voi cosi come alcun altro conoscete ben di quanto ingegno e prudenza sia accompagnala la sin- goiar bellezza di quella signora. Non posso pur lacere una parola della signora Duchessa nostra, la quale essendo vi- vula quindeci anni in compagnia del marito come vedoa , non solamente è stata costante di non palesar mai questo a persona del mondo, ma essendo dai suoi propri! stimolata ad uscir di questa viduità, elesse più presto patir esilio, po- vertà, ed ogn’ altra sorte d’ infelicità, che accettar quello che a tutti gli altri parca gran grazia e prosperità di forlu- — e seguitando pur messer Cesare circa questo, disse la signora Duchessa: Parlate d’altro, e non entrale più in tal proposito, chè assai dell’ altre cose avete che dire. — Sog- giunse messer Cesabe: So pur che questo non mi negherete, signor Gasparo, nè voi. Frigio. — Non già, rispose il Falcio; ma ona non fa numero. — L. Disse allora messer Cesabe: Vero è che questi cosi grandi effetti occorrono in poche donne: pur ancora quelle che resistono alle battaglie d’ amore, tutte sono miracolose; e quelle che talor restano vinte, sono degne di molla com- passione: chè certo i stimoli degli amanti, le arti che usa- no , > lecci che tendono, son tanti e cosi continui, che troppa maraviglia è che una tenera fanciulla fuggir gli possa. Qual giorno, qual’ ora passa mai , che quella combattuta giovane non amante sollecitata con denari, con presenti , e Dr- --dL, LIBRO TERZO^ 215 con tatto quelle cos® che inaaginar sa che le abbiano a pia- cere? A qual tempo affacciar mai si pnò alla finestra , che sempre non veda passar I’ ostinato amante, con silenzio di parole ma con gli occhi che parlano, col viso afllitto e lan- guido, con quegli accesi sospiri, spesso con abondantissime lacrime? Quando mai si parte di casa per andar a chiesa o ad altro loco, che questo sempre non le sia inanzi, e ad ogni voltar di contrata non se le affronti con quella trista passion dipinta negli occhi , che par che allor allora aspetti la morte? Lascio tante attilature, invenzioni, motti, imprese, feste, balli, giochi, maschere, giostre, torniamenti; le quai coso essa conosce tutte esser fatte per sé. La notte poi mai risve- gliarsi non sa, che non oda musica, o almen quello inquieto spirito intorno alle mura della casa gittar sospiri e voci la- mentevoli. Se per avventura parlar vuole con una delle sue fanti , quella , già corrotta per denari , subito ha apparec- chialo un presentuzzo, una lettera, un sonetto, o tal cosa, da darle per parte dello amante; e quivi entrando a pro- posito, le fa intendere quanto arde questo meschino, come non cura la propria vita per servirla; e come da lei ninna cosa ricerca men che onesta, e che solamente desidera par- larle. Quivi a tutte le difficoltà si trovano rimedii , chiavi contrafatte, scale di corde, sonniferi; la cosa si dipinge di poco momento; dannosi esempli di molt’ altre che fanno as- sai peggio; di modo che ogni cosa tanto si fa facile, che essa ninna altra fatica ha, che di dire: Io son contenta; -- e se pur la poverella per un tempo resiste, tanti stimoli |e aggiungono, tanti modi trovano, che col continuo battere rompono ciò che le osta. E molti sono che, vedendo le blan- dizie non giovargli, si voltano alle minacce, e dicono volerle publicar per quelle che non sono ai lor mariti. Altri patteg- giano arditamente coi padri, e spesso coi mariti, i quali, per denari o per aver favori, danno le proprie figliole e mogli in preda conira la lor voglia. Altri cercano con incanti e ma- lie tor loro quella libertà che Dio all’ anime ha concessa : di che si vedono mirabili effetti. Ma io non saprei ridire in mill’anni tutte le insidie che oprano gli uomini per indur le donne alle lor voglie, che son infinite; ed, oltre a quelle Digilized^yjliooglt- IL CORTEGIANO. 216 che ciascnn per sè slesso ritrova, non è ancora mancato chi abbia ingeniosamente conaposlo libri, e postovi ogni stu- dio , per insegnar di che modo in questo si abbiano ad in- gannar le donne. Or pensate come da tante reti possano es- ser sicure queste semplici colombe, da cosi dolce esca invi- tale. E che gran cosa è adunque, se una donna, veggendosi tanto amata ed adorata moli’ anni da un bello , nobile ed accostumalo giovane, il quale mille volte il giorno si mette a pericolo della morte per servirle, nè mai pensa altro che di compiacerle, con quel continuo battere, che fa che l’acqua spezza i durissimi marmi, s’induce finalmente ad amarlo, e, vinta da questa passione , lo contenta di quello che voi dite che essa, per la imbecillità del sesso, naturalmente molto più desidera che l’amante? Parvi che questo error sia tanto grave, che quella meschina, che con tante lusinghe è stata presa, non meriti almen quel perdono, che spesso agli omi- cidi, ai ladri, assassini e traditori si concede? Vorrete voi che questo sia vizio tanto enorme, che, per trovarsi che qual- che donna in esso incorre, il sesso delle donne debba esser sprezzalo in lutto, e tenuto universalmente privo di conti- nenza, non avendo rispetto che molle se ne trovano invit- tissime, che ai continui stimoli d’ amore sono adamantine, o salde nella lor infinita costanza più che i scogli all’onde del mare? — LI. Allora il signor Gasparo, essendosi fermato roesser Cesare di parlare , cominciava per rispondere; ma il signor Ottaviano ridendo. Deh per amor di Dio, disse, datigliela vinta, eh’ io conosco che voi farete poco fruito ; e parrai vedere che v’ acquisterete non solamente tutte queste donne per inimiche, ma ancora la maggior parte degli uomini. — Rise il signor Gasparo, e disse: Anzi ben gran causa hanno le donne di ringraziarmi; perchè s’io non avessi contra- detto al signor Magnifico ed a messer Cesare, non si sa- riano intese tante laudi che essi hanno loro date. — Allora messer Cesare, Le laudi, disse, che il signor Magnifico ed io a verno date alle donne, ed ancora molle altre, erano notissime, però sono state superflue. Chi non sa che senza le donno sentir non si può contento o satisfazione alcuna Digitized by Google LIBRO TERZO. 217 in tolta questa nostra vita, la qoale senza esse saria msfica e priva d’ ogni dolcezza, e più aspera che quella dell’al- pestre fiere? Chi non sa che le donne sole levano de’nostri cori tutti li vili e bassi pensieri, gli affanni, le miserie, e quelle torbide tristezze che così spesso loro sono compagne? E se vorremo ben considerar il vero, conosceremo an- cora, che, circa la cognizion delle cose grandi, non desviano gli ingegni, anzi gli svegliano; ed alla guerra fanno gli uo- mini senza paura ed arditi sopra modo. E certo impossibii è che nel cuor d’uomo, nel qual sia entrato una volta fiamma d’amore, regni mai più viltà; perchè chi ama desidera sem- pre farsi amabile più che può, e teme sempre non gli inter- venga qualche vergogna che lo possa far estimar poco da chi esso desidera esser estimato assai; nè cura d’andare mille volte il siorno alla morte, per mostrar d’esser degno di quel- i’amore: però chi potesse far un esercito d’innamorati, li quali combattessero in presenza delle donne da loro amale, vincerla tutto ’l mondo, salvo so contra questo in opposi to- non fosse un altro esercito medesimamente innamoralo. E. crediate di certo, che l’aver contrastato Troja dieci anni a. tutta Grecia, non procedette d’altro che d’ alcuni innamorati, li quali, quando erano per uscir a combattere, s’armavano in presenza delle lor donne, e spesso esse medesime gli aju- tavano, enei partir diceano lor qualche parola che gl’ infiam- mava, e gli facea più che uomini; poi nel combatfere sa- peano esser dalle lor donne mirati dalle mora e dalle torri ^ onde loro parea che ogni ardir che mostravano, ogni prova chefaceano, da esse riportasse laude: il che loro era il mag^ gior premio che aver potessero al mondo. Sono molli che estimano, la vittoria dei re di Spagna Ferrando ed Isabella contra il re di Granala esser proceduta gran parte dalle don- ne; chè il più delle volte quando usciva l’esercito di Spagna per affrontar grinimici, usciva ancora la regina Isabella con tutte le sue damigelle, e quivi si ritrovavano molli nobili ca- valieri innamorali; li quali fin che giungeano al loco di ve-, der grinimici, sempre andavano parlando con le lor donne: poi, pigliando licenza ciascun dalla sua, in presenza loro an- davano ad incontrar gl’ inimici con quell’ animo feroce che iO IL CORTEGIANO. 218 dava loro amore, e ’l desiderio di far conoscere alle sue si- enore che erano servile da uomini valorosi ; onde molle volle Irovaronsi pochissimi cavalieri spagnoli mellere in fuga od alla morie iiifinilo numero di Mori, mercè delle genlili ed amale donne. Però non so, signor Gasparo, qual perverso giudicio v’abbia indollo a biasimar le donne. LII. Non vcdele voi, che di lulli gli csercizii graziosi e che piacene al mondo a niun allro s’ha da allribuire la cau- sa, se alle donne no? Chi sludia di danzare e ballar leggia- dramenle per allro, che per compiacere a donne? Chi in- londe nella dolcezza della musica per allra causa, che per quesla? Chi a compor versi, almen nella lingua volgare, se non per esprimere quegli affelli che dalle donne sono causa- li? Pensale di quanli nobilissimi poemi saremmo privi, e nella lingua greca e nella Ialina, so le donno fossero siale da’poeli poco eslimale. Ma, lasciando lulU gli altri, non sa- ria grandissima perdila se messer Francesco Petrarca, il qual cosi divinamenle scrisse in quesla nostra lingua gli amor suoi, avesse volto l’animo solamente alle cose Ialine, come aria fallo se l’amor di Madonna Laura da ciò non l’avesse talor desvialo? Non vi nomino i chiari ingegni che sono ora al mondo, e qui presenti, che ogni di partoriscono qualche nobil fruito , e pur pigliano subjelto solamenle dalle !;ellezze o virtù delle donne, fedele che Salomone, volendo t cri vere mislicamenle cose altissime e divine, per coprirle (l’un grazioso velo Anse un ardente ed affettuoso dialogo d'uno iuamoralo con la sua donna, parendogli non poter trovar «jua giù Ira noi similitudine alcuna più conveniente o confor- me alle cose divine, che l’amor verso le donne; ed in tal modo volse darci un poco d’odor di quella divinità, che esso e per scienza e per grazia più che gli altri conoscea. Però non bisognava, signor Gasparo, disputar di questo, o almen con tante parole: ma voi col conlradire alta verità avete im- pedito, che non si sieno intese miirallre coso bolle ed impor- tanti circa la perfezion della Donna di Palazzo. Rispose il signor Gaspabo: Io credo che allro non vi si pos.sa dire; pur .se a voi i>arc che il signor Magnifico non l’abbia adornala a bastanza di buone condizioni, il difollo non è stato il suo. - ::i by ('- > LIBRO TERZO 219 ma di dii ha fallo che più virtù non siano al mondo ; percfaò esso le ha dale tutte quelle che vi sono. — Disse la signora Dcchkssa ridendo; Or vedrete, che ’l signor Magnifico par ancor ne ritroverà qualche altra. — Rispose il Masnifico: In vero, Signora, a me par d'aver detto assai, e, quanto per me, contenlomi di questa mia Donna; e se questi signori non la voglion cosi falla, lassinla a me. — LUI. Quivi tacendo ognuno, disse messer Federico: Signor Magnifico, per stimolarvi a dir qualche altra cosa voglio pur farvi una domanda circa quello che avete voluto che sia la principal professione della Donna di Palazzo, ed è questa: ch’io desidero intendere, come ella debba interte- nersi circa una particolarità che mi par importantissima ; chè, benché le eccellenti condizioni da voi attribuitele includino ingegno, sapere, giudicio, desterilà, modestia, e tanl’ altre virtù, per le quali ella dee ragionevolmente saper intertenere ogni persona e ad ogni proposito, estimo io però che più che alcuna altra cosa le bisogni saper quello che appartiene ai ragionamenti d’amore ; perchè, secondo che ogni gentil cava- liero usa per instrumento d’acquistar grazia di donne quei nobili esercizii, altilalure e bei costumi che a verno nominali a ‘questo effetto adopra medesimamente le parole; e non solo quando è astretto da passione, ma ancora spesso per far onore a quella donna con cui parla ; parendogli che ’l mo etrar d’amarla sia un testimonio che ella ne sia degna, e che la bellezza e meriti suoi sian tanti, che sforzino ognuno a servirla. Però vorrei sapere, come debba questa donna circa tal proposito interfenersi discretamente, e come rispondere a ehi l’ama veramente, e come a chi ne fa dimoslrazion falsa; e se dee dissimular d’intendere, o corrispondere, o rifiuta- re, e come governarsi.— LIV. Allor il signor Magnifico, Bisogneria prima, dis- se, insegnarle a conoscer quelli che simulan d’amare, e quelli che amano veramente; poi, del corrispondere in amore o no, credo che non si debba governar per voglia d’altrui, che di sé stessa. — Disse messer Federico: Insegnatele adunque quai siano i più certi e sicuri segni per discernere l’amor falso dal vero , e di qnal testimonio ella si debba contenUr per Digitized by Googlr 220 IL CORTEGIANO. esser ben chiara dell’ amor^ mostratole. — Rispose ridendo il Magnifico: Io non lo so, perchè gli uomini oggidì sono tanto astuti, che fanno infinite dimostrazion false, e talor piangono quando hanno ben gran voglia di ridere; però bisogneria mandargli all’ Isola Ferma, sotto l’arco dei leali innamorati. Ma acciò che questa mia Donna, della quale a me convien aver particolar proiezione per esser mia creatura, non in- corra in quegli errori eh’ io ho veduto incorrere moli altre, io direi ch’ella non fosse facile a creder d’esser amata; nè facesse come alcune, che non solamente non mostrano di non intendere chi lor parla d’amore, ancora che coperta- mente, ma alla prima parola accettano tutte le laudi che lor son date, ovver le negano d’un certo modo, che è più pre- sto un invitare d’amore quelli coi quali parlano, che ritrarsi. Però la maniera, dell’ interlenersi nei ragionamenti d amore, ' eh’ io voglio che usi la mia Donna di Palazzo, sarà il rifiu- tar di creder sempre, che chi le parla d'amore, 1 ami però, e se quel gentiluomo sarà, come pur molli se ne trovano, pre- suntuoso, e che le parli con poco rispetto, essa gli darà tal risposta, ch’el conoscerà chiaramente che le fa dispiacere; se ancora sarà discreto, ed usarà termini modesti e parole d’amore copertamente, con quel gentil modo che io credo che faria il Corlegiano formalo da questi signori, la donna mostrerà non l’intendere, e tirerà le parole ad altro signifi- cato, cercando sempre modestamente, con quello ingegno e prudenza che già s’ è dello convenirsele, uscir di quel pro- posito. Se ancor il ragionamento sarà tale, eh’ ella non possa simular di non intendere, piglierà il lutto' come iier burla, mostrando di conoscere che ciò se le dica più presto per onc^ varia che perchè cosi sia, estenuando i meriti suoi, ed attri- buendo a cortesia di quel gentiluomo le laudi che esso le da- rà; ed in tal modo si farà tener per discreta, e sarà più sicura dagl’ inganni. Di questo modo |>armi che debba inler- tenersila Donna di Palazzo circa i rasionamcnli d’amore.— LV. Allora messer Federico, Signor Magnifico, disse, voi ragionate di questa cosa, come che sia necessario che lutti quelli che parlano d’amore con donne dicano le bugie, e cer- chino d’ingannarle; il che se così fosse, direi che i vostri do- L.'fQitiZGd by Ct» ■ LIBRO TERZO. 221 comenti fossero buoni ; ma se questo cavalier che interliene ama veramente, e sente quella passion che tanto affligge talor i cori umani, non considerate voi in qnal pena, in qual cala- mità e morte lo ponete, volendo che la donna non gli creda mai cosa che dica a questo proposito? Dunque i scongiuri, le lacrime e tanl’ altri segni , non debbono aver fona alcuna? Guardale, signor Magnifico, cbe non si estimi che, olire alia naturale crudeltà che hanno in sé molte di queste donne, voi ne insegnale loro ancora di più. —Rispose il Magnifico* Io ho dello non di chi ama, ma di chi interliene con ragio- namenti amorosi, nella qual cosa una delle più necessarie condizioni è, che mai non manchino parole; e gl’inamorali veri, come hanno il core ardente, così hanno la lingua fred- da, col parlar rotto, e subito silenzio; però forse non saria falsa proposizione il dire : Chi ama assai , parla poco. Pur di questo credo che non si possa dar certa regola, per la diver- 9ità dei costumi degli uomini ; nè altro dir saprei, se non che la donna sia ben cauta, e sempre abbia a memoria, cbe con molto minor pericolo posson gli nomini mostrar d’amare, che le donne. — LVI. Disse il signor Gaspaeo ridendo : Non volete voi signor Magnifico, che questa vostra così eccellente Donna essa ancora ami , almen quando conosce veramente esser amata? Atteso che se ’l Cortegiano non fosse redamato, non è già credibile che continuasse in amare lei; e cosi le man- cheriano molte grazie, e massimamente quella servitù e ri- verenza, con la quale osservano e quasi adorano gli amanti la virtù delle donne amate — Di questo, rispose il Magnifi- co, non la voglio consigliare io; dico ben che lo amar come voi ora intendete estimo che convenga solamente alle donno ' non maritate ; perchè quando questo amore nou può termi- nare in matrimonio, è forza che la donna n’abbia sempre quel remorso e stimolo che s’ha delle cose illicite, e si metta a pericolo di macular quella fama d’onestà che tanto l’im- porta. — Rispose allora messer Federico ridendo: Questa vo- stra opinion, signor Magnifico, mi par mollo austera, e penso che l’abbiate imparata da qualche predicalor, di quelli che * riprendono le donne inam orale de’ secolari per averne essi -to’ Digilized by GOogle IL COHTEeiANO. 22“2 miglior parte ; e parmi che imponiate troppo dare leggi alle maritate, perchè molte se ne trovano, alle quali i mariti senza causa portano grandissimo odio, e le ofTendono grave- mente, talor amando altre donne, talor facendo loro tutti i dispiaceri che sanno imaginare; alcune sono dai padri mari- tale per forza a vecchi, infermi, schifi e stomacosi, che le fan vivere in continua miseria. E se a queste tali fosse licito fare il divorzio, e separarsi da quelli co’ quali sono mal con- giunte, non saria forse da comportar loro che amassero altri che ’l marito; ma quando, o per le stelle nemiche, o per la diversità delle complessioni, o per qualche altro acci- «lenle, occorre che nel letto, che dovrebbe esser nido di concordia e d’amore, sparge la maledetta furia infernale il seme del suo veneno, che poi produce lo sdegno, il so- spetto e le pungenti spino dell’ odio che tormenta quelle infelici anime, legato crudelmente nella indissolubil ca- tena insino alla morte: perchè non volete voi, che a quella donna sia licito cercar qualche refrigerio a cosi duro fla- gello, e dar ad altri quello che dal marito è non solamente sprezzalo, ma aborrilo? Penso ben, che quelle che hanno i mariti convenienti, e da essi sono amale, non debbano fargli ingiuria; ma l’ altre, non amando chi ama loro, fanno ingiuria a sè stesse. — Anzi a sè stesse fanno ingiuria amando altri che il marito, rispose il Magnifico. Pur, perchè molte volte il non amare non è in arbitrio nostro, se alia Donna di Palazzo occorrerà questo infortunio, che l’odio del marito o l’amor d’altri la induca ad amare, voglio che ella ninna altra cosa allo amante conceda eccetto che l’animo; nè mai gli faccia dimostrazion alcuna certa d’amore, nè con parole, nò con gesti, nò per altro modo, talché esso possa esserne sicuro. — LVIl. Allora messer Robebto da Bari, pur ridendo. Io. <lisse, signor MagniGco, m’appello di questa vostra senten- za, e penso che arerò molti compagni ; ma poiché pur vo- lete insegnar questa rusticità, per dir cosi, alle maritate, vo- lete voi che le non maritale siano esse ancora cosi crudeli e discorlesi? e che non compiacciano almen in qualche cosa i loro amanti? — Se la mia Donna di Palazzo, rispose il signor Digitized by Googic LlBnO TERZO. 225 MagiwJCo, non sara maritala, avendo d’amare, voglio che ella ami ano col qaale possa marilarsi ; né repnlarò già errore che ella gl* faccia qaalche segno d amore: della qual cosa vo- glio insegnarle nna regola aniversale con poche parole, acciò che ella possa ancora con poca fatica tenerla a memoria ; e questa è, che ella faccia latte le dimostrazioni d’amore a chi l’ama, eccetto quelle che potessero indur nell’ animo del- l’amante speranza di conseguir da lei cosa alcuna disonesta. Ed a questo bisogna molto avvertire, perchè è uno errore dove incorrono infinite donne, le quali per l’ordinario niu- n’ altra cosa desiderano più che Tesser belle : e perché lo avere molti inamorati ad esse par testimonio della lor bellezza, mettono ogni studio per guadagnarne più che possono ; però scorrono spesso in costumi poco moderati, e, lasciando quella modestia temperala che tanto lor si conviene, usano certi sguardi procaci, con parole scurrili ed alti pieni d’impuden- za, parendo lor che per questo siano vedute ed udite volon- lieri, e che con tai modi si facciano amare: il che è falso; perchè le dimostrazioni che si fan loro nascono d’nn appe- tito mosso da opinion di facilità, non d’amore. Però voglio che la mia Donna di Palazzo non con modi disonesti paja quasi che s’offerisca a chi la vuole, ed uccelli più che può gli occhi e la volontà di chi la mira, ma coi merili e virtuosi costumi suoi, con la venustà, con la grazia, induca nell’ ani- mo di chi la vede quello amor vero che si deve a (atte le cose amabili, e quel rispetto che leva sempre la speranza di chi pensa a cosa disonesta. Colui adunque che sarà da (al donna amato, ragionevolmente dovrà contentarsi d’ogoi mi- nima dimostrazione, ed apprezzar più da lei un sol sguardo con affetto d’amore, che Tessere in tutto signor d’ogni altra; ed io a cosi fatta Donna non saprei aggiunger cosa alcuna, se non che ella fosse amata da cosi eccellente Cortegiano come hanno formato questi signori, e che essa ancor amasse lui, acciò che e l’uno e T altro avesse totalmente la sua per- fezione. — LVIII. Avendo infin qui detto il signor Magnifico, la- ccasi ; quando il signor Gasparo ridendo, Or, disse, non po- trete già dolervi che ’I signor Magnifico non abbia formalo 224 IL CORTEGIANO. ! ì { I I f la Donna di Palazzo eccellentissima ; e da mo, se una lai se ne trova, io dico ben che ella merita esser estimata eguale al Cortegiano. — Rispose la signora Emilia: Io m’obligo tro- varla, sempre che voi troverete il Cortegiano. — Soggiunse messer Roberto : Veramente negar non si può, che la Donna formata dal signor MagniGco non sia perfettissima; nientedi- meno in queste ultime condizioni appartenenti allo amore parmi pur che esso l’abbia fatta un poco troppo austera, massimamente volendo che con le parole, gesti e modi suoi ella levi in tutto la speranza allo amante, e lo confermi più che ella può nella disperazione ; chè, come ognun sa, li de- siderii umani non si estendono a quelle cose, delle quali non s’ha qualche speranza. £ benché già si siano trovate alcune donne, le quali. Torsi superbe per la bellezza e valor loro, la prima parola che hanno delta a chi lor ha parlato d’amore è stata che non pensino aver mai da lor cosa che vogliano, pur con lo aspetto e con le accoglienze sono lor poi state un poco più graziose, di modo che con gli alti benigni hanno temperato in parte le parole superbe; ma se questa Donna e con gli alti e con le parole e coi modi leva in lutto la speranza, credo che ’l nostro Cortegiano, se egli sarà savio, non l’amerà mai, e cosi essa averà questa imperfezion, di trovarsi senza amante. — LIX. Allora il signor Magnifico, Non voglio, disse, che la mia Donna di Palazzo levi la speranza d’ogni cosa, ma delle cose disoneste, le quali , se ’l Cortegiano sarà tanto cor- tese e discreto come 1’ hanno formalo questi signori, non sofamenle non le spererà, ma pur non le desiderarà; perchè se la bellezza, i cosluAii, l’ingegno, la bontà, il sapere, la modestia, e tante altre virtuose condizioni che alla donna avemo date, saranno la causa dell’ amor del Cortegiano verso lei, necessariamente il fin ancora di questo amore sarà vir- tuoso: e se la nobilitò, il valor nell’arme, nelle lettere, nella musica, la gentilezza. Tesser nel parlar, nel conversar pien di fante grazie, saranno i mezzi coi quali il Cortegiano acquistarà T amor della donna, bisognerà che ’l fin di quello amore sia della qualità che sono i naezzi per li quali ad esso si perviene; olirà che, secondo che al mondo si trovano di- by ijOOglv LIBRO TERZO. 22o verse maniere di t>®Hezze, cosi si trovano ancora diversi dc- eiderii d’ uomini ; e però iiitervien che molli, vedendo una donna di quella bellezza grave, che andando, stando, mot- leguiando, scherzando, e facendo ciò che si voglia, tempera sempre talmente tutti i modi suoi, che induce una certa ri- verenza 'a chi la mira, si spaventano, nè osano servirle* e più presto, tratti dalla speranza, amano quelle vaghe e lusin- ghevoli, tanto delicate e tenere, che nelle parole, negli atti e nel mirar mostrano una certa passion languidelta, che pro- mette pAter facilmente incorrere e convertirsi in amore. Al- cuni, per esser sicuri dagl’inganni, amano certe altre tanto libere e degli occhi e delle parole e dei movimenti, che fan ciò che prima lor viene in animo, con una certa semplicità che non nasconde i pensicr suoi. Non mancano ancor molli altri animi generosi, i quali, parendo loro che la virtù con- sista circa la ditlìcollà, e che troppo dolce vittoria sia il vincer quello che ad altri pare inespugnabile, si voltano fa- cilmente ad amar lo bellezze di quelle donne, che negli oc- chi, nelle parole e nei modi mostrano più austera severità che 1’ altre, per far testimonio che ’l valor loro può sforzare un animo ostinato, e indur ad amar ancor le voglie ritroso e rubelle d’ amore. Però questi tanto conQdenli di sé stessi perchè si tengono securi di non lasciarsi ingannare, amano ancor volentieri certe donne, che con sagacità ed arte pare che nella bellezza coprano mille astuzie; o veramente al- cun’allre, che hanno congiunta con la bellezza una maniera sdegnosetta di poche parole, pochi risi, con modo quasi d’ap- prezzar poco qualunque le miri o le serva. Trovansi. poi certi altri, che non degnano amar se non donne che ncl- r aspetto, nel parlare, ed in lutti i movimenti suoi, portino tutta la leggiadria, tulli i gentil costumi, tutto ’l sapere e tutte le grazie unitamente cumulale, come un sol fior com- posto di tulle le eccellenze del mondo. Sicché, se la mia Donna di Palazzo averà carestia di quegli amori mossi da mala speranza, non per questo reslarà senza amante; perchè non le mancberan quei che saranno mossi e dai meriti di lei, e dalla contìdenza del valor di sé stessi, per lo quale si cono- sccran degni d’ essere da lei amali. — Digilized by 226 IL CORTEGIANO. LX. Messer Roberto por contraddicea, ma la sifirnora Dgcuessa gli diede il torlo, confermando la ragion del signor Magnifico ; poi soggiunse : Noi non abbiam causa di dolersi del signor MagniGco, perché in vero estimo che la Donna di Palazzo da lui formata possa star al paragon del Cortegia- no, ed ancor con qualche vantaggio; perché le ha insegnalo ad amare, il che non han fallo questi signori al suo Corte- giano. — Allora 1’ Unico Aretino, Ben é conveniente, disse, insegnar alle donne lo amare, perchè rare volle ho io veduto alcuna che far lo sappia: ché quasi sempre tolte accompa- gnano la lor licllezza con la crudeltà ed ingratitudine verso quelli che più fedelmente le servono, e che per nobililà, gen- tilezza e virtù merilariano premio de’ loro amori; e spesso poi si danno in preda ad uomini sciocchissimi e vili e da poco, e che non solamente non le amano, ma le odiano. Però, per schifar questi cosi enormi errori, forai era ben in- segnare loro prima il far elezione di chi meritasse essere amalo, e poi lo amarlo; il che degli uomini non é necessa- rio, che pur troppo per sé stessi lo sanno: ed io ne posso es- ser buon testimonio; perchè lo amare a me non fu mai inse- gnalo, se non dalla divina bellezza e divinissimi costumi d’ona Signora, talmente che nell’arbitrio mio non è stato il non adorarla, nonché eh’ io in ciò abbia avuto bisogno d’arleo maestro alcuno; e credo che'l medesimo intervenga a tutti quelli che amano veramente: però piuttosto m con- verria insegnar al Cortegiano il farsi amare, che lo amare. — LXI. Allora la signora Emilia, Or di questo adunque ragionale, disse, signor Unico. — Rispose I’ Unico: Panni che la ragion vorrebbe che col servire e compiacer le donne s’acquistasse la lor grazia; ma quello di che esse si tengon servite e compiaciute, credo che bisogni impararlo dalle me- desime donne, le quali spesso desideran cose tanto strane, che non è uomo che le imaginasse, e talor esse medesime non sanno ciò che si desiderino; perciò è bene che voi, Signora, che sete donna, o ragionevolmente dovete saper quello che piace alle donne, pigliate questa fatica, per far al mondo una tanta utilità. — Allor disse la signora Emilia: Lo esser voi gratissimo universalmente alle donne, è buono ar- UBRO TERZO. 227 momento che sappiate lutti i modi per U qnaii s’ acquista la lor grazia; però è pur conveniente che voi l’insegnate Signora, rispose 1’ U«ico, io non saprei dar ricordo più utile ad uno amante, che i procurar che voi non aveste antorìtà con quella donna, la grazia della quale esso cercasse; per- chè qualche buona condizione, che pur è parato al mondo talor che in me sia, col più sincero amore che fosse mai, non hanno avuto tanta forza di far eh’ io fossi amato, quanta voi di far che fossi odiato. — LXII. Rispose allora la signora Emu.ià: Signor Unico, guardimi Dio pur di pensar, non che operar mai, cosa perchè foste odiato ; chè, oltre ch’io farei quello che non debbo, sa- rei estimata di poco giudici©, tentando lo impossibile; ma io, poiché voi mi stimolate con questo modo a parlare di quello che piace alle donne, parlerò; e se vi dispiacerà, da- tene la colpa a voi stesso. Estimo io adunque, che chi ha da esser amato, debba amare ed esser amabile, e che queste due cose bastino per acquistar la grazia delle donne. Ora, per rispondere a quello di che voi m’accusale, dico che ognun sa e vede che voi siete amabilissimo ; ma che amiate cosi sinceramente come dite sto io assai dubiosa, e forse an- cora gli altri ; perchè l' esser voi troppo amabile, ha causato che siete stato amato da molte donne, ed i gran flumi divisi in più parti divengono piccoli rivi; cosi ancora l’amor diviso in più che in un objelto, ha poca forza: ma questi vostri con- tinui lamenti, ed accusare in quelle donne che avete servite la ingratitudine, la qual non è verìsimile, atteso tanti vostri meriti, è una certa sorte di secrelezza, per nasconder le gra- zie, i contenti e piaceri da voi conseguiti in amore, ed assi- curar quelle donne che v’ amano e che vi si son date in pre- da, che non le publichiale; e però esse ancora si contentano che voi cosi apertamente con altre moslriale amori falsi, per coprire i lor veri : onde se quelle donne, che voi ora mostrale' d’amare, non son cosi facili a crederlo come vorreste, inter- viene perché questa vostra arie in amore comincia ad esser conosciuta, non perch’ io vi faccia odiare. — LXlll. Allori] signor Umeo, Io, disse, non voglio allrv* meoti tentar di confutar le parole vostre, perchè ormai par- — ■.©igitizecl by"G6ogle IL CORTEGIANO. 228 mi cosi fatale il non esser credulo a me la verità, come l’es- ger credulo a voi la bugìa. — Dite pur, signor Unico, rispose la Emilia, che voi non amate così come vorreste che fosse credulo; che se amaste, tulli i desiderii vostri sariano di conipi'ieer la donna amata, e voler quel medesimo che 03<;a vuole: chè questa è la legge d’amore; ma il vostro tanto dolervi di lei denota qualche inganno, come ho detto, o vera- mente fa testimonio che voi volete quello che essa non vuole. yVnzi» disse il signor Umco, voglio io ben quello che essa vuole: che è argomento ch’io l’amo; ma dolgomi perchè essa non vuol quello che voglio io: che è segno che non mi ama, secondo la medesima legge che voi avete allegata. — Rispose la signora Emilia; Quello che comincia ad amare, deve an cora cominciare a compiacere ed accommodarsi totalmente alle voglia della cosa amala, e con quelle governar le sue; e far che i propri! desiderii siano servi, e che l’anima sua isicssa sia come obediente ancilla, nè pensi mai ad altro che a trasformarsi, se possibil fosse, in quella della cosa amala, e questo reputar per sua somma felicità; perchè cosi fan quelli che amano veramente. — Appunto la mia somma felicità, disse il signor Unico, sarebbe se una voglia sola governasse la sua e la mia anima. — A voi sta di farlo, rispose la si- gnora Emilia- Allora messer Bernardo, interrompendo, Certo ^ disse che chi ama veramente, tutti i suoi pensieri, senza che d’aùri gl* mostralo, indrizzi^a servire e compiacere la donna amala? ma perché talor queste amorevoli servitù non son ben conosciute, credo che, oltre allo amare e ser- vire sia necessario fare ancor qualche altra dimostrazione di questo amore tanto chiara, che la donna non possa dissimular di conoscere d’essere amata ; ma con tanta mode- stia però, che non paja che se le abbia poca riverenza. E perciò voi, Signora, che avete cominciato a dir come 1 ani- ma dello amante dee essere obediente ancilla alla amata, in- segnate ancor, di grazia, questo secreto, il quale mi pare importantissimo. — Bise messer Cesare, e disse: Se lo amante è tanto modesto che abbia vergogna di dirgliene, scrivagliele. — Soggiunse la signora Emilia; Anzi, se è tanto discreto ro- Diail ized bv Goo libro terzo. 229 me conviene, prima «he lo faccia inleodere aita donna, de- vesi assecurar di non offenderla. — Disse allora il signor Gii- spABo: A tutte le donne piace Tesser pregate d’amore, ancor che avessero intenzione di negar quello che loro si domanda. — Rispose il magnifico Juliano: Voi v’ingannate mollo; nè io consigliarci il Cortegiano che usasse mai questo termine, se non fosse ben certo di non aver repulsa. — LXV. E che cosa deve egli adunque fare? — disse il signor Gasparo. Soggiunse il Magnifico: Se pur vuole scrivere o par- lare, farlo con tanta modestia e cosi cautamente, che le pa- role primo tentino T animo, e tocchino tanto ambiguamente la volontà di lei, che le lascino modo ed un certo esito di po- ter simulare di non conoscere, che quei ragionamenti impor- tino amore, acciò che se trova difficoltà possa ritrarsi, e mo- strar d’aver parlato o scritto d’altro fine, per goder quelle domestiche carezze ed accoglienze con sicurtà, che spesso le donne concedono a chi par loro che le pigli per amicizia; poi le negano, subito che s’accorgono che siano ricevute pei- di- moslrazion d’amore. Onde quelli che son troppo precipiti, e si avventurano cosi prosunluosamente con certe furie ed osfi- nazioni, spesso le perdono, e meritamente; perché ad ogni nobil donna pare sempre di essere poco estimata da chi senza rispetto la ricerca d’amore prima che T abbia servita. LXVl. Però, secondo me, quella via che deve pigliar il Cortegiano per far noto Tamor suo alla Donna parrai che sia il mostrargliele coi modi più presto che con le parole; chè veramente talor più affetto d’amor si conosce in un sospiro in un rispetto, in un timore, che in mille parole; poi far che gli occhi siano que’fldi messaggieri, che portino Tambasciale del core; perchè spesso con maggior efficacia raostran quello che dentro vi è di passione, che la lingua propria o lettere o altri messi: di modo che non solamente scoprono i pensieri, ma spesso accendono amore nel cor della persona amata; perchè que’vivi spirti che escono per gli occhi, per esser ge- nerati presso al core, entrando ancor negli occhi, dove sono indrìzzati , come saetta al segno , naturalmente penetrano al core come a sua stanza, ed ivi si confondono con quegli altri spirli, e, con quella sottilissima natura di sangue che hanno 20 IL CORTEGIANO. 230 seco, infeUano il sangue vicino al core, dove son pervenuti,- e lo riscaldano e fannolo a sè simile, ed alto a ricevere la impression di quella imagine che seco hanno portata; onde a poco a poco andando e ritornando questi messaggieri la via ]>cr gli occhi al core, e riportando l’esca e ’l focile di bellezza e di grazia, accendono col vento del desiderio quel foco che tanto arde, e mai non finisce di consumare, perchè sempre gli apportano materia di speranza per nutrirlo. Però ben dir si può, che gli occhi siano guida in amore, massimamente se sono graziosi e soavi; neri di quella chiara e dolce negrezza, ovvero azzurri; allegri e ridenti, e cosi grati e penetranti nel mirar, come alcuni, nei quali par che quelle vie che danno esito ai spiriti siano tanto profonde, che per esse si vegga insino al core. Gli occhi adunque stanno nascosi, come alla guerra soldati insidiatori in aguato,- e se la forma di tutto ’l corpo è bella e ben composta, tira a sè ed alletta chi da lon- tan la mira, fin a tanto che s’accosti; e subito che è vicino, gli occhi saettano, ed atTatturano come venefici; e massima- mente quando per dritta linea mandano i raggi suoi negli oc- chi della cosa amata in temiK) che essi facciano il medesimo; pierchè i spirili s’incontrano, ed in quel dolce intoppo l’un piglia le qualità dell’altro, come si vede d’un occhio infer- mo, che guardando fisamente in un sano gli dà la sua in- fermità: sicché a me pare che ’l nostro Cortegiano possa di questo modo manifestare in gran parte l’amor alla sua Donna. Vero è che gli occhi, se non son governali con arte, molte volle scoprono più gli amorosi desiderii a cui l’uom men vor- ria, perchè fuor per essi quasi visibilmente traluceno quelle ardenti passioni, le quali volendo ramante palesar solamente alla cosa amata, spesso palesa ancor a cui più desiderarebbe nasconderle. Però chi non ha perduto il fren della ragione si governa cautamente, ed osserva i tempi, i lochi, e quando Ikisogna s’aslien da quel cosi intento mirare, ancora che sia dolcissimo cibo; perchè troppo dura cosa è un amor publico. LWII. Rispose il conte Lodovico: Talor ancora l’esser publico non nuoce, perchè in tal caso gli uomini spesso esti- mano che quegli amori non tendano al fine che ogni amante desidera, vedendo che poca cura sì ponga per coprirli, nè Digitized by Google LIBHO TiìflZO. 231 jj faccia caso che si sappiano o no; e però col non negar si mendica l*uom una certa libertà di poter publicamente par! c* se“*a sospetto con la cosa^amata; il che non av- viene a quegli che cercano d’esser secreti, perchè pare che speri"®» e siano ricini a qualche gran premio, il quale non >^riaa® che altri risapesse. Ho io ancor veduto nascere ar- denti®S‘*“® amore nel core d’una donna verso uno, a cui per póma non avea pur una minima affezione, solamente per in- tendere che opinione di molti fosse che s’amassero insieme; e causa di questo credo io che fosse, che quel giudicio cosi uni- versale le parca bastante testimonio per farle credere che co- tal fosse degno dell’amor suo, e parea quasi che la fama le por- tasse l’ambasciate per parte dell’amante molto più vere e più degne d’esser credute, che nonaria potuto far esso medesimo con lettere o con parole, ovvero altra persona per lui. Però questa voce publica non solamente talor non nuoce, ma giova. —Rispose il Magnifico : Gli amori de’ quali la fama è ministra son assai pericolosi di far che 1’ uomo sia mostralo a dito- e però chi ha da camminar per questa strada cautamente bi- sogna che dimostri aver nell’ animo mollo minor foco 'che non ha, e contentarsi di quello che gli par poco, e dissimu- lar i desiderii, le gelosie, gli affanni ei piaceri suoi, e rider spesso con la bocca quando il cor piange, e mostrar d’esset prodigo di quello di che è avarissimo ; e queste cose son tanto difficili da fare, che quasi sono impossibilL però se ’l nostro Corlegiano volesse usar del mio consiglio, io lo confor- tarci a tener secreti gli amor suoi. — LXVllI. Allora messer Bebnardo, Bisogna, disse, adun- que che voi questo gli insegnate, e parmi che non sia dì piccola importanza; perchè, oltre ai cenni, che talor alcuni cosi copertamente fanno, che quasi senza movimento alcuno quella persona che essi desiderano nel volto e negli occhi lor legge ciò che hanno nel core, ho io talor udito tra dui ina- morati un lungo e libero ragionamento d’ amore, dal quale non poteano però i circostanti intender chiaramente parli- cularilate alcuna, nè certificarsi che fosse d’amore: e questo per la discrezione ed avvertenza di chi ragionava; perchè, senza far dimostrazione alcuna d’ aver dls^^lacctc è’ essere Digitized by Giioglc 252 IL COHTKGIANO. I ascoltati, dicevano secretamente quelle sole parole che im- portavano, ed altamente tutte 1’ altre, che si poteano accom- modare a diversi propesiti. — Allora messer Fedebico, Il par- lar, disse, cosi minatamente di queste avvertenze di secre- tezza, sarebbe uno andar drieto all’ infinito ; però io vorrei piuttosto che si ragionasse un poco, come debba lo amante mantenersi la grazia della sua donna, il che mi par molto piò necessario. — LXiX. Rispose il Magnitico : Credo che que’ mezzi che vogliono per acquistarla, vagliano ancor per mantenerla ; e tutto questo consiste in compiacer la donna amala senza of- fenderla mai : però saria ditficile darne regola ferma; perchè per infiniti modi chi non è ben discreto fa errori talora che pajon piccoli, nientedimeno offendono gravemente l’animo della donna ; e questo inlervien, più che agli altri, a quei che sono astretti dalla passione: come alcuni, che sempre che hanno modo di parlare a quella donna che amano, si lamen- tano e dolgono cosi acerbamente, e voglion spesso cose tanto impossibili, che per quella importunità vengon a fastidio. Al- tri, se son punti da qualche gelosia, si lascian di tal modo trapportar dal dolore, che senza rìsguardo scorrono in dir mal di quello di chi hanno sospetto, e talor senza colpa di colui, ed ancor della donna, e non vogliono eh’ ella gli parli, o pnr volga gli occhi a quella parte ove egli è ; e spesso con questi modi non solamente offendon quella donna, ma son causa eh’ ella s’ induca ad amarlo : perché ’l timore che mostra talor d’avere uno amante, che la sua donna non lasci lui per quell’auro, dimostra che esso si conosce inferior di me- riti e di valor a colui, e con questa opinione la donna si move ad amarlo, ed, accorgendosi che per mettergliele in disgrazia se ne dica male, ancor che sia vero, non lo crede, e tuttavia l’ama più. — LXX. Allora messer Cesare ridendo. Io, disse, confesso non esser tanto savio, che potessi astenermi di dir male d’un mio rivale, salvo se voi non m’ insegnaste qualche altro mi- glior modo da minarlo. — Rispose ridendo il signor Magni- fico : Dicesi in proverbio, che quando il nemico è nell’ acqua inaino alla cintura, se gli deve porger la mano, e levarlo del Digitized by Google LIBRO TERZO. 233 pericolo ma quando v’è inaino al mento, mettergli il piede in sul capo, e sommergerlo tosto. Però sono alcuni che que- sto fanno co’ suoi rivali, e fin che non hanno modo ben si- curo di minargli, vanno dissimnlando, e piuttosto si mostran loro amici che altrimenti; poi se la occasion s’ offerisce lor tale, che conosran poter precipitargli con certa ruìna, dicen- done tutti i mali, o veri o falsi che siano, lo fanno senza ri servo, con arte, inganni, e con tolte le vie che sanno imagi- nare. Ma perchè a me non piacerla mai che ’l nostro Corte- giano usasse inganno alcuno, vorrei che levasse la grazia deir amica al suo rivale non con altra arte che con l’ amare, col servire', e con 1’ essere virtuoso, valente, discreto e mo- desto; in somma col meritar più di lui, e con 1’ esser in ogni cosa avvertito e prudente, guardandosi da alcune sciocchezze inette, nelle quali spesso incorrono molti ignoranti, e per di- verse vie : chè già ho io conosciuti alcuni, che, scrivendo e parlando a donne, usano sempre parole di Politilo, e tanto stanno in su la sottilità della retorica, che quelle si diffidano di sé stesse, e si tengon per ignorantissime, e par loro un’ora mill’anni finir quel ragionamento, e levarsegli da- vanti; altri si vantano senza modo; altri dicono spesso cose che tornano a biasimo e danno di sè stessi: come alcuni, dei quali io soglio ridermi, che fan profession d’inamorati, e talor dicono in presenza di donne : Io non trovai mai donna che m’ amasse ; — e non si accorgono che quelle che gli odono subito fan giudicio che questo non possa nascere d’al- tra causa, se non perché non meritino nè esser amati, nè pur l’acqua che bevono, e gli tengon per uomini da poco, nè gli amerebbono per tutto l’oro del mondo; parendo loro che se gli amassero sarebbono da meno che tutte l’ altre che non gli hanno amati. Altri, per concitar odio a qualche suo rivale, son tanto sciocchi, che pur in presenza di donne di- cono: Il tale è il più fortunato uomo del mondo ; che già non è bello, nè discreto, né valente, nè sa fare o dire più che gli altri, e por tutte le donile l’amano e gli eorron drieto;— e così mostrando avergli invidia di questa felicità, ancora che colui nè in aspetto né in opere si mostri essere amabile, fanno credere che egli abbia in sè qualche cosa secreta, per 20 * Digiiized by Google 234 IL CORTIGIANO. la quale meriti l’amor di tante donne; onde quelle che di lui . aenton ragionare di tal modo, esse ancora per questa credenza si movono molto più ad amarlo. — LXXI. Rise allor il Conte Ludovico, e disse: Io vi pro- metto, che queste grosserie non userà mai il Cortegiano di- screto per acquistar grazia con donne. — Rispose messer Cs- siRE Gonzaga: Nè men queli’allra che a’ miei di usò un gentiluomo di molla estimazione, il qual io non voglio nomi- nare per onore degli uomini. — Rispose la signora Duchessa: Dite almen ciò che egli fece. — Soggiunse messer Cesare: Costui essendo amalo da una gran signora, richiesto da lei venne secretamenle in quella terra ove essa era; e poiché la ebbe veduta, e fu stato seco a ragionare quanto essa e ’l tempo comportarono, partendosi con molle amare lacrime e sospiri, l>er testimonio dell’estremo dolor ch’egli sentiva di tal parli- la, le supplicò ch’ella tenesse continua memoria di lui; e poi soggiunse, che gli facesse pagar l’osteria, perchè essendo stato richiesto da lei, gli parea ragione che della sua venula non vi sentisse s{)esa alcuna. — Allora tutte le donne comin- ciarono a ridere, e dir che costui era indegnissimo d’esser chiamalo gentiluomo; e molti si vergognavano per quella ver- gogna che esso meritamente aria sentila, se mai per tempo alcuno avesse preso tanto d’intelletto, che avesse potuto co- noscere un suo cosi vitu|)croso fallo. Voltossi allor il signor Gaspar a messer Cesare, e disse: Era meglio restar di nar- rar questa cosa per onor delle donne, che di nominar colui jier onor degli nomini; che ben potete imaginare che buon giutlicio avea quella gran signora, amando un animale cosi irrazionale, e forse ancora che di molli che la servivano aveva eletto questo per lo più discreto, lasciando adrieto e dando disfavore a chi costui non saria stalo degno famiglio.— Rise il conto Ludovico, e disse: Chi sa che questo non fosse discreto nell’allr® cose, e peccasse solamente in osterie? Ma molle volte por soverchio amore gli uomini fanno gran sciocchez- ze; c se volete dir il vero, forse che a voi lalor è occorso farne P'o d’una J^XXtl. Risjiose ridendo messer Cesare: Per vostra fè, non scopriamo i nostri errori. — Pur bisogna scoprirli, rispose UBBO terzo 235 il signor Gaspako, per sapergli correggere; — poi soggiunse: Voi, signor MagniGco, or che ’l Corlegian si sa guadagnare e mantener la grazia della sua signora, e tórla ai suo rivale, sete debilor d’insegnaili a tener secreti gli amori suoi.— Ri- spose il Magnifico: A me par d’aver detto assai: però fate mo che un altro parli di questa secretezza. — Allora messer itemardo e tutti gli altri cominciarono di nuovo a fargli in- stanza; e '1 Magnifico ridendo. Voi, disse, volete tentarmi; troppo sete tutti ammaestrali in amore : pur, se desiderate saperne più, andate e si vi leggete Ovidio. — E come, disse messer Bbbnardo, debb’ io sperare che i suoi precetti vagliano in amore, poiché conforta e dice esser benissimo, che 1 uom in presenza della innamorata finga d’esser imbriaco? (vedete che bella maniera d’acquistar grazia!) ed allega per un bel modo di far intendere, stando a convito, ad una donna d’es- sere inamorato, lo intingere un dito nel vino, e scriverlo in su la tavola. — Risposo il Magnifico ridendo : In que tempi non era vizio. — E però, disse messer Bbrnardo, non dispia- cendo agii uomini di qne’ tempi questa cosa tanto sordida, è da credere che non avessero cosi gentil maniera di servir donne in amore come abbiam noi ; ma non lasciamo il pro- posito nostro primo, d’insegnar a tener l’amor secreto. LXXllI. Allor il Magnifico, Secondo me, disse, per tener l’amor secreto bisogna fuggir le cause 'che lo publica- no, le quali sono molle, ma una principale, che é il voler esser troppo secreto, e non fidarsi di persona alcuna: perchè ogni amante desidera far conoscer le sue passioni alla amala, ed essendo solo è sforzalo a far molle più dimostrazioni e più etBcaci, che se da qualche amorevole e fedele amico fosse ajutato; perchè le dimostrazioni che lo amante islesso £a j danno molto maggior sospetto, che quelle che fa per inler-, nuDzii: e perchè gli animi umani sono naturalmente curiosi, di sapere, subito che ano alieno comincia a sospettare, mette tanta diligenza, che conosce il vero, e conoscintolo, non ha rispetto di publicarlo, anzi talor gli piace; il che non inter- viene dell’ amico, il qual, oltre che ajuti di favore e di con- siglio, spesso rimedia quegli errori che fa il cieco inamora- to, e sempre procura la secretezza, e provede a molle cose Digitized by Googic 236 ‘ It CORTEGIANO. alle quali esso proveder non può; olire cfae grandissimo re- frigerio si sente dicendo le passioni e sfogandole con amico cordiale, e medesimamente accresce mollo i piaceri il poter comunicargli. — LXXIV. Disse allor il signor Gasparo: Un’altra causa publica molto più gli amori clic questa. — E quale? — rispose il Magnifico. — Soggiunse il signor Gaspar: La vana ambizione congiunta con pazzia e crudeltà delle donne, le quali, come voi stesso avete detto, procurano quanto più possono d’aver gran numero d’inaroorati, e tutti, se possibil fosse, vorriano che ardessero, c fatti cenere, dopo morte tornassero vivi per morir un’altra volta; e benché esse ancor amino, pur go- dono del tormento degli amanti, perchè estimano che ’l do- lore, le afflizioni e ’l chiamar ognor la morte, sia il vero testimonio che esse siano amate, e possano con la loro bel- lezza far gli uomini miseri e beali, c dargli morte e vita co- me loro piace; onde di questo sol cibo si pascono, e tanto avide ne sono, che acciò che non manchi loro, non conten- tano nè disperano mai gli amanti del tutto; ma per mante- nergli continuamente negli affanni e nel desiderio usano una certa imperiosa austerità di minacce mescolate con speran- za, e vogliono che una loro parola, un sguardo, un cenno sia da essi riputalo per somma felicità; e per farsi tener pudiche e caste, non solamente dagli amanti ma ancor da tutti gli altri, procurano che questi loro modi asperi o discorlesi siano publicì, acciò che ognun pensi che, poiché cosi mal trattano quelli che son degni d’essere amati, mollo pegtgio debbano trattar gl’indegni: e spesso sotto questa credenza, pensandosi esser sicure con tal’ arte dall infa- mia , si giaccno tutte le notti con uomini vilissimi, e da esse appena conosciuti, di modo che per godere delle calamità e continui lamenti di qualche nobil cavaliere e da esse ama- lo, negano a sé stesse que’ piaceri che forse con qualche escusa*'®" Potrebbono conseguire; e sono causa che ’l po- vero amante per vera disperazion è sforzalo usar modi donde »' publica quello che con ogni industria s’averia a tener secrelissimo. Alcun’ altre sono, le quali se con inganni possono indurre molti a credere d’esser da loro amali, nulri- Didilized b\ LIBRO TERZO. 237 scono Ira essi le gelosie, col fa*" carezze e favore all’uoo in presenza dell’ altro ; e quando veggon che quello ancor che esse più amano già si confida d’csser amato per le dimostra- zioni fattegli, spesso con parole ambigue e sdegni simulali lo sospendono, e gli trafiggono il core, mostrando non curarlo e volersi in tutto donare all’allro; onde nascono odii, inimi- cizie ed infiniti scandali e mine manifeste, perchè forza è mostrar l’estrema passion che in tal caso l’uom sente, ancor che alia donna ne risulti biasimo ed infamia. Altre, non con- iente di questo solo tormento della gelosia, dopo che l’amante ha fatto tulli i lestimonii d’amore e di fedel servitù, ed esse ricevuti l’hanno con qualche segno di corrispondere in beni- volenza, senza proposito e quando men s’aspetta cominciano a star sopra di sè, e mostrano di credere che egli sia intie- pidito, e fingendo nuovi sospetti di non esser amate, accen- nano volersi in ogni modo alienar da lui : onde per questi in- convenienti il meschino per vera forza è necessitalo a ritor- nare da capo, • far le dimostrazioni, come se allora comin- ciasse a servire; o tutto di passeggiar per la contrada, e quando la donna si parte di casa accompagnarla alla chiesa ed in ogni loco ove ella vada, non voltar mai gli occhi in al- tra parte: e quivi si ritorna ai pianti, ai sospiri, allo star di mala voglia; e quando se le può parlare, ai scongiuri, alle biasleme, alle disperazioni, ed a lutti quei furori, a che gl’infelici inamorati son condotti da queste fiere, che hanno più sete di sangue che le tigri. LXXV. Queste lai dolorose dimostrazioni son troppo ve- dute e conosciute, e spesso più dagli altri che da chi le cau- sa ; ed in tal modo in pochi di son tanto publiche, che non si può far un passo né un minimo segno, che non sia da mille occhi notato. Intervien poi, che mollo prima che siano tra essi i piaceri d’amore, sono creduti e giudicali da lutto ’l mondo, perchè esse, quando pur veggono che ramante già vicino alla morte, vinto dalla crudeltà e dai strazi! usatigli delibera determinatamente e da dovero di ritirarsi, allora cominciano a dimostrar d’amarlo di core, e fargli tulli i pia- ceri, e donarsegli, acciò che essendogli mancalo quell’ ar- dente desiderio, il frullo d’amor gli sia ancor men gralo, e DiùitizaJ Googir 238 IL CORTEGIANO. ad esse abbia minor obligazione, per far ben ogni cosa al contrario. Ed essendo già tal amore notissimo, sono ancor in que’ tempi poi notissimi tutti gli etTetti che da quel procedo- no; cosi restano esse disonorate, e lo amante si trova aver perduto il tempo e le fatiche, ed abbreviatosi la vita negli affanni, senza frutto o piacer alcuno; per aver conseguito i suoi desiderii non quando gli sariano stati tanto grati che l’arian fatto felicissimo, ma quando poco o niente gli apprez- zava, per esser il cor già tanto da quelle amare passioni mor- tifìcato, che non tenea sentimento più per gustar diletto o contentezza che se gli offerisse. — LXXVI. Allor il signor Ottaviano ridendo, Voi, disse, siete stato cheto un pezzo e retirato dal dir mal delle donne; |K>i le avete cosi ben tocche, che par che abbiale aspettato per ripigliar forza, come quei che si tirano a drielo per dar maggior incontro ; e veramente avete torto, ed oramai do- vreste e.sser mitigato. — Rise la signora Emilia, e rivolta alla signora Duchessa, Eccovi, disse. Signora, che i nostri av- versarii cominciano a rompersi e dissentir l’un dall’ altro. — Non mi date questo nome, rispose il signor Ottaviano, per- ch’ io non son vostro avversario ; èromi lien dispiaciuta que- sta contenzione, non perchè m’ increscesse vederne la vitto- ria in favor delle donne, ma perchè ha indotto il signor (iasparo a calunniarle più che non dovea, e ’l signor Magni- fico e messer Cesare a laudarle forse un poco più che ’l de- bito ; oltre che per la lunghezza del ragionamento avemo fierdulo d’intender moli’ altre belle cose, che restavano a dirsi del Cortegiano. ; — Eccovi, disse la signora Emilia, che pur siete nostro avversario; e perciò vi dispiace il ragionamento passato, nè vorreste che si fosse formalo questa cosi eccel- lente Donna di Palazzo: non perchè vi fosse altro che dire sopri! it Corlegiano, |)crchè già questi signori han dello quanto sapeano, nè voi, credo, nè altri iwtrebhc aggiungervi I>iù cosa alcuna; ma per la invidia che avete all’ onor delle donne-' — I^XXVII. Certo è, risjiose il signor Oitaviano, che, ol- tre allo dette sopra il Cortegiano, io ne desiderare! molle altre ; 1*“*’ P®'ché ognun si contenta eh’ ci sia tale, io ancora I Digitized by ^ -j J LIBRO TERZO. 239 me ne contento; nè in altra cosa lo malarei, se non in farlo un poco più amico delle donne che non è il signor Gaspar, ma forse non tanto quanto è alcuno di questi altri signori. Allora la signora Duchessa, Bisogna, disse, in ogni modo che noi veggiamo, se l’ingegno vostro è tantoché basti a dar maggior perfezione al Cortegiano, che non han dato questi 8/gnori. Però siate contento di dir ciò che n’avete in animo: a/lrimenti noi pensaremo che nè voi ancora sappiate aggiun- gergK più di quello che s’ è detto, ma che abbiate voluto de- Iraere alte laudi della Donna di Palazzo, parendovi ch’ella sia eguale al Cortegiano, il quale perciò voi vorreste che si credesse che potesse esser molto più perfetto che quello che hanno formato questi signori. — Rise il signor Ottaviano, e disse: Le laudi e biasimi dati alle donne più del debito hanno tanto piene l’orecchie e l’animo di chi ode, che non han la- scialo loco che altra cosa star vi possa ; oltra di questo, se- condo me, l’ora è molto tarda. — Adunque, disse la signora Duchessa, aspettando insino a domani aremo più tempo; e quelle laudi e biasimi che voi dite esser stati dati alle donne dell’una parte e Tallra troppo eccessivamente, frattanto usci- ranno dell’ animo di questi signori, di modo che por saranno capaci di quella verità che voi direte Cosi parlando la si- gnora Duchessa, levossi in piedi, e cortesemente donando licenza a tutti, si ritrasse nella stanza sua più secreta, ed ognuno si fu a dormire. Digitized by Google IL QUARTO LIBRO DEL CORTEGIANO OH COTTO BlUJMàK ClSTIGUOm A MESSER ALFONSO ARIOSTO. I Pensando io di scrivere i ragionamenli che la quarla sera dono le narrale nei precedenti libri s’ebbero, sento tra Tarii diUrsi uno amaro pensiero che nell’an.nao m. percu^ te e delle miserie umane e nostre sperarne fallaci ncorde- vo’le mi fa; e come spesso la fortuna a mexzo il corso talor presso al fine rompa i nostri fragili e vani disegni, talor U immerga prima che pur veder da lontano possano il ^rto. ?o”namf aSunque a memoria che, non molto tempo dapo che questi ragionamenli passarono, privò morte la casa nostra di tre rarissimi gentiluomini, quando di p «nera età e speranza d’onore più fiorivano. E di questi i pri- fu il signor Gaspar Pallavicino, il quale essendo stalo da “ - acuta infermità combattuto, e più che una volta ridotto all’estremo, benché l’animo fosse di tanto vigore che per un rèm^i^enesse i spirili in quel corpo a dispetto d. mor e pur ■n età mollo immatura forni il suo naturai corso; perdila gra •lissima non solamente nella casa nostra, ed agli amici e iw- ««ti suoi, ma alla patria ed a tutta la Lombardia. Non mollo resse mori messer Cesare Gonzaga, il quale a tolti coloro aveano di lui notizia lasciò acerba e dolorosa memoria A Ila sua morte; perchè, produccndo la natura cosi rare volle me fa tali uomini, pareva pur conveniente che di questo tosto non ci privasse: chè certo dir si può, che messer Cesare ci fosse appunto ritolto quando cominciava a mostrar Digitized by Google LIBRO QUAUTO. 24] di sé più che la speranza, ecj esser estimato quanto merita- vano le sue ottime qualità; perchè già con molte virtuose fa- tiche avea fatto buon testimonio del suo valore, il quale ri- splendeva , oltre alla nobilita del sangue, dell' ornamento ancora delle lettere e d’arme, e d’ogni laudabjl costume; tal che, per la bontà, per l’ingegno, per Tanimo e per lo saper suo non era cosa tanto grande, che di lui aspettar non si po- tesse. Non passò molto, che messer Roberto da Bari esso an- cor morendo molto dispiacer diede a tutta la casa; perchè ragionevole pareva che ognun si dolesse della morte d’un giovane di buoni costumi, piacevole, e di bellezza d’aspetto o disposizion delta persona rarissimo, in complession tanto prosperosa e gagliarda quanto desiderar si potesse. II. Questi adunque se vivuti fossero, penso che sariano giunti a grado, che ariano ad ognuno che conosciuti gli avesse potuto dimostrar chiaro argomento, quanto la Corte d Urbino fosse degna di lande, e come di nobili cavalieri ornala; il che fatto hanno quasi tutti gli altri, che in essa creali si so- no; chè veramente del Cavai Trojano non uscirono tanti si- gnori e capitani , quanti di questa casa usciti sono uomini per virtù singolari, e da ognuno sommamente pregiati. Chè, come sapete, messer Federico Frcgoso fu fatto arcivescovo di Salerno; il conte Ludovico, vescovo di Bajous; il signor Ottaviano, duce di Genova; messer Bernardo Bibiena, car- dinale di Santa Maria in Portico; messer Pietro Bembo, se- cretano di Papa Leone; il signor MagniGco al ducato di Ne- mours ed a quella grandezza ascese dove or si trova; il si- gnor Francesco Maria Rovere, prefetto di Roma, fu esso ancora fatte duca d’ Urbino: benché molto maggior laude at- tribuir si possa alla casa dove nutrito fu, che in essa sia riu- scito cosi saro ed eccellente signore in ogni qualità di virtù come or si vede, che dello esser pervenuto al ducato d’Ur- bino; nè credo che di ciò piccol causa sia stata la nobile compagnia, dove in continua conversazione sempre ha ve- duto ed udito lodevoli costumi. Però parmi che quella causa, o sia per ventura o per favore delle stelle, che ha cosi lun- gamente concesso ottimi signori ad Urbino, pur ancora duri, e produca i medesimi effetti ; e però sperar si può che ancor 21 Digitized by Google 212 IL CORTEGIANO. la buona forlupa debba secondar tanto queste opere virtuose, che la felicità della casa e dello stato non solamente non sia per mancare, ma più presto di giorno in giorno per accre- scersi: e già se ne conoscono molti chiari segni, tra i quali estimo il precipuo Tesserci stata concessa dal cielo una tal signora, com’è la signora Eleonora Gonzaga, duchessa nuo- va; che se mai furono in un corpo solo congiunti sapere, gra- zia, bellezza, ingegno, maniere accorte, umanità, ed ogni altro gentil costume; in questa tanto sono uniti, che ne risulta una catena, che ogni suo movimento di tutte queste condizioni insieme compone ed adorna. Seguitiamo adunque i ragiona- menti del nostro Cortegiano, con speranza che dopo noi non debbano mancare di quelli che piglino chiari ed onorati esem- pii di virtù dalla Corte presente d’ Urbino, cosi come or noi facciamo dalla passata. HI. Parve adunque, secondo che ’l signor Gasparo Palla- vicino raccontar soleva, che ’l seguente giorno, dopo i ragio- namenti contenuti nel precedente Libro, il signor Ottaviano fosse poco veduto; perché molti estimarono che egli fosse re- tirato, per poter senza impedimento pensar bene a ciò che diro avesse: però, essendo all’ora consueta ridottasi la com- pagnia alla signora Duchessa, bisognò con diligenza far cer- car il signor Ottaviano, il quale non comparse per buon spa- zio; di modo che molli cavalieri e d.-imigclle della corte cominciarono a danzare ed attendere ad altri piaceri, con opinion che per quella sera più non s’avesse a ragionar del Cortegiano. E già tutti erano occupati, chi in una cosa chi in un’altra, quando il signor Ottaviano giunse quasi più non aspettalo; e vedendo che messer Cesare Gonzaga e’I signor Gaspar danzavano, avendo fatto riverenza verso la signora Duchessa, disse ridendo: Io aspettava pur d’udir an- cor questa sera il signor Gaspar dir qualche mal delle don- ne; ma vedendolo danzar con una, penso ch’egli abbia fatto la pace con tutte; e piacemi che la lite o per dir meglio il ragionamento del Cortegiano sia terminato cosi. — Termi- nalo non è già, rispose la signora Dcciiessa; perch’ io non son cosi nemica degli uomini, come voi siete delle donne; e perciò non voglio che ’l Cortegiano sia defraudalo del suo LIBRO QUABTO. 243 debilo onore, c di quelli ornamenli che voi stesso jersera gli prometteste; — e cosi parlando, ordinò che tutti, finita quella danza, si mettessero a sedere al modo usato: il che fu fallo; e stando ognuno con molla attenzione, disse il signor Ottà- viANo: Signora, poiché l’aver io desiderato molt’altre buone qualità nel Cortegiano si batleggia per proméssa ch'io le ab- bia a dire, son contento parlarne, non già con opinion di dir tulio quello che dir vi si poria, ma solamente tanto che ba- sti per levar dell’ animo vostro quello che jerscra opposto mi' fu, cioè, ch’io abbia così dello piuttosto per delraere alle laudi della Donna di Palazzo, con far credere falsamente che altre eccellenze si possano attribuire al Cortegiano, e con tal arte fargliele superiore, che perchè cosi sia; però, peraccom- modarmi ancor all’ora , che è più larda che non suole quando si dà principio al ragionare, sarò breve. IV. Così, continuando il ragionamento di questi signori, il qual in tutto approvo e confermo, dico, che delle cose che noi chiamiamo buone sono alcune che semplicemente e per sè stesse sempre son buone, come la temperanza, la fortezza, la sanità, e tutte le virtù che partoriscono tranquillità agli animi; altre che per diversi rispetti e per lo fine al quale s’ indrizzano son buone, come le leggi, la liberalità, le ric- chezze, ed altre simili- Estimo io adunque, che ’I Cortegiano perfetto, di quel modo che descritto l’ hanno il conte Ludo- vico e messer Federico, possa esser veramente buona cosa, e degna di laude ; non però semplicemente nè per sè, ma per rispetto del fine al quale può essere indrizzato : chè in vero se con l’essere nobile, aggraziato e piacevole, ed esperto in tanti esercizii , il Cortegiano non producesse altro fruito che r esser tale per sé stesso, non estimarsi che per conse- guir questa perfezion di Cortegiania dovesse 1’ uomo ragio- nevolmente mettervi tanto studio e fatica, quanto è neces- sario a chi la vuole acquistare; anzi direi, che molle di quelle condizioni che se gli sono attribuite, come il danzar, festeggiar, cantar e giocare, fossero leggerezze e vanità, ed in un uomo di grado piuttosto degne di biasimo che di lau- de: perchè queste attilature, imprese, motti, ed altre lai cose che appartengono ad inlertcni menti di donne e d’amóri, an- Digitlzed by Google IL COUTEGIANO. 244 cora che forse a moHi allri paja il contrario, spesso non fanno altro che effeminar gli animi, corromper la gioventù, e ri- durla a vita lascivissima; onde nascono poi questi effetti, che ’l nome italiano è ridotto in obbrobrio, nè si ritrovano se non pochi che osino non dirò morire, ma pur entrare in un pericolo. E certo inHnitc altre cose sono, le quali, mel- tendovisi industria e studio, partoririano molto maggior utilità e nella pace e nella guerra, che questa tal Cortegiania per sè sola ; ma se le operazioni del Cortegiano sono indirizzale a quel buon fine che debbono e eh’ io intendo, parmi ben , che non solamente non siano dannose o vane, ma utilissi- me e degne d’ infinita laude. V. 11 fin adunque del perfetto Cortegiano , del quale in- sino a qui non s’ è parlato , estimo io che sia il guadagnarsi, per mezzo delle condizioni allrihuitegli da questi signori, talmente la bcnivolenza e l’ animo di quel principe a cui serve, che possa dirgli e sempre gli dica la verità d ogni cosa che ad esso convenga sapere, senza timor o pericolo di dispiacergli; e conoscendo la mente di quello inclinata a far cosa non conveniente, ardisca di conlradirgli, e col gen- til modo valersi della grazia acquistata con le sue buone qua- lità per rimoverlo da ogni intenzion viziosa, ed indurlo al cammìn della virtù; e cosi avendo il Cortegiano in sè la bontà, come gli hanno attribuita questi signori, accompa- gnata con la prontezza d’ ingegno e piacevolezza, e con la prudenza e notizia di lettere e di tante altre cose: saprà in ogni proposito destramente far vedere al suo principe, quanto onore ed utile nasca a lui ed alli suoi dalla giustizia, dalla liberalità, dalla magnanimità, dalla mansuetudine, e dall’ altre virtù che si convengono a buon principe; e, per contrario, quanta infamia e danno proceda dai vizii oppositi a queste. Però io estimo che come la musica, le feste, i gio- chi e r altre condizioni piacevoli son quasi il fiore, cosi lo indurre o ajutare il suo principe al bene, e spaventarlo dal male, sia il vero frutto della Cortegiania. E perchè la laude del ben far consiste precipuamente in due cose, delle quai r una 6 lo eleggersi un fine dove tenda la intenzion nostra, che sia veramente buono; l’altra il saper ritrovar mozzi op- « Digitized by Google LIBBO QUAHTO. porlani ed àuì pgp condursi a questo buon fine designalo : certo è che l’animo di colui, che pensa di far che ’J suo principe non sia d’ alcuno ingannato, nè ascolti gli adulatori, nè i maledici e bugiardi, e conosca il bene e ’l male, ed al- r uno porti amore, all’ altro odio, tende ad ottinio fine. VJ., Parrai ancora che le condizioni attribuite al Corte- giaao da questi signori, possano esser buon mezzo da per- venirvi ; e questo, perchè dei molti errori eh’ oggidì veggia- mo in molti dei nostri principi, i maggiori sono la ignoranza, e la persuasion di sè stessi ; e la radice di questi dui mali non è altro che la bugia: il qual vizio meritamente è odioso a Dio ed agli uomini, e più nocivo ai principi che alcun al- tro ; perchè essi più che d’ ogni altra cosa hanno carestia di quello di che più che d’ ogni altra cosa saria bisogno che avessero abondanza, cioè di chi dica loro il vero e ricordi il bene: perchè gli inimici non son stimolati dall’ amore a far questi ofilcii, anzi han piacere che vivano sceleratamente nè mai si correggano; dall’ altro canto, non osano calunniargli publicamenle per timor d’ esser castigati: degli amici poi, pochi sono che abbiano libero adito ad essi, © quelli pochi han riguardo a riprendergli dei loro errori cosi liberamente come riprendono i privati , e spesso, per guadagnar grazia e avore, non attendono ad altro che a propor cose che dilet- tino e dian piacer all’ animo loro, ancora che siano male e disoneste; di modo che d’amici divengono adulatori, e, per trarre utilità da quel stretto commercio, parlano ed oprano grappe a compiacenza, e per lo più fannosi la strada con le ugie, le quali nell’ animo del principe partoriscono la igno- ranza non solamente delle cose estrinseche, ma ancor di sé 8 esso, e ^questa dir si può la maggior e la più enorme bugia I tutte 1 altre, perchè l’animo ignorante inganna sè stesso, c mentisce dentro a sè medesimo. VII. Da questo interviene che i signori, oltre al non in- endere mai il vero di cosa alcuna, inebriali da quella licen- perla seco il dominio, e dalla abondanza ha ^ nei piaceri, tanto s’iugannano e lanlo n ir!”*i- corrotto, veggendosi sempre obedili e quasi ado, all con (anta riverenza e laude, senza mai non che ri- 21 * IL CORTEGIANO. ■2-i6 prensione ma pur conlradizione, che da quesla ignoranza pas- sano ad una estrema persuasion di sè slessi, talmente che |K)inoii ammettono consiglio nè parer d’altri; e perchè cre- dono che ’l saper regnare sia facilissima cosa, e per conse- tiuirla non bisogni allr’arteo disciplina che la sola forza, voUan l’animo e lutti i suoi pensieri a mantener quella po- tenza che hanno, estimando che la vera felicità sia il poter ciò che si vuole. Però alcuni hanno in odio la ragione e la giustizia, parendo loro che ella sia un certo freno ed un modo che lor potesse ridurre in servitù, e diminuir loro quel bene e salisfazione che hanno di regnare, se volessero ser- varla ; e che il loro dominio non fosse perfetto nè integro, se essi fossero conslrelli ad obedire al debito ed all’ onesto, per- chè pensano che chi obbedisce non sia veramente signore. Però andando drieto a questi principii, e lasciandosi Irappor- tare dalla persuasion di sè stessi, divengon superbi, e col volto imperioso e costumi austeri, con veste pompose, oro e gemme, e col non lasciarsi quasi mai vedere in publico, cre- dono acquistar autorità tra gli uomini, ed esser quasi tenuti Dei; c questi sono, al parer mio, come i colossi che l’anno passalo fur fatti a Roma il di della festa di piazza d’Agone, che di fuori mostravano similitudine di grandi uomini e cavalli trion- fanti, e dentro erano pieni di stoppa e di strozzi. Ma i prin- cipi di questa sorte sono tanto peggiori , quanto che i colossi per la loro medesima gravità ponderosa si soslengon ritti; ed essi, perchè dentro sono mal contrapesali, e senza misura posti sopra basi inequali, per la propria gravità minano sè stessi, e da uno orrore incorrono in infiniti; perchè la igno- ranza loro, accompagnala da quella falsa opinion di non po- ter errare, e che la potenza che hanno proceda dal lor sapere, induce loro per ogni via, giusta o ingiusta, ad occupar stati audacemente, pur che possano. Vili. Ma se deliberassero di sapere e di far quello che debbono, cosi conlraslariano per non regnare, come contra- stano per regnare ; perchè conosceriano quanto enorme e perniciosa cosa sia, che i sudditi, che han da esser governali, siano più savii che i principi, che hanno da governare. Ec- covi che In ignoranza della musica, del danzare, del cavai- libro quarto. 247 care non nuoce ad alcuno ; nicnledinaeno, chi non è musico si vergogna nò osa cantare in presenza d’altrui, o danzar chi non sa, e chi non si lien ben a cavallo di cavalcare ; ma dal non sapere governare i popoli nascon tanti mali, morti, de- slruzioni, incendii, mine, che si pad dir la più morlal peste che si trovi sopra la terra; e por alcuni principi ignorantis- simi dei governi non si vergognano di mettersi a governar, non dirò in presenza di quattro o di sei uomini, ma al co- spetto di tutto ’l mondo; perchè il grado loro è posto tanto in alto, che tutti gli occhi ad essi mirano, e però non che i grandi ma i piccolissimi lor difetti sempre sono notati: come si scrive che Gimone era calunniato che amava il vino, Sci- pione il sonno, Lucullo i convivi!. Ma piacesse a Dio, che i principi di questi nostri tempi accompagnassero i peccali loro con tante virtù, con quante accompagnavano quegli antichi ; i quali, se ben in qualche cosa erravano, non fuggivano però i ricordi e documenti di chi loro parca bastante a correggere quegli errori, anzi cercavano con ogni instanza dicomponer la vita sua sotto la norma d’uomini singolari ; come Epami- nonda di Lisia Pitagorico, Agesilao di Senofonte, Scipio- ne di Panezio, ed inhniti altri. Ma se ad alcuni de’ nostri principi venisse inanti un severo filosofo, o chi si sia, il qual apertamente e senza arte alcuna volesse mostrar loro quella orrida faccia della vera virtù, ed insegnar loro i buoni co- stumi, e qual vita debba esser quella d’ un buon principe, -son certo che al primo aspetto lo aborririano come un aspi- de, o veramente se ne fariano beffe come di cosa vilissima. IX. Dico adunque che, poi che oggidì i principi son tanto corrotti dalle male consuetudini, e dalla ignoranza e falsa persuasione di sé stessi, e che tanto è diflìcile il dar loro notizia della verità ed indurgli alla virtù, e che gli uo- mini con le bugie ed adulazioni e con cosi viziosi modi cer- cano d’entrar loro in grazia; il Corlegiano, per mezzo di quelle gentil qualità che date gli hanno il conte Ludovico e messer Federico, può facilmente e deve procurar d’acqui- starsi la benivolenza, ed adescar tanto l’animo del suo prin- cipe, che si faccia adito libei'o e sicuro di parlargli d’ogni cosa senza esser inulesto ; e se egli sarà tale come s’è detto, Digìtized by Googic 248 IL CORTEGIANO. con poca fatica gli verrà fallo, o cosi potrà aprirgli sempre la verità di tutte le cose con destrezza; olirà di questo, a poco a poco infondergli nell’ animo la bontà, ed insegnargli la continenza, la fortezza, la giustizia, la temperanza, fa- cendogli gustar quanta dolcezza sia coperta da quella poca amaritudine, che al primo aspetto s’offerisce a chi contrasta ai vizii; li quali sempre sono dannosi, dispiacevoli, ed ac- compagnali dalla infamia e biasimo, cosi come le virtù sono utili, gioconde e piene di laude ; ed a queste eccitarlo con l^esempio dei celebrali capitani e d’altri nomini eccellenti, ai quali gli antichi usavano di far statue di bronzo e di mar- mo, e talor d’oro, e collocarle ne’ lochi publici, cosi per onor di quegli, come per lo stimolo degli altri, che per ùna one- sta invidia avessero da sforzarsi di giungere essi ancor a quella gloria. X. In questo modo per la austera strada della virtù po- trà condurlo, quasi adornandola di fronde ombrose e spar- gendola di vaghi Cori, per temperar la noja del faticoso cammino a chi è di forze debile; ed or con musica, or con arme e cavalli, or con versi, or con ragionamenti d’amore, e con tutti que’ modi che hanno delti questi signori, tener continuamente quell’ animo occupato in piacere onesto, im- primendogli però ancora sempre, come ho dello, in compa- gnia di queste illecebre, qualche costume virtuoso, ed ingan- nandolo con inganno salutifero; come i cauti medici, li quali spesso, volendo dar a’ fanciulli infermi e troppo delicati me- dicina di sapore amaro, circondano l’orificio del vaso di qualche dolce liquore. Adoprando adunque a tal effetto il Corlegiano questo velo di piacere in ogni tempo, in ogni loco ed in ogni esercizio conseguirà il suo fine, e meriterà molto maggior laude e premio, che pfer qualsivoglia altra buona opera che far potesse al mondo; perchè non è bene alcuno che cosi universalmente giovi come il buon principe, nè male che cosi universalmente neccia come il mal principe: però non è ancora pena tanto atroce e crudele, che fosso bastante castigo a quei scelerati cortegiani, che dei modi gentili e piacevoli e delle buone condizioni si vagliano a mal fine, c per mezzo di quelle ccrcan la grazia dei loro principi, c per -Digit» LIBRO QUARTO. 2i9 corroiop®*'?^* c disviargli dalla vìa della virtù ed indurgli al vizio» chè questi tali dir si può, che non un vaso dove un solo abbia da bere, ma il fonte publico del quale usi tulio ’l popolo, infettano di mortai veneno. — XI. Taceasi il signor Ottaviano, come se più avanti par- lar non avesse voluto; ma il signor Gasparo, A me non par, signor Ottaviano, disse, che questa bontà d’animo, e la con- tinenza e r altre virtù, che voi volete che ’l Corlegiano mo- stri al suo signore, imparar si possano; ma penso che agli uomini che l’ hanno siano date dalla natura e da Dio. E che cosi sia, vedete che non è alcun tanto scelerato e dj mala sorte al mondo, nè cosi intemperante ed ingiusto, che es- sendone dimandalo confessi d’esser tale; anzi ognuno, per malvagio che sia, ha piacer d’esser tenuto giusto, continente e buono: il che non interverrebbe, se queste virtù imparar si potessero; perchè non è vergogna il non saper quello in che non s’ha posto studio, ma bene par biasimo non aver quello di che da natura devemo esser ornati. Perù ognuno si sforza di nascondere i difetti naturali, cosi dell’animo come ancora del corpo; il che si vede nei ciechi, zoppi, torli, ed altri stroppiali o bruiti; chè benché questi mancamenti si possano imputare alla natura, pur ad ognuno dispiace sentirgli in sé stesso, perchè pare che per testimonio della medesima na- tura l’uomo abbia quel difetto, quasi per un sigili® ® segno della sua malizia. Conferma ancor la mia opinion quell* fa- bula che si dice d’Epìmeteo, il qual seppe cosi m»! distri- buir le doli della natura agli uomini, che gli lasciò mollo piu bisognosi d’ogni cosa che tutti gli altri animali: onde Pro- meteo rubò quella artiCciosa sapienza da Minerva e cano, per la quale gli uomini trovano il vivere; aveano però la sapienza civile di congregarsi insieme nello città, e saper vivere moralmente, per esser questa nella ròcca di Jove guardala da custodi sagacissimi i q®*!' spaventavano Prometeo, che non osava loro accostarsi; Jove, avendo compassione alla miseria degli uomio*» * non polendo star uniti per mancamento della virtù civile erano lacerali dalle Aere, mandò Mercurio in terra a pori*' la giustizia e la vergogna, acciò che queste due cose ornas- Digilized by Google 1 230 IL COHTEGIANO. sero le città, e colligassero insieme i cittadini; e volse che a quegli fosser date non come l’ altre arti, nelle quali un pe- rito basta per molti ignoranti, come è la medicina, ma che in ciascun fossero impresse; e ordinò una legge, che tutti quelli che erano senza giustizia e vergogna fossero, come pestiferi alle città, csterminati e morti. Eccovi adunque, si- gnor Ottaviano, che queste virtù sono da Dio concesso agli uomini, e non s’ imparano, ma sono naturali. — XII. Allor il signor Ottaviano, quasi ridendo. Voi adun- que, signor Gasparo, disse, volete che gli uomini sian cosi infelici e di cosi perverso giudicio, che abbiano con la indu- stria trovato arte per far mansueti gl’ingegni delle fiere, orsi, lupi, leoni, e possano con quella insegnare ad un vago augello volar ad arbitrio dell’ uomo, e tornar dalle selve e dalla sua naturai libertà volontariamente ai lacci ed alla ser- vitù: e con la medesima industria non possano o non vo- gliano trovar arti, con le quali giovino a sé stessi, e con di- ligcnza c studio faccian l’animo suo migliore? Questo, al parer mio, sarebbe come se i medici studiassero con ogni diligenza d’avere solamente l’arte da sanare il mal dell’ un- gie, e lo lattumc dei fanciulli, e lasciassero la cura delle febri, della pleuresia, e dell’altro infermità gravi; il che quanto fosse fuor di ragione, ognun può considerare. Estimo io adunque, che le virtù morali in noi non siano totalmente da natura, perchè ninna cosa si può mai assuefare a quello che le è naturalmente contrario; come si vede d’ un sasso, il qual se ben dieccmilia volle fosse gittate all’insù, mai non s’ assuefaria andarvi da sè: però se a noi le virtù fossero cosi naturali come la gravità al sasso, non ci assuefaremmo mai al vizio. Nè meno sono i vizii naturali di questo modo, perchè non potremmo esser mai virtuosi; c troppo iniquità e sciocchezza saria castigar gli uomini di que’difelli, che pro- ccdossero da natura senza nostra colpa; o questo error com- mcttcriano lo leggi, le quali non dànno supplicio ai malfat- tori |>or io error passalo, perchè non si può far che quello che è fatto non sia fatto, ma hanno rispetto allo avvenire, acciò che chi ha errato non erri più, ovvero col mal esem- pio non dia causa ad altrui d’errare; c cosi pur estimano LIBRO QUARTO. 231 cl,e le virtù imparar si possano: il che è verissimo; perché noi siamo nati atti a riceverle, e medesimaraenle i vizii, e però dell’ano e l’ altro in noi si fa l’abito con la consuetu- dine, di modo che prima operiamo le virtù o i vizii, poi siamo virtuosi o viziosi. Il contrario si conosce nelle cose che ci son date dalla natura, che prima avemo la potenza d’opera- re, poi operiamo: come è nei sensi; chè prima polemo ve- dere, udire, toccare, poi vedemo, udiamo e tocchiamo; ben- ché però ancora molte di queste operazioni s’ adornano con la disciplina. Onde i buoni pedagoghi non solamente inse- gnano lettere ai fanciulli, ma ancora buoni modi ed onesti nel mangiare, bere, parlare, andare, con certi gesti accom- modati. XIII. Però, come nell’ altre arti, cosi ancora nelle virtù è necessario aver maestro, il qual con dottrina e buoni ri- cordi susciti e risvegli in noi quelle virtù morali, delle quali avemo il seme incluso e sepolto nell’anima, e come buono agricoltore le coltivi e loro apra la via, levandoci d’intorno le spine e ’l loglio degli appetiti, i quali spesso tanto adom- brano e soffocan gli animi nostri, che fiorir non gli lasciano, nè produr quei -felici frutti, che soli si dovriano desiderar che nascessero nei cori umani. Di questo modo adunque è naturai in ciascun di noi la giustizia e la vergogna-, la qual voi dite che Jove mandò in terra a tutti gli uomini ; ma siccome un corpo senza occhi, per robusto che sia, se si muove ad un qualche termine spesso falla, cosi la radice di queste virtù potenzialmente ingenite negli animi nostri , se non ajutafa dalla disciplina, spesso si risolve in nulla; perché se si deve ridurre in atto, ed all’abito suo perfetto, non si contenta, come s’è detto, della natura sola, ma ha bisogno della arti- ficiosa consuetudine e della ragione, la quale purificò* ® lucidi quell’ anima, levandole il tenebroso velo <1®»» ranza, dalla qual quasi lutti gli errori degli uomini no: chè se il bene e ’l male fossero ben conosciuti ed intesi, ognuno sempre eleggeria il bene, e fuggiria il male- P®*"* virtù si può quasi dir una prudenza ed un saper eleggere il bene, e ’l vizio una imprudenza ed ignoranza che induce a giudicar falsamente; perchè non eleggono niai gl* uomini il Digitized by Google 25“2 IL CORTEGIANO. male con opinion che sia male, ma s’ingannano per una certa similitudine di bene. — XIV. Rispose allor il signor Gaspabo: Son però molli, i quali conoscono chiaramente che fanno male, e pur lo fan- no; e questo perchè estimano più il piacer presente che sen- tono, che ’l castigo che dubilan che gli ne abbia da venire: come i ladri, gli omicidi, ed altri tali. — Disse il signor Ot- ta vi aso: 11 vero piacere è sempre buono, e ’l vero dolor malo; però questi s’ ingannano togliendo il piacer falso per lo vero, e ’l vero dolor per lo falso; onde spesso per i falsi piaceri incorrono nei veri dispiaceri. Quell’arte adunque che insegna a discerner questa verità dal falso, pur si può impa- rare; e la virtù, per la quale eleggerne quello che è vera- mente bene, non quello che falsamente esser appare, si può chiamar vera scienza, e più giovevole alla vita umana che alcun’aura, perchè leva la ignoranza, dalla quale, come ho detto, nascono tutti i mali. — XV. Allora messer Pietbo Bembo, Non so, disse, signor Ottaviano, come consentir vi debba il signor Gasparo, che dalla ignoranza nascano tutti i mali; e che non siano multi, ì (inali |)cccando sanno veramente che peccano, nè si ingan- nano punto nel vero piacere, nè ancor nel vero dolore: per- chè certo è che quei che sono incontinenti giudican con ra- gione e dirittamente, e sanno che quello a che dalle cupi- dità sono stimolati centra il dovere è male, e però resistono ed oppongon la ragione all’appetito, onde ne nasce la batta- glia del piacere e del dolore centra il giudicio; in ultimo la ragion, vinta dall’appetito troppo i>ossente, s’abbandona, come nave che per un spazio di tempo si difende dalle pro- celle di mare, al fin, percossa da troppo furioso impeto de’ venti, spezzate rancore e sarte, si lascia trapportar ad arbitrio di fortuna, senza operar timone, o magisterio alcuno di calamita per salvarsi. Gl’incontinenti adunque commetton gli errori con un certo ambiguo rimorso, e quasi al lor di- spetto; il che non furiano, se non saiiessero che quel che fanno è male, ma senza contrasto di ragione andariano to- talmente profusi drieto all’appetito, ed allor non incontinen- ti, ma intemperati sariano; il che è molto peggio: però la Digitizeo 1 libro quarto. 255 incontinenza si dice esser vizio diminoto, perchè ha in sé parte di ragione; e medesimamente la continenza, virtù im- perfetta, perchè ha in sè parte d’affetto: perciò in questo parmi che non si possa dir che gli errori degli incontinenti procedano da ignoranza , o che essi s’ ingannino e che non pecchino, sapendo che veramente peccano. — XVI. Rispose il signor Ottàviano: In vero, messer Pie- tro, l’argomento vostro è buono; nientedimeno, secondo me, è più apparente che vero, perché benché gl’incontinenti pecchino con quella ambiguità, e che la ragione nell’ animo loro contrasti con l’appetito, e lor paja che quel che è male sia male, pur non ne hanno perfetta cognizione, nè lo sanno cosi intieramente come saria bisogno: però in essi di questo è più presto una debile opinione che certa scienza, ondo consentono che la ragion sia vinta dallo affetto; ma se ne avessero vera scienza, non è dubio che non errariano: per- chè sempre quella cosa per la quale l’ appetito vince la ra- gione è ignoranza, nè può mai la vera scienza esser superata dallo affetto, il quale dal corpo, e non dall’animo, deriva; e se dalla ragione è ben retto e governato, diventa virtù, e se -altrimenti, diventa vizio; ma tanta forza ha la ragione, che sempre si fa obedire al senso, e con maravigliosi modi e vie penetra, pur che la ignoranza non occupi quello che essa aver dovria; di modo che, benché i spiriti o i nervi e l’ossa non abbiano ragione in sé, pur quando nasce in *1“^' movimento dell’animo, quasi che ’l pensiero sproni e Muoia la briglia ai spirili, tutte le membra s’apparecchi»®®’ ‘ al corso, le mani a pigliar o a fare ciò che 1’ animo pensa, e questo ancora si conosce manifestamente in molti» li non sapendo, talora mangiano qualche cibo stomacoso e Mhi-- fo, ma cosi ben acconcio che al gusto lor pare delicalissi®®’ poi, risapendo che cosa era, non solamente hanno dolore « fastidio nell’ animo, ma ’l corpo accordan si ®®' giudicio della mente, che per forza vomitano quel cibo. — XVII. Seguitava ancor il signor Ottaviano il ragio- namento; ma il Magnifico Juliano interrompendolo > Sig®®*^ Ottaviano, disse, se bene ho inteso, voi avete dell® continenza è virtù imperfetta, perchè ha in sè 22 DigittzecTByT^OOgle IL CORTEGUNO. 254 fello; ed a me pare che quella virtù la quale, essendo nel- r animo nostro discordia tra la ragione e l’ appetito, com- balle e dà la villoria alla ragione, si debba estimar più perfetta che quella che vince non avendo cupidità nè alTetlo alcuno che le contrasti ; perchè pare che quell’ animo non si astenga dal male per virtù, ma resti di farlo perchè non ne abbia volontà. — AUor il signor Ottaviano, Qual, disse, esti- marcste voi capitan di più valore, o quello che combattendo apertamente si mette a pericolo, e pur vince gl’inimici, o quello che per virtù e saper suo lor toglie le forze, riducen- dogli a termine che non possan combattere, e cosi senza bat- taglia o pericolo alcun gli vince ? — Quello, disse il Magnifico JuLiANO, che più sicuramente vince, senza dubio è più da lo- dare, pur che questa vittoria cosi certa non proceda dalla dapocaggine degli inimici. — Risposo il signor Ottaviano : Ben avete giudicato; e però dicevi, che la continenza comparar si può ad un capitano che combatte virilmente, e, benché gl’ini- mici sian forti e potenti, pur gli vince, non però senza gran ditllcoltà e pericolo ; ma la temperanza libera da ogni per- turbazione- è simile a quel capitano, che senza contrasto vince e regna, ed avendo in quell’ animo dove si ritrova non so- lamente sedato ma in tutto estinto il foco delle cupidità, come buon principe in guerra civile, distrugge i sediziosi nemici intrinsechi, e dona lo scettro e dominio intiero alla ragione. Cosi questa virtù non sforzando l’animo, ma infondendogli [>er vie placidissime una veemente persuasione che lo inclina alla onestà, lo rende quieto e pien di riposo, in tutto eguale o ben misurato, e da ogni canto composto d’ una certa con- cordia con sè stesso, che lo adorna di cosi serena tranquil- lità che mai non si turba, ed in tutto diviene obedienlissimo alla ragione, e pronto di volgere ad essa ogni suo movimento, c seguirla ovunque condor lo voglia, senza repugnanza al- cuna; come tenero agnello, che corre, sta e va sempre presso alla madre, e solamente secondo quella si move. Questa virtù adunque è perfettissima, e conviensi massimamente ai prin- cipi, perchè da lei ne nascono molte altre. XVI li. Allora messer Cesar Gonzaga, Non so, disse, qiiai virtù convenienti a sienore possano nascere da questa Digitized by • m libro quarto. 255 lètoperanza, essendo quella che leva gli affeUi dell’ animo, cono® voi dite: il che forse si converria a qualche monaco o ereDOÌl3? ma non so già come ad un principe magnanimo, liberale e valente nell’ arme si convenisse il non aver mai, per cosa che se gli facesse, nè ira nè odio nè benivolenza nè sdegno nè cupidità nè affetto alcuno, e come senza questo aver potesse autorità tra popoli o tra soldati. — Rispose il si • gnor Ottaviano: Io non ho dello che la temperanza levi to- talmente e avella degli animi umani gli alleili, nè ben saria il farlo, perchè negli affetti ancora sono alcune parti buone; ma quello che negli affetti è perverso e renitente allo onesto, riduce ad obedire alla ragione. Però non è conveniente, per levar le perturbazioni, estirpargli affetti in tutto; chè questo saria come se per fuggir la ebrietà, si facesse un editto che ninno bevesse vino, o perchè talor correndo l’uomo cade, si interdicesse ad ognuno il correre. Elccovi che quelli che do- mano i cavalli non gli vietano il correre e saltare, ma vo- glion che lo facciano a tempo, e ad obedienza del cavaliere. Cdi affetti adunque, modificati dalla temperanza, sono favo- revoli alla virtù, come l’ ira che ajuta la fortezza, l’odio cen- tra i Bcelerati ajuta la giustizia, e medesimamente V altre virtù sono ajutale dagli afiettì; li quali se fossero in tutto le- vati, lasciariano la ragione debilissima e languida, di modo che poco operar potrebbe, come governalor di nave abbandonato da’ venti in gran calma. Non vi maravigliale adunq“®> ser Cesare, s’io ho detto che dalla temper anz a nascono molte altre virtù; chè quando un animo è concorde di questa ar- monia, per mezzo della ragione poi facilmente riceve la vera fortezza, la quale lo fa intrepido e sicuro da ogni pericolo, e quasi sopra le passioni umane; non meno la giusti***’ gine incorrotta, amica della modestia e del bene • regi**» '■ tolte l’ altre virtù, perchè insegna a far quello che ** e fuggir quello che si dee fuggire; e però è perfelt***’®*’ chè per essa si fan l’ opere dell’ altre virtù, ed è giovevole a chi la possedè, e per sè stesso, e per gli altri ; seO** ** ’ come si dice, Jove istesso non poria ben governar® sno. La magnanimità ancora succede a queste e tutte 1® maggiori; ma essa sola star non può, perchè chi Digitized by GoÒglc IL CORTEGIANO. 256 Ira virtù, non può esser magnanimo. Di queste è poi guida la prudenza, la qual consiste in un certo giudicio d’ elegger bene. Ed in tal felice catena ancora sono colligate la libe- ralità, la magnificenza, la cupidità di onore, la mansuetudi- ne, la piacevolezza, la affabilità, e molte altre che or non è tempo di dire. Ma se ’l nostro Cortegiano farà quello che avcmo detto, tutte le ritroverà nell’animo del suo principe, ed ogni di ne vedrà nascer tanti vaghi fiori e frutti, quanti non hanno tutti i deliziosi giardini del mondo; e tra sé stesso sentirà grandissimo contento, ricordandosi avergli donato non quello che donano i sciocchi, che è oro o argento, vasi, veste e tai cose, delle quali chi le dona n’ ha grandissima ca- restia e chi le riceve grandissima abondanza, ma quella virtù che forse tra tutte le cose umane è la maggiore e la più rara, cioè la maniera e ’l modo di governar e di regnare come si dee ; il che solo bastarla per far gli uomini felici, e ridur un’ altra volta al mondo quella età d’ oro che si scrive esser siala quando già Saturno regnava. — XIX. Quivi avendo fatto il signor Ottaviano un poco di pausa come per riposarsi, disse il signor Gaspabe: Qual esti- mate voi, signor Ottaviano, più felice dominio, e più bastante a ridur al mondo quella età d’oro di che avete fallo men- zione, 0 ’l regno d’un cosi buon principe, o ’l governo d’una buona republica ? — Rispose il signor Ottaviano : Io prepor- rei sempre il regno del buon principe, perché è dominio più secondo la natura, e, se è licito comparar le cose piccole alle infinite, più simile a quello di Dio, il qual uno e solo go- verna r universo. Ma lasciando questo, vedete che in ciò che si fa con arte umana, come gli eserciti, i gran navigli, gli edifici! ed altre cose simili, il tutto si riferisce ad un solo, che a modo suo governa ; medesimamente nel corpo nostro tutte le membra s’affaticano e adopransi ad arbitrio del core. Olirà di questo, par conveniente, che i popoli siano così governati da un principe, come ancora molli animali, ai quali la natura insegna questa obedienza come cosa saluberrima. Eccovi che i cervi, le grue e molli altri uccelli quando fanno passaggio, scono ; e le api quagi sempre si prepongono un principe, il qual seguono ed obedi- scono ; e le api q„j,gj discorso di ragione e con tanta ri- Digitized by - ■ libro quarto. 257 ver®®*® osservano il loro re, con qnanla i più osservanti po- poli del mondo ; e però tutto questo è grandissimo argomento, che ’i dominio dei principi sia più secondo la natura che quello delle republiche. — "XX. Allora messer Pibtbo Bbmbo, Ed a me par, disse, che, essendoci la libertà data da Dio per supremo dono, non sìa . ragionevole che ella ci sia levata, nè che un uomo più del- 1’ altro ne sia partecipe : il che interviene sotto il dominio de' principi, li quali tengono per il più li sudditi in strettis- sima servitù ; ma nelle republiche bene instituite si serva pur questa libertà : oltra che e nei gindicii e nelle delibera- zioni più spesso interviene che '1 parer d’ on solo sia falso che quel di molti; perchè la perturbazione, o per ira o per sdegno o per cupidità, più facilmente entra nell’ animo d’nn solo che della moltitudine, la quale, quasi come una gran quantità d’ acqua, meno è snbjetta alla corruzione che la pic- cola. Dico ancora, che lo esempio degli animali non mi par che si confaccia; perchè e li cervi e le grne e gli nitri non sempre si prepongono a seguitare ed obedir un medesimo, anzi mutano e variano, dando questo dominio or ad uno or ad un altro, ed in tal modo viene ad esser più presto forma di republica che di regno ; e questa si può chiamare vera ed cqnale libertà, quando quelli che talor comandano, obedi- scono poi ancora. L’ esempio medesimamente delle api non mi par simile, perchè quel loro re non è della loro medesima specie ; e però chi volesse dar agli nomini un verannente de- gno signore, bisognaria trovario d’un’ altra specie, e di piu eccellente natura che umana, se gli nomini ragionevolmente r avessero da obedire, come gli armenti che obediscono non ad uno animale suo simile, ma ad nn pastore, i* *1”®^® ^ uomo, e d’ una specie più degna che la loro. Per qne®^® estimo io, signor Ottaviano, che '1 governo della republica sia più desidarabile che quello del re. — XXI. Allor il signor Ottaviano, Contra la opiu*®®® stra, messer Pietro, disse, voglio solamente addurre ona ra- gione; la quale è, che dei modi di governar bene i pop®** *‘‘® sorti solamente si ritrovano: l’una è il regno ; l’altra il governo dei buoni, che chiamavano gli antichi ottimati* l’®****® 22 - Digitized by Google IL CORTEGIANO. 4&8 minislrazione popolare: e la Irausgressione e vizio contra- rio, per dir cosi , dove ciascuno di questi governi incorre guastandosi e corronapendosi , è quando il regno diventa ti- rannide, e quando il governo dei buoni si muta in quello di pochi potenti e non buoni , e quando l’ amministrazion po- polare è occupata dalla plebe, che, confondendo gli ordini, permette il governo del tutto ad arbitrio della moltitudine. Di questi tre governi mali certo è che la tirannide è il pes- simo di tutti, come per molte ragioni si poria provare; resta adunque che dei tre buoni il regno sia l’ ottimo , perchè è contrario al pessimo: che, come sapete, glietTetti delle cause contrarie sono essi ancora Ira sè contrarii. Ora, circa quello che avete detto della libertà, rispondo, che la vera libertà non si deve diro.che sia il vivere come l’ uomo vuole , ma il vivere secondo le buone leggi: nè meno naturale ed utile B necessario è l’obedire, che si sia il comandare; ed alcune Mse.sono nate, e cosi distinte ed ordinale da natura al co- mandare, come alcune altre all’obedire. Vero è che sono due modi di signoreggiare: 1’ uno imperioso e violento , come quello dei patroni ai schiavi, e di questo comanda l’anima al corpo; l'altro più mite e placido, come quello dei buoni principi, per via deUe leggi ai cittadini, e di questo comanda la ragiono allo appetito: c Tono e l’altro di questi due modi ò utile, perchè il corpo è nato da natura atto ad obedire al- r anima, e cosi Tappetilo alla ragione. Sono ancora molti uomini, Toperazion de’ quali versano solamente circa T uso del corpo; e questi tali tanto son differenti dai virtuosi , quanto l’anima dal corpo, e pur per essere animali razio- nali tanto partecipano della ragione, quanto che solamente Jn conoscono, ma non |a posseggono nò fruiscono. Questi adunque sono naturalmente servi, e meglio è ad essi e più utile T obedire che ’l comandare. — XXII. Disse allor il aignor Gaspàr: Ai discreti c virtuo- si, e che non sono da natura servi, di che modo si ha adun- que a comandare? — Rispose il signor Ottavuno: Di quel placido comandamento regio e civile; ed a tali è hen fallo dar lalor T amministrazione di quei magistrali di che sono capaci, acciò che possano essi ancora comamlare , o govcr- Digitized by I libro QUABTOi 259 tiare i men saviì di sè, di modo però che ’l principal go- verno dependa tulio dal supremo principe. E perché avele detto, che più facil cosa è che la mente d’nn solo si corrompa che quella di molli, dico che è ancora più facil cosa trovar un buono e savio che molli; e buono e savio si deve esti- mare che possa esser nn re di nobil stirpe, inclinalo alle virtù dal suo naturai instinto e dalla famosa memoria dei suoi antecessori, ed instiluilo di buoni costumi; e se non sarà d’ un’ altra specie più che umana, come voi avete detto di quello delle afii , essendo ajulato dagli ammaestramenti e dalla edocazione ed arte del Corlegiano, formato da questi signori tanto prudente e buono, sarà giustissimo, continen- tissimo, temperatissimo, fortissimo e sapientissimo, pien di liberalità, magnificenza, religione e clemenza; in somma sarà gloriosissimo, c carissimo agli uomini ed a Dio, per la cui grazia acquisterà quella virtù eroica, che lo farà eccedere i termini della umanità, e dir si potrà più presto senaideo che uomo mortale: perchè Dio si diletta, ed è protetlor non di quo' principi che vogliono imitarlo col mostrare gran potenza e farsi adorare dagli nomini, ma di quelli che oltre alla po- tenza per la quale possono, si sforzano di farsegli simili an- cor con la bontà e sapienza, perla quale vogliano e sappiano far bene ed esser suoi ministri, distribuendo a salute dei mortali i beni e i doni che essi da lui ricevono. P«rò, cosi come nel ciclo il sole e la luna e le altre stelle mostrano al mondo, quasi come in specchio, una certa d* Dio, cosi in terra mollo più simile imagine qnc'hoon principi che l’amano e reveriscono, e mostrano ai popoli la splendida tace della sua giustizia, acconapa*?"®^® nna ombra di quella ragione ed intellelto divino; e questi tali partecipa delia onestà, equità, giusti*»® ® bontà 8na,o di quegli altri felici beni ch’io nominar non so, h quali rapresentano al mondo molto più chiaro lesliù»®*»’® divinità che la loce del sole, o il continuo volger J®* vario corso delie stelle. XXIII. Son adunque li popoli da Dio comwese» ^ custodia de’principi, li quali per questo debbono averne di- ligente cura, per rendergline ragione , cotne buoni vicari» « d bv 260 IL CORTEGIANO. SUO signore, ed amargli ed estimar lor proprio ogni bene e male che gli intervenga, e procurar sopra ogni altra cosa la felicità loro. Perù deve il principe non solamente esser buo- no, ma ancora far buoni gli altri; come quel squadro che adoprano gli architetti, che non solamente in sè è dritto e giusto, ma ancor indrizza e fa giuste tutte le cose a che viene accostalo. E grandissimo argomento è che ’l principe sia buono quando i popoli son buoni, perchè la vita del prin- cipe è legge e maestra dei cittadini, e forza è che dai costu- mi di quello dipendan tutti gli altri; nè si conviene a chi è ignorante insegnare, nè a chi è inordinato ordinare , nè a chi cade rilevare altrui. Però se ’l principe ha da far ben questi olTicii, bisogna ch’egli ponga ogni studio e diligenza per sapere; poi formi dentro a sè stesso ed osservi immuta- t bilmente in ogni cosa la legge della ragione, non scritta in carte o in metallo, ma scolpila nell’animo suo proprio, ac- ciò che gli sìa sempre non che familiare ma intrinseca , e con esso viva come parte di lui; perchè giorno e notte in ogni loco e tempo lo ammonisca e gli parli dentro al core, levandogli quelle perturbazioni che sentono gli animi intem- perati, li quali per esser oppressi da un canto quasi da pro- fondissimo sonno della ignoranza, dall’ altro da travaglio che riceveno dai loro perversi e ciechi dcsidcriì, sono agitali da furore inquieto, come talor chi dorme da strane ed orrìbili visioni. XXIV. Aggiungendosi poi maggior potenza al mal vo- lere, si v’aggiunge ancora maggior molestia; e quando il principe può ciò che vuole, allorè gran pericolo che non vo- glia quello che non deve. Però ben disse Bìante, che i ma- gistrali dimostrano quali sian gli uomini: chè come i vasi mentre son vóti, benché abbiano qualche fissnra, mal si pos- sono conoscere, ma se liquore dentro vi si mette, subito mo- strano da qual banda sia il vìzio; cosi gli animi corrotti e guasti rare volte scoprono i loro difetti, se non quando s’em- piono d’autorità; perchè allor non bastano per sopportare il grave peso della potenza, e perciò s’abbandonano, e versano da ogni canto le enpidità, la superbia, la iracondia, la inso- lenza, e quei coslunai tirannici che hanno dentro; onde senza Digitized by Google LIBRO QUARTO. 261 risguardo perseguono i buoni e i savii, ed esallano i mali „è comportano che nelle città siano amicizie, compagnie’ nè intelligenze fra 1 cittadini, ma nutriscono gli esploratori’ accasatori, omicidiali, acciò che spaventino e facciano dive- nir gli uomini pusillanimi, e spargono discordie per tenergli disgianti e debili;- e da questi modi procedono poi infiniti danni e ruine ai miseri popoli , e spesso crudel morte o al- men timor continuo ai medesimi tiranni: perché i buoni principi temono non per sè ma per quelli a’quali comanda- no, e li tiranni temono quelli medesimi a’quali comanda- no; però, quanto a maggior numero di gente comandano e son più potenti, tanto più temono ed hanno più nemici. Co- me credete voi che si spaventasse e stesse con 1* animo so- speso quel Clearco, tiranno di Ponto, ogni volta che andava nella piazza o nel teatro, o a qualche convito o altro loco poblico? che, come si scrive, dormiva chioso in una cassa; ovver quell’auro Aristodemo Argivo? il qual a sè stesso del letto aveva fatta quasi una prigione: chè nel palazzo suo te- nea una piccola stanza sospesa in aria, ed alta tanto che con scala andar vi si bisognava; e quivi con una sua femina dormiva, la madre della quale la notte ne levava la scala, la mattina ve la rimetteva. Contraria vita in tutto a questa deve adunque esser quella del buon principe, libera e sicu- ra, e tanto cara ai cittadini quanto la loro propria , ed or- dinala di modo che partecipi dell’altiva c della contemplati- va, quanto si conviene per beneficio dei popoli. — XXV. Allor il signor Gaspab, E qual, disse, di queste due vite, signor Ottaviano, parvi che più s’ appartenga al principe? — Rispose il signor Ottaviano, ridendo: Voi forse pensate, ch’io mi persuada esser quello eccellente Cortegiano che deve saper tante cose, e servirsene a quel buon fine ch’io ho detto; ma ricordatevi, che questi signori l’hanno formalo con molte condizioni che non sono in me: però procuriamo prima di trovarlo, chè io a lui mi rimetto e di quesl®» e tutte l’allre cose che s’appartengono a- buon principe- — Allora il signor Gaspar, Penso, disse, che delle condi- zioni atlribuile al Cortegiano alcune a voi mancano, sia più presto la musica e ’l danzar e l’ altre di ca imponenza , Dlgitized by Google 262 U- CORTEGIANO. che quelle che appartengono alla inslituzion del principe, ed a questo One della Corlegiania. — Rispose il signor Otta- viano; Non sono di poca importanza tutte quelle che giovano al guadagnar la grazia del principe, il che è necessario, co- me avemo detto, prima che ’l Cortegiano si aventuri a’ vo- lergli insegnar la virtù; la qual estimo avervi mostrato che imparar si può, e che tanto giova, quanto nuoce la ignoran- za , dalla quale, nascono tutti i peccati, e massimamente quella falsa persuasion che l’uom piglia di sé stesso: però panni d’aver detto a bastanza, e forse più ch’io non aveva promesso. — Allora U signora Dochbssa, Noi saremo, disse, tanto più tenuti alla cortesia vostra, quanto la satisfazionè avanzerà la promessa; però non v’incresca dir quello che vi pare sopra la dimanda del signor Gaspar; e, per vostra fé , diteci ancora tutto quello che voi insegnareste al vostro prin- cipe 8’egU avesse bisogno d’ammaestramenti, e presuppone- tevi d’avervi acquistato compitamente la grazia sua, tanto che yi sia licito dirgU liberamente ciò che vi viene in animo - XXVI. Rise il signor Ottaviano e disse: S’io avessi la grazia di qualche principe ch’io conosco, e li dicessi libera- mente il parer mio, dubito che presto la perderei; olirà che per insegnarli bisoperia ch’io prima imparassi. Pur poiché a voi piace ch’io risponda ancora circa questo al signor Ga- spar, dico che a me pare che i principi debbano attendere all' una e l’altra delle due vile, ma più però alla contempla- tiva» P®*^®*»* qnesta '« “si è divisa in due parli: delle quali l’tina consiste nel conoscer bene e giudicare; l’altra nel co- mandare drittamente e con quei modi che si convengono, e ragionevoli, e quello di che hanno autorità, e co- mandarle a chi ragionevolmente ha da obediro, e nei lochi e tomP» appartenenti; e di questo parlava il duca Federico quando diceva, che chi sa comandare è sempre obedilo: e'I comandare è sempre il principal ofTicio de’ principi, li quali debt>nno però ancor spesso veder con gli occhi ed esser pre- senti a**® “ecuzioni, « secondo i tempi e i bisogni ancora lalov ®P®rar essi stessi; e tutto questo pur partecipa della azic»nc* d fin della vita attiva dove esser la contempla- tiva , no“e della guerra la pace, il riposo dette falictic. libro ftDARTO. 263 XXVII. Però è ancor officio del buon principe inalilaire ialmeole i popoli suoi e con tai leggi ed ordini , che possano viver® nell'ozio e nella pace, senza pericolo e con dignità, e godere laudevolmente questo fine delle sue azioni che deve esser la quiete; perchè sonosi trovate spesso molte republiche e principi , li quali nella guerra sempre sono stati fiorentissi- mi e grandi, e subito che hanno avuta la pace sono ìli in mina e hanno perduto la grandezza e ’l splendore, come il ferro non esercitato; e questo non per altro è intervenuto, che per non aver buona insti luzion di vivere nella pace, nè , saper fruire il bene dell’ozio; e lo star sempre in guerra, senza cercar di pervenire al fine della pace, non è licito; benché estimano alcuni principi, il loro intento dover esser principalmente il dominare ai suoi vicini, e però nutriscono i popoli in una bellicosa ferità di rapine, d’omicidii e tai co- se, e lor dànno premii per provocarla, e la chiamano virtù. Onde fu già costume fra i Sciti , che chi non avesse morto un suo nemico non |)olesse bere ne’ conviti solenni alla tazza che si portava intorno alti compagni. In altri lochi s’ osava indrizzare intorno il sepolcro tanti obelisci , quanti nemici avea morti quello che era sepolto ; e tutte queste cose ed ah tre simili si faceano per far gli uomini bellicosi, solamente per dominare agli altri: il che era quasi impossibile, P®*' ser impresa infinita, insino a tanto che non s’avesse snbjugalo tutto ’l mondo; e poco ragionevole, secondo la Icgg® ^**1* natura, la qual non vuole che negli altri a noi piaccia quello che in noi stessi ci dispiace. Però debbon ì principi far i poli bellicosi non per cupidità di dominare , ma per poi®*' fendere sè stessi e li medesimi popoli da chi volesse ridurgh in servitù, ovver fargli ingiuria in parte alcuna; ovver per .discacciar i tiranni, e governar bene quei popoli ®I*® fossero mal trattati, ovvero per ridurre in servitù quelli ®**® tali da natura, che meritassero esser fatti servi ®®® in*®**' zione di governargli bene e dar loro l'ozio e *ì riposo ® 1^ pace: ed a questo fine ancora debbono essere indria*®!® 1® leggi e tolti gli ordini della giustizia, col punir » per od», ma perchè non siano mali ed acciò che n®n i®P®* discano la tranquillità dei buoni; perchè in vero è cosa enorm® Digilized by Google IL CORTEGIANO. 264 e degna di biasimo, nella guerra, che in sé è mala, mo- strarsi gli nomini valorosi e savii; e nella pace e quiete, che è buona, mostrarsi ignoranti e tanto da poco, che non sappiano godere il bene. Come adunque nella guerra debbono ntcnder i popoli nelle virtù utili e necessarie per conse- guirne il fine, che è la pace; cosi nella pace, per conseguirne ancor il suo fine, che è la tranquillità, debbono intendere nelle oneste, le quali sono il fine delle utili: ed in tal modo li sudditi saranno buoni, e’I principe arà mollo più da lau- dare e premiare che da castigare; e ’l dominio per li sudditi e per lo principe sarà felicissimo, non imperioso, come di padrone al servo, ma dolce e placido, come di buon padre a buon figliolo. — XXVIII. Allor il signor Gaspab, Volentieri, disse, sa- prei quali sono queste virtù utili e necessarie nella guerra, e quali le oneste nella pace. — Rispose il signor Ottaviano : Tulle son buone e giovevoli, perchè tendono a buon fine; pur nella guerra precipuamente vai quella vera fortezza, che fa l’animo esento dalle passioni, talmente che non solo non teme li pericoli, ma pur non li cura; medesimamente la co- stanza, e quella pazienza tolerante, con l’animo saldo ed im- perturbato a tulle le percosse di fortuna. Conviensi ancora nella guerra e sempre aver tutte le virtù che tendono all’one- sto, come la giustizia, la continenza, la temperanza; ma molto più nella paco e nell’ ozio, perchè spesso gli uomini posti nella prosperità e nell’ozio, quando la fortuna seconda loro arride, divengono ingiusti, intemperati, e lasciansi corrompere dai piaceri: perù quelli che sono in tale stalo hanno grandissimo bisogno di queste virtù, perchè l’ozio troppo facilmente in- duce mali costumi negli animi umani. Onde anticamente si diceva in proverbio, che ai servi non si dee dar ozio; e ere-, desi Piramidi d’Egitto fossero fatte per tener i popoli in esercizio, perchè ad ognuno lo essere assueto a tolerar fa- tiche è utilissimo. Sono ancor molle altre virtù tutte giovevo- li , ma h®^fi P®r l’ aver detto insin qui; chè s’ io sapessi inse- gnar al mio principe, ed instituirlo di tale e cosi virtuosa edu- cazione come avemo disegnata, facendolo, senza più mi cre- derei assai bene aver conseguito il fine del buon Gorlegiano. — DIgitized by libro quarto. XXIX. Allor il signor Gaspar, Signor Ou« • perchè raoKo avete laudato la buona educazioni quasi di credere che questa sia principal causa d’i virtuoso e buono, vorrei sapere se quella instiluzio^ ZT da far il Corleg.ano nel suo prìncipe deve esser comLl ^ dalla consuetudine, e quasi dai costumi cotidiani ^ S* senza che esso se ne avvegga, lo assuefacciano al ben fer'! 0 se pur se gl. deve dar principio col mostrargli con ragion ’ la qualità del bene e del male, e con fargli conoscere, prima che si metta in cammino, qualsia la buona via e da seguita- re, e quale la mala e da fuggire: in somma, se in quell’ani- mo si deve prima introdurre e fondar le virtù con la ragione ed intelligenza, ovver con la consuetudine. — Disse il signor Ottaviano: \oi mi mettete in troppo lungo ragionamento; pur acciò che non vi paja eh’ io manchi per non voler rispon- dere alle dimando vostre, dico, che secondo che l’animo e’I corpo in noi sono due cose, così ancora l’anima è divisa in due parti, delle quali l’una ha in sé la ragione, l’altra Tap- petilo. Come adunque nella generazione il corpo precedo 1 anima, cosi la parte irrazionale dell’anima precede la razio- nale: il che si comprende chiaramente nei fanciulli > ne’ quali quasi subito che son nati si vedeno Tira e la concnpiscenza, ma poi con spazio di tempo appare la ragione. Però devesi prima pigliare cura del corpo che dell’anima, poi prima del- l’appetito che della ragione; ma la cura del corpo per rispetto dell’anima, e dell’appetito per rispetto della ragione: chè se- condo che la virtù intellettiva si fa perfetta con la dottrina, cosi la morale si fa con la consuetudine. Devesi adunque far prima la erudizione con la consuetudine , la qual può gover- nare gh appetiti non ancora capaci di ra<»ione e con quel buon uso indrizzargli al bene; poi slabilireli con la intelli- genza, la quale benché più lardi mostri il suo lui»e, pur dà modo di fruir più perfettamente le virtù a chi ha bene insti- tuito l’animo dai costumi, nei quali, al parer mio, consiste il XXX. Disse il signor Gaspar : Prima eh*, nassiate più avanti, vorrei saper che cura si deve aver /.orno, perchè avete dello che prima devemo averla di quello che deU’ani- 23 Digilized by Google IL CORTEGIANO. 266 rea. — Dimandatene, rispose il signor Ottìvuno ridendo, a questi, che lo nutriscon bene e son grassi e freschi; che 1 mio, come vedete, non è troppo ben curato. Pur ancora di questo si poria dir largamente, come del tempo conveniente del maritarsi, acciò che i figlioli non fossero troppo vicini nè troppo lontani alla età paterna; degli esercizi! e della edu- cazione subito che sono nati e nel resto della età, per fargli ben disposti, prosperosi e gagliardi. — Rispose il signor Ga- spar: Quello che più piaceria alle donne per far i Gglioli ben disposti e belli , secondo me saria quella communità che d’ esse vuol Platone nella sua Republica , e di quel modo. Allora la signora Emilia ridendo, Non è ne’ palli, disse, che ritor- niate a dir mal delle donne. — Io, risposo il signor Gaspah, mi presumo dar lor gran laude, dicendo che desiderino che s’ introduca un costume approvato da un tanto uomo. — Disse ridendo messer Cesare Gonzasa: Veggiamo se tra li docu- menti del signor Ottaviano, che non so se per ancora gli abbia delti tulli, questo potesse aver loco, e se ben fosse che ’l principe ne facesse una legge. — Quelli pochi eh io ho delti, rispose il signor Ottaviano, forse porian bastare per far un principe buono, come posson esser quelli che si usano oggidì; benché chi volesse veder la cosa più minutamente, averia ancora molto più che dire. — Soggiunse la signora Do- cuessa: Poiché non ci costa altro che parole, dichiarateci, Iter vostra fé, tutto quello che v’occorreria in animo da in- segnar al vostro principe. — Rispose il signor Ottaviano: Molte altre cose. Signora, gl’ insegnarei, pur eh’ io lo sapessi; e tra l’ altre, elm dei suoi sudditi eleggesse un numero di gentiluomini e dei più nobili e savìi, coi quali consultasse ogni cosa, e loro desse autorità e libera licenza, che del lotto senza risguardo dir gli potessero il parer loro ; e con essi tenesse tal manie- ra, che tutti s’accorgessero che d’ogni cosa safier volesse la verità, ed avesse in odio ogni bugia; ed oltre a questo con- siglio de’ nobili, ricordarci che fossero eletti tra ’l popolo altri di minor grado, dei quali si facesse un consiglio popolare, che communicasse col consìglio de’ nobili le occorrenze della città appartenenti al publico ed al privalo : ed in tal modo si Digitized by 267 Libro quarto. facesse del principe, come di capo, e dei nobiK e dei popola- ri, come di membri, on corpo solo unito insieme, il governo del quale nascesse principalmente dal principe, nientedimeno partecipasse ancora degli altri ; e cosi aria questo stato forma cil f <rrkVAn»ni KnAMi X Tk « • .. n • 1 V W| di tre governi buoni, che è il Regno, gli OtUmali e ’I Po- polo. XXXII. Appresso, gli mostrarei, che delle cure che al principe s’appartengono, la piu importante é quella della giu- stizia; per la conservazion della quale si debbono eleggere nei magistrali i sa vii e gli approvati nomini, la prudenza de’ quali sia ché quali sia vera prudenza accompagnata dalla bontà, per" altrimenti non è prudenza ma astuzia ; e quando questa ontà manca, sempre Farle e sottilità dei causidici non ® ^ -■««icuica, sempre l arte e sotlili(à dei causidici nou ro che ruina e calamità delle leggi e dei giudicii, c ^ogni loro errore si ha da dare a chi gli ha posti in oflicio- . “ errore SI na aa aare a cni gii na putn» *•» rei come dalla giustizia ancora depende quella pietà verso debita a tutti, e massimaraenle ai principi, ri ^ ® on amarlo sopra ogni altra cosa, ed a lui come a e indrizzar tulle le sue azioni; e, come dicea Seno ^ onorarlo ed amarlo sempre, ma molto più quando prosperità, per aver poi più ragionevolmente confidc ^ ^cV' domandargli grazia quando sono in qualche avversila ^*™P*^sibile è governar bene nè sé stesso nè a r "“uossioue è governar bene nè sè stesso “ V ajuto di Dio; u quale ai buoni alcuna volta manda ® ^ or una per ministra sua, che gli rilievi da gravi «ro per ministra sua, che gli rilievi da gravi h-* r a avversa, per non gli lasciar addormeafare spenta tanto che si scordino di lui, o della pm e corregge spesso la mala fortuna, come tc Zdadi col menar ben le - 1 rei ancora di ricordare al principe che ^ee® «S‘c‘in“; ““ "b dal“alle 1® » *'iaa e ®*>» pnidénx® boooato'"*^ ^ e la vera rpiìfrì/inA eanrv.Ai-kV.c ..«..An-u la — C-i \ C divina r> «uia» pru«*- »>aona «Dio n * '"®*'®‘‘®%*one, avrebbe ancora ^Y>e pro»l? ' ' ®'“ H d»al eempre gli accreie?*-®”*^ il in pace ed in gue,ra. AXXIII. Appresso direi, IDOli en<v: ^ come dovcs®® -tìi» ” ìnnraAi- — --VV1CSSU airej, come doves=’^ »>er le Digitized by Google IL CORTEGIANO. 208 giure e mille aliti mali: nè meno in troppo libertà, per non esser vilipeso ; da che procede la vita licenziosa e dissoluta dei popoli, le rapine, i furti, gli omicidii, senza timor alcuno delle leggi ; spesso la mina ed esizio totale della città e dei regni. Appresso, come dovesse amare i propinqui di grado in grado, servando tra lutti in certe cose una pare equalità, come nella giustizia e nella libertà ; ed in alcune altre una ragionevole inequalità, come nell’ esser liberale, nel remu- nerare, nel distribuir gli onori c dignità secondo la inequa- lilà dei meriti, li quali sempre debbono non avanzare ma esser avanzali dalle remunerazioni; e che in tal modo sa- rebbe nonché amato ma quasi adorato dai sudditi; nè biso- gneria che esso per custodia della vita sua si commettesse a forestieri, chè i suoi per utilità di sè stessi con la propria la cuslodiriano, ed ognun volentieri obediria alle leggi, quando vedessero che esso medesimo obedisse, c fosse quasi custode ed esecutore incorruttibile di quelle ; ed in tal modo, circa questo, darebbe cosi ferma impression di sè, che se ben ta- lor occorresse conlrafarle in qualche cosa, ognun conosceria che si facesse a buon fine, e ’l medesimo rispetto e riverenza s’aria al voler suo, che alle proprie leggi: e così sarian gli animi dei cittadini talmente temperali, che i buoni non cer- cariano aver più del bisogno, c i mali non poriano; perchè molte volle le eccessive ricchezze son causa di gran ruina; come nella povera Italia, la quale è stala e tuttavia è pred.a esposta a genti strane, si per lo mal governo, come perle molte ricchezze di che è piena. Però ben saria che la mag- gior parte dei cittadini fossero né mollo ricchi nè molto po- veri, perchè i troppo ricchi spesso divengon superbi e leme- rarii; i poveri, vili c fraudolenti; ma li mediocri non fanno insìdie agli altri, e vivono securi di non essere insidiati: ed essendo questi mediocri maggior numero, sono ancora più potenti ; e però nè i poveri nè i ricchi possono conspirar cen- tra il principe, ovvero conira gli altri, nè far sedizioni; onde per schifar questo male è saluberrima cosa mantenere univer- salmente la mediocrità. XXXIV. Direi adunque, che usar dovesse questi e molli altri rimedii opportuni, ]>crché nella raciilc dei sudditi non Digrtlzed by ‘«attjen, ^ die ' ' ««a iorn che <^«» “;:^t Vare ,• ®<// r/corw^^'^'^ce ^ ® *^“''''®ainor» * poco; per- ^ aoie,„ suj^dchen ^>“r pr^a ^“an/o **aa ^ © <^e7/a ^ ®9®iWo, e ,#~ *®se di conser »°. " ■“«£ “» ^ù:, ?'■“ ‘ •>'■>* "" ^‘*“'•906 P'‘> S"'’ 2e» " ®''‘'*/7 f * 9ueiu T^‘'''> tanio J i qu; Hc, 7^ |,„oo; ‘'"'•po nè cT*?» utili; •atti i ^^Av, ®?o/ » ®®*<o 'I I*enso io a- si» * *0(irfv^0; e ^®co ' 7ua/e (ufi: - ’ d*8ses , .**'®*‘foo ® ©Oa ** Pochi li ». * ^*^<ldili fc>ss >«8o N: ®'>«orr®'^. >«ulasse i7 ' *‘aO''os7ri^®*><i ™*S»iaja d ar ’®oo ^6 vanno Digiri :..-J Lv, -- jlt IL CORTEGIANO. 270, gli governassero, e da essi fossero obediti, fossero di pastori divenali gran signori? Vedete adunque che non la moltitu- dine dei sudditi, ma il valor fa grandi li principi. — XXXVI. Erano stali per buon spazio attentissimi al ra- gionamento del signor Ottaviano la signora Duchessa e la si- gnora Emilia, e lutti gli altri; ma avendo quivi esso fatto un poco di pausa, come d’aver dato fine al suo ragionamento, disse messer Cesahk Gonzaga: Veramente, signor Ottaviano, non si può dire che i documenti vostri non sian buoni ed uti- nientedimeno io crederei, che se voi formaste con quelli il vostro principe, più presto meritareste nome di buon mae- stro di scola cho di buon Cortegiano, ed esso più presto di buon governatore che di gran principe. Non dico già che cura dei signori non debba essere che i popoli siano ben retti con giustizia e buone consuetudini ; nientedimeno ad essi parmi che basti eleggere buoni ministri per eseguir queste (ai cose, e che ’l vero officio loro sia poi molto maggiore. Però s’io mi sentissi esser quell’ eccellente Cortegiano che hanno formato questi signori, ed aver la grazia del mio prin- cipe, certo è ch’io non lo indurrei mai a cosa alcuna vizio- sa ; ma, per conseguir quel buon fine che voi dite, ed io confermo dover esser il frutto delle fatiche ed azioni del Cor- tegiano, cercherei d’imprimergli nell’animo una certa gran- dezza, con quel splendor regale e con una prontezza d’ani- mo e valore invitto nell’ arme, cho lo facesse amare e reverir da ognuno di tal sorte, che per questo principalmente fosse famoso c chiaro al mondo. Direi ancor che corapagnar do- vesse con la grandezza una domestica mansuetudine, con quella umanità dolce ed amabile, e buona maniera d’acca- rezzare e i sudditi e i stranieri discretamente, più c meno, secondo i meriti, servando però sempre la maestà conve- niente al grado suo, che non gli lasciasse in parte alcuna diminuire l’autorità per troppo bassezza, nè meno gli con- citasse odio per troppo austera severità ; dovesse essere li- beralissimo e splendido, e donar ad ognuno senza riservo, perchè Dio, come si dice, è tesauriero dei principi liberali; far conviti magnifici, feste, giochi, spettacoli publici; aver gran numero di cavalli eccellenti, per utilità nella guerra e Digitized by Googk' ® “»«« " '’««« L'”"'- «»/ ' ^^eaio yen/: ‘^®Vra„ ’ e y fare yj** ,®'>aori co ^ '«*• ma signor ’J a „ ®'^Oor i? ^^fpopo/T^ ®*ratf ’ "*• là D 1/ rf e ®ocof <y.- *^o re *n va j J0//0 Wr, a S:s'■<^^ 'C:- “ c:"; '* '‘« c,”“: '■'•* ^,;^“;»-o .1», ■'•«■'.a. , 5 ‘;s;r C;";-». r;,:rs ^*^f|fo . ^05/ , ® avea /à^ ^ece 41 <i«, <^'KaJia :'“■"« .0»i! *''“'>*■ Sf f; pili, *'^®or *^*^*®*®vo 0(j« * che ^'Pe „ 7 '®»''ano ®**«ndro ji# ^ *»are: oene pj!,'*‘er„ ^,’'®vy/re Pace e «* 7 .” “« Cr»'-»7r? “-«X 0.,?»iv,r «!.?« al,„ " ““'®= <=hé.e 1 a '''*»al?*"*o°^“ ^“'"'"cl,’.” °a?'o| 'i® ® vln.Ìr ij - ***** '** ‘*"®*‘* e ;*'0»/0 ««Kbon» f„; il 3. ■ '*"“■“ a"”’ ^?*''«*>'*«<o "^'■ler„ '’ »'-®‘**»°n„ hi ”^®aoo I® **rocusto e Se ^®''|Je(’ tiranni crac ® e mortai g^uei rìdi Digitized by Googl 272 IL CORTEGIANO. sii magnanimi Eroi; e però per aver liberato il mondo da cosi intolerabili mostri (che altramente non si debbon no> minare i tiranni], ad Ercole furon fatti i tempii e i sacritìcii e dati gli onori divini; perchè il beneficio di estirpare i ti- ranni è tanto giovevole al mondo, che chi lo fa merita molto maggior premio, che lutto quello che si conviene ad un mortale. E di coloro che voi avete nominati, non vi par che Alessandro giovasse con le sue vittorie ai vinti, avendo in- sliluite di tanti buoni costumi quelle barbare genti che su- però, che di fiere gli fece uomini? edificò tante belle città in paesi mal abitali, introducendovi il viver morale; e quasi congiungendo l’Asia e l’Europa col vincolo dell’ amicizia c delle sante leggi: di modo che più felici furono i vinti da lui, che gli altri; perchè ad alcuni mostrò i matrimonii, ad altri l’agricoltura, ad altri la religione, ad altri il non ucci- dere ma il nutrir i padri già vecchi, ad altri lo astenersi dal congiungersi con le madri, e mille altre cose che si porian dir in testimonio del giovamento che fecero al mondo le sue vittorie. XXXVIII. Ma, lasciando gli antichi, qual più nobile e gloriosa impresa e più giovevole potrebbe essere, che se i Cristiani voltassero le forze loro a subjugar gl’infedeli? non vi parrebbe che questa guerra, succedendo prosperamente, ed essendo causa di ridurre dalla falsa setta di Maumet al lume della verità cristiana tante migliaja d’uomini , fosse per giovare cosi ai vinti come ai vincitori? E veramente, co- me già Temistocle, essendo discaccialo dalla patria sua o raccolto dal re di Persia e da lui accarezzato ed onoralo con infiniti e ricchissimi doni, ai suoi disse: Amici, minati era- vamo noi, se non ruinavamo; — cosi ben poriano allor con ragion dire il medesimo ancora i Turchi e i Mori , perché nella perdita loro saria la lor salute. Questa felicità adunque spero che ancor vedremo, se da Dio ne Ila conceduto il vi- ver tanto, che alla corona di Francia pervenga Monsignor d’Angolem, il quale tanta speranza mostra di sè, quanta, mo quarta sera, disse il signor Magnifico; ed a quella d’In- ghilterra il signor don Enrico , principe di Waglia , che or cresce sotto il magno padre in ogni sorte di virtù, come te- Digitized by Googk LIBRO QUARTO. 27, nero rampollo sotto l'ombra d'arbore eccellente « frutti, per rinovarlo molto più bello e più fecotZ d Oa tempo; chè, comedi là scrive il nostro Cast • ” più largamente promette di dire al suo ritorno, p e natura in questo signore abbia voluto far prova la OOllolTA FiHr in iin nr\«»nn e /\1 rv é n n f a .^ru. 1 I v-k «va a collocando in un corpo solo tante eccellenze, qy_ *lessa, riano per adornarne infiniti. — Disse allora messe ^osta- no JIibiena: Grandissima speranza ancor di sé proi»» ^***^'*®' Carlo, principe di Spagna, il quale non essendo ® decimo anno della sua età, dimostra già tanto gianlo così certi indizii di bontà, di prudenza, di modesti°^^^”° ® ^paniiailà e d’ogni virtù, che se l’imperio di crisjj * come s’estima, nelle sue mani, creder si può ®*curare il nome di molti imperatori antichi, ej lana ai famosi che mai siano stati al mondo aliarsi XXXIX. Soggiunse il signor Ottaviano: Credo ® ® lati e cosi divini principi siano da Dio mandai' • ® tu/ fatti simili della età giovcnilc, della poien,* *®*‘*'a, del stato, della bellezza e disposizion del ® siano ancor a uueslo buon voler concorri;. ar- siano ancor a questo buon voler concordi- ® fin Or... ■ . _ > e ®***“lazione alcuna esser deve mai tra essi, ">vj'dia ^ Voler ciascuno esser il primo e più fervente ^ gloriosa impresa. Ma lasciamo questo rar»/* ®”'®ato gloriosa impresa. j\ia lasciamo questo rar»; ‘"laic ^*'*Jiaino 3l nostro. Dico adunque, messer Tot > s© «I. - ^ , A ^^sare. ok_ . ®se che voi -volete che faccia il principe son cran^’ sg 8ne di molta laude; ma dovete intendere, che se che le «auucy ijuci uuYcie Jiiteiiucrei ci)0 oa ^ p a^.**®^° cb' io bo dello che ha da sapere, e non ha*/ dim**”® quel modo, ed indrizzato al camnjìnnH ■<Bo„ . '■ini, saprà esser magnanimo, liberale, giusi/ '^**^*^ gli’ P*""**®”*® » ® avere alcuna altra qualità di quelle O© a|* ^ » v«* ^A^UUd dillo ^UtlJlia Q| {IiiaII nò per altro vorrei che fosse tale *^**** «cane condizioni: chè si comequell’i chlT so“°** ****^' architetti, cosi quegli che dona'**' ®^no®:** P«-chè la virtù non Lece m ' ^/ > e molt* sono . ““i aa al- rr’V'l®Sa™robbi''d’a/?;! ® ®®*‘ la robba d’altri. ^ « cosi son libe- • I dànno a cui non debbono a all.. in calamità e ,■ . "«“o, e ® *®® ria quegli a’ quali sono obli gali ■ ino con una certi* »«-., • • j- * naala grazia e quasi dispetto , tal igU I 274 n. COBTEGIANO. che si conosce che lo fan per forza; altri non solamente non son secreti, ma chiamano i testimoni e quasi fanno bandire le sue liberalità; altri pazzamente vuotano in un tratto quel fonte della liberalità, tanto che poi non si può usar più. XL. Però in questo, come nell’altre cose, bisogna sa- pere e governarsi con quella prudenza, che è necessaria com- pagna a tutte le virtù; le quali, per esser mediocrità, sono vicine alli dui estremi, che sono viiii; onde chi non sa, fa- cilmente incorre in essi: perchè cosi come è diQicile nel cir- colo trovare il punto del centro, che è il mezzo, cosi è diffi- cile trovare il punto della virtù posta nel mezzo delli dui estremi, viziosi l’uno per lo troppo, 1’ altro per lo poco , ed a questi siamo, or all’ uno or all’ altro, inclinati: e ciò si co- nosce per lo piacere e per lo dispiacere che in noi si sente ; chè per 1’ uno facciamo quello che non devemo , per l’ altro lasciamo di far quello che deveremmo; benché il piacere è molto più pericoloso, perchè facilmente il giudicio nostro da quello si lascia corrompere. Ma perchè il conoscere quanto sia r uom lontano dal centro della virtù è cosa diffìcile, de- vemo ritirarci a poco a poco da noi stessi alla contraria parte di quello estremo al qual conoscemo esser inclinati , come fanno quelli che indrizzano i legni distorti; chè in tal modo s’ accosi aremo alla virtù, la quale, come ho detto, consiste in quel punto della mediocrità: onde interviene che noi per molti modi erriamo, e per un solo facciamo l’ officio e debito nostro; cosi come gli arcieri, che per una via sola dànno nella brocca, e per molte fallano il segno. Però spesso un principe, per voler esser umano ed affabile, fa infinite cose fuor del decoro, e si avvilisce tanto che è disprczzato; al- cun altro, per servar quella maestà grave con autorità con- veniente, diviene austero ed intolerabile; alcun, per esser tenuto eloquente, entra in mille strane maniere e lunghi cir- cuiti di parole affettate, ascoltando sé stesso tanto, che gli altri per fastidio ascoltar non lo possono. XLl. Si che non chiamate, messer Cesare , per minu- zia cosa alcuna che possa migliorare un principe in qualsi- voglia parte, per minima che ella sia; nè pensate già ch'io estimi che voi biasmiatc i miei documenti, dicendo che con Digitized by Googic LIBRO QUARTO- quélU piQUesto si formarla un duod groveraafore che n principe; chè non si può forse dare maggior conveniente ad un principe, che chiamarlo buon ** re. Però, se a me toccasse instilnirlo, vorrei che cura non solamente di governar le cose già deit^^ baolto minori, ed intendesse tutte le particoJarii^ epparf^* Denti a’suoi popoli quanto fosse possibile, nè mai credes<tó tanto nè tanto si confidasse d’ alcun suo ministro, ^he a gael Solo rimettesse totalmente la briglia e lo arbitrio dj governo; jierchè non è alcuno che sia altissimo a ®e.e mollo maggior danno procede dalla credulità de'sjgnori dalla incredulità, la qual non solamente talor ooa ooo- ma spesso sommamente giova: par in questo è necessa- ‘I buon giudicio del principe, per conoscere chi merita" ®sser credulo e chi no. Vorrei che avesse cura d'iniendere ® trioni, ed esser censore de’ suoi ministri; di levare ed abre '^iar le j,,, ^^a i sudditi; di far far pace Ira essi, ed allegar- g“ insieme de’ parentali; di far che la città fosse (mja concorde in anoicizia, come una casa privata; popolo»- Povera, quieta, piena di buoni artefici; di favor,y .• » ed aju tarli ancora con denari ; d' esser onorevole nelle ospitalità verso i forestieri e verso i ^gj- . eh tutte le superfluità: perchè spesso per gjj- ^ ® si fanao in queste cose, benché pajano piccoli^ Je méi**° mina; però è ragionevole che '1 princi^ pg^ * troppo sontuosi ediflcii dei privali, ai convivii all g * ®®cessive «ielle donne, al lusso, alle pompe nelle •* pji^®f**Dien(i, <5Ìie non è altro che un argomento della *®J chè, oltre che spesso, per quella ambizione ed ' che si portene l'aaa all’ altra, dissipano le facoltà e la frasg^** «le* oaakwiU, talor per una giojetta o qualche allr^ parare**^*® tale 'vendono la pudicizia loro a chi la vuol com- -Allora measer Ssernabdo Bibiens, ridendo, Signor e del disse, voi entrale nella parte del signor Gaspar ba lita*^^'®' — Hàspose il signor Ottaviaho , pur ridendo: <l>rò p.^ flnila, cd io non voglio già rinovarla; però non delle donne, ma ritornerò al mio principe. — Ri- Digitized by Googli: 276 IL CORTEGIANO. spose il Fbigio: Ben potete oramai lasciarlo, e contentarvi ch’egli sia tale come l’avete formato; chè senza dubio più facil cosa sarebbe trovare una donna con le condizioni dette dal signor Magnifico, che un principe con le condizioni dette da voi; perù dubito che sia come la republica di Platone , e che non siamo per vederne mai un tale, se non forse in eie- Rispose il signor Ottaviano: Le cose possibili, benché siano diflìcili , pur si può sperare che abbiano da essere ; perciò forse vedremolo ancor a’nostri tempi in terra: chè benché i cieli siano tanto avari in produr principi eccellenti, che a pena in molli secoli se ne vede uno, potrebbe questa buona fortuna toccare a noi. — Disse allor il conte Ludovi- co: Io ne sto con assai buona speranza; perchè, oltra quelli tre grandi che avemo nominali, dei quali sperar si può ciò che s’ è detto convenirsi al supremo grado di perfetto prin- cipe, ancora in Italia si ritrovano oggidì alcuni figlioli di si- gnori, li quali, benché non siano per aver tanta potenza, forse suppliranno con la virtù; e quello che tra tutti si mo- stra di meglior indole, e di sé promette maggior speranza che alcun degli altri, parmi che sia il signor Federico Gonzaga, primogenito del marchese di Manlua, ncpole della signora Duchessa nostra qui; chè, olirà la gentilezza de’ costumi, e la discrezione che in cosi tenera età dimostra, coloro che lo governano di lui dicono cose di maraviglia circa l’essere ingenioso, cupido d’onore, magnanimo, cortese, liberale, amico della giustizia; di modo che di cosi buon principio non si può se non aspettare ottimo fine. — Allor il Frigio, Or non più, disse; pregheremo Dio di vedere adempita que- sta vostra speranza. — XLIll. Quivi il signor Ottaviano, rivolto alla signora Duchessa con maniera d’aver dato fine al suo ragionamen- to, Eccovi, Signora, disse, quello che a dir m’occorre del fin del Cortegiano; nella qual cosa s’io non arò satisfatto in lutto, baslarammi almen aver dimostrato che qualche perfe- zion ancora dar se gli pelea olirà le cose delle da questi si- gnori; li quali io estimo che abbiano pretermesso e questo, e tutto quello ch’io potrei dire, non perchè non lo sai>cssero meglio di me, ma per fuggir fatica; però lasciarò che essi Digitized by , LIBRO QUAHTO- 277 vadano continuando» se a dir gli avanza cosa alcuog torà disse la signora Duchessa: Offra cJie l’ora è che tosto sarà tempo di dar fine per cjnesfa sera, ^ par che noi debbiam mescolare altro ragionamento Ole Con non que- »to; nel quale voi avete raccolto tante varie e belle cose iirca il line della Cortegiania si può dir che non ®°'a«nen(e sto circa il line della Cortegiania si pud siate quel perfetto Cortegiano che noi cerchiamo, e per instituir bene il vostro principe; ma , se la fortuna** ^ sarà propizia, che debbiate ancor essercT ottimo Priuc/pg. che saria con molta utilità della patria vostra. It/sg ^ J gnor Ottaviano, e disse: Forse, Signora, s io fossi in jgi grado, a me ancor interverria quello che suole *'*'tervenire a *oolii altri, li quali san meglio dire che fare. — XLIV. Quivi essendosi replicato un poco di ragiona- «Jcnto Ira tutta la compagnia confusamente, con alcung ' ^*'^fiitioni, pur a laude di quello che s’ era parlato, g 7 ancor non era l’ora d’andar a dormire, disse ridendo 1 .^fi’ni/ìco /ci.iANio; Signora, io son tanto nemico degl'igj, ' ”• > elle in’é forza contradir al signor Ottaviano, ij gng| c^ser, Como io dubito, congiurato secretamenle ggj . '^spar conira le donne, è incorso in dui errori, second*^””*^ «'■andissimir dei quali l’uno è, che per preporre guggj^ ®Siano alla Donna di Palazzo, e farlo eccedere qggj p*'* ch**^^ essa può g^iungere, l’ha preposto ancor al Princin™'"* che •nconvenienl > ..a ^nneipe .-i tissimo; l’altro, che gli ha dalo un (al (jg * Sempre è «JifTìcile e talor impossibile che io conseguiggg’ Quando pur lo consegue, non si deve nominar per fn ^f'ano ■ P®»- Corle- * — Io non intendo, disse la signora Jìmiua, come si sto * o imjjossibile che ’l Cortegiano conseguisca n*** posto*” meno come il signor Ottaviano l’abbia pre^ il siqn^* principe. — Non gli consentile queste cose, ris^)se ®'prin”^ Ottav^iaivo, perch’ io non ho preposto il Cortegiano esser ® cinca //fine della Cortegiania non mi presumo ”®o»-so in errore alcuno. — Rispose allor il Magnifico causji potete, signor Ottaviano, che sempre la late ** quale Io effetto è tale come egli è, non sia più in**”” ^ quello effetto ; però bisogna che ’l Cortegiano, ®lituzion del quale il principe ha da esser di Unta 24 Digitiz^j by C'- >OgI« IL CORTEGIANO. 278 eccellenza, sia più eccellente che quel principe; ed in questo modo sarà ancora di più dignità che’l principe istesso; il che è inconvenientissimo. Circa il fine poi della Corlegiania, quello che voi avete detto può seguitare quando l’età del principe ò poco differente da quella del Corlegiano, ma non però senza dilllcollà, perchè dove è poca differenza d’età, ragionevol è che ancor poca ve ne sia di sapere; ma se ’l principe è vecchio e ’l Cortegian giovane, conveniente è che ’l principe vecchio sappia più che ’l Cortegian giovane, e se questo non intervien sempre, intervien qualche volta; ed allor il fine che voi avete attribuito al Corlegiano è im- possibile. Se ancora il principe è giovane e ’l Cortegian vec- chio, ditlìcilmente il Cortegian può guadagnarsi la mente del principe con quelle condizioni che voi gli avete attribuite; chè, per dir il vero, l’armeggiare e gli altri esercizi! della persona s’ appartengono a’ giovani , e non riescono ne’ vec- chi, e la musica e le danze e feste e giochi e gli amori in quella età son cose ridicole; e parrai che ad uno inslilutor della vita e costumi del principe, il qual deve esser persona tanto grave e d’autorità, maturo negli anni e nella esperien- za, e, se possibil fosse, buon filosofo, buon capitano, e quasi saper ogni cosa, siano disconvenienlissime. Però chi instilui- sce il principe estimo io che non s’ abbia da chiamar Corlc- giano, ma meriti mollo maggiore e più onorato nome. Si che, signor Ottaviano, perdonatemi s’ io ho sco|>erlo questa vostra fallacia, chè mi par esser tenuto a far cosi per l’onor della mia Donna; la qual voi pur vorreste che fosse di minor dignità che questo vostro Corlegiano, ed io noi voglio com- portare.' — XLV. Risc il signor Ottaviano, e disse: SignorMàgnitico, più laude della Donna di Palazzo sarebbe lo esaltarla tanto ch’ella fosse pari al Corlegiano, che abassar il Cortegian tanto che ’l sia pari alla Donna di Palazzo ; che già non se- ria proibito alla Donna ancora inslituir la sua Signora, e ten- der con essa a quel fino della Corlegiania ch’io ho dello convenirsi al Cortegian col suo principe; ma voi cercate più di biasimare il Corlegiano, che di laudar la Donna di Palaz- zo: però a me ancor sarà lecito tener la ragione del Corlegia- Digitized by libro quarto. tio. per rispondere anunqne alle vostre objez/oni r^on ho dello chi» la inalìlnvirtno r ’ '**Co 279 non ho dello che la instituzione del Cortegiaao la sola causa per la quale il principe sia tale; percKA*^ non fosse inclinato da nalura ed atto a poter esse ** pura e ricordo del Cortegiano sarebbe indarno; indarno s’ alTalicaria ogni buono agricoltore che si * *ocor ® coltivare e seminare d’ottimi grani, l’arena *®ore, perchè quella lai sterilità in quel loco é nato,.*] * |Joando al buon seme in terren fertile, con la oria e piogge convenienti alle stagioni s’ agg/u^gg a d/l/gre^jza della coltura umana, si vedon sempre igp ®**cora **ascere abondantissimi frutti; nè però è che lo ag.*”*®”*® o sfa jg causa di quelli, benché senza esso poco ^*^**1®^*®*’ S^ovassgj.^ £at(g jg gji^e cose. Sono adunque molti ^*®®*® ® sar/an buoni, se eli animi loro fossero ben sar/an buoni, se gli animi loro fossero ben parlo io, non di quelli che sono come i| *’ ® ’ ® tanto da nalura alieni dai bnoni costami, chg ®^®~ f ^'sc/piina alcuna per indar l’animo loro al diVn»****” ™'O0. *‘1110 cam. gjj -E perchè, come già avemo detto, tali • n». *** *" noi quali sono le nostre operazioni. « ** consisto la virtù. ® Cori, cam- l^nnc 1 i?uiiu IO nostre operazioni, g — 1, non è impossibil nè maravi„i”* ^ ®P®“ il principe a molte virtù, coiha^ shzia^ ludrizzi il principe a molte virtù, coinè i ” ‘essn ’ liberalità, la magnanimità, le operazion rf i, * Oh» i_ j . .. ueiie quali fan ,®§iano indrizzi il prìncipe magnanii_.._, ._ g ne*^ • ^ grandezza sua facilmente può mettere ‘ 1 '•Mll <l’ope ** che non può il Cortegiano, per non av” ® no, ® cosi il principe, indotto alla virtù dal ''eie r»i«i virtuoso che '1 Cortegiano. Oltra f®rro. ^®*’ cole che non taglia punto, pur fa ~ ancora che ’l Cortegiano institoLc^ ^ gnltà fon per questo s’ abbia a dir che egli «ia di !•!. o't •' O» q«e,.a corfegi.! Him e ohe quando par il CorleuLnT "»Sq,u ' "Opinar V Crtógiunu, „,'r J° ;»» »eno é difliniin noti ® 'onsetguir un tal ” . r ®®“' ®“‘® ^«rteg.a- "'^«èanco in quel caso VE .? H caso che voi avete allegato: perché no Digitized by Google 280 IL CORTIGIANO. 86 ’l Cortegian è tanto giovane, che non sappia quello che s’è (letto ch’egli ha da sapere, non accade |>ariarne, perché non è quel Corlegiano che noi presupponemo, nè possibil è che chi ha da sapere tante cose, sia molto giovane. £ se pur occorrerà che ’l principe sia cosi savio c buono da sé stesso, che non abbia bisogno di ricordi nè consigli d’altri (benché questo è tanto diflìcile quanto ognun sa), al Cortegian basterà esser tale, che se ’l principe n’avesse bisogno, potesse farlo virtuoso; e con lo elTctto poi |)otrà satisfare a quell’altra par- te, di non lasciarlo ingannare, e di ‘far che sempre sappia la verità d’ogni cosa, c d’opporsi agli adulatori, ai maledici, ed a lutti coloro che machinassero di corromper l’animo di quello con disonesti piaceri; ed in tal modo conseguirà pur il suo fine in gran parte, ancora che non lo metta totalmente in opera: il che non sarà ragion d’ imputargli per difetto, restando di farlo per cosi buona causa; ché se uno eccellente medico si ritrovasse in loco dove tutti gli uomini fossero sani, non per questo si devria dir che quel medico, sebben non sanasse gl’ infermi, mancasse del suo fine: però, siccome del medico deve essere intenzione la sanità degli uomini, cosi del Corlegiano la virtù del suo principe; ed all’ uno c l’altro basta aver questo fine intrinseco in potenza, quando il non produrlo estrinsecamente in atto procede dal subjetlo al quale è indrizzato questo fine. Ma se ’l Cortegian fosse tanto vec- chio, che non se gli convenisse esercitar la musica, le feste, i giochi, l’arme, e 1’ altre prodezze della persona, non si può però ancor dire che impossibile gli sia per quella via en- trare in grazia al suo principe; perchè se la età leva l’op(v rar quelle cose, non leva l’ intenderle, ed, avendole operale in gioventù, lo fa averne tanto più perfetto giudicio, e più Iierfcltamente saperle insegnar al suo principe, quanto più notizia d’ogni cosa portan seco gli anni e la esperiènza: od in questo modo il Cortegian vecchio, ancora che non eser- citi le condizioni attribuitegli, conseguirà pur il suo fine d’insliluir bene il principe. XLVII. E se non vorrete chiamarlo Corlegiano, non mi dà noja; jMìrchè la natura non ha posto tal termine alle dignità umane, che non si j) 0 ssa ascendere dall’ una all’ altra: |)erò Pi<j C'-ìagle LIBHO QUAHTo, spesso I soldati semplici divengon capitani, gn \ali re, e i sacerdoti papi, e i discepoli maestri Pri- sieme con la dignità acquistano ancor il nome; onrf^ porla dir, che ’l divenir institutor del principe fog^ ® ai Cortegiano. Benché non so chi abbia da rifiutar dei di perfetto Cortegiano, il quale, secondo me, ^ nome grandissima laude; e parmi che Onnero , secondo l di dui uomini eccellentissimi per esempio della vita ^ ^ uno nelle azioni, che fu Achille, 1* altro nelle p» ^oleranze, che fu Ulisse, cosi volesse ancora formg ®®®ni e ^®ho Cortegiano, che fu quel Fenice, il qual, ^ P®r- *’®rrato i suoi amori, e molte altre cose gioveniij ^®6r sialo mandato ad Achille da Peleo suo padre Compagnia, e insegnargli a dire e fare: il che ®*®*'&*< '‘®> che ■’l fin che noi avemo disegnato al nostro c ■" ® penso che Arislolele e Platone si fossero ga ***" ®^_®uo. ^^^e di frt P.orlpirifinri nor^.liÀ ei /•!,.*» Sanati del cipe '-on y^^lessandro JUagno, r altro coi re di Sic,i- '"®> olBcio é di buon Cortegiano conoscer la natuj. ® P®r- e l’inclinazion sue, e cosi, secondo i hisoijD^- P‘‘‘n- destrezza entrar loro in grazia,"^”* ® o/k di.,..**’ vie che prestano l’adito secor„ ®’'®®o «rio .. ... e Poi f _ — A ~ ' — — — — — — - — — y alla virtù : Aristotele cosi ben conobbe la ®uod COSI nen conoooe la nato y n- ®«iai****’ * destrezza cosi ben la secondò, che 7,®** onorato più che padre; onde, fra moli, v_. ■^'®8sancIro in teslininni,, o..o h,,,.:.... segni C#j© A j « ^ pcluivy viiut;, tid mo/(i ''olctt f®®un<^ro in testimonio della sua benivolen».. Slag^ira sua patria, già disfatla, fosse me^r'^®®’ ®o ®*®*®*o » oltre allo indrizzar lui a quel fin o-i Miri, ?•/" '■«"> «he -I mondo fooo, co„f ^'Vesse ®'““* come un sol popol"* ed *n amioiz/a e concordia tra sé sotto un sK"’ ® ' •^«tne risplendesse communemenle “ !un" '''■‘'i delj. f ®’ scienze naturali e ne//' «Uh„ animo talntenlt^ ,. 1 ,.. , , .... ® "®«e Be7in’®®'‘«nentissimo, Tv4ro fil f««-tis- '^'«solìa, die indur l’- "®" P" Pi* « r Viver civile i popoli lanlo cflerali 2i* C‘‘ 282 IL CORTEGUNU. come quelli che abitano Ballra e Caucaso, la India, la Sci- aia, ed insegnar loro i malrimonii, l’ agricoltura, l’onorar i padri, astenersi dalle rapine e dagli omicidii e dagli altri mal costumi, lo edificare tante città nobilissime in paesilon- tani, di modo che infiniti uomini per quelle leggi furono ri- dotti dalla vita ferina alla umana; e di queste cose in Ales- sandro fu autore Aristotele, usando i modi di buon Cortegiano: il che non seppe far Calistene, ancorché Aristotele glielo mostrasse; che, per voler esser puro filosofo, e cosi austero ministro della nuda verità, senza mescolarvi la Cortegiania, perdè la vita, e non giovò anzi diede infamia ad Alessandro. Per lo medesimo modo della Cortegiania Platone formò Dione Siracusano ; ed avendo poi trovato quel Dionisio tiranno, come un Ubro lutto pieno di mende e d’errori, e più presto biso- gnoso d’ una universal litura che di mutazione o correzione alcuna, per non esser possibile levargli quella tintura della tirannide, della qual tanto tempo già era macchiato, non volse operarvi i modi della Cortegiania, parendogli che do- vessero esser lutti indarno. 11 che ancora deve fare il nostro Cortegiano, se per sorte si ritrova a servizio di principe di cosi mala natura, che sia inveterato nei vizii, come li ftisici nella infermità; perchè in tal caso deve levarsi da quella servitù, per non portar biasimo dello male opere del suo si- gnore, e per non sentir quella noja che senton tutti i buoni che servono ai mali. — XLVllI. Quivi essendosi fermato il signor Ottaviano di jarlaro, disse il signor Gasp&k ; Io non aspettava già che ’l nostro Cortegiano avesse tanto d’onore; ma poi che Aristo- tele 0 Platone son suoi compagni, penso che niun più debba sdegnarsi di questo nome. Non so già però s’ io mi creda, che \ristotele e Platone mai danzassero o fossero musici in sua vita, o facessero altre opere di cavalleria. — Rispose il signor Ottaviano : Non è quasi licito imaginar che questi dui spi- riti divini non sapessero ogni cosa, e però creder si può che operassero ciò che s’ appartiene alla Cortegiania, perché dove lor occorre ne scrivono di tal modo, che gli artefici medesi- mi delle cose da loro scritte conoscono che le intendevano insino alle medolle ed alle più intime radici. Onde non è da dir UDRÒ quarto. che al Corlegiano o inslilutor del principe, come |„ chiamare, il qqal tenda a quel buon fine che avem >»on 9i convengan tulle le condizioni attribuitegli signori, ancora che fosse severissimo filosofo e ^ 9uesti sanlissimo, perchè non repugnano alla bontà, alfa ^.®°®*uoii ai sapere, al valore, in ogni età, ed in ogQ,- *®®*’®zio- loco. — '®oipo o XLIX. Allora il signor Gaspar, Ricordami, disse 90esli signori jersera, ragionando delle condizioni ’ ®^® Siano, volsero ch’egli fosso inamorato ; o perchè *Qendo quello che s’ è dello ìnsin qui, si poria cavar óu*^^*****' ® usione, che '1 Corlegiano, il quale col valore ed aotorir ® indnr il principe alla virtù, quasi necessarianjg^j^ •®§i)a che sia vecchio, perchè rarissime volte il saper ^ nana/ ag/i anni, e massimamente in quelle cose che si con la esperienza: non so come, essendo q,- ®» se gli convenga r essere inamorato; atteso gj,» sera s’ é detto, l’amor ne’ vecchi non riesce, e* ®^® ne’ giovani sono delizie, cortesie ed chf ®We donne, in essi sono pazzie ed inezie ridico; Porò^ ®sa partoriscono odio dalle donne, e beffe da r’ * ®® queste vostro Aristotele, Corlegian vecch'^* *^***^*’ e facesse quelle cose che fanno i giov^**’ cho^^-’’ alcuni che n’ avemo veduti a’ di nostri ”d gli f ** ®®orderia <i' insegnar al suo principe, e forse i / *^/**^® drieto la baja, e le donne ne trarrebbon”*^***^^* Poi^hA **®®*'® di boriarlo. — Allora il signor Ory. trit ** altre condizioni, disse, attribuite al che ancora che egli sia vecchio, non iamo ®® gli debb disse r»»*i vario di questa felicità d’ amare. *'*>n èj ®' 9 “or Gaspar, levargli questo amare é una 00 ^^* **” vivere felicemente fuor di miseriate Non vi ricorda, signor ®*Pert„ . ® ^ Signor Ottaviano, ancora ch’esrli sìa «...i» ano, ancora ch’egli sia male ” J oia JlidIC Che 8 '®c® di sono, li quali chiamano per dolci irò e e guerre o j tormenti che hanno dalle lor Digitized by Google IL CORTEGfANO. 28 1 donne; onde domandò, che insegnato gli fosse la causa di questa dolcezza? Però se il nostro Cortegiano, ancora che vecchio, s’accendesse di quegli amori che son dolci senza amaritudine, non ne sentirebbe calamità o miseria alcuna ; ed essendo savio, come noi presupponiamo, non s’ inganna- rla pensando che a lui si convenisse tutto quello che si con- vien ai giovani; ma, amando, ameria forse d’ un modo, che non solamente non gli portaria biasimo alcuno, ma molta laude e somma felicità non compagnala da fastidio alcuno, il che rare volte e quasi non mai interviene ai giovani; e cosi non lascieria d’insegnare al suo principe, nè farebbe cosa che meritasse la baja da’ fanciulli. — Allor la signora Dcciirssa, Piacemi, disse, messer Pietro, che voi questa sera abbiate avuto poca fatica nei nostri ragionamenti, perchè ora con più securtà v’ imporremo il carico di parlare, ed inse- gnar al Cortegiano questo cosi felice amore, che non ha seco nè biasimo nè dispiacere alcuno; che forse sarà una delle più importanti ed utili condizioni che per ancora gli siano attribuite: però dite, per vostra fè, lutto quello che ne sa- pcle. — Rise messer Pietro, c disse: lo non vorrei. Signora, che ’l mio dir che ai vecchi sia licito lo amare, fosse cagion di farmi tener per vecchio da queste donne ; però date pur questa impresa ad un altro. — Rispose la signora Duchessa : Non dovete fuggir d’esser riputato vecchio di sapere, sebben foste giovane d’anni; |)erù dite, e non v’escusate più. Disse messer Pietro : Veramente, Signora, avendo io da parlar di questa materia, bisognariami andar a domandar consiglio allo Ere inita del mio Lavinello.— Allor la signora Emilia, quasi turbala, Messer Pietro, disse, non è alcuno nella compagnia che sia più ùisobedicnte di voi; però sarà ben che la signora Duchessa vi dia qualche castigo. ~ Disse messer Pietro, pur ridendo: Non vi adirale meco. Signora, per amor di Dio; che iu dirò ciò che voi vorrete. -Or dite adunque, — rispose la sijgnora Emilia. JA. Allora me.sscr Pietro, avendo prima alquanto Ia- cinto» rassettatosi un poco, come [icr parlar di cosa im- I*®»- dimostrar che i vecchi pos- no" ^tameiUe amar senza biasimo, ma lalcr più fcli- Digitized by Googl^' LIUIIO ttUAHTo. cernente che i giovan», sarainmi necessario far un ^""coa- discorso, per dichi^***** c e cosa è amore, ed if* ^ ^rego^^ siste la felicità che possono aver gV inamorati; P^jgre cbo ad ascoltarmi con attenzione, perchè spero fa^v» a”" qui non è uomo a cui si disconvenga 1’ esser cor che egli avesse quindici o venti anni P'* fL^se «nesscr Morello. -E quivi, essendosi alquanto riso, s»??' ^v\ch‘ Pietro: Dico adunque che, secondo che das'*. \c ò diffiniin. Aiuor non è altro in d®®' _ ac non « Ialiti ,, è diflìnilo, Amor non è altro che un certo e u la bellezza; e perchè il desiderio non apP®';)-.oO «è è cose conosciute, bisogna sempre che la cog**** e, che desiderio : il quale per sua natura vuole d \o u,wa; cieco e non lo conosce. Però ha cosi ordiu»*.iriù .qJ. ad ogni virtù conoscente sia <^onniu„ia un» ‘ ouoscere,;- e perchè nell’anima nostra son ^e „odi Tbrulii per lo senso, per la ragione e per f inteU®*^ li aa\- sce Tappetilo, il qual a noi è eommunecoP ^ jeAi’ ‘lo- dalla ragione nasce la elezione, che è oTOpf*^ icar ^o- T inlelletlo, per Io quale V nom senso "on ^ gel., nasce la volontà. Così adunque coh»^,^ 5 Ìwe solaCiC*» nosce se non cose sensibih, r appetii^ le ad altro desidera; e cosi come 1 intelletto non è volontà alla contemplaz.on di cose intelligibni, q»*^’ di natura mente si nutnsce d. beni spirituali. L’uoih^V,; può per naie, posto come mezzo fra questi dui ;„o elezione, inclinandos. al senso ovvero eleV^h^^f Ietto, accostarsi ai desideri! or dell' una or ^ ‘ Di questi modi adunque si può desiderarla ^ universa! della quale si conviene a tutte le cos® ® artifìciali che son composte con buona proporz*»”® e ** temperamento, quunto comporla la lor natura- ^ Eli. Ma, parlando della bellezza che noi intendena^^ ^ è quella solamente che appar nei corpi e massimanoe*** volli umani, e muove questo ardente desiderio che no» miamo amore: diremo, che è un flusso della bontà quale benché si spanda sopra tutte le cose create, lume del sole, pur quando trova un volto Iwu misurato ^ J ^ posto con una cerla gioconda concordia di colori disl»^ ttCcdA - Oigifized by Google IL CORTECIANO. aiutali dai lumi e dall’ ombre e da una ordinala disianza e termini di linee, vi s’infonde e si dimostra bellissimo, e quel subjetto ove riluce adorna ed illumina d’ una grazia e splendor mirabile, a guisa di raggio di sole che percola in un bel vaso d’oro terso e varialo di preziose gemme; onde piacevolmente tira a sè gli occhi umani, e per quelli pene- trando s’ imprime nell’ anima, e con una nuova soavità tutta la commove e diletta, ed accendendola, da lei desiderar si fa. Essendo adunque l’anima presa dal desiderio di fruir que- sta bellezza come cosa buona, se guidar si lascia dal giudicio del senso incorre in gravissimi errori, e giudica che ’l corpo, nel qual si vede la bellezza, sia la causa principal di quella, onde per fruirla es’ima essere necessario l’unirsi intimamente più che può con quel corpo; il che è falso: e però chi pensa, possedendo il corpo, fruir la bellezza, s’inganna, e vien mosso non da vera cognizione per elezion di ragione, ma da falsa opinion per l’ appetito del senso : onde il piacer che ne segue esso ancora necessariamente è falso e mendoso. E perù in un de’ dui mali incorrono tulli quegli amanti, che adem- piono le lor non oneste voglie con quelle donne che amano: chè ovvero subito che son giunte al fin desideralo non sola- mente senlon sazietà e fastidio, ma piglian odio alla cosa amata, quasi che l’ appetito si ripenla dell’ error suo, e rico- nosca l’ inganno fattogli dal falso giudicio del senso , per lo ouale ha credulo che ’l mal sia bene; ovvero restano nel me- dggjjjjo desiderio ed avidità, come quelli che non son giunti veramente al fine che cercavano; e benché per la cieca opi- nione, nella quale inebriati si sono, paja loro che in quel plinto sentano piacere, come talor gl’ infermi che sognano di f»er qualche chiaro fonte, nientedimeno non si contentano s’ acquetano. E i>erchè dal possedere il lien desideralo nasco sempre quiete e salisfazione nell’ animo del possesso- ri ^ se quello fosse il vero e buon fine del loro desiderio, pos- ge/lendolo restariano quieti c satisfalli ; il che non fanno : ingannali da quella similitudine, subito ritornano al sfre- nato desiderio, e con la medesima molestia che prima senti- vano si ritrovano nella furiosa ed ardentissima sete di (juello, cHo •» «l'«rano di jiosscder perfettamente. Questi tali Di ■ . t LIBRO quarto. inamorali adunq**® ^®ano 'ufelicissinnaroenic, grande vero non conseguono mai li desiderii loro, il coese- infelicità ; ower, »e g« conseguono, si trovano ^agg'®*’ guito il suo male, © finiscono le miserie con ^ ji quest» miserie ; perchè ancora nel principio e nel amore altro -non si sente giammai che q lori, stenti, fatiche : tl* modo che Tesser continue lacrime e sospiri, il gaggio» y cs^®^ 'r ina- lamentarsi, il desiderar di morire, in cissimo, son le condizioni che si dicono morali. „g\\e LUI. La causa adunque di questa in umani è principalmente il senso , u «naie ^ g. d®' è potentissimo, perchè 'I vigor della caft'^’.o .f aoP®' quella stagione gli dà tanto di fona qo®** gC?® . . ^et- ragione, e però facilmente induce Tanit»^ prig»®® lito; perchè ritrovandosi essa sommersa V governar U rena, e, per esser applicata al ministerio ^oo P»«» .on DO. nriva della contemplazion spiritual®’ aver cogn»» hiaramente la verità; onde, il principi® bisogna che vada a,ùd»^ ■. al O po, priva ueii» intender chiaramente aerila; onde P*’' il principia . delle cose, bisogna che vada mendicando*»^- lo*» sensi, e però loro crede e loro ai inchina ® Rigore che ascia, massimamente quando hanno taot® -iono d’err^*^‘ ® la sforzano; e perchè essi son fallaci, la false opinioni. Onde quasi sempre occorre dalla avvolti in questo amor sensuale in tutto fO*», j ^ ^ ne, e però si fanno indegni di fruir le dona amor ai suoi veri soggetti; nè in amof sentono p ‘ fuor che i medesimi che sentono gli animali irrazionai' t gli affanni mollo più gravi. Stando adunque posilo, il quale è verissimo, dico che ’l contrario intef a quelli che sono nella età pìà matura- che se quest» quando già l’animo non è tanto oppressa dal peso ^ c quando il fcrvor naturale comincia ad intepidirsi, ^ dono della bellezza e verso quella volgono il desideri** dato da razionai elezione, non restano ingannali, c gono perfettamente la bellezza: e per» dal possederla *Z0^ lor sempre bene; perchè la bellezza è buona e conse^**^ Digitized by Google 1 288 IL GORTEGIANO. mente il vero amor di quella è buonissimo e santissimo, e sempre produce effetti buoni neU’animo di quelli, che col fren (Iella raeion correggono la nequizia del senso; il che molto più facilincnlc i vecchi far possono che i giovani. LIV. Non è adunque fuor di ragione il dire ancor, che i vecchi amar possano senza biasimo e più felicemente che i tjio vani; pigliando però questo nome di vecchio non per de- cre|>*lo> nè quando già gli organi del corpo son tanto debili, che l’anima per quelli non può operar le sue virtù, ma quando il sap®’’ vigore. Non tacerò ancora questo; che è ch’io estimo che, benché l’amor sensuale in ogni età sia malo, pur ne’ giovani meriti escusazione, e forse in modo sia licito; chè se ben dà loro affanni, peri- coli fatiche, c quelle infelicità che s’è detto, son però molti che l>cr guadagnar la grazia delle donne amate fan cose vir- . le quali benché non siano indrizzatc a buon fine, pur tuoS*-' » ’ .... 1. son buone; e cosi di quel mollo amaro cavano un poco di tlolc®» e per le avversità che sopportano in ultimo rico- l’error suo. Come adunque estimo che quei giovani gforzan gli appetiti ed amano con la ragione sian divini, . ^scnso quelli che vincer si lasciano dall’aroor sensuale, jjl tanto per la imbecillità umana sono inclinati: purché f* mostrino gentilezza, cortesia e valore, e le altre no- ”1 hanno dette questi signori; e quando non nella età giovciiile, in tutto l’abbandonino, allonla- QOn E/*** " dosi da questo scnsual desiderio, come dal più basso grado gcala l)cr la qual si può ascendere al vero amore. Ma se ® , poi che son vecchi, nel freddo core conservano il foco li appetiti, e sottopongon la ragion gagliarda al senso de- non si può dir quanto siano da biasimare; chè, come . * perpetua infamia esser connumcrati gli animali irrazionali, perchè i pensieri e i modi del- sensuale son troppo disconvenienti alla età matura. * ^ L.V- Quivi fece il liembo un poco di pausa, quasi come f ripoP®*’®'» ® si®ndo ognun cheto, disse il signor Morello ®‘ trovasse un vecchio più disposto e ga- £ir‘lo e di miglior aspetto che molti giovani, perchè non voi che a questo fosse licito amar di quello amore Digitized by Google oh.r:' ^ ®Orares/ * *® foste esq *^^®^'Ce ^^chrs«a e t/- volete *o, il g * veccli/ ''ecch-®®*»ie d/®'”" '* Con ’^Oole el. »■ " costoro, non p <?Sso 1 e n* p. ^'«POse il signor Moa, sj ^®”*o/aod» eh ° ^’uo^ “esser Pietro Be; sia Recedo 'i e ^ Ì>o« *^®*^*® modo, eh’ io per i Oon^^’^P^ così h ®^/or ®®dere qaesla bellezza, c S"’ co^ co’®'® «n sogno. - Credete v. =he belle ^ic« ® Ipdovico, che la bellezi -PorS*"' «'-»Pre?“' »«..i^’“»^..‘°”’»-'P<.°T°.'^°’'“’>-i non ^'^cosi I. ® a//o„ °eaere qaesla bellezza, c ?u." " co’ *'»«n.0goo.- crede,* V, Che *e//e ^icn ® Ipdovico, che la bellezi ^»PorT^"‘ ««“pre"""® tp^J?Oa^® «iesser Pietro Bembo? - j <»en/^®’ ®^a son . ir,?*'®»»^ ®>‘ an« ricórdomi aver v. ciopo”!."^ Voi crudeli e dispettose; e pa **'®'ro B che perché la bellezza le i '’cech; "®“ho cji .^Cfrec frisse il conto Ludovico , j e nó ® ®*e cosa'^® ^Or/®» nT®*' Perché non vi compia mess ^«rrete ,> desiderar la bellezza J; ch^^! > e >'ni, vederle che „on chi** ' ^'ovatf?'*®'' Si 'compiaceranno , Colin ^ On; . riehi, ®ep mi lo< Ce'4c’>acc*. e^"; : 8»or >"v,eó " '■»«„ *»>,», *»«''»« *4e i ^ if'"»,! *'»>o„,; '>OcoI""o ro®”<»0l,d. O '■*Wocter-< "'Oic ,?.''» .•„?'•« Sol '■'» a V”®’-' «>C« cfte '» '« t;*® - '• . -I.™ ?»c°: 'Oo.o''®"»,,!.'’'"' /ir g®‘: “'T,'. ^ '’®»araJ'^'‘ che /'Oh '«sii ®'*'’^'arap.^ii„ ^'■©hi, *^eti P'» sono ow 'iid , *^1 he//„ ^'^0 ancora ®iano >iio, « atti ad a r» v^ «r“ m Digitized by Google 290 nate, c IL cobtegiano. Il naella vista graziosa sia come Pesca nascosa sotto il Allora roesser Pietho Bembo, Non crediate, disse, ‘,“”,1 bellezza non sia sempre buona. -Quivi il conte Lu- novico , per ritornar disse- Poiché ’l signor Morello non si cura di saper quello per ritornar esso ancor al primo proposito, interruppe Poi tanto gl’ importa, insegnatelo a me, e mostratemi come i vecchi questa felicità d’amore, che non mi cu- di farmi tener vecchio, pur che mi giovi.— j VII. Rise messcr Pietbo, e disse: lo voglio prima levar ,, ^niino di questi signori l’error loro; poi a voi ancora sa- —Cosi ricominciando, Signori, disse, io non vorrei tisfar - bellezza, che è cosa sacra, fosse alcun ‘^1’® ebe come profano e sacrilego incorresse nell’ ira di Dio : di che ’l signor Morello e messer Federico siano am- ti e non perdano, come Stesicoro, la visla, che è pena nientissima a chi disprezza la bellezza, dico che da Dio conve bellezza, ed è come circolo, di cui la bontà è il cen- nasc« jj„„ pu 5 esser circolo senza centro , non può Irò; e P esse»* 1 ellezza senza bontà: onde rare volte mala anima abita - e perciò la bellezza estrinseca è vero segno della bel ‘^"‘'.^irinseca, e nei corpi è impressa quella grazia più e boni» • pcc carattere dell’anima, per lo quale essa meno ^^^^jente è conosciuta, come negli alberi, ne’ quali la estri»®® Qcji fa testimonio della bpntà dei frulli; e questo belle**® ^ interviene nei corpi, come si vede che i Fisiono- medes**^^^ conoscono spesso i costumi e talora i pensieri de- mi ^ - pi; e, che ò più, nelle bestie si comprende ancor allo gli **®***j^ qualità dell’animo, il quale nel corpo esprime sè aspef*^® che può. Pensale come chiaramente nella faccia stesso P* del cavallo, dell’aquila si conosce l’ira, la ferocità del grbia; negli agnelli e nelle colombe una pura e sem- e la ®®*^j^ocenza; la malizia astuta nelle volpi e nei lupi, e plio» * j di tutti gli altri animali. cosi I brulli adunque per lo più sono ancor mali, c li ^ jji; e dir si può che la bellezza sia la faccia piace- i ^^iiegra, grata e desiderabile del bene; e la bruttezza, oscura, molesta, dispiacevole e trista del male; e bell vol£? » la ^*^*^giderale tulle le cose, Irovarele che sempre quelle che se r»s Digitized by Gi M □.ili, . . Il cj, J " «Ogni ’ ■iel «" i« '* '«rra o,„ *® w «•- '®^es8o sosfeniii di ^ ^a- ®^^’ai<ra nar» òa-^**® eira ® *“® Pes® ®ondo che *’ ®®»n illamina il tu»o, e ne/ 9“e 8/ei/e *! ^PProt^ da*”®’ Poi a poco a poco ascende ®*® cose /r *^"® ‘‘^''crsan,^^*^^ o piglia la sua luce, se- ®ooipog,^ co*f 'a»i(a e*’*® fa *® allonlana; e l’allre cin- Pon Dar- ^®*'^a ** *J“el medesimo corso. Que- ®»^cora lao, «<ar ii,». ***«*! t„*^®*' 'a connession d’un ordino ®*»aoi jn,an^ ®®^'ezza © ’ ®^»e mutandole pur un pun- ** “orno cfc ”?*■ ®osa n ?*'®*ià *'“'narobbe il mondo; hanno f®*’*® de/ c„t®^ «i»r .IV <»e|| ’ ®»»e non posson gl’ingegni il?” ® caso ^ ^ Pensale or della figura del- ffrl *>»c;r *"®' ‘ofta^'’®s/a^®'ido; nel quale vedesi ogni *«»o al“?7® «•■ p*” fol Necessariamente per arte e I)rac7 coroé I? '® insieme «8*®^ beUissima; <*'■ 1 ‘ ®®«^i ? ej”^^*car q«*«* P'*» « uUIilà ' -t'rr IL GORTEGIANO. 290 nare, e che quella vista graziosa sia come Fesca nascosa sotto l’amo. — Allora messer Pietro Bembo, Non crediate, disse, che la bellezza non sia sempre buona. — Quivi il conte Lu- dovico, per ritornar esso ancor al primo proposito, interruppe e disse: Poiché ’l signor Morello non si cura di saper quello che tanto gl’ importa, insegnatelo a me, c mostratemi come acquistino i vecchi questa felicità d’amore, che non mi cu- rerò io di farmi tener vecchio, pur che mi giovi. — LVII. Risc messer Pietro, e disse: Io voglio prima levar dell’animo di questi signori l’error loro; poi a voi ancora sa- tisfarò. — Cosi ricominciando, Signori, disse, io non vorrei che col dir mal della bellezza, che è cosa sacra, fosse alcun di noi che come profano e sacrilego incorresse nell’ira di Dio: però, acciò che ’l signor Morello e messer Federico siano am- moniti, e non perdano, come Stcsicoro, la vista, che è pena convenientissima a chi disprezza la bellezza, dico che da Dio nasce la bellezza, ed è come circolo, di cui la bontà è il cen- tro; e però come non può esser circolo senza centro, non può esser bellezza senza bontà: onde rare volte mala anima abita bel corpo, e perciò la bellezza estrinseca è vero segno della bontà intrinseca, e nei corpi è impressa quella grazia più e meno quasi per un carattere dell’anima, per io quale essa estrinsecamente è conosciuta, come negli alberi, ne’ quali la )>ellezza de’ fiori fa testimonio della bontà dei frutti; e questo medesimo interviene nei corpi, come si vede che i Fisiono- mi al volto conoscono spesso i costumi e talora i [lensieri de- gli uomini; c,clie è più , nelle bestie si comprende ancor allo aspetto la qualità dell’animo , il quale nei corpo esprime sé stesso più che può. Pensate come chiaramente nella faccia del leone, del cavallo, dcH’aquila si conosce l’ira, la ferocità c la superbia; negli agnelli e nelle colombe una pura e sem- plice innocenza; la malizia astuta nelle volpi e nei lupi, e cosi quasi di tutti gli altri animali. LYllI. 1 bruiti adunque per lo più sono ancor mali, c li belli buoni: e dir si può che la bellezza sia la faccia piace- vole, allegra, grata e desiderabile del bene; e la bruttezza, la faccia oscura, molesta, dispiacevole e trista del male; c se considerale tulle le cose, Irovarele che sempre quelle che LIBRO QUARTO. 291 son buone ed nlili hanno ancora grazia di bellezza. Eccovi il stalo di questa gran machina del mondo, la qual, per sa- lute e conservazion d’ogni cosa creata è stata da Dio fa- bricata. 11 ciel rotondo, ornato di tanti divini lumi, e nel centro la terra circondata dagli elementi, e dal suo peso istesso sostenuta; il sole, che girando illumina il tutto, e nel verno s’accosta al più basso segno, poi a poco a poco ascende all’altra parte; la luna, che da quello piglia la sua luce, se- condo che se le appropinqua o se le allontana; e l’ altre cin- que stelle, che diversamente fan quel medesimo corso. Que- ste cose tra sè han tanta forza per la connession d’un ordine composto cosi necessariamente, che mutandole pur un pun- to, non poriano star insieme, e ruinarebbe il mondo; hanno ancora tanta bellezza e grazia, che non posson gl’ingegni umani ìmaginar cosa più bella. Pensate or della figura del- l’uomo, che si può dir piccol mondo; nel quale vedesi ogni parte del corpo esser composta necessariamente per arte e non a caso , e poi tutta la forma insieme esser bellissima; tal che dilBcilmente si poria giudicar qual più o utilità o grazia diano al volto umano ed al resto del corpo tutte le membra, come gli occhi, il naso, la bocca, l’ orecchie, le braccia, il petto, e cosi l’ altre parti: il medesimo si può dir di tutti gli animali. Eccovi le penne negli uccelli, le foglie e rami negli alberi , che dati gli sono da natura per conser- var Tesser loro, e por hanno ancor grandissima vaghezza. Lasciate la natura e vmiile all’arte. Qual cosa tanto è neces- saria nelle navi, quanto la prora, i lati, le antenne, l’albe- ro, le vele, il timone, i remi, T ancore e le sarte? tutte que- ste cose però hanno tanto di venustà, che par a chi le mira che cosi siano trovale per piacere, come per utilità. Sosten- gon le colonne e gli architravi le alle loggia e palazzi , nè però son meno piacevoli agli occhi di chi le mira , che utili agli edificii. Quando prima cominciarono gli uomini a edifi- care , posero nei tempii e nelle case quel colmo di mezzo , non perchè avessero gli edificii più di grazia, ma acciò che dell’ una parte e T altra commodamente potessero discorrer Tacque; nientedimeno all’utile subito fu congiunta la venu- stà, talché se sotto a quel cielo ove non cade grandine o Digilized by Google 292 IL CORTEGIANO. pioggia si fabricasse un tempio, non parrebbe che senza il colmo aver potesse dignità o bellezza alcuna. LIX. Dassi adunque molla laude , non che ad altro , al mondo, dicendo che gli è bello; laudasi, dicendo: Bel cielo, bella terra, bel mare, bei fiumi, bei paesi, belle selve, al- 'neri, giardini; belle città, bei tempii, case, eserciti. In som- ma, ad ogni cosa dà supremo ornamento questa graziosa e sacra bellezza; e dir si può che ’l buono e '1 bello, a qualche modo, siano una medesima cosa, e massimamente nei corpi umani; della bellezza de’ quali la più propinqua causa estimo io ebe sia la bellezza dell’ anima, che, come partecipe di quella vera bellezza divina , illustra e fa bello ciò eh’ ella tocca, e specialmente se quel corpo ov’ella abita non è di cosi vii materia, ch’ella non possa imprimergli la sua qua- lità; però la bellezza è il vero trofeo delia vittoria dell’ani- ma, quando essa con la virtù divina signoreggia la natura materiale, e col suo lume vince le tenebre del corpo. Non è adunque da dir che la bellezza faccia le donne superbe o crudeli, benché cosi paja al signor Morello; nè ancor si deb- bono imputare alle donne belle quelle inimicizie, morti, di- struzioni, di che son causa gli appetiti immoderati degli uo- mini. Non negherò già che al mondo non sia possibile trovar ancor delle belle donne impudiche, ma non è già che la bellezza le incline alla impudicizia; anzi le rimove, e le in- duce alla via dei costumi virtuosi, per la connession che ha la bellezza con la bontà; ma talor la mala educazione, i con- tinui stimoli degli amanti, i doni, la povertà , la speranza, gl’ inganni, il timore e mille altre cause, vincono la costanza ancora delle belle e buone donne; e per queste o simili cause possono ancora divenir scelerati gli uomini belli. — LX. Allora messer Cesab, Se è vero, disse, quello che jeri allegò il signor Gaspar, non è dubio che le belle sono più caste che le bruite. — E che cosa allegai? disse il si- gnor Gaspab. — Rispose messer Cesare: Se ben mi ricor- do, voi diceste che le donne che son pregate, sempre ne- gano di satisfare a chi le prega; e quelle che non son pre- gate, pregano altrui. Certo è che le belle son sempre più pregale e sollecitale d’amor che le brutte; dunque le belle Digilized by LIBRO QUARTO. 295 sempre negano, e conseguentemente son più caste che le brutte, le quali non essendo pregate pregano altrui. — Rise il Bembo, e disse: A questo argomento risponder non si pnò. — Poi soggiunse: Interviene ancor spesso, che come gli altri nostri sensi , cosi la vista s’ inganna , e giudica per bello un volto che in vero non è bello; e perchè negli occhi ed in tutto l’aspetto d’alcune donne si vede talor nna certa lascivia dipinta con blandizie disoneste, molti, ai quali tal maniera piace, perchè lor promette facilità di conseguire ciò che desiderano, la chiamano bellezza: ma in vero è una im- pudenza fucata , indegna di cosi onorato e santo nome. — Tacevasi messer Pietro Bembo, e quei signori pur lo stimo- lavano a dir più oltre di questo amore, e del modo di fruire veramente la bellezza; ed esso in ultimo, A me par, disse, assai chiaramente aver dimostrato che più felicemente pos- san amar i vecchi che i giovani; il che fu mio presupposto: però non mi si conviene entrar più avanti. — Rispose il conte Ludovico: Meglio avete dimostrato la infelicità de’gio- vani che la felicità de' vecchi, ai quali, per ancor non avete insegnato che cammin abbìan da seguitare in questo loro amore, ma solamente detto che si lascio guidare alia ra- gione; e da molti è riputato impossibile, che amor stia con la ragione. — L\I. Il Bembo pur cercava di por fine al ragionamen- to, ma la signora Duchessa lo pregò che dicesse; ed esso cosi rincominciò: Troppo infelice sarebbe la natura umana, se l’anima nostra, nella qual facilmente può nascere questo cosi ardente desiderio, fosse sforzata a nutrirlo sol di quello che le è commnne con le bestie, e non potesse volgerlo a quella altra nobil parte che a lei è propria; però, poiché a voi pur cosi piace, non voglio fuggir di ragionar di questo nobil soggetto. E perchè mi conosco indegno di parlar dei santissimi misterii d’amore, prego lui che muova il pensiero e la lingua mia, tanto ch’io possa mostrar a questo eccel- lente Cortegiano amar fuor della consnetndine del profano volgo; e cosi com’io insin da puerizia tutta la mia vita gli ho dedicata, siano or ancor le mie parole conformi a questa intenzione, ed a laude di lui. Dico adunque che, poiché la A#iticd by Google IL CORTEGIANO. 294 natura umana nella età giorenile tanto è inclinata al senso, conceder si può al Cortegiano, mentre che è giovane, l’amar aensualmente; ma se poi ancor negli anni più maturi per sorte s’accende di questo amoroso desiderio, deve esser ben cauto, e guardarsi di non ingannar sé stesso, lasciandosi indur in quelle calamità che ne’ giovani meritano più com- passione che biasimo, e per contrario ne’ vecchi più biasimo che compassione. LXII. Però quando qualche grazioso aspetto di bella donna lor s’ appresenta, compagnato da leggiadri costumi o gentil maniere, tale che esso, come esperto in amore, cono- sca il sangue suo aver conformità con quello; subito che s’ac- corge che gli occhi suoi rapiscano quella imagine e la portino al core, e che l’anima cominci con piacer a contemplarla, e sentir in sé quello influsso che la commove ed a poco a poco la riscalda, e che quei vivi spiriti che scinlillan fuor per gli occhi tuttavia aggiungan nuova esca al foco: deve in questo principio provedere di presto rimedio, e risvegliar la ragione, e di quella armar la ròcca del cor suo; e talmente chiuder i passi al senso ed agli appetiti, che nè per forza nè per inganno entrar vi possano. Cosi, se la fiamma s’estingue, estinguesi ancor il pericolo; ma s’ ella persevera o cresce , deve allor il Cortegiano, sentendosi preso, deliberarsi total- mente di fuggir ogni bruttezza deiramor volgare, e cosi en- trar nella divina strada amorosa con la guida della ragione; e prima considerar che ’l corpo , ove quella bellezza risplen- de, non è il fonte ond’ ella nasce, anzi che la bellezza , per esser cosa incorporea, e, come avemo detto, un raggio di- vino, perde molto della sua dignità trovandosi congiunta con quel snbjetto vile e corruttibile; perchè tanto più è perfetta quanto men di lui partecipa, e da quello in tutto separata è perfettissima; e che cosi come udir non si può col palato, nè odorar con l’orecchie, non si può ancor in modo alcuno fruir la bellezza nè satisfar al desiderio ch'ella eccita negli ani- mi nostri col tatto, ma con quel senso del qual essa bel- lezza è vero objetto, che è la virtù visiva. Rimovasi adunque dal cieco giudicio del senso, e godasi con gli occhi quel splen- dore, quella grazia, quelle faville amoros<^ i risi, i modi e Digitized by < .LIBRÒ QUARTO. 295 tatti gli altri piacevoli ornamenti della bellezza ; medesima- mente con l’audilo la soavità della voce, il concento delle parole, T armonia della musica (se musica è la donna ama- ta); e cosi pascerà di dolcissimo cibo l’anima per la via di questi dui sensi , i quali tengon poco del corporeo , e son . ministri della ragione, senza passar col desiderio verso il corpo ad appetito alcuno men cbe onesto. Appresso osservi, compiaccia ed onori con ogni riverenza la sua donna, e più che sé stesso la tenga cara, e tutti i commodi e piaceri suoi preponga ai proprii, ed in lei ami non meno la behezza d^ r animo che quella del corpo; però tenga cara di non la- sciarla incorrere in errore alcuno, ma con le ammonizioni e buoni ricordi cerchi sempre d’indurla alia modestia , alla temperanza , alla vera onestà; e faccia che in lei non abbian mai loco se non pensieri candidi ed alieni da ogni bruttezza di vizii; e cosi seminando virtù nel giardin di quel beH’anb- mo, raccorrà ancora frutti di^ bellissimi costumi, e gostara- glì con mirabii diletto; e questo sarà il vero generare ed esprimere la bellezza nella bellezza , il che da alcuni si dice essere il fin d* amore, in tal modo sarà il nostro Cortegiano gratissimo alla sua donna, ed essa sempre se gli mostrerà ossequente, dolce ed affabile, e cosi desiderosa di compiacer- gli, come d’ esser da lui amata; e le voglie dell’un e dell’al- tro saranno onestissime e concordi, ed essi conseguente- meiile saranno felicissimi. — LXIII. Quivi il signor Morbllo, Il generar, disse, la bellezza nella bellezza con effetto, sareU>e il generar un bd figliolo in una bella donna ; ed a me parerla molto più chiaro segno ch’ella amasse l’amante compiacendo! di questo, che di quella afihbilità cbe voi dite. — Rise il Bembo, e disse: Non bisogna, signor Morello, uscir de’ termini; nò piccoli segni d’amar fa la donna, quando all’ amante dona la bel- lezza, cbe è cosi preziosa cosa, e per le vie che son adito all’anima, cioè la vista e lo andito, manda i sguardi degli occhi suoi, la imagine del volto, la voce, le parole, che pe- netran dentro al core dell’ amante, e gli fan testimonio def- l’amor suo. — Disse il signor Mobbllo: 1 sguardi e le parole possono essere e spesso son testimonii falù; però chi non ha Digifeéd by Cooglc 296 n. CORTEGIANO, miglior pegno d’amore, al mio gindicio, è mal sicaro: e ve- ramente io aspettava pur che voi faceste questa vostra donna un poco più cortese e liberale verso il Cortegiano, che non ha fatto il signor Magnifico la sua ; ma parmi che tulli dui siate alla condizione di quei giudici, che dànno la sentenza conira i suoi per parer savii. — > LXI V. Disse il Bembo : Ben voglio io che assai più cor- tese sìa questa donna al mio Cortegiano non giovane, che non è quella del signor Magnifico al giovane ; e ragionevol- mente, perchè il mio non desidera se non cose oneste, e però può la donna concedergliele tulle senza biasimo ; ma la donna del signor Magnifico, che non è cosi sicura della mo- destia del giovane, deve concedergli solamente le oneste, e negargli le disoneste : però più felice è il mio, a cui si con- cede ciò ch’ei dimanda, che l’altro, a cui parte si concede e parte si nega. Ed acciò che ancor meglio conosciate che l’amor razionale è più felice che’l sensuale, dico che le me- desime cose nel sensuale si debbono talor negare, e nel ra- zionale concedere, perchè in questo son disoneste, ed in quello oneste: però la donna, per compiacer al suo amante buono, oltre il concedergli i risi piacevoli, i ragionamenti domestici e secreti, il motteggiare, scherzare, toccar la ma- no, può venir ancor ragionevolmente e senza biasimo insin al bascio, il che nell’ amor sensuale, secondo le regole del signor Magnifico, non è licito ; perchè per esser il bascio congiungimento e del corpo e dell’anima, pericolo è che l’amante sensuale non inclini più alla parte del corpo che a quella dell’anima; ma ramante razionale conosce che, an- cora che la bocca sia parte del corpo, nientedimeno per .quella si dà esito alle parole, che sono interpreti dciranima, ed a quello intrinseco anelilo che si chiama pur esso ancor anima ; e perciò si diletta d’unir la sua bocca con quella della donna amala col bascio, non per moversi a desiderio alcuno disoneslo, ma perchè sente che quello legame è un aprir l’adito alle anime, che tratte dal desiderio l’una dell’ altra si trasfondano alternamente ancor l’una nel corpo dell’ altra, e talmente si mescolino insieme, che ognun dì loro abbia due anime, ed una sola di quelle due cosi composta regga quasi LIBRO QUARTO. 297 dui corpi : onde il bascio si può più preslo dir congiungimento d’anima che di corpo, perchè in quella ha (anta forza, che la tira a sé, e quasi la separa dal corpo ; per questo tutti gl’inamorati casti desiderano il bascio, come congiungi- mento d’anima ; e però il divinamente inamorato Platone dice, che basciando vennegli l’anima ai labri per uscir del corpo. £ perchè il separarsi l’anima dalle cose sensibili, e totalmente unirsi alle intelligibili , si può denotar per lo ba- scio, dice Salomone nel suo divino libro delia Cantica: Ba- tcimi col bascio della sua bocca, per dimostrar desiderio che l’anima sua sia rapita dall’ amor divino alla contempiazion della bellezza celeste di tal modo, che unendosi intimamente a quella abbandoni il corpo. — LXV. Stavano lutti attentissimi al ragionamento del Bembo; ed esso, avendo fatto on poco di pausa, e vedendo che altri non parlava, disse: Poiché m’avete fatto comin- ciare a mostrar l’amor felice al nostro Cortegiano non gio- vane, voglio pur condurlo un poco più avanti ; perchè ’l star in questo termine è pericoloso assai , atteso che, come più volte s’è detto, l’anima è inclinatissima ai sensi; e benché la ragion col discorso elegga bene, e conosca quella bellezza non nascer dal corpo, e però ponga freno ai desidera non onesti, pur il contemplarla sempre in quel corpo spesso pre- verle il vero giudicio ; e quando altro male non ne avvenis- se, il star assente dalla cosa amala porla seco molta passio- ne, perchè lo influsso di quella bellezza, quando è presente, dona mirabil diletto all’amante, e riscaldandogli il core ris- veglia e liquefa alcune virtù sopite c congelate nell’anima, le quali nutrite dal calore amoroso si diflbndono, e van pul- lulando intorno al core, e mandano fuor per gli occhi quei spiriti, che son vapori sottilissimi, fatti della più pura e lu- cida parte del sangue, i quali ricevono la imagine della bel- lezza, e la formano con mille varii ornamenti ; onde l’anima si diletta, e con una certa maraviglia si spaventa e por go- de, e, quasi stupefatta, insieme col piacere sente quel timore c riverenza che alle cose sacre aver si suole, e parie d’esser nel suo paradiso. LXYI. L’amante adunque che considera la bellezza so- 298 IL CORTEGIAXO. lamenle nel corpo, perde questo bene e questa felicità subito che la donna amata, assentandosi, lascia gli occhi senza il suo splendore, e conseguentemente l’anima viduala del suo bene; perchè, essendo la bellezza lontana, quell’ influsso amo- roso non riscalda il core come faceva in presenza, onde i meati restano aridi e secchi, e pur la memoria della bellezza move un poco quelle virtù dell’anima, talmente che cercano di dilTondere i spiriti; ed essi, trovando le vìe otturate, non hanno esito, e pur cercano d’uscire, e cosi con quei stimoli rinchiusi pungon l’anima, e dannole passione acerbissima, come a’ fanciulli quando dalle tenere gingive cominciano a nascere i denti: e di qua procedono le lacrime, i sospiri, gli affanni e i tormenti degli amanti, perché l’anima sempre s’af- fligge e travaglia, e quasi diventa furiosa, finché quella cara bellezza se le appresenta un’altra volta; ed allor subito s’acqueta e respira, ed a quella tutta intenta si nutrisce di cibo dolcissimo, né mai da cosi soave spettacolo partir vor- ria Per fuggir adunque il tormento di questa assenza, o go- der la bellezza senza passione, bisogna che ’l Corlegiano con l’ajuto della ragione revochi in tutto il desiderio dal corpo alla bellezza sola, e, quanto più può, la contempli in sé stessa semplice e pura, e dentro nella imaginazione la formi astratta da ogni materia; e cosi la faccia amica e cara all’anima sua, ed ivi la goda, e seco l’abbia giorno e notte, in ogni tempo e loco, senza dubio di perderla mai; tornandosi sempre a memoria, che ’l corpo è cosa diversissima dalla bellezza, e non solamente non l’accresce, ma le diminuisce la sua per- fezione. Di questo modo sarà il nostro Cortegiano non gio- vane fuor di tutto le amaritudini e calamità che senton quasi sempre i giovani, come le gelosie, i sospetti, li sdegni, l’ire, le dis|>erazioni, e certi furor pieni di rabbia, dai quali spesso son indotti a tanto errore, che alcuni non solamente ballon quello donne che amano, ma levano la vita a sé stessi; non farà ingiuria a marito, padre, fratelli o parenti della donna amala; non darà infamia a lei; non sarà sforzalo dì raffrenar talor con tanta difficoltà gli occhi e la lingua per non scofìrir i suoi desideri ad altri; non di tolerar le passioni nelle par- tite, nè delle assenze: ché chiuso nel core si porterà sempre LIBRO QUARTO. 299 seco il 8QO prezioso tesoro; ed ancora per virtù della imagi- nazione si formerà dentro in sè stesso quella bellezza molto più bella che in effetto non sarà. LXVII. Ma tra questi beni troveranne lo amante un al- tro ancor assai maggiore, se egli vorrà servirsi di questo amore come d’un grado per ascendere ad un altro molto più sublime; il che gli succederà, se tra sè andrà considerando, come stretto legame sia il star sempre impedito nel contem- plar la bellezza d’nn corpo solo; e però, per uscir di questo cosi angusto termine, aggiungerà nel pensier suo a poco a poco tanti ornamenti, che cumulando insieme tutte le bel- lezze farà un concetto universale, e ridurrà la moltitudinè d’esse alla unità di quella sola, che generalmente sopra la umana natura si spande; e cosi non più la bellezza partico- lar d’nna donna, ma quella universale che tutti i corpi ador- na, contemplarà; onde, offuscato da questo maggior lume, non curerà il minore, ed ardendo in più eccellente fiamma, poco estimerà quello che prima avea tanto apprezzato. Questo grado d’amore, benché sia molto nobile, e tale che pochi vi aggiungono, non però ancor si può chiamar perfetto, perchè per esser la imaginazione potenza organica, e non aver co- gnizione se non per quei principii che le son somministrati dai sensi, non è in tutto purgata delle tenebre materiali ; e però, benché consideri quella bellezza universale astratta ed in sè sola, pur non la discerne ben chiaramente, nè senza qualche ambiguità , per la convenienza che hanno i fantasmi col corpo; onde quelli che pervengono a questo amore sono come i teneri augelli che cominciano a vestirsi di piume, che, benché con l’ale debili si levino un poco a volo, pur non osano allontanarsi molto dal nido, nè commettersi a’ venti ed al ciel aperto. LXVIII. Quando adunque il nostro Cortegìano sarà giunto a questo termine, benché assai felice amante dir si possa a rispetto di quelli che son sommersi nella miseria del- l’amor sensuale, non però voglio che si conienti, ma ardita- mente passi più avanti, seguendo per la sublime strada drìeto alla guida che lo conduce al termine della vera felici- tà; e cosi in loco d’uscir di sè stesso col pensiero, come bi- Digitiz ed by Google IL CORTEGIANO. 500 sogna che faccia chi vuoi considerar la bellezza corporale, si rivolga in sé slesso per contemplar quella che si vede con gli occhi della mente, li quali allor cominciano ad esser acuti e perspicaci, quando quelli del corpo perdono il fior della loro vaghezza: però l'anima, aliena dai vizii, purgala dai sludii della vera filosofia, versala nella vita spirituale, ed esercitala nelle cose dell’ intelletto , rivolgendosi alla contemplazion della sua propria sostanza, quasi da profondissimo sonno ris- vegliala apre quegli occhi che tulli hanno e pochi adopra- no, e vede in sé stessa un raggio di quel lume che é la vera imagine della bellezza angelica a lei comraunicala, della quale essa poi communica al corpo una debil’ombra; però, divenuta cieca alle cose terrene, si fa oculatissima alle cele- sti; e lalor, quando le virtù molivc del corpo si trovano dalla assidua contemplazione astratte, ovvero dal sonno legale, non essendo da quelle impedita , sente un certo odor nascoso della vera bellezza angelica, e rapita dal splendor di quella luce comincia ad infiammarsi, e tanto avidamente le segue, che quasi diviene ebria e fuor di sé stessa, per desiderio d’unirsi con quella, parendole aver trovalo l’orma di Dio, nella contemplazion del quale, come nel suo beato fine, cerca di riposarsi; e però, ardendo in questa felicissima fiam- ma, si leva alla sua più nobil parte, che è rinlellello; e quivi, non più adombrata dalla oscura notte delle cose ter- rene, vede la bellezza divina; ma non però ancor in tutto la gode perfettamente, perchè la contempla solo nel suo parti- colar iniellello, il qual non può esser capace della immensa bellezza universale. Onde, non ben contento di questo bene- ficio, amore dona all’anima maggior felicità; che, secondo che dalla bellezza parlicolar d’un corpo la guida alla bellezza universal di tutti i corpi, cosi in ultimo grado di perfezione dallo intelletto parlicolar la guida allo iniellello universale. Quindi l’anima, accesa nel santissimo foco del vero amor divino, vola ad unirsi con la natura angelica, e non solamente in tutto abbandona il senso, ma più non ha bisogno del dis- corso della ragione; che, trasformata in angelo, intende tutte le cose intelligibili, e senza velo o nube alcuna, vede l’ampio mare della pura bellezza divina, ed in sè lo riceve, e gode UDRÒ QUARTO. 501 quella suprema felicità che dai sensi è incomprensihile. LXIX. Se adunque le bellezze, che tutto di con questi nostri tenebrosi occhi vedemo nei corpi corruttibili, che non son però altro che sogni ed ombre tenuissime di bellezza, ci pajon tanto belle e graziose, che in noi spesso acccndon foco ardentissimo, e con tanto diletto, che reputiamo ninna feli- cità potersi agguagliar a quella che talor sentemo per un sol sguardo che ci venga dall’ amala vista d’una donna : che fe- lice maraviglia, che bealo stupore pensiamo noi che sia quello, che occupa le anime che pervengono alla visione della bellezza divina 1 che dolce fiamma, che incendio soave creder si dee che sia quello, che nasce dal fonte della su- prema e vera bellezza 1 che è principio d’ ogni altra bellezza, che mai non cresce, nè scema: sempre bella, e per sè me- desima, tanto in una parte, quanto nell’ altra, semplicissima; a sé stessa solamente simile, e di ninna altra partecipe ; ma talmente bella, che tulle le altre cose belle son belle perchè da lei partecipan la sua bellezza. Questa è quella bellezza in- distinta dalla somma bontà, che con la sua luce chiama e tira a sè tutte le cose; e non solamente alle intellettuali dona r intelletto, alle razionali la ragione, alle sensuali il senso e r appetito di vivere, ma alle piante ancora ed ai sassi com- munica, come un vestigio di sè stessa, il molo, e quello in- slinto naturale delle lor proprietà. Tanto adunque è mag- giore e più felice questo amor degli altri, quanto la causa che lo move è più eccellente; e però, come il foco materiale alTìna l’oro, cosi questo foco santissimo nelle anime distrugge o consuma ciò che v’ è di mortale, e vivifica e fa bella quella jiarle celeste, che in esse prima era dal senso mortificata e sepolta. Questo è il Rogo, nel quale scrivono i poeti esser arso Ercole nella sommità del monte Gela, e per tal incen- dio dopo morte esser restato divino ed immortale ; questo è la ardente Rubo di Moisè, le Lingue dipartite di foco, l’in- Cammalo Carro di Elia, il quale radoppia la grazia e feli- cità nell’ anime di coloro che son degni di vederlo, quando, da questa terrestre bassezza partendo, se ne vola verso il cielo. — Indrizziamo adunque tutti i pensieri e le forze del- r anima nostra a questo santissimo lume, che ci mostra la 2C Digitized by Coogle 502 • IL CORTEGUNO. VI ) via che al ciel conduce; e drieto a quello, spogliandoci gli alTelti che nel descendere ci eravamo vestili, per la scala che nell’ infìmo grado tiene l’ ombra di bellezza sensuale ascen- diamo alla sublime slanza ove abita la celeste, amabile e vera bellezza, che nei secreti penetrali di Dio sta nascosta, acciò che gli occhi profani veder non la possano : e quivi Irovare- mo felicissimo termine ai nostri desiderii, vero riposo nelle fatiche, certo rimedio nelle miserie, medicina saluberrima nelle infermità, porto sicurissimo nelle torbide procelle del tempestoso mar di questa vita. LXX. Qual sarà adunque, o AMOR santissimo, lingua mortai che degnamente laudar ti possa? Tu, bellissimo, buo- nissimo, sapientissimo, dalla unione della bellezza e bontà e sapienza divina derivi, ed in quella stai, ed a quella per quella come in circolo ritorni. Tu dolcissimo vìncolo del mondo, mezzo tra le cose celesti e le terrene, con benigno temperamento inclini le virtù superne al governo delle in- feriori, e, rivolgendo le menti de’ mortali al suo principio, con quello le congiungi. Tu di concordia unisci gli elementi, muovi la natura a produrre, e ciò che nasce alla succession della vita. Tu le cose separate aduni, alle imperfette dai la perfezione, alle dissimili la similitudine, alle inimiche l’ ami- cìzia, alla terra i frulli, al mar la tranquillità, al cielo il lume vitale. Tu padre sei do’ veri piaceri, delle grazie, della pace, della mansuetudine e benivolenza, inimico della rustica fe- rità, della ignavia, in somma principio e fine d’ogni bene. E i>erchè abitar ti diletti il fior dei bei corpi e bello anime, e di là talor mostrarti un poco agli occhi ed alle menti di quelli che degni son di vederti, penso che or qui fra noi sia la tua stanza. Però degnali, Signor, d’udir i nostri prieghi, infondi te stesso nei nostri cori, e col splendor del tuo san- tìssimo foco illumina le nostre tenebre, e come Odala guida in questo cieco labirinto mostraci il vero cammino. Correggi tu la falsità dei sensi, e dopo ’l lungo vaneggiare donaci il vero e sodo bene; facci sentir quegli odori spirituali che vivi- lìcan le virtù dell* inlellcllo, ed udir l’ armonia celeste tal- mente concordante, che in noi non abbia loco più alcuna dis- cordia di passione; inebriaci tu a quel fonte inesausto di Di. ''ed by Googic, LIBRO QUARTO. 503 contentezza che sempre diletta e mai non sazia, ed a chi beè delle sne vive e limpide acque dà gusto di vera beatitudine; purga tu coi raggi della tua luce gli occhi nostri dalla cali- ginosa ignoranza, acciò che più non apprezzino bellezza mor- tale, e conoscano che le cose che prima veder loro [»rea non sono, e quelle che non vedeano veramente sono; accetta r anime nostre, che a te s’ ofTeriscono in sacrificio ; abbni- sciale in quella viva 6amma che consuma ogni bruttezza ma- teriale, acciò che in tutto separate dal corpo, con perpetuo e dolcissimo legame s’uniscano con la bellezza divina, e noi da noi stessi alienati, come veri amanti, nello amato possiam trasformarsi, e levandone da terra esser ammessi al convi- vio degli angeli, dove, pasciuti d’ ambrosia e néttare immor- tale, in ultimo moriamo di felicissima e vital morte, come già morirono quegli antichi padri, l’ anime dei quali tu con ar- dentissima virtù di contemplazione rapisti dal corpose con- giungesti con Dio. — LXXI. Avendo il Bembo insin qui parlato con tanta veemenza, che quasi pareva astratto e fuor di sé, stavasi cheto e immobile, tenendo gli occhi verso il cielo, come stu- pido; quando la signora Ehiua, la quale insieme con gli al- tri era stata sempre attentissima ascoltando il ragionamento, lo prese per la falda della roba, e scuotendolo un poco, disse: Guardate, messer Pietro, che con questi pensieri a voi an- cora non si separi l’ anima dal corpo. — Signora, rispose mes- ser Pietro, non saria questo il primo miracolo, che amor abbia in me operato. — Allora la signora Duchessa e tutti gli altri cominciarono di nuovo a far instanza al Bembo che se- guitasse il ragionamento: e ad ognun parea quasi sentirsi nell’ animo una certa scintilla di quell’ amor divino che lo stimolasse, e tolti desideravano d’udir più oltre; ma il Bembo, Signori, soggiunse, io ho detto quello che '1 sacro furor amo- roso improvisamenle m’ ha dettato; ora che par più non m’ aspiri, non saprei che dire: e penso che amor non voglia che più avanti siano scoperti i suoi secreti, né che il Corte- giano passi quel grado che ad esso è piaciuto eh’ io gli mostri ; e perciò non è forse licito parlar più di questa materia. — LXXII. Veramente, disse la signora Dochessa, se’lCor- Digitized by Googlc 504 IL CORTEGIANO. legiano non giovane sarà (ale che seguitar possa il cammino che voi gli avete mostrato, ragionevolmente dovrà con- tentarsi di (anta felicità, e non aver invidia al giovane. — Allora Riesser Cesare Gonzaga, La strada, disse, che a questa felicità conduce parmi tanto erta, che a gran pena credo che andar vi si jiossa. — Soggiunse il signor Gaspar: 1/ andarvi credo che agli uomini sia difficile, ma alle donne impossibile. — Rise la signora Emilia, e disse: Signor Gaspar, se (ante volte ritornate al farci ingiuria, vi prometto che non vi si perdonerà più. — Rispose il signor Gaspar: Ingiuria non vi si fa, dicendo che l’ anime delle donne non sono tanto purgate dalle passioni come quelle <legli uomini, nè versate nelle contemplazioni, come ha detto inesscr Pietro che è necessario che sian quelle che hanno da gustar l’amor divino. Però non si legge che donna alcuna abbia avuta questa grazia, ma si molti uomini, come Plato- ne, Socrate c Plotino e moK’ altri; e de’ nostri tanti santi Padri, come san Francesco, a cui un ardente spirito amo- roso impresse il sacratissimo sigillo delle cinque piaghe; nò altro che virtù d’ amor poteva rapire san Paolo apostolo alla visione di quei secreti, di che non è licito all’ uom parlare; nè mostrar a san Stefano i cieli aperti. — Quivi rispose il Magnifico Juuano: Non saranno in questo le donne punto .superate dagli uomini: perchè Socrate istcsso confessa, tutti i misterìi amorosi che egli sapeva essergli stati rivelati da una donna, che fu quella Diotima; e 1’ angelo che col foco d’ amor impiagò san Francesco, del medesimo carattere ha fatto ancor degne alcune donne alla età nostra. Dovete an- cor ricordarvi, che a santa Maria Magdaicna furono rimessi molti peccati perchè ella amò molto, e forse non con minor grazia che san Paolo fu ella multe volte rapita dall’ amor angelico al terzo cielo; e di tante altre, le quali, come jeri più diffusamente narrai, per amor del nome di Cristo non hanno curato la vita, nè temuto i slrazii nè alcuna maniera di morte, per orribile e crudele che ella fosse; c non erano, come vuole messer Pietro che sia il suo Cortegiano, vecchie, ma fanciulle tenere e delicate, ed in quella età nella quale esso dice che si deve comportar agli uomini Tainor sensuale.— Digilized ^y_G( LIBRO QUARTO. 505 LXXIII. Il signor Gaspar cominciava a prepararsi per rispondere; ma la signora Duchessa, Di questo, disse, sia giudice messer Pietro Bembo, e stiasi alla sua sentenza, se le donne sono cosi capaci dell’ amor divino come gli uomini, o no. Ma perchè la lite tra voi potrebbe esser troppo lunga, sarà ben a differirla inaino a domani. — Anzi a questa sera, disse messer Cesare Gonzaga. — E come a questa sera? disse la signora Duchessa. — Rispose messer Cesare: Perchè già è di giorno; — e mostrolle la luce che incominciava ad entrar per le Cssure delle finestre. Allora ognuno si levò in piedi con molla maraviglia, perchè non pareva che i ragio- namenti fossero durali più del consueto; ma per Tessersi in- cominciati molto piu lardi, e per la loro piacevolezza, aveano ingannalo quei signori tanto, che non s’ erano ac- corti del fuggir dell’ ore; nè era alcuno che negli occhi sen- tisse gravezza di sonno: il che quasi sempre interviene, quando T ora consueta del dormire si passa in vigilia. Aperte adun- que le finestre da quella banda del palazzo che riguarda Palla cima del monte di Cairi, videro già esser nata in oriente una bella aurora di color di rose, e tutte le stelle sparile, fuor che la dolce governalrice del ciel di Venere, che della notte e del giorno tiene i confini; dalla qual parea che spirasse un’aura soave, che di mordente fresco empiendo l’aria, cominciava tra le mormoranti selve de’ colli vicini a risvegliar dolci concenti dei vaghi augelli. Onde lutti avendo con riverenza preso commiato dalla signora Duchessa, s’in- viarono verso le lor stanze senza lume di torchi, bastando lor quello del giorno; e quando già erano per uscir della ca- mera, voltossi il signor Prefetto alla signora Duchessa, e disse: Signora, per terminar la lite tra ’l signor Gaspar e ’l signor Magnifico, veniremo col giudice questa sera più per tempo che non si fece jeri. — Rispose la signora Emilia: Con patto che se ’l signor Gaspar vorrà accusar le donne, e dar loro, come è suo costume, qualche falsa calunnia, esso ancora dia sicurtà di star a ragione, perch’io lo allego so- spetto fugitivo. — 2(j- Digilized by Google Digitized by Google 507 ALCUNI PASSI DEL CORTEGIANO UIYEHSI DALLO STAMPATO, illAni DR MANOSCRITTI ORIGINALI DALL’ABBATE PIERiNTONIO SEDASSI. PROEMIO DEL CORTEGIANO A MESSER ALFONSO ARIOSTO Fra me stesso lungamente ho dubitato, mcsser Alfonso carissimo, qual di due cose più diOicil mi fosse; o il negarvi quello che con tanta instanza e per parte di un tanto Re più volte mi avete richiesto, o il farlo. Perchè da un canto pa- revami durissimo negare alcuna cosa, e massimamente lau- devole, a persona che io amo sommamente, e da chi som- mamente mi conosco essere amato; aggiungendosi il desiderio e comandamento di cosi alto e virtuoso principe : dall’ altro ancor pigliare impresa, la quale io conoscessi non poter per- fettamente condurre a fine, non mi pareva convenirsi a chi estimasse le giuste riprensioni quanto estimar si devono. Al Gne dopo molti pensieri ho eletto più presto esser tenuto poco prudente ed amorevole per compiacervi, che savio e poco amorevole per non compiacervi. Voi adunque mi ricercate che io scriva, qual sia al pa- rer mio quella forma perfetta e carattere di Cortegiania, che più si convenga a gentiluomo che viva in corte di principi, e che possa e sappia perfettamente servirli con dignità in ogni cosa laudevole, acquistandone grazia da essi e da tutti gli altri; in somma, di che sorte debba essere quello che me- riti chiamarsi perfetto Cortegiano, tanto che cosa alcuna non vi manchi. 11 che veramente dilGcilissima cosa è tra tante varietà di costumi, che si usano nelle corti di Cristianità, eleggere la più perfetta forma e quasi il fior di questa Corte- giania; perchè la consuetudine fa a noi spesso le medesimo Digilized by Google 508 IL CORTEGIANO. cose piacere e dispiacere; onde (alor procede che li costumi, gli abili, riti e modi che un tempo sono stali in prezzo, divengono vili; per contrario li vili divengono pregiati. Però si vede chiaramente, che l’ uso più che la ragione ha forza d’ introdurre cose nuove tra noi, e cancellare 1’ antiche, delle quali chi cerca giudicare la perfezione, spesso s’in- ganna. Conoscendo io adunque questa e moli’ altre ditlìcul- tali nella materia pro|)ostami a scrivere, sono sforzato a fare un poco di cscusazione, e render testimonio, ch’io a tal im- presa posto mi sono per non poter disdire, e più presto con volontà di esperimcntare, che con speranza di condurla a line: il che se non mi verrà fatto, voglio che ognuno in- tenda, questo errore essermi commune con voi, acciò che ’l biasimo che avvenire me n’ha sia anco diviso con voi; per- chè non minor colpa si dee estimare la vostra, l’avermi imposto carico alle mie forze disuguale, che a me Io averla accettato. Ma penso che l’errore del giudicio mio debba es- ser compensato con la laude d’ avere obedito alle vertuose voglie del Re Cristianissimo, al quale non obedire saria grave fallo; attesoché felici chiamar si possono tulli quelli, a’quali esso comanda. E se a Sua Maestà è parso eh’ io a tal’ opra sia sofTicienle, troppo prosonzione sarebbe la mia, volere col negarlo correggere e quasi condennare il giudicio suo, il quale poiria, quando io mai non fossi, farmi bastante ad ogni dillìcile impresa; tanto sarebbe lo stimolo di ben fare e tanta la eonfidenzia di me stesso che io pigliarci, sapendo tale opinione di me essere nell’alto core del maggior Re, che già gran tempo sia stato tra Cristiani. Però siccome molla laude mi serà il verificare questa credenza, molto maggior biasimo mi saria lo ingannarla, per la ingiuria ch’io al mondo farcì, essendo causa che errasse colui il quale pare che errar non |)ossa, per essere dotato di quelle divine condizioni, che cosi rade volle in terra tra’ mortali si ritro- vano. Io adunque assai felice mi chiamo, essendo nato a tempo che lecito mi sia vedere un cosi chiaro Principe, che d’ogni virlulc e di famosa grandezza possi non solamente agguagliare gli più celebrali che mai siano vìssi al mondo, ma ancor superarli. Digiii'od by Google VARIANTI. 309 E piaccia a Dio, che questo animo eccelso e glorioso rivolga gli alti suoi pensieri a danni degli perfidi avversarii di Cristo; chè in vero un tanto Principe ragionevolmente sdegnar si deve di vincere minor nemico che un re di Asia e tutto r Oriente, e far minor effetto che rimover dal mondo una cosi inveterata e potente setta, com’é la Maomettana. Nè ad altro più si conviene vendicare le ingiurie fatte alla fede di Cristo, che al Re Cristianissimo; e se questo nome meritamente si hanno acquistato i suoi maggiori con le glo- riose opere , e con tante vittorie che sempre saranno cele- bratissime, esso deve chiaramente mostrare a tutto il mondo di essere degno successore non solamente dello stato e del nome, ma ancora delle vertuti. E certo niente di più hanno avuto di grandezza, di regno, di tesoro, di uomini, li altri regi di Francia, che s’abbia questo; forse molto meno di valor d’animo e di buona fortuna, sotto l’ale della quale sempre felicemente combatteranno tutti quelli che seguir lo vogliono: e pur tante volte hanno portate le lor vittoriose insegne in Oriente, con gravissimo danno degl’Infideli. Chè, lasciando li maravigliosi falli di Carlo Magno, molli altri prin- cipi della nazione franzese, come Goltifredo, Balduino, Ugo, passorno in .\sia, e per forza d’arme soggiogorno dal Bo- sforo e Propontide fino allo Egitto, e nella santa città di Jerusalem posero la sede del suo regno. Ragione è adunque, che questo magnanimo principe s’indirizzi a tanta gloria non per esempi! alieni, ma domestici, e segua gli onorati vestigi de’ suoi maggiori : dalli quali se l’ Asia è stata con l’arme acquistata, e molti anni posseduta, non so come esso essendo vero erede, possa restar di non recuperarla dalle mani di chi con tanta ignominia del nome cristiano la tiene oc- cupata. E se lo acceso desiderio di gloria dentro nel magna- nimo cuor del Cristianissimo cosi si nutrisce, come a lutto il mondo pare, debbesi sforzar di provedere, che una tal occasione di farsi immortale non gli sia di mano tolta: per- chè ninna espedizione al mondo ha in sè tanto di laude e di onore, e cosi poco di fatica. Né dirò quanto più vaglia la nostra milizia che la loro, e come in quella regione siano pochissimi lochi forti, e che tutta la Grecia e la maggior Digìtized by Google 310 IL CORTEGIANO. parte dell’ Asia sia piena di Cristiani, li quali non aspettano altro nè altro con tante lacrime giorno e notte pregano Dio, che levarsi dal collo il giogo gravissimo di cosi misera ser- vitale. Potria adunque, per questi e per altri rispetti, una cosi onorata preda movere 1’ animo di qualch’ altro polente Principe; come già videro i padri nostri Mattia Corvino di (Jngaria, il quale con dodici mila Ungaci ruppe e disfece sessantamila Turchi, ed entrato nel lor paese con foco e ferro in gran parte lo rovinò, e con essi sempre mantenne mortai guerra, e cosi spesso li vinse e con tanta uccisione, che non osavano pur accostarsi al Danubio. Ma oltre gli altri stimoli che punger devono il cor del Cristianissimo, non è ancor asciutto il sangue di quelli poveri Franzesi, che al- l’età nostra cosi crudelmente e con tanti inganni furono morti a MeleUn da questi perfidi cani; nè conviene a Sua Maestà lasciar quelle anime senza vendetta, e massimamente contea tali e cosi universali inimici. £ se ’l re d’Aragona, che ancor vive, cosi luneamente ha avuta guerra con Infi- deli, c per forza subjugato il reame di Granala, e ridottolo alla fede di Cristo ; dipoi, mandalo esercito di là dal mare, con tanto onor della nazion spagnuola e danno de’ Mori, ha preso per forza porti e nobilissime città d’ Africa: che pensiam noi che debba fare il Cristianissimo, giovane magnanimo, potentissimo, sull’ arme, avendo inanzi agli occhi una mollo più gloriosa impresa, cioè tutta l’Asia, e la recufieraziono del Sepolcro di Cristo, della quale tante volte dagli suoi mag- giori gli è stato mostralo il cammino? Segnasi dunque ormai dove chiama il ciclo e la fortuna, e le meschine voci degli afflitti popoli cristiani di Grecia ed Asia, li quali tosto che il nome solo di Pranza giunga tra loro, levarannosi in arme, ed apriranno il cammino a quella benavventnrala vittoria, che agli vincitori darà fama immortale, ed agli vinti eterna salute: di modo che al Cristianissimo più presto incontra si verrà con feste, pompe, doni ed infinite ricchezze, delle quali più eh’ altra parte del mondo quella regione è piena, che con armi. E certamente già parmi vedere quel tanto desiderato giorno, che ’l Cristianissimo, dopo l’avcr traversalo tanti paesi. VARIA>TI. 3H tanti mari, e vinto tante barbare e strane nazioni, e dilata- to lo imperio e il nome suo per tutto il mondo, giungerà agli confini di Jerusalem. Qual felicità sarà che si possa aggua- gliare a quella, che Sua Maestà nell’animo tra sé dentro sentirà? Dopoi, quando cominciaranno da lontano apparire le alte torri della Santa Città, che pensieri, che voglie, che devoti affetti saranno quelli, che fioriranno nel suo magna- nimo core! Che allegrezza in tutto lo esercito, il quale già in- ginocchiato parmi vedere con aita voce e pietose lacrime sa- lutare ed adorare le benedette mura e la Santa Terra, nella quale con tanti divini misterii fu il principio della salute no- stra! Quando poi in mezzo di tanti principi in abito regale a cavallo ornato accosterassi a quelle porte, e con le sue proprie mani onoratamente dentro vi riporterà come da lun- go esilio quella Croce, che già tanto tempo II è stala vilipesa e in obbrobrio; appresso con la medesima pompa ed ordine armato, e senza pur levarsi di dosso la polvere o il sudor del cammino, se n’ andrà al sacralissimo Sepolcro di Cristo, ed ivi prostrato in terra con tanta riverenza umilmente ado- rerà quel loco, ove giacque morto Colui che a tutto ’l mondo diede la vita: qual cor umano allor sarà, che in sé possa ca- lare tanta allegrezza? qual animo che non desideri finir la vita, per non corrompere mai più questa dolcezza di qualche amaritudine? che fiumi vedransi di devotissime lacrime! che gusto d’immortale consolazione si sentirà! come parranno leggeri e dolci le passate fatiche del lungo cammino e della guerra! Questa è la vera gloria e vero trionfo, conveniente all’altezza di cosi nobii animo; questa è la scala per salire alla immortalitate in terra e in cielo. Ben desiderare si deb- bono li regni, i tesori, le grandezze, per poterne trar cosi onesti e gloriosi frutti. 0 felicissimo ciascuno che potrà aver grazia, se non di vedere ed essere presente a cosi divino spettacolo, almen sentirne li ragionamenti da chi veduto l’arà! E certo niun altro desiderio mai sarammi tanto stabilito nel core, nè con maggior instanza dimanderò grazia a Dio, che di potere a tale impresa servire il Cristianissimo, vedendo con gli occhi pro[irii e forse scrivendo una parte di così gloriosi fatti, e ac- 1 312 Jl- CORTEGIANO. compagnando con l’ arme l’ alla persona, i)er servigio della quale molla gloria e grazia mi sera spendere quesla vila, che più nobil fine aver non poiria. E benché io sia cerlissimo nè con la |)enna nè con l’arme poter mai accrescer laude a tanta laude, come nè ancor i picciol rivi accrescono acqua al mare: pur penso che’l buon volere mio debba meritar commendazione; perchè Dio così ha grato un denaro offer- toli di buon core da un povero mendico, come un gran te- soro da un ricco signore. Frattanto se per sorte, messer Alfonso mio, vi parrà mai trovare il Cristianissimo disposto a rilassar l’ animo dalli maggiori pensieri, e quasi ad abbassar la mente e rivolgere gli occhi alle cose terrene: allor non v’ incresca pigliar pena di fargli fede, come io, per quanto mi hanno concesso le de- bil forze mie, sonomi sforzato di obedirlo, scrivendo questi libri del Cortegiano; li quali quando io saprò essere pur so- lamente giunti al suo cospetto, crederommi di quesla fatica avere conseguilo grandissimo premio. ALTRO PROEMIO DEL CORTEGIANO tratto dalla prima boxza dell’Autore. Non .senza molla maraviglia può l’ uomo considerare , quanto la natura, cosi nelle cose grandi come nelle piccole , di varietà si diletti. E cominciando da questa màchina del mondo, la quale contiene tutte le cose creale, veggiamo nel suo infinito corso sempre volgere il cielo; e benché con per- petuo ordine par che giri, pure in quell’ordine ha tante mu- tazioni, che prima passano molte e molle migliaja d’anni, ch’esse in quel proprio sito si ritrovi, ove una volta è stalo. Veggiamo poi li continui successi della notte al giorno, della estate alla primavera, dello inverno allo autunno, e le sta- gioni varie degli tempi, pioggie, sereni, freddi, caldi, ap- presso la permislione degli quattro principii, che noi chia- miamo clementi; il flusso de* quali fa che la corruzione di una VARIANTI. 313 cosa sia generazione di un’ altra, onde procede il nascimento ed incremento di tante erbe, piante, arbori, e di tanti vani animali in terra ed in mare, e ancor la destruzione di essi. Queste medesime varietà reggiamo net piccol mondo che è r uomo; chè tra tanto numero d’ uomini, li quali tutti sono di una medesima forma, non si possano trovare due, che to- talmente siano tra sé simili nè di volto nè di voce, e molto manco di animo. In noi è ancora il continovo successo della notte al giorno, se non altrimenti, almen negli pensieri; ben- ché nello spazio del nostro corso spesso le notti lunghissime e tenebrose senza lume di stella alcuno proviamo, e molto più torbidi e nubilosi giorni che sereni. Cosi in noi averne tutte le varieladi delle stagioni dell’ anno: chè nella tenera età puerile reggiamo quasi Gorire una lieta primavera, piena di Gori e di speranza, debole però e bisognosa di soccorso altrui, e spesso fallace; sentimopoi lo ardente fervore esti- vo della gioventù, la quale già gagliarda ci mostra frutti, ma non maturi, e le tenere raccolte in erba; appresso succede 10 intepidito autunno della quieta virilità, il quale di noi porge quegli più mézzi frulli, che in vita nostra sperare si possine; vien poi il nivoso inverno della gelida vecchiezza, 11 quale in tutto di forza e vigore, e di quegli beni che tanto al mondo si desiderano, ci spoglia, non meno che si faccia Borea ed Ostro le conquassate e nude cime degli alberi nel più eminente giogo dell’ Apennino. Ma oltre a queste ordi- narie e note varietà, che la natura per suo consueto corso produce, veggiamo li siti de’ paesi per lunghezza di tempo molarsi, e pigliare nuove forme; onde lo Egitto, che già fu mare, ora è terra fertilissima ; Sicilia, già congiunta con Ita- lia, ora è dal mare divisa; medesimamente Cipro con Soria, Euboea con Beozia; e molti lochi che già furono insule, or sono terra continente; e molti Gumi, che ’l suo antico corso hanno mutato. Non veggiamo noi il ghiaccio per ispazio di tempo divenire cristallo? e negli altissimi monti spesso tro- varsi granchi e conche marine già sassiGcate; la qual cosa è assai fermo argomento, in quella parte essere altre volte stalo il mare? Che direm noi, che mi raccorda aver veduto un legno, una parte del quale era pietra, e dove l’uno con 27 DigitizÓJ by Google 'i 314 lU CORTEGIANO. rallro si congiungeva era una mistura, che nè legno nè pie- tra dir si poteva, e pur era l’uno e l’altro! Vediamo tante nobilissime città distrutte, Troja, Sparta, Micene, Atene; e moll’altre, che già fur vili, ora essere fiorentissime. Roma, che già fu regina del mondo per la virtù dell’arme, e temuta fin negli estremi confini della terra da tante barbare e stra- ne nazioni, ora solo si nomina per la religione, ed è abitata da gente in tutto alienissima dall’ arme. Lo emporio quasi di tutto il mondo, che un tempo fu in Oriente, ora è trasferito alle parti di Occidente e Settentrione. E non solamente nelle città, siti, e paesi si veggono queste mutazioni, ma negli co- stumi ancora della vita umana; chè, olirà li diversi modi che ora si tengono da quelli che soleano tenere gli antichi circa il governo delle republiche, e delle cose dell' arte militare, dello espugnare e difendere le città, degli abiti e vestimenti, di riti, leggi e instiluti d’ogui sorte, grandissima diversità si conosce nel modo del conversare; e molti sono ora degli costumi antichi, che fur già pregiati assai, che a noi pajono inetti e mal composti: e ciò procede dall’ uso, il quale la na- tura come ministro adopra in introdurre cose nuove tra noi e scancellare le antiche, e con l’usare e disusare fa le me- desime a noi piacere e dispiacere, approbandole e riproban- dole non con altro testimonio, che con la consuetudine. Però tra 1’ altre cose, che nate sono a’Iempi oltre li quali noi abbiam notizia, e non molto da’ nostri secoli lontani, veggiamo essere invalsa questa sorte d’ uomini che noi chia- miamo Cortegiani , della qual cosa quasi per tutta cristia- nità si fa molta professione: chè, comcchè da ogni tempo siano stati gli principi e gran signori da molli servitori obediti, e sempre n’abbiano avuti dei più cari e meno cari, . ingeniosi alcuni, alcuni sciocchi, chi grati per il valore del- l’arme, chi nelle lettere, chi per la bellezza del corpo, molti per ninna di queste cause, ma solo per una certa occulta con- formità di natura; non è però forsi mai per lo addietro, se non da non molto tempo in qua, fattasi tra gli uomini pro- fessione di questa Gortegiania, per dire cosi , e ridottasi quasi in arte e disciplina come ora si vede; talmente che come d’ogn’ altra scienza, cosi ancor di questa si potrebbono dare VARIANTI. 315 alcuni precedi, e mostrare le vie per cousegoirne il Gne , quale noi estimiamo che sia il sapere e potere perfettamente servire e con dignità ogni gran principe in ogni cosa lau- dabile, acquistandone grazia e laude da esso e da tutti gli altri. E perch’ io ornai, vinto dalie continue preghiere vostre, penso di scrivere, secondo il mio debole giudizio, quello che con tanta instanza e lungamente m-avete richiesto, cioè quale sia quella perfetta forma e carattere di Cortegiania , e diche sorte debba essere quello che meriti chiamarsi perfetto Cor- legìano, tanto che nulla non vi manchi: sono sforzato fare un poco di escusazione del mio forsi temerario proponimen- to, acciò che ognuno intenda, me aver accettata questa im- presa più presto con volontà di esperimentare, che conispe- ranza di condurla a Gne; ma voglio fare questo piccolo testimonio, che io da voi sono stato sforzato a scrivere, acciò che sendomi questo errore commone con voi, se io non potrò escusarmene a bastanza, minor biasimo sarà il mio cosi di- viso, che non seria se tutto sopra di me fosse; essendo non minor colpa la vostra d’ avermi imposto carico alle mie forze diseguale, che a me lo averlo accettato. Temo ancora, s’io esprimo quello che voi mi imponete, cioè questa perfetta forma di Cortegiano, la quale io più presto spero poter dire che veder mai in alcuno, ritrarrò molti, i quali, diffidandosi di poter giungere a questa perfe- zione, non si cureranno averne parte alcuna; la qual cosa io non vorrei che accadesse, perchè in ogni arte sono molti lochi oltre il primo laudevoli, e chi tende alla sommità rade volte interviene che non passi la metà. Oltre che io non dico chi sia questo Cortegiano, ma quale dovria essere quello per- fetto; U quale io non ho mai veduto, e credo che mai non sia stato, e forsi mai non serà: pur patria essere. La idea dunque di questo perfetto Cortegiano formaremo al meglio che si po- trà, acciò che chi in questa mirerà, come buono arciero si sforzi d’ accostarsi al segno, quanto 1’ occhio e il braccio suo gli comporterà: il che molto meglio potrà fare proponendosi^ un obietto, che se non avesse la fantasia indrizzata ad alcu- no terminato Gne. Ma difficilissimo è in ogni cosa esprimere Dìgilized by Google IL CORTEGIANO. 316 quella più perfetta forma; e questo, per la varietà de’gindicii, come nell* altre cose, cosi ancor in questa nostra materia: chè sono molli a cui serà grato un nomo che parli assai, e quello chiameranno per piacevole; alcuni si dilettaranno più della modestia; alcuni altri di un nomo più attivo; e già so- nosi trovati di quelli che hanno avuti grati soli quelli che dicono mal d’ altri: e cosi ciascun lauda e vitupera secondo il parere suo, sempre' coprendo il vizio col nome della propin- qua verlù, e la vertù col nome del propinquo vizio; come un prosontuoso chiamarlo libero, un modesto arido, un nescio buono, un scelerato prudente, e cosi nel resto. Pur io esti- mo in ogni cosa esser la sua perfezione, avvegnaché nasco- sta, e questa potersi conoscere da chi di tal cosa s’ intende. Ma, per venire a quello eh’ è nostra intenzione, ho pensato, rinovando la grata memoria d’ un felice tempo, recitare certi ragionamenti atti a quello che noi intendemo di scrivere; li quali sforzaròmmi a puntino, per quanto la memoria mi com- porta, ricordare, acciò che conosciate quello che abbiano giudicato e creduto di questa materia singnlarissimi uomini, i quali io traigli altri ho conosciuti d’ ogni egregia laude me- ritévoli; , . ' MOTTO DI BERNARDO BIBIENA. (Lib. II, cap. LXIIl, paj. -155, lin. 55, dopo Io parole Patti la Signoria Vottra. — ) Andando io ancor da Firenze a Siena, ed essendo già l’ora tarda, dimandai un contadinello, s’ei credeva ch’io po- . tessi entrare dentro della porta; ed esso subito, con volto meraviglioso e sopra di sè, mi rispose: — E come dubitate voi di non potervi entrare? v’ entrarebbono due carri di fieno insieme. — DI PAPA GIULIO II. (Lib. II, cap. LXin, pag. 156, lin. -18, dopo le parole in Bologna.] Quando ancor il Papa a questi di andò a Bologna, giunto in Perugia, ad uno de’ suoi antichi servitori mori una mula. Digitized by Googli YABIANTI. 317 qnal sola avea. Gli altri compagni, desiderosi che il Papa gii rifacesse questo danno coi donargliene un’altra, subito gli io dissero. 11 Papa allora fecesi chiamar questo servitore, e dimandogli come cosi gli era morta la mula , e di che male. Esso rispose : — Padre Santo, credo sia stata la cru- dezza di queste acque di Perugia, che le hanno generali dolori , onde ella si è morta. — Àllor il Papa , mostrando che molto gl’ increscesse, e quasi che rimediare volesse, fatto chiamare il suo maestro di stalla, in presenza di quello e di tutti gli altri , che aspettavano certissimo che volesse coman- dare che se gli desse una mula, disse: — Noi intendemo, che queste acque sono mollo crude e nocive alle bestie; però vo- lemo che tu abbi rispetto alle nostre ; e perchè non patisca- no , fa che bevino l’ acqua cotta. — DEL CONTE LUDOVICO DA CANOSSA. (Lib.II, cap. LXXVIII,pag. 148, tin. 5, dopo le parole abito da tavio . — ) Disse ancora ad un altro, che dicea che non osava andare a Napoli, perché sapeva certo che quelle Regine non lo lascieriano di poi partire, e fariano guardare li passi: — Tu le potrai gabbare benissimo; perchè esse hanq^ cincesso jjgp una sua patente licenza a Monsignore di Aragona ai caccili buon numero di cavalli del reame: e però tu ancor potrai metterli in frotta con quell’ altro bestie, e passerai sicura- mente. — LODI DI FRANCESCO MARIA DELLA ROVERE. (Lib.IV, cap.II,pag. 241 , Ilo. 27-35, invece delle parole il Signor Prancetco Maria Rovere fino a lodevoli eottumi.) Fu ancora il signor Prefetto Francesco Maria della Ro- vere fatto duca d’ Urbino; benché mollo maggior laude at- tribuire si possa alla casa dove nutrito fu, che in essa sia riuscito cosi raro ed eccellente signore in ogni qualità di virtù, come or si vede, che dello essere pervenuto al ducalo d’ Urbino. Né credo che di ciò picciol causa sia stala la no- bile e rara compagnia, dove in continua conversazione sem- pre ha veduto ed udito lodevoli costumi ; chò in vero senza altro ajuto che di natura non pare che credere si possa, che 27* Digilized by Google IL CORTEGIANO. 318 ‘ in un giovane sia congiunto con la grandezza dell’ animo un tanto maturo e prudente consiglio , cosi nell’ arme come nel governo de’ stati, e in tutti li discorsi umani : chè, oltre la deliberata volontà ed inviolabile proponimento verso la giustizia, e mill’ altre meravigliose condizioni, cbi vide mai in signore di età di ventitré anni tanta continenza, che non solamente da ogni atto lascivo e disonesto si astenga, ma dalle parole e da ogni cosa che generar ne potesse sospizione sia alienissimo? Nò però questo è proceduto perch’ egli ab- bia r animo tanto austero, che aborrisca quello che natural- mente ognuno desidera ; anzi di teneri e dolcissimi costumi insieme con la modestia è tutto pieno. £ già più eh’ una volta raccordomi averlo veduto fieramente d’amore acceso, ed in questa passione aver fatto quello che cosi rare volte e con tanta dilTicoltà si fa, che per impossibile da ognuno è giudicato: e questo è, lo essere inamorato e savio, e met- ter legge e misura a quelli desiderii che patire non la pos- sono; e non solamente negli gran signori, alti quali la libera commodità e la vita deliziosa danno gran licenza e causa di peccare, ma spesso traporta e sforza gli animi de’ poveri e ^^ssissii^i uqpiini ad incorrere in gravi errori. Chi adunque può tanto' di sé stesso, che domini e governi con ragione gli propri! appetiti, e massimamente quando hanno più forza, é ancor conveniente credere, che possi e sappia con la me- desima ragione molto meglio governare gli popoli, come ben se ne vede nel signor Duca esperienza. — LODI DI FEDERICO GONZAGA, MARCHESE DI MANTOVA. (Lib. IV, cap. XLII, pag. 276, lin. 7-29, iorece della parole Riipote il Signor Ottaviano &no a guelfa vostra speranza . — ] Rispose il signor Ottaviano : Se il signor Prefetto non fosse qui presente, io direi pur arditamente, che esso di sé stesso promette ciò che desiderar si può di degno principe ; ma per fuggir ogni sospetto di adulazione, non voglio lau- darlo in presenza. Dico bene, che se ’l conte Ludovico nostro è cosi veridico come suole, un altro ne avemo ancora, del quale con ragione sperar si deve tutto quello eh’ io ho dello convenirsi a quel supremo grado di eccellenza: e questo non Digitized by VARIANTI. 319 solamente è nato, ma comincia già a mostrare della vertute e valor suo verissimi argomenti. — E qual è questo felice signore? — rispose il Faisio. Disse il signor Ottaviano : Il Federico Gonzaga, primogenito del Marchese di Mantua, ne- pote della signora Duchessa qui. — Allor il conte Lodovico, Io, disse, confesso, non aver mai veduto fanciullo, che in cosi tenera etate mostri maggior indole di questo, nè più certa speranza di pervenire al colmo di quella virtule eroica che ha nominala il signor Ottaviano : onde penso che non solamente nel dominio suo, ma in tutta Italia, abbia da ri- novare il secol d’oro, del quale già tanto tempo fra gli uo- mini non si vede più reliquia. Ed io essendo a questi di passati ito a Mantua, feci quel giudicio di lui che si scrive che già fecero di Alessandro certi ambasciatori del re di Persia; li quali, venuti alla corte di Filippo essendo esso absenle, furono da Alessandro suo Ggliolo, che ancor era fanciullo, ricevuti onoratissimamente; ed intertenendoli esso domesticamente , come si suole , non gli adimandò mai cosa alcuna puerile, come degli orli o giardini, nè delle altre delizie del loro re, che in quei tempi erano celebratis- sime ; ma solamente, quanta gente a piedi e quanta a ca- vallo potesse mettere alla campagna il re di Persia, e che ordinanza e modo teneano nel combattere, e in qual parte dello esercito slava la persona del re, e chi stavano con lui, e come aveano modo di levar le vettovaglie alli nemicj che venissero in Persia da una banda, e come dalFaltra, e come di fare che a sè non mancassero, ed altre lai cose; di modo che quelli ambasciatori maravigliali dissero: Il nostro si può chiamare meritamente ricco re, ma questo fanciullo gran re ; — e inflno allora giudicorno, che avesse da essere quello che fu. Cosi io non senza chiaro indizio presi di questo fan- ciullo suprema speranza; chè, vedendolo ed udendolo ragio- nare, restai stupido, e parvemi comprender che la natura l’ avesse prodotto attissimo ad ogni virtuosa grandezza. — Allor il Fbisio, Or non più, disse; pregarem Dio di vedere adempita questa vostra speranza; ma date oggimai loco agli altri di parlare. — 321 ANNOTAZIONI. Il passaggio di Papa Giulio li , dopo il quale per quattro sere si finge tenuto il presente Dialogo del Corlegiano, ebbe luogo ai primi di marzo dell’anno 1507; essendo il Castiglione allora ap- punto ritornalo dal suo viaggio in Iiigbìlterra, dove era andato am- basciatore del Duca d’Urbino Guidubaldo da Montefellro aire En- rico VII (vedi Lettere Familiari, 27, 28 e 29). 11 Castiglione pose il suo Dialogo in quei giorni, onde aver modo di introdurre a pren- dervi parte molli insigni personaggi che non dimoravano abitual- mente in Urbino, ma che vi si trovarono in occasione di quel pas- saggio: finse poi di essere tuttora assente, onde non trovarsi astretto a farsi interlocutore nel Dialogo, o porsi in mezzo agli altri molo spettatore. Gl’ Interlocutori del Dialogo sono i seguenti : .1 1. Duchessa ELISABETTA i Lib. I, cap. 6,7, 12, 23, 32; Lib. II, cap. 5, 27, 33, 55, 85, 92, 99, 100; Lib. III, cap. 2-4, 49, 52, 60, 71, 77; Lib. IV, cap. 3, 25, 30, 43, 50, 5.5, 72, 73. Figliola di Federico e sorella di Francesco Gonzaga marchese di Mantova,e moglie di Guidubaldo da Montefellro duca d’Urbino; donna di singoiar bellezza e virtù. Mori nel gennajo 1526, mentre il Casti- glione si trovava Nunzio in Ispagna. Delle sue ludi veggasi il Casti- glione in più luoghi del Corlegiano e delle altre opere, il Dialogo del Bembo De Duci6u.v Urbini, e le Annotazioni del Secassi alle Poe- sie Italiane e Latine del nostro Autore. 2. EMILIA PIA » Lib. I, cap. 6, 7, 9, 1 2, 1 3, 23, 39, 50, 55; Lib. II, cap. 17, 44, 45, 52, 53, 69, 97, 98, 99; Lib. Ili, cap. 17, 20, 22, 32, 46, 58, 61-64, 76; Lib. IV, cap. 30, 44, 50, 71-73. Qnesta celebre principessa fu sorella di Ercole Pio signor di Carpi , e moglie del conte Antonio di Montefellro , fratello naturale del duca Guidubaldo. Più ampie notizie intorno a lei si veggano nelle Annotazioni del Secassi alla stanza xxxv dell’Egloga Pastorale del Castiglione e del Gonzaga, il Tirsi. Dìgitized by Google 322 ANNOTAZIONI. 3. CKSABE GO\X.%C.i.l: Lib. I, cap. 8, 13, 18, 23, 24, 28, 31, 53; Lib. II, cap. 10, 20, 27, 63, 56; Lib. Ili, cap. 3, 7, 40-52, 64, 70-72; Lib. IV, cap. 18, 30, 36, 60, 72, 73. c Cugino ed intrinseco amico del conte Baldassarre. Questi » alla gloria dell’armi univa con maraviglioso innesto l’ornamento * delle lettere, e una incredibile prontezza e maturità di giudizio; » talché riuscì non inen valoroso guerriero, che leggiadro poeta, e > grande ed accorto ministro. Dopo la morte del duca Guidubaldo » fu con onoratissime condizioni trattenuto da Francesco Maria della > Rovere, a cui prestò rilevanti servigli cosi in pace come in guerra. 1 Ed avendo nel 1512 ridotta Bologna all’obedienza del Ponteflce, » sovragiunto da una gagliarda febre, vi mori assai giovane, lasciando > a tutti coloro die l’avevano conosciuto acerba e dolorosa memo* > ria della sua morte, t Serassi. 4. Conte LUDOVICO CANOSSA i Lib. 1, cap. 13, 14, 16-22, 25-29, 31-47, 49-55; Lib. II, cap. 44; Lib. Ili, cap. 34, 67, 71 ; Lib. IV, cap. 42, 55, 66, 60. Stretto parente del Castiglione, fu poscia Nunzio Apostolico in Francia, vescovo di Tricarico e indi di Bajous, ed ambasciatore del re Francesco 1 presso la Republica di Venezia. 6. FEDERICO FREGOSOt Lib. I, cap. 12, 29-31, 37-39, 55; Lib. II, cap. 6-44, 84, 100; Lib. Ili, cap. 2, 63-56, 68; Lib. IV, cap. 66. Figliolo della signora Gentile Feitria sorella del duca Guidu- baldo, ed amicissimo del Castiglione. Fu poscia arcivescovo di Sa- lerno e cardinale. 6. OTTAVIANO FREGOSOi Lib. I, cap. 10; Lib. II, cap. 91, 92; Lib. Ili, cap. 3, 51, 76, 77; Lib. IV, cap. 3-10, 12-14, 16-19, 21-35, 37-49. Fratello del precedente; fu poscia doge di Genova. Mori infe- licemente, prigione del Pescara. 7. PIETRO BEMBO I Lib. I, cap. 11, 45; Lib. II, cap. 27, 29, 43, 52-54; Lib. IV, cap. 15, 20, 50-54, 56-71. Fu il Bembo amicissimo del Castiglione, essendosi conosciuti lungamente prima alla corte d’Urbino, poi in Roma durante il pon- teUcato di Leone X, che lo nominò suo sei-retario. Il Castiglione gli diede ad esaminare e correggere il suo Diai >go. Dopo la morte del Castiglione, fu da papa Paolo ili crealo cardinale. Digitized by Googl^ ANNOTAZIONI. 323 8. BERNARBO MVIZIB DA BIBIEtVAi Lib. T,Cap.19, il, 31; Lib. II, cap. 33, 44-54, 56-90, 92-96; Lib. HI, cap. 64, 68, 72; Lib. IV, cap. 38, 42. Preso dal cardinale Giovanni de’ Medici a suo secretano , es- sendosi poscia efficacemente adoperalo per farlo eleggere papa , que- sti, asceso al pontificato sotto il nome di Leone X, lo creò cardinale sotto il titolo di Santa Maria in Punico. Fu uomo di mollo ingegno, e sopratullo di maravigliosa destrezza nel maneggio degli affari po- litici; adoperalo in varie importantissime legazioni, si mostrò uno dei più gran ministri che avesse la Sede Apostolica. 9. GASPARO PAELAVIClKOr Lib. I, cap. 6, 7, 15, 18, . 21, 31, 47; Lib. II, cap. 10, 13, 2.3, 24, 28, 31, 35, 40, 67, 69* 90, 92, 94-97, 99; Lib. III, cap. 3, 7, 10, 11, 15, 17, 21, 25, 28, 31, 3.3, 35, .37, 39, 41, 47, 51, 52, 56, 58, 64, 65, 71, 72, 74, 75; Lib. IV, cap. 11, 14, 19, 22, 25, 28-30, 35, 48, 49, 60, 72. Valente cavaliere, ed amicissimo del Castiglione, eh e da lui finge essergli stati narrati questi ragionamenti sul Cortegiano tenutisi in sua assenza. L’Autore compiange l’immatura morte del Pallavicino in principio del Libro IV. 10. GIULIANO DE’ MEDICI detto IL MAGNIFICO t Lib. I, cap. 28, 31, 42, 48, 55; Lib. Il’ cap. 14, 26, 55, 66, 98, 100; Lib. Ili, cap. 2, 4-10, 12-1 4, 16-38, 40, 52, 54-57, 59, 64-67, 69, 70, 72-74; Lib. IV, cap. 17, 44, 72. Figliolo di Lorenzo il Magnifico, e fratello del cardinale Gio- vanni de’ Medici , che fu poscia Papa Leone X ; si tratteneva allora alla corte d’ Urbino, Ove col formitor del Cortrgitao, Col Bembo, e gli allri «acri al divo Apollo, Facea l’esilio suo meo duro e strano. r A riosto, Satira IV.) Rientrato in Firenze nel 1512, fu poscia capitan generale e gon- fatoniere di Santa Chiesa, e duca di Nemours; ebbe in isposa Fili- berta di Savoja, zia di Francesco 1 re di Francia. Mori li 17 mar- zo 1516. Più ampie notizie kitomo al medesimo si troveranno nelle Annotazioni del Serassi alla stanza xliii della Pastorale il Tirsi. 11. BERNARDO ACCOLTI detto L’UNICO ARETINO i Lib. I, cap. 9; Lib. II, cap. 5, 6 ; Lib. Ili, cap. 7, 60-63. Bernardo Accolti d’ Arezzo, detto l’Unico Aretino, di fama as- Dìgìl ized by Coogle 324 ANNOTAZIONI. sai maggiore vivendo che non presso ì posteri. Fu tuttavia cavaliere assai leggiadro , versato nelle buone lettere , e particolarmente nella poesia. Non si trattenne che di passaggio alla corte di Urbino , poi- ché era Scrittore Apostolico ed Abhreviatore sotto Giulio li. 43. FBìIlNCESCO IH.4R1A DELLA ROVERE, allora PREFETTO DI RO.TlAi Lib. I, cap. 54, 55; Lib. Il.cap. 42, 43; Lib. IV, cap. 73. Francesco Maria Bgliolo di Giovanni della Rovere, e di Giovanna sorella di Guidubaldo da Montefeltro duca d’Urbino, nacque li 24 marzo 1491, c perciò al tempo nel quale si finge tenuto il dialogo era giovane di soli sedici anni. Giulio II , suo zìo , per assicurargli la successione al ducato d’Urbino, sì adoperò in modo, che da Gui- duhaldo, il quale era senza prole, fu adottato per figliolo li 19 set- tembre 1504; poscia, per ottenere l’appoggio anche della duchessa Elisabetta, trattò che se gli desse per moglie Eleonora Gonzaga figliola di Francesco marchese di Mantova , e nipote perciò di Elisa- betta; il qual matrimonio, concbiuso e pubblicato il 3 marzo 1505, per la tenera età degli sposi non si celebrò che il 25 novembre 1509, dopo che già Francesco Maria era succeduto al morto Guidubal- do. Espulso l’anno 1516 da papa Leone X, che concesse quel du- cato a Lorenzo de’ Medici suo nipote, si rifugiò a Goito nel Man- tovano. L’anno seguente, con una mano di circa 9,000 soldati racco- gliticci di varie nazioni, tentò di recuperare lo stato; ma costretto infine di abbandonare l’impresa, si ricoverò nuovamente in quel di Mantova. Finalmente, morto appena papa Leone (1521), posti insieme quattromila fanti e duemila cavalli, ajutato dall’amore dei popoli, recuperò in breve spazio tutte le terre del ducato. Nel 1527, attempo della spedizione di Carlo Borbone contro Roma, era capi- tano generale dell’esercito della Lega ; e vuoisi che ad arte lasciasse che le cose del papa (ClementeVII) andassero in rovina, in vendetta dei danni recatigli dalla famiglia dei Medici. Mori avvelenato ai 20 ot- tobre t558, in età di soli 47 anni. Di tale misfatto venne incolpato Ce- sare Fregoso, che, essendo generale della fanteria veneziana, aveva avuto briga col Duca, supremo capitano di quella Republica. 43. NICOLÒ FRIGIO o FRISIOi Lib. II, cap. 99; Lib. Ili, cap. 3, 49, 22, 24-26, 28, 37, 45, 49; Lib. IV, cap. 42. 11 Bembo lo dice uomo Germano , ma avveuo a’ eotlumi della Ilalia. Fu familiare dello imperatore Massimiliano, a nome del^ quale si trovò al chiuder della lega di Cambrai; uomo di grande esperienza negli affari, ma sopratutto d’ una bontà e lealtà singolare. Tornato in Italia , entrò a’ servigi di Bernardino Carvajal cardinale di Santa Croce; e passando per Urbino colla corte del Papa, vi si fermò alcun tempo, e vi contrasse amicizia col Bembo e col Castiglione, il quale ANNOTAZIONI. 325 già aveva conosciuto circa due anni prima in Roma. (Cast. , Lett. /am., 2S.) Nel 1510 si rese monaco nella Certosa di Napoli, e fu al- lora che il Bembo gli scrisse il sonetto che incomincia: Fiitio, che gii di questi gente a quelli. 14. MORELLO OA ORTONAi Lib. I, cap. 34; Lib. II, cap. 8, 14, lo; Lib. IV, cap. 55, 63. Il più vecchio tra i cavalieri della corte di Urbino. Il Castiglione nella Pastorale il Tirsi lo loda anche come poeta. 15. ROBERTO DA BABIi Lib. II, cap. 50; Lib. Ili, cap. 67, 68. Amicissimo del Castiglione, che di lui parla con molta lode e ne compiange la perdita nel proemio del Libro IV del Cortegiano. Di lui parla il nostro Autore anche nella 58* delle Lettere Familiari. 16. ERA SEBAFlKOt Lib. I, cap. 9. Burlatore faceto (Corteg., II, cap. 89), e gran mangiatore (1, 28). 17. LLDOUCO MOs Lib. I, cap. 46; Lib. II, cap. 23, 37. Figliolo di Lionello signore di Carpi ; fu uomo di Chiesa. 1 8. OIOVANNl CRISTOFORO ROMANO: Lib i, cap.50. Valente scultore , discepolo di Paolo Romano. Fu amico anche di Saba Castiglione, il quale di lui cosi ne’ suoi Ricordi (Ricordo 109): « Oltra le altre virtù, e massimamente delia musica, fu al suo tempo y> scultore eccellente e famoso, e molto delicato e diligente , e mas- » simaroente per la nobile ed ingegnosa sepoltura di Galeazzo Vis- I conte nella Certosa di Pavia. E se non che nella età sua più verde > e più fiorita fu assalito d’incurabile infermità, forse fra li due primi » (Michelangelo e Donatello) suio sarebbe il terzo. i — Sul monu- mento di Galeazzo Visconte si legge : IHOANNES CHRISTOPHORUS ROMANUS FACIEBAT. 19. VINCENZO CALMETA: Lib. I, cap. 56; Lib. Il, cap. 21, 22, 39. Fu a’ suoi giorni poeta di poco prezzo. Dolce. 20. PIETRO DA NAPOLI: Lib. I, cap. 46; Lib. II, cap. 18. Nè presso il nostro Autore nè altrove mi venne fatto di trovai; menzione di costui fra gli uomini insigni di quella età. 28 Digilized by Google 326 ANNOTAZIONI. 81 . MARCHESE EEBCSi Lib. II, cap. 37. Di costui parimente non trovai altro cenno che quello datoci dal nostro Autore in quest’opera, Lib. I, cap. Si, e Lib. II, cap. 37. 22. COSTANZA FRECOSAi Lib. I, cap. 40. Sorella di Ottaviano e di Federico Fregosì, e perciò nipote da sorella del duca Guidubaldo. 23. MARGHERITA GONZAGA i Lib. Ili, cap. 23. Dama della duchessa Elisabetta. Pag. 1, Un. 8. — che in quegli anni. Meno bene le tre prime Aldine che io quegli anni. Pag. 1, Un. 18. — Donna celebratissima per ingegno, per bel- lezza e per virtù, figliola di Fabrizio e sorella di Ascanio Colonna, e moglie di Fernando d’Avalo marchese di Pescara. Pag. 1, Un. 19- — Vedi la 299 fra le Lettere di Negozi! del Ca- stiglione. Pag. 2, Un. 2. — Messer Alfonso Ariosto, gentiluomo bologne- se, era cortegiano mollo favorito del cristianissimo re Francesco I, e grande amico del Castiglione. Serassi. Pag. S, Un. S6. — Questa fu opinione di molli, nata in parte dall’essere difalU il Castiglione adorno di quasi tutte le doti, delle quali vuole fregiato il perfetto Cortegiano; onde anche l’Ariosto, Canto XXXVll, st. viH. c’è il Bembo, c’è il Cappe!, c’è chi qual lai Veggiamo ba tali i Cottegiao formati. Pag. 6, Un. S. — Questo è preso gentilmente da Cicerone. Dolce. LIBRO PRIMO. Pag. 8, Un. SI. — Allude al proemio del dialogo dell’Oralore. Dolce. Pag. 9. Un. SS. — Vedi la descrizione di questo palazzo nel libro intitolato Versi e prose di monsignor Bernardino Baldi da Ur- lino, abate di Guastalla; in Yenetia, 1S90, in-4. Gaetano Volpi. Digitized by Google ANNOTAZIONI. 327 Pag. 10, Un. 7. — Imita Ovidio nel fine delle Trasformazioni. Dolce. — Helamorpbos., lib. XV, v. 730, 751 : neqne enim de Ctesaris actis Ulfttm majtts epns^ qnam quod pater extitit hnjus, Pag. 15, Un. 25. — Tale usanza dura anche oggi In Sardegna; Vedi Lamarmora, Voyage en Sardaigne, 2« édition, voi. I, pag. 179 . Pag. 16, Un. 15. — Frate in Roma, famigiiare del Castiglione. Delle sue facezie si fa cenno anche più sotto, Lib. 11, cap. 44. Sem- bra che, tra l’ailre stranezze, solesse fare l' elogio della pazzia, ed augurarla altrui quasi buona ventura ; come appare e da questo pas- so, e più chiaramente dal seguente di una fra le lettere del Casti- glione, che per la prima volta diamo alla luce (Lettere di Negozi!, 174): c I medici mi confortano a purgarmi diligentemente, « per essere queU’umore melancolia di malissima sorte; benché > frate Mariano dice , che per modo alcuno non mi debbo medicina- » re: che se per mia avventura questo umore mi andasse alla testa, » io diventerei matto, e cosi avrei il miglior tempo che avessi mai « in vita mia. * Pag. 17, Un. 36. — Questo sonetto fii per la prinàa volta stam- palo dal Rovinio, nell’edizione del Cortegiano fhtta in Lione 1562; indi dal Volpi nell’indice del Cortegiano, dove fu conservato nelle edizioni posteriori ; esso è il seguente : CoDsrnti^ 0 mar di lielUita e ▼irtute» Cb*io, tervo tao, sia d*an gran duhio sciolto. L ’ Sp qual porli nel candido volto, Significa mio Stento, o mia Salate? Sé dimostra Soccorso o Servitale? Sospetto o Secanà? Secreto o Stolto? Se Speme e Strido? te Salvo o Sepolto? Se le catene mie Strette o Solate? Ch’io temo forte, che non faccia segno Di Superhia, Sospir, Severitate, Siratio, Sangue, Sudor, Sapplicio e Sdegno. Ma, se loco ha la pura ventate, Questo S dimostra, e con non poco ingegno, T7n SOL Solo in belletaa e crudeltate. Pag. 18, Un. 50. — dolci li fa. Cosi corresse il Dolce; le Al- dine e le altre antiche hanno dolci le fa. Pag. SI, Un. 57. — Allude a quello che dice Orazio. Dolce. — Sermonum, «6. I, Sai. IH, v. 41-55. Pag. SS. Un. 16. — se desvia. Le Aldine degli anni 1528, 1541, 1545, hanno «i desvia. Digitìzed by Google I 528 ANNOTAZIONf. Pag. S2, Un. 32. — Imitato da Orazk), Od. IV, 4, v. 29; J^or/ej creantnr fortihns et benis; Est in juvencis, est in eqnis, patrum VirtttS, nee imbe/iem feroce* Progenerant a quitte eolumbam. Pag. 23, Un. 22. — i giwUcii. Cosi le Aldine degli anni 1528, 1553, 1358, 1543, e questa credo la vera lezione; le Aldine del 1341 e 1347, i giudici. Pag. 27, Un. 2i. — si asUen da laudar. Le Aldine degli an- ni 1341 e 1347, si astien di laudar. Pag. 30, Un. 3-51. — Questo passo intorno ai duelli fu con- servato intatto nell’edizione espurgata dal Ciccarelli. Il Volpi nel- l’Indice, alle parole Combattimenti privati o siano duelli, aggiunge la seguente Nota: < In essi non solo, come consiglia l’autore, dee » il Cortegiano andar ritenuto, ma, se è buon cristiano, li dee af- » fallo fuggire, per aderire all’insegnamento dell’Aposlolo nella sua » II* lettera ai Corintii, al capo VI, di dover seguitar Cristo per glo- > riam et ignobilitatem, per infamiam et bonam famam. » Pag. 31, Un. 36. — compagnata. Cosi le Aldine del 1328, 1333, 1343, voce usata anche altrove dal nostro Autore; le Aldine del 1358, 1341 e 1347, hanno accompagnala. Pag. 33, Un. 24. — » guida. Cosi tutte le Aldine e le altre an- tiche, ed è lombardismo usato più volte dall’ Autore. Simile forma troviamo presso Dante, Inferno, cjinto V, v. 78: e la U chiama Per queir amor che i tira, ed fi verranno. Il Dolce mutò ad arbitrio li guida, lezione ripetuta nell’edizione dei Classici, c in quella del Silvestri. Simile modo di dire troviamo nuovamente a carte 38, lin. 36; a carte 87, lin. 23; a carte 118, lin. 34; a carte 123, lin. a carte 200, lin. 20. Pag. 39, Un. 5. — È da avvertire che la intenzion dell’Autore è appunto di rifiutar la opinion del Bembo esprc.ssa nelle sue prose intorno alla lingua; dove forse si potrebbe dire, che ambedue pec- cassero nel troppo, l’uno nell’ osservare, e l’altro nello sprezzare. DOI.CE. Pag. 43, lin. 3. — Allude al celebre verso di Orazio: Scribendi recte, sapere est prìncipinm et fons. (De Arie Poelica, v. 309.) Non so astenermi dal notare qui ii grave errore in che nella spiegazione dì questo verso è caduto il Botta, nella prefazione alla continuazione della Storia del Guicciardini; dove, collegando il rette col sapere, e non collo scribendi, d ripete a sazietà quell’ insulso AMNOTAZIOm. 329 rec/e $apere, quasi fosse possibile sapere non reste. Al qnal proposito conviene avvertire, che la voce italiana sopire corrisponde pinttosto alla latina scire, e che manchiamo nella nostra lingua dì un voca- bolo che perfettamente esprima il sapere dei latini. Forse, ma pare imperfettamente, si potrebbe tradurre per aver senno. Pag. 4S, Hn. 1S. — Tolto da Cicerone. Dolce. Pag. 46, Un. 12. — se gli trovi. Cosi corresse il Dolce; le Al- dine hanno, e forse il Castiglione scrisse si gli trovi. Del resto, que* sto pensiero parimente è tolto da Orazio: ut sili tfuivis Speret idem s sndet multum, frustraqne Uboret, jituus idem. (De Arie Poeticai ▼. 340-SiS.) Pag. 47, Un. 2. — italiana, commune. Così tutte le Aldine; il Dolce, tolta la virgola, scrisse, forse non male, italiana commune. Pag. 47, Un. 53. — perchè dite, se qualche. Cosi le Aldine de- gli anni 1K38, 1S4I, 1347; le altre, perchè dite, che se qualche. Pag. 47, Un. 37. — Campidoglio si usa in rima dal Petrarca nel primo capitolo del Trionfo d’ Amore. Gaetano Volpi. Pag. SO, Un. 5. — nella maniera del cantare. Le Aldine degli anni 1328, 1338, 1341, hanno nella maniera dal cantare. Pag. SO, Un. 14. — Intorno al Mantegna, vedi la Parte II della Verona illustrata, del celebre signor marchese Scipione Maffei, in-8, a carte 189. Volpi. Pag. 32, Un. 30, 33. — non direste voi poi, che Cornelio nella lingua fosse pare a Cicerone, e Silio a Virgilio? Cosi le Aldine del 1341 e del 1347 ; le altre Aldine, con manifesto errore, non dire- ste voi poi, che Corrulio nella lingtta fosse pare a Cicerone, a Silio e a Virgilio? Pag. S3, Un. 19. — attiche. Le Aldine degli anni 1341 e 1347, antiche. Pag. SS, Un. 11. — non vi pare. Male le Aldine degli anni 1338, 1341, 1347, et t>» pare. Pag. 68, Un. 7, 8. — non estimandola tanto, ragionevol cosa è ancor credere. Cosi corresse il Dolce; le edizioni anteriori hanno non estimandola tanto ragionevol cosa, et ancor credere, tranne l’Al- dina del 1347, che ha non estimandola tanto ragionevol cosa, è an- cor credere. Pag. S9, Un. 34. — Il simile dice Cicerone nella orazione in difesa di Archia poeta. Dolce. Pag. 60, Un. 29. Versi tratti dal sonetto CXXXV de! Petrarca. 28 * Digìtized by Google 330 - ANNOTAZIONT. Pag. 65, Un. 4 ^ — che or sarta lungo a dir. Ck») corresse il Volpi; le edizioni anteriori hanno che lor saria lungo a dir. ' Pag. 65, Un. Ì7. — tener certo. Cosi scriviamo, colle Aldine degli anni 1S38, iS4t, 1547; quelle del 1528, 1535, 1545, tener per • certo. Pag. 65, Un. il. — 11 Volpi nota : s Anzi è certissimo per le > Divine scritture, fra le quali basti il salmo 150. i Pag. 65, Un. 4. — tra gli oratori. Le Aldine degli anni 1541 • 1547, tra oratori. Pag. 67, Un. 7. — anco. Seguiamo la lezione delle Aldine de- gli anni 1541 e 1547 ; le altre ancora. LIBRO SECONDO. Pag. 75, Un. SS. — È l’Oraziano laudator temporis acti. (De Arte Poetica, v. 173.) Pag. 76, Un. S5. — Plato in Phadone, ed. Henr. Stephani, Voi. I, pag. 60, B. Pag. 76, Un. S8. — precede. Cosi le Aldine degli anni 1545 e 1547; male le quattro anteriori procede. Pag. 78, Un; 7. — Forse il Signore alluse a ciò nella parabola della zizania con quelle parole: Sinite utraque crescere usque ad messem. Matlh. XIII, 30. Gaetano Volpi. Pag. 80, Un. SO. — Leggi la prima comedia di T^mùo. Dolce, Pag. Si, Un. 15. — Comparazione tolta da Cicerone. Dolce. Pag. 83, Un. SO. — atia. Le Aldine degli anni 1533, 1538, 1541, 1547, occhia; e forse cosi scrisse l’Autore. Pag. 84, Un. 6. — barra. Male le Aldine degli anni 1528 e del 1545, bara. Pag. 88, Un. 57. — Dubito che dir voglia due volte al giorno, come fanno alcuni zerbini d’ oggidì; chè a ninno parrà certo sover- chio il Parsi la barba due volte la settimana. Del resto, è degno di nota, che questa accusa appunto venne a’ suoi tempi fatta da alcuni al Castiglione, come sappiamo dal Giovio, e dopo lui dal Harliani, che ai Ungesse i capevi, e che sforsandosi di parer giovane, andasse pulitamente vestito. Pag. 90, Un. S5. — Tratto dal Virgiliano: sed cruda Deo viridisqne tenecUit. (Xn. VI, 3C4.) Digitìzed by Google ANNOTAZIONI. 531 Pog. 91, Un. 2S. — forte. Così le Aldine del IMI e del 1547; le altre forte. Pag. 9S. Un. 17.-— protuntion tcioeca. Così l'ultima Aldina; le altre prosuntione sciocca. Pag. 94. Un. SJ. — Lue. XIV, 8, 10. Pag. 94, Un. Si. — favor. Così le Aldine degli anni 15il e 1547; le altre favore, il che non concorda col seguente meri- targli. Pag. 98, Un. 19. — se lo estimassi. Così corresse il Volpi; le edizioni anteriori hanno se lo estimasse. Pag. 103, Un. 10. — nel vestire, voglio che 'I nostro Cortegia- no. Così le Aldine degli anni 1528, 1533 e 1545; le altre del vestire, voglio che ’l Cortegiano; e questa forse è la vera lezione. Pag. 102, Un. 15. — di denti. Le Aldine degli anni 1523, 1533, 1545, de denti. Pag. ÌOS, Un. 16. — Bergamo abbonda nelle sue montagne di certi scimuniti gozzuti e mutoli, per alimentare i quali colà nel borgo Sant’Alessandro ha un ricco spedale detto la Maddalena. Gaetano Volpi. Pag. 105, Un. 23, 24. — ragionaste. Le Aldine del 1541 c del 1547 , ragionassi. , Pag. 106, Un. 32. — Ossia una misura piena di ceci. Pag. 107, Un. 15. — se gli metteranno. Così corresse il Volpi; le Aldine e le altre antiche si gli metteranno, e così forse, con for- ma latina, scrisse il nostro Autore. Pag. 110, Un. 4. — DI questi innamoramenti per fama vedi esempio presso il Boccaccio, Giornata IV, Nov. IV, del Gerhino. Pag. Ilo, Un. 58. — Josquin de Prez, nativo di Cambra!, o se- condo altri di Condé, ed uno dei più valenti ingegni di che siasi vantata l'arte della musica, fu maestro di cappella sotto Sisto IV (1471-1484), e più tardi alla corte di Ludovico XII. Pag. 112, Un. 2. — vi vo’ dir. Le Aldine del 1538; 1541, 1547, vi voglio dir. Pag. 115, Un. 5, 6. — mettono. Così fra le Aldine la sola del 1545; le altre menano. Pag 115, Un. 11. — Il Volpi congettura, che qui il Castiglione accenni a Leonardo da Vinci. Pag. 115, Un. 20. — che non è sua professione. Male le Aldine degli anni 1538, 1541, 1547, che è sua professione. Digitized by Google 332 ANNOTAZIONI. Pag. 116, Un. 26. — Tolto da quello di Dante: Sempre i quel ver che ha faccia di menzogna, Dee l’ uom chiuder le labra , quanto ei punte , Però che senza colpa fa vergogna. Jn/. XVI, 22. Pag. 116, Un. 53. — parlano. Le due prime Aldine partano. Pag. 117, Un. 20. — Nel resto di questo Libro, ossia in tutto il tratto relativo alle facezie, il nostro Autore segue principalmente Cicerone, De Oratore, lib. II, cap. 54-71, e ne trae alcune regole G molli esempli di facezie. Pag. 117, Un. 50. — quale. Le Aldine degli anni 1541 e 1547, questa. Pag. 118, Un. 15. — de’ mordaci. Meno bene le Aldine degli anni 1541 e 1547, ne' mordaci. Pag. 125, Un. 7. — Allude al carme LXVIl di Catullo. Pag. 123, Un. 32. — porle. Male l’Aldina del 1538 parte, e quelle del 1541 e 1547, parli. Pag. 125, Un. 16. — Poesie di Strascino da Siena leggonsi nelle Raccolte di rime piacevoli. Giovanni Antonio Volpi. Pag. 129. Un. 29. — la guerra che era tra ’l re. Le Aldine del 1538, 1541 e 1547, e tutte le edizioni posteriori fino al Volpi, omettono le parole che era. Pag. 129, Un. 53. — di trovarvisi. Cosi Tanlica edizione senza data, il Dolce, e le edizioni posteriori; le Aldine da trovarvisi. Pag. 152, Un. 4. — Antonio Alamanni pure scherza nello stesso modo sopra un tal vocabolo, in un sonetto a carte 82 delle rime del Burchiello dell’edizione fiorentina 1568: Vomì costì dal Tilialdeo lapcssì S* un erodo, sema legoe, esser può cotto; E se quel cb* c d*nn sol, può esser d’otto; O te non può aver letto un che leggessi. Caetano Volpi. Pag. 132, Un. 5. — di quel non aver letto. Male le due prime Aldine di qual non aver letto. Pag. 135, Un. 11. — domandar dell'ostaria. Con supino errore le Aldine degli anni 1538, 1541, 1547, domandar de l’historia. Pag. 133, Un. 14. — terra di ladri. Cosi primo il Dolce; le Al- dine terra de ladri. Pag. 153, Un. 18. — lingua latrina. L’Aldina del 1547 e parec- chie posteriori hanno, per errore, lingua latina. Digitìzed by Google ANNOTAZIONI. 333 Pag. 133. Un. SS. — al medetimo propotito. Così primo il Vol- pi; le due prime Aldine ad medesimo proposito; le altre quattro a medesimo proposito ; il Dolce o un medesimo proposito. Pag. 133, Un. SS. — Virgil., iEneid. VI, 605, 606: Furiarum maxima juxta Àccubal. Pag. 133, Un. 30. — Verso d’ Oridio, Artis .imatoriae, 1, 39. Pag. 134, Un. 18. — Lue. IV, S. Pag. 134, Un. SO. — Matth. IIV, SO. Pag. 135, Un. 3S. — Monsignor Saba Castiglione ne’ suoi Ri- cordi insegna, clic nel guadare le acque e nel mangiare il cacio si ceda sempre il primo luogo al compagno. Gaetano Volpi. Pag. 136, Un. 5. — Vino, disse uno Spagnuolo alla tavola del gran Capitano, domandando da bere, la qual parola in ispagnuolo può dir anche venne; e Diego de Chignones subito rispose V no lo eonocistes; cioè (come dice il Dolce in una postilla) venne il Messia, e voi non lo conosceste, perchè lo poneste in croce: volendolo cosi tas- sare d’occulto ebraismo; come non di rado succede, che in Ispagna alligni tal razza di gente. Gaetano Volpi. Pag. 136, Un. 6. — Letterato celebratissimo, fu poscia secre- tano di Clemente VII e cardinale. Serassi. Pag. 137, Un. 11. — le disse. Le Aldine ed altre antiche gli disse, e forse così scrisse il Castiglione. Pag. 137, Un. 33. — talor. Manca nelle Aldine degli anni 1541 e 1547. Pag. 138, Un. 1. — dorargli. Male le Aldine degli anni 1538, 1541 e 1547, dotargli. Pag. 139, Un. 7. — Il Volpi pensa che qui s’intenda o fra Se- raOno, del quale, Lib. I, cap. 29, e Lib. Il, cap. 89; o fra Serafino Aquilano, poeta celebre. Ma quel primo era presente, laddove le pa- role qui se ben vi ricordate alludono a persona morta, o da lungo tempo assente; e nulla v’ha qui che paja alludere al poeta Aquila- no. Nè questo Serafino è qui detto frate ; e forse non è altri che il medico, del quale più sotto, al cap. 77. Pag. 139, Un. S6. — cavatelo. Cosi emendò il Dolce; le edi- zioni anteriori cavatilo. Pag. 140, Un. S8. — molto. Non male le Aldine degli anni 1538, 1541 e 1547, e molto. Pag. 141, Un. 30. — quello che disse. Le Aldine degli anni 1541 e 1547, quella che disse. Pag. 14S, Un, 37. — diciate. Cosi primo il Dolce; le Aldine dicale. jilized by Google 334 ANNOTAZIONI. Pag. H3, Un. 56. — Santo Ermo, certo fuoco fatuo che ap- parisce in su le antenne delle navi dopo le tempeste, ed è segno di tranquillità. Gaetano Volpi. Pag. 1i4, Un. S3. — Tolto da quello che Fabio Massimo disse di Marco Livio, che aveva lasciato occupare dai Cartaginesi Taran- to, ma che, avendo conservata e difesa larOcca, si vantava che Ta- ranto era stato recuperato per opera sua : Poteri se, opera Livii Ta- rentum receplum....; neque enim recipiundum fuissel, nisi amissum foret. Livii, Histor. XXVII, xxv. Pag. 447. Un. 3. — con quell'occhio. Le Aldine degli anni 1528, 1553, 1515, con quello occhio. Pag. 447, Un. 34. — Lo scherzo nasce dal dividere in due la parola damasco. Pag. 448, Un. 43. — maestro Stalla. Cosi le Aldine ed altre an- tiche; il Dalce e le edizioni posteriori maestro di stalla, lezione priva di sale e di senso. Pag. 448, Un. 37, — se gli dice. Cosi corresse il Dolce; le Al- dine si gli dice. Pag. 4S0, Un. 30. — con minaccia. Le Aldine degli anni l528, 1553, 1^, con minaccie. Pag. 4S0, Un. 3S. — escano. Cosi le Aldine degli anni 1528, 1533, 1545; le altre escono. Pag. 454, Un. 5. — inerttdiscono. Male le Aldine degli an- ni 1538, 1511, 1517, incrudeliscono; lezione conservata anche dal Dolce. Pag. 454, Un. 34, 33. — dei miseri. Le Aldine ed altre antiche di miseri. Pag. 454, Un. 33. — A MonteSore era una magrissima bsteria, ita in proverbio. Gaetano Volpi. Pag. 453, Un. 4. — di chi io intendo. Cosi l’edizione origina- le, e quella del 1515; l’Aldina del 1533 di ch’io intendo; onde quelle del 1538, 1511, 1517, di che io intendo. Pag. 458, Un. 44. — Fu forse quel di San Giacomo; non es- sendocene altri che si possano circondare, ed essendo appunto di- rimpetto ad esso una slradetta, che si chiama Scalfura. Gaetano Volpi. Pag. 458, Un. 33. — tenea lo spago. Le Aldine degli anni 1538, 1511, 1517, tenea o teneva il spago, che forse è la vera scrittura del- l’Autore. Pag. 459, Un. 36. — Notisi la voce calunnia, per imputazione maligna, ancorché vera. Digilized by Gì ANNOTAZIONI. 335 Pag. 460, Un. 49, SO. — Frase alquanto intricata; piò chiaro cscirebbe il senso mutando l’ordine delle parole : poiché non m’obli- gano con lo amarmi ad amar loro. Pag. 460, Un. 30, 34 ; pag. 464, Un. 4S, 48, S3. — In questo luogo nelle Aldine, e quindi nelle altre edizioni, è scritto Boadiglia e Cariglio, secondo la pronunzia spagnuola ; sopra a pag. 44S, Un. 19 25; pag. 147, Un. 24, Boadilla e Carillo, secondo l’oitogralìa; e que- sta forma abbiamo preferto, attenendoci alla consueludine del- r autore. Pag. 46i, Un. 46. — braeciuca. Coa* le Aldine del 1533, del 1545, e l’edizione originale o del 1528, ma quesU con lettera majuscola Bracciesca; quelle del 1538, del 1541 e del 1547, hanno braee$ca. Pag. 46S, Un. 36. — quello di che io. Male le Aldine degli an- ni 1538, 1541 e 1547, quello che io. Pag. 466, Un. 44. — Cortegiana. S’astiene l’autore di chiamare la Dama di Corte con questo nome, chiamandola in vece Donna di Palagio; perchè Cortegiana per lo più è preso io cattivo significato. Fra le Orazioni del nostro M. Sperone Speroni ve n’ha una scritta ne’ giorni santi alle Cortegiane, per rimuoverle dalla pessima lor (x>nsaeiudine. Alle volto però il (Astigliene è pur caduto in ciò che non volea, chiamandola con un tal nome, come a carte 100 e 172 e forse in qualche altro luogo. Gaetano Volpi. ’ Il Castiglione fa uso parimente di questa voce nella Lettera 8 fra le Famigliar! : Io mi parto assai accarettato dalla Illustrissi- ma Signora, che mi ha onorato ed accarenato assaissimo più che non merito, e ’l medesimo tutte quest’ altre Donne Cortegiane e non Cor- tegiane. Pag. 466, Un. 24. — non mi vi sento. Meno bene le Aldine de- gU anni 1538, 1541, 1547, non mi sento. LIBRO TERZO. Pag. 468, Un. 4. — Preso da Aulo GeHio, lib. I, cap. 1. Pag. 469, Un. 23. — Essendosi. Meno bene le Aldine' degli anni 1538, 1541, 1547, Essendo. Pag. 470, Un. 8, 9. — di chiarir. Forse non male le Aldine degli anni 1541 e 1547, dichiarir. Pag. 470, Un. 30. — più s’appressano. Cosi le Aldine e tutte le edizioni anteriori al Dolce; onde non osai ammettere la lezione da questo Introdotta, e conservausi in tutte le edizioni posteriori, più *i appreaano. Digitized by Google 336 ANNOTAZIONI. Pag. 170, Un. S3. — chi le serve. Così corresse il Volpi; le Aldine e le altre antiche hanno chi li serve o chi gli serve. Pag. 171, Un. 27. — nè fa. Cosi tutte le edizioni ; tuttavia forse meglio si leggerebbe nè far. Pag. 172, Un. 17. — Pigmalione, secondo la favola, s’inna- morò di una statua d’avorio da lui formata. Gaetano Volpi. Pag. 174, Un. S. — ritrovandovisi. Le Aldine degli anni 1538, 1541 e 1547, trovandovisi. Pag. 176, Un. 37. — impudenta. Male le Aldine del 1538, 1541 e 1547, imprudenui. Pag. 177, Un. 8. — tendano. Cosi corresse il Volpi ; le edizioni anteriori fendono. Pag. 186, Un. 19. — con questa secrete%%a. Cosi le Aldine del 1528, 1533, 1538, 1515, l’edizione dei fratelli Volpi, e le poste- riori; le Aldine del 1541 e del 1547, seguite dal Dolce e da altri antichi, hanno con questa scelerate»*a, che forse è la vera lezione. Pag. 188, Un. 55. — Novelletta nota, dì una moglie, che col- lata in un pozzo dal marito che voleva indurla a cessare dal ripe- tere la parola forbeci, pur persisteva, ancorché il marito la lasciasse attuifare a mano a mano, e già essa fosse nell’acqua Ano alla gola; quando poi l’acqua le soverchiò la bocca, e più non potè parlare, elevato il braccio, pur conirafaceva colle dita il taglio delle forbeci. 11 marito non potè tenersi dal ridere in vedere tanta ostinazione, c ritrasse la donna dal pozzo. Pag. 190, Un. 38. — Novella a lungo e leggiadramente nar- rata daU’Arìosto nell’Orlando Furioso, Canto XXXVIl, stanza 44 e seguenti. Pag. 193, Un. 37. — ed al marito. Le Aldine degli anni 1528 e 1545 omettono la voce ed. Pag. 196, Un. 11. — Tarpea, che tradì la ròcca ai Sabini, i quali appena entrati l’ammazzarono. Vedi Livio, lib. 1, cap. XI. Pag. 198, Un. 33. — E, per uscir d'Italia. Cosi corresse il Dolce; le edizioni anteriori hanno et che per uscir d’Italia. Pag. 202, Un. 11. — si Irovan donne. Nelle Aldine degli an- ni 1538, 1541 e 1547 manca la voce donne. Pag. 208, Un. 18. — Se l’opera del CortegiMO dovea correg- gersi e spurgarsi da tutto ciò che in qualche maniera potes^ gua- stare i buoni costumi, ragion voleva che in questo luogo principal- mente fosse corretta e spurgata. Con ciò sia che alcune altre novel- le, motti e facezie, che in essa qua e là s’incontrano, per lo più hanno sembianza di scherzi e di piacevolezze ; ma qui parlandosi con serietà Digltized by Google ANNOTAZIONI. 337 si viene ad onorare colutolo d’immacolata, e si propone per esem- pio di costanza e dì pudicizia una donna, che già si era data in preda all’amante, e avendosi posta sotto de’ piedi l’ interna onestà, e di più la verecondia o verginale o matronale, iacea copia lìberamente di sè medesima (dall’ ulUmo atto in fuori) ad un uomo libidinoso e dissoluto. Noi avremmo volentieri tolto vìa questo racconto scanda- loso; ma vedendo, non senza qualche maraviglia, che il Ciccarelli r avea lasciato, deliberammo di lasciarlo noi parimente, ma di con- futarlo altresì colla dovuta censura. Prima dunque d’ogni altra cosa noi diciamo, esser questa narrazione se non falsa, almeno inverisi- mile affatto, e perciò mancante d’ ogni autorità Certamente ne- gli antichi secoli della Chiesa non si dovea prestar fede a Paolo Sa- mosateno vescovo di Antiochia, nè agli altri chierici suoi seguaci, i quali, accecati dal diavolo, erano usati di tenersi a flanco nel letto una 0 talor due vergini a Dio consacrate, scegliendo dal numero di esse le più amabili e per gioventù c per bellezza, comechè protestas- sero di non trascorrer giammai a verun atto d’impurità. Chi si espone a rischio si manifesto di peccare, o non ama daddovero la castità, o egli è stolido e prosuntuoso, mettendosi a tentar Dio. Imperciocché tanto è possibile che due dì sesso diverso, inGanimati di scambievole amore, conversando insieme da solo a solo, anzi nel medesimo letto, si astengano da peccati carnali, quanto è possibile che il fuoco s’ac- costi alla paglia senza abbruciarla ed incenerirla. Numquid potest homo (dice il Savio nei Proverbi!, al capo sesto) abscondere ignem in sinu suo, ut vestimenta illius non ardeant? aut ambulare super prunas, ut non comburantur plantce ejus? Sic qui ingreditur ad mu- lierem proximi sui, non erit mundus cum tetigerit eam. Ma dato an- cor che la donna di cui parla il Castiglione, per paura di morte o d’infamia, cosi ferma fos.se nel suo proposito, che non permettesse in tanto tempo all’ amante l’ ultimo sfogo de’ suoi sfrenati appetiti: si dovrà perciò ella chiamare uno specchio di pudicizia, immacolata, illibata? Chi tal titolo volesse darle, verrebbe a pesare la pudicizia e l’onestà, per cosi dire, colla stadera del niugnajo, non colla bilan- cetta dell’oreflce. Queste virtù sono di tempera dilicatissima, c so- migliano appunto a que’flori, che ad ogni fiato di scirocco appassi- scono. La verginità e la continenza hanno lor sede |>rincìpaìmente nell’animo; ma quando poi una donna non disdice aU’amante i baci, gli abbracciamenti, e l’altre si fatte domestichezze, quand'anche più oltre non passi, queste nobilissime doti già sono affatto dissipate e perdute, nè altro di esse rimane che l’ombra sola e l’apparenza, la quale può bene ingannare la corta vista degli uomini, ma non isfug- ^ gire gli occhi penetranti ed acutissimi del grande Iddio. Omnis qui viderit mulierem ad concupiscendum eam, jam mcechalus est eam in corde suo, grida il Signore nel Vangelo (Matti). V, 32). Cosi ancora adunque mulier quae viderit virum ad concupiscendum eum ; molto più quee tetigerit, quae amplexa fuerit, quae se illi contreclandam urcebuerit. Costei, oltre ai propri! peccati, venne a farsi complice 29 Digitized by Google 338 ANNOTAZIONI. de’ peccati ancor dell’ amante, i quali in si lungo tempo saranno stati pressoché ìnnumerabili. È certamente da stupirsi, come mi uomo dotto e prudente, qual era il conte Baldessar Castiglione, abbia potuto prendere uii granchio si grosso, in materia di vera e soda virtù. Convien però dire, ch’egli abbia servito in questo luogo al- r umore della persona da esso introdotta a ragionare; dimostrando egli per altro in varie parti di quest’opera sentimenti più giusti e più ragionevoli, e discorrendo del dovere e dell’ onesto con sotti- gliezza mollo maggiore. Giovanni Antonio Volpi. Pag. 210, Un. 30. — allvpiato. Le Aldine ed altre antiche al- l’opiato; male il Dolce allopitalo. Pag. 211, Un. 2. — Tanti potnilere non emo: risposta data da Demoslene a laide, famosa meretrice in Corinto. Gaetano Volpi. Pag. 21i, Un. 4. — Imitato da quel di Tibullo, Eleg. I, 1, 65: Uh non juvenis poterit do funere quitquam Lumina, non virgo, ticca rejerre domum. Pag. 21S, Un. 3. — sempre non veda. Le Aldine degli anni 1541 e 1547 , sempre non si veda. Pag. 216, Un. 2. — Allude al libro di Ovidio Artis Amatoriae. Un simile argomento nello scorso secolo fu trattato in Francia da Pietro Giuseppe Bernard, delllnate, conosciuto anclie sotto il nome di Gentil Bernard. Pag. 220, Un. 3. — Di essa parla Bernardo Tasso neH’Amadigi. Gaetano Volpi. Pag. 223, Un. 16. — circa le diflicoltà. Cosi le Aldine degli anni 1538, 1541, 1547; quelle del 15^, 1533 e 1545, circa la diffi- coltà. Pag. 228, Un. 13, li. — deve ancora cominciare a compiace- re. L’Aldina del 1538, e dietro essa tutte, tranne l’Aldina del 1545, le edizioni posteriori del secolo XVI e XVII, omettono le parole co- minciare a; esse furono restituite dal Volpi, e conservale nelle se- guenti edizioni. Pag. 230, Un. 9. — Tratto da quel verso di Properzio: Si neteit, ocnli sunt in amore ducee. Dolce. Pag. 250, Un. 22. — piglia le qualità. Cosi le Aldine degli unni 1541 e 1547; meno bene le altre piglia la qualità. Pag. 232, Un. 13. — più che agU altri. Cosi l'Aldina del 1545; le altre Aldine malamente più che gli altri. Pag. 233, Un. 17. — Di costui vedi il Giornale de’ Letterati d’Italia. Volpi. Francesco Colonna, religioso domenicano, pubblicò sullo il ti- DigWredby ANNOTAZIOM. 53'J tolo di Poliphili Hypnerotnmachia uno scritto pressoché impossibile ad intendersi, e (ler lingua e per argomento. Mori nel 15i7, vecchio di 94 anni. Pag. 233, Un. 27. — meritino. Le Aldine degli anni i338,j 1541 e 1547, meritano. Pag. 234. Un. 29. — aveva. Male le Aldine degli anni 1558, 1541 e 1547 , avendo. Pag. 239, Un. 20. — dell’una parte. Forse dali’una parte. LIBRO QUARTO. Pag. 240, Un. 4. — Questa introduzione è imitata dal principio del terzo libro De Oratore. Pag. 243, Un. 6. — batteggia. Cosi per battena trovasi scritto in tutte le antiche edizioni, compresa la prima del Dolce (1556) ; la quale forma crederei derivata piuttosto da vezzo o da idiotismo di pronunzia, che non dall’aver forse l’autore, come sospetta il Volpi, voluto alquanto contraffare per riverenza il verbo baitetiare. Il Dolce nell’edizione del 1559 mutò ad arbitrio patteggia. La stessa scrittura batteggiare troviamo presso il nostro autore nelle Lettere di Negozii 129 e 288. Similmente, come nota il Volpi, nelle note al Canto II del Paradiso di Dante fatte dagli Accademici della Crusca si legge particulareggiare per particularinare. Pag. 246, Un. 21. — In essa si facea un’annual festa a’ tempi dell’autore. Gaetano Volpi. Pag. 248, Un. 2S. — Tratto da quel celebre passo di Lucrezio, De Natura Deorum, lib. IN, v. 11-17: JVnm velati pueris absinthia tetra medentes Qnum dare conantur, prius orar pacala eircam CoHtinpunt mellis dalci flavoqae liquore. Vi paeroram trtat impravida ladi^cetur, Labrorum tenue j interea perpotet amarum Ahtinthi laticem, deceptaque non capialar, Sed potìHt tali facto recreata valetcat. Leggiadramente imitato dal Tasso in quei versi, Gerusalemme Liberata, Canto I, st. 3: Così all’ egro faociul porgiamo aspersi Di soave licor gli orli ilei vaso; Socchi amari, ingannato, intanto ci beve, E dall* inganno suo vita riceve. Pag. 249, Un. 20. — si vede nei ciechi. Cosi le Aldine degli anni 1558, 1541 e 1547; quelle del 1528, 1553, 1545, « vede dei ciechi. Oigltlzed by 340 ANNOTAZIONI. Pag. SSS, Un. 53. — per salvarsi. Gl’ incontinenti adunque. Cosi corresse il Dolce nell’edizione del 1359; le edizioni anteriori hanno per salvarsi. Incontinente adunque, tranne l’Aldina del 1545, che ha per salvarsi incontinente. Adunque. Pag. SS4, Un. 22. — delle cupidità. Non male le Aldine degli anni 1541 c 1547, della cupidità. Pag. 2SS, Un. 11. — renitente. Con manifesto errore le Aldine del 1541 e del 1347, retinente. Pag. 2SS, Un. 19. — modi^cati. Non è da sprezzare la lezione delle Aldine degli anni 1538, 1541 e 1547 , mundificaii. Pag. 2S6, Un. 23. — Lo stesso giudizio porta Cicerone in varii luoghi, e particolarmente nel cap. xxxv del lib. 1 De Republica. Al regio tuttavia antepone il governo composto e temperato dei tre, regio, degli ottimati e popolare: Quartum quoddam genus reipublicae maxime probandum esse sentio, quod est ex his, quae prima dùci, moderatum et permixlum tribus. De Rep. I , xxix. Si- mile opinione, solo forse fra gli scrittori del secolo XVI, espone il. nostro autore sotto la persona di Ottaviano Fregoso nel cap. 31 del presente libro. Pag. 239, Un. 2. — dal supremo principe. Meno bene le due pri- me Aldine e quella del 1545, da supremo principe. Pag. 239. Un. 18, 19. — ed è protellor non di que' principi che vogliono imitarlo col mostrare gran patema. Preferiamo questa le- zione delle Aldine degli anni 1541 e 1547, a quella delle altre Aldi- ne, che meno corrisponde al contesto, ed è proiettar di que’principi che vogliono imitarlo non col mostrare gran patema. Pag. 261, Un. 3. — spargono. Meno bene, a parer nostro, spargano le Aldine del 1538, 1341 e 1547. Pag. 261, Un. 22. — in tutto a questa. Male le Aldine degli anni 1528, 1553 e 1545, in tutto questa. Pag. 264, Un. 4, 3. — per conseguirne il fine. Le Aldine degli anni 1541 e 1547, per conseguire il fine. Pag. 263, Un. ult. — devemo. Cosi fra le Aldine la sola del 1545 : le altre deveno. Pag. 267, Un. 2. — come di membri. Cosi le Aldine degli anni 1538, 1541 e 1547; meno bene le altre come de membri. Pag. 267, Un. 23. — A questo passo cosi nota il Volpi; « Quivi » più che in altro luogo spiega l’autore il suo concetto intorno alla » Fortuna. Questo passo (che lasciò il Cicearelli inUtto) se si fosse Il da lui, prima di spurgare il libro, ben avvertito, ne avrebbe la- » sciati molti altri pure inulti. Vedi la nostra ProtesU avanti il Cor- Digilized by Cooglc ANNOTAZIONt. 341 > te{;iano. > Questa Protesta od avviso, bastantemente prolisso, e che credemmo inutile di qui rapportare, espone le opinioni di alcuni antichi autori e riferisce il noto passo di Dante sulla Fortuna; e contiene la dichiarazione, che vediamo apposta a molti libri stam- pati circa quel tempo in Italia, che l’autore fii buon catolico, e che se talora parlò della Fortuna secondo l’ uso popolare, e alla foggia de' poeti e degli altri scrittori gentili, sapeva per altro, non darsi altra fortuna che la Divina Provvidenza, ec. — Difficilmente si tro- verà cosa più strana ed insipida delle mutazioni introdotte dal Cic- carelli ovunque il Castiglione nominò la fortuna; spesso fu pago di sostituire a questa voce alcun sinonimo, e con un giro di parole fug- gire il nome e non la cosa. Pag. 268, Itn. 28. — Conviene avvertire, che questa ed alcune altre regole di buon governo dettate dal Castiglione convengono forse a piccoli stati, quali tuttora a quel tempo erano molti nell’Italia supe- riore : ne’ grandi statfj soli oramai possibili, la ricchezza dei cittadini è ricchezza e potenza dello stato intero. Pag. 269, Un. 3, 4. — sperano temano. Cosi tutte le edi- zioni ; si emendi o sperano temono, ovvero sperino temano. Pag. 269, Un. 12. — non diventino potenti. Cosi corresse il Dolce ; le Aldine e le altre antiche hanno non diventano potenti. Pag. 271, Un. 8. — Vedi la lettera 6 fra quelle di diversi al Castiglione, dove Rafaello d’Urbino parla di questa grande opera, della quale da papa Giulio li gli era stata commessa la cura. Pag. 271, Un. 17. — Bucefalia, città dell’ India, edihcata da Alessandro in memoria di Bucefalo suo dilettissimo cavallo. Gae- tano Volpi. Pag. 271, Un. 18. — Atos, monte posto fra la Macedonia e la Tracia, detto ora Monte Santo. Dinocrate (come afferma Vitruvio nella , prefazione del libro li) ovvero Stasicrate (al dir di Plutarco nella Vita d’Alessandro, e nel libro che scrisse Della virtù e fortuna dello stesso) diede per consiglio ad Alessandro di ridurre il detto monte in figura d’iin uomo, e di edificargli nella sinistra un’amplis- sima città capace di dieci mila abitatori, e nella destra una gran coppa, nella quale si raccogliessero tutti i fiumi che da quello deri- vano, d’onde poi sboccassero in mare. Si compiacque Alessandro di si bella e magnifica idea; ma quando intese che una tal città sa- rebbe senza territorio, e che dovrebbe alimentarsi colle sole pre- visioni d’ oltre mare, ne abbandonò afiatto il pensiero, comparando una tal oittà a un fanciullo che non può crescere per iscarsezza di latte nella sua balia. Gaetano Volpi. Pag. 272, Un. 5S. — Fu poi Francesco 1 re di Francia. Gae- tano Volpi. 29* Digitized by Guogle 542 ANNOTAZIONI. Pag. 272, Un. 37. — Fu poscia Enrico Vili, autore del Scisma d Inghilterra. II magno padre quivi indicalo è Enrico VII, presso il quale poco prima il Castiglione era stato mandato ambasciatore dal duca Guidubaldo. Pag. 273, Un. 9. Questi fu poi Carlo V, e quivi gli vien pronosticalo l’imperio. Gaetano Volpi. ' Pag. 274, Un. 19. ~ dal centro. L’Aldina del 1541 del centro. Pag. 276, Un. 20. — Di lui, che fu marchese e poi duca di Mantova, avremo a parlare più volte nelle Annotazioni alle lettere del nostro Autore. Pag. 279, Un. 29. — Allude a quello di Orazio, De Arte poeti- ca, V. 304, 305: fnngar vice eotis, acutum Reddere gua ferram vaUt, extors ipta secondi. Pag. 283, Un. 6. — al valore. Forse è da preferirsi la lezione delle Aldine del 1541 e del 1547, al valere. Pag. 28S, Un. 2. — Quanto discorre il Bemho nel restante di questo libro in materia d’amore (eccetto l’ ultimo tratto, dove parla di Dio, Spirito Santo, Amor sostanziale), è in massima parte derivato da Platone o da’ suoi commentatori, come appare anche dalle anno- tazioni, che conserviamo, del Ciccarelli. Pag. 285, Un. 9. — Il Ficino, nel quarto capitolo sopra il Con- vito di Platone, dice, tutti i filosofi concordarsi in questa dilfinizion d’amore. Ciccabelli. Pag. 285, Un. 23. — Si raccoglie tutto ciò da’ Platonici, i quali sogliono dire, la bellezza esser cosa universale, e dividersi in tre specie: l’una è quella degli animi; l’altra dei corpi , tanto dalla na- tura quanto dall’ arte fatti; la terza delle voci e suoni. La prima con la mente, la seconda con gli occhi, l’ultima con le orecchie dicono godersi. Ciccarelli. • — Vogliono i Platonici, che II volto della di- vina bontà rispicnda nell’angelo, nell’anima e nel corpo: in quello, come a esso più vicino, chiaramente; in quesU con minor chiarez- M ; ma nel corpo un piccini raggio se ne veda, il quale da loro vien domandato la bellezza del corpo: il che più si scopre in quel cor- po, le CUI parti sono tra loro debitamente proporzionate. Cicca- RELLI* Un. 16. — mosso non da vera cogninione. Meno bene le Aldine degli anni 1538, 1541 e 1547, mosso da non vera cogni- *tone. S86, Un. 33. — guello. Le Aldine degli anni 1538, 1541. tot/, questo. ’ Digìtized by Google ANNOTAZIONI. 343 Pag. $87, Un. 1. — Qai si biasima con efficaci parole l’araor sensuale, siccome anco ciò si fa in molte altre parti di questo Dia- logo. Questo istesso concetto è stato spiegato da Giovan Boccaccio nel suo Labirinto, dicendo: Vedere adunque dovevi, Amore essere una passione acceealriee dello animo, disviatrice dell’ ingegno, ingros- salrice anii privatrice della memoria, dissipatrice delle terrene fa- cultati, guastatrice delle forse del corpo, nemica della giovinessa, e della vecchiessa morte, generatrice de’visii, abitatrice de’ vacui petti, cosa senso ragione e sensa ordine e senso stabilità alcuna, visto delle menti non sane, e sommergitrice dell’umana libertà. Vien teco medesimo le istorie antiche e le cose moderne rivolgendo, e guarda di quante morti, di quanti disfacimenti, di quante ruine ed estermina- sioni questa dannevole passione sia stata cagione. CiCCARELLl. Pag. $87, Un. $4. — Quanto sieno fallaci i sensi, e come spesso ci empiano di false opinioni, lo dimostra Socrate appresso Platone nel Fedone. Ciccarelli. Png. $87, Un. $6. — ragione, e però. Le Aldine del 1541 e del 1547, ragione: però. Pag. 288, Un. S, 6. — che { vecchi. Così il Dolce; le Aldine hanno che vecchi. Pag. $88, Un. 1$. — sia malo. Cosi le Aldine del 1528, 1533, 1545; forse alcuno preferirà la lezione delle altre Aldine, sia male. Pag. $88, Un. 1$. — meriti. Tutte le edizioni merita. Pag. $88, Un. 31. — connumerati. Male le Aldine degli an- ni 1538, 1541 e 1547, commemorati. Pag. $89, Un. 8. — non l’intendo. Le Aldine degli anni 1541 e 1547, non intendo. Pag. $90, Un. 1S. — Platone nel Fedro riferisce , che Stesicoro perdè la vista per aver biasimato la bellezza di Elena; la quale lo- dando poi, ricuperò la perduta luce. Ciccarklli. Pag. $90, Un. 17. — Gli antichi filosofi posero nel centro la bontà, e nel circolo la bellezza; la bontà in un centro solo, ma in quattro circoli la bellezza. Questo centro dissero esser Dio; i quat- tro circoli dissero esser la mente, l’anima, la natura, e la materia. Ciccarelli. Pag. $90, Un. 19. — mala anima. Cioè indole; ed è ciò che forse intende il Savio nella Sapienza al cap. Vili, v. 19, col dire: Soriilus sum animam bonam. Gaetano Volpi. Pag. $90, Un. $4. — de’ fiori. Cosi corresse il Dolce; le edi- zioni Aldine hanno di fiori. Pag. $90, Un. 33. — Il Ficino, nel sesto libro ttella prima En- Digitized by Google 544 ANNOTAZIONI. ncade di Piotino, dice che gli animi nostri seguitano il bello e fug- gono il brutto, poiché la bruttezza è una orrida faccia del male, e la bellezza è un volto lusinghevole del bene. Ciccarelli. Pag. S91, Un. 9. — se le allontana. Forse se ne allontana. Pag. S91, Un. 53. — Tutto tolto da Cicerone. Dolce. Pag. S92, Un. 12. — Piotino, nel sesto libro della Enneade prima, dice che l’anima essendo cosa divina e bella, tutto quello che tocca e sopra che essa signoreggia lo abbellisce, secondo la capacità della natura delle cose. Ciccarelli. Pag. 293, Un. 33. — Maniere poetiche tolte da Platone; delle quali abonda quel gran (ìlosofo. Caetano Volpi. Pag. 294, Un. 29. — I Platonici affermano, che la bellezza è un raggio di divinità; di maniera che di qui dicono nascere che gli amanti, ancorché alcune volte più potenti siano delle cose amate, nondimeno prendono terrore e riverenza dall’ aspetto di esse. Cic- CARELLI. Pag. 293, Un. 19. — Diotima, nel Convito appresso Platone, dice ch’Amor é un appetito, col quale ciascheduno desidera che ’l bene sia sempre seco: di qui nasce eh’ Amore sia un desiderio d’immor- talità; e perchè non si può in questa vita conseguir immortalità, se non per via della generazione , quindi ne avviene che amore abbia per One di generare il bello nel bello, cioè il buono nel buono. Cic- CARELLI. V Pag. 296, Un. 19. — .... Opinione de’Platonici, che vogliono convenirsi nell’ amor divino il bacio, in quanto è segno della con- giunzion degli animi. Ciccarelli. Pag. 296, Un. 28. — Questa è bella dottrina in teorica ; ma non dee ridursi alla pratica, per lo pericolo che in quell’atto l’amor ragionevole non diventi sensuale. Anzi, quanto generalmente peri- coloso sia questo amore, vien toccato dall’ Autor nostro per bocca del Bcmho in principio della seguente facciata. Gaetano Volpi. Pag. 296, Un. 33. — Allude a quello che dicono i filosofi, che Amore è una forza che congiunge e unisce. Ciccarelli. Pag. 297, Un. 23, 24. — preverte. Probabilmente perverte. Pag. 297, Un. 30. — Dicono i Platonici, che l’occhio e lo spi- rito che ricevono l’cfBgie della cosa bella sono a guisa di specchi, che per la presenza de’ corpi ritengono l' iraagine, e per la assenza la perdono; e però gli amanti che amano solo la bellezza del cor- po, nell’ assentarsi della cosa amata s’affliggono. La miglior parto di queste cose si raccolgono da Ricino, nel capitolo sesto dell’Ora- zion sesta che egli fa sopra il Convito di Platone. Ciccarelli. Digitized by Google ANNOTAZIONI. 345 Pag. 298, Un. 15. — ei tormenti. Le Aldine degli anni 1S38, iS4l e IS47, e tormenti. Pag. 298, Un. 27. — l'accresce. Meglio cosi le Aldine degli anni 1538, 1541 e 1547; quelle del 1528, del 1533 e del 1545, le accresce. Pag. 299, Un. 12. — Diotima presso Platone nel Convito in- segna, che si deve ascendere dalla bellezza d’un corpo alla bellezza universale di più corpi. Ciccarelli. Pag. 299, Un. 54. — possa. Le Aldine, tranne quella del 1545, ed altre antiche, poesia; e forse così scrisse l’autore. Pag. 299, Un. 56. — passi. Meno bene le Aldine degli an- ni 1538, 1541 e 1547, «i passi. Pag. 500, Un. 4. — Socrate nel Convito appresso Platone. Ctc- CARELLI. Pag. 500, Un. €. — nella vita spirituale. Le Aldine degli an- ni 1538, 1541 e 1547, e le edizioni a queste afiSni, comprese quelle del Dolce e del Ciccarelli, omettono la parola vita. Pag. 500, Un. 10. — Dicono i Platonici, che la bellezza del corpo è una ombra della bellezza dell’anima, e quella dell’anima è ombra di quella dell’angelo, e questa è ombra della bellezza divina; nella maniera che alcuni sogliono dire, che la luce del sole eh’ è nel- l’acqua è ombra di quella che è nell’ aria, e quella dell’aria è om- bra a rispetto dello splendore del fuoco; il quale parimente è un' ombra in comparazione della infinita luce che nel corpo solare si vede. Ciccarelli. Pag. 500, Un. 16. — nascoso. Le Aldine degli anni 1541 e 1547, nascosto. Pag. 501, Un. 6. — Diotima appresso Platone nel suo Convito dice, che se gli uomini mentre mirano un bel corpo sogliono ren- dersi molto maravigliosi, e, se possibil fosse, per contemplarlo sem- pre, eleggerebbono starsi senza alcuna sorta di cibo : quanto più fe- lice e maraviglioso dobbiamo creder che sia il vedere l’istessa bel- lezza sincera, pura, intera, semplice, non contaminata da carne o da color umano, nè d'altra sorte di mortai sordidezza macchiata? Ciccarelli. Pag. 501, Un. 20. — Platone nel suo Convivio. Ciccarelli. Pag. 502, Un. 11. — Ragiona il Castiglione in fine di questo IV libro, per bocca di messer Pietro Bembo, di molti amori tra sè diversi; come del sensuale, ch’egli disapprova, e massime ne’ vec- chi, a’ quali più che a’ giovani si disdice; del depurato dai sensi, del quale tra’ Gentili fu gran maestro Platone, le cui dottrine volentieri * segue , e le cui maniere di esprimersi bene spesso usurpa il nostro r i 1 Digitized by Google 346 ANNOTAZIONI. Autore, siugolanuente in questo luogo (e di ciò potrà di leggieri ac- corgersi chiunque nella lettura de’ Dialoghi di quel Filosofo anche mezzanamente versato sia); poscia dello spirituale, così propriamente detto, ovvero divino ; all’ ultimo del sustanziale, cioè di Dio Spirito Santo, del quale ben due volte dice apertamente il diletto Discepolo nel cap. IV della sua l‘ lettera, che Charilas est.... Questo passo.... è uno de’ più belli del Cortegiano, e in cui gareggia la sublime elo- quenza colla sincera religione di questo gran cavaliere e letterato. Gaetano Volpi. Pag. SOS, Un. S7. — La bellezza, anche de’ corpi, si è un rag- gio, come di sopra dicemmo, benché tenuissimo, della divina bel- lezza. Ed è vero il concetto di Dante Alighieri là nel principio del suo Paradiso; La gloria di Colui che tutto muove Per Tuoiverso penetra, e rispleode In una parte più, e meno altrove. Giovaiìni Antonio Volpi. Pag. 303, Un. 13. — Per T ambrosia e nettare qui s’intende la visione e fruizione divina. Ciccarelli. Pag. 505, Un. 5S. — Ritorna di nuovo a ragionare secondo i Platonici, i quali pongono quattro sorte di furore: l’uno è delle poe- sie, l’altro dei misterii, il terzo de’ vaticinii, il quarto degli amori, più potente ed eccellente di tutti gli altri. Ciccarelli. Pag. 505, Un. 33. — ora che par più non m’aspiri. Preferiamo (|uesta lezione delle Aldine del IS41 e del 1547, seguita dalla mag- gior parte deile antiche edizioni, a quella delle altre Aldine, resti- tuita dai Volpi, e conservata nelle edizioni posteriori, ora che par che più non m' aspiri. Pag. 30i, Un. 8. — È detto per burla, che alle donne sia im- possibile il camminare per la strada che conduce alla felicità ; e poco di sotto elBcaceraente si confuta. Ciccarelli. Pag. 304, Un. SO. — Diotima, fra l’altre cose amorose eh’ in- segnò a Socrate, come Platone riferisce, fu d’ ascendere per grado dalla bellezza del corpo a quella dell’anima, e da quella alla bcl- 1,‘zza angelica, donde poi alia somma bellezza divina si perveniva. Ciccarelli. Pag. 304, Un. 31. — dall' amor. Cosi corresse il Dolce; le Al- dine e le altre antiche dell’amor. Pag. 307, Un. 13.— Oa questo Proemio si vede, che il Conte s'era indotto a scrivere il suo libro per compiacere al re di Francia , e però Digitized by Guogle ANNOTAZIONI. 347 si stende alquanto nelle sue lodi ; ma essendosi poi dato interamente al partito degl' Imperiali, non solo perchè cosi portava l’interesse de’ suoi Principi, ma ancora per secondare il proprio genio, come si vede in più luoghi delle sue lettere : cosi gli convenne levar via tutto questo pezzo che apparteneva al re Francesco , tanto più che al linissimo suo giudizio dovea questa digressione parer troppo lunga, e alquanto fuor di proposito, massime sul principio del libro. Serassi. Pag. 318, Un. 6. — Da ciò si comprende, che il Castiglione avea già stesa gran parte del suo Libro nel 1514, in cui il duca Fran- cesco compiva appunto il ventitreesimo suo anno, essendo nato li 24 marzo del 1491. Serassi. Più sopra, dal Proemio, dove si parla di Ferdinando il Cattolico come tuttora vivente, appare che fu scritto prima del geonajo 1516. Digitized by Google 349 CATALOGO CRONOLOGICO DI MOLTE FRA LE PRIIVGIPALI EDIZIONI DEL GORTEGIANO DEL CONTE BALDESSAR CASTIGLIONE. * I. 1 528. Il Libro del Cortegiano del Conte Baldessar Castiglione. ^ Nello stesso frontispizio, dopo l’ àncora attortigliata dal Delfino, chiusa d’ ogni intorno da linee , cosi si legge : Boui nel privilegio, et nella grafia ot- tenuta dalla illutlrUtima Signoria che in quetta , ne in niun'altra citta del tuo dominio li posta imprimere, ne altrove impretio vendere quello libro del Cortegiano per x. anni lotto le pene in elio contenute. 11 libro è io foglio, senza numerazione di pagine, io bel carattere tondo, chiamato testo d’Aldo. In fine del volume ti legge : fn Venelia nelle caie d'Aldo nomano, et d’Andrea d'Atola tuo suocero, nell' anno M- D. XXVIII. del mete d' Aprile. È la prima edizione di quest’ opera; molti ne sono, particolar- mente in alcuni fogli, gli errori tipografici. Intorno a questa edizione, vedi le Let- tere familiari IIS e 114 del Castiglione, dalle quali pare che I’ edizione si traesse a mille esemplari, oltre trenta in carta reale, ed uno io pergamena. II. 4528. Ristampa fatta in Firenze per li eredi di Filippo di Giunta nelV anno M. D. XXVIJI. del mese d^ Ottobre; in-8. a Nell’esemplare da noi posseduto si vede impresso sotto al XXVIII il XXIX, e si crede, che il XXVIIl sovra impresso sia della stampa, e non d’altro inchiostro ; mentre , per quanto sì sia tentato di rimuoverlo, non c’ è stato rime- dio: onde si può cooghietturare che veramente i Giunta lo ristampassero lo stesso anno 4528, e che volessero poi cosi rimediare allo sbaglio d’ essersi malamente impresso il XXIX. » Givtuto Volpi. III. 4531. Ristampa degli stessi Giunta di Firenze; ìn-8. IV. 4634. In Parma, per Maestro Antonio di Viotti; in-8. In fine si legge l’anno 4 532. t Qaecto Catalogo è fondato principalmeota, ma con aggiunto e corresionif su quello inae- rito dai fratelli Volpi nella loro ediiionc. 30 550 CATALOGO CRONOLOGICO V. <532. 11 medesimo, nuovamente stampato, e con somma dili- genza corretto. In Parma, per Maestro Antonio di Viotti, nell’anno M. D. XXXII. del mese <f Aprile; in-8. • Cesare Aquilio, in una piccola prefazione ai lettori, dè avviso che il Viotti aveva cominciato a farne altra edizione 1’ anno precedente, e che, essendogli convenuto lasciarne la revisione ad altra persona , 1’ opera era uscita piena di errori : il che lo fe risolvere a intraprenderne poscia la presente edizione, la qua- le, dice egli, in cola alcuna, per minima eh' ella ti ita, non troverete dissi- mile dalla Veneziana. • Gaetano Volpi. VI. < 533. Il libro del Cortegiano del Conte Baldesar Castiglione. Segne l’àncora d’Aldo, ma non chiusa fra linee, e indi il privilegio, come nella prima edizione. In fine si legge: In Venetia nelle caie delti heredi d’Aldo nomano, et d' Andrea d' Aiolà luo tuocero, nel anno M. D. XXXIII. del mete di maggio. L’edizione è in-8 piccolo, in carattere corsivo ; contiene 21$ carie numerata da un sol lato, oltre un’ultima non numerata, nella qnalesi ripete l’àncora d’Al- do. Nella carta 2, che segue quella del frontespizio, si legge una lettera di Fran- eeteo Aiolano alle gentili Donne, nella quale si dice, che il libro è dato più corretto del primo, lecondo V etemplare iicritlo di mano propria d'etto Au- tore: in realtà tuttavia i questa una mera ristampa dell’edizione originale, cor- rettine soltanto gli evidenti errori tipografici. VII. Senza data. Il Libro del Cortegiano del Conte Baldesar Ca- stiglione; in-<2 piccolo. Diciasette sesterni, segnati colle lettere A-K. Edizione tratta dalla prece- dente j pare stampata in Venezia; e forse perciò appunto non porta indicazione di tempo, di luogo, nè nome di stampatore, perchè publicata durante il privile- gio degli Aldi. Vili. <537. Tradotto in francese da Jehan Chaperon. A Paris, chez Vincent Sertenas,M.D. XXXVII, in-8. u Du Verdier, Biblioth., pag. 67<. » « Questa traduzione è poco stimata. • Gaetano Volpi. IX. <538. Il libro del Cortegiano ec. (Sotto il titolo v’è una Si- rena coronata). In Virtegia, per Vettor de’ Babani, e compa- gni. Nell anno M. D. XXXVIII. del mese di Luglio; in-8. X. < 538. Il libro del Cortegiano del Conte Baldesar Castiglione, novamente revisto. M D XXXVIII. Il frontespizio è chiuso fra rabeschi, aventi al basto la torre, fiancheggiata dalle lettere F T. In fine del libro si legge ; In Vtnegio nella caia di Giovanni DELLE PRINCIPALI EDIZIONI DEL CORTEGIANO. 531 Paduano ttampatore Ad ùulantia et spesa del Nobile homo M. Federico Torresano d’Asola, Nel armo della salutifera incamatione humana M D XXXYIll. L’edizione è in ottavo piccolo, in carattere corsivo ; contiene 50 linee ogni pa- gina ; le pagine non sono numerale. Questa edizione è fatta snlI’Aldina del -1 555, ma in molli luoghi è migliorata , evidentemente coll’ajnto del manoscritto origi- nale: sono tuttavia parecchie mntazioni , che sembrano al tutto da attribnirri al caso, ed a negligenza degli editori. XI. 4538. Il medesimo. In Vin^'o. Per Curzio Novo e fratelli; in-8. Edizione dedicata dal Navo al Magnifico e Nobilissimo Aluigi Giorgio, Gentiluomo Vinitiano. XII. 1539. Ristampa della suddetta colla stessa dedicazione. In Vinegia. Per Alvise Tortis; in-8. XIII. 1539. Opera singularissima del Cortegiano in brevità re- datta nuovamente per il Nobil Scipio Claudio Aprucese. MDXXXIX; in-8. L’ abbreviatore dedica questo Compendio, che i di sole 1 5 carte, ai Nobili Apnicesi. In tutto il libriccinolo non si legge il nome del Castiglione, l’opera del quale è ridotta in compendio. XIV. 1541. R libro del Cortegiano del Conte Baldesar Casti- glione, nuovamente stampato, et con somma diligenza revi- sto. Segue r ancora d’ Aldo attortigliata dal deldno, e po- scia la data M. D. XLI. In fine si legge: In Vinegia, nel- l'anno M. D. XLI. In casa de' figliuoli d'Aldo; in-8. Bella e nitida edizione in corsivo, di carte 1 95 numerate da un sol lato, oltre carte 5 in principio non nnmerate, contenenti il frontespizio, e la dedica dell’Auto- re. L’edizione è fatta sa qnella del Torresani del 1558, della quale questa è una ripetizione pagina per pagina, e spesso linea per linea. 11 testo tuttavia ne è ta- lora diverso, e le mntazioni appare esser fatto per la maggior parte mediante un nuovo confronto coll’ originale dell’Autore. XV. 1541. Il Cortegiano del Conte Baltassar Castiglione, nuo- vamente stampato, et con somma diligentia revisto, con la sua Tauola di nuovo aggiunta. In Vinetia, Per Gabriel Jo- liio de Ferrara. M. D. XXXXI. Cosi ha un primo frontespizio, dietro il quale segne in cinque carte non numerate (oltre duo carte bianche) un indice delle materie , non alfabetico, ma secondo l’ordine dell’Opera. Il quaderno contenente quanto sopra, sembra Digitizetì by Google 35-2 CATALOGO CRONOLOGICO e»ere stato stampato ed aggiunto posteriormente. Segna no nnovo fron- tespizio simile nel resto a quello della precedente Aldina, ma collo stemma e col nome dello stampatore e la data come nel primo frontespizio. L’edizione è una nitida ed accurata ristampa della precedente Aldina, in simile formato , e ad essa risponde pagina per pagina, ma non linea per linea, essendo in questa le pagine di sole linee 29. Troransi tuttavia alcune leggiere varietà, che sembrano doversi attribuire ad arbitrio od incuria dei correttori. XVI. 1544. Ristampa della precedente edizione, in Venetia, Ap- presso Gabriel Giolito di Ferrarii. M D XLJIII, in-8. — 1544. Vedi 1564. XVII. 1545. Il libro del Cortegiano del Conte Baldessar Casti- glione, Nuovamente ristampato. Segue l’ àncora d’Aldo in- chiusa in un fregio di forma ovale, e sotto: In Venetia, M. D. XLV. In fine si legge: In Vinegia, nelV anno M. D. XLV. nelle case de’ figliuoli d^Aldo; in fol. È una ristampa dell’ edizione originale , io slmile formato e caratteri -, essa vi è ripetuta pagina per pagina e linea per linea. Anche il testo seguito è quello della prima edizione, non delle due Aldine dei 1558 e del 1541 ; ha tuttavia al- cune poche lezioni sue proprie. Vi sono corretti i numerosi errori tipogra&ci del- l’edizione principe ; all’ incontro alcuni pochi errori sfuggirono in questa, che non ai trovano in quella del 1528 j come, a fol. gtt verso, Pascue per Patena. XVIII. 1 546. In Vinezia,per Gabriel Jolito de’Ferrarii. M.D.XLVI, in-8. Bultell. pag. 225. XIX. 1 547. Il libro del Cortegiano del Conte Baldesar Castiglio- ne, di nuovo rincontrato con F originale scritto di mano de V auttore: Con la tauola di tutte le cose degne di notitia: et di più, con una brieve raccolta de le conditioni, che si ri- cercano a perfetto Cortegiano, et a Donna di Palazzo. Se- gue l’àncora d’Aldo fra ornati, e sotto M. D. XLVII. In fine si legge: In Vinegia, nell’anno M. D. XLVII. In casa de’ figliuoli di Aldo; in-8. Pel testo del Cortegiano, ossia fino a tutto il fui. 195, è una ristampa pa- gina per pagina e linea per linea dell’ edizione del 1541 , correttine soltanto al- cuni errori di stampa; le lezioni proprie di questa edizione sono poche, e di poco rilievo. Seguono 16 carte non numerate, contenenti 1» una Tavola alfabetica delle cote piU notabili, che nel libro del Cortegiano li ritrovano; 2® Condi- tioni et qualità de f Attorno et della Donna di Corte, brievemente raccolte da tutto'l libro; 5® Il registro, la data, e l’àncora d’Aldo. Da questa, o dall’Aldina del 1541 , 0 direttamente o indirettamente, derivano tutte le edizioni posteriori. DELLE PRINCIPALI EDIZIONI DEL CORTEGIANO.’ 553 Gao a quella del 1733. «Il chiarissimo P. Zeno.... ne possedera un esemplare Il corredato di postille mss. di Alessandro Tassoni ; in una carta bianca in fine del • quale si leggea manoscritto il Sonetto dell’Unico Aretino sopra la S portata » in fronte dalla Duchessa d’Drbino. • Gaetano Volpi. XX. 1547. En Vinecia, por Gabriel de Ferrari, en italiano. « Index Lib. Prohib. et Expurg. Hisp., pag. 116. » « Dalla quale e da rarie altre edizioni si troncano pochi passi solamente nel libro lì. • GAETANO Volpi. XXI. 1549. In Venezia, appresso il Giolito. M. D. XLIX; in-12. XXII. 1549. Libro llamado el Corlesano, traduzido agora nuevamente en nuestro vulgar Castellano por Boscan. M. D. XLIX; in-4. Non si accenna nò il luogo dell’impressione, nò il nome dello stampatore. • Giovanni Boscan, poeta insigne Spagnnolo, dedica questa sua traduzione Atta muy magnifica Sennora Donna Geronima Palata de Almogavar; alla quale pure con altra lettera lo accompagna Gardtauo de la Yega, poeta non meno celebre, e grande amico del Boscan — Il libro ò stampato in carattere tondo tirante al gotico. • GaetanO Volpi. XXIII. 1550. Il Cortegiano del Conte Baldessar Castiglione, di nuovo rincontrato con l’originale scritto di mano de l’auto- re. Con una brieve raccolta Mie conditioni, che si ricercano a perfetto Cortegiano, et a Donna di Palazzo. In Lyone, appresso Guglielmo Rouillio. 1550; in-12 piccolo. Bella ed accurata ristampa dell’Aldina del 1517. XXrV. 1 551 . In Vinegia, appresso Gabriel Giolito de’ Ferrari e fratelli. M. D. LI; in-12. XXV. 1 552. Corretto e riveduto da M. Lodovico Dolce. In Vi- negia, appresso li Gioliti; in-8. XXVI. 1552. In Venezia, appresso Domenico Giglio; in-12. XXVII. 1553. In Lyone, appresso Guglielmo Rouillio, 1553; in-12 piccolo. Ristampa dell’edizione del 1550. 50* Digitized by Google 554 CATALOGO CRONOLOGICO XXVIII. 1 556. Il libro del Cortegiano del Conte Baldessar Ca- stiglione. Nuovamente con diligenza revisto per M. Lodo- vico Dolce, secondo V esemplare del proprio auUore, e nel margine apostillato: con la tavola. In Vinegia, appresso Gabriel Giolito de' Ferrari. M. D. LVI; in-8 piccolo. Precede la dedica del Dolce Alla mag. e valoroia S. la S. Ifieolota Laica Gentildonna Vicentina. In essa cosi l’editore: La guai opera (del Cortegiano) come che piti volte eia etata impreisa dall'honoratist. S. Ga- briel Giolito, con quella diligenza e correttione eh’ egli euol far tuare tn tutte le cose che eeeono dalle tue stampe ; bora per maggior commodità di ciascuno che prende diletto detta lettione di cosi degna fatica, ha voluto che io le faccia alcune apostille, con aggiungervi u/na nuova Tavola, affine che ciascuno con agevolezza possa trovar qualunque cosa più le aggradi- sce. Falso è ciò che si asserisce nel fronteapiaio, che la edizione sia rovista secondo l'esemplare del proprio Autore, se pare sotto questo nome non s’ in- tende qui semplicemente alcuna dello Aldine: la maggior parte delle mutazioni o correzioni da lui introdotte nel testo sono fatte ad arbitrio : la tavola della materie ' è mal redatta, quantunque assai più diffusa che quelle delle {decedenti adizioni. XXIX. 1 559. Ristampa somigliante, ma Con l’aggiunta degli ar- gomenti. In Vinegia, appresso Gabriel Giolito de' Ferrari. M. D. LJX; in-8 piccolo. Gli Argomenti dei Libri comparvero per la prima volta in questa edizio- ne. Le postille marginali sono a un di presso le stesse che nella edizione pre- cedente, della quale nel resto qnesta è quasi una ripetizioue pagina per pagina 0 linea per linea. Tuttavia anche nel testo il Dolce fece alcuna nuove mutazioni , esse ancora ad arbitrio, e non col soccorso di alcun manoscritto. L’edizione è dedicata Al Magnifico signor Giorgio Gradenieo; la quale dedica è conser- vata nella maggior parte delle ediziom degli anni seguenti, tratte dalia pre- sente del Dolce. ^ XXX. <559. Ristampa della traduzione spagnpola del Boscan; Toledo, M. B- LIX, in-4. Niccol. Ant. Èibl. Hisp. T. f, pag. 504. XXXI. 1560. Replica dell’edizione del Giolito del 1559, e pro- babilmente la stessa col frontispizio mutato. XXXII. 1561. Ristampa della traduzione spagnuola del Boscan, In Anversa, presso la Vedova di Martino Nuzio. M. D. LXI; in-8. Nicol. Ant., loc. cit. XXXIII. 1568. Il libro del Cortegiano ecc., aggiuntavi la vita del Castiglione tratta dagli Elogi di Paolo Giovio; in ri- mata (senza nome di stampatore); in-8. Digìlized by Google DELLE PRINCIPALI EDIZIONI DEL CORTEGIANO. 355 XXXIV. 1 562. n libro del Cortegiano eoe. revisto da M. Lodo- vico Dolce sopra l’esemplare del proprio Autore; e nel margine annotato; con una copiosissima Tavola. In Lione, appresso Guiglielmo Rovillio, 1562; in-16. La Tavola è assai diversa da quella posta nelle precedenti edizioni. In fine si legge il Sonetto dell’Unico Aretino sopra la S d’oro che portava in fronte la Duchessa d’Urbino; il quale dico il Rovillio di aver ritrovato mercè di M. Baccio Tinghi, ano amicissimo. XXXV. <562. Ristampa dell’ultime del Giolito, in Venezia, ap- presso il Giolito, M. D. LXII; in-12. XXXVI. 1 563. La stessa edizione, facilmente col principio mu- tato; ivi; in-12. XXXVII. 1564. In mezzo a non dispregevole cornice intagliata in legno: i? Cortegiano del C. Baldessar Castiglione nova- mente stampato e con somma diligenza revisto; con la suo Tavola di nuovo aggiunta. M. D. XLIV. Non si accenna nè il luogo, nè il nome dell’ impressore. In-8. Abbiamo posto questa edizione sotto il IK64, benché porti la data del 1 544, perchè, contenendo ^i argomenti a cadaun libro, deve necessariamente essere posteriore a quella del Dolce del 4559. Del resto, un saggio della scorrezione di questa edizione può aversi dal principio dell’Argomento del libro IV, dove in vece di Kel Proemio leggesi Kel Petrarca. XXXVIII. 1 565. n libro del Cortegiano ecc. secondo la revisione del Dolce; in Venezia, appresso Giovanni Cavalcabovo; in-4 2. XXXIX. 4569. Aulicus Balthasaris Castilionei in latinam lin- guam conversus ab Hieronimo Turlero; Witteberga; in-8. XL. 4574. In Vinecia por Gabriel de Ferrari, en Italiano, so crediamo all’Indice di Spagna, a carte 446; benché il Volpi pensi che il detto Indice equivochi con una delle se- guenti due edizioni. XLI. 4574. Ristampa somigliante a quella del 4560; in Vene- zia, per Comin da Trino; in-8. XLII. 4574. Altra; in Vinegia, appresso Domenico Farri, M. D. LXXIIII; iii-42. Ristampa quesU pure dell’edizione del Dolce 4550. Dìgitized by Google 5j6 catalogo cronologico XLIII. 1874. El Cortesan ecc. traduzido por Boscan. En Ambe- res. M. D. LXXFV; in-8. Menars. pag. 538. XLIV. 1577. Baldessaris Castilionii de Aulico, Joanne Bicio, Hannoverensi, interprete, Libar primus. Argentorati, excu- debat Bernhardus Fobinus, Anno M. D. LXXVII; in-8. n (radattore dedica il libro all’Imperatore Rodolfo II con una lunga prefirione, nella quale dà inoltre un’analisi di tutti i quattro Libri dell’Ope- ra. Dalle seguenti parole del Negrini, tratte da’ suoi Elogi, a c. 425, pare cbe il Riccio abbia tradotto l’Opera intera: ella rieece belliteitna nella Latina traduzione di Giovanni Biceio; come nella lingua Catligliana parimente pare che eia nata in quello idioma. XLV. 1577. Balthasaris Castilionis Comitis, de Curiali sive Aulico Libri guatuor, ex Italico sermone in Latinum con- versi: Bartholomceo Clerke Anglo Cantabrigiensi interpre- te. Novissime editi Lendini apud Henricum Binneman typo- graphum; Anno Domini 1577; in-8; in carattere corsivo, e con postille ne’ margini. Elegante traduzione, dedicata dal Clerke alla Regina Elisabetta. Dalla de- dica e da varie lettere premesse alla traduzione, le quali tutte portano la data del 4574, si poi congliietturare che questa sia una ristampa. XLVI. 1580. Le Parfait Courtisan du Corate Baltasar Castil- lonnois, es deux langues, respondant par deux colomnes, l’une à Fautre, pour ceux qui veulent avoir Vintelligence de Fune cFicelles. De la traduction de Gabriel Chapuis Tourangeau. A Lyon, par Loys Cloquemin; in-8. Gabriel Chapuis fu nativo d’Ambuosa in Turena, e intendentissimo della nostra lingua, dalla quale traslatò varii libri. XLVII La stessa , italiana e francese , fu ristampata A Pa- ris, de Fimprimerie de Nicola Borfou, senza data, in-8. XLVllI. 1584. n Cortegiano del Conte Baldassarre Castiglione, riveduto e corretto da Antonio Ciccar elli da Fuligni, Dot- tore in Teologia; con le Osservazioni sopra il IV libro fatte dalFistesso. Al Sereniss. Sig. Duca d’ Urbino. Segue un bello scudo con l’ armo de’ Duchi, e poi : In Venezia, ap- presso Bernardo Basa. M. D. LXXXIV; in-8. Trovansi esemplari di questa edizione con variato frontispizio, nel quale Digitiz^ by ^-oogli DELLE PRINCIPALI EDIZIONI DEL CORTEGIANO. 557 «ODO omesse le psrole Con (e Osservaxioni sopra il IV libro fall» dall' «stes- so, ed invece dell’emie de’Dachi d’ Urbino è l’impresa del Basa, nna base di colonna: in essi altresì leggasi la Dedicazione in più luoghi diflerente. Il Ciccarelli dedica questa sua edizione a Francesco Maria II della Ro- vere duca d’Drbino ; dopo la Dedica segue la Tavola delle materie, quasi af- fatto simile a quella del Dolce; iodi alcuni Errori da emendarsi; finalmente nna Innga e diligente vita del Castiglione scritta da Bernardino Marlìani (e non Mariani, come quivi falsamente si legge), preceduta da una Prefazione al Lettore. Questa edizione, fatta del resto so quella del Dolce dell’ anno i 53G, è, come dicesi, espurgala; ed anni sono vidi in Parigi presso il chiarissimo Si- gnor Guglielmo Libri l’esemplare stampato, cbe servi a questa edizione, che aveva manoscritte a suoi luoghi le mutazioni fatte dal Ciccarelli, ed in fine l’approvazione originale dell’ Inquisitore. Il modo tenuto dal Ciccarelli nello espurgare la presente opera fu questo: cbe i pochi passi i quali por si tro- vano in questo Dialogo pericolosi o poco morali, furono dal Correttore con- servati; all’incontro si sforzò di togliere ogni menzione della fortuna, e sopratutto ogni scherzo cbe avesse rapporto, anche lontano, a preti o frati. Alcune mutazioni poi sono, dello quali sarebbe, credo, impossibile ren- der ragione: come nel Libro III (cap. 47 della nostra edizione), dove alle pa- role del Castiglione ornata d' un bellissimo sepolcro, per memoria di coti gloriosa anima, sostituì quello ornata d’ un bellissimo marmo, per memo- ria di cosi casto e generoso animo. I passi aggiunti o mutati dal Ciccarelli non sono io troppo buona lingua, e l’edizione è deformata da molti errori di stampa, mancando spesso parole ed anche mezzi periodi. XLIX. 1585. Ristampa della traduzione francese del Cbapuis, A Lyon, par Jean Huguetan; in-8. L. 1587. In Venezia, per Domenico Giglio; in-12. LI. 1599. Los nuevos del anno 1599: 8® Venecia, estan emenda- dos por Antonio Citarelli (sic). Index Lib. Prohib. et Ex- purg. Hisp., pag. 116. LII. 1 606. Il Cortegiano del Conte Baldassarre Castiglione. Ri- vedutto et corretto da Antonio Ciccarelli da Fuligni, dot- tore in Teologia. Al Serenissimo Signor Duca tf Urbino. In Venezia, MCDVI (sic). Appresso Gioanni Alberti; in-8. ' Brutta e scorrettissima edizione. LUI. 1727. Il Cortegiano or thè Courtier written by Conte Baldassar Castiglione, and a new version of thè some into English. Together with several of his celebrated Pieces, as well Latin as Italian, both m Prose and Verse. To which • — Digitizee by Google Ó58 CATALOGO CRONOLOGICO is preftx’d thè Life of thè Author. By A. P. Castiglione, of thè some Family. London, printed by W. Bowyer, for thè Editor. M. DCC. XXVII; in-8. Dirimpetto al frontespizio si vede un bel Ritratto dell’Autore, cavato dal- l’ originalo di mano di Raffaello; coll’arme dei Castiglioni nel giro dell’or- nato. Il libro è dedicato a Giorgio Re della Gran Brettagna, e la lettera di de- dicazione è scritta prima in italiano, poi in inglese. Siegue il Catalogo degli Associati; indi la vita dell’Autore, descritta di nuovo da A. P. CasGglione nel- l’nna e nell’altra lingua, sopra i vestigi e della lunghezza di quella del Mar- liani ; ma non apporta alcuna rara notizia. Il Cortegiano è impresso in due co- lonne, l’una italiana e l’altra inglese. Seguono alcuni fra gli scritti in prosa cd in verso, latini ed italiani, del Castiglione; ed in fine una traduzione del- VAlcon in versi inglesi, lavorata dallo stesso A. P. Castiglione. LIV. 1733. Opere volgari e latine del Conte Baldessar Castiglio- ne Novellamente raccolte, ordinate, ricorrette ed illustrale, come nella seguente Lettera può vedersi (nella lettera di De- dicazione), da dio. Antonio, e Gaetano Volpi. Dedicate at- r eminentissimo e reverendissimo Signor Cardinale Corne- lio Bentivoglio d’ Aragona, ministro per sua Maestà Catto- lica alla Corte di Roma. In Padova. CIDIOCCXXXIII. Presso Giuseppe Cornino, Con Licenza de’ Superiori, e col privilegio dell’ Eccellentissimo Senato Veneto; in-4. Segue una lunga Lettera Dedicatoria, che serve di Prefazione all’ edi- zione; indi la Dedica dell’edizione del Ciccarelli, secondo l’esemplare collo armi ducali; indi la Vita del Castiglione del Marliani, con note di Gaetano Volpi; poscia parecchi scritti minori, relativi al Castiglione; indi gli Argo- menti del Dolce ai IV libri del Cortegiano ; e finalmente un Avviso degli Edi- tori al Lettore, su alcuni passi del Cortegiano cancellati dal Ciecarclli, o da essi restituiti. Indi comincia il testo del Cortegiano: nel libro III e nel IV sono aggiunte alcune note, sia dei fratelli Volpi, sia del Ciccarelli. Segue l’In- dice alfabetico delle cose più notabili contenuto nel Cortegiano, rifatto da Gae- tano Volpi. Indi comincia la seconda parte del Volume, contenente le lettera c poesie del Castiglione allora conosciute, con note, e coll’ aggiunta di vani scritti relativi al Castiglione ed alle sue opere. In fine c un Catalogo di molle delle principali edtiioni del Cortegiano, di Gaetano Volpi. Dopo la Tavola delle Materie, e dopo chiuso il Volume, è aggiunta una Lettera non piit elampata del Conte Baldettar Castiglione a Papa Leone X, communicata dopo finito il Volume ai fratelli Volpi dal Marchese Scipione Maffei. Il Cortegiano è tratto dall’edizione del Ciccarelli (1584), ma corretto me- diante un perpetuo e diligente confronto dell’Aldina originale (1S28). Tranne poche eccezioni, non sono restituiti i passi omessi o mutati dal Ciccarelli, ma le omissioni vcngonoinillcatccan asterischi, c le mutazioni con carattere corsivo Digitized by Googl DELLE PRINCIPALI EDIZIONI DEL CORTEGIANO. 359 Alcuno poobo fra le buone lezioni proprie delle ultime Aldino ei trovano con- servate in questa edizione, quali si trovavano presso il Dolce e il Ciccarclli j corressero inoltre i fratelli Volpi alcuni pochi errori manifesti, diesi trovavano io tutte le edizioni anteriori. Sebbene capace di maggior perfezione, sarebbe tuttavia questa , se fosse intera , la migliore edizione ebe finora si abbia dei Cortegiano. LV. 4766. n libro del Cortegiano del Conte Baldessar Casti- glione, colla vita di lui scritta dal Sig. Abate Pierantonio Serassi. In Padova. CIDIDCCLXVI. Appresso Giusepjìc Cornino. Con licenza de’ Superiori; in-4. Dopo la dedica ÀI Nobile Signor Conte Antonmaria Borromeo Patri- sio Padovano viene un avviso dello Stampatore, nel quale dice, questa edi- zione del Cortegiano essere fedelmente ripetuta dalla precedente curala dai signori Volpi ; aver tuttavia sostituito alla vita del Castiglione scritta dal Mar- liani quella del Serassi, redatta coll’ajnto delle lettere inedite del nostro Auto- re, delle quali promette la prossima publicazione. L’edizione è nitida ed elegante, se non che sfuggirono in essa alcuni pochi, ma gravi, errori di stampa, che non sì trovano in quella del 1753. Si trassero di questa edizione alcuni esemplari col testo intero del Cortegiano, senza lo correzioni del Ciccarclli, o le anuota- zioni di questo e dei Volpi. In questi esemplari, assai rari, il Cortegiano fini- sce a pag. 300, laddove negli espurgati e colle annotazioni finisce a pag. 303. LVI. 1771. n libro del Cortegiano del Conte Baldessar Casti- glione, restituito finalmente alla sua prima integrità. Im- presso in quest’anno CIO lOCC LXXI; in SI tomi in-8. Ab fine di ciascun tomo si legge: iHPBE^so IN viCE-NZt Da giahbìitista TBIDRANINI MOSCA. Questa edizione venne dedicata da un Giovanni-Vineon- zio Benini alla N. Donna Morolina Comaro Gradinico, per lo seguenti ragioni, non saprei dire so più adulatorie, o spccìosamento curioso. Un libro avvezzo, dice quel dedicante, sin dai secolo tediceiimo a comparire lul teatro del mondo fregialo deU’illuitre nome Chadikico (Vedi il n» XXIX), egli i quello. Eccellenza, ch'ora io mi fo l'onore di pretentarvi. Voi avete tanto diritto tu quello libro, che non i egli un dono ch’io vi faccia, ma un tributo ch'io vi rendo. Il veltro genio tubiime l’inlereiiò a far nascere questa edizione, e la vostra felice potenza a farle vedere la pub- blica luce. Altre volle ti vide una Gradinico a favorire la famiglia del Conte da Castiglione, e due secoli e mezzo dopo si vede Voi a proteggere i di lui scritti. Se tutte le donne fossero qual voi siete, la parte di que- st'opera in cui cien formata La perfetta Dama non sarebbe stata già scritta. Ma in quest’ opera appunto voi pure, Eccellenza, siete vivamente rappresentata ec. — In quanto alle cure letterarie che vennero impiegate in essa stampa, poco in verità conosciuta, ma che sappiamo essere stala in pre- "Tngtirzèd by Google 360 CATALOGO CRONOLOGICO gio presao i dotti lombardi TÌggnti al tempo dei padri nostri: essendoci maa> cala la commoditk di esaminarla, ci è forza rimetterci alle parole di quegli stessi editori: • Eccovi.... l’Edizione che vi si è con un manifesto fio dal- li l’anno scorso promessa.... L’appareochiarla, l’eseguirla, il pubblicarla, fu > tutto difficile.... Voi ricevete piu di quello che vi fu promesso. 11 maoife- » sto non vi promise che il testo del Cobteguno intero, e vi si è aggiunto • la Vita dell’autore, e l’Indice ad ambedue i Tomi.... Si è copiata la prima • edizione d’Aldo del 1528 tratta dall’Autografo Ms., e si è seguita la lezione • della Volpi-Cominiaqa del 1753, riducendo alla lezione medesima ciò che » in quella mancava, ed avendovi fatto ancora qualche picciolo migliora- li mento. • La Vita dell’Autore, è quella scritta dal Serassi. LVII. 1 803. Il libro del Cortegiano del Conte Baldessar Casti- glione. Volumi due. Milano, dalla Tipografia dei Classici Italiani; anno 1803; in-8. Questa edizione, che forma parte della Collezione Milanese dei Classici Italiani, è quanto alla Vita del Castiglione ed al testo del Cortegiano una ri- stampa assai scorretta della Cominiana del 1733 (per errore nell'Avviso degli Editori è detta del 1755), ma coll’aggiunta dei passi omessi dal Ciccarelli e dai Volpi. LVIII. 1822. Il libro del Cortegiano del Conte Baldassar Castir- glione, edizione formata sopra quella dC Aldo, 1528, riscon- trata con altre delle più riputate, ed arricchita di un co- pioso indice delle materie. Milano, per Giovanni Silvestri, M. DCCC. XXII; in-12. Per la vita dell’Autore e la prima metà del Libro I l’ edizione è fatta so quella dei Classici, della quale si conservano quasi tutti gli errori, coll’ ag- giunta di nuovi parecchi ; indi dalla metà del Libro I il testo è, assai negli- gentemente, riscontrato colla prima Aldina. L’indice dello materie è quello del Volpi, ma accresciuto. Del resto, è questa di gran lunga la più scorretta di quante edizioni non mutilate abbiamo del Cortegiano ; come apparirà dal se- guente indice dei principali errori della medesima. ED. siLVESTBi errori Pag. II». da emendarti 33, 17 quelli qnello 43 queste questo 30, 13 vili e moria TÌta 0 morte II neU’iQtmo nell' animo mio 63, 31 quanto quando 74* 7-8 l’biDDO, la qual Tbaono, trovo «ma regola ulTeraatissi* ma, la qual 88. ult. pigliarle pigliar le 100, 0>10 a Silio e a Virgilio c Silio a Virgilio 113, 13 quatto questa Digilized by Google ì DELLE PRINCIPALI EDIZIONI DEL CORTEGIANO. 561 BD. SILVESTRI errori da emendarti Pftf;. Un. 117, 21 td da 443, 15 o qQ&si , e quasi 445, 21 coodaci conduce 1&5, 23 troppa paisiom; troppo passione 6 falso salso 239, 25 ad alta voce alla voce 244, 7 □Q maestro di stalla un maestro Stilla 255, 22 essendo mascheralo essendo maschera 291, li ancor più caute ancor poi più caut<^ 294, 41 un istinto nn certo istinto 300, 31 fallo nome fatto il nome 304, 4 care intime care ed intime 319, 33 tianno fede fanno fede 320, 5 poiché poi volete cosi poiciiò voi volete così — , 3 essendosegU collocata accanto essendosegli colcata accanto 329, 2 hastimi bastami 344, 26 altro di oenpiaoerle altro die di compiacerlo 347, 3 del re di Spagna Ferrando ed Isabella dei re di Spagna Ferrando ed Isabella 303, 8 questa questo 309, 43 di modo di tal modo 370, ♦7 non nsasse usasse 375, 7 possono possano 370, 24 inliepido intiepidito 379, ;9 dell’altra l’altra 3B5, 8 che vi si porla die dir vi si poria 396, ult. ma non hanno ma hanno 400, 17 separata superata 402, 9 combatta combatte 403, 3 possono possano 421, 45 dei sudditi dei suoi sudditi 431, 14 ai più famosi ai famosi 447, 5 ò nn farlo ed un farlo — t 42 chiamano per dolci sdegni chiamano per dolci li sdegni 461, 6 perchè e negli ocfhi e perchè negli occhi — , 30 con ragione con la ragione 470, 15 concerto concetto — , 26 vi ginngono vi aggiungono 475, 3 te a quella.... ritorni cd a quella.... ritorni - , 24 dei bei corpi e delle anime dei bei corpi o belle aniimi Delle edizioni del Corlegiano espurgate ad uso della ((iovenlù, che si publi- rarono nel corso del presente secolo, non teniamo parola, perebù nessuna sì di- stinguc per alcun proprio pregio. Digitized by INDICE DELLE MATERIE COMTXMUTl NEL CORTEGIANO DEL CONTE BALDESSAR CASTIGLIONE. A AIiI»tc, sciocca opioionadi certo ALbatc, 127. Aliliracciace i parenti perchè, incontran- dosi io essi, solessero le donne.ro- mane, 195. Abito convenienle al Corteeiano, 101. 102 . ® Abito non fa il Monaco, 102. Abito proprio aveva anticamente l’Ita- lia, IM, Abiti come debba adattarsi la donna 177. Abiti di diverse nazioni introdotti in Italia, 100. Accorta esser dee la Donna di Palaaso, 220. Accorletsa, difièrenledairinganoo, ii&. Accusar se medesimo non c lodevole se non in qualche caso, 114. Alle volte, ma con buona grazia, fa ri* aere, Achille impara musica da Chirone, ^ — In che fosse invidiato da Ales- sandro, Sii.— Formalo nelle azioni da Omero, 2S1. Acqua, similitudine tratta da essa, 2.^7 Adulatore, suo officio, -Hfi. Non ama, SIL — Si fugga, ^ — Adu- latori perchè divengano gli uomini. 245,247. AfTibilila piacevole, ò il piu necessario K^silo nella Donna di Palazzo, AllcUaziune dee fuggirsi, ^ — - BLui- mala nel Corlegiano, ^ ^ 12i). ) — Nella Donna di Palazzo, i75, — Cagiona difelti nelle donne, 54. — Come si fugga e nasconda, àà. — Affettazione di certi vani, 36 Affettazioni estreme muovono il riso, 129. Affetto deriva dal corpo, e come diventi virtù o vizio, 253 Affetti non si debbono svellere, ma temperare, 255. — Ajutano le virtù, iW. Affezione inganna nel giudicare, £9^ Afflitti non gustano alle volle d' esser trattenuti con facezie, 151. Affrica, vittorie io essa di Ferdinando il Cattolico re d* Aragona, 310. Agesilao godeva d* esser ammonito da Senofonte, 247. Aggraziali nataralmeote, hanno in ciò bisogno di pochi ammaestramenti, 33. Agone (d*j. (Vedi Piazza.) Agnello, comparato colla temperanza, 254. Agnello (Antonio) Mantovano, suo giu- dizio sopra due papi, 1 24. Agricoltura, bella similitudine tolta da essa, 279. Alamanni. (Vedi Alloviii.) Alcibiade lodalo, 3 1 . — Pili ut a gl’istru- menli da fiato, 87. — Amato one- stamente da Socrate, 209. Aldana corabatlc con Peralta, 14R Alessandra moglie d* Alessandro Re dei Giudei; fatto illustre di essa de- scritto. 188. Alessandria in Egitto faliricala da Ales- sandro Magno, 271. Digilìzed by Google 36i INDICE DELLE MATERIE. Alessatidrioo Cardinale, 138. Alessandro VI, papa per U forza, 1S4. Alessandro Magno lodato, 27 1. — Pro* nostico cbe di lui fanciullo fanno li ambasciatori del Re di Persia, 19. — Piange per non avere ancor vinto un sol mondo di io6niti che avea udito ritrovarsi, 23. Disre* polo d’ Aristotele, 34. — Venera Omero, 67. — ' Q^giito amasse e ono- rasse Apclle, 67, SA. — Perchè una I volta piagnesse in udire le vittorie di Filippo suo padre, d39. Sua cootinensa, 20i. — Estenuata, 208. Sue imprese, 272. — Quanto bene facesse a molti popoli barbari, co- gl* insegnamenti d’ Aristotele, 281. 282. (Vedi Dario.) Alessandro re de’Giudei, uomo crude- lissimo, d88. Alfonso Kd* Aragona, ironicamente fa- ceto, l43* — Si compiacea d* esser burlato, 152. — Sua risposta, 150, (Vedi Anclla.) Allegrezza; morte di Argentina gentil- donna pisana proceduta da subita ed estrema allegrezza, 193. Altoviti nemico d*un Alamanni ; casello ridicolo, 146. Amabilità produce amore, 227. Amalasunta regina de’Goti, lodata, 198. Amare; chi ama assai, parla poco, 221. Con minor pericolo possono gli uomini mostrar d* amare che le don- ne, ivi. Maniera di farsi amare da'principi, 267 e seg. Amato; sue condizioni necessarie, 223. Amatori; loro differenti costumi, i 8. Ambigui motti di varie sorte, 132. Ambiguità rende le facezie acutissime e maravigliosc. 13i. Ambizione delle donne, 236. Amici celebrati presso gli antichi, 1U3. Amici veri pochi si trovano, 103. Si debbono eleggere con molto studio, ivi. Amici de’ principi come si portino con essi per lo più, 245. Amicizia affettata. 116. — Amicizia non dee tralasciarsi dì coltivare a cagio- ne de’falsi amici, 104. Ammonizioni dissimulale quai siano. 147. * Amore; sua deffniziooe, 285. — . Non I pare che possa stare rolla ragione, 293. Mezzi cattivi che inducono amore, detestali, 162. — Ragiona- menti d’amore, e come in essi debba diportarsi la Donna di Palazzo, 219, 220. — Amore di amicizia solo conviene alle maritate, 222. — Amore ne* vecchi, ridicolo, 87. ■ — Amore publicoècosa durissima; pur . qualche volta giova, 230. — Amor quieloe ragionevole, accennalo, 284. — Sue lodi, 293. — E pericoloso ancli’esso, 220, 297. — Amor sen- suale è malo in ogci età, 288. — Suoi mali effetti, 298. — Amor vero dal falso è diffìcile a discernerst , 220. — Segni del vero, 221. — Danni e pregiudici del falso, 286. — Amor verso la bellezza in astrat- f to, e universale, 299. — Amore su- stanziale, cioè Io Spirito Santo, sue lodi, c suoi maravigliosi effetti, 302 e seg. Ancille liberano Roma, 196. (Vedi Giu- none.) Anconitani due che combattono insieme a Perugia, derisi, 3Q. Anella; curioso fatto dicerie anella ru- bate ad Alfonso 1 d’ Aragona, 143. Angeli; come 1’ uomo con essi commu- nichi, 285. ~ Perchè ad essi com- parata una bella, ancorché attempa- tai gentildonna, 137. Angolem (d’) Monsignor, lodato, 56, 272. Anima I>ella, cagione per lo più della bellezza de’ corpi, 292. — Anima, divisa in due parti, 265. — Sua cura,^W. — Dee contemplar se me- desima, 300. — Anima, per indole, 290. — Anime delle donne più in- gomlirate dalle passioni che quelle degli uomini, 304. Animali luiperrettissimi a gran torto si dicon le donne, 179. Animali; loro vario instioto come si conosca, 290. Animo; beni dell* animo e lor natura, 269. L’ animo e non il corpo il vero amante tenta di possedere, 162. Animosi. (Vedi Ardili.) Anna regina di Francia, lodata, 198. Annibale scrisse un libro in greco, Anteo biasimato, 271 . Anlkhi scrittori imitavano, ma non iti niQili/rfl by.( INDICE DELLE MATERIE. Ogni cosa» 4^ — > Amichi si hanno in maggior concetto da chi legge» di quello che sì rilevi dalla stessa lettura, i69. Antichi stimavano molto la pittura e i pittori» AntonellodaForli, lodato e motteggia* to, 144. Apelle» molto amato e onorato da Ales* sandro» 62. — ■ A lui solo era lecito il dipingerlo, filL — Perchè biasi- ihasse Proiogene» Api; loro re d* altra specie» S4L Appetito; sua cura, Aragona (Monsignore di), ottiene liccn- sa di trarre certo numero di cavalli del Reame di Napoli, 317. Aragona (re di). (Vedi Ferdinando.) Arcieri, comparati a chi attende alle vir- tù, 224. Arcivescovo dì Firenze ; suo detto, 138. Arditi e animosi veramente quai sieno, 184. IM, Aretino, detto V Unico, propone il IV giuoco sopra la lettera S che la Du- chessa d'Urbino portava io fronte, 12 . Argentina, gentildonna pisana, quanto amasse M. Tommaso suo consorte, 193. (Vedi Allegrezza.) Arguzia cosa sia. 118. Arguzia della Duchessa d’ Urbino in difesa delle donne, HO- Ariosto (Alfonso), lodato,^.— A sua in- stanza il Castiglione scrive il libro del CoTlegiano, 7^ 307, 315. Aristodemo tiranno Argivo, dove dor- misse per timore, Aristotele ; institulore d* Alessandro Magno, 52. — Perfetto Cortegìaoo del medesimo, 281, 282. — Quanto amato e stimato da Ini. (Vedi Sta- cira.) Esso e Platone vogliono che Tuomo ben disciplinato sfa anche musico, dìL (Vedi Arle6ci.) Arme; prima e prìndpal professtonedel Cortegiano, 2^ 3|, 173. — Orna- mento, secondo il Bembo, dell’ altre sue virtuose qualità, GQ. — Se le armi superino in eccelleoea le let- tere, 52. — Motto piacevole intor- no all' una e all' altra professione, 59. — Armi ; sopra esse ronven- gooo colori aperti cd allegri, IDI 365 Armonia, 6gliola di Giéron Siracusano, e sua impresa» 188. Arrischiare; chi si arrischia in guerra o per guadagno o per altra vìi ca- gione, merita d' essere stimato raer- » catante vilissimo» 52. Arte, necessaria nelle facezie, 118. ~ Arte, non dee apparire, 35. Artefici varii che cosa ammirino in Pla- tone ed Aristotele, 282. Arlemiiia, lodata, 202. Arti delle donne per mantenersi gli amanti, 236 e seg. Ascensione. (Vedi Sposalizio.) Asco, vocabolo spagnuolo, cosa signiG- chi,lAL Asdrnbale più di sua moglie teme la morte, 188. Asino comparato ad un Tullio, 12G. Aspasia lodata, 194. As|jcltazione; far contra l'aspettaztone, è la sostanza delle burle, 152. Aspetto nel Cortegiano quale dovrebbe essere, 29. Astuzia è falsa prudenza, 267. Atarantati, o sieoo morsicati dalla ta- rantola, come risanino, 15. (Vedi Puglia.) Atene. (Vedi Peste.) Ateniesi; loro industrie per tenere il popolo allegro, 120. 121. (Vedi Leona.) Atos, monte, 22JL Attilature varie di Cortegiani biasima- le, ilU e seg. Avarizia d* alcuni detestata, 2ti. Augelletti che cominciano a volare, con quali amanti comparati, 299. Aurora, sua descrizione, 305. Autori imitali dal Castiglione io que- st'opera. tanto degni quanto il Boc- caccio, 4. Autorità de' principi quando sarebbe ri- spettala, 269. B Bario; sua natura ed effetti, 296, 297. Baje; abondano di reliquie di antichi ediGcÌ,22L Bajare. (Vedi Litigante.) Uar!)ari io gran numero niantueriUicoii 51* Digitized by Google 5G6 ■ gno, 272, 2&1 e icg, **' 7 » ' ^«»»‘ore celebre, Bmiri» dee fuggì,,! da chi burla, <59. Bartolommeo. Molto TÌdicblo, nato della di.crepania che pa„a tra que- ‘f“ * qual.ia.i ,jjtìa di pa». Basse persone spesso d'alti doni di na- tura dotale, 2i. Bastonate «uie da un gentiluomo, ipeiso da Ini scioccamente ricorda* te, 114, Battaglia *1 piacere e del dolore centra il giudicio, 252. BatU|^4uoi ferini abitatori accennati, di Milano, lodata, BeccadeUo (Cesare) finto pano dal Bi- bicna ; curiosa novelluccia, 152. ““pal^ise."*" Belle cose direrse, naturali e artificiali descritte, 290. “'"p«r,V9r Belleisa è nome generico j e a quali 1 cose ella si conrenga, 285. 386 [ Che cosa sia, 29fl e seg. — El^ ! buona , ii»i. — L’ amor reto di essa ! e buonissimo, M. (Vedi Dio.) — | , / dal Bembo, — Suoi effetti, 292. — Oual sia •> «ra, 294, e quale la falsa, iW. (Vedi Generare.) — In due modi SI può desiderare, 284. — I Belle.sa angelica, 300. _ Belle,,,. ' aslra^tta da colp, ,i dee amare, 299. Belleaia biasimata dal uonor Morello, 282. (Vedi Morello.) _ uelk„a diTina, e suoi effetti, 292. — Cagione d’immensa gioia, 3QL «ascosta aglioechi profani, 302. — Belle,., e ulilili. (Vedi Dtiliti Belle,,,.) — Belle,,, grave ed au- • era spaventa per lo più gli amanti, alcuni perù ne invila, 225. — Bel- '‘■T***'’'’* ‘i eonlcmpla cogli occhi della mente, 300. _ E cori rnrel’,,.enle.iV|.’_ Belle,,!™; i •ente, 298. _ Belle,,, sopra tmto j INDICE DELLE MATERIE. desiderata dalle donne, 223. —Le fa superbe, 2M. - Necessaria alla Donna di Pala„o, 128. _ È j; diverse sorte, 172. — Belle.,, urna- na , che consiste principalmente ne volti, che cosa sia, 285. si a. Belvedere; strada in Roma, da chi fai,, onesta, I7i. Bembo (Pietro) propone il VI giuoco; da chi dovrsbbe voler l’amante che nascesse piuttosto lo sdegno della psrsona amata, da si, o da essa, 1^ — Motteggiato destramente dal. 1 antere, 60. _ Non voleva amici- 103, 104. — Secrelario di Papa Leo- ne X, 24L — Teme d’essere sti. reato vecchio, 284, — Tassato di disobedien.a, c da chi, M. _ Sno ragionamento intorno a varie specie di amore, 285. (Vedi Platone ) — Sua ora.ione allo Spirito Santo, I 0 U 4 e «g, ’ Bene, quando ò vero, genera quieu nel ! P^'Mtore, 286. -Bene senta male I uon può essere quaggiù, Tfi. , Benevolensa de’ principi peschi acqui- I •*»• •> debba, ^2 e seg. ™ i **”*?“* *»“de, consiste in due co- ; §e, 244 , Beni dimsi d« procurare il principe ai sudditi, 269. * Beni infiniti cagionati dalle donne, 187. Bergamasco contadino. (Vedi Castigtlo:) Bergamo abbonda nelle sue montagne ^rli scimuniti go«uti e mutòli, Beroaldo (M. Filippo), sua pronta e cu- nosa risposta ad un tedesco, 136 -Moueggiaiodalsadoleto.eper- • Berto ; bravo, 26. — Buffone, 124. Bestialità di alcuni popoli abolite da Alesrtndro Magno, 272. Beva.tano (Agostino) sua faccia d’un avaro, 14i. Biante; sua bell, .enten.a circa i Ma- gistrati, 260. Biasimar troppo il rivale non è sicura cosa in amore, 2 , 3 . 3 . Digiti- by Google INDICE DELLE MATERIE. Biasimo; ramante non dee parlare io biasimo di se stesso, 233. Biastrmare, benché facetamente, dete* stato, liQ. Bibieoa (Bernardo), che fu poi Cardi* naie di Santa Maria in Portico, 241. ~ Lodalo, 2< Era di bello aspet- to, 2& — Facetissimo, iÌ9. — Propose di scrivere un trattalo delle Faceaie, ivi. — Credè, essendo ma- schera, di burlare un frate, ed in vece restò burlato, 155, i56. Bidon; musico eccellente, 5£L Bischitai che cosa sieno, 133. Boadilla, dama spagnuola, morde Al- fonso Carillo, e qual risposta ne riportasse, 145, 160. — Motteg- giata un* altra volta , ma troppo villanamente, dallo stesso, 161. Boccaccio; perchè non imitato dal Ca- stiglione, Quando abbia scritto meglio, e come s* ingannò di giudi- ciò, ivi. ^ Vsò parole di varie na- tioni, ivi. — Altre pur oggi rifiu- tale, 42. — Mirabile nelle circo- stante delle facete narrasioni, i24. — » Racconta di belle e bruite burle, 168, 161. — Nemico delle donne, 163, Boccaccio e Petrarca, se ora vivessero, lascerebbero d* usare molte parole, 42 j — Non al debbono soli imitare, hL Bontè; per lo più non va scompagnata dalla belletta, 290. Borgogna. (Vedi Cavalieri.) Boristene, fiume che divide la Polonia dalla Moscovia, 129. Borso, duca. (Vedi Cortegiani.) Bollon da Cesena; due volte, ma con diverse parole, allo slesso proposito motteggiato, 148. Bracciesca licenza, 164. Bravure non convengono al Cortegia- no, 26. Bresciano; qual sorta d*istrumcn(o mu- sicale lodasse, e perchè, 128. Brulteata che cosa sia, 290. Bucefalia, citta dell* India, edificata da Alessandro Magno, 271. OurentoTo, navilio unico in Veneaia 128 . niiirooi; }>eochc stian nelle corti, non 367 meritano d* esser chiamati Corte- giani, l^L Bugia, detestata, 245. — ]] principe deve odiarla, 266. — Quanto gli noccia, 245. — Qual sia la mag- gior di tutte, ivi. Bugie bene accozsatc insieme, muovono il rìso, 129. Buonarroti (Micbelaogelo), pittore ec- cellente, ^ 5iL — E scultor simi- le, 66. Buon compagni, alcuni lengonosè stessi falsamente,!!!. (Vedi Scioccherie.) Burlatori alle volte premiati da* princi- piai^ Burle ebe cosa sieno,' 123, 152. ^ Di quante sorte, 152. (Vedi Detti, ove ne ba gran copia, ed anche Novelle.) c Caccia, conviene a* gran signori e ài huooi Cortegiani, 31 Cacciatori; lor costume, 161. Cacco, biasimato, 271. Caglio, vocabolo spagnuolo, che cosa significhi, 134. Caldo, più perfetto del freddo, 183. Calfurnio; faceta interpretatione di tal nome, 135. Calidiia del maschio, e suoicffitli, 183. Callistene, buon filosofo, ma cattivo Cortegiano, 282. — Quanto danno da ciò a lui e ad Alessandro Magno risultasse, ivi. Calmela (Vincenzo), 7£L — Sua bella awertensa , 22. Calvizie, io lode di esso fu scritto un libro, ^ Camma, suo maraviglioso amore verso il marito, novella, 160 e seg. Campanile in Padova che diede la corri- moditè al siciliano Ponzio scolare di far la burla de* capponi, 158. (Vedi Capponi e Ponzio.) Canossa (da) conte Lodovico, eletto per formare il pcr&tto Cortegiano, 20 c seg. ' — Facetissimo, 119. — . Sua faceta risposta, 148. — Eloquen- tissimo, 165. — Della costui fami- glia fu la contessa Matilda, 168.-^ Vescovo dì Bajous, 241. Cantare; perche cantino di notte i fan- ciulli, 91L Digiiized by Google INDICE DELLE MATEUIE. •G8 Cajnlaol antichi come veoissero onora- ti^ 2i$.— Capitani antichi lette- ralL ^ «lieOero opera alla masica,' — Capitano motteg- giato) lAS. Capitolio vuol che li dica>e non Cam- pidoglio, il Cattigìione, A7. CapitolìO) tradito da Tarpea) i96. Cappellano. (Vedi Messa.) Capponi rubati astutamente da certo PoDtio scolare siciliano in Padova ad un contadino, -<58- (Vedi Cam- panile e Ponaio.) CappuBio, proprio de* Fiorentini) 102. Capua saccheggiata da* Francesi, 2 M . Capuana gentildonna, castissima; sua maravigliosa costanza io morire per conservarsi intatta, 212. Cara (Marchetto) eccellente cantore, Cardinal di Pavia motteggiato, iA2. 14d.ua. Cardinale giovane, sua usanza singola- re, 84. — Cardinali, perchè non no- minati nelle preghiere della Chiesa il venerdì santo, Altro motto contro i medesimi. 142. ~ Altro di RaSaello d’Urbino, 145, 146. Carestia di ciò di che avrebbero più bi- sogno, patiscono i principi, 24À> Carillo (Alonso), sua acuta e mordace risposta alla signora Boadilla, che l’avea motteggiato, 145. 161. — Altra faceta alla regina, 147. — Vii- lanamenie morde la suddetta si- gnora Boadilla, 161. Carlo principe di Spagna, lodato, 273. Carlo re di Francia, lodato, lM.(Vedi Parmegiana.) Casi nuovi muovono a riso, 150. Castellina; ano assedio accennato, 127. Castigare non si dovriano gli uomini de*vizii, se fossero affatto naturali, 25lL(Vedi Leggi.) Casiiglia; regno di Castiglia dato in dote da Isabella a Ferrando, fu mi- nor della riputazione che ella gli diede, per cagione delle maravigliose sue virtù, 199. — Fu avanti ad Isabella occupato da* grandi, ivi, Castiglione (conte Baldessar) scrisse il libro del Corlegiano ad istanza di Alfonso Ariosto, 7,307, 315. per suggerimento del redi Francia, 308. — Perchè si movesse a pubbli- carlo, 1. •— Ribatte alcune accuse mosse contro U suo libro, ìL — Quali norme si sia proposto nella scelta delle parole, 4. — Sue opi- nioni intorno alla lingua ed alla or- tograBa italiana, 3 e seg. 46 e seg. — Fu in Inghilterra, ^ 273 gua modestia, 169. — Sua molta pietà, 267. — Biasima l*amor sensualg, 287. Caitiglio spagnuolo, ottimo Cortegia- no; per tale è mostrato a certe gen- tildonne un vaccaro bergamasco , 153. Castità necessaria tanto nelle donne, quanto negli uomini, per la cetleaza de* figlioli, 202. Catilioa; sua congiura scoperta da una donnicciuola, 196. (Vedi Cicerone, e Donniccmola.) Catone ironicamente faceto, 143.— Sua curiosa domanda, 146. Catoniana severità, ft)5. Cairi; monte di Cairi, 305. Cattivi non possono essere amici, 104. Cavalcatori non buoni, di qual nasionc, 127. Cavaliere; officio suo è difender la ve- rità, 20 1. Cavalieri del Gartier, sotto *1 nome di San Giorgio, nella casa d*lngliil- terra, 170. Cavalieri del Toison d’oro, nella casa di Borgogna, 170. Cavalieri di S.in Michele, nella casa di Francia, 17Q. Cavallereschi esercitiì ben praticati da alcune gentildonne, 126. Cavalli, come debbansi disciplinare, 265. Cavalla; volteggiare a cavallo conviene al Cortegiano, 32« Cavallo che fuggiva dall’arme qtiiniu dovesse stimarsi; facezia acuta, 13i. Caucaso monte; suoi efferati abitatori, 2S2. Causa; dee esser maggior del suo effèt- to, 222. Causidiche eloquenti furono alcune don- ‘ ne,16L Causidici; loro arte e sottilità son l,i ruina delle leggi e dc’giudicii, 2t>7. Caule più degli uomini perchè soglian esser le donib', IhO. by Google INDICE DELLE MATEUIE. 369 Cauto e prudente debU’esscr il Corle- giauo^ 8^ 115, 116. Centro; punto di esso difficile a litro- ▼arsi nel circolo, 274. Cerere, lodata, 194. Cervi si prepongono un capo; non tem- pre però lo stesso, 256. . Cervia; Vescovo di Cervia deluso dal papa, 150. CIjie donae, o vogliam dire di Chio, liberano la patria, 1S2. — Altra lor prodezxa io Leucoma, ivi, — Chii vinti dagli Ciilrei, ajulali dalle lor donne a diminuire la vergogna della resa, 197. Chio assediato. (Vedi Filippo.) Cbironc insegna musica adrAcbilIe, 63. Cianciatori, biasimati, 92. Cibi stomacosi e schifi mangiati impru- dentemente, che effiitto facciano ri- sapendosi, 253. Cicerone; imitato nel proemio deirOra- tore dal Castiglione in quello del suo Cortegiano, 7 e ses. — Altrove pure imitato, come a 119, 122. 132, 145, 151, 168 e seg., 240. — Sua dottrina intorno airimitaaiune, 50. ~I1 Castiglione piglia da Cicerone varieavTcrteDte circa le facesie. 1 18. 419. — Cicerone.moUo si lauda per avere disvelata la congiura di Cati- lina; la quale scoperta però ebbe origine da una donnicciuola, 196. Cicuta; veneno temperato con cicuta a qual fine publicamente si conser- vasse in Massilia, 189. Cicco. (Vedi Giuocatore.) Cieco d*un occhio; facexia insolente intorno ad esso, 132. Gimone tassato di bevitore, 247. Cipro, già congiunta alla Soria, 313. Circe; bella argomentazione lolla dalla favola di Circe, intorno alla gran- dezza vera de’principi, 269. Circolo. (Vedi Centro.) Cirignola; sua giornata accennata, 143. Ciro rompe i Persiani, 197. — Ma su- bito è rotto da essi, per opera delle loro donne, ivi. Citta; si assegna da Platone nella sua Republica alle donne da custodirsi, 17K. Buono stato di essa qual sia, 275. — Come vada in ruina, ivi. — Città già lloriJc, ora distrut- te, o cadute dalPaotico onore, 314. Civita Vecchia di che abbondi, 271. Clearco, tiranno di Ponto, a che fosse indotto dal timore, 261. Cleopatra, lodata, 202. Cognisiooi diverse necessarie alla Donna di Palazzo, 177- Collera eccessiva cagiona il rìso, 150. Colombo impiccato; facezia, 144. Colonna (Marco Antonio) lodato, 137. Colonna (Vittoria) Marchesa di Pesca- ra, lodata, Colossi di stoppa e di strassi comparali ii cattivi principi, 246. (Vedi prin- cipi.) Colpa primiera perchè si chiami dalla Chiesa felice, 185. Comandare, esser comandati per cx- ser governati^ dice 1* Autore, 269. — Comandare chi sa, è sempre obedito, 262. ~ Comandare a’ vir- tuosi come si debba, 258, 259. — > -T—Come comandi Vanima al corpo, ivi. — La ragione all* appetito, ivi. Comandi de’principi, Combattimenti privati, o sieno duelli, 30 . Comici, esprimono Pimagine della vita umana, lA. Comedia di certo M. Antonio motteg- giata, 149. Comparazioni facete quali esser debba- no, 139. Conipiacere si deve al principe. 91^ ^ £ necessario alPamante, 228. Complessiou temperata è quella della donna, 184. Commune lingua qual fosse presso i Greci, per sentenza del Castiglione, 4L Communirarc le sue passioni b uno sfogo di esse, 236. Communità delle mogli introdotta da Platone nella sua republica, toccata per ischerzo, 266. (Vedi Platone, c Mogli.) Concordia ed amore regnavano nella corte d* Urbino, IL Confessione ; novelletta d* uno che si «lodava nel confessarsi, 135. Confessor di Monache: avventura ga- lante, 134. Conoscere in tre modi può Panima no- -Oìgitized by Googic 370 INDICE DELLE MATEKIE. stra, ^5. Ciascun conosce l*er- ror (3el compagno, e non il suo, 16. CoDsalvo (Ferrando), detto il granCa- pitano, da chi eletto; sue lodi, 200. — Suoi detti, 138. Consuetudine buona quanto sia necea- saria, 2fiiL — Consuetodine, si dee conservare nel parlare e nello scri- vere, 3. ~ Sua fona in tutte le sose, — Maestra nelle lingue, 4^ — ■ Consuetudini male quanto im* porti al principe tener lontane dai sudditi, 269. . Contadioella di Gasuolo io Mantova* na; suo estremo amore verso la ca- stità, 21^ Conte di Pianella, 139. CooteinpUtiva vita e più propria dei principi; è iu essi divisa ip due partì; b il 6oe dell’attiva, S62. Cootemplaiione, c sua forsa, 300. Cootinensa, Mrchè si chiami virtù im* perfetta, 253, 254. — ComparaU ad un capitano che si mette a peri* colo d’ esser viuto, benché vinca, iVr. — Perché tanto si ricerchi nelle donne, 1££L — Frequente e mìra« bile in esse, 210, 211. — Conli- oenza maravigliosa dì donna giova* nc, 20L 208, 21IL Contrafare come si debba, 125. Convenevolessa dee servarsi dal Corte- giano, 83. Conversare; chi ha a conversare, dee guidarsi col gtudicio proprio, 92.^ Conversare cogli eguali come debba il Cortegiano, 105. Coraggiosi dove spesso più sì conosca* no, Corinna poetessa eccellente, 194. Cornelia 6g1iaola di Scipioue, lodata 187. Corpo; sua cura, 265. — Qual debba essere, iVi, 266. — Non é il fonte della bellesza, 294, 298. — Ansi la estenua è diminuisce, /pi. Correggere ; le donne hanno corretti molti errori degli uomini, 187. Corrispondenze d’amore innocenti quai lieuo, 294, 295. Cortegiana, 1 66, HjL fVedi Donna ‘di Palazso.) Cortegiauia, o sia profession del Corte- * giano, 243 e seg. (e in mo/li nitri /rto;,'Ai.) ■ — E buona riguardo al fine, iV/. — Qual sia questo fine, /W.— E arte nuova, 314. Cortegiano, opera del Castiglione; or* casiooe che mosse l’Autore a scri- verla, L (Vedi Castiglione.) Cortegiano e nome onorevolissimo, 28 1 — Cortegiano qual debba estere, 113 e seg.— Dee fare tutto ciò che gli altri ianoocon maniere lodevoli, 32. — Dee parlare e scriver bene. 42.— Dcbb* essere uomo da bene e intero, 55. — 'Come debba adoperar la mu- sica, 64. — Dee saper disegnare, e aver cogniiion di pittura, ivi. Come debba nortarsi co’signori. 95. — Come nelle conversazioni, Ufi — Suo vero officio qual sia, 279, 28Q t — E buono non per sé, ma I»er lo suo fine, 243 e seg. — Cor- tegiano tanto per/ètto com’é for- mato io quest’ opera, non può ri- trovarsi, ^ 315 Varietà di giu- dizii intorno alle qualità che costi- tuiscono il perfetto Cortegiano,3t6. Corte^ani adulatori, e corruttori dei principi quanto gran castigo meri- tino, 24ss. Corlegiani del duca Borso, lodali. 25, — E del duca Filippo, iV/. Coscia (Andrea) ; sua facezia, 449. Co%t buone; loro distinzione, 243. Costanza. (Vedi Ostinazione.) Costumi buoni, quanto nccessarii, 265. — Costumi da fuggirsi dal Corte- giano, 1Q5. — Costumi vaiii nelle Corti di Cristianità, ^ Cole ebe non taglia, e pur fa acuto il ferro, comparata al Cortegiano che ammaestra il suo principe, 279. Credere; mostrar di creder fatta una cosa che dovea farsi, fa ridere, 149. Credula non debb’ esser la donna, 2^0 Credulità de’ principi più dannosa che l’incredulità, 275. Crivello (Biagino); sua facezia, 149. Crotoue. (Vedi Fanciulle e Zeusì.) Crudeltà orribile d’no giovane romann. 213. Curie trenta io Roma nominate da Ro. molo co* nomi delle donne Sabine 196 * Dio Google INDICE DELLE MATERIE. 571 (^tiriuso non debb’essere il Cortigiano d'entrare nc* galiinelti de'princi- | pi, colà ritirati per attendere alla | quiete dell* animo, B Damasco; sorta di drappo di seta, come interpclrato da Alonso CariUo, 147. Deoari, fanno prevaricar molti, 211, iM5. — Bella metafora tratta da una specie di denari falsi, i37. (Vedi Fiorentino.) Dansare, ove e come si debba, 3S. 85. — «5» vprrbi 6 cosa ridicola e discon- veniente, 88. Dario fa acconciar la sna spada persiana alla macedonica, prima di combat- tere con Alessandro; ciò fa prono- stico di servitù, iOO, Donne bellissime di Dario non toccò Ales- saodro, benché giovane e vincitore, 204. ^ Deballo; rissa, contrasto, Ihl. | Debito dee prevalere a tutti i rispetti, | Decrepiti si escindooo dall* amare, 288. i Deformili non mala partorisce il riso, 12JL Demetrio lascia di prender Rodi per non ^ abruriare una pittora dì Protogene, Democrito disputa del rìso, d 21. Demostene, cosa rispondesse ad Esebi- ne che avea tassate di poco alticbe j alcune parole in una sua orastonc. Desiderare. (Vedi Impossibili.) Desiderìi strani delle donne, 226. Detti ; cosa sieno presso gli antichi, i 1 8. — Per esprimere chi operi meno | l>eac con riflessione che all* improv- I viso, 2L » D*una sigoora ad un I millantatore di combattimenti, 2G, j 21. — Di due sciocchi millantato- ; ri, 2^ — Di Alessaodro Magno sali* aver udito che vi erano più i mondi, imi. D i Demostene sopra | alcuoe parole, do|>pio op- j posto senso, i22. — Verso una si- | gnora che, senza parlare, venne tac- | ciata dì crudeli^, superbia e vanità, I 123. — Sopra due inscrizioni di j •lue pontefici, 124. — Su di un becco paragonato a Sau Paolo, 120 * — D*un che paragonò due suoi figlinoli a due sparvieri, ivi, — D’ ano ammonito a camminar pre- sto, mentre veniva fmstato, iW.~ D*uno sciocco abate, che insegnò come e dove collocar un'enorme quantità di terra scavata, i27. — D* un che voleva avvelenar le palle d’ artiglieria, D' uno che do- mandò chi fosse il PreiibatCj ivi. ■ — D* uno che, per trovar gran quan- tità di denari, consigliò sì raddop- piassero le porte della capitale c le zecche dello Stato, i28. — Di un che disse aver visto un snonatore a ficcarsi in gola più dì due palmi di tromba, ivi, D’nna cui dispiace- va dover comparir ignuda il di del giudizio, i29. — > D’nn che narrò aver col fnoco fatte liquefar le pa- role congelatesi nel mezzo del Bori- stene, 130. — D* uno che narrò una strana aaione d'una scimia, ivi. Sul doppio significato del vocabolo fettOf i o2. — Sulla spezxatura del vocabolo ma(lonato,^W. — > Ad un cieco, e ad un altro senza naso, ivi. ~ Di un litigante che trattò l’av- versario da ladro, e d*un da Narni che trattò pur da ladri i Sane», 133. — Con aumento o mutaaiou di let- tere a qualche vt^abolo, ivi. — D’uno che avea bruttissima mo- glie, ivi. — Sulle donne e su i gio- vani dì Roma, iVi. — Sulla para- bola dei cinque tafrnd, 134. — Sull* equivoco significato di due O/JJci. ivi. — Sul nome di Ctkìfur- nio, 135. Sulla preghiera Ore- mas prò htereticis et scismaticis, ivi. — Sul volto lucido d*una si- gnora, ivi. — Su d* una bizzarra confessione, iW. — Sa d'un cavallo che fuggiva dall'arme, iVi. — Su di un atto in apparenza riverente d’un trombetta, ivi. — Su d* un augurio di bene e male, 1 36. — Sulla parola Pino, ivi. — SuIPequivoco significalo di Ire conti, ivi. — D* un prodigo ad un usuraio, ivi . — Sul sermone d’un prete in forma di coufessioue,137. — Sulla vecchiez- za assomigliata agli Angeli, ivi. — Dì Palla Strozzi e Cosimo De’ Me- dici sul covar delle galline, ivi. — Sulle laudi impartite ad un valoro- so, e paragonate a monete false, ivi. - Oigrtized by Google 1 372 INDICE DELLE — Sul far mangiare cbi nc avca t procuralo altrui, lìiS. ^ Sulla paura | lu guerra, iW. — Di Luigi XII sulle offese ricevute meotr^era duca il’Orlcans, ivi, — Di Gein Olio- mani sul giostrar deglMlaìiani, ivi. — Del medesimo, sulla differenza delle astoni proprie degli schiavi e de* signori, ivi. — Su la roba, il corpo e r anima degli uomini; e su i giureconsulti, i medici e ì leolo* { gbi, ivi. — Su d' una valigia com- parala ad un uomo, *139. — Sut I perdere e vincere di due Alessandri, i ivi. — Su di Siena sposa, e Fio» rensa dote, i40. — D’un prelato che si credea grand* uomo, 141. D* uno magrissimo portalo via dal fumo su per il camino, rW. D*un avaro che volea gli fosse pagala la fune colla quale erasi appiccato, ivi. — Di Lorenzo de* Medici ad un freddo buffone, e ad un che il ri- prendea di troppo dormire, 141,142. —Del marchese Federico ad un man- gione, 142. — Su d*un tiranno falso liberale, ivi. — Sul forzarsi a credere veriili una bugia, fW.— Sulla fortuna de* cardinali in Roma, iVi. — Sud* un impiccato in vidiato,iAiii — 'D* Alfonso d* Aragona ad un che aveagli tralUnuie alcune anella, ivi. — Su di Sant* Ermo, comparalo ad un militar vigliacco, ivi. — Sulla sollecitudine d’un soldato parliiosi, 144. — Del duca d* Urbino al ca- stellano di San Leo, ivi. — Su di uno morto, mentre incominciava a divenir ricco, iV». — Del Marchese , di Mantova, su d’un colombo im- ^ piccato,145. — Di Scipione ad En- | nio, sull’essere o no in casa, ivi. — Di Alonso Carìllo alla signora Boa- } dilla, con cui trai lolla da publica meretrice, ivi. — Dì Rafacllo d’Ur- hino ad alcuni Cardinali, 145, 146. — D’uno che domandò un ramo | d’un fico, al quale erasi una donna ‘ impiccata, 146. — Di Catone ad ‘ im contadino che urtollo con una cassa, ivi. — D’uno degli Alloviii, il quale rispose a ciò che udito nnn avea, iW. — D’un medico, il quale promise ad un contadino di rimet- icrgli un occhio, 146, 147. — Di Alonso Cardio, su di un cav^^ìcro bruttissimo che aveva una moglie MATERIE. l>ellisstma, 147 . — Su d’un sopra- scritto d’una lettera, ivi Di Co- simo de’Medici ad un ricco igno- rante, 148 . — Del Conte Ludovico Canossa ad uno che volea vestirsi in incognito, ivi. — Sul cardinal di Pavia, ivi. — Su di cose di- screpanti, e che pajon consentanee, ivi. — Su due gobbi, ivi. — Su d’uno imputato non aver divozione o fede alcuna, ivi, — DiMarc’An- Ionio a Bottone, sul capestro e la forca, 149 . » Su d’ un sajo solilo a portarsi da un capitano dopo le vit- torie, ivi. — D’uno non invitato a sedere e che sedette, ivi. — D’ un prete sul perchè dicesse una messa cortissima, ivi. — D' un che chie- deva un beneficio, ivi. — D’un che bramiva che lo starsi in letto fosse un esercizio militare, D’Al- fonso d’Aragona, ad un suo servi- tore non contento d’un ricco dona- tivo, ivi. — Del papa al vescovo di Cervia, eh* esser volea governatore, ivi. — D’uno, al quale una donna domandò gran prezzo di se, 216. — Di un contadino Sanese a Ber- nardo Bibiena, 316. — Di papa Giulio II, 317.— Ad altro, che di- lava temere non poter uscire del Reame di Napoli, ivi. Detrazione d’altre donne, non ascolti volentieri la Donna di Palazzo, 174. Deviare se alle volle si possa da’comandi dei Signori, 112. — Belle avvertenze . intorno a ciò, lì^ Diana, parole di Camma a Diana, 191. Diego de Chignones, suo dello mordaci ad uno spagnuolo, 136. — (Vedi Vino, y no io conocittet.) Difetti de’ prìncipi, benché picciolissi- mi, notati, 247. Difetti nalnrali si possono in gran parte emendare, 23. — Perchè nascosti dall’ nomo, 249. Dimostrazioni d* amore quanto alla volle nocive, 237. Dio, èprotettorede’buooi prìncipi, 259, 26 /. (Vedi Fortuna.) — Tesoriere de* principi liberali, 270. — Simili- tudine di Dio ne’cieli, in quai cote si ritrovi, 259 . — E cosi in terra, ivi. — Da esso nasce la bellezza, 290. (Vedi Bellezza.) Dkiiìized by 1 INDICE DELLE MATERIE. 573 Diomede, biuimito, 271. Dione SiracQtano, formato da Platone, Dioniiio tiranno, abbandonato da Pla- tone come disperato, 282. Diotima, lodata, i9*. — Sua impresa, — Rivela a Socrate gli amorosi misteri, 304. Discepolo, ano officio, 34 e seg. Disciplina, adorna le operationì, e aiuta le virtù, 25A. Disconvcnevoleaie generali, 7^ SQ< Discorso della ragione non ha luogo nella perfetta coDtemplaaìone, 300. Discrepante ridicole, e varii esempi! di esse, 448. (Vedi Bartolommeo.) Discreaione, condimento d*ogni cosa, 87. Diseccare; perche nel generare si disec- chi più Tnomo che la donna. 484. Disegnare, conviene al Cortegiano, 34. Disoneste cose, di esse 1* amala dee le- vare affatto ogni speranaa alTaman- te, 224. Disperare, io signtdcato attivo, per far perdere la speranaa, 269. Dissìmili, molte cose dissimili degne di lande, 5^ 51. Dissimulaaione gentile qnal sia, 142i«— Necessaria agli amanti è la dissimu- laiiooe, 231. Disobidire per qualsisìa motivo a* lor Signori, h sempre cosa pericolosa per li Cortegiani, 93. Dolcetta e ntililà della virtù, 248. Dolor vero è sempre malo; come s’in- tenda, 252. Dominio 4 di tre sorte, 257. — Comi- aion pur triplice dì esso, 24&. Dominio più secondo la natura, e più simile a qnel di Dio, qual sia, 2o6. Felicissimo per li sudditi e per Io principe, 264. — Vero e grande, 270, 271. Donato (leronimo). Sua risposta ad un verso d* Ovidio, 433. Doni fra gli amanti, si biasimano, 462. Donna tanto perfètta come ruomo,178. 479, 480. — • Sua proprielù e di- stintivo, 472. — Sue virtù neces- rarìe, 473. — Perchè dicasi amare sopra tatti il primo uomo da lei carnalmente conoicinlo, 482. Perchè desideri esser nomo, ivi» Donna di Palasxo formata nel III libro dal MagniSro, 469. — Sue qualità necessarie, 413 e seg. — Potrebbe institnire la sua Signora, 278. (Vedi Cortegiana.) Donne sono di naturali assai diversi, 224, 225. — PoDoe, lodate, 471 . — Ulilitè che da esse si traggono, 24 6 e seg. Loro merito e digpità,2l8. — Falsamente biasimate, 4 10, 159, 460,463 e altrove, — In che prin- cipalmeote si debbano rispettare, 1 5 1 , 159, 165. — Desiderano d'essere o di parer belle, ^ 54. — Debliono fuggir l’eccesso nell’ adornarsi, ivi. Varie loro maniere, indoli e por- tamenti, 226. — • Rare volte sanno amare, 226. — È più lecito ad esse mordere gli nomini di disonesiè, che agli uomini le donne, e perchè, 450. — Donne belle, biasimate, 289. (Vedi Belle donne.)— Donne, eguali agli nomini di dignità e virtù, 465. — Donne grandi, amano da dovere L minori di sè, e perchè, 462. — Donne maritate non possono amar.e oltre il marito, alcun altro, se non con amor di amicìxia, 222. — Don- ne non maritate possono alle volte lecitamente amare, dentro i termini però dell’ onesto, 224. — Quaì delw baoo amare, 222. ~~ Donne oneste, lodate, 440, 441. — Che resìstono a tutti gli stimoli degl’importuni amanti, mirabili, 244, 215.— «Don- ne sante molte si trovano, Lcncbè nascoste agli occhi degli uomini, 485. — Donne tante de* tempi del Castiglione come favorite d.i Dio, 304. — Donne valorose in armi, in- lettere, e in ogni altra cosa, accen- nate, 480. 485. Donniccinola, origine dello scoprirsi 1» congiura di Catilìna, 496. (Vedi Ci- cerone.) Dono il più pregiato che possa fare il Cortegiano al suo prìncipe, qual sia, 256. — Doni degli sciocchi a’prin- cipi quai sieno, 256. Doti delle mogli si debbono moderare dai principh 275. Duca di Calavria. (Vedi Fiorentino cora- messario.) , Ducati falsi. (Vedi Denari.) Due soli debbono essere i veri amieik 404, 52 Digilized by Google 374 INDICE DELLE MATERIE E Ebrietà, iet fuggirsi di’ teechi, 210. Ecceilensa suprema, bench* l’ uomo non possa giugiservi, dou dee sgomen- tarsi di operare, LisL Eccessi ridicoli, tanto in grandeaaa, quanto in piecioleaaa, 141 . Edi6ci grandi si consrengono a' princi- pi, 270. Educazione del principe qual esser deb- ba, 265. Efièminatezaa degli aniini da qnai cose venga cagionata, 243, 244. Effeminati uomini sbandir si dovreb- bero dal commercio delle persone discrete, 23- EQHii delle cause contrarie, tra se pur contrarli. 25$. — Effetti lodevoli alle volte nascono da causa degna di biasimo, 288. Egitto, gib mare, ora terra fertilissima, 313. Egnaaio Catulliano, 5^ Eguali. (Vedi Conversare.) Eleonora d’ Aragona, duchessa di Fer- rara, lodala, 201. Elia, suo carro infiammato, 301. Elide. (Vedi Olimpici giochi.) Empielb, detestabile benché faceta, 140. (Vedi Biastemare.) Ennio, 445. (Vedi Scipion Nasica.) Enrico principe di WagHa, assai lodalo, 272. Epaminonda, udiva volentieri le ammo- niaioni di Lisia Pitagorico, 247, Epicari, lilictlina romana, sua costan- za, 189- Epimetco, sua favola descritta, 249. Equalii'a pari con chi debba usare il prìncipe, 2Q8. Ercole, tua statura, come e da chi ritro- vata, — Lodalo, 272. (Vedi Pitagora.) — Suo rogo, che cosa significhi, 301- Eremita del Lavioello dsM. Pietro Bem- bo, accennato, 284, Eiiirci, muovono guerra a’ Chii, 197. Ermo (Sant’), facezia gentile del Gran Capitano, 143, Errore nostro quando ci diletti, 136. — Errori infiniti de' cattivi principi, 246. — Errori non tono tutti egua- U, 22. Esempio, chi fallando d'a mal esempio, merita doppio castigo, 32. Esempio faceto, 21. Eserciaii cavallereschi come debba fare il Cortegiaoo, 83. Esiodo imitato, ma non sempre, da Virgilio, e perciò da questo supera- to, 42. Esopo tassato da Socrate qiresso Plato- ne per aver tralasciato certo Apolo- go, Tfi. Estense (fppolìto) cardioal di Femrap lodato, Estensi donne celebri^ acceDoatap Estremo, ad esso s* attaccano le doonci i93a — Estremi, come da essi dolr biamo discosiarci, 274. Età de* Priocipi e de’ Cortegiaoi, varie difRcollà che nascono dalla diver» sita di essa, S78. — Età m.itura, più rapace dell* amor onesto e ragio- nevole, 387. — Età, tutte hanno qualche peculiar virtù e vixio, Eia d’oro. (Vedi Saturno.) Euhoea,già congiunta alla Beozia, 313. Èva col suo fallo, accennata, 185. Evangelio, luogo di esso circa l’essere invitato a nozze, allegato, B4. — Facezia intorno un altro passo del- l’Evangelio, 134. F Fabio pittore, perchè così cognominato, Faceto, chi propriamente possa, 1^1. chiamar si Facezie. (Vedi Detti, ove ne ha gran co- pia, ed anche Novelle.) Faeesie sono di due sorte, li8. — Ansi di tre, 183. — Ciò che io esse deh- baii osservare, li8. (Tedi Arte. Gioilicio. Ingegno. Rispondere.)-^ Facezie giudiciose, proprie d* un buon Corlegiano, Ili — Luoghi varii donde si cavano, enumerali, 15Q. — Eflelti diversi delle mede- sime, ivi. — AvTorteoM notabili nell’ usarle. 125, Facilità nel parlare, difficile, Fallare, chi falla, e dà mal esempio, dee dopp sa m eoU caaer punito, Digìtized by INDICE DELLE MATERIE. Fama boona o ealtiira quanto importi, <5. — Quanto giovi mandar in- nanii la buona , prima é* entrar nelle corti, 408. Quanto ai deb- ba procurare di coniervarla, 2^ Fanciulle cinque belliisime di Crotone. (Vedi Zeusi.) Fanciunelti a cui spuntano i primi den- ti, con quali amanti dall’ autore comparati, 298. Fanciulli, perché cantino di notte, SIL Fatiche, lor fine qual sia, 2t)2 263. — Utilissimo ad ognuno il lulerarne, tùÀ. Favori de^principi, sodi e veri quai aieno, ÌL — Non ti debbono uc- cellare, 9^ Come in etti debba diportarsi il Coitegiano, 94. Favorire, i princìpi favoriscono talvolta chi non lo merita, 25. Federico duca d' Urbino, lod.ito, ^ t71. ~ Gustava che gli fossero fatte delle burle, 462. — Sua sentenza, 262. Federico Marchese di Mantova; sua gentil riprensione, 142. — E faceta risposta, 444, 445. Federico. (Vedi Gonzaga.) Felicità de* sudditi dee procurarsi dal principe, 259, 260. Femina e maschio intende di prodar la □atnra, 481. Fenice, perfetto Cortegiano presso Ome- ro, 28i. Ferdinando. (Vedi Ferrando.) Fermezza della donna in amare il pri- mo compagno del suo letto, donde nasca. 482. Ferrando re di Spagna, marito d’isa- bella, lodato, 199. — Soggioga il regno di Granala, e toglie parecchie città ai Mori in Affrica, rW, 840. Ferrando minore d’ Aragona, re di Na- poli, eccellente negli esercizii cavai- lereacbi, 488. — Sua avvertenza, 416. — Scioccamente imitato da un mal avveduto in nu suo difetto, 35. Ferro non esercitato, comparato con alcuni principi, 263. Festività, che cosa sia, 116. Faide cose. (Vedi Mangiar.) Pico, uoveUetta di certa donna impic- cata ad un fico, 446. 375 Filippo dìDemetrio assedia Chio; e suo iniquo bando, 197. Filippo Duca. (Vedi Cortegiani.) Filippo il Macedone, sua cura di tro- vare un ottimo maestro ad Alessan- dro, 8^ (Vedi Alessandro.) Filosofa celebri, 481. Filosofia più nobile qual sia, 281. Filosofi antichi, come definiscano Tamo- re, 285. — Filosofi paiono e non sono alcuni porti, 214. — Filosofi severi intervenivano a* pubblici spettacoli ed a’ conviti, e perchè, 421. — Filosofo morale qual sia, Fine nobilissimo della Cortegianit de- scrìtto, 243, 244. Fiore della Cortegiania qual sia, 244. Fiorentini guerreggiano contra Pisani, 127. ~ Usavano il cappuccio, 402. Fiorentino commessario, sua sciocca minaccia al duca di Calavria, 427. Due ridicole proposte d’un Fioren- tino per far danari, i28. —» Oscena facezia d’un altro, 140. Fiorenza ha XI porte, 428. Ftsionomt, lor dottrina accennata, 290. Foglietta (Messer Agostino), sua gentil dissimulazione, 142. Folli chiama l’Autore questi suoi ra- gionamenti, in comparazione delle cose sacre e divine, 185. Fonte pubìico comparalo al principe. 249. Forbici, novelletta accennata, 188. Forche, in alcuni paesi quando uno con- dannato alle forche venga richiesto per marito da una publica meretri- ce, resta libero, con questo che la sposi; facezia curiosa allndente a ciò, 445. Forestieri, quando non sieoo oeressartt per custodire il prìncipe, 268. Forma, ad essa s’assomiglia l’uomo ge- nerante, 182. Fortezza che cosa sia, 255. Viene ajutata dall' ira, rW. — Nasce dalla temperanza, /oi. — Più propria dell’uomo che della donna, 1 SO. ^ Qnal sia U vera nella guerra, 264. Fortuna seconda e avversa, ministra di Dio, 267. — - Perchè mandala da Dio, ivi. Digiiized by Google INDICE DELLE MATERIE. 376 Fortuna c tuoi cRèlti, ^ 1^ ^ 106, 240 e altrove. Franceico (San) riceve il tigillo delle cinque piaghe) 304. Francesco I re di Francia, tue lodi, 308. Esortalo a mover le armi contro gl* Infedeli) 309. Francesi in che sieno eccellenti, 31, — A’ tempi del Catliglione dispreaaa- vano le lettere, 56- — Modetlt,95. — Lodali) 112. — Saccheggiano Caput) 211. — Francesi uccisi a MeteliO) 310. Francia) sua corte lodala) 23. (Vedi Ca- valieri ) — Re di Francia) loto guerre contro gl* Infedeli) 309. Frale 6nlO) che da hurlalo divien hur- lante; novella curiosa, 155, 132. Frati, lor mali costumi, 1S 6. Freddo non è infuso da* cieli e non en- tra nelle opere di natura, 123. Fregoso (Federico) propone il VII gio- co, cioè di formare un perfetto Óor- legìano; e questo solo viene ahhrac- ciato. 19, -0. — Per comando della Signora Emilia Pia seguila il ragio- namento del Cortegiano, IL — Era eloquentissimo, 1ÌÌ2. — Arci- vescovo di Salerno, 241. Fregoso (Ottaviano) lodalo, 2, 262, 2fif>. — Propone il V giuoco, cioè per qual cagione vorrrhhc 1* amante chela sua donna s* adirasse seco, 18. Nemico delle donne, 160. — Du- ce di Genova, 2iL — Si fa aspet- tare, 242. — Era magro, 222. Frequenza eccessiva nelle facezie si bia- sima, 15L Frigida è la donna; eHèlti di tal quali- tà, 1 83. Frigio (Nicolò), 165. — Deride la Don- na di Palazzo che si andava forman- do, 171. — Sua facezia, 123. Frustato, ciò che rispondesse a ehi csortavalo a camminare in fretta, 126. Fruito della Corlegiania, qual sia, ili. 6 Gagliardi, nelle guerre i più gagliardi non sono i più pregiali, 180 . Caja Cecilia, moglie di Tarquinio Pri- sco, lodata, 187. Galeotto da Narni motteggiato per es- sere assai corpulento, acutamente ri- sponde, 133. Galeotto (Giovaolommaso) notato di viltà, e da cbi, 135. Galline mal covano fuori del nido; acu- ta risposta di Cosimo de* Medici, 137. Gartier. (Vedi Cavalieri.) < Garzia (Diego), 138. Gazuolo. (Vedi Conladinella.) Gelosi, loro difetti, 232. Generar bellezza nella bellezza cosa sia, 295. — Come ciò intendesse il si- gnor Morello, ii'i. Generar 6g1ioli, è falso che non si ab- bia dalle donne altra utilità ebe que- sta, 203, 205, 2l7 e seg. Genovese prodigo, ciò che rispondesse ad un avaro che *1 riprendea, 1 36. Georgio (San). (Vedi Cavalieri del Gar- tier.) Georgio da Castelfranco, pittor celebre, 51L Gerione, biasimalo, 271. Germane donne lodale, 198. Giocatore, che ti crede divenuto cieco: novella curiosa, 153 a 133. Giocatore di dadi, perchè comparato colla prudenza, 267. Giochi varii proposti nella corte d’Ur- bino, 13 e seg. Giochi, quali approvati nel CoTtegiano, 106. Giostra famosa ; come in essa si por- tasse un gentiluomo, Ili. Giostre, come debba in queste diportarsi il Cortegiano, 82. Giovane ciascun si studia d’apparire, ^ Giovane donna di meravigliosa conti- nenza, 207. Giovanetti due scioccamente comparati nel canto a due sparvieri, 126. Giovani come debbansi dipoctare, 82. — Ripresi da’ vecchi in molte cose, 77. — Perchè inclinali - all’ amor sensuale, 288. — Quei si postan chiamar divini, ivi. Gioventù comparala alla primavera, 23- Giove, secondo Orfeo, era maschio e fe- mioa, 182. — Nella sua ròcca qual sapienza foste custodita, 249. — INDICE DELLE MATERIE. 31 7 Senta qual virtù non poteste go* vernare il regno suo, 2^ Giovenale. (Vedi Juvenale.) Girolamo. (Vedi Jerontmo.) Giudicare si possono alcune cose subito e in un’occhiata, non cosi le virtù c i costumi degli uomioi, 108. Gìudicìjche cosa facciano alle volle per parer savii, S96. Giudicio, maestro di chi scrive, àSL — Più perfetto diventa per la lunga esperieoxa, 2sL ~ Necessario nelle facetie, 118. Giulio Cesare pcrchb portasse la lau- reai 116 . Giulio 11 pontefice ricevuto magnìBca* mente in Urbino, AìL Suoi ma- gniSci edificii accennati, 271. — > Sua faceta risposta, 317. Giunone, festa detta delle Anelile in onore di tal dea perchè ioslituita, 196. Giurecoosnlti. (Vedi JorisconinUì.) Giustiiia che cosa sia, 255. — Da chi, e per cui comando portata in terra, secondo i poeti., 249. ^ Ajulata dall’odio conira i cattivi; sue lodi; nasce dalla temperanaa, 255. — Massima cura de* buoni principi, 267. Golpino, servo del MagoiSco, faceaia intorno ad esso, 141. (Vedi de’ Me- dici Giuliano.) Gonfiarsi ne’favori non dee il Corlcgia* no, 94. Gonnella faceto burlatore, Gootaga (Alessandro) gentilmente com- parato ad Alessandro Magno, 139. Goosaga (Cesare) propone il 11 giuoco, cioè, ae 1’ uomo fosse necessitato d’impassire, qual sorta di pasiia, essendo ciò in sua potestà, dovrebbe eleggere, 15 e scg. — Fu uomo raro e di belle qualitè, 2AÙ e 241. G-onaaga, donna celebri di tal caia ac- cennale, Gonaaga (Eleonora) duchessa d’Urbioo, lodata, 242. Gonaaga (Elisabetta) duchessa d’ Urbi- no, lodata, ^ i69. — Sua mode- stia e grandexaa d’ animo, H, <2 Sua forte castitè ad onta dell’im- poienaa del marito, 214, e altrove lodata. Gonaaga fFederico) marchese di Man- tova- (Vedi Federico.) Gooaaga (Federico) figliuolo di Fran- cesco marchese di Mantova, lodato, 276, 318. Gonaaga (Francesco) Marchese di Man- tova, iodato, 271. Gonaaga (Giovanni), suapiacevole com- paraaione di suo figliuolo Alcssan-* dro con Alessandro Magno, 139. Governare, dal non saper governare i popoli quanti mali nascano, 246 e seg. Goveroator buono, è gran laude d’un principe Tesser cosi chiamato, 275. Governo ottimo qual sarebbe, 266, 267. Grammatico che non aveva letto, come ciò fosse inierpetrato da Annibale Palcolto, 131, 132. (Vedi Letto.) Granata, e suo regno, conquistato da Ferdinando re di Aragona, 310. Per cagione e virtù di chi, 199,217. Gran Capitano. (Vedi Consalvo Fer- rando.) Grandezza di animo conveniente a’prio- cipi qual sia, 270. — Suoi efifelti, ivi. Grasso de’ Medici, e scherzo intorno ad esso, 62. Grati universalmente, non si debbono motteggiare, 122. Gravità nelle donne moderala, induce riverenza, 225. < — Gravità faceta, lodata, 138. Grazia non s’impara, ma è dono di na- tura, 63 e seg. — Si può rubare e come, 65i Grazia, o sia favore, quanto importi al Cortegiano essere in grazia del suo Signore, 107. — Come debba da esso guadagnarsi prima di volergli ÌQiegnarla virtù, 270. — Della sua donna come debba mantenersi 1* a* mante, 232. Graiiati alconi nascono, altri no, 26. — Graziato deve essere il Cortegia- no, ivi. Grazie come debbansi dimandare a’prin- cipi, 92. (Vedi Favori.) Grecia, sua consuetudine trasportata io Maisilia, 189. Grne. hanno il lor principe, vario però, Dtgi!i7 by '^OOgle INDICE DELLE MATERIE. 378 Guern, suo fine è la pace. 262. — Sema dì esso non è lecita, — In sè sola considerata è mala, 264. — Di- sordine che spesso in essa succede, iyi, Le cose notabili io essa fac* eia il Cortegiano al cospclto di po- di! e segnabiti, 82. ( Vedi Gagliardi. Pace. Turchi.) Guerre di donne, l&Q. Guerrieri debbono sopra lutti gli altri esser letterati, 6X. Guidubaldo, doca d’ Urbino, infermo di podagre, lodalo, 10- — Sotto quai principi mililaise. iVi. — Dottissi- mo e di gran giadicio in tutte le * cose, ll-—lm(»o<enU nel matrimo- nio, 31 4. (Vedi GonxagaEUsabelU.) 1 Idea del perfetto Cortegiano, simile a quella della republica di Platone, del re di Senofonte, e deli'Oratore di Cicerone, 2^ Ignoranza è cagione di tutti gli errori e vizii, 2.Ó2, 253, 262. — In quai cose non nocria, 346. — E uno dei maggiori errori dei principi, 3i5,— Come pure la più enorme fra tutte le bugie, ivi, 2AL Ignoranti si saziano delle cose spesso ▼edule. 86. Imitare i difetti altrui c sciocchezza, 35. Imitazione, necessaria per iscrirer bene, 4L Impossibili cose desiderate inducono al- trui a riso, 149. Impressioni prime sono di gran forza, 2^ 108. Imprudenza di molti, descritta e biasi- mata, 206. Impudenza fucata di certe donne presa alle volle per bellezza, 293. — Im- . pudenza inlolerabile d* alcuni prin- cipi, 246. Incontinenza, difiereote dalP intempe- ranza, 253. — Perchè si chiami vi- zio diminuto, 353. Inconvenienti cose, toccale, 255. Incredulità. (Vedi Credulùh.) India, suoi efièrati abitatori, accconati, 282. Indiscretezza d’un cavaliere nell’ inlv tenere una dama, 83. Industria deiruomo in mansuefare gli animali, 250. — Della stessa dee servirsi in domar le passioui, ivi. Inequalilà ragionevole con chi debba usare il principe, 268. Infamare dnnoe, anche di colpe vere, è cosa degna di gravissimo castigo, 203 e scg. Infermi che sognand di bere a un chiaro fonte, comparati a* cattivi amanti, 286. lofèrmiià perchè date a noi da natura, 76 . Ingannar 1* opinione è il forte di tutte le facezie, 150. Inganno da non biasimarsi qual sta, H5. — Grande degli uomini qual sia, 251, 252. — Inganni grandi c miseraliili de* principi, toccati, 246. Ingegnerò punito con troppa severità da Publio Crasso Muziano, 62. Ingegno, maestro di chi scrive, 42. — Tiene le prime parti nelle facezie, 118. Inghilterra. (Vedi Cavalieri.) Ingratitudine di alcuni Covlegiaoi verso i principi loro benefattori, 23. I nimica, come si portino co’principt, 245. Innamoramento curioso dt molte donne nobili in un sol gentiluomo, 108, 409. Innapioransi gli uomini per altre ca- gioni, oltre alla bellezza, 69. ■ — An- * che per fama, ÌQ9. Innamorali sensualmente sono infeltcis- simi, 286 e seg. Insegnare, non sempre chi sa iosegnase qualche cosa, sa anche eseguirla, S4, loatabililà d^emare oeiruomo onde Ba- sca, 183. > Institulore del principe qual esser deb- ba, 265..— rJii menti un tal nome, 270. InatiluzioD del principe come abbia a farsi, 264, 265. ' Intellettiva virtù come sì perfeiioni, 265. lotellelto particolare non può esser ca- pace delTimmensa bellezza oniver- tale, 300. Intelligcnsa, sua virtù, 365< Intempeianza quanto differente dall’ io- conlineuaa, 253. Intemperati, e loro infeltcilà, 361L Digitized by Google INDICE DELLE MATERIE. 379 loierpTClaTe un delto in senso non In- teso da colili cheM dice, è cosa gra- liosa, 136, 137. Interpretatiooi giocose, 147. Intertenersi con chi debba il Corlcgia- no, 1Q5. Invenzioni molte degli uomini per muo- vere il riso, 120. Invisibili cose veramente sono, 303. Ipocriti esagitati, 185, 116.— Loro co- stumi descritti, ivi* Ira aiata la forteaia, 356. Ironie facete, proprie de* grandi, 143. — Loro doppio uso, ivi. Isabella d* Aragona, duchessa, sorella del re Ferrando di Napoli, lodata, SOI. Isabella marchesa di Mantova, lodata, 201. Isabella duchessa d*Urbino, lodata co- pertamente, 243. (Vedi Gonzaga Eli- sabetta.) Isabella regina di Napoli, lodata, 201. ~ Suoi infortuoi accennati, ivi. Isabella regina dì Spagna, esaltata con somme laudi, 1 99, 217. — Godeva delle burle fattele, i52, (Vedi Ruota.) Isola Ferma, chi ad essa dovrebbe man- darsi, 220. Istrione antico, perchb volesse sempre in itcena comparire il primo, 23. Istrumcnti musicali da 6ato, poco ron« venienti al Cortegiano, 87. — £ meno alla Donna di Palazzo, i76, Italia avea anticamente il suo abito pro- prio, 100. — Suo frequente com- mercio con Francia e Spagna, i12. — Per qual cagion rovinata, 268. — Re dMlalia chi si poteva chia- mare, 271. Italiani in che più vagliano, 3L — Po- sposero un tempo 1' armi alle lette- re, 38. — Sì confanno più cogli Spagnooli, 112. — Malameute imi- tano i Francesi, ivi. Italiano nome per quai cagioni ridotto in obbrobrio, 244. Invidia, si fugge colla medìocrith, i16. Jeronimo, e non Girolamo, vuol che si scriva 1* Autore, 47. Jeronimo (San) celebra molte sante e maravigliose donne, 185. Josquin di Pris, musico eccellente, 1 1O. (Vedi Motletlo.) JuriscoosuUi avari, 211.— Non liti- gano, 139. Juvenale (Latino), sua facezia, 148. Is Lamenti increscevoU in amore, 232. Latina lìngua si variò in diversi tempi , 44. Latine cose del Petrarca, non sono molto stimale io paragone delle toscane, 218. Latini, da chi apprendessero le lettere, i94. Laude, come possa acquistarsi da! Cor- tegiano, 8ÌL Lavinello. (Vedi Eremita.) Laura del Petrarca, di quanto beoaiossc cagione, 218. Laurea. (Vedi Giulio Cesare.) i Legge ingiusta fatta dagli uomini, 159. T«eggi, perche castighino i delinquenti, 3ÓD. — A qual 6ne debbano indi- rissarsi, 203. — Quando sarebbon volealieri obedile, 268 Leggere ì fatti degli antichi celebri capi- tani e imperadori, quanto giovi, Ì!L Leggiadria delle donne, 223< Legno col volger del tempo impietrisce, 313, 314. Leona, meretrice ateniese, suo mirabil silenzio, come onorato dagli Ate- niesi, 189. Leona di bronzo sentz Kogut, cost si- gnificasre in Atene, 189. Leonardo da Vioci, pitlOM, lodato, 40, 115. Leonico (M. Niccolò) sua gentil ripren- sione, 142. Lettere, lodate, 56 e seg. — Se sieno più eccelleou che l'armi, 57. Letto, ec. 132. — Scherzo sopra questa parola pel suo doppio significato. (Vedi Grammatico.) Oigitìzed by 380 INDICE DELXE MATERIE. Leuconia» (Vedi Ghie donne.) Liberaliik falsa qual siaj S73. — £ di rarie specie» ivi, — LiheraUtà s’in* segna Ira i Turchi ai fanciulli nobili^ 43S. Liberili^ supremo dono dì Dio agli uo« mioi| 367. » Qual sia la vera, 258. Liberta troppa ne’ popoli quanto nociva al principe, 268. — Segno di libertà perduta dalla maggior parte d’Italia, non avere abito pro- prio, KKL (Vedi Àbito.) Libertine donne, o sìeno immodeste, biasimate, Ì7A. Libreria insigne de* Duchi d’ Urbino, & Licenza ingiusta presasi dagli uomini, d59,m Licurgo nelle sue leggi approvò la mu- sica, &iL Lingua, in ogni lingua alcune cose sono sempre buone, — Lingua ita- liana, o volgare: sua origine e suoi incrementi, Lingue dipartite di fuoco che comparve- ro sopra gli Apostoli, 301. Liscio, perche ripresa una gentildonna che usava certo liscio, 136. Lisia Pitagorico ammoniva Epaminon- da, 2AL Litigante, ciò che rispondesse all’av- versario che l’avea molleggiato di hajare, 1^3. Livio, notalo di Patavinità, 4Z± Lodar se stesso come si possa onesta- mente, 27. Avvertensa in ciò del buon Corlegtano, ivf. — Lodano sb stessi molle volle gli uomini ec- cellenti, ivi. ~ Lodarono se stessi ' gli antichi scrittori, ivi. Lombardia, paese di libertà, &A. Lombardo vestire a* tempi del Dembo, assai curioso c bizzarro, 101,102. Lombardi, afietlali, 38. Lucchese mercatante, novella cariosa, 129. Lucnìlo avuto da alcuni per mangiato- re, 2AL Ludovico re di Francia, lodato, 190. — Suo motto, 138. « Luigi re di Francia. (Vedi Ludovico.) IH Macchia, tutti abbiamo qualche mac- chia, lA. Maestà, dee conservarsi dal principe, 270. Maestro, e necessario nelle arti, e nelle virtù, 26L — Maestri ottimi in tutte le cose si debbono scegliere, 34. — Debbono considerare essi la natura de’ discepoli, AL Magistrati, a chi si debbono dare, 258. 2o9. — Magistrali cattivi, loro er- rori, 260. — A chi si debbano at- tribuire, 267. ^ Magnanimità non può darsi senza altre virtù, 255. — £ queste quali sie- no, 266. Magnifico (il), cosi si chiamava Giulia- no de’Medici. (Vedi De’Medici Giu- liano.) Malfattori perchb castigati, 25Q. (Vedi Leggi.) Malignila si fugga ne’ motti, 131. — nelle facezie, 1M_. Malvagi, amano d’ esser tenuti buoni e giusti, perche, 249. Mangiar cose fetide e schifose; prodezza sciocchissima d’alcuni francesi e ita- liani, 112. Maniche a corneo. (Vedi Venetiaoi.) Maniera riposata si loda ne’ giovani, ^ 90. Maniere diverse di donne, 225. Manlio Torquato perchè uccidesse il figliuolo, 98. — Non si approva tanto suo rigore, ivi. Mansueiuiìine conveniente al Cortegia- no, &L — Al principe, 270 — Soa- ve. propria della Donna di Palazzo, 178. Mantegna (Andrea), piltor celebre pa- dovano, 50. Manina, vescovo di Mantua, c suo bel disegno, 212, 213. Maraviglia cV alcuno fa ridere, 160. Margherita, figliola di Massimiliano im- peratore, lodata, 199. Maria Vergine accennata, sue lodi, 186. Maria (Santa) Maddalena, 301, Maiiano, certo frate faceto, 158. — Sua Digilized by Googic INDICE DELLE MATERIE. piacevolezza accennata, 12iL — So- leva far r elogio della pazzia, Mario rompe i Tedeschi, i9Si Mario da Volterra, sua facezia, lAL Maritare, bestialità di alcuni padri nel maritar le figliole, 207, Marito, orazione dì un marito al senato per ottener licenza di morire a ca- gìon di sua moglie, Mariti cattivi accennati, iV/.'— Mariti, non sempre amati dalle mogli, liliL ~ Martiri invittissime accennate. 185. — Maschere, loro uso e utilità, Maschio e femina intende dì produr la natura, 181. — Maschio e femina formò Dio gli uomini a sua simili- tudine, i8l*. Massilia, costanza mirabile di una sua cittadina, 189. (Vedi Cicuta.) Materia, ad essa s’assomiglia la donna, 183 . Materia di questo Trattato, L — Stia utilità, Matilda contessa, lodata, fu di casa Ca- nossa, Ì98. Mattia Corvino re d'Ungheria, lodato, 201. — Batte più volle i Turchi, 310. Mattonalo, facezia su tal parola divisa, 132 . Medicina, bella similitudine del modo di dar medicina a* fanciulli, 2A8. Medico eccellente può darsi senza ch’ab- bia infermi da guarire, 280. —Me- dico solo serve a molli infermi, 250. — Medici, quali infermità debbano principalmente curare, ivi. — Me- dici avari, 211. — Scherzo intorno ai medici, 1 39. Medici (Cosimo de’), sua risposta a M. Palla Strozzi,! 37. — Sua ammoni- zione dissimulata, -1A7. Medici (Giuliano de’), duca di Nemours, detto il Magnifico, 2A1. ~ Lodato, 2i — Protellor delle donne, 140. 464. — Sua facezia. (Vedi Oolpino.) — Sua modestia, 169, 171. Medici (Lorenzo de’), suoi detti, 141. Mediocrità, le virtù sono mediocrità, 274. — DifRcile a ritrovarsi, iVi.— — Mediocrità non soggiace ad in- vidia, 116. — Mediocrità nel gio- car agli scacchi più laudabile del- raccellensa, IMi (Vedi Spagnuoli.) 381 — Mediocrità ne’ sudditi, molto giovevole al principe, 268. Meliolo, burlator celebre, ió8. Memoria, le cose che risvegliano la me- moria de’ gustati piaceri, sono gra- te, li, Ih. Mercatanti debbono essere ajutati dai principi, 275. — Mercatanti giudi- siosi imitar deve chi pensa di disco- starsi alcuna volta dai comandi del suo principe, 9ÌL Mercurio quali virtù recasse in terra, secondo le favole, 249. Meretrice publica come potesse liberare un condannato alle forche, iiò. Merito e la vera via d’ ottenere i favori dei princìpi, — Meriti come debbano essere rimunerati dai prin- cìpi, 268. Messa frettolosa, facezia d’un prete, 149. Metafora, lodevole, 46. — Metafore ben accomodale e loro uso, 137. — Me- telino, Francesi uccisi dai Turchi a Melelino, 310. Metrodoro, filosofo e pittore, 68. Michele (San). (Vedi Cavalieri.) Millantatore cavaliere come fosse morti- ficalo da una dama, 22^ Minacce alle volle fanno ridere, 150. Minerva quai musici istrumenti rifiu- tasse, 3L Ministri buoni. (Vedi Principe.) Minuzia non si dee chiamare cosa alcu- na che possa migliorare un princi- pe, 274. Miseri non si motteggino, toltone un sol caso, 122. Mitridate teme la morte più che non la temesscr sua moglie, e le sue sorel- le, illL Modestia nel Cortegiano, lodata, 37, 59. — Sola non fa Puomo grato, ^ — Non diventi rnslicità, ivi. Moglie brutta motteggiata, 13iL — Mo- gli. (Vedi Communilà, cc.)— Mogli cattive accennate, 190. Moisè, rubo ardente da esso veduto, 30 J . Molar!, capitano, come motteggiasse il Peralta, 148. Molli di carne, atti della mente; assio- ma filosofico, ISO. MoUiludine, naturalmente ha odore del bene e del male, h. (Vedi Valore.) Digitized by Google 382 INDICE DELLE MATERIE. Mondo h ana pittura» &L Deacritto come bello» 28X> ^ Mondo piccolo li dice Ttiomo, ivi» MoBtefeltro (di). Donne iniigni di que- sta famiglia accennate» 193. Monte6ore, osteh^t» 161. Monte (Pietro), lodalo, 34, 171. Mò quarta sera» ciob ora è la quarta stroj 372. Morali virtù non sono totalmente da satura» 350. — Come ai perlesioni- no, 364. Mordacità eccedente dee fuggirsi» 125. Morello da Ortona» cavatier mollo vec- chio, 3H5. Suoi scherxt e bisaar- Tie, 288, S89, 295, 296. Mori e Turchi troverebbero la lor sa- lute nella propria ruina, 221. (Vedi Torchi.) — Morì uccisi in grandis- simo numero dagli Spagnoli per causa di chi» 213. Morte» che facciano alcuni per panra di essa» 811. Mosca» fu lodata eoa un libro intero da certo iogegnoso scrittore» ^ Moscovia produce quantità di sibeUiui, 429. Motteggiare all’ improviso è più conve- niente» che dopo d’ avervi pensato sopra» 161. Mottetto non istimato prima che si sa- pesse essere composizione di Jo- aquin d i Pris, llQ. ( Vedi Josquìn.) Motti. (Vedi Detti, ove ns ha gran co- pia, ed anche Novelle.) Motti di due sensi, quai sieno, 123. — . Molti ridicoli onde nascono, 124. Musica lodala, 62, 63. — Sua fona, tVi. ì) proìialnTe che sia grata a Dio, È di molta consolazione, ivi. Conviene al Coitegiano. 62. — Quando oprar si debba, 8^ — Qual sia la più lodevole, ivi.-— Suo difetto, ìli. Musico deve esser roomo ben discipfi- nato. (Vedi PUtooc ec.) — Musico eccellente divenuto pessimo poeta, 445. — Musico quaodo diletti t si stimi, 38. Muiation di Stato da quai cagioni ori- ginaU, 268, 269. N Napoli abonda di vestigi di grandi edi- 6cì degli antichi, 271. — Due re- gine di Napoli di gran virtù accen- nate, 2QQ. Narrar facesse come' sì debba, 433. Nascono per lo più i buoni dai buoni, 24, Naso, facerìa troppo acerba intorno ad un seusa naso, 3iL Natnra, e sua propnetb, 479. — Dee seguirsi nello scrivere, 52. Legge di natura qual sìa, 263. ~ Sempre la stessa, e sempre diversa nelle sue opere, 312 e legg. Nave che parte dal porto comparata alla vecebiaja, 74. — Bella similitudine d’uoa nave colla ragione» 252. — £ d’un governator di nave colla stessa, 255. — Navi» perchè abbru- ciate da certe donne Trojane presso Roma» 494. Nero colore, abiti di color nero» o ti- rante al nero» più convenienti nel vestire ordinario » 4Q1. Nerone, congiura contr’esso accennata» 4 89- Nicoletto, buon 61osofo» ma niente in- tendente di leggi, sua opinione con- traria ad una di Socrate» 444. — Suo detto, 438, 439. Nicolao V, papa, scherco su una sua in- scrizione» 124. Nicostrala» madre d’ Evandro» mostrò le lettere ai Latini» 494. Nobile è tenuto a operar virtuosamente» 22. — Nobili molti vinosi» 24. — Consiglio de’ nobili qual esser do- vrebbe» 366 — Nobili in che ma- niera debban giocar coi villani, 84* — Nobile sia il Coclegiano» 23. Nominar con oneste parole una «oae vi- giosa è modo faceto, 146. Novelle, del Proto da Lucci, 434. — D'un giocatore che si crede dive- nulo cieco, 464.— D'wn frate 6nto cita da burlato divenne burlante» 466. — D’ uno che la creduto pas- to, 457. ^ D* un lai Poniio, che involò ad un cootadino un psjo di capponi» 458. — D’una tal Gam- ma» che ptrir volle» a fece perir di INDICE DELLE MATERIE. 585 I TelcDO il tuo tmaotc uccuor del di lei marilo, per acrLarsi a qnrtlo fé* dele 1 90 e aeg. — Dì Madoona Ar- geDtiaa, che mori d'improviso per rallegreiia d* avere a riveder il ma- rito gt^ ichiavo dei Mori, i93. — Di rara onesta io una giovane don- na» 2U7. E d* altre due don- ' aelle, SU2, — E d* altra, 21i — D*uoo che volea farsi pagar roste- ria dalla sua ionamorata, Novità, sempre cercata dagli uomini, L. Noaxe, costume io esse degli antichi, m. Numeri nello scrivere donde nascano, bl. O Obedire è tanto naturale, utile e neces- sario, quanto il comandare, 258. — Obedito è sempre chi sa comanda- re, Obelisco intorno a* sepolcri cosa signi- 6cassero presso certi antichi, 2G3. Occhi della nrente da latti si hanno, e da pochi si adoprano, 300. — Quan- do divengano acati e perspicaci, iVi. Occhi, loro efficacia, 229, 230. — Di- versità, jVi. -^Guida in amore, ivi. — Occhio infermo guasta il sano, fW.— Novella di uno che avea per- , duto un occhio, 146, 147. Odio contro gli scelerali aiuta la giu- itisia, 265. Officìi, scherto gentile su questa paro- la, IMt Oglio, fiume che passa accanto Ga- zuolo in Mantovana, in esso perchb si gitiasse una fanciulla, 212. (Vedi ConladinellaO Olimpici giochi dove si celebrassero, IfìS. Omero in che imitato da Virgilio, 44.— Venerato da Alessandro, ^ — Formò due uomini eccellenti per esempio della vita umana, e quali, 281. (Vedi Achille. Dlisse. Fenice.) Onesta delle donne non a’ofienda, 159, 164. ~ Come ss scuopra, 174. Quanto si stimi, ivi. — Amata piti della vita da alcune, 2ll. Optra migliore che possa Carsi dal Cor- tegiano qual sia, 248. i Operaaiooi,ds varie sorte, 102, 1Q3. ^ Per esse si vico in cogomone del valore di chi la fa, ivi. Opinione, credesi alle volte pim all* at- trai che alla propria, i 1 6. Opinione, facctie fuor d’ opinione qual sieno, 132. (Vedi Inganiiare.) Oratori diversi tra loro, benché tutti perfetti, Orasione del Bembo allo Spirito Santo, 302. Orazione d* uno annoiato si della mo-« glie, fin a voler morire di veleno, accennata, 190. (Vedi Marito.) Oraaio riprende gli aolicbì per aver troppo lodato Plauto, 44. Ordine, cose dette fuor d* ordine fanno ridere, 150. Orièo, sua senteosa intorno a Giove, 182. Orma di Dio si trova nella conlenpla- lione, 300. Osca lingua, affatto perduta, Oscenità nelle facezie detestata, 140. Oscurità nel parlare si dee fuggire, 42. « Nello scrivere, alle volte apporta grazia, 4^ 41* Osteria, curiosa novelletta d* un amante che volea che gU fosse pagata l’oste- ria dalla sua amata, 234. (Vedi Sciocchezza d’un genliluono.) OstinasioDC propria delle donne, 18$. Ostioaaione tendente a fine virtuoso si dee chiamar costanza, 189, Ottavia, moglie di Marc* Antonio, e so- rella d* Augusto, lodata, 187. Ollimati, sorta di governo, 257. Ottomaui (Gein), suoi detti, 138. Ovidio, gran maestro d'amore, 235. Alcuni costumi rozzi de’suoi tempi, ivi. Olio, e suoi mali, 264. p Pice ^ io se buona, deve essere il 6oe della guerra, 263, — Disordine ebe suole avvenire io essa, 263. — Il suo fine è la traDijuillìlb, ivi. — Principi gloriosi in guerra, perchè vadano in ruioa in tempo di pace, 263. 2Cè. Digitized^^^oogle 384 INDICE DELLE MATERIE. Padoa^ il Podestà diipeosava antica* mente alcune letture di quello stu- dio, HA. (Vedi Campanile.) — Ve- ecovo di Padova. (Vedi Della Torre.) PalaiBO publìco d*Urbioo^ il più bello di tutta Italia, S. Palatao (Donna di). (Vedi Donna dì Pa- iatto.) Palatto (Uomo di ) per Cortegiano. (Vedi Cortfgiaoo.) Paleoito (Annibale). (Vedi Gramma- * tico.) Faleotto (Camillo), Ì35. — Suo detto, iU. Palla, gioco conveniente al Cortegiano, ìiL Pallade, lodata, <9A. Pallavìcino (Gasparo) , propone il I giuoco, ciob di qual virtù vorrebbe chi ama che r amata sua fosse più adorua, e qual vitio in lei più do- vesse comportare, supposto che di tutti priva nou potesse essere, iA. — Nemico delle donne, Gran guerriero, i63. — Lodato; sua morte immatura, 2AQ. Panetio ammoniva Scipione, 2i7- Parì,cooversatione co* pari più frequen- tata di tutte, SiL Parlare, ciò che ad esso si richieda, Hl. — Teiera alcune cose che aborrisce lo scrìvere, ^ Bellissimo e quello che e sìmile alle belle scrit- ture, 40. — Onde nasca la buona consuetudine di esro, 4&. — Parla- re e scrìver bene deve il Cortegiano, 42. — Di che debba parlare, ^ M. — Come la Donna di Palano, 175. Parmegiana, o sia distretto di Parma, prodessa d*un gentiluomo nel fatto d’arme che ivi sifececontra il re Carlo, 114. Parole senta le sentente, dispretzevoli, 44. — Detto di Cicerone, iei. — Lor mutamento, Parole di diverse naiiooi usate dal Boccac- cio, ^ Passioni perche date a noi da natura, 24 , Patavinilà ripresa in Tito Livio, 42, Patria come debba amarsi dal principe, 267, 263. Patria universale, voleva Aristotele, che Alessandro facesse divenir tutto il mondo, 2SI . Pavia. (Vedi cardinale di Pavia.) Paolo (San) a che paragonato, 126. Rapito al terso cielo, 304. Paolo gentiluomopisano,come liberasse Tommaso suo padre dalle mani dei Mori, 193. Paura vana cagiona il riso, 153, Pattia delle donne in che si conosca, 275. Pattie diverse, 14. Patti, divenuti tali in gratta di Dio, secondo 1* opinione di fra Mariauo, si salvano sicuramente, i4« Patti CRafaello De*), sua giocosa inter- pretazione, 147. Peccare procede quasi sempre da igno* ranza, 253. Pedagoghi buoni, cosa insegnino a* fan ciutjj, 251. Peggiori (a*) sempre s’attaccano le don- ne, HO. Peleo padre d* Achille, 281. Pentirsi, detto di un tale, che non com- prava si calo il pentirti, 211. Pepoli conte, discepolo del Beroaldo, 134. Peralta capitano, motteggiato, 148. ^ (Vedi Molari. Aldana.) Perdonar troppo a chi falla,è iogiurioso a chi DOD falla, 33. Perfesioor, chi più ad essa s’ avvicina, è più perfetto, — Quanto sia dif- Beile a conoscersi, 2L — Di tutte le cose, non ti trova nella natura umana, 113. Pericle, sua contìnensa lodata, 204. Oppugnata, 210. Persia, ambasciatori del re di Persia presso Filippo, quale pronostico facciano di Alessandro fanciullo, 319. Persiana spada di Dario acrommodata allaMacedouica prima ch’egli com- battesse eoo Alessandro, cosa pro- nosticasse, 100, 101. — Persiane donne col riprendere i loro nomini fuggitivi per la rotta di Ciro, sono cagione di lor vittoria, 197 . — P er- siani geatiluomioi, mollo gentili, 170. Persuasion falsa di sb stesti, un de’mag- giori errori de* pTincipi, 245, 242. Digitized by Google INDICE DELLE MATERIE. m Pe«le 1» più mortile >l mondo qual sia, ^17. Peste per dicci anni tenuta lontana da Atene per messo di chi, mi Festireri alle cittù qnai sienojloro ca- stigo, SÓQ. Petrarca e Boccaccio, usarono parole oggidì rifiuUte, 42. — Se fossero stati sivi a’ tempi dell’ autore, avrebI>ero tralasciato d’usar molte parole, 4S. — Non si debbono soli imitare, ùL Petrarca si rese immortale coll’avere in grasia di Laura scritto, in lingua volgare, il suo Cansoniere, 21S. — Suoi versi in lode delle lettere, 60. — Acutamente interpretati, 61. Piacer falso qual sia, 286. — Piacer vero è sempre buono, 262. Piasse d’ Agone in Roma; in essa si fa- cce un’ annusi festa a’ tempi del- l’autore, 246. Pietà verso Dìo quanta necessaria nei princìpi, 267. Pietro (San), suo tempia in Roma da chi rifabricato con gran maguiflcen- «, 211 . Pii (Emilia De’), dama di grande spi- rito nella Cotte d’ Urbino, il. — Ordina che si propongano i giochi, 43. — Donne valorose di quella casa accennate, 198 . Piccinino (Niccolò), tuoi detti celebri accennati, 16. Pierpaolo, aOfetlato nel dansare per troppo studio, 36= Pigmalione s’innamorò d* una statua d’avorio da lui formata, 172. Pindaro, discepolo d’ uua donna, 164. Piramidi d’Egitto, e loro origine, 264. Pisane donne, lodate, 201. — Celebrate da’ poeti, ivi. — Pisani gutrreggia- no co’ Fiorentini, 127. 126. Pistoia, cognome d’uno che scherxa con fra Sera6oo, 139. Pitagora sentiva nella musica certa di- vinità, 88 Come ritrovasse la misura del corpo d’Èrcole, 168. Pittori, molto stimati dagli antichi, 64, 61 e seg. Pittori tra se diversi, ticnchè tutti per- fetti nella lor maniera, 60. Pittura quale esser debba, 37. — Se aia più nobile della scultura, 64, 6ò, 66,67. — Sua utilità, ivi . — Deve in- tendersi dal Cortegiano, ivi As- sai stimata dagli antichi, 61 e seg. — Chi non la stima, è privo di ra- gione, 66. — Pittura, similitudine di essa, 46. 31. Platone, fu perfètto Cortegiano de’ re di Sicilia, 281. — Assegna alle donne la custodia delle città nella sua Re- pubblica, 178. — Esso ed Aristo- tele vogliono che roomo ben disci- plinato sia anche musico, 63. Plauto, troppo lodato dagli antichi, al parere di Orario, 44. Poemi greci e latini , nati per cagion delle donne, 218. Poetesse insigni, accennate, ISO. Poeti che paiono e non sono 61oso6, 114. PoliRlo, parole di esso troppo ricercale, 233. Pompe in ogni genere di cose debboDSÌ reprimere dal principe, 216. Pontremolo (Giovaii-Luca da). Auditor di Rota, motteggiato, 148. Ponzio scolare siciliano in Padova, gran burlatore, 158. (Vedi Campa- nile.) Popolar Consiglio dovrebbe istituirti, ed a qual 6ne, 266. — Popolare amministrazione; sorta di governo, 207,268. Popoli buoni, indizio del principe buo- no, 26fl. — Popoli, come debbano amare il principe, 261. Porcaro (Antonio), 136: Porcaro (Camillo), molto gentilmente loda M. Antonio Colonna, 137. Porcia, figliuola di Catone, e moglie di Bruto, lodata, 187. Porta (Domenico Dalla), Auditor di Rota, motteggiato, 148. Portamenti delle donne, diversi, 225. Porte, che parlavano senza lingua e udi- vano senza orecchie, facezia, 123. Porte XI sono in Firenze; si propose una volta di farne altrettante, de chi e perchè, 128. Porto, abonda di vestigi di gran fab- briche degli antichi, 271. Potenti non si debbono motteggiart, 122, 161. 53 '■ Digitized by Google 38G INDICE DELLE MATERIE. Potrnia, nolle rote puramente naturali prerede 1* operaiione. 251 . Potrnta dc’tudditi, nociva al principe, 268. ~ È più facile impedirla da principio, che cresciuta reprimerla, 369. Povero importuno che diede occasione a tre diversi moUtf i.22. Poverlli de^ sudditi, nociva al principe ed al governo, 268. Povxuolo, ahonda dì vestigi dell* antica magnificenza, 271. Precelli, mollo giovano, 80. rrefello di Roma, sopraginnge nella Corte d’Urbino in tempo di rpiesti ragionamenti, 70. — Lodato, /t»i, 241. — Suo motto, 149. (Vedi Bella Rovere Francesco Maria.) Preghiere degli amanti debltono esser modeste, 229. Prelato che pensava scioccamente d’es- ser grandissimo di statura, ciò che facesse, '141. — Prelati avari, 211. Prelibato, termine forense, che significa sopraccennato j suddetto , preso goffamente da un fiorentino forse per qualche gran Prelato, Presenza de’priocipi è spesso necessa- ria, 262. Presuntuosi, per lo più favoriti da'prin- cipi, 95.»^ Presuntuosi che voglio- no giudicare di ciò che non sanno, ^89. Presunzione afièltata d* alcuni, IQQ. Prete. (Vedi Messa.) — Prete da Var- lungo innamoralo della Belcolore, 4 24 Prete di villa come molteg- gialo, 136, LS2. Primo dee procurar di comparire nelle publichc feste il Cortegiano, 82. Principe, condizioni in esso richieste, 270 e seg. — Cose a lui convenien- ti, toccate sommariamente, 2ti6 a 271. .— Cure e cogniaioni allo stesso necessarie, 2 75 e seg. — Principe buono qual sia, 273. — Quanto sia giovevole al mondo, 218. (Vedi Squadro.)— Principe cattivo quanto Boccia, iW. — Quando ti conosca incorrigìbile, dee abbandonarli dal Cortegiano, 28S. — E perchè, ii»r. — Principe . elegger buoni minUlri è proprio uflTicio di esso, 200. — Virtù de* principi necessarie, fW.— Convenienti, 24^. — Con esso dee principalmente conversare il Corte- giano, 9JL — F come possa in ciò essergli grato, ivi. — Principe ma- scherato come debba portarsi, 8^—* Principi, aborriscono per lo più d'udire la schietta verità, e però nel porgerla loro si richiede gran de- streaza, 247. — > Di che cosa abbia- no essi più bisogno. 245. — Loro Principal incumlienta, 260.— Prin- cìpi cattivi e ignoranti, peggiori di certi colossi fatti di stoppa e di stracci, e perchè, 246. — Principi eccellenii quanto sien rari, 27fiL — Principi, quando sono di buona na- tura, facilmente s'instituiscono, 279. ProcQste, biasimato, 271 . Profession di colui con cui si parla, at- tender si dee, 83. Prometeo, qual sapiensa fingasi die ru- basse a Minerva e a Vulcano, 249. Propinqui come debbansi amare dal principe, 268. Prospcrilè de* principi da che dipenda, 267. — Prosperiti, perieoU di essi, 264. Proto da Lucca, sua novella, i 34. Proiogene. perchè biasimato da Apellt, 37 . (Vedi Demetrio.) Provenzal lingua antica non a* intende dagli stessi paesani, 48. Prudenia che cosa sia, 256, 267. — Corregga la mala fortuna, 267. — Necessaria a tutte l’ altre virtù, 274. Prudenza del Cortegiano, i L3 e seg. Publio Crasso Muziano punisce troppo severamente un ingegnerò, 09. Pudicizia nelle donne quanto sìa lau- dabile, 205. — B più commune io esse che negli uomini, iw. — Per quai cose spesso da esse si venda stoltamente e vergognosameote , 276. Puglia, come si risanino colè gli ata- rantati, ovvero morsicati dalla ta- rantola, lo. 9 Querrle, il Corlfgimo derViMre in- teodeote dille querele die iniorgoDo tra i nobili, iiiì. INDICE DELLE MATERIE. 387 Quartana febie, lodala con un libro, da un ioge($DOSO scrittore, Quattro viole da arco, musica di esse lodata, R Rafaello d’ Urbino, eccellentissimo nella pittura, ^ fifì- — Sua risposta acuta e libera a due cardinali ,iA5, lAfi. Ragione umana, sua maravigliosa fer- ia, 2^ — Aiutala dagli atì'elli,2S&. Cura che di essa dee prendersi, gfiS. — Sua legge come sempre debba osservarsi dal prìncipe, IGIL Rangone (Conte Ercole) discepolo del Beroaldo, i36. Ratti, perchè odiali dalle doone, que- stione proposta da fra SeraSoo, jUL Re di nobile stirpe, qual dovrebbe es- sere, aiutato da un perielio CorU- giano, 259. Re di Francia e di Spagna, lodali, 112, d07 e seg. Regina perfetta più facile a formarsi, che una peifelU Corlegiana, 171, 172. Regnare, più contrastar dovrebber gl* ignoranti principi per non re- gnare, che |>er regnare, 346, Regno, se sia migliore della republica, 256. Religioso, cioè pio, deve essere il prìn- cipe. 2fiL Rcmuncraiioni fatte da’ principi quali esser debl>ano, 26S. Republica. T[Vcdi Regno.) Ricchetze eccessive cagionano gran rui- oe, 36& Rìcreaiione,cefcata da tutti gli uomini, 4 20 . Ridere, far sempre ridere non si convie- ne al Cortegiano, 121. (Vedi Riso.) — Ridere senza proposito provoca il riso altrui, 15Q. Ridicoli. (Vedi Molli.) Riposo, dev’essere il 6ne delle fatiche, 262. Rspiendere, senza parer di ciò fare, è grazioso, 142. Rìsgttatdi utilissimi che debbono avcjsi dai principi, 270, 271. Riso, quanto sia proprio dell* uomo, 120.'— Dee muoversi a tempo, i2i. — E ditCcile a saper cosa sia, ivi. Rispondere al contrario, leotamente, e con certo dubbio, provoca il rìso, 150. — * Rispondere airimprovUo motteggiando, è più conveniente, che dopo d’aver ben pensato, 161. (Vedi Motteggiare.) Rispondere al non detto, fa ridere, 149. — Rispondere altramente di quello ch’aspetta l’uditore, è la sostanza delle facezie, 150. Risposta argutissima d’una dama ad un cavaliere millantatore, 2L Rivali, come debbano trattarsi; scher- zo, 2(5(5. Riverente e rispettoso dev’essere ilCor^ tegiano verso il suo principe, 92 e seg. Rizzo (messer Antonio), suo detto di- screpante, i48. Roberto da Bari, eccellente nel contra- fare, 124. — Affettato nel danzare per troppa sprezzalura, 36.— Morto giovane; sue lodi, 241. Rodi. (Vedi Demetrio.) Roma, tradita da Tarpea, s’acrciina, 496. _ Moderna, f'iacissima di re- liquie di grandi edi6ci degli antichi, 271. — Già regina del mondo, ora non si nomina che per la religione, 314. Roma si chiamò una donna, capo di al- cune valorose Troiane, 194. Romana giovane morta gloriosamente per difesa della sua caslitè, 213. — Romaua republica molto aiutata da Cicerone, 1^6 — Romane donne. (Vedi Abbracciare.) — Romani ciò che facessero per tenere il popolo al- legro, 120. 121. — Loro magnifi- cinza nel fabricare, 211. Romolo, sue imprese aeoeonate, 193. Rovere (Signora Felice Della), sua mi- rabile dflil>erazione per conservare la caslitè, 214. Rovere (Francesco Maria Della), Pre- fetto di Roma, e poi duca d’ Urbino, lodalo, 241. (Vedi Prefetto di Roma.) Rota, magistrato celebre in Roma; in- dtizzar la Rota volea il p.ipa con due gobbi; curioso scherzo, IM. Digitized by Google INDICE DELLE MATERIE. 388 BuoUt belli complritionc d' ani raota con Iialiclla Tcgina di Spagna , 20U. Rusticità non dee diventar la modestia, 96. S S, lettera gerog1i6ca, portala in frante dalla duchessa d’ Urbino, 17. (Vedi Aretino.) Sabine donne, come giovassero all’ au- mento di Roma, 195, 196. Sadoleto (M. Jacnmo), suo ingegnoso motto al Beroaldo, 166. Saffo, poetessa eccellente, 194. Sagacit'a nelle donne piace ad aicnnt, 225. Saguntine donne, lodale, 198. Sallaaa dalla Pedrada, suo gentil mot- to, 137. Salomone, sua Cantica accennala, 218. Sannataro, vario eOfeUo che cagionarono certi versi recitati come del Sana- caro, quando si scoperse che non erano di lui, 110. Sanese, suo detto, 140. Sanesi, motteggiati, 127. — Si danno sotto la protezione dell’imperatore, 140. San Leo, fortesza perdala, scherio in- torno a tal perdila, 144. Sansecondo (Jacomoj eccellente in can- tare alla viola, 120. Sanseverino (Galeaaso), lodato, 34. Santacroce (Alfouso), sua facesia, 142, 143. Sapere, à l’origine del parlare e scriver Irene, 45. — Sopra tutte le cose è desideralo dalla natura, 56. Sapienza artificiosa qual aia, 249. — E qual la civile, ivi, Sardanapali infioili ai trovano al mon- do, 202. Sasso, sua natura, 250. Saturno, età d’oro che fingesi essere stata a' tempi di lui, come si po- trebbe far ritornare, 256. Scacchi, mediocrità nel saper giocare ad essi, più lodevole della eccellenza, 106. — Corlume di chi gioca a scacchi, 130, 131, (Vedi Scimìa. Spagnoli.) Scelerali non muovono a riso, 122. — Non si motteggioo, 151, Scienza vera qual sia, 253. Scìmia che giocava eccellentemente à scacchi, descritta, novella eraziosa. 130,131. Scioccherie di alenai che per esse si sti- mano buon compagni, 111. Sciocchezza fingere, modo facèto, 144, 146. Scìocchfsza di certo cardìoal giorané, 8ijSò. — -D'un gentiluomo amalo da una gran tignorai SI54 (Vedi Oiterìa.) Sciocebetae nelle fare- aie lunghe ai fuggano, d31. Scipione Africano ironicamente faceto, 143. — Sua continenza, 2Qi, 206. — Oppugnata, 209. — Negata Ha alcuni acriltori, iVi. — Tenuto per sonnolente, 247. — GuslaTa delle ammoniaioni di Panetio, rW. Scipione Nasica ciò che rispondesse ad Ennio, i45. Scirooe, biasimato, 271. Scizia, suoi ederati abitatori, 28S. Sciti, lor barbaro costume, 263. Scrittori, da chi ti conoscano, 58, 59i — » Scrittori antichi, in che consista la lor differenza, 62. — Diversi da Cicerone io alcuni termini, 63. Scrittura altresì aborrisce le parole che si fuggooo nel parlare, 39. Scrivere, quali utilità apporti, 58, 59* — Scrivere e parlar bene deve il Cortegiano, 42. In che consista lo scriver bene, 3. Scultura te sia più nobile che la pillu- ra, 65. — Sua difficoltà, 66. — Non può mostrar molte cose, iW. Scurrilità dee fuggirsi dait Cortegiano. i69. Secretezza in amore quanto giovi, 23l. Secreto come debba tenersi Vamore, 235. Sedulilà, propria delle donne, 480. Semiramis, lodata, 202. Semplicità nelle donne piece ad alcuni, 225. Senile età, inette a gustare i piaceri, 74. Senocrate, sua continenza, 204. — Ne- gala, 209, 210. — Dedito aH'alj- briachezia, ivi. Seoofonte emmonitore dì Agesilao, 247. — Sua sentenza, 207. Senso, suoi errori nel giudicare, e suoi danni, 286. — Ne giorani e polca- Digitized by Google INDICE DELLE MATERIE. 389 UsMino, 9S7. — Sensi che tengono poco de) corporeo nell* uomo, quei sieno, S95. ScraSno (Frate) propone il Iti gioco, perebÀ U donne abbiano in odio i Titti, e amino le serpi, 16. •— Bur* latore faceto. 158. Serafino, medico Urbinate, novelletta di esso, e d'un contadino, 146, 147. Serafino, molleggialo per esser simile ad una valigia, 139. Serpi, perchè amate dalle donne, 16. — Servi naturalmente quai sieoo, 958. — Ad essi è più utile TubbU dire, che il comandare, iW. — Ser* vi, non debbono essere oiiosi, anti- co proverbio, 264. Servire a* principi fin a qual segno si debba, 97. Servitù troppa ne* popoli quanto noci* va al principe, 267, 268. Sesto Pompeo spettatore in Massilia della meravigliosa costanaa d’ una donna, 189,190. Severi uomini debboosi obedire appun- tino, 99. Sibille, lodate, 194, Sicilia, giè congionta all* Italia, 313. Signore veramente degno degli uomini in terra qual esser dovrebbe, 257. Signori che intervennero a* ragiona- menti del Corlegiano, enomerali, 12, 13. Signori bnoni debbonsi eleggere da ser- vire, 96, 97. ~ Signori, favoriscono alle volte chi non lo merita, 25. Signoreggiare è di due modi, 268. Simnlatìone de11*aDÌmo impossibile a conoscersi, 104. Sinalto maravigliosamente amato da Camma sna moglie, 190 e aeg. Sinorige, iofèlice esito de* suoi amori Terso di Camma, coi ucciso avea il marito Sioatto, 192. Socrate vecchissimo impara musica, 62. ^ Sente in essa certa divinilè, 88. (Vedi Pitagora.) — Si diletta delle ironie facete, 143. — Ama Alcibia- de, 909. — Si maraviglia presso Platone che Esopo abbia tralasciato certo Apologo, 76. Sofl re di Persia, sua Corte lodata, 170. Sole, bella similitudine d*un raggio di sole, 285, 286. Sonetto dell* Unico accennato,i7.(Vedi S.) Spagna, costume di Spagna e d* altri luoghi, 145. Spagnoli lodati, 112.— Loro abilita, 31. — Maestri della Cortegiania, 95. — Gli stimati sono modestissi- mi, 96. — Eccellenti nel gioco de- gli scacchi, 106. (Vedi Mediocrìth.) — Buoni motteggiatori, 117. — Per cagion di chi uccidessero tanti Mori 218. Spagnolo. (Vedi Diego.) Spartane donne, lodate, 198. Sparvieri. (Vedi Giovanetti.) Specie nmaoa senta donne noopoò con- servarsi, 181. Speransa nutrisce amore, 225. — Spe- rante di cose disoneste dee levarsi affatto dalla donna amata all* aman- te, 224. — Sperieosa perfetiooa il gindìcio, 73. Sposalitio del mare si fa in Veneaia il giorno dell* Ascensione, 128. Sprettalura lodevole qual sia, 37. — La troppo affettata si biasima, 36. Squadro degli architetti comparato al buon principe, 260. Stadio di quanti piedi sia, 168. Stagira, patria d* Aristotele, da chi • per qual cagione riedificata, 281. Statue di vani metalli fecero gli antichi per onorare i celebri capitani, e per istimolo alla loro imitaaione, 248. Statura più conveniente dell* uomo e del Cortegiaoo qual sia, 29. Stefano (San) vede i cieli aperti, 301. Stile, donde nasca, 53. Strascino, buffone, 125. Sirozti (Mesier Palla), ina minaccia a Cosimo de’Medici, 137. Studii del Cortegiaoo, 58, 59. Sudditi buoni, rendono grande e felice il principe, 269. — Che essi sieoo più savii di lui, è cosa perniciosa e difforme, 246. Superbia dee fuggirsi dal Cortegiaoo, 113. Superstitioni deefuggir il principe, 267. Suspition di ridere, i motti che in sè la racchiudono, sono arguti, 146. 33* Oi §rtT»ed- b y Google 590 INDICE DELLE MATERIE. T Tjcìlurnità con maraviglia (a ridere^ iòO. Tacilurnit^ di Leona meretrice, come significata dagli Àteniesii Ì89. — (Vedi Leooa di bronzo.) Tar(>ea, si accenna il suo tradimento di Roma nella guerra di Tito Tazio> 196. Tatto, non e a proposito per fruir la bellezza, 264. Tedeschi, superati da Mario, H96. (Vedi Germane.) — Tedesco come sala- tasse il 6eroaìdo,e come da esso ri» salutalo, 135. Temistocle, suo detto intorno a’ vecchi, 74. — Sua bella sentenza, 272. Temperanza libera da ogni perturbazio» ne, a aual sorta di capitano compa* rata, 254 — *È virtù perfetta, ivi. — Dovrebbe possedersi da* principi, ivi. Da essa nascono molle vir» lù, 255. Tempo, giusto giudice del merito degli scritti, 5. — > Scuopre d*ogni cosa gli occulti difetti, ivi. Tempi passali, lodati alle volte non senza errore, 73. Teodelioda regina de* Longobardi, lo» data, 198. Teodora, greca imperatrice, lodata, ivi. Teofraslo, conosciuto forestiero io Ale» ne per parlar troppo ateniese, 4. Teologi, scherzo inloroo al medesimi, 138. Terra scavata nel far i fondamenti del palazzo ducale d* Urhioo , dove s* avesse a riporre per sciocca opi- nione di certo Abbate, 126, 127. Tesauriero. (Vedi Dio.) Teseo, lodato, 271. Tevere, ove il Tevere entra in mare, vennero dopo la guerra alcuni Troia- ni, 194. Timidità, alle volte cagiona il riso, 150 — Timiditli, nelle donne onde na- sca, 184. Timore de* buoni prìncipi 4 per li po- poli, non per ab stessi, 261. Tirannide, è il pessimo de* tre governi mali, 258. I Tiranni, deieslalt, 271. — Temono per loro, non per i saddili, 261 . Tito Tazio, re de* Sabini, lodato, 195. (Vedi Tarpea.) Toisoo d*oro. (Vedi Cavalieri.) Tolosa (Paolo), motteggiato, 147. Tomiris, regina di Scizia, lodata, 202. Tommaso, gentiluomo pisano, schiavo de* Mori; come lìl>erato da un suo figliolo , e quanto amato dalla mo- glie, 192, 193. (Vedi Argentina.) Torello (Aolonto), sua facezia, 148. Torneanvenii, come in essi debba dipor- tarsi il Cortegiano, 82. Torre (Marcantonio Dalla), sna novel- letta, 133. Toscane parole antiche rifiutate, debbon- si fuggire dal Cortegiano, 39.— To- scane voci quai sieoo da tralasciar- ti, secondo il Castiglione, 47, 48. Toscani, acuti nc* motti e nelle facezie, 117. Tradimenti anche amorosi si dannano, 162. Traditori de*piincipi, accennali, 211. Tranquillila, 4 il fine della pace, 2u4. Trofeo della vittoria dell* anima qual ! sia, 202. Troia perchè resistesse diecianni a tutta Grecia, 217. — Huina di essa da chi cagionala, 289. Troiano cavallo comparato colla Corte d* Urbino, 241. — Troiane donne come influissero alla grandezza di iloma, 19i. — Troiani si dispersero dopo la guerra, ivi. Tromlietta, lepida risposta d'un di co- storo, 135. Trombone, suonalor di esso perchè lo- dalo da un goffo Bresciano, 128. Tullio. (Vedi Asino.) Turchia, il Castiglione esorta il re di Francia a muoverle guerra, 309 e « 8 * Turchi, cosa più stimino nelle persone grandi tra di loro, 138. Battuti più volte da Mattia Corvino re d’ Ungheria, 310. Turchi c Mori troverebbero la lor sa- lute nella propria mina, 272. (Vedi Morì.) — Guerra contra di essi de- siderata, e Iodata, ivi. Turco, sua Corte accennala, Ì70. I Tìmrtlinrt bssl INDICE DELLE MATERIE. 591 u Vbal(}ÌDO OltavianOi i44. Uli&sfj nelle passioni e loleranie for- mato <3a Omero, 281. Ungheria. (Vedi Mattia Corvino.) — Re- gina d* Ungheria, moglie del re Mattia Corvino, lodala, 20t. Unico (V) 0 runico Aretino, Pietro Accolti, uno degli Interlocutori del presente Dialogo; suo sonetto sulla lettera S portata in fronte dalla du- ^essa di Urbino, i7. Uoiversal bellcxxa fa rivolger Tamante in se stesso, 300. Un solo in molte cose preposto a go- vernare, 256. — Un solo più facile a pervertirsi che molti, si prova con una similitadine dell’acqua, 257. Uomo, che si può dir picciolo mondo, descritto, 29 i. Uomo, sua proprietà e distintivo, 172. — Perche dicasi odiare la prima donna con cui si sia mescolalo, 182. Uomini, sempre cupidi di novità, i. — Si dilettano di riprendere, 2, 3. — Più buogaosì di tutti gli altri ani- mali,249. — Uomini belli alle volte degni dt biasimo, 289, 29Q. • — . Uo- ' mini di grande statura, per lo più di poco ingegno e di poca agilità, 29. Urbanità, cosa $13,418. Urbino descritto, 8, 9. — Sua Corte lodata, 19, 77, 168, 169, 2H, 242. — Acuto detto del duca d’Urbìno, 144. — Palazzo pubblico di quella città, lodato, 271. (Vedi Federico. Palazzo ec.) Uso, sna forza, 8. Utilità e bellezza vanno del pari, tanto nelle cose della natura, come del- l’arte, 290, 291. V Vaccaro bergamasco. (Vedi Castiglio.) Valole (il), e non la moUiiudine de’sud- dili, rende grandi e felici i principi, 269. — Valore proprio dee conside- rare il Cortegiano, 95. Valorosi uomini come si portino con le donne, 163, 165. Ventatori due; lor detti, 28. Vasi lessi ripieni di liquore, leggiadra- mente comparali agli uomini posti nei magistrali, 260. Vecchiaia, comparala all’ inverno, 74. — Ad una nave che si parte dal porto, ivi. Vecchiezza verde c viva, lodata, 90. Vecchi, lor natura, 74. — Loro iodu- fttrie per parer giovani, 88. — Lo- dano i tempi passali, biasimando i presenti, e jiercbè, 73, 74. — Dan- nano motte rose, 75. — Loro scioc- chi detti, 77. — Alle volte buoni mosiri, 88. — Da che debban guar- darsi, ivi. fVedi Viola.) — Quali csercizii debban fuggire, 27X, 280. — Cose a loro disdicevoli, 283. — sensualmente innamorali, quanto degni di biasimo, 288. — ~ Come debbano amare 294 e scg. Vendetta nobile, detto per ironìa, 206. Veleno, comparazione di esso con amo- re, 109. (Vedi Cicuta.) Venere Armata, perchè con questo titolo fosse un tempio in Roma a lei sa- cro, 196. Venere Calva, tempio in Roma eoo tal nome, e perche, 196. Venesiani, non otiimi cavalcatori, 37. — Portavano le maniche a corneo, 102. — Amicbevoloieale motteg- giati, 127. Vergogna nobile, propria delle donne ben nate, 176. — E gran virtù, 'J05. Da chi, e per ordine di chi, al mondo recata, secondo le Favole, 249. Verità, il difenderla c olTicio di buon cavaliere, 204. — Dirla al principe sempre ed in ogni cosa è il vero 6ne del perfètto Cortegiano, 244, 245, 247, 280. — Quanto do- vrebbe essere a cuore al principe, e quanto dovrebbe esso industriarsi per conoscerla, 266. Versi. (Vedi Petrarca. Sannazaro.) Vescovo di Potenza, proposto a farne un mattonato ad una stanza, 132, Vestiti bene, seguiti dagli sciocchi, 100. Vicende umane accennate, 281. Viduità, vivente il marito, in che con- sista, 214. Villani. (Vedi Nobili.) Xiloli'*^ by Google 592 INDICE DELLE MATERIE. Viaci (Leonardo da) pittore eccellente, ÓO. (Vedi Leonardo.) Vino. / no lo conocistes j scherzo di Diego de Cbjgnones,i36. Vino d'una stessa qualità, Iodato e hia- simato per falsa opinion che fosse diverso, 111. Viola, cantare alla viola, lodato, 87.-» I vecchi lo facciano in segreto, 88. (Vedi Sansecondo.) Viole, musica delle quattro viole da ar- co, lodata, 87. Virgilio, ripreso perche non parlasse romano, 47. ~ In che imitasse Omero, 44. — Imitò Esiodo, ma non in tutto, e perciò il superò, 49. Virile etk, ò la più temperala, 89. Virtù vera qual sia, 185, 261. — Non nuoce mai ad alcuno, 273. Virtù, una e principale io tutte le operazio- ni, 81. — Virtù (la) esser femioa, e il vizio maschio; gentile scherzo d*E- milia Pia, 166. — Virtù che paiono date agli uomini dalla natura c da Dio, 249. — Virtù, si possonoiropa- rare, 250, 251 . — Virtù, utili e ne- cessarie debhonsi esercitare nella guerra, 264. -» Della guerra, e one- ste della pace (che sono il 6ne delle ntili) enumerate, ivi. ~ Virtù d*un buon principe, 248. — Tutte non si possono esercitare dai perfetto Cortegiano, 279. — Virtù necessa- rie alla Donna di Palatso. 177. — Visiva virtù, ha per proprio obietto la bellezza, 294. Vita, non dee mettersi a pericolo per cose di poco momento, 82. — Vita più lunga, secondo 1* autore, vivono le donne, e perchè, 184. — Vita at- tiva e contemplativa, qual di esse più convenga al principe, 261,262. (Vedi Contemplativa.) — Vita del buon principe qual esser debba, 261. Vittoria dee avere io pugno chi si mette a qualche impresa cogli inferiori, 84. Vittorie gloriose di donne, 180. Vivaci più degli uomini sono le donne, e perchè, 184. Vizio che cosa sia, 251. — Esser ma- schio, e la virtù femioina; gentile scherzo d*EmiliaPia, 165. — Ove non fu gran vizio nou fu grau vir- tù, 76, 77.»-Levando i vizii, si le- vano le virtù, 78. — Vizii Don sodo affatto naturali, 250. — Sopravven- nero alle virtù, 76, 77. — Vitii che debboosi fuggire nelle profes- sioni di ciascuno, 84. Vocaboli stranieri alle volte si debbono usare, 46. — Vocaboli toscani cor- rotti dal latino, 4. Voci nnove e formate da* vocaboli latioi e greci, si lodano, 46. Volgar lingua, sua origine, 43 e seg.^ Jn che consista la sua bonlè, 52. — Ancor tenera e nuova a*tempi del- 1* autore, 43. — Più colta in To- scana che io tutto il resto d* Italia, tvi. z Zaffi, hcrgimaico parlare, 153. Zenobia, lodata, 202. Zeuti elegge cinque bellissime fanciiine di Crotone per trarre da esse una sola pittura ecceìlentistiroa, 69. Zibellini, gran copia d'essi trovasi nella Moicovia, 129. a -u. 595 SOMMARIO. DEDICA DELL’AUTORE. Pcirh* il Castiolioki scriveise quelli libri del CoUTfGlAllo , e qnilc motiro lo iodacette a publicarli Pag. 1 Elogio di alcune fra le perione meniiopale aell* opera. . 3 Ribatte le accnie mone contro questi tuoi Libri : che non siano scritti colla lingua del Boccaccio 3 Che, per essere quasi impossibile trorare un perièlto Cortegiano, debba dirsi superRuo il descrirerlo 5 lufìne, che nel perfetto Cortegiano abbia roloto ritrarre sb stesso ivi Libro Primo. t, II Castiglione scrive il Dialogo del Cortegiano ad instanaa di Alfonso Ariosto. . 7 11-111. — Elogi del duca Federico, e del suo Bgliolo Guidubaldo. 8 lY-V. Cotte d’ Urbino. Uomini insigni che vi praticavano. . VI, In quale occasione vi ti lenessero i seguenti ragionamenti VII, — Primo gioco, proposto da Gaspab Pai.l* vicino Vili, — Secondo gioco, proposto da Cesabi Gouzaga IX. — Terao gioco, proposto da risA ScBArino I. Quarto gioco, proposto dall* Pinco AnuTiMo X. — Quinto gioco, proposto da Ottaviah Feeooso XI. — Sesto gioco, proposto da Pirreo Bembo. . . XII. — Settimo gioco, proposto da Fenaisico Fetooso: Formare con parole un perfetto Cortegiano. È scelto ad argomento deidiscorti di quella sera. 12 XIII. XVl. — 11 Conte Ludovico pa Cakossa, al quale ne b dato l’ incarico dalla Signora Emilia, descrive le qualità che ti richiedono in un per - fetto Cortegiano; ed in prima vuole che sia nato nobile; nel che gli con- tradice Gaspab Pahaviciko. 2tt XVII-EYIII. — Principale e vera occnpaiione del Cortegiano sia quella delle arme. Si guardi tuttavia dal fare il bravo ed il millantatore 2fi XIX.XXll. — Sia ben formato della persona, ed abile nella lotta , nella cac - cia , nel volteggiare a cavallo, ed in simili eterciiii 28 XXIil-XXVI. — Come ti acquisti grafia negli eterciaii del corpo, ed in ogni cosa che si faccia o dica 32 Digitized by Google E? fi e; e c: e c ti 394 SOMMARIO. XXVII-XXVIII. — Sopritutlo e eoo sommo studio si fugga I’ afietla- xione . •fVlX-XXXlX. — Discussione tra Lodovico pa Cawossa e Fiuebico Fbb - ooso sull’ uso di parole e di modi antiquati nel parlare e Dello scrivere ilaliano M XL-XLI. — Ludovico da Cahossa ripiglia il discorso dei danni dell’ aSet- taaione 53 XLIl-XLVl. — Il Cortegiano sia uomo di lettere. Discussione tra il Cawossa e il Bembo, se le lettere o le armi tengano il primo luogo 56 XT.vil-XLVIll. — Sia conoscitore di musica , e sappia di varii istrumenli. Lodi della musica 63 XLtX. — Sappia disegnare e dipingere 64 L-Llll. — Quale sia di maggior pregio , se la pittura o la statuaria 66 LlV-LVl. — Sopragiunge Fbaacesco Mabia d«lla Rovbìi Prefetto di Roma, con altri gentiluomini. La continuasione del ragionamento del Cortegiano è limandata alla seguente sera, cd affidala a FedeticoFregoso. 69 Libro Secondo. t.lV. Consoetudine dei vecchi di laudare i tempi passati, onde provenga. La Corte di Urliino non essere di minor laude degna, che quelle cele- tifate dai vecchi • Ti V-VIll. Fadibico Faiooso ripiglia il ragionamento del Cortegiano; in che modo e tempo debba questi usare le sue buone condiaioni 78 tX-XI. Armeggiare, giostrare, damare, ed altri eseteieii che si fanno in Xll-XlV. Quando ed a qual sorta di musica delilsa dar opera il Coetegia - no. 1 vecchi non attendano alla musica fuorché in secreto 86 IXV.XVl. — Vecchi e giovani, pongano cura in fuggire i viaii proprii della loro 8® ^Vll, Al.bia una gentile e amabile maniera di conversare 90 XVIIl-XX. — Come debba comportarsi nella conversaeione col tuo principe. Hi XXl-XXH. — E quale sia miglior via per ottenerne i lavori >5 XXIll. Non doverti obedire il principe, ove comandi cola disonesta. « . . 97 XXIV. — Quando ti postano a buon fine oltrepaMare i termini del coman » dannento 98 XXV. Mon ai cerchi afl’ettattmente la convetsauone dei maggiori, ne <}uella del principe. 19 XXVI-XXVll. — Quale foggia d’ abito meglio convenga al Cortegiano. ■ . 100 XXVlll. Spesso da indieii esterni tarsi anticipato giudiaio delle persone . 103 XXIX-XXX. — Kletion degli amici. Lodi dell’ amiciiia 103 XXXI Dei giochi • • 305 XXX ll-XXXV. — Procuri nei prinespii, ed ove non sia conosciuto, di dar ■luioiu impressione di lè. Fotta delle opinioni preconcette 1Q6 SOMMARIO. 395 XXXVI. — si aittngi da ogni allo o paro!» diionetta o groiiolwi». ■ Fag. Ili XXXVII. — Cotnparaiiont dei conumi franceii t ipignoli. Utilità della co - noiKn» di rane lingoe 112 XXXVIII-XL — Il CorUniaoo procnri di porre in vUta le au« buone condi - iioni,e di coprire le meno laudevoli 113 XLl. — Funga di parer bugiardo o Tano 116 XLll-XLIIl Dalle >ACiai». Se aiaoo dono di natnra o J arie. Dua lorti di factaie : /ettivilà od urbanità, t delti od arguti» 117 XLIV. — 11 ragiopamento delle factaie fe commtaio a B«ma»do Bhuiia. . il9 XLV-XLVI. — Il riso onde proceda. Non ogni coaa ridicola è idoneo argo » manto di faceiia 120 XLVll. — D’onde ai traggono molti ridicoli, ai poaaono trarre anche ttn » ttnn i21 XLVIII-XLIX. — Teraa torte di faceiia, la burle. Ettmpii di factaie della prima aorte, oaiia dalle /ìgatiVità . o nariaiioni cominnatt 123 L. — Norma da oittivarai in questo mntre di fareait 124 U-LII. — A nueata aorte di faceiia airpartieoe la narraaione di alcun difetto o teioccheaia di altra peraona 125 LIV-LVl. — Affetlaiiooi e )>uKÌe foordi mitura 129 LYII. — Factaie dalla seconda aorta, conaiatepti in un detto tolo, od gryia- • zie. Mon siano iciocche oa maligne 131 LVIII-LIX. — Delti ambigui. Talora sodo più iogegnoti che ridicoli. Non siano freddi; nè acerbi e discorleai ivi LX-LXlll. — Bischiaii. Parole o detti preti in sento diverso. Falsa iotarpre - taiione e finiione di nomi e di cote 13.1 LXIV-I.XV1. — Detti gravi; loro natura ed uso 136 LXVII. — Comparaiioni ridicole. 139 LXVIII-LXIX. — Il motte;!giare non sia empio nè osceno lAO LXX. — Iperboli ed esageraaioni 141 LXXI. — Riprensioni dissimulata 142 LXXII. — Detti conirarii ivi LXXlll-LXXIV — Ironia. Conviene prineipalmente alle persone gravi ed eatiroite 143 LXXV. — Scioccbeaia simulata 144 LXXVI. — Pronte e mordaci riapoile 145 LXX VII-LXXVIII. — Motti aventi una nascosta suspiaion di ridere. . . . 146 LXXIX. — Cose discrepanti. 14g LXXX-LXXXII. — Fingere di non intendere, e simili detti dì luscotta o simulata significaiione ivi LXXXHI. — Regole da osservarti nelle faceiie 150 LX'XXIV-LXXXVIII. — Delle burle. Sono di due tpeiie 151 LXXXIX. — Non pattino alla barraria, nè rechino odfesa alla oneslù delle donne. 157 596 SOMMARIO. XC-XCVJ. — Perchè più discoatenga punger le doaue che dod gli uomioi in fatto di onesti Pag. lòO XCVII-C. — 11 MACMirico GiPLiAito è incaricato di formare, nell’ adunania della seguente sera , una perfetta Donna di Palario Libro Terzo. 1. — Quanto la Cotte di Urbino fotte sopra ogni altra eccellentei ed ornala di uomini singolari 168 11-111. — Della utililà di trattare della perfetta Donna di Palano 169 IV. — Molte fra le qualità onde ha ad estete ornato il Cortegiano, conven - RODO altresì alla Donna di Palaato 171 Y-Yl. — Sopra ogni cosa le è necessaria nna certa aETahililà piacevole, onde gentilmente intertenere. Non sia nè troppo ritrosa , nè di modi troppo liberi; fogga la maldicenia; sappia all’ uopo tener discorsi gravi o fe« stCToli 173 VIl-lX. — Come ed a qual fine debba far uso delle tue buone qualità. ■ . . 175 X-XYIII. — Contendendo Gaspah Pallaticiwo, estere impossibilità ridicole quelle di che il MagniBco Giuliano vuole ornata la Donna di Palano, qnesti passa alle lodi delle donne; ed in prima contende , non estere animali imperfettissimi, come asteriTa Gatpar PallaTicino Vii XIX. — Oltre la Vergine Nostra Signora, molte donne furono intigni per santità. 185 XX. — Digretsione del MagniBco Giuliano contro i frati ». ivi XXl-XXVII. — Etempii di donne intigni per eirtù, per coraggio, o per pii « dicitia « 187 XXVIll-XXXII. — Eiempii di donne, che furono agli nomini causa di bene. 193 XXXlll-XXXVI. — Altri etempii di donne celebri, fra le quali Isabella re- gina di Spagna • 197 XXXVII-XLIX. — Della castità delle donne comparata con quella degli no- mini. Etempii di donne pudiche SOS L. — A quali e quante prore resista 1’ onestà delle donne. 314 LI-L(I. — Nuovi eiempii di donne insigni; e quanto bene dalle donne de- rivi agli uomini 316 LIll-LV. — Come la Donna di Palatao debba comportarsi con chi le tenga tagionamenti di amore . 819 LYI-LIX. — Quando e come sia lecito alla donna di amare 331 LX-LXllI Come ai ottenga amore, e quali ne siano gli eBètti 336 LXIV-LXXIH. — Dimostrasioni di amore. Secreteiia. Come si acqniati e si consetTi 1* amore di donna. 888 LXXIV-LXXV. — Nuove accuse di Gasfàr PALtAviciiio contro le donne. 336 LXXVI-LXXVII. — Ottaviano Faicoso conchinde, estere stale le donne troppo biasmate da Gatpar Pallavicino, e troppo laudale dal Magni6co. Digitized by Google SOMMARIO. 397 Vuolt si troTino nel CoHeniano altre gualilì oltre le gi^ dtUe, td ^ io - caricato di eaporle nella seguente riunione Rag. 338 Libro Quarto. I. L’Autore compiange la morte di Oaspar Pallaeicino, di Cesare Conia- 240 11. — Elogio di altri fra i caialieri della corte di TIrbioo 3il ilUVIo — Il signor Ottaviaho, ripigliando il ragionamento del Cortegìaoo» dice , le buone qualilli del roedeiimo allora essere veramente degne di lode 9 se indràsate a guadagnarsi la gra&ia del principe 9 onde dirigerlo 243 VII-VIM. — Quanto difficilmente la rerili ginnga al principe, e danni che 245 IX-X. — Officio del Cortegiano i di guidare il principe per 1’ austera strada 247 XI-XVI. — Se la lirlù possa insegnarsi. DaH’ignoranaa nascere lutti i mali. 34» XVII-XVIII La continenaa eaaere lirlù imperfetta. Ilon dorerai però svclfere kH a 0 elti, ma dirigere al bene 253 XIX-XXIV. — Se sia più felice dominio quello di un buon principe, o di 256 XXV-XXVI. — Quale rila più conrenga al principe, se l’ attira o la con- 261 XXVII-XXVIII. — Fine della guerra dere essere la pace. Virtù necessarie 263 XX IX. L* educatiooe doversi incominetare colla consoetndine, prosegaire 265 XXX. — Altri consigli • che nn buon Cortegiano dovrebbe dare al principe. . ivi XXXt. — Di formare un consiglio dei pih nobili e laviit far eleggere un al- tro consiglio dal popolo; si che il gorerno, nascendo dal principe, par- 266 XXXII-XXXy. — Di essere giusto, pio, non supersticioso, amante della pi- triae dei popoli; di non tenerli nè in troppo servitù nè in troppo li- berta; di cercare 1 ’ amore dei sudditi, procurando di renderli buoni e 267 XXXVI-XLII. — Utili e landevoli essere le grandi opere, ma più utile la giustizia e il Iien go.eroare s popoli. Lodi di Francesco di Francia, di Enrico d’ Inghilterra, di Carlo di Spagna ■ e di Federico di Mantova. . 269 XLIII-XLVIII. — Eccellenza di un buon principe. Quanto anche il nome e le qualilli di perfetto Cortegiano siano degni di laude. Esempli dì Fe- nke« di Platone e di Aristotele cortegiani ?76 XLIX-LII. — Essendosi mossa questione, se il Cortegiano abbia ad essere innamoralo, PiETno Dehbo si fa a parlare dell’ amore e della bellerza. 283 5i Digiiized by Google 398 SOMMARIO. Lll UL1V« — Errori 4t che i leoii sono cagione in amore, principalineote nei Pag. 587 LV-LVl. — A Mo&bllo da Obtora , il più ▼ecchio fra i caTalieri della corte di Urbino, il quale non vuole che Tamore aia trattenuto fra i limili po* stigli dal Bembo, rispondono Ludotìco CAHossAe Feoieico Friooso. 588 LVIULX. — Il Brmbo ripiglia il suo ragionamcntos la belleisa estere cosa sacra, ed in se buona} non doversi col nome di belleata chiamare le blanditie disonesle, nè Pimpudenia 590 L'XULXIV. Come abbia ad amare il Cortegiano non giovane, e quanto r amor raaionale sia più felice dell’ amor sensuale 593 LXV-LXVI. — Rendersi 1* amore pio felice e meno pericoloso considerando la belleasa in tè stessa, semplice e pura, astratta da ogni materia. . . . 597 LXVII. — Dall’amore e dalla contemplaaione di una beliessa si passi a quello della belletta universale 599 LXVllI. — £ da questo all* amore e alla contemplaaione della belletta del* 1* anima, e dell’ angelica ivi LX1X*LXX. Onde si ascenda alla contemplaaione della divina belletta. Preghiera del Bembo a DIO, Amor santissimo, fonte di vera e sola felicità 301 LXXl-LXXlll. — Gasrar Palla vicino oppone, la strada che a questa feli- cità conduce essere tanto erta, che 1’ andarvi riesce agli uomini difficile, alle donne impossìbile. Onde essendo accusato di far ingiuria alle don- ne, si rimette la questione al giudiiio di Pietro Bembo 303 ALCURI PASSI DEL COBTEOlAHO DIVERSI DALLO STAMPATO, TRATTI DAI MAROSCBITTI OBIGIVALI DALL* ABBATI PIBRARTONIO SRBASSl. Proemio del Cortegiano a Messer Alfonso Ariosto 307 Altro Proemio del Cortegiano, tratto dalla prima botta dell’ Autore 315 * Motto di Bernardo Bibiena (Lib. Il, cap. 63) 316 Motto di Papa Giulio II (Lib. Il, cap. 63), ivi Motto del conte Ludovico da Canossa (Lib. 11, cap. 78) 3J7 Lodi di Francesco Maria della Rovere (Lib. IV, cap. 5) ivi Lodi di Federico Gootaga Marchese di Mantova (Lib. IV, cap. 45). ..... 318 AiTNOTAziom • 351 Catalogo cronologico dille pbihcipali edizioni del Cortegiano 349 Indice DELLE materib 361 Digitized by Googre Digilized by Google \*TOiwVm« \'u\tW\c(\ùom. nuovo TESTAIEITO DEL SIGHOB HOSTBO (SSD CBISTO, secondo la Volgala, tradolio in lingtia italiana e con tinnolu* zioni dichiaralo da Monsignore Antonio niartinl, arcive- scovo di Firenze, — Un sol volume Paoli 7. LA COM BEDI A DI DANTE ALIGHIERI norentino , novamenlc riveduta nel testo c -didiiaruta da Brunone Bianchi. , corredata del «inAHio. — Un volume. 10 OPERE DI CESARE BECGARIA, premessavi la Vita di Lui serilia da Pasquale Villari. — Un volume 7 OKjRE SCELTE edite e inedite di LUIGI CARRER. saratino due volumi. Ulto conterrà le Poesie, l’altro le Prose. Il primo avrà in fronte un bel ritratto dell’Autore, ed un Commentario dell a vii a e delle opere di lui, per Birolanio Venanzio. 14 LETTERE OpiTE DI LODOVICO UTOIIO HUBITOBI striuc a Toscani, con annotazioni dichiarative. Le Lettere ollrepas .sano il numero di 400: saranno disposte per .sezioni secondo 1 personaggi a cui vennero indirizzate, supplendo con una tavola. generale all’ordine cronologico. — Un volume. .■.‘.7 VffA DI COLA DI RIENZO, tribuno dei Popolo’ romano, scritta da incerto autore nel secolo XIV, ridotta a Migliore le- zione, ed illustrata con note ed osservazioni storico-critiche da delirino Be Cesenate; con un comcnto del medesimo sulla canzone del Petrarca Spirto gentil che quelle membra r^OVi- — Edizione .seconda riveduta ed aumentata. — Un voi 7 ^ IMTAZIONE DI G;ESU CRISTO, volgarizzamento anonimo del buon secolo della Lingua, tratto dà Vàrissima edizione an- tica non rammentala dai bibliograa^ Ì per cura del dottore, Alezzandro Torri corredalo di .documenti intorno al- l’Autore dell’ ope a originale latina Qiovanni Ctersen di Lavimlià, Priore dell’ Ordini* Bcnédeltii ì ,, - - «„i«„..y.t ino di Santo Stefano di ercelli; con un saggio bibliugrancò-cronulogico delle tradu- zioni in più lingue e deUe stampe che dal 1471 Duo al pre- sente ne furono pubblicale. — Un voi . 7 I CESARE RALBO, pubblicate per cura di Bii- iniwiir *®r****f*"‘^ aggiuntivi alcuni Frammenti edili ed meuiii, - tu voi. . Febbraio, 1SS4. I
Sunday, July 27, 2025
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