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Tuesday, May 28, 2024

GRICE E WINSPEARE: LA RAGIONE CONVERSAZIONALE E L'ELOGIO D'ANTONINO -- LUIGI SPERANZA, PEL GRUPPO DI GIOCO DI H. P. GRICE, THE SWIMMING-POOL LIBRARY, VILLA SPERANZA

 

Grice e Winspeare: la ragione conversazionele e l’elogio d’Antonino – “Della filosofia romana” – filosofia italiana – Luigi Speranza (Portici). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. “My Italian friends do not consider me Italian, though!” Winspeare’s ancestors are from Yorkshire in a bad time. Henry VIII. “So the king’s option was clear: either your head off or move to Capri. I chose the second.” Opere: “Delle confessioni spontanee de’ rei” (Simoniana, Napoli); “L’abuso feudale” (Trani, Napoli); “Voti de’ Napolitano (Napoli); “La voce di Napodano; ossia, illustrazione del patto di Capuana e Nido” (Trani, Napoli); “Le Leggi di Cicerone” (Trani, Napoli); “Delle chiese ricettizie del regno” (Trani, Napoli); “Filosofia” (Trani, Napoli); “Dissertazioni legali” (Agrelli, Napoli); “La colonia perpetua ed il diritto feudale abolito” (Pesole, Napoli). Della filosofia romana. La filosofia romana comincia da CICERONE. A CICERONE e dovuta la lode di aver dato la cittadinanza latina alla disciplina greca, e di avere eccitato in questo studio l’emulazione de’ suoi cittadini. Di Cicerone è il vanto di avere richiamato la scienza ai principi dell’Accademia e di averla applicata alla vita si private che publica, e di darli un linguaggio che prima non aveva. Pe’quali meriti, Cicerone raccolge in se la gloria dei maestri greci. Sapiente come Socrate, eloquente come Platone, erudito come Aristotele, e austero come Zenone, Cicerone compende in se le più chiare menti di Grecia, sì che risplende nel mondo intelligente, non solamente come il luminare della filosofia latina, ma come il più ornato, il più elegante, e il più retto ingegno, che onra la spezie umana. Che se mancogli il merito dell'invenzione, ne ha bene un altro che quello eguaglia ed avanza, cioè l'essere stato tra gl’antichi il più utile alla filosofia pratica, avendo rimosso dalla speculativa la investigazione della causa naturale, e dimostralo l’unità del principio, a cui si annodano la psicologia e la morale. Infatti, avendo, come Socrate, stabilito per scopo d’ogni filosofia la conoscenza di se medesimo, da questo fa nascere la conoscenza del divino, la celeste origine delle anime umane e l’ordine morale degl’esseri creati, il fine de’ beni e de’ mali, la cognizione del sommo bene, il principio dell’obligazione naturale, e la nozione di quella eterna legge che tutto modera e governa. Avendo così dato alla filosofia un fine vero e utile alla vita umana, poco entrar volle ne’ concetti astratti, e forse disprezzogli al par di Socrate. Questo ha fatto a molti dire che Cicerone nell' esporre filosofia non sempre penetrato addentro nel suo senso, e fosse quasi rimaso straniero a quella esoterica sapienza, che taluni tanto più predicano e ammirano, quanto più di tenebroso trovano nelle sue concezioni. E qui domanderemmo, se non è arroganza de’ moderni il tassare di poca penetrazione la più luminosa mente dell'antichità. Cicerone abbraccia tutte le parti del sapere umano, svolge le più gravi questioni di filosofia intellettuale, e spogliandole de’ sofismi della dialettica le rendette facili e popolari. E vorremmo ancora sapere, se possa imputarsi a difetto di scienza l’avere ommesso quelle controversie astratte, che non solamente non contribuiscono alla perfezione della cognizione, ma la fanno in falsa parte piegare? Sarà facile il rispondere a chiunque farassi a considerare le parti singole della filosofia trattate da Cicerone, prendendole dal quadro che Cicerone stesso ne fa nella introduzione d’uno de' suoi libri filosofici. Ne’ libri accademici Cicerone vuole dimostrare la prima e più importante verità della cognizione umana, la certezza delle sorgenti delle idee. In ciò fare, origine e realità della umana segue per rispetto a' sensi la dottrina del Portico, che a quelli dato ha cognizione più che non ha concesso Aristotele, o sia define e determina il comprensibile de’ sensi ne’ termini stessi della scuola del Portico. Dal Portico Cicerone deduce, esser la verità de’ sensi una condizione necessaria della natura, comprovata dalla differenza che la natura stessa stabilito tra’l piacere e il dolore. Ma accanto al principio della sensazione, Cicerone colloca la virtù intuitiva dell’anima come affalto distinta da quello, o sieno le prime nozioni impresse dalla natura, senza le quali l’anima puo nè intendere nè ragionare -- Tuscul., De legib., Academ. --. Visum, impressum, effictumque ex eo unde esset; quale esse non possel ex eo, unde non esset. Lucullus. Circa la dottrina dell’idee, Cicerone espone storicamente il concetto di idea dell’Accademia, senza impugnarlo o sostenerlo. Cicerone narra lo strazio che fatto ne ha Aristotele, insieme co’ suoi peripatetici nel Lico; lascia da banda la questione del come le nozioni nascose e adombrate nell’anima si sviluppano, ma riconobbe come indispensabile la necessità d’un secondo principio tutto intellettuale, senza del quale e impossibile spiegare le operazioni della mente, l'astrarre, il generalizzare, l'inventare, e sopratutto il prodigioso fenomeno della memoria. Conforme a’ principi della umana cognizione e il resto del suo sistema conoscenza intellettuale, che espone nelle “Tusculane” e ne’ saggi intorno a’ fini de’ beni e di se medesimo de mali. Per la contemplazione di se medesimo, introdusce l'anima alla cognizione della immortalità ed immaterialità della sua sostanza, della origine divina da cui emana, dello scopo della vita, e del sommo bene cui debbe aspirare. E in prima, la più importante qualità dell'anima, siccome Cicerone avverte, è l'intuizione di se medesimo, la qual dote è appunto una conseguenza di quel principio d’intellezione che la natura ha in lei impresso, che non si acquista co' sensi, e che nella più matura età quando i sensi declinano, diviene più retto e perspicace. Dalla virtù (andreia), che l'animo ha di vedere se medesimo e le qualità sue, e dalla forza che ha in se di volere e di muovere, sente l'uomo essere cotesta virtù (andreia) un principio proprio, non prodotto d’altra esterna forza, e scopre essere quel principio stesso il quale muove la materia, affatto simile all’azione, che dà moto e vita all’universo; d'onde conclude non essere materiale o corporea, nè terrena o mortale, ma celeste ed eterna. Nè solamente dal principio della volontà e del moto ricava l'immortalità e l'immaterialità della sostanza sua, ma si bene dall’altre doti intellettuali, di cui scorgesi arricchita: dalla facoltà di pensare, di ritenere e di richiamare le idee e le nozioni passate, di antivedere le future, e di abbracciare col pensiero il divino, le opere sue, e l'infinito stesso, che n'è il principale attributo. In somma sviluppando il precetto di Socrate, conoscite stesso, o sia investiga quale sia l’animo tuo, Cicerone fa da quello derivare i tre primi dogmi della naturale sapienza dell' uomo, l’esistenza del divino, l'immaterialità, e l’immortalità dell’anima umana. E allorchè dall’interna investigazione dell'animo passa alla contemplazione de gl’obgetti esterni, e delle altre opere della natura, quanto più luminoso non diviene il concetto del divino, della dignità dell'uomo, della sua futura sorte, e del vero scopo della vita? Delle quali magnificenze sarebbe l'uomo muto e indifferente spettatore al pari dei bruti, se non avesse sviluppato entro di se le nozioni del proprio essere, e delle relazioni sue colle altre creature, e coll'autore stesso dell'universo Academ. “Animo ipso animum videre”. A stabilire poi la vera nozione del divino, ne’ libri “de natura deorum” vuole Cicerone esporre le principali opinioni delle scuole, l'accademica, il portico, e il giardino; e sbandita questa -- la quale dava al divino per suo unico fondamento la pratica credenza degl’uomini e rendevala affatto inutile alla vita -- dimostra come gl’accademici discordassero dai filosofi del portico nelle parole più che nella sostanza. Ciascuna di quelle due scuole non pertanto ha una parte vera: il concetto del divino, ricavato dall'opera dell'universo, e degl’accademici, i quali ereditano l'avevano dagl’accademici: l'altro della provvidenza, che tutto regge e dispone per la utilità dell'uomo, e del Portico. Ma costoro d'altra parte ammetteno dogmi, e commettevano insieme principii tra loro incompatibili, come la natura animata cogl’attributi del divino, il fato colla provvidenza e colla libertà dell’umane azioni. La stessa loro virtù (andreia), o il sommo bene non puo accomodarsi al viver pratico degl’uomini, dapoichè e collocata in un estremo tale, che per esso toglievasi ogni merito o biasimo ai fatti, buoni o tristi che sono, se pur non toccassero l'apice della perfezione. Per esso l'uomo sapiente divene un essere ideale, che non puo scontrarsi sulla terra. I doni della natura, la sanità, il vigore, la bellezza, le sostanze sono agguagliate a’ difetti e alle privazioni contrarie. Il piacere scambiassi col dolore. Le relazioni tra gl’uomini, gl’ufizi della vita, la prudenza, l’ordine, le virtù (andreia) civili, la cura de’ publici negozii, e la domestica economia, divenivano tutte qualità di convenzione, estranee alla sapienza e alla vera virtù (andreia). A rimuovere l'ostentazione di questa scabrosa virtù (andreia), dopo avere esposto le opinioni delle greche scuole, Cicerone dimostra quanto di vano fosse nelle parole e ne’ nuovi vocaboli introdotti dal Portico, e come il giusto mezzo si trova nell’emendazioni di Panezio, il quale concilia Zenone, cogl’accademici e co’ peripatetici del lieco. Tale e lo scopo de’ suoi libri intorno a’ fini de’ beni e de’ mali, insieme co’quali va letto l'altro del fato, che scrive per accordare insieme la dottrina dell'ordine della natura colla provvidenza, e colla libertà delle umane azioni -- libro, per altro, di cui ci rimane soltanto un malconcio avanzo. Non oseremmo fare la stessa apologia de’ libri intorno alla divinazione, nè sapremmo dire, se avesse Cicerone inteso sostenere la verità delle scienze divinatorie per l'autorità del portico, o per la necessità di ri spettare una dottrina popolare, a cui non avrebbe potuto impunemente contraddire. Forse la maggior lode di quella opera potrebbe ricavarsi dal filosofico concetto che in essa sovente traluce, cioè che v' ha una provvidenza conservatrice, della cui assistenza la mente umana senle il bisogno, per modo che gli stessi prestigii e le superstizioni delle arti divinatorie sono la pratica espressione di tal bisogno. Quae est causa istarum angustiarum gloriosa ostentatio in constituendo summo bono. De Finibus. Le opere sin qua esposte abbracciano tutta la filosofia speculativa di Cicerone. Non sono meno luminose quelle della filosofia pratica: i libri degl’ufizi contengono l’applicazione della dottrina del Portico, secondo le emendazioni di Panezio, a’ portamenti della vita; siccome i libri della republica e delle leggi derivarono dagli stessi principi le regole per la vita publica, e per lo civile reggimento de’ popoli. Per Cicerone, in somma, la filosofia nacque in Roma matura, senza passare per l'età dell'infanzia, siccome aveva fatto in Grecia. Negli studi della umana sapienza, la ragione romana ha per guida la sperienza, o sia la storia dell’opinioni e degl’errori del più perspicace e il luminato popolo del mondo, il quale figura come l'antesignano e il luminare di tutti gl’altri nella carriera delle lettere e delle scienze. Cicerone e eclettico, perchè altra parte non resta a chi sopraggiugne nella maturità del sapere, fuorchè il giudicare e lo scegliere. Ma l'avere esercitato il giudizio e la scelta in tutte le parti della filosofia; lavere signoreggiato i pensieri de’ greci con un criterio sempre libero e retto; e l'aver dato ai pensieri della scienza l’espressione, o sia il linguaggio di cui i romani mancavano, gli meritarono presso i suoi un primato, che altro sapiente mai non ha presso la propria nazione. In conferma di che giova osservare, che in tutta la durata del romano impero, e in mezzo a tanti sommi uomini i quali arricchirono ogni parte del sapere cogli scritti loro; non apparve più alcuno che fosse stato comparato a Cicerone, si che Cicerone è solo modello della sana filosofia tra’ latini, come Socrate tra’ greci. Della filosofia pratica sopratutto Cicerone e benemerito, dapoichè per lui la dottrina del Portico passa dalla scuola nel foro, e nel grande teatro del mondo. Da questa la giurisprudenza attinse le cardinali nozioni della giustizia, e dell’obligazioni, proprie a stringere e consolidare i legami delle civili associazioni. E sebbene nelle mani de’ giureconsulti la dottrina del portico acquistato ha una tinta di disputabile, aliena dalla sua naturale rigidezza, e avesse da Seneca ricevuto un certo orpello declamatorio; pur tuttavolta fu da Arriano nel manuale di Epitteto richiamata a’ severi principii di Zenone e di Cleanto. Certamente in Roma ottenne successi maggiori che in Grecia, per chè ivi divenne madre della sapienza civile, ed ha il vanto di aver dato al mondo due perfetti modelli di re, nelle persone di Marc’Aurelio Antonino e di Antonino. Restiamo dall’internarci negli ultimi periodi della filosofia del basso impero. Tra perchè le vecchie nazioni che il componevano, nella condizione stessa della loro vita civile trovano invincibili osta coli a’ progressi della ragione; e perchè gl’ultimi aneliti della filosofia andano in quel tempo a scontrarsi col grande avvenimento, che rinnovar doveva la religione, la coltura e i costumi di tutti i popoli. Basta dire che il ritratto dell’opinioni e de'costumi della ultima età dell'impero romano: lo scetticismo e l'indifferenza per ogni verità formano la doltrina de’ sapienti. La corruzione scioglieva ogni giorno i vincoli sociali. La superstizione e l'ignoranza hanno ottenebrato la superficie della terra. Keywords: elogio d’Antonino. Grice: “Hailing remotely from the Catholic North Riding of Yorkshire and settling in the most beautiful coastline in the world, Winspeare knew all you need to know about Cudworth, and what he calls ‘percezione.’ I would call him an Oxonian.” Grice: “My favourite Winspeare is his ‘dictionary’: obviously he found Italian furrin enough to want to organize things in a sort of thesaurum. Speranza, on the other hand, likes Winspeare’s idea of ‘volgarizzazione’ of Cicero’s ‘De Legibus.’ – one of the most boring tracts in legalese, but then at Naples at the time, you HAD to be a lawyer!” Keywords: Cicerone -- Refs.: H. P. Grice, “Winspeare, Speranza, Napoli, and me!”The Grice Papers, BANC MSS 90/135c, The Bancroft. Luigi Speranza, “Grice e Winspeare,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria

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