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Monday, June 23, 2025

GRICE E ROVERE

 HN NHEH I  I 4 4 ''bil H-n^.1 *^3 l^'l 4//. ^7 ^^YC49 ^'iyc. A  v^/SKtk ^- FIRENZE, G. BARBRA EDITORE. 1865. TJ^jJ^ ^4 170.-7,33 1^ HARVARD COLLEGfc IIHK;;r H. NELSON GAY IISORGIMENTO COLLECTION COOUDGE FUND 1931 LIBRO PRIMO. DEL FINITO IN S. JA>UIII. - II. CAPO PRIMO. ALTRE INTIME CONFESSIONI. I. 1.  Sebbene la cronaca (a volerla cos chiamare) dei miei pensieri, delle mie mutazioni e delle conclu- sioni mie intorno alla metafisica dovesse avere compi- mento col primo volume, dapoicb questo secondo non  altro pi che un'applicazione dei principj gi fermi e accettati, pure v' alcuni concetti e alcune opinioni importanti in filosofia che possono grandemente pro- fittare di quella storia. E voglio significare che giova r andar raccontando con semplicit e con ordine co- m' esse sbocciarono a poco a poco dentro alla intellet- tiva e crebbero a competente maturit; e per quali vicende di dubj, di pentimenti e di emendazioni per- vennero alla serenit d'un convincimento perfetto, quasi fior che tra le nebbie ed i temporali si aprirono in ultimo alla patente luce d'un bel sole di primavera. Io, dunque, allora che sentir il bisogno di illu- sanare conjai chiarezza e persuadere con pi forza alcune dottrine, user ancora di questo mezzo di esporre y\ 4 LIBRO PRIMO. altrui brevemente le occasioni, V esitanze, le correzioni e le risoluzioni finali e gagliarde, in fra le quali la mia povera mente pervenne alla verit non mai con prestezza e sempre con travaglio penoso dell'animo. Attesoch egli mi sembra di poter dire con ischiettezza non presuntuosa ch'io mai non  tenuto in picciolo conto ne valutato come poco saldi e poco fruttiferi i sacri studj della filosofia e massimamente quelli della Scienza Prima. 2.  Sappiasi, impertanto, che avendo io da lungo tempo ordito in mente la tela di questa mia cosmologia, volle fortuna che io capitassi in paese il pi ricco forse e glorioso d' antiche memorie di quanti se ne incontrano sulla superficie del nostro pianeta. E un giorno fra gli altri procacciando alcuna distrazione piacevole alla protratta meditazione, salii ad un colle dove grandeggiano ancora gli avanzi augusti e venerabili del tempio maggiore e pi bello che l' arti umane ab- biano saputo alzare e dedicare alla Dea della scienza. Di quivi girando l'occhio all'intorno e avvisando con pi attenzione quella pianura che stendesi di l dal Ceramico e rasenta la colonna sepolcrale del Mtiller (il lettore conosce ora di che luogo si parla), io vi cer- cava con desiderio melanconico e inutile qualche vesti- gio visibile degli orti celebratissimi di Accademo, i quali si sa con certa notizia che dentro quella landa nuda e polverosa fiorivano. Se fossi poeta o scrivessi roman- zi e impressioni di viaggi, curerei di descrivere con vi- ve/za le ricordanze solenni e le immagini non volgari che risorgevanmi in mente al cospetto di quella terra deserta, ma pure insigne e ossequiata da tutto il ge- nere umano. E s' un bel dire: col non resta pi nulla e la venerazione tua  del superstizioso, o per lo man- co, dello astratto. Quella ten*a che tu vedi e puoi DEL FINITO IN S. 5 toccare e passeggiare, sostenne i piedi di Platone e ri- cevette l'orma de' suoi sandali, e quivi scrisse, o con- cep per lo manco, i suoi dialoghi divini e dispens ai dwcfipolHl_ifiS!Qr(Ldelle sue dottrine eccelse ed impe- riture. Che se in ogni tempo tali riflessioni e ramme-  morazioni m'avrebbero commosso altamente e legato > l'animo di parecchi affetti sublimi, giudichi il lettore  quali fossero i miei pensieri ed i miei sentimenti in quel punto della mia vita in cui, cessando da ogni- dubiezza, avevo con persuasione non piii alterabile ab-- bracciate la verit della dottrina delle idee, e dopo - Pittagora salutato Platone siccome il solo maestro e il solo fondatore dell'ontologia. 3.  Ma se descrivere una commozione profonda e quasich religiosa dell' animo non  facile, n riu- scirebbe gran fatto opportuno, credo d'altra parte che la sostanza dei miei pensieri in quella congiun- tura  facilissimo d'essere indovinata; perocch alla mente mi si affacciavano due contrarj troppo vi- sibili: la caducit e mina delle opere materiali del- l' uomo e la eternit e gloria dell' opere dell' intel- letto. Caddero le mura, io diceva, della tua patria, o figliuolo di Efestione, e i platani e le fontane della tua silenziosa Accademia non potettero venir custo- dite e salvate d quelle Muse che tu invocavi con- servatrici delle tradizioni n da quelle Grazie il cui simulacro ponevi sulle soglie medesime del tuo ri- cetto innocente e ospitale. Ma dopo venti e pi se- coli il fulgid' oro e incorrotto delle tue dottrine ca- vato dalla pii schietta e profonda miniera della- verit mantiensi bello ed immacolato come quel pri- - mo giorno che tu il traevi dallo stampo della tua mente ispirata; e in ci pagano gli uomini un giusto tributo non pure alla tua sapienza e facondia non pa- 6 LIBRO PRIMO. reggabile, ma si alla dignit e grandezza del nostro .essere da te rivelata. Perocch tu infondendo quasi tun colino immortale nelle umane pupille facestile ca- mpaci di avvisare e discernere le forme ideali e spiri- tualmente toccare la realit loro eterna e assoluta. 4.  Ne contento a questo e pieno ancora tutto l'animo della filosota Italica e levato sopra te dalla solenne armonia degli inni di Cleante, annunziasti agli uomini il governo amoroso d Dio sul mondo e ogni cosa rivocasti potentemente all'idea del bello e del buono. Fortunato me, se un qualcl^e raggio del tuo divino intelletto si spanda su questo mio libro che la ^teorica delle idee studia di rinnovare con quei comple- X menti ed emendamenti che rec per s medesimo il /tempo e il variare e il permutarsi di cento scuole. II. 5.  Cotesti pensieri, com'  naturale, mi s'aggirava- no allora per la fantasia; quando sopravvennero i dubj. cosa che sempre m'accade, e fecero poco meno che naufragare le mie speranze. Platone  sommo, dissero # i successivi pensieri, ma non gli  conceduto di preoc- 'cupare le vie nuove ed intentate dell'umana medita- zione. Se tu porgi orecchio alle cose strane e diverse che suonano oggi nel mondo dei metafisici, udirai parlare di Platone per incidenza e solo perch indovin la im- manenza dell'idea in tutte le cose, e disse che la dia- lettica simigliava al movimento generativo di quelle. Ma quanto al povero libro tuo che va sulle orme an- tiche e pretende di romper guerra cosi spietata agli avversarj del teismo, persuaditi bene ch'egli sar ^o non letto o, subito letto, dimenticato. In tale disposi- zione di animo io scendevo quel giorno dal Partenone e. DEL FINITO IN SE. 7 poco alloro de^ miei studj, volgevo la mente a cure molto diverse e remotissime dalla filosofia. 6.  Il di dopo gli stessi pensieri mi risorgevano in animo e la stessa amaritudine li accompagnava. Oh la bella scoperta che avrai ta fatto, dicevo io in fra me, dopo tanto meditare e leggere e scrivere; ecco alla fine i provato che il senso comune  ragione e in ci si raccoglie tutta la sostanza di tua dottrina ! Invece, il mondo  sete di novit; e chiede non cosi il vero come l'inaspettato e il fantastico a quegP ingegni in- ventori che s'arbitrano d'insegnare al genere umano in che guisa sia costruita la fabbrica dell' universo. Platone e Aristotile furono poco meno che gittati via tra i vecchiumi appena quel francese fortunatissimo si pose con gran sicumera a promettere agli uomini che egli avrebbe con lo stropicciamento dei dadi e la ma- teria sottile da indi cavatane mostrato il modo pre- ciso col quale furono fatti i mondi e quello che ci sta dentro e cio le piante e gli animali; n dubit con li suoi dadi vertiginosi e la sua materia sottile costruire persino le forme organiche e insegnare una notomia e tisiologia tanto diversa dal vero, quanto un orvolo dall' uomo. 7.  Ora tu di cotesta sorta di novit e di ardimenti non i vestigio ; ed anzi tu presumi in filosofia di po- ter ripetere con sincerit il detto di Newton hypotheses non fingo, che  il detto medesimo stato pronunziato da Galileo mezzo secolo prima. Smetti dunque ogni fidu- , bene pu rivestire a mano a mano aspetti infiniti, nien- tedimeno in ciascuna forma particolare, colto che sia j . e delineato l'archetipo suo rispettivo, tu di pensare che / J ufi non v' salita al migliore e al diverso; avvegna prin-i cipalmente che in quell'archetipo  la intenzione me- desima della natura e quindi v' l'assoluto di l dal quale non pu cercarsi e ritrovarsi che il falso. ^ Ma il vero non imbattendosi nei limiti della materia " come ci  forza che accada alla bellezza figurativa, ri- t/ . ,- ,/ sulta infinito e nelle parti e nel tutto. Il perch nel- l'uomo  naturale quanto legittimo voler sempre salire alla novit nello studio del vero. Ma tal novit, bada qui bene al nostro concetto, debb' essere rintracciata nella ascendente perfezione e dee risplendere dentro una sintesi ognora pii larga e feconda tuttoch uguale e coerente a s stessa ne' suoi principj e ne' suoi svi- luppi. 12.  Dopo ci, considera che quel proverbio che dice, ^ vox populi^ vox Dei non  valore solamente nei ne-  ./- .* gozj civili e politici ma serba la certezza sua eziandio \ *' nella scienza. Per fermo, se tu avviserai la riposta . saggezza dei parlari antichissimi nel modo che il Vico  insegnava a noi Italiani segnatamente, conoscerai che mentre i Latini non avrebbero mai asserito essere r uomo partecipe di volont od anche del pensiero o della libert, perch in essi atti  troppo manifesta 10 LIBRO PRIMO. r attivit nostra, ei dissero invece che noi siamo par- tecipi di ragione, dichiarando con questo che la ragione non  punto opera nostra, ma  divina rivelazione. Che qualora tu ti rammemori dei lavoro dello spirito intorno alle idee e come guardando nei loro concetti e nell*^ loro attinenze, noi componiamo i giudicj ed i raziocini e tutto questo nel fatto sia opera umana, io ti verr altres ricordando che di tutto quel cumulo di ope- I razioni mentali, parte risulta dalla riflessione varia / fluttuante e meditativa del filosofo, parte  comune ad ogni sorta d' ingegni in quanto la forma stessa innata delle facolt nostre mena quelli necessariamente e con metodo uguale a riconoscere e persuadersi di certo no- vero di supreme verit. Cos V uomo partecipa alla di- vina ragione, in quanto  dotato della visione delle idee e imita come pu per felice istinto il divino discorso 0 l'eterno Verbo che tu il domandi. Conosci da ci essere verissimo che il senso comune  voce di popolo e similmente  voce di Dio. 13.  Per quando la filosofia con isforzo inaudito del meditare e dimostrare perviene per le sue vie al ri- sultamento medesimo cui giunge di balzo la mente del popolo mediante certa divinazione arcana e pas-  discorrono assai volentieri dell'azione reciproca delle sostanze, egli si pu sfidarli alla prova del dar ra* gione sufficiente delle cause esteriori operanti in noi con violenza, di qualit che l'anima ncstra vi rilutta ^ con ogni forza e con fatica angosciosa e infruttifera. Strana cosa, davvero, che 1' ente uno ed universale voglia patire la propria azione e continuamente addo- lorarsi e straziarsi. IV. . 30.  Raccogliendo le cose discorse, abbiamo che la * causa  latamente sinonimo di sostanza attiva, sinonimo di potenza e di forza, la quale se opera,  attuale; se non opera,  virtuale. E quando non esce dal proprio 20 LIBRO PRIMO. essere piglia (si disse) nome di formale; quando esce, di .efficiente. Ed  formale ed efficiente nei tempo stesso quando per ispiegare T efficacia sua al di fuori in al- cun subbietto esteriore  d'uopo di passare innanzi dentro di s dallo stato virtuale alP attuale e sussi- stente. ^ ' 31.  Vollero alcuni dialettici cbe qualcosa tramez- zasse fra la potenza e V atto e la chiamarono conato. Noi non conosciamo il conato se non l dove Teifetto o vogliam dire V esplicazione deir atto  impedita eate- riormente o per lo manco ne  impedita la manifesta- zione sensibile; come Tatto di gravitazione  sempre in conato ne' corpi cui  impedito da altre forze di ^ cadere verso il centro. Ogni rimanente  sottigliezza ^^ed equivoco di parole. jj 32.  La causa trae sempre qualche cosa dal nulla, 'eziandio se produce da tutta l'eternit. Perch, dove la causa non operasse, l'efipetto non sarebbe in nes- suna maniera, ovvero uscirebbe dal nulla senza ca- gione. E sia pure preesistefnte la facolt, ovvero la materia, l'esplicazione dell'atto nell'un caso e la forma determ inata nell' altro saranno esse dedotte dal nulla. Se entrambe poi esistevano, il modo, l' accidente o che altro viene causato escir parimenti dal nulla. Pe- rocch se tutto debbo preesistere e nulla cosa  pro- dotta, non v'  pi causazione, ovvero la causazione stessa diventa impossibile, come sembr affermare la scuola Eleate. Produrre adunque alcuna cosa vuol dire condurla dal non essere all' essere. E appunto perch la causa  creatrice e l'atto onde qualunque essere od anche qualunque modo di essere esce dal nulla  misterioso, noi non avremo mai concetto chiaro e ana- litico della nozione di causa, e intendo causa propria- mente efficace. DEL FINITO IN S. 21 33.  Menare, per altro, una cosa dal non essere air essere, nchiude, chi ben guarda, nna potenza infi- nila; perch  infinito V abisso che separa Pente dal nulla. Ogni specie adunque di causazione o sostanziale o modale che sia, opera in virt d'una potenza infinita.^ 34.  Di qui si traggo che una sola causa sussista nelFuniverso a cui tal nome compete veramente e asso- lutamente ; perch due infiniti di potenza sono impos- sibili, e questa causa prima ed ultima  Dio. 35.  Da ci rampolla (e sia qui detto per transito) una dimostrazione assai rigorosa e poco avvertita cos dell' esistenza di Dio come del principio di causa. La quale dimostrazione appena vuoisi affermare che pro- ceda a posteriori, bastando a costituirla qualunque atto del pensiero. E per lo certo, si noti il legamento delle infrascritte proposizioni. Io penso, dunque esisto. Tal mia conclusione  un secondo pensiero diverso dal pri- mo ; io esisto, adunque, mutando. Ma ogni mutamento o sostanziale o modale  una nuova esistenza ; ed ogni si fatta ricerca un potere il quale la tragga dal non essere all' essere; e perch dall'uno all'altro corre in- tervallo infinito, lo pu solo riempiere una potenza infinita. Va dunque l'infinito che crea e determina tutte le esistenze nuove e fornisce altres al pensiero la facolt di mutarsi. 36.  Impertanto, dopo Dio tutte le altre cause "^ sono per partecipazione e si domandano cause seconde. Nel vero, se pu esistere il finito possono ezian- dio esistere le cause finite o seconde; e se esiste una sola causa assoluta, non perci non possono esistere cause relative e cio a dire partecipi di virt effettrice.^ 37.  Ma v'  chi sostiene che il mondo creato  in- finito ed  intrnseco alla sua cagione.  prova il primo 22 LIBRO PRIMO. enunciato con questo, che da causa infinita' pu solo provenire effetto infinito. T, i*vt[ n^ r 38.  Al che si obbietta col presente dilemma ; o le ^ ss^/^i^ cose create sono consustanziali con Dio o non sono. Chi afferma il primo, cade nel gran paradosso dMm- medesimare il finito coir infinito; poich T esperienza ci prova che nel mondo  il finito. Chi afferma il se- condo e tuttavolta sostiene la infinitudine della crea- zione, ammette due infiniti T uno fuori dell' altro ; e poich r uno debbe all' altro mancare, ei sono finiti ambedue. N si scampa dal dilemma dicendo con Hegel la cagione e l'effetto essere a un dipresso identici; espressione, che torna a ripetere, sotto diverso sem- biante, il gran paradosso della parit dell'ente e del nulla. Ma in realt cagione ed effetto differiscono tanto quanto il finito dall' infinito. Conciossiach questa  vera e assoluta cagione, come vero effetto  1' universo creato. N giover di vantaggio il pronunziare insieme col Bruno o con altri pi moderni che l'effetto dimora nella cagione come l' atto nella potenza, ovvero che la cagione infinita ed implicata diventa esplicita uell' ef- , ietto pur rimanendo uguale a s stessa. Cotesto ambi- f gue parole di atto e potenjsa e di estrinseco e intrin- , seco anno corto dominio laddove si ragiona schietto e preciso. 39.  Quando l' effetto non trapassi per niente fuori della sostanza divina, la risposta fu gi espressa e chia- rita pili d' una volta. Quando trapassi al di fuori, r effetto non  spiegamento ed emanazione, ma crea- zione reale dal nulla. Quindi la potenza rimanendo scissa dall' atto, e l' implicazione dalla esplicazione, la causa non pi possiede l' infinito determinato nel pro- prio effetto e quindi  incompiuta e manchevole. j r Adunque, dicendosi che da cagione infinita pu DEL FINITQ IN S. 23 solo uscire effetto infinito, ei si fa impossibile al tutto la creazione e si nega la esperienza la quale atte- sta invittamente a ciascuno che il finito esiste. E sia questo un mero fenomeno; ci non lo confonde col nulla. V  nella natura serie e specie di modi, serie e specie di affezioni, atti e accidenti che si succedono e passano e dei quali si pu aver il numero, la quantit e la misura. Ma la quantit e il numero sono sempre limitati e per nessuno sforzo e nessun miracolo si con- vertono neir infinito, ed anzi  provato evidentemente che ci racchiude una logica ripugnanza. ^ 40.  D' altra parte, V efficienza infinita mostrasi tale eziandio nell' effetto, in quanto tragge le cose dal nulla. Cavarne un granello di sabbia od un infinito  sotto questo rispetto un medesimo. Altrettanta potenza infinita vi vuole a conservare la creazione in ciascun attimo di tempo, altrettanta a partecipare agli enti finiti alcun grado di causale efficacia. 41.  Da ultimo, ci che davvero riuscirebbe defi- ciente e per non divino e non infinito nella virt crea- trice, sarebbe se la natura non diventasse tutto quello che mai pu essere a rispetto del fine ; il che non fu mai dimostrato da alcuno ed anzi fu dimostrato il fontrario, e noi ne terremo speciale e lungo ragiona- mento. 42.  Giordano Bruno aiuta vasi di provare con venti diversi argomenti la infinit del mondo. Ma prima avrebbe dovuto liberar la sua tesi dalla logica impos- \ sibilila che racchiude ; e intendesi che gli conveniva \ mostrare la compossibilit di due infiniti, V uno dei quali  fornito di tutte le perfezioni e ci non ostante ueir altro  certa positiva infinit che vuol dire per- fezione. Poi gli conveniva mostrare come una serie di finiti pu costituir l' infinito, e il sempre manchevole 24 LIBRO PRIMO. costituire il perfettamente compiuto. N solveremo il Bruno da tali contraddizioni ripetendo quello che abbiamo test ricordato e combattuto e cio ch'egli concepisce in fondo un solo infinito distinto per altro in potenza ed in atto ; la natura naturante essere una infinita facolt o virtualit; la natura naturata, un atto infinito. Ma oltre alle ragioni esposte qua poco addietro, subito ricorre alla mente la contraddi- zione manifesta di chiamare facolt o potenza ci che dee permanere mai sempre in atto ; ed  un voler fare a forza certa distinzione e certo separamento dove non pu sussistere. La distinzione tra facolt ed atto  luogo unicamente (chi non lo sa?) nelle cose finite dove del sicuro l' atto non sempre accompagnasi alla facolt, e dove 1' atto  pur sempre una esplicazione di lei; e come altri disse  un atto secondo o perfetto a riscon- tro della facolt che  un atto primo e iniziale. Certo nella natura, parlandosi al modo di Bruno, le mani- festazioni dell' atto assolutissimo sono diverse e succes- sive. Ma se queste sono altrettanti atti separati, 1' As- soluto  composto e finito; se escono da un solo infi- / nito atto, riviene l'opposizione qui innanzi toccata. Per tale rispetto, il sistema dello Schelling e quello del- l' Hegel tornano nella sostanza un medesimo col si- / stema del Bruno; tutti tre fondamentano il loro edificio % sopra una distinzione assai positiva di potenza e di atto che  impossibile nell' Assoluto. 43.  Quindi si badi che in fondo upa sola e per- petua  la questione la qual pende fra noi e costoro. Noi concepiamo ed asseveriamo un vero infinito ed una pienezza intera ed assoluta di essere; quelli un infinito che vassi facendo e compiendo, e cio qual cosa di ri- ^ pugnante con la germana definizione del concetto e col ^valore del vocabolo. DEL FINITO IN S. 25 V. 44.  Le cagioni seconde come sono tali per sem-^ plice partecipa/ione cosi non possono contenere una effi- cacia diversa o maggiore di quella che  loro infusa originalmente e la quale costituisce la loro essenza. Di quindi gli assiomi che valgono solo per V or- dine delle cagioni di cui parliamo; e i principali sono: Che nelle cause formali l'efiFetto esser non pu dif- ferente di natura e di essenza ; e nelle cause efficienti che il tutto diverso non opera sul tutto diverso: Che l'efiFetto non pu superare di quantit ne di qualit la cagione, come non pu essere minore e in- feriore, se parte dell'efficienza causale non  impedita: e? /^^^nr Che se l' essere della cagione  meramente facolta- tivo o potenziale che voglia dirsi, il principio il quale determina la facolt o la potenzialit all' atto non  insidente nell' essere stesso, ma gli viene dal di fuori : Che ogni atto  ricevuto secondo il modo del ri- cevente. Vi sono altre massime pi agevolmente apprensi- bili, derivandole per egual maniera da ci che doman- deremmo la proporzione delle cause con gli effetti, e delle cause in fra loro. 45.  Ripetiamo poi che tutte le cagioni seconde si , adunano nei due grandi ordini delle formali e delle effi- cienti od efficaci che le si chiamino. Nelle prime mi sem- bra di non ravrisare distinzione di genere sebbene si di- stinguono per la natura dell' atto. Conciossiach la ca- gione formale talvolta opera spiegando la facolt e attuando la potenza ; talaltra, ricevendo l' azione este- riore nel modo determinato e speciale della propria indole; dacch in quanto l'estrinseco atto  ricevuta 26 LIBRO PRIMO. cosi o cosi la sostanza passiva opera in s medesima ed  cagione formale. 46.  Invece, noi giudichiamo che delle cagioni effi- cienti sieno da notare se non tre generi diversi, certo tre gradi molto distinti, e sono l'efficienza fattiva, la pro- vocativa e r occasionale. Do il primo nome a quelle t cagioni che modificano direttamente e profondamente \ un subbietto per la insinuazione del proprio atto. Per centra, do il secondo nome alle cagioni efficienti, le quali, meglio che imprimere in altri la virt propria /particolare, suscitano nel subbietto passivo alcuna po- tenza latente ovvero alcuna mutazione nelle qualit e maniere attuali. In fine, cotesta provocazione pu tanto scostarsi dalla natura della sostanza da onde muove che meriti nome di pura virt occasionale. 47.  Ma d'altra parte cotesti tre gradi o sorte di ^ azione efficace si mescolano di leggieri insieme, ed i loro /Confini a mala pena si discernono. Anzi tratto si pu di- . sputare se v'  mai cagione propriamente fattiva e non sieno in quel cambio tutte cagioni provocative. Per fermo, se ogni mutazione nel mondo fisico accompa- gnasi col movimento e questo  promosso e non gi trasfuso, tutte le cagioni fisiche, quando pure sieno fat- tive, riescono altres provocative ed occasionali. Queste ultime poi alterasi mostrano nelFessere proprio, quando n provocano n modificano ma tolgono V impedimento a qualche azione diretta; ovvero, sebbene cooperano a qualche effetto notabile, lo fanno per solo accidente e per caso o con atto remotissimo dalle ultime effettua- zioni e troppo da loro sproporzionato. 48.  L' esperienza induce chiarezza, precisione e mi- sura in tutte queste gradazioni; invece, la speculativa giunge a mala pena a riconoscere alcun che di assoluto, per la ragione che quanto  certo l' operare delle cause DEL FINITO IN S. 27 efficaci altrettanto  oscuro il lor modo di penetrare le sostanze e modificarle. Nondimeno,  lecito di affermare nel generale che tra essenze omogenee interviene un'azio- ne fattiva e fra le meno ed anche eterogenee quasi al tutto succede V azione provocativa e l' occasionale. J 49.  L' oscuro modo di operare delle cagioni pro- veniente dal fondo ignoto ed inconoscihile delle sostan- ze, dette agio agli scettici di negare a dirittura l'ef- ficienza delle cagioni. La contesa ci appare quetata ed ; estinta per sempre, argomentando dai fatti e conclu-  dendo in una cognizione, certa, sebbene di forma, spe- rimentale. Nel nostro agire e patire e nelle intuizioni che sempre lo seguono  dimostrato con evidenza che noi siamo causa formale e causa efficiente e che a vi- cenda il nostro corpo e le forze ambienti sono causa efficiente sull'animo nostro, senza distinguere ora la sorta e il grado della loro virt effettrice. 50.  Ma volendosi intorno al proposito ragionare a priori e con ordine deduttivo, credo che dovremo ri- strngere ogni conclusione in questi pochi pronunziati. 51.  Esservi una potenza infinita determinatrice di ogni finito; e per esservi una cagione suprema ef- fettrice dell' universo. Il perch quando anche si po- tesser negare tutte le cause seconde, sarebbe necessit riconoscere una causa efficiente perenne ed universale per tutte le sussistenze finite e per ogni lor mutamento. 52.  Nessuna delle condizioni e limitazioni che debbonsi attribuire alle cagioni seconde, qualora esi- stano, conviee di assegnare alla efficienza infinita, a ; cui sono possibili tutte le sorte di relazione causale fra lei ed il mondo, salvo quelle che implicano ripugnanza logica manifesta. Per l'Assoluto potr effettuare ad extra il simile quanto il diverso; ed anzi il creato avr del sicuro essenza diversa da lui. 28 LIBRO PRIMO. 53.  E cotesta  dottrina teistica. Invece nel panteismo, in quella maniera che poco o nulla si pu' concepire la causa operante fuori di s, del pari non vi s' intende com' ella efiFettui ancora il diverso da s ; in fatto, nel sistema della sostanza una ed insepara- bile ogni mutazione debbe da ultimo essere un atto e un modo di quella sostanza. Ora, chi pu farsi capace di questo che il modo e 1' atto non sieno d' una es- senza e d'una natura col subbietto e l'agente? 54.  Dicemmo, ed or confermiamo, poter esistere le cause seconde e cio alcuna specie e grado di ef- ficienza partecipata. 55.  Atteso poi che ogni sostanza per operare al di fuori conviene sia fornita di attivit e questa di- mora in due stati diversi, e vale a dire in implicazione di potenza, ovvero in esplicazione; seguita che ogni causa efficiente sia innanzi tratto causa formale entro s medesima. 56.  Da ultimo, considerando che la creazione esce dall' assoluta bont di Dio, e che per ella dee contenere tanto bene quanto il finito ne sia capevole, deesi giudicare che, merc d' una meditazione intensa e rigorosa sulla dispensazione divina del bene, la mente  facolt di costituire la certezza scientifica della esi- stenza delle cause seconde e ben definire i modi es- senziali d'ogni loro operato; il che appunto procaccer d' indagare e fermare la nostra cosmologia ; fondan- dosi precipuamente su quel gran vero che la sola e mera passivit nelle cose non  nettampoco apprensi-* bile e che il bene risolvesi in attivit essenziale e per- manente. Questo poco  lecito di argomentare intorno ^alla categoria delle cause per sola virtii discorsiva. I 57.  Altre analisi pi minute della materia sono ) da lasciare ai grammatici e ai logici, nelle cui distin* DEL FINITO IN S. 29 zioni, per altro, incontrasi le pi volte una chiarezza ^ apparente ed  mantenuta V occasione di molti dubj  e la noia dell' ambiguit. N credere, per via d'esem- % pio, che dopo studiate le trattazioni loro tu avrai netta dentro al pensiero V idea della causa generale e della particolare, ovvero V idea d' una efficienza che opera sostanzialmente e d' altra che opera per accidente. 58.  Sul che diremo pur di passata essere generali (come suona il nome) le cause che operano in tutto un genere e nel comune delle cose, laddove sono par- ticolari quelle che operano nelle specie e nel proprio. Le prime appariscono in ogni atto del genere e per sono continue. Le altre o sono discontinue e appari- scono qua e col; ovvero, se operano sempre, non di- morano in tutte le specie. Fondamento delle prime  la identit, la diversit delle seconde. In ogni cosa y' il mutabile e T immutabile. Nel primo sono gli accidenti, nel secondo sono le essenze. Gli atti del primo sono cause accidentali, gli atti dell'altro sono cause sostanziali. E perch il mutabile e l'immutabile anno spesso del relativo, cos le cagioni cambiano non rade volte il nome di sostanziale e d'accidentale; e perch gli accidenti per la^loro incostanza non la- sciano spesso conoscere le cause minute e fuggevoli alle quali appartengono, di tal guisa sono chiamate cause fortuite; sebbene alcuna volta paiono condur seco effetti di suprema importanza, il che avviene per virt occasionale, come pi sopra fu notato. VI. 59.  Le cause finali non esistono nella natura, in quanto le cose sfornite di ragione obbediscono solo alla intrinseca necessit della loro forma. Per ogni 30 LIBRO PRIMO. ycosa d' altro lato  causa finale in quanto  governata /da una perenne mentalit che le coordina, o a dir piii esatto, le preordina ; onde esse cose operando fatalmente /giusta le necessit della propria natura si conformano /a capello all' attuazione del fine. Chi afferma che Dio opera nell' universo creato senza rispetto a fine viene ad affermare ch'egli opera senza ragione; perch la causa propria del diventare delle cose  nella natura di esse, ma la ragione  nel allegamento loro all' ordine od al fine che voglia dirsi. Rimane di chiarire questa idea medesima del fine. 60. ~ Certo, la idea del fine non  applicabile a Dio considerato nella sua eterna e perfetta esistenza; conciossiach V infinito non diventa e non si perfeziona. Del pari, la idea del fine non  applicabile alla na- tura se questa  necessariamente tutto ci che pu essere e non v'  distinzione tra il bene ed il male, in quanto il bene ed il male sono entrambo necessarj, en- trambo debbono venire all' atto sino allo esaurimento ultimo della possibilit assoluta e sono manifestazioni parziali e transitorie di Dio. 61.  Invece la distinzione profonda tra il bene ed il male  cos propria dell'intelletto quanto quella del vero e del falso, dell' essere e del non essere. Ora il bene si converte col fine, e ci che non  bene ed al bene non / serve, usurpa il nome di fine ma tale non  in sostanza. Il fine adunque  il bene conseguibile dell' universo, v'^ Im pertanto per compiere lo intendimento del concetto di fine  bisogno intendere il termine col quale essen- zialmente si converte, io vo' dire il bene. Ci posto, io affermo che il bene assoluto in Dio si conveite con l'essere. Ma nell' Universo creato mescolandosi il male al bene  impossibile convertire quest' ultimo col puro essere. ^ DEL FINITO IN SE. 31:  convertendolo di tal ^uisa  chiaro che non y'  pi modo di distinguere il mezzo dal fine; e se ogni cosa  fine, il fine pi non esiste. 62.  V  dunque nel creato il bene ed il male e' delle cose che conducono al bene ma che il bene non SODO. Da ultimo, egli non si pu concepire il bene in una forma positiva e quindi desiderabile, qualora non sia si- nonimo di beatitudine; e la beatitudine vuol dire la pe- renne coscienza, soddisfazione e armonia di tutte le fa- colt deir ente personale nel colmo deir attivit loro. Tutti gli altri beni sono un vestigio di questo, salvo il bene morale in quanto  legge divina prescrivente l'or- dine secondo il quale V universo creato aggiunge il suo fine, e per  bene assoluto e convertesi con esso Dio legislatore supremo. Oltrech, la beatitudine e il bene morale come eziandio la perfezione dell' essere sono termini i quali da ultimo debbono insieme incontrarsi ed unificarsi; imperocch sotto un rispetto umano e finito r uno  mezzo e V altra  fine, e 1' una  un po- stulato della assoluta ragione dell' altro. 63.  I vecchi panteisti, conseguenti a s stessi, quanto fu loro possibile negarono la distinzione del bene e del male e per negarono le cause finali ed ogni progresso come ogni moralit. I panteisti moderni incoerenti ad ogni tratto con s medesimi pongono Tindefinito sviluppo dell'Assoluto e per l'ordine dei mezzi e dei fini. Vedemmo altrove che le nozioni o idee sono le eterne possibilit delle cose e quindi le loro vere cagioni efficienti. Ma rispetto al pensiere umano e in quanto elle porgono a lui r esemplare di ci che attua nelle opere d' arto e di pratica, torna piii convenevole registrarle nell'or- dine delle cause finali, facendo parte essenziale delle intenzioni dell' uomo. 64.  Le altre condizioni proprie e specificate del 32 LIBRO PBIMO. principio causale nei secondi agenti o vogliam dire nelle cause create e finite, verranno descrtte nel Capo che segue. I cenni dati qui sopra ci paiono convenienti e bastevoli a chiarire e ordinare quanto bisogna il pr* gresso della trattazione. 65.  Malebranche, gran filosofo, conforme fu detto nel Libro quarto dell'ontologia, neg a dirittura le cause seconde per la ragione che nemmanco Dio pu loro fornire V assoluta causalit. Ci prova troppo dav- vero ! E perch potr egli il Signore Iddio partecipare r essere, la bellezza la mentalit ec. e non V efficacia causale? Noi siamo sempre allo stesso discorso. Oltre r infinito pu esistere il finito. Dunque oltre la po- tenza ed efficienza infinit possono esistere gradi e ma- niere finite di efficacia causale; e come Dio  imma- nente nelle sostanze e pure non le immedesima a s, del pari egli  immanente nelle efficienze finite che sono air ultimo non altra cosa che attivit sostanziali. Che se al Malebranche manca ardimento di ricusare air uomo la facolt degl' impotenti desiderj e conati, come non s' avvede che impotenti o no, que' conati e que' desiderj sono cause formali ? Ora, introdotta nella natura in qualunque via e maniera una poca parteci- pazione di causalit,  lecito di supporre una parteci- pazione maggiore e il quanto ci verr discoperto e in- segnato dalla coscienza e dair esperienza. 66.  A rispetto poi del sapere come un atto pe- netra in altro subbietto e lo modifica, concedo che mai non vi perverremo, perch converrebbe avanti disvelare l' ultima essenza delle cose. Quindi tale impossibilit di conoscere non  maggiore intorno le cause che in- torno a tutte le essenze. Chi conoscesse intimamente il subbietto dell' anima, scorgerebbe il perch dell' esser ella fornita di certe facolt e non di certe altre. Perci DEL FINITO IN SE. 23 quando dicesi che nei finiti il diverso non a balia ^ d'operar sul diverso,  ragionevole d'intendere che sono diverse compiutamente due cose della quale Tuna non pu farsi passiva dell' altra, ovvero che non v'  fra loro n somiglianza di natura ne possibile rela- zione di causa e di efiFetto. Quello, pertanto, che " ac--' eettahile nella teorica del Malebranche chiamata occa- sionalismo, si  che noi vfediamo tra esseri, i quali giu- dicheremmo diversi affatto, sussstere una relazione causale e ci non per un atto speciale della potenza di Dio, ma per una originale disposizione e costituzione di quelle sostanze ; il che torna a dire che la diversit loro non va sino al punto di fare impossibile ogni ef- ficacia causale dall' una all' altra. 67.  In mano poi degli occasionalisti il concetto medesimo di causa occasionale si va alterando e fal- sando; dacch significa una relazione di contempora- neit e concomitanza determinata per arbitrio non per necessit delle cose. Nel vero e nel fatto, pur le ca- gioni occasionali operano con necessit intrinseca le- gata e connessa all' estrnseca di tutti gli enti. 68.  Ma nel generale  da dirsi che la categoria di causa fu la peggio trattata in filosofia ; e Aristotele ne parl felicissimamente da logico, scarsamente da metafisico ; e mentre negava a Platone l' intrudersi delle idee nelle essenze effettive, chiamava del pari cause formali le nozioni e il principio attivo e interiore delle cose. Onde per lui le definizioni erano cause ; e dedurre per sillogismi era dimostrare dalle cagioni. N mai sospett che dovesse farsi luogo alla controversia pro- mossa dall' Hume tanti secoli dopo. E se nell'undecime della metafisica discorre delle cagioni con maggiore pro- fondit e le quattro classi riduce a due, sembrami avere egli concluso bene intorno al concetto della ragione Mamufii - H. S 34 LIBRO PRIMO. prima assoluta, ma lasciare incerta e incompiuta la dottrina delle cause seconde. Kant, postosi a rifare, come ognun sa, il libro dei Predicamenti e venuto a parlar della causa, la estenu di maniera che le tolse persino il principio attivo, convertendolo in un concetto appli- cabile a tutte le mutazioni che accadono con qualche legge. CAPO TERZO. AFORISMI DELLA FINIT DELLE COSE. Aforismo I. 69.  Ora seguono gli aforismi annunciati pi so- pra intorno alla condizione e natura della finit in s medesima considerata. E primo nelP ordine dialettico viene l'infrascritto. r II finito in quanto tale si diversifica necessariamente dair infinito. E se questo  l' uno, l' altro  il molte- plice. Quindi il finito per se opponesi altres all' unione e va diviso e disgregato. 70.  Del pari, non  omogeneo, ma eterogeneo e diverso. Perocch l' unione e la somiglianza contiene certa effigie di unit. Non  ordinato, concorde ed ar- monico, ma confuso e discorde per la ragione medesima che la concordia e 1' armonia, e per M ordine inchiuso in entrambe, s'accostano all'unit ed anzi sono certa ^ unit relativa. Oltrech l'ordine e l'armonia dovun- que appariscono fanno forza al pensiero di ricouo- /Scere quivi entro certa mentalit e certa intenzione finale. Mentre nelle cose contingenti a s medesime abbandonate si dee concepire o la immobilit o il tu- DEL FINITO IN S. 35 multo; e quando nella immobilit si scorgesse qualche ordine, sarebbe per accidente e senza alcuna razionalit. Perci se nella creazione tu scorgi spesso l' omogeneit, la somiglianza, la concordia e cos seguita, non di guari attribuirle al finito siccome tale ed a ci che no proviene immediatamente, ma s ad un altro principio che  necessario di riconoscere, onde sia possibile di spiegare e d' intendere la natura. 71.  N si obbietti che l' uno pu molto bene sus- sistere nel finito salvo che non ci pu stare perfetto e senza limitazioni. Conciossiach l'unit  per se mede- 1 sima qualche cosa di assoluto, ed  carattere eminente deir Infinito ; talch uno e infinito sono termini che si convertono. Adunque il finito siccome tale aver dee il carattere della moltiplicit. E se tu fingi che esista un solo finito e quindi non altro che certa unit relativa e finita, certo ch'ella rimane smisuratamente indietro dalla possibilit del finito, il quale pu essere ripetuto innumerevoli volte e cio a dire che pu sussistere come moltiplicazione e reiterazione. Perch quell'uno finito che pure i finto cosi solitario sar molteplice nelle mutazioni de' suoi fenomeni o negli atti di lui necessariamente suc- cessivi o nelle stesse qualit che s'aggiunge e s'ap- propria 0 per ultimo nella possibilit di venir replicato. 72.  Il simile discorso torna per le diversit. Con- ciossiach se tu le sopprimi, tu abolisci quasi tutta la creazione; e se tu le ammetti e le vuoi sussistenti, le dovrai disgregare ; perch 1' uno e il diverso per s me- desimi si respingono. 73.  Qui si vede quanto errano coloro i quali danno al mondo per primo ed essenziale carattere la 36 LIBRO PRIMO. unit, e coloro che vi cercano certa causa prima e sem- plice e conosciuta la quale (dissero gli enciclopedisti) l'intero universo sarebbe spiegato. Intanto la scienza che ancora bambina sperava di risolvere tutto il creato corporeo in quattro soli elementi ne confessa oggi ol> tre a cinquantasei, non contando g' imponderabili. 74.  Cosi pure incontra che appena stimiamo di avere raggiunta certa unit di causa e con essa ci poniamo a render ragione d'innumerevole variet di fenomeni, insorge la difficolt di spiegare il perch delle difiFerenze. Tu afiFermi, per via d' esempio, che i quattro fluidi imponderabili sono uno soltanto. Tro- vami adunque il principio della diversit in ciascuno per se e in ciascuno a rispetto degli altri. 75.  Hegel aggiusta ogni cosa ponendo il contra- rio e il diverso ed anzi la stessa contraddizione nell'Uno. Ma ci sta bene pel solo Hegel il qual disconobbe sem- pre il vero e positivo infinito e quindi sempre laver unit. / Fu eziandio presunto e cercato nella grande sfera / mondiale un centro. Ma esso disparve pi sempre quanto la osservazione nostra venne armata di poderosi stru- menti. 76.  Ne si opponga che i fisici anno mille volte presentita e scoperta la unit e semplicit delle cause; e che rimovendosi questa divinazione dell'uno nel vario e del semplice nel composto, le scienze naturali cadono in confusione e diventano ci che furono lungo tempo, ^ un elenco vale a dire di fatti e fenomeni sdrusciti e scon- / nessi. Noi pi tardi considereremo questa maraviglia in- essante dell'uno e del semplice, apparente in mezzo alle >j) e con Platone Tanima una del mondo, ovvero cercano nel tutto visibile qualcosa di pi vivente e di pi sostanziale che la cospi- razione coordinata delle parti all'effettuazione progres- siva dei fini eccelsi di creazione ; e di l dal visibile . non credono ad altri mondi alieni da noi ed affatto esclusi da quella unit che possono attingere in qualche grado mediante la nostra geometria e la nostra fisica. Ma di questo si parler meglio pi tardi. Giova poi di osser- vare (e altrove se ne far alcuna parola) che l' anima del mondo descritta dal Timeo pu essere interpretata sanamente, perch forse nel concetto di Platone quel- la anima  la idea del mondo, e cio la eterna efficienza e la eterna mentalit che regge ed anima la natura tutta quanta e di cui mostreremo in fra breve potersi anzi doversi dire che vive immanente in essa natura. 40 LIBRO PRIMO. C. 84.  Il sistema dell'Hegel d air infinito le limi- tazioni del finito e a questo il potersi mutare nel suo contrario. Ma se taluno andasse pensando di applicare cotali concetti alla ^ola natura o (parlandosi col dizio- nario hegeliano) al solo diventare, potrebbeglisi consen- tire ? Non gi, perch colui ne formerebbe certa entit universale e universalmente feconda che non pu esistere. AroBisMo IV. ^ 85.  Discende per altro dal sopradetto che sono ipipossibili solamente le nature universali attive (v perfette. Ma quelle che fossero universale sostegno di modi sempre finiti e costituenti con esse una entit inferiore e valessero come un limite ed una negazione* allato air universale vero e perfetto ? Affermo che in simili universali non giace veruna con tradizione logi- ca ; e penso ve ne sia forse un esempio nel subbietto dello spazio che  una virtuale ed universale capacit ^d' indefinite estensioni. Ma di ci si discorse altrove. 86.  Se non che un subbietto universale e cio infinito pu egli essere negativo? 0 possiamo concepire un che positivo il quale torni ad imperfezione assoluta  introducendolo nell'infinito? Certo sarebbe tale un sub- bietto uni vereale (quando esister potesse) di tutte le cose deformi ossia se fessevi il brutto universale effettivo come altri va pensando del bello; il simile si dica se tutte sorte di mali fossero un che positivo e congiunto e si risolvessero sostanzialmente in vera unit. La natura finita, appunto perch finita, incontra certe condizioni e opera certi atti che sono contrarj alla perfezione seb- DEL FINITO IN SE. 41 bene sieno positivi e in mera negazione non si conver- tano. Il dolore, per esempio, non  mera negazione ; ma  un positivo che parte si concorda con l'ordine e parte proviene dalla iinit delle cose. Del pari, il mal mo* rale non  semplice negazione tuttoch provenga fon- talmente da negazione; imperocch, sarebbe impossibile in ogni maniera, se gli enti morali avessero cognizione perfetta deir infinita verit sapienza e bont. Il sentire in generale  cosa ben positiva ma del sicuro non  in Dio. 87.  A quell'assoluta asserzione adunque di pa- recchi metafisici che tutto il positivo della creazione e dell' uomo esiste infinitamente in Dio, conviene apporre la distinzione tra il positivo che convertesi con una perfezione e V altro che  cagionato fontalmente da qualche condizione d' insufiicienza e di finit. Le quali conclusioni si ragguagliano esattamente con quelle del primo e secondo Libro della nostra ontologia. 88.  Ora, seguiterebbe forse il considerare se nella virt estensiva, o nello spazio in potenza che altri lo chiami, dimora mai un universale che possa stare nel- l'Assoluto, e vogliam dire se in quella virtii di esten- sione giace un positivo che sia perfezione; o per lo contrario, debba venir registrato fra le esistenze le quali procedono dall' assoluta finit delle cose. Ma questo venne trattato da noi largamente in altra scrittura.^ 89.  Pel rimanente, dal non potersi negare un subbietto infinito di spazio e cio capace d' un inde- * Appeadice I. 42 LIBRO PRIMO. finito numero di estensioni particolari dovrebbesi ri- trarre senza dubitazione che il subbietto delle esten- sioni  un positivo che in ninna guisa  convertibile in una perfezione divina. Gonciossiach il nudo e maro capiinento, sfornito di attivit, non  perfezione e non pu diventare mai tale con V aumentazione infinita o superlazione che s'abbia a dire. Laonde il concetto pi confacente a cogliere la natura della immensit di Dio consiste, per nostro avviso, nel figurarci la onnipotenza e la ubiquit, per cos chiamarla, dell' atto creativo. 90.  Ad ogni modo, per dissipare qualunque dub- biet e qualunque pericolo di riuscire a dottrine incoe- renti, giova di aflfermare che quando la virt estensiva abbia in s alcun principio perfettivo, ella del sicuro non  infinita, e se diventa capace d'ogni indefinito numero di estensioni, ci le avviene per infusione rin- novatale perpetuamenle dall' atto creativo. a ^ 91.  Questo negare a dirittura gli universali nella creazione e non far luogo che ai soli particolari, con- tradicendo opinioni inveteratissime debbe offendere molti ingegni e dispiacere ai moltissimi partigiani delle cosmologie animate ed organiche, i quali recitando di gusto quel virgiliano spiritiis intus alit et tota se cor- pore miscet non cercano guari pi l e scambiano la scienza col lor sentimento. Nondimeno confidiamo che a poco a poco si ve^r la necessit e certezza dei no- stri pronunziati. E d'altra parte, crediamo ogni ge- nerazione di fisici starsene dal nostro lato e ripetere in coro che nel creato visibile non sussistono salvo che i singoli esseri perfettamente individuati. Il concetto delle specie e dei generi oltre all'insegnare intorno DEL FINITO IN S. 43 alle cose quello che  sostanziale od accidentale e la maggiore o minore larghezza e profondit dell'opera delle cagioni piii dififuse e frequenti, rivela eziandio la realit d' infinito numero di attinenze col nostro spirito e con le possibilit eterne. Il che sia detto per coloro i quali reputassero la nostra teorica troppo in ci dissomigliai! te dalla platonica. Del divario poi tra il positivo della specie e il positivo dei generi si parler in altro luogo. Aforismo V. 92.  Le precedenti proposizioni esprimono del finito ci che dobbiamo considerare come una aliena- zione da Do e una confusione e discrepanza intestina . del Caos. E V attuazione di tutti i possibili se dee co- minciare dal meno e salire per grado a maggiore acqui- sto di essere, principier del sicuro da una specie in- - fima di sussistenze in cui le angustie del finito sieno . le pi appariscenti, e cotale  la materia. Ma questo co- . minciamento debbe venir contemplato piuttosto in senso logico di quello che in cronologico. A ninna sostanza originale ed elementare pu dar nascimento un'altra sostanza. Quindi escono tutte immediatamente dal- l' atto creativo. Nondimeno vi escono giusta 1' ordine di Convenienza, conforme verr spiegato nel Libro secondo. 93.  Nella stessa materia, per altro, v'  diversit e gradazione di essere. Conciossiach i metalloidi sono al certo superiori di attributi a molti metalli e l'ossigeno primeggia senza paragone fra i metalloidi medesimi. Oltrech, si pu immaginare alcuna cosa pi bassa e 44 LIBRO PRIMO. pi limitata d' ogni metallo ; ma V esperienza non ci consente di conoscere n cosa pi alta dell' uomo n pi infima delle basi metalliche. Aforismo VL 94. Pure bisogna che il particolare, il diviso, il  zioni affermiamo, che questo dipendere continuo dal- l' esterno e cercare la dilatazione o dell' essere o del- l' efficacia propria mediante la congiunzione coi simili e la partecipazione dei diversi; questo incessante biso- gno di rinvenire e coordinare i mezzi gli strumenti e gli aiuti al conseguimento parziale del fine ; questo dovere ad ogni tratto superare gli opposti ; e da ultimo, nel modo che verr significato piii avanti, questo dover procedere sempre con grado e misura e alternando lo scomporre al comporre e i decrementi agli incrementi e resistendo ai conati gagliardi e assidui delle potenze distruggitive, fa e mantiene lo stato generale e perpetuo della na- tura materiale ed organica, e ci domandiamo con pro- priet di vocabolo il suo diventare. Espressione esatta, (vuoisi ripeterlo ancora) nella sola natura; e cos l' in- tendeva Aristotele laddove scrisse : tra V essere e il non essere trameBea pur sempre la generazione, come ira Venie e il non enie ci che va generandosi,^ Ma il di- ventare medesimo quale V abbiamo descritto, riesce fat- tibile in virt d' un principio superiore e diverso dalla natura, com^  proposito nostro di venir dimostrando, j Mela/itien, libro II, cap. 3. f \ 58 LIBRO PRIMO. 122.  A ogni modo, vedesi per ciascheduno quanto / tutto ci differisca dalla teorica la gu_ale spstiene che non pure la diversit e l' opposizione, ma la ripugnanza compiuta dei termini  intrinseca all'ente ; e che il sem- pre diventare e mutare dell'assoluta esistenza esce per intero da questo scorrere essa uniformemente per V arco d' una eterna cicloide varcando e tornando infinite volte sotto diverso sembiante dall' essere al nulla ovvero dal- l'essere in s all'essere in altro. Di guisa che le necessit ^ invincibili le quali rampollano dalle viscere del finito e ^ lo violentano a guadagnar l' essere con fatica e lentezza t e ognora imperfettamente ne gli consentono di muover I piede salvo che tra forze contrarie e mediante un con- ^ ftitto durissimo e interminabile, cotesto necessit, dico, delle finite e caduche esistenze vengono invece attribuite alla sopraeminente natura di Dio, il quale non conosce contrari n opposti, non sostiene trapassi n alienazioni e in cui il diventare, qual che si fosse, varrebbe il di- scendere nella impotenza e nella caducit. Lo Schelling pens a far precipitare dal cielo empireo certo numero d'idee. Ma presso Hegel la divinit intera rxiit ad in- teritum. CAPO QUARTO. dell'azione dei finiti. Afobismo I. 123.  Le proposizioni tutte quante, per altro, le quali escono dal supposto del legamento dei finiti in fra loro, mediante la congiunzione, e intendesi dire me- DEL FINITO IN SE. 59 diante ci che intramezza fra la identit e la separa- zione, inchiudono la possibilit, anzi il fatto dell' azione e passione reciproca ; essendo che il solo combacia- mento delle sostanze sfornito d'ogni atto reciproco, qnando pure non si riconosca impossibile, lascia del sicuro i snbbietti contigui, per cos chiamarli, nell' iner- zia ed inefficacia anteriore. Ma intorno a ci non avendo noi pronunziato nulla di rigoroso e apodittico, facciaitio luogo a questo aforismo ed ai susseguenti ripigliando il filo delle deduzioni l dove fu stabilita la necessit per le cose create d' un subbietto onninamente impar- tibile e semplice {Afor. V e VI). 124.  Posto che il semplice e l'impartibile costi- tuisca r ultimo fondo dell' ente finito, segue che ogni ente finito in questa sua forma non capace di divi- sione  pure non capace di mutazione ; e che mutare per lui varrebbe quanto annullarsi. Per fermo, l'ente rimane integro non ostante le mutazioni, ognora che lueste sieno atti, modi e accidenti di quello. Ma il subbietto concreto ed ultimo che non racchiude alcuna composizione e non  nulla di pi occulto e di pi intrinseco e tutto consiste in certa forma peculiare e immediata di essere, debbe o rimanersi qual , o la mutazione reca un altro essere in luogo suo. Del si- curo A quantit incomposta non mutasi in B senza cessare di essere A. Quindi mal si direbbe ch'egli  mutato ; ma parlandosi con rigore dovrebbe esser detto che r ente B  succeduto all' Ente A. A. 125.  Hegel a ci non pensava, quando dalla no- zione pura dell' ente e del nulla (elementi semplicis- simi) volea ritrarre una mutazione che fosse il diven- 60 L[BRO PRIMO. tare di quelli. Ma ci era invece una evidente surro- gazione. Il diventare o significa il suo contrario ov- vero implica di necessit una permanenza di essere anteriore alle mutazioni e poi simultanea con esse. Quindi r essere astratto e puro e tanto indeterminato da pareggiarlo e scambiarlo col nulla non pu diven- tare nessuna cosa; stantech conviengli per ci esi- stere innanzi del diventare ed esistere identicamente cos nella forma anteriore siccome in quella che in- duce le mutazioni e per cui pu essere detto eh' egli diventa. E nemman'co si pu qui pensare all'antece- denza d'un ente possibile o di qualsivoglia astratta virtualit. Perocch 1' ente puro e iniziale dell' Hegel  appunto il mero possibile. 126.  Adunque, insino a che certi vocaboli serbe- ranno intatte le loro significazioni comuni a tutte lo ^lingue, niyna sottigliezza dialettica torr gli Hegeliani /alle dure morse entro cui li stringe la logica d'ogni uomo /Sensato che  pur la sola conceduta al genere umano. Afobismo n. 127.  Ogni cosa, importante, nell' ultima sempli- cit ed attenuazione del proprio essere rimansi perpe- tualmente quella che  ; n pu venire annullata salvo che da Dio. E Dio (vedremo ci meglio nel progressc di questo trattato) non annienta le sue creazioni, s -bene le moltiplica in infinito e in infinito le differen- zia. Egli crea sempre e mai non distrugge. AroRisMo III. 128.  Certo  poi che cotesto ente impartibile pu sottostare ad alcune qualit od a molte. Qualora le DEL FINITO IN S. 61 mancassero tutte le qualit e modificazioni possibili, gi non sarebbe un che di determinato e di sussi- stente. A. 129.  Ai Panteisti succede non radamente di porre in dimenticanza questo sostegno uno e imparabile delle determinazioni. Notammo ci nel terzo Libro dell' on- tologia rispetto al Dio di Spinoza ; e potrebbesi, sottiliz- zando un poco Tanalisi, scoprire forse la deficienza me- de^ma nel Dio di Hegel. Imperocch se il fondo fondo di tutte le cose  V idea e tutta la idealit nel sistema hegeliano spunta e germoglia dalla nozione dell'ente puro e indeterminato, le determinazioni che seguono ri- mangono tutte in aria come tetti e camere senza so- laio. E perch quel diventare dell'Assoluto non  vera- mente principio di successione e il tempo e l' eternit in lui s' immedesimano, noi dovremmo reputare che le ultime forme non cancellino gi le anteriori ma tutte compongano il maraviglioso sviluppo dell' ente, il quale sebbene acquista coscienza chiarissima della identit propria nella Idea, nella Natura e nello Spirito non per dimeno  per fondamento e sostrato l' essere in- determinato e identico al nulla. 130.  Errore forse non meno grave ci sembra quello del Kant di convertire i subbietti quali che sieno in forme e rappresentazioni del nostro spirito. Nel vero, se i fenomeni non anno subbietto sono essi medesimi un reale subbietto. Per fermo, il fenomeno apparisce e 1' apparire  un atto e l' atto inchiude r agente. E quando si neghi essere un atto, conviene ammettei*e per lo manco che sia mutazione d qualche cosa ; e perch giusta il Kant lo spirito nostro riceve 62 LIBRO PRIMO. ma non produce il fenomeno a cai impone le forme del sentire e dell' intendere ; seguita di necessit che il fenomeno sia o mutazione od atto di qualche sub- bietto diverso e separato dal nostro. Afobismo IV. 131.  Ma se l'ente finito  un che di determina- to, non si riconosce che debba essere altres necessa- riamente determinabile e vogliam dire capace di mu- tazione. Muta egli poi da s ovvero per efficacia este- riore? e il mutar suo  un nuovo agire e un nuovo patire, o semplicemente un mutare di qualit senza alterazione e partecipazione del subbietto ? Come, per esempio, sarebbe un atomo di materia nel quale la forma esterna cambiasse non per atto di potenza pro- pria 0 d'altrui, ma in virt solamente di certo or- dine fatale prestabilito ? Per vero, supporre un ente finito e determinato incapace di qual che sia cambia- mento e modificazione nuova non  concetto contra- dittorio, ma ci riesce inesplicabile. Conciossiach non vedesi a che servirebbe in tal caso l' atto creativo. Si dica il simile nel presente nostro subbietto di altri supposti non impossibili, ma di cui la scienza non trae costrutto nessuno. Invece,  importante e profittevole a ricercare se l'ente finito  sempre e necessariamente una forza e intendiamo dire un principio attivo come sembr a Leibnizio. Afobismo V. 132.  Per primo, dal concetto del finito in quanto finito esce piuttosto la necessit del patire che del- DEL FINITO IN SE. 63 r agire ; badando anzi tutto che il principio attivo as- soluto non pu risedere fontalmente ed essenzialmente in nessuna creatura ; mentre in lei pu risiedere il prin- cipio contrario e intendesi quella passivit che senza implicazione logica non pu essere traslatata n punto n poco neir infinito. Certo  che tutto il creato  as- sunto dal pensiero assai convenevolmente come la generale e perpetua recettivit dell' azione divina ; e tale apprensione ebbero gi della materia i filosofi antichi. Senza di che, baster porre in considerazione che dire cosa finita viene a significare cosa la quale non determina s medesima ; s veramente  determi- nata ; e ci esprime passivit e impotenza piuttosto che altro. 133.  Ad ogni modo, perch V infinito  atto pie- nissimo e assolutissimo e determinante ogni cosa, se- guita che r attivit nel finito trasfusa mai non riesca n originale, n intera, n indipendente, ma sempre mescolata di mera potenza e circoscritta per ogni parte e vale a dire che contenendo tale facolt manchi di tale altra e toccando questa misura desideri vana- mente di raggiunger quell' altra. 134.  N arbitriamoci di affermare che il patire medesimo inchiude una qualche sorta di agire, essendo tale, per ultimo, la facolt recettiva. Fondasi tutto ci, a parer nostro, nella equivocazione del vocabolo, il quale cavato dalle espressioni che tengono riferi- - mento al sentire degli animali trae seco mai sempre . un qualche vestigio, a cosi parlare, delle vitali reazio- ., ni. Ma neir universale, e ri movendo ogni significazione , traslata, perch una cosa operi efficacemente in un' al- ^ 64 LIBRO PRIMO. ,tra, basta che cotest' altra sia naturata e congenerata la Quella penetrazione di atto, il che induce una dispo- sizione e non guari una facolt. Cos ninno vorr man- tenere che lo spazio operi un qualche atto passivo nella recezione dei corpi. E dico ci per coloro i quali opinano come noi che lo spazio, o vogliam dire il sub- bietto comune delle estensioni, non si risolve in mera entit subbiettiva e in certa relazione di ordine. 135.  L da stimare il medesimo jer rispetto della congiunzione della mente con la verit, la qual con- giunzione essenziale ed originaria accade per una di- sposizione recettiva innata del nostro spirito e indi- pendente da qualsiasi movimento ed atto speciale dalla parte di lui. Sebbene non avvt^nga poi senza un atto dello spirito l' accorgersi eh' egli fa di avere pre- sente l'idea, e del pari non sono inattive le forme diverse d'intuizione ed ogni lor mutamento. Aforismo vi. 136.  Nondimeno, se negli enti finiti in fra loro considerati esiste la passivit nel senso, per lo manco, di ricevere alcun' azione esteriore, bisogna altres che vi esista un' azione respettiva e corrispondente ; il patire, chiama senza meno l'agire. Per escludere, adunque, dalla creazione l' attivit, occorre che la pensiamo o tutta e per ogni dove incapace di mutamento o che Dio lo produca egli stesso con azione immediata entro ai sub- bietti sostanziali. Nel primo supposto, la natura inope- rante ed immobile non  alcuna ragione di essere. Nel- r altro supposto, cessano di esistere tutte le cagioni DEL FINITO IN S. 65 Heconde e mediate e la creazione non partecipa nem- manco in minimo grado della potenza infinita. E per- ch d' altra parte, il bene  potenza ed attivit, man- cherebbe di nuovo il creato d' ogni ragione d' esistere. Afobismo vn. 137.  Per le distinzioni che precedono egli si dee pertanto fermare che altra cosa  un essere qualificato o determinato, altra un essere passivo nella pi astratta accezione, ed altra un essere fornito di attivit. Un ente qualificato  sostanza; un ente passivo  natu- rato con certa recettivit; l'ente attivo  causa; pe- rocch, se non altro, egli  causa immediata della espli- cazione del proprio atto. Ora, abbam conosciuto che privando gli enti finiti d'ogni virt causale e per d' ogni specie d' azione, essi perdono la capacit del bene e quindi non anno ragione di esistere. Ma d'altro lato, essere essenzialmente causa e principio  ci pro- priamente che all'infinito appartiene, quindi i finiti deb- bono per se medesimi possederne sol qualche grado; e le cagioni che usiamo chiamar seconde riuscir deb- bono poverissime, ciascuna per se, di eJEcacia ; perocch . r efficacia cresce con la cooperazione, l' ordine, l' ar- monia e r unificazione tutte cose opposte all' indole dei finiti in quanto finiti. Occorrer, dunque, una mente i, la quale preordini la cospirazione delle cagioni seconde, , come si verr sponendo nei Libri successivi. A. 138.  Con tutto questo non sembrami da negare^' la possibilit d' un ente capace di sola passivit e d'ogni potenza spogliato a un dipresso come Aristotele con- Uaiiam - 11. 5 66 LIBRO PRIMO. cepiva la universale materia per contrapposto della forma o del principio attivo che la si chiami.  a noi sembra eziandio un parlar tropologico quello che af- ferma 1' essere doversi manifestare ed ogni manifesta- zione voler dire un atto ed ogni atto emanare da qual- che energia causale. L' ente finito  gi manifesto per s con r esistere determinato e qualificato cos o cos ; la qual cosa non inchiude alcuna necessit logica che la determinazione e specificazione di lui esser debba un atto della sua propria energia ovvero che a qual- che energia debba a forza andare congiunta. Vero  che r esperienza non ci fa im battere in niun subbietto for- nito di sola recettivit. Imperocch eziandio nella na- tura meccanica niun corpo mostrasi privo per intero d' elasticit, niuno di virt attrattiva e tutti obbedi- scono a certe leggi e impulsioni speciali e diverse di affinit chimica. Ci non ostante, egli  lecito d' imma- ginare che alcune sostanze appunto per la condizione infima di loro essere e la mera e nuda passivit in cui dimorano non mai venissero avvertite e considerate da senso 0 da mente umana. Atteso che noi conosciamo gli enti esteriori per ci propriamente che operano in noi e vogliam dire per le reazioni loro inverso le azioni nostre. 139.  Comunque ci sia e pur concedendo che ogni sostanza in natura sia pr veduta d'alcuna specie d'at- tivit, non se ne dee concludere che tale sia di neces- sit la forma dell' ente finito, siccome parve a Leibni- zio, il quale, peraltro, mai non ne dette dimostrazione. V  il mutamento nel mondo, disse egli, e questo dee provenire o solo da Dio e cadesi nello spinozismo fa- DEL FINITO IN S. 67 cendosi Dio autore unico d'ogni azione e operazione nel mondo, ovvero dee provenire dalle cause seconde ; e qualunque ente finito sar una causa si fatta perch r una monade non opera dentro V altra e ciascuna  principio d' ogni mutamento suo proprio. Ognuno vede? che negandosi tale ultima supposizione  pur negata la necessit per gli enti finiti di essere tutti provveduti di attivit. E in tale sentenza di Leibuizio avvi ancora un altro supposto non dimostrato, e cio che non possa nel creato sussistere cosa immune al tutto da muta- mento. Dall' altro canto, perch alle cause seconde s'attribuiscono tutte le mutazioni degli enti creati, ba- ster supporre che abbiano facolt di promovere scam- bievolmente i loro principj attivi nel modo che sar in fra breve significato ; e ci importa un ordine al tutto contrario a quello che pigli nome di armonia presta- bilita. C. 140.  Giova di ricordare a cotesta occasione la prin- cipale differenza che corre tra la dottrina nostra e quella del Leibnizio o d' altri assai metafisici che tengono dalla sua. A noi sta in cospetto innanzi ogni cosa la natura del finito e come essenzialmente si diversifica dallo in- finito. In quel cambio Leibnizio piglia le mosse da una presunta simiglianza dell' ente finito con Dio. Dal cho discendono tre pronunziati eh' io reputo falsi in gran parte ed i quali poi informano Vel loro carattere la cosmologia tutta quanta cos appo Leibnizio, come app( una schiera numerosissima di filosofi antichi e moderni. L' un pronunziato dice che qualunque ente creato rac- chiude certo principio attivo di spiegamento e perfe- zionamento, un che d' infinito, una semenza immortale 68 LIBRO PRIMO. donde pu uscire ogni cosa ; perocch tutto  virtual- mente in questo e in cotesto ma vi si attua in modo diverso. Il secondo pronunziato' afFerma che il fondo d' ogni qualunque entit  il medesimo e dichiara esso Leibnizio ci costituire una massima la quale regna in tutte le parti della sua filosofia. Il terzo pronunziato ne fa sapere che noi giudichiamo tutte le cose per si- militudine con r animo nostro. Ora, la finit in ogni condizione di esistenza e i germi dell'infinito non posso- no naturalmente combinarsi in un essere qualchessia. La medesimezza generale e comune delle esistenze  con- tradetta da ci che dentro al finito padroneggia invece il diverso e non gi l'identico; stantech la vera moltipli- cit sempre inerente al finito risolvesi nel diverso e non  gi nel medesimo. La terza massima fu dissipata da noi neir ontologia, laddove mostrammo che la percezione degli oggetti esteriori accade immediatamente e per contatto spirituale fra il conoscente ed il cognito. Afobismo Vili. ^ 141.  Tenendo, impertanto, l'occhio mentale bene addirizzato ed aperto sulle necessit e limitazioni delle cose create in quanto seguono la cieca natura o ne- cessit inconsapevole che tu la dimandi, affermiamo nel generale che le cagioni seconde possederanno : Primo, -un' attivit potenziale pi presto che viva e attuosa ; e ci importa che bisogner loro un esterno eccitamento e il concorso d'una cagione, per men che sia, di virt occasionale. Secondo, il termine dell' attivit loro non sar in se medesimi tutto e compiuto e spesso j nemmeno in parte; onde ella  sempre qualcosa che  cerca il suo complemento e da chiamarsi appetizione con miglior senso ed uso che non fece Leibnizio di DEL FINITO IN S. 69 questa voce. Terzo; l'efficacia produttiva di lei sar modale e non mai sostanziale. Quarto ; andr operando per gradi e ognora imperfettamente a rispetto dell' ec- cellenza archetipa la vuoi di genere e la vuoi di spe- gne alla quale pu venir riferita. Quinto ; sar sempre e tutta particolare; avvegnach, come in cosa niuna finita pu dimorare l'universale che  infinito, cos nemmanco nella virtii eflfettrice delle cagioni seconde. A, 142.  Aggiungasi che l'esperienza in conferma di tutto ci non rivela alena subbietto operante solo da se e non conoscendo stato di mera virtualit. Aristotele, gi si disse, oltre alla natura perennemente attiva ed univei-sale che pose n^i cieli, od almeno nel primo mobile, parl eziandio d'un atto perpetuo ed essen- ziale del nostro intelletto. Il che mi sembra fosse imitato dai Cartesiani, ponendo la essenza dell' anima umana nel continuo pensare ; e parecchi platonici opi- nano avere la mente nostra una intuizione innata di certe idee originali e anteriori a qualunque atto di senso e di percezione. Tutto questo, per altro, non si dimostra; e quanto al supposto ultimo delle idee in- nate potrebbesi ad ogni modo aflfermare che la mente nostra viene eccitata continuamente all'atto di sua visione. Oltrech in quel fatto e in altri consimili l'intuito e contemplazione intervenendo un congiun- gimento speciale e immediato dell'anima con l'Asso- luto abbiamo altres l' intervenimento d' un altro prin- cipio che non  il finito e l' efficienza creata. E perch la volont non si move e la libert non si determina senza la cognizione anteriore, perci il libero arbitrio medesimo, tuttoch partecipi dell' assoluta causalit. 70 LIBRO PRIMO. /ricerca V antecedenza dell' atto conoscitivo, e, questo /rimosso, giace eternamente in istato di mera virtualit. B, 143.  L'esperienza afifermail medesimo per la se- conda necessit e limitazione notata nell' aforismo. Conciossiach in nessun luogo ed in nessun tempo manifestasi a noi nelle cose finite un atto il quale non abbia o in tutto o in parte fuori di s il termine suo. Nulla  pi intimo e piii personale e per meno espan- sivo e comunicabile, quanto 1' amore di noi medesimi e il desiderio ed il godimento del nostro bene indi- viduo. Eppur nondimanco nell' esercizio di tale atto la materia ed i mezzi non sono immediati ed intrinseci e r una e gli altri il pi delle volte sono cercati fuori dell' anima o nel senso mediante i corpi o nella so- cialit mediante gli altri uomini o nel vero e nel bene assoluto che sono tanto all' uomo superiori quanto esteriori. 144.  Afifermasi che la materia corporea qualeches- sia determinata ad un qualche moto da qualche impulso esterire proseguirebbe a moversi perpetuamente nella immensit dello spazio per una retta infinita e cio nella direzione della forza impellente; il quale atto parrebbe quindi non pi dipendere se non da s stesso e non pi ricadere nello stato di semplice virtualit. Forse pi avanti discorreremo di tale attivit motrice interiore. Basti per al presente avvertire che nel Cosmo a noi visibile neppure un sol movimento accade di corpi siderei il quale manifesti di non venir governato dall' attrazione, e cio a dire il cui termine non sia fuori di ciascuno di essi corpi. Quanto al supposto del moto incessabile e rettilineo,  pur degno di av- DEL FINITO IN S. 71 vertimento che se nel vuoto infinito nulla cosa lo pu mutare o interrompere esso avrebbe sembianza di quiete perfetta e ninna potenza nel mondo riuscirebbe pi improduttiva; ed infine, T effetto manterrebbesi identico a s medesimo in maniera tale da potersi affermare eh' egli  mai sempre quella passiva deter- minazione che fu nel momento primo del moto. 145.  Ma lasciando la materiale natura e consul- ' tando i fatti pi proprj del nostro spirito, l' esperimento cotidiano e comune ci apprende che gli atti medesimi della coscienza inchiudono un qualche termine estemo e diverso dalla intima attivit loro. Per fermo, egli si  coscienza o del pensare o del percepire o del volere. Ma gli oggetti del pensiero speculativo, come qua addietro avvertimmo, si compiono in un che di esteriore; la percezione  dai sensi e dagli organi, e la volont ap- petisce il di fuori. Solo per astrazione e dimezzando r oggetto della consapevolezza nostra giungiamo a tutta radunarla e addensarla 6oj>ra materia interiore ; come quando riflettesi sulla volont in quanto tale e non sulla cosa voluta; ovvero, riflettesi suU' atto cogitativo in disparte dall' oggetto determinato della cogitazione. N opponsi minimamente a ci queir affermazione nostra nel Capo primo del Libro che ogni subbietto sostanziale in cui succeda lo spiegamento di un atto  causa formale dell'atto medesimo; imperocch questo sebbene s' inizia e sustanzia dentro al proprio subbietto pu in altro avere il suo termine e in altro avere il principio. AfobismoIX. 146.  Dicemmo l'attivit del finito non mai poter contenere l'energia creatrice delle sostanze; il che par- 72 LIBRO PRIMO. landosi empiricamente non sembra bisognevole di mag- gior prova oltre quella fornita dalla pi costante e comune esperienza d tutti gli uomini. Nientedimeno una diinostrazione a priori intorno al proposito non  agevole a rinvenirsi. Veramente, tra Tessere e il nulla correndo intervallo infinito, ricercasi per riem- pierlo un potere eziandio infinito o che si tratti di creare subbietti sostanziali o semplici modi e feno- meni; perocch questi ancora sono fatti trapassare dal niente alla realit, secondo venne notato da noi altra volta. Come, dunque, daremo al finito la po- test del creare i modi e i fenomeni? E se questa gli diamo, perch interdirgli quell'altra del creare le sostanze, non cadendo d' altra parte alcuna contrad- dizione nel supposto che Dio faccia operare ad un ente finito la creazione di finite sostanze, converten- dolo in istrumento immediato della onnipotenza sua? 147.  In tutto ci  dimenticato, per nostro avviso, che noi meditiamo al presente sulla natura peculiare dei finiti in disparte dall'infinito, o, per dir meglio, in con- trapposto con esso; e da una banda consideriamo tutto quello che proviene dal contrapposto medesimo^ dall'altro tutto quello che  pur necessario all'ente finito onde possa esistere ; e vi si aggiungono le rela- zioni del molteplice in fra s o vogliam dire dell' un finito con l'altro, e da ultimo quel minimo che con- viene attribuire al molteplice per la minima ragion suflficiente della esistenza de' suoi componenti. Ricor- date cotesto cose sulla natura dei finiti, abbiamo ar- bitrio di affermare che non possedendo essi verun principio informativo e dispositivo del proprio essere e della propria energia, non solamente sono inabili a crear le sostanze, ma ninna maniera di creazione pu loro competere. Ci che producono i finiti, in quanto DEL FINITO IN S. 73 li consideriamo quali subbietti attivi e passivi, risol- vesi in emanazione appunto di atti immutabili, i quali se vengono ricevuti da altri finiti, condizionano e va- riano costantemente i modi e gli atti di cotesti altri; essendo primamente state naturate le cose a queir agire ed a quel patire. Aforismo X. 148.  Le altre due necessit menzionate qui sopra delle cause seconde, e cio di dover progredire grada- tamente e dover essere particolari e singole, sono ma- nifeste per s medesime. Di vero, del non essere uni- versali n come sostanze n come cause videsi il per- ch nel secondo aforismo del terzo Capo. Una causa finita poi non vale a produrre effetto infinito. Quindi, se cresce di produzione e di quantit, ci accade per suc- cessione e vale a dire gradatamente. AroBisMo XI. 149.  La emanazione degli atti poc'anzi accennata non pu differire dalla essenza del subbietto operante; eonciossiach quella emanazione  da ultimo esso me- desimo il subbietto in quanto opera; ed ogni opera- zione  poi ricevuta nel subbietto passivo secondo il modo del ricevente e vale a dire con tenore immutabile. 150.  Di quindi, quella universale persuasione degli uomini che tra la facolt e Y atto e tra la cagione e V ef- fetto proprio e immediato debbo sussistere compiuta omogeneit di natura. Di quindi pure l' altra sentenza comune che i subbietti causali non mutano ne alte- rano comecchessia la loro essenza e gli atti loro essen- ziali. Per fermo, da noi non s'ignora che il subbietto 74 LIBRO PRIMO. intimo e sostanziale  semplice e il semplice assoluta  incapace di mutazione; e perch tal subbietto  causa formale de' proprj atti ninna mutazione pu entrare in questi se in quella non entra. A, 151.  Qui cade, per verit, uno de'punti pi astrusi deir ontologia, perch quasi non sembra possibile scam- pare dalla contraddizione. Si afferm il finito essere mol- teplice e per essere ancora diverso, in quanto il di- verso scostasi dall' unit pi che il simile. Pure, se neir ultima attenuazione del finito o vogliam dire nel- r ultimo elemento suo impartibile egli non racchiude il diverso, tutta la natura convertesi in certa unifor- mit infeconda ed immobile. Tu dirai: ponvi dentro non il diverso ma il vario. Rispondo che il vario diver- sifica dal diverso in quanto  pure il diverso ma iden- tificato con certa unit di subbietto. L' omogeneit, im- pertanto, fra tutto quello che statuisce certa natura determinata di cosa, altro non vuole significare se non certa temperanza originale primitiva ed inalterabile del diverso e dell'identico. D' altra parte, non  concepibile che ogni qualunque diverso possa unificarsi con ogni qualunque identico, ma debbevi esistere qualche ragiono di attinenza e qualche perch unitivo di tali forme e se- parativo di tali altre; ci appunto noi esprimiamo col vocabolo omogeneit. Tengasi, adunque, per sicuro che il solo infinito unifica e semplifica eminentemente ogni perfezione infinita quantunque diversa. Ma per opposto nel finito bisogna che tal diverso escluda cotale altro e quello che  omogeneo escluda una serie innumere- vole di forme a s eterogenee, e tale esclusione avvenga olla pure per gradi tenendo l' ultimo luogo quelle so- DEL FINITO IN S. 75 stanze in cui il diverso  tanto da escludere ogni qua- lunque reciprocazione di causa e di efiFetto, il che esa- mineremo di nuovo pi tardi. B. 152.  Ci si accorda con quanto si disse nel primo e secondo Libro dell' ontologia intorno alle facolt dello spirito nostro, le quali rinvenir debbono nel piii secreto di nostra essenza quella omogeneit di forma che negli atti non apparisce. Ck>nciossiach chi non procaccia di x violentare il significato delle voci e il valor delle cose  dee tenere per evidente che la volont, l'intelletto ed il senso differiscono intimamente in fra loro bench sieno facolt d' uno stesso principio attivo. ApomsMO Xn. 153.  Per  manifesto che se un ente finito  con- dizionato ad un atto, quell'ente permarr sempre in queir atto; e per simile, se le disposizioni primigenie di lui in risguardo di certi atti sono meramente virtuali, egli non rinverr mai in s medesimo le cagioni che lo determinino a trapassare dalla potenza all' attualit. , Conciossiach supponendo tali ragioni insidenti nell'es- sere suo, elle vi opererebbono sempre o non mai; ov- vero converrebbe cercare una terza cagione la qual traesse la prima dal virtuale all' attuale e cosi all'in- finito.  poi manifesto eziandio che qualunque sorta d' azione quando verr esercitata dal di fuori nell' ente finito di cui si parla, sar ricevuta sempre ad un modo, e cio secondo lo stato e l' indole della propria pas- sivit. 76 LIBRO PRIMO. Aforismo XIII. 154.  Questo perseverare nelle condizioni assortite, qualunque sieno, fu dai fisici domandata legge d'iner- zia. Ci riscontrasi parimente con l' assioma popolare che dice le leggi della natura riuscir tutte e sempre e in ogni dove immutabili; ovvero, com' altri signific la cosa con pi eleganza, le leggi della natura essere iden- tiche a s medesime in ogni spazio ed in ogni tempo. Per fermo, considerandosi gli aforismi di gi esposti, non pu sorgere dubbio veruno che le monadi o subbietti sostanziali che si domandino, qualora sortiscono la es- senza medesima, non ripetano in qualunque punto dello spazio i medesimi atti e fenomeni, mancando loro per ogni dove la ragion sufficiente per riiutare in se stessi 0 l'uno a rispetto dell'altro. E del pari, in ogni lun- ghezza di secolo non alterandosi per niente le essenze degli esseri e ricevendosi in modo invariabile tutte le azioni esterne secondo la natura propria e l'altrui, debbe proseguire in perpetuo la precisa reiterazione de' medesimi atti e fenomeni. Aforismo XIV. 155.  Vero , nondimeno, eh' egli non sembra farsi contradittorio il concetto d' una forza, la quale fosse originalmente costituita a mandar fuori una serie di atti r uno diverso dall' altro. Il che sarebbe, tuttavolta, un serbarsi costante e identico alla natura propria; e tutte le simili monadi nella lunghezza del tempo ed in ogni spazio riprodurrebbero identicamente la serie stessa di mutazione : come, per via d'esempio, dee dirsi costante e medesima la natura del filugello, il quale trapassa DEL FINITO IN SE. 77 pure con vicenda non alterabile dallo stato di verme a quello di crisalide e dalla crisalide esce trasmutato in farfalla. 156.  Ma chi ben guarda nell' intimo della cosa, ^ dovr procedere con pi distinzioni ; e innanzi a tutto > supporr le forze finite operanti da se e per s ; nel qual caso, tali forze saranno in un primo tempo tutto ci che possono essere giusta la propria essenza immutabile. Per fermo, nel secondo tempo e ne' successivi, non interve- nendo dal di fuori alcuna cagione efficace, come spie- gherebbero esse forze un diverso atto e di seguito molti atti diversi, mentre nulla non  cambiato nella form**) intrinseca del subbietto o vogliam dire nella forma es- senziale della cagione? e certo si rimanendo che gli atti emanati debbono riuscire infallantemente a quella omogenei, anzi dovendosi dire che sono la stessa forma causale in ispiegamento di atto? La qual cosa apparisce pili chiara con questa considerazione che l'ultima muta- rione supposta giaceva anteriormente in potenza entro al subbietto causale; come dunque tal mutazione trapass dalla potenza nell' atto? quando non operava, secondo il supposto, alcuna cagiono esteriore n superiore? 157.  Ma non si  diflFerenza nessuna nell' altro supposto di un' azione esteriore. Perocch questa opera sempre con lo stesso tenore e con lo stesso  ricevuta ; e per nel secondo momento non accade azione este- riore diversa da quella che nel primo si compieva. 158.  Rimane il supposto dell' azione superiore di- vina, alla quale certo non  impossibile il recare per entro i subbietti finiti una serie di mutazioni eziandio diverse tutte e slegate. Salvo che in questo caso non opera il subbietto finito ma la potenza infinita imme- diatamente, e in quel subbietto  soltanto una conforme disposizione di recettivit. 78 LIBRO PRIMO. 159.  Mirandosi, impertanto, alle forze attive finite per ci che possono in s medesime e V una a rispetto ,deir altra, ei si debbe con gran saldezza affermare ed x asseverare che in ogni tempo ed in ogni luogo sono identiche con s medesime e quindi manca loro ogni facolt di emanare in successivi momenti diverse forme di atti e fenomeni. 160.  Scorgesi da questo aforismoe dagli anteriori quanto sia bizzarro il sistema leibniziano delle monadi non gi solitarie ma al tutto isolate e le quali per effet- tuano il mondo intero delle mutazioni per una serie inter- minabile e variatissima di atti successivi, spontanei. E molto strano  quel dire che una percezione nasce dal- l'altra, quando sono diverse tra loro e il subbietto cau- sale  semplice ed immutabile. Stranissimo poi in par- ticolar modo per esso Leibnizio negante a dirittura ogni realit obbiettiva di spazio e per ancora di moto, che  la sola efficienza, come tra poco sar conosciuto, onde pu scaturire la mutazione. Vero  che il Leibnizio impone a tutto ci il bel nome di armonia prestabilita, e vale a dire una serie di fatti diversi che in s me- desimi non racchiudono l' efficacia del proprio esistere ma l'anno superiormente dall'atto assoluto e immediato di creazione. Quindi non provengono da spiegamento naturale e omogeneo di atti o vogliam dire da cause me- diate 0 seconde come si usa chiamarle, ma s provengono senza mezzo da causa divina che opera continuamente ne' subbietti immutabili e semplici; di diretto contrario a quello che voleva e cercava con massima cura l'autor del sistema, desideroso anzitutto di costituire l'ente finito in certa perenne essenziale e spontanea operosit. DEL FINITO IN S. 79 161.  Che se l'ente qualechessia pu differire di mano in mano da se medesimo e quindi operare e mu- tare senza cagione, Hegel non debb' essere rimprove- rato di far diventare V ente suo astratto ogni cosa senza anteriorit di cagione; salvo che conveniva perci risol- vere quella specie di mezza infinitudine che appresso il Leibnizio ripetevasi in monadi innumerevoli, risolverla, io dico, in una monade sola ed universale. Altro esem- pio del travasarsi gli errori di et in et pel potere > e >r influsso d' un nome grande e riverito. Afobismo XV. 162.  Non pertanto, se il naturale e perenne princi- pio di mutazione non  insito ne'subbietti finiti n s'invo- CB, rintervenimento immediato della efficienza suprema, da onde il trarremo noi ed in qual maniera saranno di- leguate le incongruenze che paiono andar seco di compa- gnia? Perocch, nel modo che gi venne accennato nei superiori aforismi, sebbene si forniscano gli enti finiti di certa virt di operare V uno nell' altro quali cagioni provocative o modificatrici, nientedimeno, noi non ve- dremo da ci suscitate le mutazioni e moltiplicata la variet degli effetti. Per fermo, posti i finiti in presenza r uno dell'altro, egli  chiaro che subito emaneranno la loro efficacia causale reciproca e subito saranno indotte da ogni parte tutte mai le modificazioni ed eccitazioni convenienti all' essere loro; le quali, non mutandosi punto i subbietti n le facolt passive ed attive, rimar- ranno identiche e inalterabili dal primo istante del 80 LIBRO PRIMO. proprio apparire insino alla estrema consumazione del tempo. A questo dimando della ragione risponderanno gli aforismi del Capo seguente. A. 163.  Ad ogni modo e trovato anche il principio naturale e perenne di mutazione, la immutabilit delle essenze e degli atti essenziali dee comparire nel fondo medesimo dei cambiamenti. E non soltanto la immu- tabilit delle essenze, ma la immobilit degli atomi e dei loro composti, laddove dal di fuori non sopravvenga azione nuova causale. Guardisi alla immobilit delle roccie di primitiva formazione, e, con maggior maravi- glia, guardisi ai composti organici piii delicati, ognora che non sia mutevole l' ambiente dove dimorano ; il che si avvera nei gracili semi di grano stati sepolti noi sarcofagi egizj o nelle buste delle mummie, e quivi du- rati un qualche migliaio d'anni senza cambiare un mi- nimo che della propria struttura, di qualit che con- segnati di poi alla terra e in debito tempo inumiditi e scaldati svolsero il germe racchiuso e maturarono il frutto loro aspettato per almeno quaranta secoli. 164.  Per lo certo, cotesta immobilit  relativa e non assoluta; ma ci rende figura di quel che sarebbe ' tutto il finito, qualora gli accadesse di dover ritrarre , dalle sue condizioni proprie e non declinabili un prin- I cipio perenne e fruttuoso di attivit e di mutazione. DEL FINITO IN S. 81 CAPO QUINTO. PBINCIPJ DI MUTAZIONE E DI CONGIUNZIONE E LORO INSUFFICIENZE. Aforismo L 165.  Adunque mantenendoci nella considerazione di quello che possono e fanno i finiti per se e posto che sieno vere cagioni seconde e per autori immediati degli atti proprj, noi dobbiamo escludere la efficienza di Dio quale operatrice diretta delle mutazioni del mondo creato e ci conviene indagar novamente da che e come possa procedere cotal principio perenne del mutar delle cose. E ci risolviamo a supporre che la mutazione debba essere insita nello stesso atto primo essenziale ed ori- ginale di quelle; talch per esse la causazione for- male intema consista per appunto nel sempre modifi- f^ar s medesime in certa maniera identica ad una e diversa ; e cio a dire, che per un lato Tatto loro essen- ziale in un primo attimo di tempo consista in certa mutazione determinata la quale nel secondo momento ripetendo s stessa in ugual maniera e aggiungendosi al- l' altra di gi compiuta divenga di l a qualche tempo, per la somma degli aggiungimenti, causa provocatrice od occasionale, od anche efficiente d' altre mutazioni. Poniamo caso, impertanto, di un atomo o di piii atomi insieme congiunii il cui atto essenziale consista in tra- scorrere da un punto dello spazio al punto pi pros- simo. i non si avvisa in tale ipotesi alcuna contraddi- zione col detto di sopra. Atteso che questa virti di moto  congenita ed essenziale all' atomo, anzi compone la Mkmini II. 6 82 LIBRO PRIMO. forma stessa dell'atto di lui.  certo altres cLe giunto r atomo neir istante primo ad occupare l' attiguo spa- zio, quivi la natura medesima della sua forza costitu- tiva permanendosi identica, lo sospinge a ripetere lo stesso trascorrimento di spazio ed occupare il luogo immediatamente contiguo, e cos di seguito. A. 166.  Non occorre qui di avvertire che sebbene in ogni molecola risiede un essenziale principio di moto il che vuol dire di mutazione, esso vi pu risiedere in atto ovvero in semplice facolt; nel qual caso  biso- gno d' un' azione esteriore per far trapassare il detto principio dalla mera virtualit all' atto. Ma di ci verr proposito di ragionare piii oltre. Afobismo il 167.  Appar manifesto eziandio che movendosi due atomi ovvero due molecole l' una inverso dell' altra per iscambievole eccitazione e determinazione, e aggiungen- dosi d' ambo le parti all'impulso primo il secondo e a questo il terzo e cos di seguito, cresce nella istessa mi- sura la intensione del moto e scema altrettanto lo spazio interposto. 168.  Del pari, ei si pu fingere che alcun' altra specie di azione e passione reciproca rimanga virtuale ed occulta insino a che due molecole noti sieno venute per un maggiore accostamento prssimissime l' una al- l' altra ovvero non si tocchino o non si urtino. Da tutto questo risulta una serie di mutazioni e una serie di variet nelle mutazioni medesime, il cui vero e comune principio dimora sempre nella essenza del moto. N la sopraddetta finzione  suppositiva al tutto DEL FINITO IN S. 83 e arbitraria. Gonciossacb, 8e lo spazio il tempo ed il moto sono elementi inseparabili, e per ancora inse- parabili dal principio di mutazione, questo apparir tanto pi attuoso, quanto non solo nel moto ma nelle distanze e in altri accidenti di estensione e di durata mostrer in diversa guisa l'efficacia sua. Quindi si pu statuire a priori che l' azione vicina o remota, lenta o spedita, suscitata per entro gli atomi ovvero per entro le masse, riuscir differentissima e ne pr* verr una lunga serie di differentissimi effetti. 1G9.  Nessuna cosa  pi abituale e quasi a dire pi domestica alF uomo quanto vedere le mutazioni ed il moto. Eppure, come test avvisammo,  difficilissimo di rinvenirne il principio speculativo; e l'essenza stessa del moto racchiude una sorta di antilogia; perocch mette insieme un subbietto immutabile il quale  per atto proprio essenziale una certa guisa uniforme di mutazione. Dal che si disceme quale stima dobbiamo pur fare d' alcune cosmologie audacissime in cui pre- tendesi di fabbricare a priori la costituzione intera della materia e tutte le leggi della meccanica e della chimica. Nessuna necessit logica sospinge la mente a figurare e affermare che gli atomi materiali, o a dir me- glio i loro aggregati, divisi e distanti si attraggano mu- tuamente e sieno forze accelleratrici V uno inverso del- l' altro, e che venuti in contatto spieghino virt diverse di coesione e d affinit chimica. Parlandosi con rigore, r antecedente aforismo ne dichiara solo in modo apo- dittico la possibilit astratta, e quindi prova ancora la possibilit della varianza indefinita e interminabile dei fenomeni e solo v'aggiunge l'efficacia d'alcune prove 84 LIBRO PRIMO. indirette e d'alcune giuste illazioni. NuUameno, Tedremo nel progresso della trattazione come oltre ai cenni dati qui sopra e in virtii di nuovi prncipj quelle astratte supposizioni e possibilit una volta trovate e pensate nei loro elementi  necessario se ne effettuino tutte le conseguenze. E per qui pure avremo un nesso stretta- mente dialettico. Ma quello che mai non pu provenire a priori si  la forma speciale delle nature corporee; e giudichiamo eziandio impossibile di dedurre per legge assoluta d'identit e causalit il concetto del moto dal concetto della materia e dai due insieme il concetto dell' attrazione e da questo ultimo il concetto delle af- finit chimiche. Afobisho m. 170.  Nella impulsione motrice dei corpi non di- mora certo una efficacia infinita; e d' altra parte, come nei finiti ogni cosa procede gradatamente, cosi accade per la impulsione motrice. Avremo dunque che i corpi movono l' uno inverso V altro con certa ragione di di- stanza, la quale tanto sar maggiore e tanto far mi* nore il grado deir impulsione e da ultimo segner un termine all'impulsione medesima. 171.  Non cade dubbio che oggid la meccanica non sia razionale tuttaquanta e dimostrativa e per la non si annoveri tra le glorie maggiori e pi salde della scienza umana e della umana speculazione. Non per- tanto, ella pure  i suoi postulati e questi non s'in* dovinano. Onde Cartesio, che volle tentarlo, fu dai filosofi sperimentali trovato in errore e con ci solo man- darono a fondo il sistema. Gli Hegeliani, a cui non  DEL FINITO IN S. 85 lecito d' ignorare le leggi del moto, mi sembra che ado- perino peggio di Cartesio, interpretandole in modi strani e facendo sembiante di dedurle a priori col talismano di quelle loro generalit della nozione este* riore a s stessa ovvero della materia che cerca una forma, ovvero anche della idea che alienandosi in mille particolari e in mille individualit procaccia di pervenire alla vita, al senso ed air intelletto. Ma non si tratta, o signori, di adattare ai casi concreti quelle vuote concezioni che tutto abbracciano e nulla strngono. La difficolt, o parlandosi con esattezza, la impossibilit giace in quel punto in cui converrebbe dedurre a priori le specie peculiarissime delle cose ; e intendiamo quella entit singolare, onde la materia ed il moto, per via d' esempio, differiscono da ogni altra esistenza ; e cos d' ogni rimanente.  Avvi una prima e astratta manifestazione della ma-  teria; e come questa possiede una esistenza distinta  dalla natura, avvi una relazione della materia con  s medesima, la quale in tal guisa si pone in istato ^ d' indipendenza a rimpetto delPaltre determinazioni.   simile identit universale della materia  la luce.  Con queste parole delPHegel tu, mi penso, i chiarissima in mente, o lettore, Tidea della luce, e comprendi a mera- viglia quello che sia e la vedi procedere dal concetto di ma- teria con la necessit logica che il rettangolo esce dalla somma dei tre ! Con gli stessi vocaboli pi universali e indeterminati del mondo e col metodo stesso di deduzio* ne  spiegato e dimostrato a priori quello che sia V aria, il fuoco, la terra, l' acqua, il calore e va' discorrendo. 172.  Scherza coi fanti e lascia stare i santi, dice un proverbio italiano: ed io volgendomi agli Hegeliani 86 LIBRO PRIMO. direi loro per amicizia: scherzate con le nozioni e le concezioni, se v'aggrada; ma i fatti lasciateli stare; che nonostante che vi rimaniate sempre nelle inaccessibili astrazioni della vostra idea che va viene e non si trat- ^ tiene, pure non iscanserete le smentite dei fatti e sbii- ^giardarli non  possibile e dalla loro sentenza non e' e appello ; e quando anche vi pronunziate sopra cose non possibili a sperimentare, la evidenza dei teoremi geome- trici vi condanna. Citiamo un sol caso per mille. Hegel asserisce che se il pendulo dopo alquante oscillazioni si ferma, ci non proviene per V attrito e per V aria am- biente, ma s perch la gravitazione supera ed annulla in poco di tempo la forza accidentale contraria. L'esem- pio fu scelto con finissimo accorgimento. Gonciossiach X il fatto non dar mai prova sensata della perpetuit e inalterabilit del movimento del pendulo. Nientedime- no, scord il grand' uomo che l' impulso accidentale suscita bens e determina nel pendulo la forza motiva ma non la crea. Ne pose mente che ogni qualunque forza meccanica  questo carattere di perseverare uni- forme ed inalterabile appunto perch l' impulo este- riore opera occasionalmente e non efficientemente. II perch le forze meccaniche, o picciole o grandi, acci- dentali o no, sono valutate a capello e in anticipazione dal calcolo. Ed eziandio, rispetto al pendulo, pu il cal- colo misurare con esattezza squisita, quanto saranno (poniamo) pi veloci o quanto pi durevoli le oscil- lazioni secondo che V aria verr rarefatta o sce- mato r attrito od altre circostanze mutate. Quindi la legge che apparisce nel moto del pendulo (per chi non nega la intera fisica matematica)  la stessa ne- cessit e permanenza di tutte le altre moderatrici del sistema solare e le quali tutte non cambieranno tenore ^ Se r universo pria non si dissolve.  DEL FINITO IN S. 87 Afomsmo IV. 173.  Gli antichi per virt di traslato fecero il mo- vimento sinonimo di mutazione; ma bene  manifesto che dove non fosse spazio n corpo, nemmanco sarebbe il moto; e pure vi si potrebbe concepir mutamento o per dir meglio tornerebbe strana cosa e non concepibile che in un mondo spirituale si ma finito non accades- sero mutazioni. Imperocch ei si rimarrebbe inferiore d'assai al mondo corporeo, in quanto questo mediante le mutazioni potrebbe ampliare e perfezionarsi. Noi dobbiamo adunque aggrandire e universaleggiare il con- , . cetto di mutazione e cercarne un principio applicabile a ^ tutto il creato. 174. ~ Ora cotesto principio non pu consistere salvo che nel riporre la mutazione nell'atto essenziale me- desimo del subbietto operante, al modo che fu avvi- sato per le forze corporee. Sar dunque il subbietto operante una causa conforme sempre a s stessa e cau- sante sempre ad una maniera; se non che questa sar per appunto costituita in un certo mutare uniforme- mente ripetuto.  per via d' esempio, gli enti spirituali per una mutua promozione usciranno prima dal loro essere potenziale e troverannosi in certo atto e grado di volont. Poi nel secondo momento per la essenziale natura dell' atto medesimo il grado sar replicato e cos -nel terzo ed in seguito; di maniera che, conforme accade fra i corpi ne' quali prosegue tuttavia il moto per aggiungimento d'impulso e d spazio, cos pro- segua tra gli spiriti l'incremento del volere; il quale con Io incremento suo stesso pu quindi venir promo- vendo altre facolt e vogliam dire altra sorta di mu- tazione. 88 LIBRO PRIMO. Afobismo V. 175.  Tuttoci per altro  suppositivo non solo ma puramente analogico e piuttosto che discoprire le leggi del mondo spirituale dimostra la insufficienza della fantasia umana, che sentesi astretta a pigliare dalle figure del mondo corporeo il concetto e V immagine di quel mondo spirituale  Dove chiave d senso non disserra.  176.  Ed anzi quanto pi guarderemo dentro l'ipo- tesi, piti parr malagevole a intenderla per non dire affatto impossibile. Attesoch imparammo non molto addietro V attivit degli enti finiti trovare al di fuori r oggetto od il termine suo ; e simile oggetto o termine doversi proporzionare all' attivit siccome questa a ' quello. La volont, pertanto, svegliata nel supposto ente spirituale ricerca non solo un oggetto, ma eziandio certa proporzione e convenienza con esso. E per fermo, sente ciascuno che per volere, bisogna voler qualche cosa e un piii forte volere seguita a pi forte impulso ^ oggettivo. Perch, dunque, nell'ente spirituale cresca via via il grado di volont, occorre che cresca in antece- denza l'oggetto di quel volere. Ma quando poi cotal moto dell'animo non conseguisca n poco n molto l'oggetto suo, la relazione costituita fra que'due ter- mini  falsa, e quindi viene abolita fra loro ogni pro- porzione ed ogni convenienza. Forza  dunque che- l'oggetto, 0 parte di lui per lo manco, sia conseguita. E per accade non solamente che vi sia un potere proporzionato all'oggetto e alla volont, ma che va- dano tutti e tre in infinito. Dappoich, se il volere soddisfatto si ferma, non v'  pi mutazione. Se ri- comincia nel modo stesso anteriore, del pari muta- DEL FINITO IN S. 89 zone non  pi luogo. D^ altro canto, ogni successione progressiva ed interminabile  suo fondamento neir in- finito; il che sta fuori della nostra considerazione; dac- ch noi intendiamo per al presente conoscere quello che i finiti sono e valgono l'uno a rispetto dell'altro. 177.  Quando poi si ricorra all' ipotesi d' un in- cremento limitato e nondimeno si fatto che avendo mu- tate le condizioni dell' ente spirituale diventi cagione promotrice d' altro cambiamento e poi d' altro, noi av- vertiamo per prima cosa il soverchio cumulo di sup- posti che accade di mettere insieme per ricavare da essi tutti un principio di mutazione; e quanto somigli ctal principio al presupposto non guari accettabile del- l' armonia prestabilita. Indi ci rechiamo al pensiere che tal principio non  perpetuo. Conciossiach, provocata che sia da lui la serie intera dei supposti incrementi e quelle altre mutazioni che abbiam figurato a quelle connettersi, torna la necessit o di ricominciare ogni cosa nella maniera stessa o di fermarsi.  ci  n vero, che Leibnizio volendo perpetuare le serie delle mutazioni pose a dirittura nelle monadi una specie d' infinito. AroBisMo VI. 178.  V  per altro un' altra forma pensabile del principio di mutazione in un mondo al tutto spirituale ed  soprammisura pi alta e pi confacevole a quella grande maggioranza che tener debbo lo spirito sulla materia ; e la forma consiste nell' attribuire ad esso spirito parte della causalit prima e incondizionata o YOgliam dire la libert. Per lo certo, ponendosi iu un'anima la potest di accrescere, sminuire, interrom- pere o proseguire a sua posta quell'impulso operoso ch'ella diffonde nelle sue facolt e negli organi, ovvero 90 LIBRO PRIMO. resistere od agevolare ad arbitrio suo Tefifetto delle azioni esteriori, ne ridonda una serie di mutamenti che pu quindi eccitarne ed occasionarne innumerevoli altri. E posto ancora che non si conceda cotesta sequela non ter- minabile d'innovazioni, certo  che la libert muta ed innova sempre le cose in tale significato eh' ella  nel- f V arbitrio continuo di volere o disvolere, di romper il' azione o di proseguirla; nel che risiede un principio opposto alla necessit per la quale ogni cosa dee pro- seguire identicamente e invariabilmente nell' atto o nella virtualit in cui trovasi. 179.  Ma contro cotesta forma sublime di causa, o tu la chiami partecipazione di prima e incondizionata efficacia, insorgono le necessit tutte e le insufficienze del finito che abbiamo discorse; onde occorrono altre nature di fatti e altre considerazioni per rimoverle e superarle cos nell' ordine delle realit come del pen- siero. Rimanga qui dunque per al presente cotesto cenno e ripigliamo la trattazione al termine dov'  pervenuta. E veggasi, intanto, come la pura speculazione intomo air attivit e spontaneit del finito conduca il pen- siere a fermarsi nel supposto del libero arbitrio; ri- mosso il quale, viene sottratta al finito incorporeo perfino la possibilit del mutare e quindi la possibi- lit di accrescere e perfezionare s stesso. AroRisMo Vn. 180.  Visto e fermato che la forza motrice  in- sita negli atomi e nelle molecole, almeno quale facolt, se non quale determinazione, diciamo ch'ella non  mai trasferibile in altro; perch ninna sostanza vale H trasmettere l'attivit in un subbietto non attivo o non fornito di quella speciale efficacia. Trasmettere o DEL FINITO IN S. 91 infondere un' attivit vuol significare che s' infonda in altri una forza o principio eflSciente e per si crei den- tro a un subbietto sostanziale un nuovo subbietto. E ci significa o produrre una sostanza la quale sia modo o produrre un modo il qual sia sostanza. Di pi ; torna oontradittorio asserire che la sostanza divenga attiva per uno stato passivo; conciossiach quello che si ri-  non per dimostrano senza velo e senza intermezzo giammai la fonte sublime ed inaccessibile da onde pro- vengono. Quindi ella non  intuita ma propriamente argomentata. Mi sembr del pari discernere allora con distinzione e chiarezza che quando lo spirito umano senza buona preparazione e senza spiegamento propor- 134 LIBRO SECONDO. f lionato di attivit e di opera venisse in contatto im- . mediato con la verit o la bellezza o la santit od I altra perfezione divina, questa a se il rapirebbe e in ( s medesima il terrebbe assorto invasato ed immobile .come per povera similitudine fa la nostra terra delle stelle cadenti e il Sole delle comete che gli cascano } dentro. VII. 21.  Pervenuto a questo punto della mia medi- tazione intorno al principio dell' universo, mi persuasi della verit e certezza delle massime infrascritte. C 22.  Che, cio nell' universo spiegasi l'indefinito della possibilit non per ciecamente e per la sola necessit del dovere ogni potenza venire all'atto, ma in maniera a Dio convenevole e in virt del decreto della bont infinita, la quale, scorgendo che il bene finito  fattibile, lo chiam all' esistenza e di quanti esseri cava dal nulla nessuno vuole che sia onnina- mente alieno dal cooperare all'attuazione del bene. 23.  Quindi non si dee chiedere perch la natura comincia da questo grado dell'esistenza ovvero da quello. Perocch nella catena degli enti creati qualun- que punto sia scelto da noi ovvero posto dalP espe- rienza ordinaria nella comune veduta comparir sem- pre, a chi ben lo guarda, ne il primo assolutamente ne r ultimo ; e sempre al pensiere si affacceranno dei possibili antecedenti e interiori come de' susseguenti e superiori non numerabili, i quali tutti, replichiamo, anno qualche attinenza remota o vicina all' attuazione incessante ed universale del bene. Nemmanco si dee cercare in qual parte delle cose tTcate e in qual punto di loro durata si aduni maggior- DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 135 mente o per lo contrario si diradi quel mal positivo che dalle limitazioni proviene come da fontale promozione. -.  se ctal male si spanda invece con poca disparit nel mondo visibile e nell'invisibile. Egli mi parve che inda- ^ gare la giusta misura di tutto ci sia temerario e a qua- \ lunque altezza di scienze non conceduto. Salvo il sapere, \ f^ome altrove fu notato, che nel generale ampliandosi la virt del finito e l' operare coordinato degli enti par- tecipi di ragione debbe al mal positivo venir scemando via via la latitudine e l'efficacia. Quindi mi persuasi che r economia del creato debbe sempre venir divisata nel suo tutto insieme e neir mbito immenso de' suoi contenenti. Ed una cosa essere l'indefinito svariatis- simo e strano e incomposto, a cos chiamarlo, di tutti i possibili ; altra la sapienza infinita che pensa e or- dina le combinazioni loro. Quindi sono come caratteri che mescolati nella grande urna del Caos riescono informi ed incoerenti; ma combinati da una mente espri- mono (poniamo caso) l' Biade o la Divina Commedia. 24.  In secondo luogo, visto e riconosciuto per raziocinio e per induzione che il bene tragittandosi dall'infinito al finito non cambia essenza ne attribu- zione e che il sol modo di possederlo consiste nel farlo e la sua pienezza massima convertesi con la massima attivit ; e in fine che convertendosi egli eziandio con l'Uno, bisogna che il bene creato cerchi tutte le simi- glianze e imitazioni dell' unit mediante ogni maniera di congiunzione e coordinazione e quella segnatamente che piglia nome di strumento o di organo; perci  da giudicare con sicurezza che il mondo creato risulta di una catena immensa e correspettiva d' azione e pas- nione, e parte fa e s' appropria il bene, parte fornisce alcuna materia o alcun mezzo per 1' attivit intorno al bene. 136 LIBRO SECONDO. 25.  In ci si comprende un principio fondamen- tale e fecondo della scienza cosmologica, il quale dice: che Dio nella natura tutto crea e nulla opera, tutto preordina e nulla eseguisce. 26.  Ultimamente, perch la impotenza ed in- sufficienza congenita d'ogni qualunque finito e il mal positivo che ne proviene e la diversit sregolata e di- scorde di tutti i possibili viene pai-te impedita e parte corretta dall' artificio divino delle combinazioni ; ed oltre di ci, i subbietti attivi destinati a partecipare il bene debbono coordinare a s stessi la sene dei mezzi e degli apparecchi, necessario  che nella natura apparisca quasi un' immagine di fatica di tardit e di stento ; mentre invece non pu figurarsi cagione alcuna la quale si muova ed operi con prestezza ed agevolezza maggiore, in quanto n mai si spende nella natura un attimo di tempo di piii n le cose adempiono un solo atto contrario minimamente all'indole loro ed al loro fine immediato. Vili. 27.   raccontato a filo a filo il succedersi de' miei raziocinj intorno al proposito ; ancora che in fatto sia nel corso loro intervenuta pi d' una incertezza ed abbia toccato alla riflessione la cura e il disagio del tornarvi sopra assai volte. Ci non ostante, io vorrei pure che tutte le pagine di queste mie Confessioni as- somigliassero alle qui presenti, non vi essendo occorsa necessit di pentirmi n obbligo di disdire innanzi al ^pubblico il fatto mio proprio ; e quanto all' aver dile- guato dalla mia mente queir errore volgare di credere che il fondamento della felicit sia nel riposo, nella passivit e nel ricevere il bene senza produrlo, io mo- DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 137 strai di stimare il contrari inaino da quando furono mandati fuori i Diloghi di Scienza Prima. 28.  Intanto, egli pare che da coteste mie medi  tazioni rampolli una ragione gagliarda e feconda con- . tro gli scettici, i quali non finano mai di chiedere ai metafisici perch nel mondo  il mal positivo e per- ch il bene potendo essere partecipato alle creature, ci non accade immediatamente e con abbondanza per lo manco s fatta che pareggi il bisogno e il desiderio che se ne a ; ed infine perch la natura sembri dannata a certo travaglio incessante per attingere lo scopo suo e da per tutto compariscano sequele e concatenamenti di mezzi di apparecchi di organi, laddove una potenza e una sapienza infinita ebbe piena balia di costruire ogni cosa nella maturit e compitezza dell'essere proprio. 29.  Noi, dunque, in cambio di argomentare dal solo assurdo come fece Leibnizio ed altri prima e dopo di lui, provando che la spiegazione di tutto ci debbe esstere comunque non apparisca, da poich Dio bont e potenza infinita vuole del sicuro il bene del mondo anzi il massimo bene partecipabile, noi, dico, in luogo di questo inferire e arguire dalla impossibilit del) contrario rispondiamo agli scettici soprallegati con ragioni dirette e palmari tutte ricavate dalla essenza . stessa di ci che riceve l'esistere e dalle relazioni es- senziali tra il finito e l'infinito. ^ 138 LIBRO SECONDO. CAPO SECONDO. DELLA IMMANENZA DI DIO NEL CREATO. I. 30.  AffermaDO i moderni filosofi, segnatamente alemanni, che il maggior pregio de^ panteisti da Gior- dano Bruno a Spinoza e da questi all'Hegel vuol essere riconosciuto in ci che Dio nelle cosmologie ^loro vive presente e immanente nella natura ; come se ^^^ il teismo disgiungesse la creazione dalP autor suo; e . ^^^ noi per la parte nostra gi non avessimo dimostrato o"^' contra ogni sorta di atomisti e materialisti la necessit ^ continua per entro al finito di una mente e d'una ragione nella assenza di cui regnerebbe informe e sconvolto il Caos e la notte perpetua. E sebbene non sia una mente ed una ragione dilatata per le membra infusa per artus a modo di anima,  tuttavolta pi essenziale ed intima ad esse che un'anima dentro ad un corpo; . perocch le fa esistere e le mantiene. Sicch il teismo afferma ed assevera senza dubitazione veruna che tutto ^non  Dio ma Dio  in tutte le cose. NuUameno, per- ch noi d' altra parte affermiamo il moto lo spiega- mento e la vita della creazione uscire dall' opera in- cessante e coordinata delle cause seconde, occorre di \ sciogliere con pi disteso discorso la contraddizione X apparente.  s fatte contraddizioni apparenti, da capo il diciamo, debbono rinnovarsi ad ogni definizione d'alcun principio supremo ed originale; perocch quivi si toccano l' infinito e il finito e i modi nostri abituali DEL FINITO IN RELAZIONE COX L' INFINITO. 139 di ragionare e concludere vi riescono insufficienti. Tal*> che dee bastare ad ogni savia speculazione di sciogliere r incongruenza e concludere in una realit cosi vera e certa, come poco o nulla esplicabile. L'arcano oc- cupa sempre il varco estremo della scienza. II. 31.  In antico, per Aristotele e i suoi seguaci la materia del mondo e la potenzialit sua esistendo ab etemo e indipendente da Dio, ebbesi arbitrio di con- cepire un primo atto efficiente di moto bastevole a su- scitare tutte le forme e dato quasi fuori delle inten- zioni di esso Dio. Ma chi piglia, siccome noi, le mosse * dalla creazione ea nihilo  invece costretto a fare im- manente e perpetua nella natura la efficienza divina, rimossa la quale per ancora un istante, le cose tor- nerebbero al nulla onde uscirono. N simile legamento  parziale o comechessia limitato, anzi limita esso tutte le cose. Per fermo, nulla neir ente finito sussiste che non sia causato, V interno quanto V estemo, il sub- bietto come le qualit, gli accidenti non punto meno deir essenza. Le stesse limitazioni ed insufficienze di lui sono dalla cagione assoluta determinate, ancora che nell' universale la limitazione e V insufficienza sieno cosa negativa e da Dio non provengano; ma che tal limite ovvero cotesto altro accada in un essere e in quella maniera e in quel grado Dio solo prescrive nel- r atto sue creativo ; e da ultimo, perch ogni condizione delle create esistenze  finita, appare manifesto che l'infinito da ogni banda le involge e le penetra. Quando una molecola sola di qual sia corpo e un solo atto d qual^ji spirito valesser^'a slegarsi dalla efficienza di- vina quell'atto e quella molecola o annichilirebbesi. 140 LIBRO SECONDO. come test si notava, o per lo contrario sarebbero tras- mutati subito in enti assoluti e sarebbero Tuna e r altro due Dei. 32.  Ma viceversa cotesta divina efficienza crea e determina delle sostanze emananti certi atti e fornite della capacit di promovere altri atti in altre sostanze. Laonde tuttoc che operano le cause create non  atto divino e non sono esse veicolo delF atto divino ; ancora che la forma, le condizioni, il modo, la misura ed ogni accidente dell' operazione venga determinato da Dio. Il perch, sebbene i subbietti creati sono causa immediata delle proprie azioni e modificazioni, non sarebbe sotto diverso rispetto un parlare sconveniente quello di dire che Dio  cagione pure immediata di qualunque azione e modificazione dacch ogni subbietto operante riceve r esistenza di s e del suo principio attivo eziandio in quel momento in che opera. Ad ogni maniera (e que* sto conviene pur sempre tenersi a mente) V atto crea- tivo e l'effetto, quale che sia, sono divisi sostanzialmente.  poniamo che Dio fosse cagione immediata delle azioni di certe sostanze o di tutte, ci nell' ultimo vorrebbe significare che Dio fa comparire certe forme attive ade- renti a certi subbietti; ma quelle forme attive gi non sarebbero azioni di Dio rimanendo fuori di lui e so- stanzialmente da lui divise. Onde poi seguita che quelle forme non potendo essere azioni di Dio n azioni dei subbietti in cui appariscono o sarebbero non atti ma fenomeni, ovvero conterrebbero in s medesime il principio d' azione, che vale quanto dire che sarebbero un subbietto causale dentro un altro subbietto. Cosa (lo notiam di passata) che Malebranche non avvertiva quando pose in mezzo la sua teorica delle cause oc- casionali e si arbitr di privare d' ogni efficienza i sub- bietti creati. DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 141 III. 33.  Veduto quello che sia la causa efficiente su- prema, e che, non ostante il partecipare ch^ ella fa alle cause seconde il principio attivo, questo medesimo creato e determinato tuttora da lei a lei connette e lega ogni cosa ad ogni momento, sembrA strana la sentenza dei panteisti, la qual non vuole che nel nostro sistema Dio regni e viva presente e immanente nella natura, come se Dio non fosse continuo nell' atto suo creativo e de- terminativo d'ogni esistenza. 34.  Ma oltre di questo nessuna ragione ci vieta d'immaginare che fra le determinazioni, a cos dire, impresse negli enti ve ne sia alcuna o molte od innu- merevoli le quali consistono in qualche modo di con- sunzione di essi enti con Dio. Che anzi di parecchie abbiamo notizia manifesta come delPintelletto congiunto con la infinita idealit. E quelle aspirazioni nostre no- bilissime e cotidiane al vero, al bene, al bello e al santo assoluto dicemmo altrove essere provocate da certo in- flusso od azione divina particolare, la quale, sebbene non intuita nella sua fonte e cagione, pure  sentita da noi nell' effetto mirabile prodotto dentro dell'animo sotto forma di spontaneit, e la quale venir confusa non ' pu con veruna delle cagioni finite in noi operanti. Quindi noi non poniamo limite alcuno cosi al genere di congiunzione delle cose con Dio, come all' intensione e penetrazione di lei. Soltanto affermiamo, che se tali Borte di unimento con Dio corrono al fine universale del bene, porta la necessit che gli esseri creati e con- giunti vi spieghino il supremo dell' attivit e s' appro- priino r unione s fattamente da convertirla in loro fa- colt e possesso. 142 LIBRO SECONDO. Dicemmo pure altrove, e qui ripetiamo, che sebbene o r unimento nostro con V atto creativo od altra spe- cie di congiunzione possa venir giudicata pi intrinseca a noi e alle cose di quello che Y altre tutte congiun- zioni ed unioni delle cose create in fra loro, nientedi- meno ella  di tale essenza e forma, che non trasmuta noi e le cose in modi e azioni di Dio e noi vuole e conserva autori dei nostri atti imputabili e ad ogni snbbietto creato mantiene la inalterabile e sostanziale individualit che sortiva. Del pari, a discorrerla con rigore, non puossi dell' unimento di Dio con la crea- zione asserire n la specie n il quanto, e dire che  pili intrinseco o meno o altrettanto di quelli unimenti fra le cose a noi conosciuti per esperienza. Come non  possibile dire, a modo d' esempio, che i corpi si con- giungono pi strettamente allo spazio di quello che noi con essi quando li tocchiamo ovvero li sollecitiamo al moto ; perocch sono due maniere di unimento af- fatto diverse ed incomparabili. ) , IV. 35.  Dopo tali dichiarazioni non avvi dubbio nes- suno che il divario capitale che passa tra noi ed i pan- teisti circa al proposito raccogliesi in questo, ch'eglino, incapaci per condizione di nostra mente di intuire per via diretta V azione creatrice di Dio e non concependo altra forma d'immanenza eccetto che quelle manife- stateci dai subbietti e dalle cagioni finite, trasmutarono le operazioni e le leggi della natura in atti necessarj e immediati di Dio medesimo. Quindi la immanenza suona per essi perfetta consustanzialit. N solo Dio  in tutte le cose, ma tutte le cose sono Dio. In co- testa guisa abbassarono, per mio giudicio, la divinit DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 143 altissima insno alla nostra miseria e di piii dimezza- rono e impoverirono la scienza umana. Avvegnach f|uella dai teisti professata oltre alle opere della na- tura ed all'universo creato largheggia nella contem- plazione di un atto infinito che senza moto n succes- sione dalla cima di tutti i secoli fa esistere i mondi e li mantiene e g' innova e da ogni parte g' involge e li penetra, come lo spazio, a parlare per immagini, in- volge e penetra tutti i corpi in qualunque lor parte; e nella maniera che lo spazio rimane esteriore alle forze che sono inestese, del pari l' atto creativo penetrando le sostanze con esso loro non s' immedesima. 36.  Avvi dunque una efficienza che crea e de-^ termina ogni ente finito e lo regge e mantiene. Peroc- ch, dove lo tramutasse in propria sostanza od in pro- prio atto, tanto varrebbe annullarlo. In quel cambio mentre lo produce e dispone e dagli forma e limite e lo circonda e lo penetra, pure lo mantiene fuori di s. 37.  Similmente, mentre fluisce perenne e inces- sabile l' attuazione dei possibili e ciascuno si distingue e scevera da tutti gli altri e tutti gli altri da lui e ne risulta un complesso tanto diverso e bizzarro quanto la pi inventrice fantasia pu andar figurando e nulla tu non ravvisi ne' loro subbietti salvo che le necessit permanenti di loro natura, una mente invisibile e ad essi esteriore senza alterare per niente 1' essere proprio di ognuno e solo ponendo ordine nelle loro combina- zioni tragge quel!' universo di essenze strane, sconvolte, incongruenti ed insufficienti ; le tragge, dico, non consa- pevoli all'adempimento del fine, che  la partecipazione del bene massimo al massimo numero di creature. 38.  Cos  immanente nella natura non solo un atto mirfico di potenza infinita ma una mentalit che mentre non fa nulla, predispone e preordina il tutto o 144 LIBRO SECONDO. mentre le cose non la contengono o non la ravvisano, sono invece contenute e informate da lei, e Virgilio parl esatto e profondo con dire Mens agitai molem. Di tal maniera torniamo ad accertare uno de' fondamentali principj della cosmologia, e vale a dire ogni cosa esser fatta dalle cagioni seconde e queste obbedire in tutto alle facolt ed attribuzioni dell' indole propria, la quale, per altro, non  a caso, ma porta scrtta in s una lettera che unita ad altre ed altre dell' infinito alfabeto compone il poema eterno del mondo creato. Laonde nella natura una cosa  chiedere la ragione immediata di ci che diventa, e una diversa  chiedere la immediata cagione. Questa emerge sempre dalla forma essenziale dei subbietti finiti e particolari; quella  riposta nella suprema mentalit che dispose le com- binazioni e della quale pu dirsi col poeta :  L'arte che tutto fa nulla si scopre,  conciossiach l' arte divina combinatoria che concilia stupendamente la possibilit inesauribile con la infinita provvidenza non pu essere veduta dentro alle cose 1^ salvo che dall'occhio dell'intelletto. 39.  Ora, io non dubiterei di afifermare che tale cagione e tale ragione cos distinte fra loro e per un certo rispetto cos divise e separate sono confuse indebi- tamente nei sistemi de' panteisti moderni; e ci appunto per la immanenza consustanziale di Dio nel grembo della natura. Per fermo, giusta i dogmi hegeliani l'idea dimora essenzialmente dentro le cose; queste anzi, sono la idea medesima in quanto si esterna e per mezzo della vita ricupera la unit dispersa nella materia e DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 145 giunge alla perfetta e assoluta esistenza dello spirito. Quindi gli oggetti dell'esperienza non sono altro che riferimenti e rapporti diversi della idea con se, la quale facendosi astratta o concreta, subbietto od obbietto, me- diata o immediata e cos conoscendo e ripetendo mil- lanta volte le alienazioni sue ed i suoi ritorni, trasmuta e si svolge, tanto che il mondo visibile intero pu esser detto una esternazione della logica, ovvero delle ca- tegorie principali tra cui si muove il pensiere rappre- sentativo. Laonde le sostanze e forze speciali operanti per propria virt e con leggi inserite nella essenza loro immutabile dove sono? Bene si affermava, impertanto, qua sopra che delle due entit che sempre sono da cercare nella natura, la cagione cio e la ragione, quello che costituisce la cosa e 1' atto e quello che ne mostra il perch finale, la prima, che  la cagione, si annulla per mio avviso ne' sistemi de' panteisti moderni ; e la seconda  ragione d' una fatta cos diversa dalla co- mune degli niomini che conviene innanzi metter mano ai vocabolari e le vecchie accezioni cambiar nelle nuove. 40.  Noi dunque, raccogliendo le massime definite l>er entro questi due Capi del Libro secondo e antici- pando un poco su quello che verr dimostrato quando ci avverremo nella necessit che incombe a tutti gli enti razionali di congiungersi in modi particolari con l'infinito, crediamo di poter fermare con ragione sal- dissima i principj infrascritti che sono effettualmente sostegno e luce delle teorie cosmologiche. La efficienza divina crea e determina tutto. La divina mentalit preordina tutto. La natura naturata fa tutto. La infinitudine partecipata termina tutto. 41.  X si vuol negare che tra la prima propo- sizione e la terza non intervenga l'apparenza d'una MAMiAni.  11. 10 146 LIBRO SECONDO. xnsolubile antilogia, e, per dir pi esatto, tali due pr- \ posizioni cos accostate riaifacciano al pensiere con vvivezza maggiore V antilogia perpetua che sembra ne- gare la possibilit della creazione ex nihilo, sembrando negare che V effetto mentre sussiste tutto quanto per la cagione, sussista separato sostanzialmente da lei. Seb- ^bene una miglior riflessione persuade pi tardi la mente che ogni specie di creazione accade dal nulla e per tale rispetto fare esistere un modo e un atto ovvero un sub- bietto operante  sempre arcana cosa e inintelligibile. Salvo che, la necessit di ammettere la creazione so- stanziale dal niente, rivela al pensiere questa verit che tra la cagione e V effetto oltre il legame per espe- rienza conosciuto di modo a sostrato e di atto ad agente debbe venir divisata una terza specie che nominiamo metafisica, non manifestandosi mai nelle cagioni infe- \ rieri ed essendo arguita solo e indovinata dalla virt discorsiva. Per cotesto nesso metafisico, adunque, effetto e ca- gione esistono V uno fuori dell' altro ; e nell' effetto pu radunarsi tutto il cumulo delle cose finite, senza che questo cumulo perda o scemi per niente la sua condizione di effetto. E del pari, nel cumulo detto pu dispiegarsi una serie indefinita di atti senza che uno solo di essi fugga alla determinazione del . primo atto efficiente. La natura naturata, impertanto, opera tutto perch il tutto finito venne in lei predisposto e deter- minato insino all'ultimo apice; e questo predisporre e determinare  atto assoluto universale e impartibile ad intra ;  atto sostanziale successivo e molteplice ad extra E perch il primo non  visibile,  solo din- nanzi a noi la natura naturata e a lei sola dobbiamo chiedere la cagione dei fatti. BEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 147 CAPO TERZO. DEI PROGRESSI DELLA TEODICEA. I. i> f 42.  La natura  il magno volume in cui eia- . ' yV scuna pagina dee portare scritto un segno lucente della . / bont di Dio; perocch nell'ontologia vedemmo la crea- zione fluire da essa bont e divenir necessaria per ci appunto che la possibilit del bene finito era una delle idee archetipe sussistenti ab eterno nel pensiere divino. Ufficio adunque della cosmologia  mostrare come tutti i principi che va trovando e provando confermano quello che dai platonici fu domandato il trionfo della forma sulla materia ovvero il trionfo della bont e men- talit divina, sulle oscurezze, le impotenze, le angustie i e le necessit del finito, gi descritte minutamente da ; noi nel Libro anteriore. 43.  Quivi abbiamo scoperta con troppa chiarezza (ci sembra) la origine vera del mal positivo, il quale per lo certo non risolvesi in negazione e che d' altro canto non fu evitabile nemmanco alla infinita potenza volendo pure che il finito esistesse. 44.  Ora ci si  fatto manifesto eziandio che tale finito o come fu domandato poc' anzi tale natura na- turata opera ogni cosa. Di questo principio accade di ^ avvisare le conseguenze piii rilevate a rispetto della ^ Teodicea, non bastando forse di aver conosciuto che la essenza del bene esige negli enti che ne partecipano uno spiegamento di attivit intensa ed uno appropria- mento continuo del mondo circostante. ] 148 LIBRO SECONDO. 45.  Ricordiamo, dunque, in breve che la natura non  una, anzi quanto alle condizioni sue finite  av- versa delF uno e di ci che all'uno maggiormente si approssima. La moltiplicit, impertanto, assoluta  carattere indelebile del mondo creato, e cio a dire eh' egli risulta di enti divisi sostanzialmente e nell' ul- timo fondo di loro sostanza non penetrabili. Del pari vedemmo nel primo Libro che necessita alle cose finite il permanere nel proprio essere sostanziale invariabil- mente. Quindi nella natura in mezzo a continue mu- tazioni di modi e accidenti serbarsi incomunicabili impartibili e sempre medesimi gli elementi estremi, o vogliansi dire i subbietti primi ed originali. Possono questi aggregarsi e congiungersi e in guise innumere- voli modificarsi l'uno per azione dell'altro; ma le es- senze, giova ripeterlo, n si annullano n si trasmuta- no. Per simile, possono in maniere sublimi ed intrinseche unirsi con 1' Assoluto senza diventare altro subbietto per ci, e senza che il fondo loro sostanziale mai con- vertasi neir Assoluto medesimo e in lui si perda come ^stilla d'acqua dentro l'oceano. 46.  Certo, in questo persistere dei subbietti finiti  il fondamento del nostro egoismo ; che vuol dire di quella finit esclusiva e di quel particolare e individuo onde non possiamo uscire senza annullarci e mettere un ente diverso in luogo di noi stessi. Avremo agio nel- l'ultimo Libro di riconoscere alcune di quelle arti divine per le quali nel modo che ogni ente con l' accompagna- I tura di altri dilata l' essere proprio, cos l' ente umano I scorda e annega la propria individualit e vive ed opera nell'universale e il genere suo tutto quanto sembra farsi DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 140 persona che pensa e vuole e delibera con effettiva unit di mente e di animo. Per al presente, notiamo che il perdurare delle nature finite spianta dalla radice V orgoglio di quei sistemi ontologici e cosmologici a cui piace di per- suader r uomo di essere la vagina di Dio, ed anzi il pensiero e la coscienza stessa di lui. 47.  D' altro canto, questa durata impermutabile dei subbietti finiti porge fondamento a due forme essen- ziali della nostra dignit; e Tuna consiste a perpe- tuare la imputabilit nostra morale e che ninna forza o benigna o nemica pu trasmutarci in automati. La seconda consiste nel non potersi con la mera passivit raggiungere il bene ; e per conseguente noi destinati alla partecipazione del bene e al desiderio indomabile del fine assoluto fummo altres dotati di essenziale energia a quel fine proporzionata, conforme si venne spiegando nel Capo Primo e si vedr in pi luoghi dell'opera. ,^^ 48.  Tutto ci viene anche a mostrare con evidenza r^ ' la nostra vita immortale. Che non solo per necessit di natura debbo eternarsi il nostro essere sostanziale come tutti i prncipj semplici e forniti di quella unit senza cui non avrebbero esistenza e medesimezza propria e incomunicabile; ma debbe sussistere di l dal tempo presente con le qualit essenziali ed ingenite dello spi- rito che sono le determinazioni innate e costitutive di lui, perocch egli non venne all' essere come una cosa astratta, indefinita e ideale ma con certa compita in- dividuazione che sotto il cumulo dei modi e degli ac- cidenti variabili si serba conforme e perenne. E dove in questo mutasse, muterebbe T essenza sua, e ci vale quanto che si annullasse. Rimane che si distingua per via di fatto quello che in un dato essere forma parte delFessenza e quello che no. Sopra il qual.sunto la psico- 150 LIBRO SECONDO. logia risponde con altrettanta precisione quanta evi- denza. E ninno dir nell'anima nostra essere accidentale il volere, il pensare e il saper di pensare; ninno che la visione ideale e l' intuito del subbietto comune della verit non accadano dentro di noi per qualche legame essenziale dell' anima con V Assoluto medesimo ; ninno I che il sentimento e il concetto del bello, del giusto e  del santo sieno accidenze fugaci promosse dalle cose /esteriori finite e senza fondamento veruno in qualche I facolt primogenia di nostra natura. Tutto ci, impertanto, noi rechiamo del sicuro con esso noi di l dal sepolcro^ in quanto almeno sono principio spirituale di azione; e similmente noi vi rechiamo la libert che  quella disposizione essen- ziale dell' anima di poter essere, come disse Platone, principio di moto a s stessa. Vero  che noi im- parammo nel primo Libro alle cose attive finite toc- care questa general condizione di non potere uscire da se medesime d' ogni stato virtuale in cui si ri- trovino, ma s abbisognare d' alcuna cagione esteriore 0 promuovitrice od occasionale. Ed  questione troppo involuta e inopportuna al nostro trattato cercare quello che dentro V animo  attivo per s e quello che  vir- tuale. Che anzi lo stesso libero arbitrio tuttoch parte- cipi della natura di causa prima, nullameno  bisogno per operare che lo preceda la cognizione, e questa non  facile a dire se  sempre in qualche specie di atto ovvero  primamente ed originalmente in sola potenza. 49.  Di quindi nasce che V anima umana, sebbene reca sempre con essolei le sue facolt, pu abbisognare in altro mondo di altra sorta di promozione per giungere all'atto; ma considerandosi che la materia sembra pochissimo idonea a tal promozione, perch  inferiore sommamente allo spirito in ogni qualit ed attribu- DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 151 zione, il naturai criterio ci porge che dovunque vadas lo spirito vivr in ambiente piuttosto pi acconcio che \ meno a spiegare V atto delle sue mirabili facolt.  ^ a noi sembra che a ninna persona assai ragionevole debba venire in capo che esse facolt sieno state al- l' anima distribuite solo per attuarsi nel tempo brevis- simo della vita presente, che al dirimpetto della eter- nit  come un punto nella immensit dello spazio. Lasciando stare cento altre ragioni che V uom deduce dalla filosofia morale e da altre fonti. E noi medesimi nel progresso dell' opera scolpendo con evidenza sic- come nell'universo visibile e intelligibile regna una legge di apparecchiamento di organamento e di svi- luppo, ci sentiremo persuasi ed anzi costretti a pen- sare che la presente vita essendo tutta un apparecchio e un organamento spirituale e mentale dell' anima rivolto all' assoluta finalit, toma impossibile che essa anima se n' esca alla fine senza serbare ed anzi accre- scere a dismisura alcuno spiegamento delle facolt sue pili degne e ricaschi affatto in quel suo stato virtuale e inattivo in cui nacque; posto, peraltro, ch'ella abbia veracemente e con la libera energia propria svolte e ampliate le sue potenze pi nobili, e non invece piegate di lor dritto cammino servir facendole a intenti pravi e bestiali. III. 50.  La natura naturata, si disse, fa tutto ; e questo suo fare apparisce eminente pi che in altra cosa negli esseri razionali e morali. Perocch ad essi appartiene in particolar modo conquistare il bene e con opera  faticosa e travaglio incessante appropriarselo e diven- ^ tare uno con lui. Il che manifesta ad un tempo la 152 LIBRO SECONDO. gran dignit umana e quanto mai le si opponga la passivit e V inerzia. Ma per rispetto al male ed all'origine che con- viene assegnargli giudichiamo di aver provato che esso nasce dalla essenza non emendabile della finit, secondo le definizioni e spiegazioni date da noi; per le quali fu dimostrato che quella essenza non risolvesi tutta in mera limitazione, ma s conduce seco certe forme di realit positiva che sono le forme del mal positivo. 51.  Ci non ostante, come la essenza della finit rimaner poteva giacente nel nulla e Dio ne la cav fuori, Dio certamente per volere il massimo bene finito volle altres il male che vi si meschia. Laonde quelle distinzioni del Leibnizio fra il concorso materiale e il formale, tra il volere e il permettere e tra la volont universale ed antecedente e la decretoria susseguente, trattandosi dell' autore primo e della cagione efficiente / assoluta del tutto, mi sembrano da lasciarsi ai vecchi , disputatori di Coimbra e di Salamanca e a torto un' in- /gegno s alto le and pescando ne'lor volumi. Pi strano mi si rappresenta l' altro sotterfugio del Leibnizio di porre la prima radice del male dentro le forme astratte che sono le idee, perch queste, disse egli, essendo in- create, non si pu affermare che fossero fatte da Dio. / Certo, ci voleva il coraggio d' un metafisico a sbal- larla cos grossa; e fu davvero ordito un assai brutto ischerzo a Domeneddio. Perocch il male da questa valle di lacrime, come si usa chiamarla, fu traslatato non pure in cielo ma nella sostanza divina; che le idee eterne a Dio appartengono ed ogni cosa in lui  sostanzialissima. Salvo che non si potea dir cosa pi contraria alla verit. Le idee del male, chi non lo sa? sono in Dio non per somiglianza ma sbbene per ana- logia, e in che consista colale forma di analogia nes- DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 153 anno lo intende. Che se poi discorriamo della possi- bilit del male, odir si voglia della efficienza divina a lui relativa, baster notare quello che altrove ab- biam dimostrato, e cio che nella onnipotenza divina, appunto perch infinita,  piena balia di creare fuori di s il diverso da s ; quindi nelle cose finite v^  due sorte di positivo, 1' uno capace di superlazione, V altro incapace. IV. 52.  In somma, egli non si dee dubitare dal leale  filosofo di asserire che Dio  voluto il male commisto a bene sovrabbondante, dacch questo senza quello non era possibile; considerato che la essenza del finito  immutabile. Dio  voluto quel poco o molto di male perch di gran lunga  sempre inferiore al bene e per- ch il tempo e la divina mentalit V andr viemeglio attenuando e stremando in qualunque angolo dell' uni- verso, e ogni danno sar compensato e ogni perdita ristorata a larga misura. 53.  Quanto poi al mal morale che di tutti  il peggiore, anzi pu taluno mantenere che sia solo esso il mal sostanziale, Dio volle che apparendo di neces- sit fra gli enti razionali e morali non vi producesse pii guasto che una perturbazione transitoria e sem- pre mai circoscritta dell' ordine universale del bene, e provvide sapientemente perch a grado per grado e in lungo trascorrere dell' et si adempia a capello la legge mirabile annunziata dal Vico, e cio che nel mondo morale e civile quello che  diventi di mano ih mano quel che debb' essere. "^ 54.  Ma intorno di ci accadono schiarimenti pa- s recchi e di somma importanza. Si contenti per il let- ^ 154 LIBRO SECONDO. tore di metter V occhio in un' altra pagina della storia / secreta de' miei pensieri ; ai quali confesso che era 4 mancata consistenza e compitezza circa il proposito prima di pubblicare i Diloghi di scienza 'Prima, Io narrer dunque in breve per che occasioni e ragiona- menti io ne venissi pure a capo. 55.  A poche miglia da Parigi avvi uno stagno che quelli del luogo domandano lago, si perch  molto grande e si per quel fare francese di magnificare ogni cosa. Ma come ci sia, l' industria e 1' accorgimento irancese  pur convertito quello stagno o laghetto in un sito amenissimo e fabbricatovi palazzine eleganti che arieggiano quelle cascine di Svizzera cosi piacevoli a riguardare e comode ad abitare, sebbene tutto sia legno e qualunque parte e ornamento tenga del rustico. Col, dunque, io m' era recato nel 1842 e dalle gio- vinette Frankland, tre signorine inglesi oneste ed ama- bili, era sovente menato in barchetta su per quelle acque maneggiando esse medesime il remo a vicenda; e se r una remava, 1' altre intonavano una romanza con istraordinaria abilit e grazia di canto. Ma questi ac- cidenti che a me sono carissimi a ricordare com'  fa- cile intendere, non importano del sicuro al lettore. Io li sopprimo adunque e mi stringo a dire che la mez- zana delle tre giovinette per nome Elena e a cui nel- r anno vegnente fu dedicato un mio idillio intitolato Manfredi^ piacevasi oltremodo nella poesia e nella filo- sofia quanto conveniva alla sua et e alla sua modestia. Egli avvenne che un giorno, entrato io in certo stu- diolo laddove solcano gli amici di casa essere intro- dotti, trovai la bellissima Elena in atto di chiudere un DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 155 libro, e il libro altre volte da me veduto conteneva i Drammi di Giorgio Byron.  Voi non vi potete staccare da quel poeta, le dissi io allora, e noi tutti che un poco vi corteggiamo sentiremoci obbligati a pigliarne gelo- sia.   Non quest' oggi, rispose ; che sono stizzita pi presto che innamorata del mio poeta. Per vero, io leggo troppo mal volentieri questo suo Manfredi,^ quel con- cetto che gira per tutto il dramma della soverchia po- tenza del male e come il genere umano vi sia dannato senza piet e incappi nella colpa quasi contro sua vo- glia, mi fa spavento e mi agghiaccia l'anima. Oltrech mi  sovvenuto quello che voi mi diceste or fa pochi giorni, che v'  un filosofo, non mi si ricorda il nome, il quale sostiene la massima stessa con formidabile appa; recchio di sillogismi, e conclude che se la ragione mo- lina da s e non bada alle cose reali, trova non po- tere esistere salvo che un solo principio, autore buono e saggio di tutto il creato. Ma per lo contrario, chi studia i fatti e r ordine del mondo visibile noi pu altramente spiegare se non concedendo che sussistono due prin- cipi assoluti, buono l' uno, V altro malvagio.  56.   Ben si vede, risposile io, che avete immagina- zione assai giovanile ed ogni cosa lascia l dentro im- pronta profonda. Oggi i versi di Byron fannovi signo- reggiare quella figura odiosa e terribile di Armane che egli descrive nel dramma ora letto da voi. Domani, spero, immagini pi serene e pi conface voli all' in- dole vostra balzeranno di seggio quell'Iddio fosco e perverso. Il filosofo di cui accennate  francese e chia- masi Bayle. Ne mi disdico sopra il giudicio che di lui esprimevo; che propriamente egli fa sudar freddo a tutti questi scolaretti di logica e di dogmatica. Non pertanto, voi avete a leggere le confutazioni di Leibnizio scritte quasi sempre a maniera conversevole e popolare; e 156 LIBRO SECONDO. quando anche fossero di dettato astruso, l' inclinazione fortissima che v' accosta ogni giorno pi a tale sorta di studj vel renderanno piano ed aperto.  Si convenne che io le avrei procurato quel libro siccome fu fatto; e mentre ella sei veniva sfogliando in sua camera, io re- catomi a posta per meditare pi alla libera nel bosco / vicino di Chantilly ripensavo a tutt' uomo e rivangavo  da ogni parte quella gelosa materia, e parvemi alla fine di averne trovato il bandolo. Ci non pertanto volli aspettare a vedere quello che uscito sarebbe della mente e del cuore d' una giovinetta cos svegliata d'ingegno come religiosa di sentimento, e tanto cu- riosa della verit quanto illesa di pregiudicj e con animo per nulla preoccupato da spirito di sistema.  VI. 57.   Ecco, io vi rendo il libro che mi prestaste a leggere per gentilezza e premura,  mi disse ella un giorno con volto mezzo serio e mezzo ridente.  Che ve ne pare?* soggiunsi io alla prima. Farmene bene,  replic ella,  e forse migliori risposte non potevano esser trovate contro quell' acerrimo oppugnatore. Con tutto ci, vale meglio uscire a un tratto di simile ginepraio e scordare una controversia tanto spinosa; io me ne sentivo pungere e lacerare la pace dell' anima. Onde ieri me la racconciai bel bello col mio libricciolo di preci e col leggere iteratamente e di gusto qualche ca- pitolo del mio Da Kempis.   In buon'ora, le dissi io, il Da Kempis  sempre ottima medicina allo spirito; ma il vostro avea dunque la febbre.    Che febbre ?  rispose ella rizzatasi in piedi e tinta nel viso d' una fugace fiammolina di sdegno.  Gi io non posso non dirla co- m'io l'intendo, e sappiate che io non sono al tutto al DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 157 tutto contenta di Leibnizio.  un gran testone e un ragionatore da sbalordire. Ma quando  ben bene con- futato e sconfitto il Bayle, costui mi sembra piuttosto sopraffatto che vinto e vibra ancora da terra delle stoc- cate che guai se le arrivano.  58.  Si rise da tutti gli astanti della faceta con- clusione ed io ne risi pi degli altri, e voltorai presta- mente alla giovine, ridendo pur tuttavia le dissi :  Bel- lissima Elena, or che pensereste voi di tal caso quando sapeste che il Bayle tacque forse la pi sicura e ga- gliarda di tutte le istanze ; e d' altro canto riferendo il sistema de' Manichei ne guast il concetto ; o par- lando pi giusto, il concetto guast del maestro loro antichissimo e vale a dire di Zoroastro? Prova di que- sta seconda accusa la raccoglierete da un libro che io vi porr in mano scritto da un diligente discepolo di Anquetil du Perron. La istanza taciuta sono per dirvela subito, quando non vi tedii ora di entrare in simili filastrocche.  La giovine punta coni'  naturale da non poca curiosit e scordando a un tratto il pro- posito suo di chiuder la mente ed il cuore a s fatte investigazioni,  Su via, rispose, recitate ora voi la parte di Arimane e di Satana. Forse vi torner men difficile che non sarebbe quella di angelo.  E da capo rise la brigatella quivi adunata e disposesi con silenzio e pa- catezza ad udirmi. 59.   La obbiezione taciuta, ripresi io a dire, sa- rebbe stata, per quel eh' io penso, un modo sicuro d' invalidare l' affermazione continua del Leibnizio che il male veniva permesso a cagione di essere egli in- volto nel gran disegno del migliore dei mondi. Al che dovea replicare il Bayle che se trattasi di mal morale Dio poteva permetterlo unicamente come transitorio e cos ristretto nel danno quanto nella pena; di guisa 158 LIBRO SECONDO. che quel disegno del migliore dei mondi non involgesse la perdizione eterna ed irredimibile neppure di un solo ente razionale e imputabile. In diverso caso  con- tradittorio il dire che tal perdizione possa conciliarsi con r ordine il quale attua il migliore dei mondi. E per fermo, i precetti morali assoluti non sopportano mai eccezione, perch significano propriamente la so- stanza medesima dell' ordine universale e perpetuo me- diante cui la creazione perviene al possesso del mag- gior bene possibile. Quei precetti, impertanto, esprimono dalla parte nostra Y economia stupenda e non mai dis- solubile delle cose tutte quante a rispetto del bene; ed esprimono ad intra, e cio in risguardo di Dio, la saggezza infinita la quale pens quella eccelsa eco- nomia e dispensazione di esso bene. Fa dunque ripu- gnanza nei termini che Dio stabilendo il migliore or- dine di creazione controvenga a quale che sia di quei precetti assoluti, e voglia appostatamente permettere il mal morale per ricavarne il bene e sia pure un bene infinitamente maggiore. 60.   Ora a me sembra certissimo che non tor- nando lecito air uomo, per modo d' esempio, di af9ig- gere un innocente in aspettazione non dubbia di qual- che somma utilit, n tampoco ci debba essere voluto da Dio per accrescere e spandere ogni dose di bene. Del pari, se non  lecito all' uomo di oltrepassare nella giustizia punitiva il paraggio tra i due mali della pena e della colpa. Dio per sicuro non vuole e non pu va- licare cotesti termini. E se gli uomini sono chiamati fn colpa quando pensano di guadagnare il lor meglio per mezzo delle altrui scelleraggini o comandate e pro- curate o pur solamente permesse e non impedite, gli  manifesto che la reit e perdizione piena ed intermi- nabile d' un solo essere razionale e morale non dee DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 159 mai comporre nemmanco tra le mani di Dio una con- dizione di ordine dal quale scaturisca il maggior bene del mondo. Perocch suona ed echeggia per tutti i se- coli questa verit solenne ed irrefragabile che il tne^ non legittima il mezzo; e tanto  impossibile che il bene rampolli dal mal morale, quanto che la retta ge- neri .il circolo. Dio  permettitore del mal morale, per- ch questo aderisce pur troppo al libero arbitrio e nella essenza del finito giace la necessit che il principio di mutazione e d'innovazione delle anime non possa al- tronde venir dedotto che da esso libero arbitrio, senza parlare di altri profitti sostanzialissimi e nobilissimi che la libert porta seco.  Oltre di che, la bont divina fa il mal morale assai circoscritto e soverchiato in immenso dall' abbondanza del bene. E ci nonostante, sarebbe contradittorio che il mal morale, o la colpa che voglia dirsi, esistesse ac- canto del bene semprech ogni autore di quello noi disdicesse e non l'emendasse o presto o tardissimo, e per racquisti quando che sia la potenza e l' abito di rettamente usare della libert, e quindi raggiunga il fine a cui venne creato e sia nei termini della giusti- zia e della misericordia ammesso alla partecipazione del bene. Ondech ninna creatura imputabile perde, ripeto, l'essere suo di fine e serve onninamente per mezzo procacciando col male proprio perpetuo un in- cremento di felicit ad altre creature. In quel cambio ^li medesimo partecipa a tale incremento dopo la convenevole espiazione, e nonostante il mal morale da lui prodotto. VII. 61.   N si schermisca Leibnizio dicendo che bene pu r uomo nei confini della giustizia punire il reo e 160 LIBRO SECONDO. dalla punizione ricavare il vantaggio comune. Il per- ch Dio non controvenne ai precetti morali assoluti traendo il massimo bene da un ordine di cose che im- plica non gi V oppressione dell' innocente ma la pena del colpevole. Facile torna a rispondere, primo, che tal pena prolungandosi nella eternit soverchia di certo ogni proporzione con la finita malizia del reo. Secondo, che la colpa commessa  per causa formale V arbitrio abusato ma per causa prima efficiente il medesimo Dio. E vanissimo sotterfugio  il dire con Leibnizio che (cito le parole sue testuali) :  Si Dieu n'avait pas choisi le meilleur monde ou le pech intervient, il aurait admis quelque chose de pire que tout le pech des cratu- res; car il aurait derog  sa propre perfection la divine perfection ne doit pas s'abstenir du choix du plus parfait et que le moins bon enveloppe quelque chose de mal.  62.   Vanissimo sotterfugio, ripeto,  cotesto, av- vegnach niente  peggio del mal morale assoluto, ed  ripugnante volerlo porre per condizione d'un ordine da cui sorga V ottimo di tutti i mondi, allorch Dio stesso ci fa conoscere che T avversare qualunque pre- scrizione della legge morale  direttamente contrario air ordine. Come dunque Dio permettendo la perdizione finale di un qualche ente imputabile pu far difetto alla perfezione propria ? la verit  nell' opposta sen- tenza. 63.   Quanto poi al trovato di alcuni scolastici che la pena del mal morale  protratta nella intermina- hilit del tempo a cagione che la volont del dan- nato rinnova in eterno la colpa sua ribellandosi ad ogni momento contro Dio e i precetti morali, a me sembra un concetto de' pi paradossi ed orribili che cader possano nella mente d' un uomo. E nulla cosa BEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 161 fa pi oltraggio alla bont infinita di Dio quanto figu- rare ch'egli abbia fornito di esistenza attuale un essere capace di rinnovare in eterno la propria malvagit e rinnovarla continuamente negando la evidenza della verit, della bont e della giustizia; essere inconcepi- bile, assurdit reale e vivente, a fabbricar la quale ap- pena si pu intendere che torni bastevole la potenza infinita, potenza adoperata a produrre un simile mostro ! 64.   Nem manco si obbietti da taluno altro che la legge morale assoluta  alla fine delle fini un punto della libera volont del Signore Iddio. Quindi ei la pu dissolvere e per lo manco non applicarla alle opere proprie. Questo altro paradosso fu detto e scritto da molti, e sarebbe una delle conseguenze del principio cartesiano che Dio pu volere che il quadrato sia me- desimamente rotondo. 65.   Non credo mi occorrano molte parole a sven- tare cotale opinione stranissima; e lasciando di ricer- care se il bene morale sia bene per se ovvero perch Dio volle che fosse, egU mi sembra suficiente il con- siderare che Dio non contravviene ai suoi propri de- creti i quali da ultimo costituiscono la essenza delle cose.  66.  In questo modo io mi provai di far discor- rere il Bayle in confutazione delle confutazioni leibni- ziane. E ancora che le parole abbondassero pi del do- vere e non sapessi svestirle di astrattezza ed aridit, la cortese ascoltazione della giovine e degli altri pre- senti non venne mai meno. 67.  Anzi, finito io di parlare, prosegu ancora un poco il silenzio di tutti, non potendosi la mente disciogliere cos a un tratto di quella non lieve medi- tazione. Pure, alla fine miss Helen, quasi riscossa d' una visione alta e severa, fatto, come mi parve, al- 11amia: creazione esaurisce tutti i possibili o con altri termini se le infinite determinazioni dell' efiicienza diviiia tra- passano all' atto, e se non vi trapassano tutte, quali rimangono escluse e perch. Noi gi toccammo di que- sta materia. Ora cogli aforismi ne discorriamo eoa 182 LIBRO SECONDO. pi rigore di deduzione. E prima, s'intende che l'efiSr cienza divina pareggia la in&iitudine propria non mai fuori di s stessa ma nelle perfezione del proprio essere. Al che badarono poco Giordano Bruno, Spinoza ed altri di simil pensare, allora che riguardando uni- camente alla infinit della causa sostennero con fer- mezza che quando l'eflFetto non si stendesse agli estre- mi confini della fattibilit si rimarrebbe inferiore e sproporzionato al principio suo; e quella fattibilit intesero che non avesse limite alcuno ; e mentre par- lavano del fattibile, e cio di cosa contingente e che principia ad esistere, nondimeno la unificarono per ogni verso con Dio. 110.  Ricaddero qui nella perpetua ed immanente contraddizione del loro sistema, volendo che il finito sia tale e non sia nel tempo medesimo ; e perch infinita  la natura naturante e una sostanza medesima gira secondo essi nella natura naturata, pretesero questa ultima uguagliare all' altra, e cos di necessit si av- vennero nel doppio assurdo o di fare infinito il finito o di dare limiti e contingenza al fondo della natura che ne' sistemi loro  l' essere stesso divino. Ne bada- rono d' altra parte che la possibilit ideale, converten- dosi con la infinita pensabilit,  necessariamente una e semplice; laddove i possibili attuati sono un molte- plice ; e mentre nella pensabilit divina giacciono essi fuori di spazio e di tempo, vanno quaggi spezzandosi in innumerevoli enti secoi^do le leggi della successione e della impenetrabilit. Ora, come non v'  misura nes- suna tra r uno e il molteplice, tra il finito e l' infinito, rimane certo che 1' eflFetto ad extra dell' efficienza di- vina non pu uguagliar la cagione per ampio e im- menso che paia e ))er moltiplicarsi che faccia in tutta la lunghezza dei secoli. DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 183 111.   mirabile a dirsi come la infinit del possi- bile si manifesti al pensiere per ogni dove ed in ogni cosa e dapertutto sopravanzi d'immensurabile intervallo la finita realit. Ecco noi ci avveniamo in certo numero determinato di metalli e di metalloidi; e sebbene ci fallisce la facolt d' immaginare il diverso di altre spe- cie 4' entrambi gli ordini, nullameno ei se ne conce- pisce assai nettamente la possibilit. Poniamo che esi- stano in altri pianeti o in altri sistemi solari. Ma che per d? r opera della concezione nostra non vi si fei^ma; e quando anche si pensi all' indefinito dei mondi at- tuali e futuri, noi ci troviamo sempre al medesimo punto. Conciossiach la mente chiede a s stessa per- ch quelle innumerabili specie non sono replicate in ciascun pianeta, considerato che tal concetto non  nulla di ripugnante in s stesso. Adunque la possibi- lit ideale oltrepassa il fatto mai sempre con la di- stanza dell'infinito; cosa alla quale dovea pur pensare Giordano Bruno, quando volle che la materia e le for- me naturali e i mondi fossero effettualmente infiniti. Afobismo X. 112.  D'altro canto, debbe affermarsi, come fu; espresso altrove da noi, che una cagione infinita vuole almeno riempiere tutta la capacit del finito e che per i possibili vengono effettuati di mano in mano cos nel quanto come nel quale con variet indefinita e senza mai termine. La quale proposizione, parlandosi in ge- nere, debbe accettarsi per vera ed esatta. 184 LIBRO SECONDO. Aforismo XI. 113.  Non per di mano, se per formare un con- cetto ossia un possibile ideale basta la remozione delle contradittorie, altre condizioni sono richieste per at- tuarlo nel tempo. Vero  che a rispetto della potest e sapienza infinita quelle condizioni risolvonsi nella compatibilit delle essenze. La Chimera, la Gorgone e simili fantasie non sono concetti contradittorj, ma il fatto loro racchiuderebbe incompatibili essenze, e ci torna all' ultimo ad una reale contraddizione nei ter- mini ; come se taluno, per grazia d' esempio, vada pen- sando ad un corpo il quale sia grave e leggiero, com- posto e semplice elastico e non resistente. ^ 1 14.  La scienza umana, pur cos incerta e ristretta com'  nel conoscere le essenze e necessitata di muo- versi dietro i sensi e V esperimento nella notizia delle cose di fatto, giunge nullameno assai volte a scoprire che tal natura non pu essere compatibile con tale altra ovvero tal qualit con tale accidente. Ben  vero eh' ella  costretta nel pi dei casi di accettare un certo ordine di cagioni e di atti senza veder chia- ramente il perch. Ma conosce poi in modo assoluto e per sola virtii discorsiva che, presupposto quell'ordine, certi fatti e certi altri anno con esso una convenienza , 0 disconvenienza compiuta ; e la seconda, perch com- piuta,  ancora inemendabile. Cosi data la natura fe- rina e r umana, subito vedesi che in niuna maniera se ne potrebbe fare meschianza ; perocch ogni specie di corpo organato vive per certa unit uscente dalla con- DEL FINITO IN RELAZIONE CON' ^L' INFINITO. 185 sonanza delle parti col tutto; e per quando il princi- pio unitivo  sostanzialmente diverso, il voi r mescolare Tuno con T altro diviene ripugnante, come accadrebbe nel supposto della Gorgone che  serpenti per capel- liera, e del Centauro che  mezzo uomo e mezzo cavallo. Nel Centauro sono due organizzazioni, guasta ciascuna e interrotta, quindi senza unit e quindi non potrebbero supplire a vicenda quello che manca ad entrambe. 115.  Contuttoci di niun altro genere di portenti si  compiaciuta pi volentieri V antichit quanto di questi mostri biformi, e ninna cosa le  appadta quasi a dire pili facile quanto le metamorfosi delle sostanze e le trasmigrazioni delle anime. Il che pro- venne, per nostro giudicio, dalla cognizione troppo scarsa di quello che statuisce e mantiene la unit or- ganica, e cio di quella corrispondenza e omogeneit delle parti col tutto che rende possibile tale vita in tali membra. E per fermo l'antichit, laddove conobbe distintamente il bisogno deir unit e della medesi- mezza, fece tacere la fantasia e pose freno e legge alle stesse favole e allo sbizzarrirsi delle leggende. Cosi accadde che ravvisandosi la necessit d'un principio spirituale impartibile e identico, non si dettero al cen- tauro due anime o tre a Gerione; e Proteo stesso, tut- toch simboleggi il principio trasmutabile universale della natura, nondimeno  sempre lui sotto qualunque forma e trasfigurazione; e se Dafne convertesi in lau- ro e le Piche in uccelli; sotto la scorza dell'arbore vive e sente l'anima di quella fanciulla, e sotto le penne uccelline piangono le Piche la loro temeri- t. Per lo contrario, a convertire le navi d'Enea in ninfe bisogna aggiungere a quelle un'anima e cosi dar loro un principio unitivo e una immortale mede- simezza. 186 LIBRO SECONDO. Afobismo XII. 116.  Tutte le vere essenze, adunque sono attua- bili e sono vere tutte quelle in cui non cade ripugnanza di fatto ; e ci nell' intrinseco di ciascun essere sem- plice come in ciascuna composizione. Se noi poniamo che r oro o il calcio sia semplice e in ogni molecola sua identico, e se reputiamo il simile del fosforo ov- vero dello zolfo, ei non si pu concepire un subbietto impartibile che sia zolfo ed oro o fosforo e zolfo ; seb- bene il calcio, per via d' esempio, e il fosforo facciano insieme molte maniere di composti. Dato poi una tale natura di cosa incomposta e una tale altra, rimane di- mostrato ch'elle non possono entrare in composizione e combinazione con tutti gli esseri, ma s veramente con quelli che serbano qualche convenienza misu- ra ed analogia con l'indole propria. Chiunque per- tanto andr immaginando composizioni e combinazioni fuori di cotal cerchia, figurer l' impossibile o ci che torna a un medesimo porr insieme delle essenze ri- pugnanti. 117.  Noi definimmo nel Libro anteriore il perch il subbietto intimo di qualsia sostanza rimane sepolto per sempre alla mente umana. E per nei casi parti- colari non riesce alla nostra scienza d' indovinare il come da un certo subbietto uscir debba piuttoso tale forma di atto che tale altra e questa qualit ed attri- buzione e non quella. Dapoich la qualit e 1' atto sono visibili, il sostrato invisibile; e tuttoch 1' atto ci sem- bri una espansione della forza e la qualit una espres- sione della natura della sostanza, l' omogeneit e me- desimezza perfetta fra entrambe i termini nessuno la scorge. Ed anzi in parecchi casi ancora che abbia a DE^i FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 187 sussistere T omogeneit, non pu sussistere medesimezza e vogliam dire parit e somiglianza compita. Guarda al volere al pensare e al riflettere umano ; guarda al rammemorare e afir immaginare; ei non sono atti simili e identici, e nondimeno sono tutti certa espansione dell' attivit nostra impartibile ed una compiutamente. 118.  Ma lasciando ci stare, noi ripetiamo che seb- bene non sia lecito alla scienza umana di assegnare a priori tale qualit, potenza ed attribuzione a tale subbietto, ci s'addice troppo bene all'atto creativo; e per  da concludere che quante unioni sono possibili di atto e potenza, di qualit e sostanza, tutte esistono od esisteranno in futuro. E si affermi il simigliante n pi n meno delle composizioni e combinazioni dei subbietti in fra loro. 119.  Adunque, il nostro giudicio terminativo in-"> torno al proposito sar pur questo che l'indefinito della creazione si allarga incessantemente nella immensit dei compossibili. Ma badi il lettore che il prefato vo- cabolo  qui assunto nella accezione sua rigorosa e lo- gica ; considerato che per noi sono compossibili tutte le unioni di atto e potenza, di qualit e subbietto esenti da ripugnanza e tutte le composizioni e combinazioni di esseri separati che similmente non ripugnano nella na- tura degli elementi. Laonde noi distnguiamo il possibile dal compossibile soltanto a rispetto di nostra mente. At- tesoch non  un medesimo per l'intendere nostro il pen- sabile ed il fattibile; e talun concetto ne pu apparire esente d'implicanza e per possibile, mentre nella con- cretezza del fatto riuscirebbe a s medesimo ripugnante. La voce, dunque, compossihile suona per noi differen- temente che pel Leibnizio, al quale apparivano compos- sibili unicamente le cose che convenivano al gran dise- gno del migliore dei mondi; diseguo scelto in fra mille 188 LIBRO SECONDO. altri possibili e pretendenti tutti all'onore dell' esisten- za, conforme us parlare quel metafisico. E insomma, per noi riesce impossibile ci meramente che non pu sussistere in s n in unione con altri; laddove per Leibnizio alle impossibilit reali debbonsi aggiungere eziandio le morali. A. 120.  Provenne forse da tale opinione troppo an- gusta che fecesi Leibnizio del compossibile ch'ei si trov impacciato fuor modo a spiegare come le essenze pre- ferite nella creazione del migliore dei mondi respingano e combattano le innumerevoli altre degli altri mondi, mentre non si scorge ombra d'incompatibilit nella serie infinita dei termini schiettamente positivi; e fu sempre detto e creduto- in filosofia che le realit non si contraddicono. Di questa maniera taluno censur il sistema leibniziano affermando che quivi i possibili, considerato ogni cosa, sono la pi parte impossibili. r 121.  Noi manteniamo invece che i veri possibili, o chiamandoli pi giustamente i fattibili, trapassano tutti air esistenza del mondo creato. Ma si conviene distinguerli e sceverarli dai meri pensabili. E solo per ignoranza l'uomo giudica gli uni e gli altri ugualmente possibili ; 0 forse si pu difendere la stessa umana ap- pellazione, avvisando che nei pensabili  notata unica- mente la possibilit negativa o logica e per s' intende che la rimozione della ripugnanza nei termini leva quivi ogni impedimento alla fattibilit se questa si concilia col fondo intero delle realit pensate da noi; e vogliam dire, se le categorie necessarie ed effettive dell' essere ^ ^^vi stanno tutte d'accordo. Intanto i pensabili sono asso- lute verit come le astrazioni ideali e i concetti negativi DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 189  e simili enti di ragione, e cio adire che rappresentano punti parziali e attinenze distanti o vicine d' alcuna positiva e distinta determinazione dell' Assoluto. 122.  Nel modo che in Dio i concetti formano una - sola infinita idealit o verit, le distinte determinazioni della efficienza divina (fonte e sede dei possibili) si ri- solvono in un solo infinito d'onnipotenza; e certo  che di questo infinito una parte sola, se  lecito cos par- lare e vogliam dire l'indefinito che si spande nel tempo, , trapassa ad extra alla sussistenza; e questa sola; a di- scorrere con rigore,  propriamente possibile; e quelle determinazioni della efficienza divina cui mancher sempre l'atto di esistere ad extra non convenevolmente, per nostro avviso, piglierebber quel nome. Ma perch la possibilit loro  piena dal lato della cagione infinita e l' impedimento proviene dal di fuori e giace nelle limitazioni invincibili del finito, cos  pre- valuto r abito di accomunare l'appellazione medesima ai pensabili quanto ai fattibili ; e a noi sovviene che nel -^ primo libro della ontologia producemmo la prova d' una infinita possibilit; ne al presente ci vogliamo ricredere. Considerato che quivi la possibilit infinita  sinonimo esatto della infinita efficienza. Intanto, sembra che ninno possa ritorcere contro noi 1' accusa fatta al Leib- nizio; perocch nessun possibile vero  giudicato da noi impossibile; e vero lo domandiamo a rispetto nostro quando  fattibile. In altra maniera, egli si rimane, come dianzi notammo, un concetto di cosa attuabile solo in risguardo dell'infinita efficienza che non  li- mite alcuno per s, e la quale debbe mai sempre ve- nire avvisata nella originale e indefettibile sua libert 190 LIBRO SECONDO. di condurre all'atto le cose fluite; perch Dio  perpe- tuamente nel primo atto del suo esistere. Aforismo XIII. 123.  Ignorando noi le intime essenze degli enti creati, ci  forza d' ignorare altres il punto dove inco- mincia la fattibilit loro. Perch i sensi umani non sono pi che cinque, e i colori e le note musicali non pi che sette? E lo spazio  sole tre dimensioni? A ci confessiamo di non saper dare alcuna risposta scien- tifica, e sembra che neppure Hegel si arrischi di darla tuttoch presuma di ben sapere la essenza 'd'ogni qualunque cosa di cui possiede la idea. Vero  che intorno ai colori ed alle note musicali e' insegna per compenso notizie novissime ed inopinate, siccome questa, per via d'esempio, che i colori sono il risulta- mento della scambievole immedesimazione della oscu- rit con la luce, e della luce con la oscurit; n que- sto secondo termine  quivi assunto come sinonimo della nerezza che  pur colorata; essendoch il filosofo stesso ci avverte che il color nero  solo la oscurit materiata e specificata. Consente di poi che il verde  colore composto della mescolanza del turchino col giallo, e ricorda le singolari trasmutazioni di colore variamente operate dagli acidi e variamente dagli al- cali. Salvo che io pretendo che in difetto dell' espe- rienza r uomo avrebbe ignorato per tutti i secoli che il color verde si generi dal mescolamento di due altri colori, e il mercurio si tinga di vivo scarlatto a un certo grado di caldezza e combinandosi collo zolfo. 0 perch r Hegel abbandona molte di queste cognizioni alla scienza empirica? Invece avrei giudicato che sapere quali sono i colori primitivi e semplici e quali i com- DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 191 posti appartenga di ragione a colui che dei colori dice conoscere T essenza e l deduce a priori. 124.  Intorno alle note musicali non curandosi egli di scoprire perch sieno sole sette e non pi, ci regala in quel cambio della notizia assai pellegrina che nel modo che la materia a rispetto semplicemente del suo esser pesante risolvesi da ultimo in luce, cosi la pesantezza o materia specificata che s^ abbia a dire si risoWe prima in suono e quindi pi compitamente in calore. Chi non vede naturalissima ed anzi necessaria la metamorfosi della pesantezza in luce e della sono- rit in calore? Ed affine di chiarir meglio ancora la essenza del suono e farla pi intelligibile col discreto uso dei tropi, Hegel aggiunge che il suono  il grido del- l'ideale che trionfa della opposizione della forza esterna e dimora identico s nel conflitto e s nel trionfo. 125.  Quanto alle dimensioni dello spazio, v'  in geometria la dimostrazione che un punto non potrebbe essere intersecato fuori che da tre linee rette e diverse. Ma quando io non pigli errore, tale dimostrazione con- ferma non pi che il fatto delle tre dimensioni. AroBisMo XrV. 126.  Inteso il possibile come sinonimo del fatti- bile se ne possono ritrarre conseguenze al tutto con- trarie. Perocch ignorandpsi dall'uomo la ragione es- senziale ed originaria della fattibilit delle cose pu taluno soverchiamente ristringerla ed altri soverchia- mente allargarla. Fonderebbesi la sentenza del primo sulle necessit ed insufficienze da noi registrate nel primo Libro di questa cosmologia e sul fatto speri- mentale che nel mondo a noi conoscii^to rinveniamo una sola specie di ente, razionale ^ morale e nella 192 LIBRO SECONDO. materia non molti pi di cinquanta principi semplici o forme originali di esseri che s' abbiano a dire. Il che proverebbe essere indefinita la creazione nel quanto ma non nel quale. E ci indurrebbe alla mente un concetto assai restrittivo della immensit del creato, e qfuasi porrebbe in forse lo indefinito ascendere nostro nella variet e moltiplicazione del bene. Al quale ascendere non par sufficiente la dilatazione nel quanto e la reiterazione del simile. 127.  A cotesti pensieri cos rispondiamo. La espe- rienza nostra intorno ai principj semplici non va pi oltre di questo globo, il quale  minima ps^ie non pure dell'intero universo ma di ci che diventa visibile ai nostri occhi. Intorno poi all' essere razionale e morale giova il considerare che le cause seconde, come altrove fu notato, non pervengono all' attuazione di quello snza apparecchi e filiere assai lunghe e difficili, pe- rocch in lui  un principio semplice insieme e dotato di facolt diverse e mirabili ed  predisposto da un lato a coniugarsi con la materia, dall'altro a potersi unire con la infinita idealit e ricevere dentro se altre sorte d'influssi divini. . manifesto adunque che l'ente razionale e morale di cui ragioniamo non  forma come a dire primitiva ed elementare, ma tiene luogo nella natura d' un alto e molteplice risultamento e troppa gran parte ne raduna in s e compendia. La- onde quello che nell'uomo si scorge sar indovinato per tutte le creazioni complesse e veramente sintetiche della natura, le quali n possono avere intorno di s molta copia di specie analoghe n immensamente mol- tiplicare come alle specie inferiori succede. 128.  Altro concetto accade di fare circa le forme estremamente pi semplici e quali posson fluire dalle tre fonti abbondevoli descritte da noi del simile, del DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 19P diverso e del misto fra le due. Imperocch capaci; dell'esistenza  qualunque subbietto qualificato co- niechessia e contenente alcun grado di attivit o pas- sivit. N le limitazioni ed insufficienze da noi regi- strate nel Libro antecedente difficultano l'apparire e moltiplicare inmenso di que' subbietti ; considerato che sebbene impotenti e d'ogni parte stremati pur nondi- meno possono esistere; e in generale, la reiterazione loro emanando direttamenteiM dall'atto creativo debbe senza contrasto distendersi nella successione del tempo. Altra cosa  poi il lor convenire e disconvenire reci- ]iroco ed altra le composizioni e gli organamenti che possono uscirne, e di ci discorreremo nell'aforismo in- frascritto. Aforismo XV. 129. - Pu taluno per opposto venir divisando che le essenze incompatibili ricordate pi sopra riduconsi ad alcuna contraddizione o intema all'essenze od ester- na, e vale a dire riduconsi a certe essenze falsamente c^oncette nel loro intrinseco, ovvero ne' rapporti loro immediati. Avvengach io mi contradico ad attribuire, l)ouiamo caso, ad A quello che  proprio della natura di B; e similmente mi contradico a voler comporre un tutto di A e di B, se le forme loro non furono predisposte a immedesimarsi. Laonde parlandosi degli enti creati  lecito di asserire che le cose le quali non sono fat- tibili, nettampoco sono pensabili, o con pi esattezza non sono pensabili scansando per ogni lato e per ogni rispetto la ripugnanza logica. E se avviene il contrario, o sembra avvenire, ci accade perch noi pensiamo i concetti il pi del tempo senza definirli o con definizioni nominali ed insufficienti. Nel vero, poniamo ad esempio Mahuri.  II. 1S 194 LIBRO SECONDO. che si definisca l'organismo dei corpi animati e sen- sibili dicendo che sono certa corrispondenza delle parti col tutto da costituire delle une e dell' altro una sola unit. Ci fermato, ei si converr definire il Cen- tauro allegato nell'aforismo XI, un organismo ani- mato e vivente composto di due unit ed anzi di due unit dimezzate ; il che fatto, vedesi per ciascuno che il concetto del Centauro non  propriamente pensabile tuttoch sia capace di rivestirsi di fantasma e pigli figura speciale e ben contornata. 130.  Seguita che si riconfermi il detto qua ad- dietro, e cio nessuna realit contradire se stessa o le altre; quindi tutte sono fattibili. E quindi ancora viene il cercare come possa inti'odursi ordine ed ar- monia perfettissima in questo quasi infinito di realit d'ogni sorta, e in cui le pi vili cose quanto le pi pregiate e non meno le strane e deformi che le bellis- sime e cos le pi inerti ed inutili quanto le maggior- mente operose e feconde debbono esistere. Cotesta  la difficolt in buon argomento fondata. Cerchiamo con raziocinio pacato e rigoroso la risolu- ^ zione del nodo. Aforismo XVI. 131.  Quello che insino a qui fu esposto s' attiene meramente alla onnipotenza divina a lispetto della quale ci occorre d'immaginare un oceano quasi infi- nito di esseri che cresce e dilatasi per altri tre gi*andi oceani delle fatture somiglianti, delle differenti e delle miste. Ora conviene pensare a quello che opera in tale immensit e diversit di esistenze la mente increata e r amore infinito del bene. E per ci comprendere con qualche chiarezza e in maniera meno disacconcia all'al- tezza inaccessibile del subbietto. ci accade di ricordare DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 195 la nostra comparazione delle lettere dell' |Llfabeto git* tate a caso in un mucchio, e le quali di poi collocate a debito luogo pigliano varia e connessa significazione ed esprimono tutte insieme o V Iliade o la Georgica o quale altra composizione onora di vantaggio T umano intelletto. Se non che, fa bisogno d'immaginare im- mensa ed innumerevole la diversit e la replicazione di que' caratteri e piuttosto che al nostro alfabeto conviene meno impropriamente ragguagliarli alle cifre de' Cinesi, a cui basta appena la vita per tutte saperle ; ma sopra ogni cosa occorre di pensare che di quel gran pelago di lettere  cavato fuori un eterno volume che supera di tanto la sapienza di Confucio e di Lao Tseo quanto lo spirito di Dio sopravanza quello di esse due creature. Puossi anche far paragone degli esseri elemen- tari ed originali alla tavolozza dove fossero senz' arte adunati i colori d' ogni ragione e tutte le mestiche loro, e delle quali il genio di Raffaele ricava la Disputa ^,, . del Sacramento e il Miracolo della Trasfigurazione. /. , 132.  Diciamo adunque che la sapienza infinita ' decretando che dentro il Caos nascesse l' ordine, tutte le cose accostaronsi a tutte le altre omogenee, e queste nature che qui cozzavano con coteste, l pi lontano, per modo di discorso, quetarono in compagnia di altre; e come in mano dell' abile musaicista ogni pietruzzola, per disadatta che sembri, piglia acconcezza e signifi- cazione nel luogo ove  posta, cos nel creato presero tutti gli enti significazione e valore dalla convenienza del composto nel quale entrarono e dalla proporzione e reciprocazione de' loro atti. E ci che in principio non pot stare congiunto n dispiegare le insite forze, ottenne di farlo apparendo pi tardi e appresso a molti apparecchiamenti e trasmutamenti. Perocch convien ricordare ohe se l'atto creativo  uno ed eterno, 196 LIBRO SECONDO. gli effetti suoi crescono incessantemente nella lunghez- za del tempo e crescono pure altrettanto le rispon- denze e gli adattamenti delle cose in fra loro. Afobismo XVII. 133.  N mal fu chiamato Iddio da Platone il gran Demiurgo, o fabbro che scabbia a dire, con questo divario dalle nostre fabbricazioni che a noi,  impos- sibile di creare la materia di nostre macchine ed  impossibile altres che, compiuto V ordigno e pi ge- neralmente il lavoro, alcuna parte della materia non sia scartata come disacconcia o guasta o sovrabbondante od inutile. E troppo radamente accade eziandio che la ma- teria con le sue forme naturali soddisfi all'intendimento dell' uomo tanto che l' opera di lui consista nel sola adattarle e coordinarle al proposito. Anzi ci avviene unicamente nella infanzia primissima di ciascuna indu- stria fabbrile, e quando le spine de'pesci servono di qua- drello al selvaggio e le mura ciclopee sorgono e si pro- lungano mediante il combaciamento che pone il caso tra le figure dei greggi pietroni. In cambio di ci, Topi- fice eterno in questa macchina portentosa dell' universo non perde nulla della materia ; conciossiach nulla non vi  inutile; e le forme vi sono adoperate quali ap- punto uscirono dal seno della efficacia suprema; ed anzi, a parlare con espressioni meno improprie, le for- me si cercano scambievolmente e si adattano sotto lo influsso della divina mentalit; in quel modo che noi vediamo nelle officine dei chimici compiersi le lente precipitazioni dove ogni molecola s' adatta alle rima- nenti secondo il suo peso specifico e le leggi di affinit. 134.  Sebbene non ci paia molto profonda nel generale la significazione dei miti e volentieri assen^ DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 197 tiamo al Vico che non vi si debba riconoscere nessun arcano di scienza riposta e sublime; tuttavolta ci ri- corre alla mente queir allegoria d' Anfione e d' Orfeo i quali al suono della lira scorgevano i sassi del Ci- terone andarsi movendo e accostando e del loro adat- tamento risultare la cerchia di Tebe. Che certo non h pu significar meglio il prodigio della coordinazione degli enti la quale fu vera armonia, ed anzi  1' ar- monia santa e perenne che mai non cessa di rsuonare in qualunque parte dell' immenso creato.  se vollero i poeti Orfici rappresentare con quella favola l' accoz- zamento degli uomini e qualmente nelle citt per l'euritmia naturale dei varj ufficj e studj civili cresca e prosperi la comunanza delle famiglie e la partecipa- zione del bene, egli  da avvertire che l' intero universo  la grande citt di Dio dove non pure le forme razionali e morali ma tutte le forme della natura si accostano e si combinano ed esce di tutte loro quella consonanza perfettiva e stupenda la quale  copia esattissima della prestabilita armonia che fa concento eternale, se permettesi questo parlare, nella mente di Dio. 135.  Non  poi dubioso che questa coordinazione del tutto come principio d'ogni bene non fosse divinata ila Empedocle quando per prima efficienza della na- tura nomin l'Amicizia e dir volle la conformit delle essenze in fra loro; e un concetto poco diverso sem- brami uscire dalle piii vetuste teogonie e cosmologie. In fatto, Parmenide sentenziava che Amore fu il primo fra tutti gl'Iddii; ed Esiodo che dopo il Caos appar- vero la Terra ed Amore. 136.  Segno queste antiche divinazioni a prova che la nostra Teodicea pretende soltanto al pregio di met- tere in maggior lume e sotto l' impero del raziocinio i I)i vecchi adagi del senso comune. E come potrebbe la 198 LIBRO SECONDO. mente umana avere aspettato le tarde e penose inve- stigazioni dei metafisici quanto al concetto salutare e fondamentale del pr vedere divino? Afobismo XVIII. 137.  Adunque ci che fu domandato armonia del mondo provenne primamente dalla armonia ineffabile delle perfezioni divine. Perch tanto l'jonnipotenza am- pliava e diversificava il gran fiume dell' essere, altret- tanto la saggezza increata sceglieva a ciascuna cosa il luogo il tempo le accompagnature le occasioni gli incontri le necessit gli stretti legami ed i sciolti le relazioni propinque e lontane ; di qualit che ne usciva alla fine una consonanza e un accordo col tutto. Di quindi poi la bont e l' amore infinito traevano la massima partecipazione del bene al numero massimo di creature compiendo le maraviglie dell'ordine con la maggior meraviglia di accostare a s con infinito richiamo l'anime razionali e morali, conforme verr dimostrato nel Terzo Libro e negli altri. 138.  Da tutte le quali virt e impressioni dell'atto creativo procede la forma intera del mondo che  unica e sola perch nessun' altra  possibile; conciossiach qualunque altra non esaurirebbe o nel quanto o nel quale l' indefinito delle cose ovvero ommetterebbe al- cuna combinazione e rispondenza di esseri, e cio a dire che non esaurirebbe del pari l'indefinito della sapienza. Quindi quella forma  necessariamente ottima^ e Dio la produce fuori di s non per atto di elezione u comparando fra loro innumerevoli idee di mondi possibili, ma si operando congiuntamente con l'infinito della potenza della sapienza e della bont insino al termine estremo della recettivit del finito. Di l dalla DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 139 quale non resta pi nulla di possibile e d'attuabile e per non resta materia veruna da trascurare o da sce- gliere. 139.  Ci differisce, e mi sembra a ragione, dai concetti del Leibnzio, secondo i quali Dio somigliava poco indebitamente ad un Principe che postosi innanzi vari disegni e ingegnosi di qualche nuova citt da fondare, computato bene ogni cosa, attiensi da ultimo a quello in cui le incomodit e gli sconci sono minori e per contrario sono maggiori le magnificenze e gli abbellimenti. Nel che non solo accost di soverchio r operare divino all' umano, ma sentissi astretto a con- fessare che innumerevoli possibilit rappresentanti forme positivissime giacessero inattuabili e come non degne dell' esistenza, la quale esclusione in fondo riesce a dire che elle sono false possibilit. Ma per nostro giudicio nessun altro limite si. pu concepire all'at- tuazione delle diverse nature di cose salvo che il com- parire sparti tamen te nel tempo (essendo l'infinito in atto non possibile al mondo) e il comparirvi senza mai termine, sebbene tale flussione incessabile mai non adegui Pubert sconfinata della efficienza divina. 140.  Ma obbietter forse taluno che di cotesta efficienza le determinazioni essendo infinite e pur do- vendo passare all' atto con successione debbe in ci 4*ssere ordine e per una specie di preferenza e di scelta. 141.  Per lo certo, noi rispondiamo, debbevi es- sere una ragion sufficiente dell' anteriorit e posterio- 200 LIBRO SECONDO. rit neir attuazione. E questa in ciascuna sfera di enti  senza fallo la ragione dell' ordine, e cio a dire che ciascun ente speciale in essa sfera o mondo diverso ed originale apparisce nel tempo e luogo acconcio alla sua natura e alle correlazioni sue con l'intero creato e dopoch le cagioni seconde compiettero i convenevoli apparecchiamenti. Ci tutto si opera con solo un atte impartihile della potenza e sapienza suprema, ond(> ciascun possibile nasce in quell'ora e in quell'accom- pagnamento che porta la necessit della propria es- senza ; e nascere in altro modo sarebbegli ripugnante ; dapoich in quella essenza sono definite eziandio le relazioni particolari anzidette. Aforismo XIX. e 142.  Cna  dunque, ripetiamo, la idea e il di- segno di tutto il creato ed una la possibilit sua. K tutto il male che vi si scorge e l'altro che forse vi esiste, ancora che non visibile a noi, proviene da due supreme necessit ricordate parecchie volte. La prima, che la finit tragge seco certa dose e sostanza di mal positivo e non solamente negativo e il quale circonda gli umani beni come quelle frange di confuso colore che contornano quasi sempre un poco le pi limpide lenti de' gran telescopj. La seconda necessit dimora nella essenza del bene, il quale essendo suprema forza ,ed attivit, debbono le cose finite appropriarsela a grado a grado, combattendo e vincendo le insufficienze naturali ed ingenite. 143.  Ma perch il finito  sempre capacit del pi e del meno e di tal condizione non dee potarsi spogliare DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 201 in nessuna sua amplitudine, sembra altres rtornan* la jstanza che vuole la forme dell'ordine dell' universo creato e finito dover essere molte ed anzi innume- revoli e tutte egualmente possibili. Laonde Leibnizio avrebbe dato nel segno non pure nel suo concetto di attribuire a Dio il proposito di effettuare l'ottima di quelle forme, ma s nell' attribuirgli la contemplazione e cognizione di tutte e quindi un atto di preferenza i* di scelta. 144.  Questo, al nostro parere,  un fermarsi di iioverchio ad osservare i finiti in s stessi e ci che* r uomo vi opera intorno, il quale, dovendo starsi con- tento a certa picciola quantit di oggetti usabili (^ i^uindi a certo computo delle migliori o peggiori com- binazioni in fra essi, non intende di leggieri quello che avvenga nella mente di Dio a cui il tutto  presente e il tutto  operabile allo stesso modo. V  dunque circa al creato una sola possibilit innanzi agli occhi divini nella quale ogni altra  compresa e dalla quale rsulta la forma ottima dell'universo. E tale possibi- lit si  appunto tutto quello infinito di potenza e sa- pienza congiunte e cooperanti che non supera il capi- mento e la recettivit del finito. Laonde se a riguardar le cose dal sotto in su elle compariscono relative in ogni lor punto di prospettiva e soggette sempre a sce- mare od a crescere, invece a guardarle dal colmo della efficacia e previdenza divina debbono radunarsi tutte, al certo, in un solo concetto e in una sola possibilit che  l'indefinito di tutti gl'indefiniti, ed  la crea- zione del simile del diverso e del misto quanta e quale si pu distendere nello spazio e nel tempo e in altri contenenti non misurabili se altri ve n' e sono possibili. 145.  E che tale pienezza di creazione risponda senza fallo al migliore di tutti i mondi fu mostrato 202 LIBRO SECONDO. un poco pi sopra; e baster qui ripetere che vera- mente quanto la onnipotenza divina moltiplica e varia le specie positive degli esseri altrettanto abbonda l'arte ))rovvidissima, a cosi chiamarla, del moltiplicare e va- riare le convenienze gli adattamenti e gli appresta- r menti delle cose; il perch da un lato il bene parte- cipabile trascorrendo per ogni grado ascende ognora pi verso il massimo, e d'altro lato il male non ri- movibile della finit passando di mano in mano per tutti i possibili decrementi va stremandosi di vantag- gio senza che io osi dire s' egli verr costretto giammai nei soli e nudi termini della privazione, che varrebbe come divenire un astratto e per non sensibile e non effettivo in guisa veruna. 146.  Cosi  risoluto il dubio se v'  un solo esemplare del mondo creato o se molti. E diciamo con Platone che Dio ne vagheggi uno solo eterno bellis- simo e il pi somiglievole a lui. Aforismo XX, 147.  Bellissima al certo e somiglievole a Dio  la creazione. Tuttavolta convien ricordare che la so- miglianza  parzialissima e ristrettissima e sempre vi gittano ombra le condizioni e necessit del finito; e delle quali (pi volte il dicemmo) sembrano scordevoli  metafisici nella cui mente rimane salda quella falsa proposizione del Cusano il mondo universo essere un Dio contratto. Ne pensano che tutto ed intero l'universo corporeo in quanto tale non  veruna simiglianza con Dio, e non ne  veruna il moto, che  pur cagione od effetto 0 concomitanza di tutti i fenomeni fisici. Ma lasciando ci stare, egli  ben sicuro che immaginando che l'infinito possa precipitarsi fuori di s e raddop- DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. ^03 piarsi quasi nel mondo, la cosmologia  fatta entrare ^ in un labirinto d'incongruenze dove non appare uscita. ^ 148.  Nell'ultimo scorcio del secolo decimosettimo i l'eruditissimo Ledere ingaggi battaglia col Bayle '^ /V"^' sotto finzione di far parlare ed argomentare un Ori- genista. Disse la libert venir conceduta all' uomo per dargli campo di meritare premj immortali; e se pre- varica, la previdenza e bont di Dio aspettare il suo pentimento il quale succede alla fine; e quindi tutte le creature o innocenti o ripentite ascendere in ultimo al regno dei cieli; e le pene d'espiazione sofferte, quali che sieno, tornare a poca entit in comparazione del bene che mai non finisce. 149.  Rispose il Bayle tremendo pugilatore, che valeva meglio non dare all' uomo la libert posto che dovesse fruttargli prove e danni cos dolorosi, ovvero valeva meglio di situarlo immediate nella condizione degli angeli che anno virt senza vizio e libert senza traviamento. La bont divina, impertanto, fece difetto dacch non volle quel che poteva. Cos il Bayle; ne fu confutato da alcuno che noi sappiamo. E ci che avesse arbitrio di replicare Ledere sotto abito di Ori- genista non sappiamo. Ma la cancellatura compiuta ^ che fa la scienza degli argomenti del Bayle  la qui ^ infrascritta. Al^BISHO XXI. 150.  Sieno dunque come tu vuoi ragguagliati gli uomini agli angioli; la previdenza e bont di Dio  sempre in difetto, perch vi sono o possono essere altre nature pi eccelse di quella degli angioli, e Dio non  voluto investirne gli uomini e nemmanco gli angioli suoi ufGiciali. Oh perch (ricercando visi non pi che un 204 LIBRO SECONDO. atto di buon volere) non convertirli tutti in Ormussi^ inferiori al solo ed unico Iddio nella perfezione e nella potenza? e qualora si aggiunga che la nostra specu- lazione concepisce qualcosa di pi alto e perfetto di Ormusse, noi manterremo costantemente che da cotesto grado sublime di possanza e felicit dee cominciane V ascensione nostra nel bene e non guari da alcuno dei termini anteriori. 151.  Vedesi da ci chiaramente che quando fer- miamo r occhio nel solo infinito della potenza e della bont di Dio come non vi pu entrare limite nessuno, qualunque grado esterno determinato riesce, per si dire, ingiurioso a quella potenza e a quella bont. 152.  Invece la creazione, fu dichiarato in . prin- cipio,  una conciliazione stupenda e perpetua delle necessit del Qnito, descritte da noi lungamente, con la esuberante efficacia della potenza, sapienza e bont del supremo artefice. La risultante, a parlare coi ma- tematici,  l'indefinito di tutti gl'indefiniti nella forma e progresso che la meditaziQi)^ e V esperienza e' inse- gnano, -l .' '.'- f ^ '^'  si tocc in principio degli aforismi e nel Capo Primo del , Quinto libro dell' ontologia. Il discorrere intomo al / diverso riconduceva poco fa la stessa dubitazione la / quale bisogna risolvere con maggior sufficienza e in / modo pi positivo. 163.  Gli Hegeliani se ne disimpacciano nettamente affermando cbe uno de' massimi pregi del lor maestro si  di unificare la scienza in modo perfetto, cosa non potuta mai conseguire dai passati filosofi. E perch la scienza di Hegel non pure  assoluta ma segna una via parallela sempre e in nulla dispari dalla via che tiene la creazione, V unit onde s'informa  quella me- desima dell' uiiiverso e consiste all' ultimo nella iden- tit dell'idea con s stessa. Qual cosa in fatto pi semplice e maggiormente una di questa idea, la quale dalla possibilit o nozione che voglia dirsi varcando all' attuazione estema, che  la natura, diventa consa- pevole di tal tragitto siccome spirito e vi riconosce la ])ropria spontaneit e medesimezza? Beato Hegel di- rebbegli Socrate, come diceva a Gorgia, beato al par  impossibile a Dio di scompagnare il male dalla esi- stenza del finito, egli lo rivolge nondimeno in qualche occasione di bene come il medico fa dei veleni e come insegna il simbolo scritturale di quel leone che tenea nella gola i favi del mle. i/. 201.  Potrebbesi forse per altro verso universaliz- zare il bene e farlo sinonimo di ente reale, quando si tenesse per vero od almanco per verosimile quel sup- posto del Campanella e di molti teologi che il senso stia giacente dentro tutte le cose e debba tal senso nella generalit dei casi avere forma dilettevole. Ma ancora che noi non siamo dentro alle cose e paia dif- ficile di ritrovare alcuna prova apodittica del suppo- sto contrario, ei si risolver il dubbio in altra ma- Uaxuivi. - II. i:; 226 LIBRO SECONDO.  niera. Coloro che danno a tutte le cose un'ombra di ' senso 0 virtuale o in atto, non si ardiscono di accom- ' pagnarlo eziandio con la mentalit; sebbene stimano ; che il senso abbia in s medesimo alcun vestigio di pensiero. Ora noi fermammo pi sopra che sentire pro- priamente non  pensare; e d'altra parte il sentire diviso da ogni consapevolezza e da ogni atto e forma cogitativa ci diventa pressoch inconcepibile e in qua- lunque modo ci toma indifferente a rispetto del bene ; imperocch esso diventa un fenomeno astratto e un nome vano senza subbietto^ direbbe il Poeta. Se dunque il senso  nelle cose, avvi ancora una certa unit di sub- C\ bietto senziente, ed^^ome dire che v' un subbietto che ' esente di sentire."^ nque o bisogna negar T ipotesi o ^ .^J^ allargarla di l dai limiti del verosimile. Aforismo V. / 202.  Ma qui viene il domandare se le cose create , tr* sono fine a s stesse ovvero se V ultimo termine al i. ' - quale aspirano trascende la sfera di creazione e sale inverso il fine assoluto. Per fermo, poteva V autor delle cose far l' universo fine a s stesso, e togliere ad ogni creatura il concetto e il desiderio del meglio. Se non che in tale supposto falliva al mondo creato la forma dell' indefinito pi sostanziosa e desiderabile e cio a dire r indefinito del bene ; talch le altre forme sareb- bersi dilatate nell' infinito quasi senza oggetto e ragio- ne. E perch poi qualunque sorta effettiva d'indefi^ nito  sua radice e suo fondamento nell' infinito, cos progredendo l' universo nel vero e reale indefinito del bene o vogliara dire nel progressivo ed interminabile conseguimento det fine,  necessario che questo si fermi e sustanzii da ultimo nell'Assoluto. DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 2'27 AroBiSMo VI. 203.  Posto impertanto che degli enti capaci del fine la bont eterna debba volere innalzare il maggior nu- mero possibile al conseguimento del fine assoluto, subito si scorge che tutti i modi registrati da noi per lo di- stendimento e progressione del finito riescono inabili a tale sorta di scopo. E dato ancora che essi perven- gano a costruire molte fatture strunentali ed organiche e quindi a servire e giovare grandemente V animalit, questa non pu trascendere la condizione del bruto, quando anche si radunassero in un solo essere tutte le facolt e prerogative che la storia degl' istinti animali ci fa conoscere; quindi il fine sarebbe parziale e transi- torio n potrebbe eccedere mai la sensualit. E quando pure la mentalit e ragione umana emanar potesse dalla natura, il che noi neghiamo assai risolutamente; tut- tavolta, l'uomo rimanendosi nella natura viverebbe sempre fuori del fine. Ed anzi diciamo che raggiun- gimento di altre facolt e potenze dentro il suo spi- rito e ogni fatta di cooperazione e cospirazione del- l'universo dei finiti intorno di lui non lo porrebbero in istato di attingere un fine perenne ed inesauribile, ma lo circonderebbe a forza 1' angustia e caducit dei fini relativi; e poco, sotto tale rispetto, gli giove- rebbero i mezzi pi artificiosi e gli organi pi elabo- rati e squisiti e l'acquistare con essi impero ed arbi- trio sii tutto il mondo circostante.. 204.  - Cotesto vero profondo balen pi d' una volta alla mente dei poeti che sono stupendi divinatori dei 228 LIBRO SECONDO. dogmi morali. Perocch Prometeo, che pu fare ogni cosa e persino mettere un' anima dentro V argilla umana,  doloroso nuUameno e infelice e un avoltojo gli strazia i precordj, perch quella sua potest sulle cose non lo congiunge direttamente con l'Assoluto e tienlo escluso dal cfelo empireo. Per simile, Ercole cbii la fatica supera ogni ostacolo e signoreggia la terra, ma insegue senza profitto nessuno la cerva dai piedi d'oro che  la beatitudine e fagli mestieri con fuoco e tormento spogliarsi dell' umanit suU' Oeta per fruire del bene assoluto. 205.  Forse pi belle o per lo manco pi mani- feste nel loro intento sono le invenzioni de' poeti mo- derni hi proposito. Il Fausto di Goete e il Manfredi di Byron esprimono senza velo la inutilit di poter comandare la natura e fruirne i beni fugaci. La finit li assedia e li crucia. A loro bisogna Iddio sebbene noi cercano laddove si trova. Aforismo vii. f 206.  Al fine assoluto adunque pu solo tornar sufficiente il conoscere e saper di conoscere, la pr- ]^' fonda coscienza morale e l'altre nobili attitudini della personalit che sono disposizioni innate e peculiarissime dell' anima razionale infuse da Dio immediatamente ; perocch nessuna efficienza delle nature inferiori var- rebbe a produrle, sebbene valgono ad apparecchiarne via possibilit e la xionvenienza. E giusta i nostri prin- cipj, alle attitudini della personalit  fondamento una prima forma di congiunzione con l' Assoluto ; perocch conoscere universalmente non  possibile senza visione ideale ; e sapere l' ordine sopraeminente del bene, o vo- gliam dire la legge morale, nettam poco  possibile senza DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 22 r apprensione ed il sentimento del supremo comando. Oltrech, l'aspirazione al fine assoluto ricerca di gi il concetto della essenza del bene e un desiderio infi- nito di lui, tutte cose che si appuntano medesimamente neir infinito. E nel Tero, la incontentabilit umana  disposizione dell' animo tanto nobile quanto lo intel- letto e il senso morale. 207.  Cos il fine assoluto trae seco non pure una condizione di essere atta al congiungimento con Dio, na una predisposizione a ci con qualche forma ini- ziale di esso congiungimento per quell' assioma che il principio non pu discordare di essenza dal fine. j A. . /,,. 208.  Il solo avvisare che dentro di noi  la no- tizia e il desiderio immanente dell' Assoluto ci assicura della immortalit. Imperocch nessun atto vincerebbe di crudelt e di mostruosa malizia quello di far cono- scere all'uomo e desiderare perpetuamente lo affatto impossibile. Considerato che d'altra parte nulla cosa impediva che il tutto procedesse come nell' animale bruto disposto sempre ad adagiarsi nel piacere attuale e neTSne relativo; quindi il pi del tempo vive soddi- sfatto, e dove non fosse muto potrebbe ^ir col Poeta  Io non caro altro ben n bramo altr' esca;  e per egli non  mai propriamente infelice ; perocch questa parola significa desiderio infinito disgiunto da ogni speranza. La infelicit  dunque solo possibile nell' uomo il quale non si chiude mai in nessuna sod- disfazione e similmente va col Poeta dicendo  Del presente mi godo e meglio aspetto. * G30 LIBRO SECONDO. Afobismo Vin. 209.  Ma se per conseguire il fine relativo sono grandemente mestieri que' gradi da noi descritti della congiunzione del simile, partecipazione del diverso, co- spirazione ordinata di mezzi o tu la chiami organizza- zione e strumento, sembra tutto ci riuscire inopportuno ed inefficace quando esso medesimo l'Assoluto  mate^ ria e termine alP attivit del finito. Ed anzi non v' modo di concepire come sarebbe ordinato e costituito un organo confacente a ci. Atteso che, quando non sia pi intelligente e spirituale dell' anima, in che guisa potrebbe esso agevolarle la intuizione e fruizione di Dio? E quando fosse di lei maggiormente perfetto, non sarebbe pi mezzo e strumento, dapoich questo di sua natura  inferiore all' ente che del mezzo e dello stru- mento si provvede. 210.  Ora, ciascuno pu ricordare che in simile ra- gionamento sono dimenticate assai cose. E prima, l'esu- beranza e variet dei possibili fra i quali s' incontrano molte maniere e gradazioni di congiungimento con l'As- soluto. Secondamente, le penurie e necessit del finito alle quali supplisce la legge di concordanza e di Con- venienza col tempo, il luogo, gli accompagnamenti, le occasioni, le transizioni e gli apparecchi. In terzo luogo  dimenticato che se la partecipazione del bene asso- luto adempie ogni cosa, la natura naturata dee fare ogni cosa ; e vogliam dire che tra il principio ed il fine, che sono attinti fuori della natura, il corso intermedio  tutto eseguito per opera delle cause seconde tra le ^ quali  pur l' uomo. Quarto, che il bene  attivit su- prema e risulta di forme attivissime che sono le per- fezioni ; quindi l' nomo rimanendo passivo e nella con- DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 231 dizione di mei-a recettivit mai non potrebbe fruirne, ma gli  necessario di conquistarlo e di appropriar- selo. E perch ogni appropriazione ricerca una con- \emenza ed una omogeneit fra T oggetto e il subbietto, diviene manifesto che lunghe e laboriose preparazioni debbono antecedere perch l'ente finito, comecch do- tato di ragione e moralit, ascenda nel possedimento e nella fruizione del bene assoluto. II quale, perch  perfezione infinita, domanda nell'uomo tutto quell'abito perfettivo di cui lo posson fornire le sue facolt eser- citate sul finito col lume, la scorta e l'intendimento dell' infinito. E del pari, perch il bene assoluto  uni- versalit, debbo l'ente chiamato a parteciparne spo- gliarsi quanto  possibile del particolare, o meglio parlando, infondere nel particolare una volont, un pensiero, un affetto e un proposito universale. 211.  Queste cose accenniamo qui di passata e solo in quanto chiariscono il concetto della finalit. Forse pi tardi torner buona occasione di ridiscorreme ; ed  come vedesi materia speciale dell'etica e della psicologia. AroRTSMo IX. 212.  Si notava pi sopra che quando gli enti razionali non inducessero nel loro spirito quegli abiti di attivit e perfezionamento che il fanno  Puro e disposto a salire alle stelle > V intuizione e la^ percezione immediata dell' Ente asso- luto non produrrebbe altro efifetto, salvo che di un s- bito invasamento dell'anima nel quale si rimarrebbe essa in etemo con passiva immobilit e le mancherebbe forse la consapevolezza medesima del proprio ratto e deir oggetto infinito; conciossiach la chiara e distinta 232 LIBRO SECONDO. coscienza di tutte cose esce dalF attivit nostra, e que- / sta  bisogno di non venir sopraffatta da forza veemen- f tissima che l'occupi tutta e T assorba siccome oceano le , stille di pioggia. 213.  Occorre dunque che il congiungimento con l'Assoluto e la partecipanza delle sue perfezioni, e per del bene similmente assoluto, accada per serie di me- diazioni, e proporzionisi ogni sempre allo stato e 1 progresso della nostra attivit e del nostro perfeziona- mento. Aforisho X. 214.  Non proseguiremo per al presente nella in- vestigazione del fine, perch la materia torner quasi intera a mostrarsi nelP ultimo Libro dove sar ragio- nato del progresso nell' universo. Ci basti aver qui prenunziato una massima che reputiamo cardinale nella cosmologia, e cio, che se il conseguimento del fine non  termine ed  progressivo, il principio di tal progresso uscir non pu mai dalla sola natura ma invece dee scaturire dall' infinito come ogni altra sorta d' indefi- nito ne scaturisce. 215.  Fu avvisato da noi per addietro che nelln creazione non pu stare n l'infinito in atto n l'in- finito in potenza, e Aristotele e Leibnizio che vi ri- posero il secondo (se bene intendiamo la mente loro) caddero in grave abbaglio. Conciossiach il potenziale infinito 0 riesce un nulla ovvero  una specie di atto primo che  tanto pi sostanziale in quanto  da ul- timo la cagione iniziale ed originale del tutto. N monta il dire che simile specie essendo privata della spiegazione dell' atto non  degna dell' Assoluto e in questo non pu dimorare. Conciossiach tale sconve- DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 23B nienza dimostra solo la impossibilit di concepire una mezza infinitudine e attribuirle condizioni che ripu- gnano Tuna all'altra. Una sola sorta d'infinito po- nemmo noi siccome possibile nel mondo creato, ed  delle cose incapaci della perfezione assoluta o supera- zione che tu la chiami. N fu statuito per ci che cer- tissimamente di cotali infiniti sussistano. Afobisho XI. 216.  Nel primo Libro della presente cosmologia fecesi diligente rassegna delle condizioni penuriose e f delle necessit continue e non risolubili in cui verso ( il finito a rispetto di s. In questo secondo spiegammo , V influsso incessante che opera in lui la potenza, sag- gezza e bont infinita di Dio da tutte le quali infini- tudini esce una virt abbondante e perpetua che sempre combatte ed attenua quelle necessit ed insufficienze; / ancora che l'occhio solo mentale possa conoscerla e sue ministre in ogni cosa e per ogni dove sieno le cause seconde; le quali poi si spartiscono nelle due grandi serie dei mezzi e dei fini. Avvegnach la idea stessa del fine an*eca innanzi alla mente il moto di qualche cosa inverso di lui e quel moto  subito na- tura di mezzo. Ma specificando meglio il fine e sco- prendosi il fondo ultimo della sua essenza,  pur subito riconosciuto che nel mondo universo appartiene a quan- tit immensa di esseri la sola natura di mezzo. LIBRO TERZO. DELLA COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL' UNIVERSO. CAPO PRIMO. AFORISMI INTORNO AI METODI DELLA NATURA AF0RI8M0 I. 1.  Di quindi innanzi la parola natura piglier^ spesso un' accezione affatto speciale e per meno estesa, ed esprimer quel complesso di enti in cui  ragione soltanto di mezzo e non gi di fine ; o con altri voca- . boli. in cui non apparisce alcuna attuazione di bene as- soluto ma invece apparisce una potenza mediana a quello conducente. Chiaro  poi che fatta e riserbata tale distinzione e definizione, non sia improprio ed anzi diventi appositissimo l'accomunare al mezzo ed al fine l'appellazione medesima e chiamarli beni am- bidue, dacch la mente non pu non partecipare al mezzo una certa ombra e un certo riflesso della bont e sostanza del fine, essendo termini rispondenti d' una stessa relazione.  certo  che non si pu avere scienza di alcuno dei due separatamente, e noi li ter- remo in cospetto entrambi investigando V essere della natura in quanto (come si disse) ella  coordinazione 238 LIBRO TERZO. di mezzi ed  subbietto generale e continuo della co- smologia fisica. Aforismo II. 2.  Ci sembra evidente che la cognizione dimostra- tiva e come suol dirsi a priori di tale complesso coor- dinato di mezzi non debba originarsi altramente che I dallo studio indefesso ed acuto delle attinenze fra il finito e l'infinito, o come domanderebbeli il Bruno, tra la natura naturata e la naturante; ma formandosi per dei due termini concetto molto diverso ; perch la virt naturante  per noi il vero infinito. Il quale non gi si versa fuori di s per una specie di emanazione e ripetizione di s medesimo ; ma fa comparire nel tempc con divisione sostanziale l'indefinito dei possibili; il cui tutto insieme ancora che differente per intima essenza dall'assoluta infinitudine e per da lei quasi alienato, nullameno cura e imprende d'imitarla siccome pu, e riconducesi di tal guisa a poco per volta inverso il principio onde mosse. Aforismo III. 3.  Dovr la serie lunghissima ed anzi non termina- bile delle mediazioni, a cos chiamarle, procedere dal- l'ente che nel minimo grado coopera all'attuazione del fine insino all'apice dell'organismo; posciach in questo*  la concordanza migliore dei mezzi e la mi- gliore e pi efficiente unit delle parti e del tutto ; e debbe comparirvi la sintesi maggiormente connessa e fruttuosa di tutti i termini anteriori. La quale sintesi, ricordandoci le impotenze e necessit del finito,  senza fallo il travaglio incessante e pi laborioso della COORDINAZIONK DEI MEZZI NELL' UNIVEBSO. 239 natura. E nel dimostrare le arti e i metodi che vi adopera, noi avviseremo altrettante manifestazioni della immanenza di Dio nel creato. Perocch dentro alle ' cose  il fatale, il necessario e l'inconsapevole; ma ; sopra e intorno di esse  la divina mentalit. Afobismo IV. - 4.  Dall' effettuar la natura tutti i possibili o pro^ "" priamente i compossibili risult quell'adagio che af- ferma ch'ella non procede per salti ed  citato e applicato spessissimo dai filosofi sperimentali. Dopo le conclusioni dedotte da noi con rigore (ci sembra) e con diligenza intorno alla fattibilit delle cose, egli non par dubio che veramente se qualche forma di essere pu tramez- zare tra due altre distinte e poco diverse certo ella verr all'esistenza. Ed ecco ragione perch i generi le specie le famiglie e le classi de' zoologi e de' bota- nici assai volte ne' loro confini si mescolano e quegli scienziati penano molto a ben ravvisare dove comin- ciano e dove terminano, tanto i trapassi riescono im- percettibili. 5.  Nondimeno, perch ogni essere  certa essenza determinata persistente e non alterabile e certa ragione necessaria della omogeneit e coerenza interiore della sua forma, egli pu accadere che tra un'essenza ed un' altra diversa non entri interposizione nessuna, at- teso che il contrario varrebbe quanto pretendere che intervenga certa mediet fra il quadrato ed il circolo. Non  da maravigliare impertanto che alcuna fiata i trapassi graduati e minuti faccian difetto. Anzi ag- giungiamo che dovendosi in natura far luogo al tutto simile e al tutto diverso questo del sicuro si spicca o disgiunge assolutamente dalle altre serie di cose. 240 LIBUO TERZO. Ma parlandosi del mondo che noi conosciamo e dove il simigliante e il diverso riescono assai mesco- lati, nientedimeno non  da scordare che vi operano cagioni^ parecchie dififerentisfifime r una dair altra; e se' ci non fosse, il finito amplerebbe la propria efficacia per la sola congiunzione e cooperazione del simile che tra i modi d' ampliazione da noi definiti pi volte  il meno fruttuoso, In quel cambio con la diversit dei principj ottiensi la partecipazione appunto del diverso nel simile e queir artificiosa, cosi la chiamo, unit dei contrarj che giungesi ad ottenere nella cospirazione dei mezzi, nei composti strumentali e nella organizzazione fisica, come si avviser a suo tempo; ed allora vedremo che per incompatibilit di essenze avvi salto necessario e profondo dalla chimica, per via d'esempio, air orga- nizzazione, da questa air animalit e dalla animalit al principio razionale. 6.  Il perch quella legge di continuit predi- cata da Leibnizio e da molti filosofi, tuttoch vera in sostanza quando la natura  considerata come ricet- tacolo deir infinito delle possibilit e quando si pensa che r essere pu variare altres per infinitesimi, riceve per le ragioni anzi esposte eccezioni frequenti e copiose nell'ordine della realit; e segnatamente per ci che nella natura, non ci stanchiamo di replicarlo, il diverso non abbonda meno dei simile; dovech nel cnnr^ptto di Leibnizio il fondo delle cose era da ultimo la identit. 7.  N si biasimano per tutto ci i fisici ch(* pigliano a scorta de' loro studj cotal legge della ; continuit ; e V esperienza ci dimostra che cercando  essi con premura ostinata qualche essere intermedio COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 241 fra uno e altro vivente, perch troppo diversi e di- sgiunti, ranno rinvenuto delle volte parecchie. E nera- manco ignoriamo che numerosi intervalli trovati den- tro le serie degli animali furono riempiuti, /l cosi parlare, da altre specie fossili al presente scomparse. Non per di meno, la ignoranza profonda che noi soste- y^ niamo della essenza dell'organismo fa che il differente v ed il simile delle specie e dei generi sia il pi del tempo riconosciuto e classificato empiiicamente, e nep- pure possiam prevedere e pronunziare con sicurezza una minima variet, ricevendo tal voce nella significa- zione peculiare che dannole i naturalisti. CJerto, quando la paleontologia rivel, non sono molti anni passati, venti e pi mila specie di pesci fossili tra le quali oltre le forme affatto perdute ogni specie ora vivente ritrova innumerevoli variet ed analogie tutte nuove ed inopinate per noi, conviene procedere pi modesti nel [ giudicare della continuit o discontinuit delle cose. , Afoeismo V. 8.  Ancora si pu domandare se tal legge di continuit prosegue a mostrarsi nell' ordine delle mu- tazioni per modo che queste succedano in minimi gradi e solo in gran progresso di tempo manifestino risul- tamenti notabili ; e ci sia vero particolarmente dove non operano se non le cagioni costanti ed universali o le cagioni minute ed accidentarie che sono tutte pas- seggiere e poco eflScaci. 9.  Noi gi fermammo nel primo Libro della cosmologia che le cagioni accidentarie non differiscono dalle sostanziali perch sieno pi contingenti ed ope- rino con leggi meno costanti, ma solo perch sono specifiche ed operano pi radamente e con meno du- Ukuihm. > It i6 242 LIBRO TERZO. revolezza e noi con molto maggiore difficolt ne sco- priamo il tenore e l'indole intrinseca non mutabile. Ma lasciando ci stare, certissimo  che operando nel creato cagioni e principj diversi neppure l'or- dine di successione e di mutazione pu mantenersi identico sempre e trascorrere a minimi gradi da un cangiamento ad un altro ; e ci importerebbe che tutte le variazioni nel mondo si risolvessero in alte- razioni di quantit estensiva o intensiva. Di piii di- ciamo che lo straordinario ed il consueto, il nuovo e r antico, il lento e aspettato e il sbito e affatto im- pensato nella natura anno valore ed importanza non diseguale ; perch l' uno e V altro sono governati dalla stessa necessit, come sotto diverso rispetto sono go- vernati dalla sapienza medesima. Quindi pu benissimo la natura ritrarre effetti strepitosi e immensamente Jecondida cause minime in apparenza ed insufficienti. A. 10.  Mentre ogni cosa nel nostro globo  prin- cipalmente avviata ad apparecchiare V abitazione del- l' uomo e fargli possibile la sussistenza, un picciolo aumento di carbonio nella composizione dell' aria l'avrebbe innanzi impedita ed ora la condurrebbe al niente. Del pari ogni leggier mutazione nella forma dei continenti e dei mari prodotto avrebbe un' indole di nazioni, un succeder di fatti e un corso di civilt so- stanzialmente diverso da quello che insegna la storia. Aforismo vi. '^ 11.  Un grande uso e abuso fanno ora i fisici del presunto metodo della natura di condur sempre COORDINAZIONE DEI VEZZI NELL'UNIVERSO. 243 r opere sue con perseveranza di causa e col minimo di azione. 12.  Il vero di questo principio consiste in ci, ' che da ogni parte in natura l'indefinito tien luogo deir infinito; la qual cosa apparisce con maggiore evi- denza nel quanto; perocch il moto che lo genera o lo manifesta, non salta verun punto intermedio; e di tali punti ve n'  innumerahili in ogni distesa di spa* zio. Da ci proviene, noi ripetiamo, che le cause me- desime qualora agiscano e mutino per sola ragione di quantit, certo spiegano in ciascun istante un minimo di azione. E perch l'indefinito si allarga ed insinua eziandio nelle mescolanze ordinarie del diverso e del simile e per cotal guisa il diverso ed il simile trapas* sano r uno nell' altro con insensibili gradi, ne seguita che qui ancora si mostra molto spesso certo minimo di azione, allato a certa continuazione e medesimezza di causa. 13.  Ma i dotti, al mio parere, scordano da capo che nella natura avvi altres il diverso intero e asso- luto, o poco assai mescolato col simile; e per i tra- passi ed i cambiamenti debbono parecchie volte riu- scire immediati, violenti, e non graduati. Per fermo, nelle fortune di mare, nei terremoti e nelle eruzioni dei vulcani  subitaneit quanti^ pienezza ed energia estrema d' azione. E tu di' il simile delle foreste ame- ' ricane arse ed incenerite; il simile della saetta folgore che percotendo (poniamo caso) in magazzini da pol- vere semina d' improvvise ruine il suolo. Mezza Olanda verrebbe sommersa in pochissimo d'ora, quando si rom- pessero per accidente gli argini al mare col costruiti. 14.  N duranti tutte le epoche geologiche gli  da pensare che mai in nessuna parte non sia stato schiuso all'oceano un varco, pel quale precipitando 244 LIBRO TERZO. avr del sicuro sommerso in tempo brevissimo larghi continenti situati sol poche dita pi gi del livello suo. r 15.  Vero  bene che il simigliante, secondo si spieg altrove,  pi generale ; e il diverso appare pi spesso neir atto delle cagioni particolari. Di quindi av- viene che quanto pi si esamina la natura nella g- neralit dei fenomeni e nella lunghezza del tempo, tanto sembrano sparir maggiormente le differenze e le cose procedere ai fini loro per trasmutazioni uniformi e lentissime. Con tutto ci, nel sistema solare stessa scorgiamo segni d' azioni violente e improvvise, s'egli  pur vero che i pianeti molti e minuti comparsi tra Giove e Marte sieuo frammenti d' un solo astro scop- piato per fuoco interiore o per urto con altro corpo celeste. E chi questa supposizione ricusa, riducasi al- meno in memoria il subito comparire di alcune stelle e lo sparire di altre e il mutar colore di moltis- sime pressoch repentinamente. A. 16.  Non si vuol negare che il Cuvier corse troppo affrettatamente a credere che le mutazioni pro- fonde delle forme animali accadute nelle epoche geo- logiche procedessero quasi tutte da spaventevoli cata- clismi ; e merit bene della scienza il Lyell supponendo air incontro che la maggior parte di que' cambiamenti sia succeduta a minimi gradi e nella lunghezza ster- \ minata dei secoli. Ma non isdrucciola egli forse alcuna \ volta nell'altro eccesso, negando quasi per intero ogni mutazione violenta e rapida o confinandola in troppo ristrette regioni e tra transitrj accidenti? Chi pu, per via d' esempio, negare che gli elefanti della Siberia non perissero tutti a un tratto per rivoltura strana e COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 245 subitanea di clima e per dilurj veementi di acque, da- poich le carni d'alcuno fra essi non soggiacquero a putrefazione e gli scheletri loro giacciono accatastati e in quantit enorme nel fondo delle caverne e sulle ripe dei fiumi? Aforismo vii. ^ ,^ ^ -^tM- -^^T' '^' "' 't^' -er tutti i secoli. Ma di costa e sopra e d' ogni intorno a tale sistema il telescopio ne mena a supporre innu- merabili altri in que's diversi agglomeramenti di ma- teria siderale e in quelle aggruppate costellazioni onde vediamo cosparso e quasi intessuto il firmamento. Error grande sarebbe a credere che la unit e semplicit loro sia simile a quella che noi ammiriamo. E si pensi di vantaggio che tutti codesti sistemi siderei apparten- gono pure a certa essenza comune di corporeit, di spazio, di moto, di figura e di luce. Ma giusta le nostre opinioni, di l da essi e fra essi v'  probabilmente altri sistemi innumerabili d'altre forme di essere ignotissimi a ' noi e da ogni immaginazione nostra separati e diversi. 27.  Se Cartesio come fecesi a indovinare le leggi del moto che gli erano sconosciute in gran parte, cosi avesse dovuto fare per la favella umana quando l'espe- rienza nemmaAco su tale materia V avesse istruito, per lo certo a rendere semplice il suo sistema avrebbe for- nito ogni stirpe e ogni civilt d'una sola lingua e COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 251 d'una^sola grammatica. Eppure, il fatto procede diver- samente ; e tuttoch in ciascuna delle differenti famiglie di lingue la semplicit di costruttura e di svolgimento sia tra le pii singolari ed anzi miracolose produzioni dell'istinto razionale, nientedimeno non sembra egli che la natura operato avrebbe con maggiore sempli- cit facendo inventare all' uomo una sola forma di pa- role e d' inflessioni grammaticali, e agevolando cosi e affrettando in iinmenso la fratellanza dei popoli e lo scambio delle cognizioni? 28.  Per cancludere con tale sentenza, farebbe mestieri conoscere tutte le necessit che impedirono la unificazione delle favelle; poi quanti beni provengono dalla loro diversit mentre noi ne annoveriamo cosi facilmente gli incomodi. 29.  Intanto dal fatto precipuo della diversit delle lingue trarremo da capo questa persuasione che la semplicit nella natura e nei concetti dell'uomo differisce profondamente ; e che d' altra parte, al solo infinito della potenza e sapienza divina dovea riuscire di creare tre o quattro ceppi e tronchi di lingue con indole al tutto diversa e gareggianti nondimeno in fra loro di suprema semplicit. Aforismo XI. 30.  Egli  poi manifesto che le necessit del finito astringono la creazione a proceder mai sempre  contempliamo sotto forma di unit; come quando avvisiamo il genere dei metalli o l'altro pi largo dei minerali o il pi ristretto dei basalti. L'uomo medesimo o l'animale bruto, ancorach sia uno nella realit di ciascun indi- viduo, lascia scorgere pi diversit che variet, parago- nandosi (poni caso) gli estremi, e cio l' embrione con r essere gi formato ovvero la et infantile con V ul- tima; e parimente sono pi differenze che variet la memoria, la volont, il senso, l' istinto. E quelle dif- ferenze sono poste insieme dalla natura ed unificate in certo subbietto mediante una sintesi laboriosa e lentis- sima a cui il finito perviene valicando per innume- revoli composizioni e preparazioni. 96.  Il partecipare poi del diverso, bench sia fattibile ed anzi la natura lo venga efiettuando in ogni momento,  di continuo questo limite che nel ge- nerale r una meschianza impedisce 1' altra, e se av- viene questa, quella non pu avvenire. Lo zolfo me- schiato al mercurio compone il cinabro ; ma se vuole insieme partecipare del ferro non pu, e conviengli per ci abbandonare il mercurio. 97.  La insufficienza del finito produce ancora che la partecipazione del diverso piuttosto fa luogo ad un terzo essere differente, di quello che ad aumen- tazione di propriet e di attribuzioni ; come si scorge nei sali, ovvero negli ossidi metallici, in cui l' ossigeno 280 LIBRO TERZO. sembra perdere ogni sua propriet, e le basi alcaline e i metalli gran parte delle loro. Laonde la mentalit su- prema per giungere al vero incremento dell' essere e ad un mescolamento tale del diverso che T unit vi stia dentro sostanzialmente, apparecchia e addirizza tutte le cose alle sintesi terminative, e vale a dire ai subbietti sostanziali che chiamerei moltiformi, e a quelle compo- sizioni in cui qualche^ente superiore subordina gl'infe- riori siccome accade per entro ai composti organici. 98.  Ma di ci altrove. Qui basti il considerare che due sono nel nostro proposito g' intendimenti della naturar; l'uno risguarda al possibile l'altro alla fina- lit. Rispetto al primo, la natura adempie l'intendi- mento suo, sempre che attua l' indefinito del vario del diverso e del misto, ancora che il misto non duri e le combinazioni si avvicendino senza incremento vero e ordinato dell' essere, in che consiste la sintesi. * Apobismo III. 99.  Con tali considerazioni sul modo assai dil- ferente che pu adoperare il finito nello spiegare l'in- definito trapasseremo a conoscere partitamente l'ap- plicazione di tutto ci nei tre mondi da noi distinti, e cio l'etereo, il chimico ed il meccanico. E facendoci dal primo, che  1' etereo, diciamo che preconosciuti gli ufiicj suoi i quali anno indole generale ed inalterabile e ricordandoci di quanto ne fu definito pi sopra, debbe comparire in lui molto spiccata se non 1' unit di sub- bietto, certo l'unit di forma. Quindi non il diverso propriamente ma il vario vi dee dimorare con isfar- zosa moltiplicazione, tanto che s accosti a quel di- verso neir uno di cui test abbiamo discorso. Della qual cosa fanno fede parecchie scienze. Di fatto, la COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 281 lace, il calore, T elettricismo ed il magnetismo sono argomento di studio e sapere tanto diversificato e Ta- sto che niuna intelligenza umana l'abbraccia mai tutto, e r insegnamento n'  gi spartito fra parecchie cat- tedre nelle universit pi insigni d' Europa. Aforismo IV. 100.  Della variet poi del mondo chimico testi- moniano similmente tre amplissime scienze la geolo- gia, la mineralogia e la chimica propriamente deno- minata.  qui debbe aver luogo non pure il vario. ma eziandio il diverso sebbene non assoluto. Imperoc- ch la natura nel mondo chimico move un passo di pi verso il fine ; e per alla partecipazione del simile o vogliam dire alla comunanza della materia quivi s aggiunge la partecipazione del diverso, che  pure la differenza spiccata e profonda delle specie nel genere ; oltre alle combinazioni di tutto questo col mondo ete- reo. E si noti da ultimo che nei cristalli regolari i quali appariscono in ogni corpo e nelle parti e membra de' gran contenenti ossia delle masse maggiori per Io spazio disseminate  da riconoscere un primo tenta- mento e un inizio primo di forma individuale. A. 101.  Dicemmo in sul cominciare chela congiun- zione del simile  Tatto e il modo pi semplice onde il finito allarga i suoi limiti e sforza la sua insuffi- cienza. In tale congiunzione, pertanto, deesi ripetere il fatto pi universale e comune del mondo creato ; e per nel seno della materia il fenomeno pi frequente debb' essere V accostarsi delle molecole per costruire i 282 LIBRO TERZO. corpi e quindi V accostarsi di questi per costruire le masse. N qui pu fermarsi la cosa ; ma la stessa ne- cessit e la stessa legge verr a mover le masse per entro lo spazio ed avviare l' una all' incontro del- l' altra. 102.  Ora, in questo medesimo fatto dell' attra- zione universale tanto semplice e tanto comune e te- nuto, comesi disse, ne' giusti confini dalla virtii espan- siva dell'etere, la natura introdusse un'altra sorta di variet inesauribile. Conciossiach, lasciando stare i fenomeni dell' affinit da un canto e dell' adesione da un altro che sono i due estremi del meno e del pi nel congiungersi delle molecole, pure nei corpi simi- lari v'  tante sorte di coesione fra le molecole, quante forse le specie stesse dei corpi. Di quindi l'uno si mo- stra tenace, l'altro friabile, un terzo duttile, un quarto rgido e cos prosegui; e ciascuno  eziandio una propria guisa di rompersi non che un peso proprio specifico. Aforismo V. 103.  Ma nelle masse maggiori, o vogliam dire nei / Soli e ne' loro sistemi, proseguir la natura a profon- 4 dere il diverso ed il vario? Certo che s, non potendo / ..>'errare il principio, il qual vuole che sempre e in qua- ^'^ [ ' lunque ragione di enti apparisca attuato l'indefinito del ', ^"^ possibile. Salvo che cotesti sistemi solari sono da ultimo \y ^/ serbato j smisurati e massimi contenenti del mondo ^ \* chimico. Il perch, diversificandosi questo da sistema a sistema vengono le masse medesime a diversificare. 104.  Sopra la qual cosa noi ripetiamo che quan- tunque ne l'ingegno ne la fantasia n altra mai fa- colt umana coglier possa in veruna maniera le novit originali di qualsia specie e quindi riesca impossibile af- COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 283 fatto di figurare e definire la tempra e le condizioni pe- culiarssime del mondo chimico negli altri sistemi solari, tittavolta andiamo persuasi che quivi sfoggia il diverso ed il vario in modo tanto abbondevole quanto incono- scibile a noi. Del che ci giunge pure qualche indizio mediante V esperienza. Conciossiach il colore, la qua- lit e r intensit della luce nei corpi celesti, certo loro appannamento ed annebbiamento, la fosforescenza, le macchine, la scintillazione ed altre contingenze ci appaiono spesse volte diversi da pianeta a pianeta, da stella a stella e da costellazione a costellazione. 105.  Senza che, l' aspetto e figurazione di queste ultime, la rarit e spessezza di loro materia e la po- sizione e il moto di loro parti similmente diverso da una ad altra acervazione di stelle non pu non rispondere a differenze integrali nella natura de' loro elementi ; con- siderato che in nessuna di quelle parvenze  carattere accidentale.  tutto ci in sino al termine estremo dove dura comunanza d corporeit e di moto. 106.  Di l da quel segno principia una diversit di mondi per noi assoluta ed infigurabile, e dei quali sappiamo sol questo che del sicuro sussistono ; perch r infinito della possibilit, certo, non rimane esausto nelle due sfere a noi note della materia e dello spi- rito; o parlandosi pi preciso, nelle due sfere di feno- meni sotto cui ci si rivelano i due principj. il mate- riale vo'dire e lo spirituale. N tutte le forze della ma- teria probabilmente ci sono ancor note come non tutto lo spiegamento essenziale delle facolt dello spirito. A, 107.  Notiamo per incidente che facendo noi pro- fessione in questo volume di dedurre da pochi e certi A 284 LIBRO TERZO. principj quanta maggior notizia si pu dell' ordino della natura,  assai rincrescevole ad ogni tratto il evenir dichiarando la molta ignoranza che sosteniamo t sulla pi parte di questa gran fabbrica dell' universo ; . e conoscere poi di giunta che nel difetto della scienza / argomentativa non ci soccorre nemmanco la scienza sperimentale ed empirica. CJi non ostante, noi ci ter- remo fermi al proposito che le dimostrazioni f^a^i^ sieno scambiate teai^'con le congetture e queste medesimo mii^tras vadano tanto da divenire  Sogni d' infermo e fole da romanzo.  108.  Di cotal tedio ed impaccio vanno esenti gli Hegeliani, i quali negano intrepidamente tuttoci di cui non possiedono la nozione. Cos negano, per via d'esem- pio, che vi sieno sistemi solari somiglievoli ad una e diversi dal nostro ; e gi notammo altrove che il mae- stro loro pensatamente e iteratamente chiam il cielo stellato qualcosa di comparabile ad una specie d'espul- sione cutanea. Vero  che in tale espulsione l'Herchel, 1' Olbers, il Bessel ed altri valentuomini ravvisarono qua un mondo incipiente, l un mondo assai progre- dito, pi discosto un altro che scindesi in due, e pi discosto ancora oceani immensi di materia cosmica, onde usciranno a poco per volta novelle costellazioni. S vero che in nessun luogo  intera immobilit ed anzi ogni parte di quella espulsione si move; e pro- babilmente ogni moto  il suo centro, come del sicuro  la sua legge determinata e indeclinabile ; senza par- lare di que' gruppi di stelle che girano 1' una intornf> dell'altra con periodo certo quanto diverso di tempo e misura. 109.  Simigliantemente, non  da cercare per gli Hegeliani quel che significa la via lattea, le nuvole ma- COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 285 gellanche ed altri membri smisurati della sfera side- rale. E qui un maligno potrebbe riflettere che in quella sorta, come dire, di scabbia celeste il solo caso dee sbiz- '^Z. zarrrsi e tener dominio. 110.  Forse io frantendo non poco i pensamenti degli Hegeliani. Ma sembrami che in cambio di spa- rarle si grosse tornava lor meglio di dichiarare che r Assoluto nemmanco nel cervello di Hegel  molto progredito nella coscienza di se medesimo e nel rav- visarsi una cosa stessa con la natura; e che quindi col tempo conoscer e spiegher per bene tutte le opere gigantesche e bellissime che  lavorate colass senza addarsene troppo e quasi giocando a capanni- scondere. Per un Assoluto che  identicamente nel tempo e nella eternit, nella idea e nella materia, e non  mai cominciato e pur tuttavia diventa e diven- ter sempre, ei si pu indifferentemente affermare che SSL ogni cosa ovvero che non sa nulla o pochissimo. Del resto, non  ufficio nostro di aggiustare le lor partite e sa pi un pazzo in casa propria che un savio in casa d'altri. Ma, per mio avviso, quella corona che portano della scienza assoluta  un triste e gravoso carico; e credo che sentano anch'essi quanto pesa la sovranit, massime in questi nostri tempi. Cartesio ancora ebbe a dire che non v'  fatto nell' universo a cui non trovisi spiegazione pronta ed agevole nei prin- cipj del suo sistema. Ahi parole imprudenti I Venne di i li a poco il Newton e fece piazza polita di que'prin- i cipj e di quel sistema. Aforismo vi. 111.  Ora, tornando al soggetto, chiediamo di nuovo: come avverr il misto, e cio la partecipazione del di- 286 I/IBRO TERZO. verso nelle masse maggiori considerate nel lor tutto insieme e V una a rispetto dell' altra? potranno i si- stemi solari summentovati fare scambio in fra loro di qualit e di attribuzioni, quando anche non ne risulti incremento di essere per ciascheduno? Per nostro av- viso, tal presupposto non pure non  escluso da veruno principio ma confermato in quella vece da ci che fu dichiarato teste circa l' indefinita variet e differenza che la natura desidera e vuole in tutte le cose. 112.  Stimasi, dunque, da noi che i sistemi solari girano 1' uno intorno dell' altro con tal legge di moto e con tale vicenda, che ognuno o la maggior parte visiti gli altri di mano in mano e mutuamente sia visitato, con iscambio successivo dell' influsso proprio e dell' altrui. Quindi si pu immaginare che quello che accadde fra gli astri di una intera costellazione o di parecchie insieme connesse avvenga poi fra le altre non unite ne connesse; e il risultamento sia che cia- scheduno sistema solare abbia trascorsa tutta la serie del suo agire e del suo patire e soggiaciuto al novero intero delle mutazioni convenevoli all' essenza sua speciale e immutabile. 113.  N solo si dee pensare che fra gli astri e le costellazioni diverse accada un avvicendamento e uno scambio d' influssi e d' ingerimenti, ma che da ci derivi V attuazione di molte potenze a cui bisognava un impulso esteriore, come vediamo succedere conti- nuamente nel mondo chimico e nello spirito nostro medesimo. Imperocch, essendo legge del finito che le  facolt non valgono a suscitare s stesse e condursi \ air atto per sola propria energia, cosi  lecito di opi- nare che in qualunque parte della natura sieno forze latenti non ancor trapassate all' atto per mancanza d'impulso esteriore conveniente e proporzionato. Sul COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 287 qaal proposito torner necessariamente il nostro di- scorso avanti la fine di questo Libro. Al-ORISMO VII. 114.  Ma tra le combinazioni del mondo stellare e quelle del mondo chimico interviene la diflFerenza che le seconde si compiono per incorporamento, laddove le prime il pi delle volte si debbono compiere per accostamento ed influsso. Nel vero, nelle grandi masse prevale il principio della stabilit e della resistenza, e perci prevale la coesione. Di quindi nasce che il mondo pi sottile e pi mobile, e in cui la natura pu giungei'e con agevolezza maggiore alle sintesi termi- native dimora alla superficie di quelle, dov'  minor compattezza e pressione. Per ci nel generale non deb- bono gli astri di gi formati incorporarsi l'uno nell'altro, perdendo qualche porzione di superficie e rompendo a mezzo il lavoro intrapreso del mondo chimico. AroRi8>fo Vili. 115.  Del pari, se noi ricordiamo quello che fu fermato nel Libro secondo intorno alle necessit del moto e dell'attrazione e nel primo intorno alla impe- netrabilit e all'agire e reagire dei corpi, noi ci per- suaderemo che gli astri di gi formati e assodati cor- rendo l'uno verso dell'altro con impeto inimmaginabile invece d'incorporarsi ed unificarsi frangerebbero nel cozzo tremendo le loro compagini e de' loro frantumi infecondi saria piena senza frutto una immensa di- stesa di spazio. 116.  D'altro canto, ei si vedr di qui a poco che nella forza passiva dell'attrazione dimora certa virt 288 LIBRO TERZO. occasionale di altra specie di moto diverso ed attivo. Tutto il che combinato con arte divina genera per ogni dove e mantiene V equilibrio degli astri, e intendiamo dire che tutti per una serie coordinata di movimenti ora dittici ed ora iperbolici possono bene visitarsi ma non entrar l'uno nell'altro ovvero infrangersi come vetri e andare in minuzzoli. AroRiSMO EX. 117.  Salvo che le combinazioni del mondo chi- mico debbono riuscire estremamente fine e gracili a petto a quelle dei sistemi solari. N possono da Sole a Sole 0 da costellazione a costellazione mutare g' in- flussi senza che non se ne alteri profondamente e non se ne perturbi e sconvolga tutto l'ordine del mondo chimico respettivo. 118.  Ma bene la natura provvede a ci con due suoi metodi mirabilissimi. E l'uno  di produrre tra i corpi celesti la novit degl'influssi con minimi gradi e impiegandovi parecchi bilioni d' anni, tanto che la mutazione non pu arrecare rivolture violente e con- quassi. L'altro metodo della natura si  di aspettare den- tro a ciascuno membro d' un sistema solare che uu certo ordine del mondo chimico sia trapassato di mano in mano per tutti li suoi svolgimenti; per guisa che la mutazione ed innovazione, tuttoch repentina, riesca opportuna e fruttifera. N manca la divina mentalit di dedurre, secondo i casi e gl'intendimenti dall'uno e dall'altro metodo, ora la semplice diffe- renza che aggiunta alle altre cresce 1' attuazione del possibile ; ora la differenza che a rispetto delle ante- riori segna un progresso e vale a dire qualcosa che COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 289 cagiona un durabile incremento di essere o per lo manco un preparamento inverso di esso. A, 119.  Di queste due arti della natura abbiamo testimoni evidenti le mutazioni sopravvenute nel nostro globo, delle quali alcune si compiettero quasi in un subito ed altre con processo lentissimo. Sebbene nel giudicarle sia molto diverso il criterio usato dagli scrittori; e tu odi, per via d'esempio, il Cuvier che parla d cataclismi molti e veementissimi ; invece il Lyell vorrebbe quasi negarli e procaccia con grande ingegno di accumular le prove onde si mostri l' ope- rare tardissimo della natura ma sempre d'un minimo grado diverso da se medesimo, tanto che nella fuga delle miliaia d secoli gli effetti assommati riescano al- l'ultimo ad una profonda trasformazione. Del resto, par- landosi della natura la rapidit ed anche la subitaneit delle mutazioni non  quella certo che immaginiamo noi con le tenui misure di minuti e d' istanti solo propor- zionale al nostro durare brevissimo e al nostro mu- tare incessante e visibile. Ad ogni modo, saranno esempio della subitezza dei cambiamenti l'eruzioni vulcaniche, le quali arrecarono ruine tanto maggiori quanto i vulcani spesseggiavano oltre misura nel mondo antico. 120-  Puoss anche dire che la vita degli animali pili nobili  cosi delicata e ricerca una convenienza e proporzione cos minuta ed esatta con la natura ambiente, da non resistere ad alcun cambiamento che Mahiari.  n. 9 290 LIBRO TERZO. sopravvenga in un sistema solare, quando anche si operasse a gradi lentissimi e impercettibili. Il perch noi siamo di credere che quando questo nostro Sole verr tanto prossimo alla costellazione di Ercole, verso cui procede, da sentirne alcuna sorta d'influsso, la no- stra specie dovr perire. Conciossiach noi non la re- putiamo atta a trasformarsi organicamente. Ma di ci nel quarto Libro. C. 121.  Uscendo anche dal sistema nostro solare che a petto al firmamento vale un granel di sabbia, il telescopio ci diede avviso di qualche subita rivolu- zione accaduta in altri corpi celesti, e sono quelle stelle segnatamente che od apparirono improvviso o per lo contrario cessarono a un tratto di splendere e di scin- tillare. Altre ve n' a che dopo essere rimaste oscurate alcun tempo s' illuminarono di nuovo. Altre infine mu- tano di colore a certi periodi. In ciascuno di simili casi certo alla superficie di quegli astri sono avve- nuti e avverranno cambiamenti profondi e rapidi e quali abbiamo usanza di domandare cataclismi. Con- ciossiach, quando una mutazione si stende su tutta la faccia d' un astro non minore del nostro Sole, non pu avere per lo certo carattere accidentale ed ineffi- cace e non accompagnarsi con mille cambiamenti par- ticolari ed intrinseci in tutte le materie dove penetra r atto di quella cagione sostanziale e generica onde la mutazione prima  provenuta. Aforismo X. 122.  Ma per compiere questi nostri aforismi in- torno alla diversit e alla novit che dee comparire ne- COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL' UNIVERSO. 291 gli astri mediante la vicenda e permutazione scambievole dei loro influssi, a noi giova di ricordare che ci debbo sempre avvenii-e secondo tutti i principj e le arti della natura di gi descritte. Quindi, sebbene nessuna fissa nel firmamento sia tale davvero e che quando il durare ilei secoli potesse contrarsi e stringersi nell' intervallo di pochi secondi noi le vedremmo cambiare tutto V or- dine e la configurazione della presente sfera siderea, nullameno egli  certo che qualcosa pure fra esse dee sustanziare il principio della saldezza della resistenza e della immobilit relativa, come altra parte delle medesime debbe esprimere il principio contrario della mobilit e della incostanza. Aforismo XI. 123.   da far luogo eziandio a quest'altra con- siderazione intorno al proposito, e vale a dire che po- sto ancora che i cambiamenti de' massimi corpi stel- lari mirassero soltanto ad esaurire 1' indefinito del possibile, tuttavolta fu gi pronunziato che la divina mentalit non concede a verun possibile di essere alieno compiutamente dalla cooperazione remota o prossima diretta o indiretta ai fini superiori ed universali della creazione. 124.  Ma considerandosi poi che i sistemi solari ed i loro aggregamenti sono sostegno e principio per ogni dove delle sintesi terminative non meno che sieno le sostruzioni e i muri maestri ai grandi palagi, egli si fa manifesto che quelli debbono tenere concordanza stretta col mondo chimico respettivo e con tutto ci che da tal mondo debbe originarsi appresso. 292 LIBRO TERZO. Afobismo XII. 125.  Per d medesimo a noi sembra evidente che i sistemi solari le costellazioni e gli aggregamenti di queste essendo costituiti e congegnati per maniera che mediante la coordinazione de' lor movimenti e il vi- sitarsi mutuamente e lo scambiarsi gU influssi vengji cos in ciascuna parte come nel tutto spiegata la infi- nitudine dei possibili per entro i termini della capacit delle parti e del tutto, certo la natura vi  adoperato non solo la congiunzione dei simili e la partecipazione dei diversi, ma quell'altro modo di aggrandire i li- miti e r efficacia dei finiti che noi domandammo l' or- dine e la cospirazione dei mezzi e il quale consiste a fare operare un effetto comune da certa catena di cause insufficienti ciascuna per s, ma bastevoli al con- seguimento del fine in virtii di connessione e cospira- zione. Ed  ci in sostanza che ottengono tutte le macchine a cominciare dalle pi semplici insino alle pili implicate e maravigliose. 126.  L'intero mondo meccanico, adunque, consi- derato ne' suoi gran contenenti e nelle relazioni e coor- dinazioni in fra essi, vuol essere riconosciuto quale un macchinismo portentoso ed inconsumabile, mentre le macchine umane sono temporanee tutte e recano in se medesime il principio loro dissolutivo, non sapendosi rinvenire la guisa di perpetuarne il moto; appunto per- ch da per tutto  moto e gli elementi di resistenza mutano essi medesimi a poco per volta. 127.  Ma nella natura la perpetuazione del moto che non pu essere assolutamente in nessuna parte  serbata nel tutto con questo artificio che all' una mac- china disfatta subentra V altra diversa e pi compren- COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 293 iiiva. Rimaneudo, tuttavolta, incerto per noi se cotesto macchinismo universo mantiensi con la periodicit e r indefinita replicazione ovvero con l' innovazione in- definita ed interminabile. Noi tratteremo di ci am- piamente neir ultimo Libro. A. 128.  Sembra non vera, o per lo manco avven- tata, r affermazione nostra che il mondo meccanico non serbi neppure esso in ciascuno suo sistema par- ziale la perpetuazione del moto, e vale a dire la iden- tit e inalterabilit del sistema medesimo. Per fermo, gli studj profondi degli ultimi gran matematici anno dimostrato che sebbene nel nostro sistema solare sieno cagioni pressoch innumerabili di perturbamento e iV alterazione, ogni cosa da ultimo trova il suo com- penso ed il suo equilibrio. 129.  Ma oltre che vi possono essere cagioni len- tissime ed occultissime di scompaginamento, egli basta di sapere che il Sole si move col suo corteo di pianeti inverso altri centri maggiori perch attingasi la certezza ohe interverranno influenze nuove e gagliarde e nuova energia e intensione di forze attrattive suflicienti se non a scomporre certo a modificare profondamente il sistema nostro attuale. E quando anco volesse credersi rispetto al mondo meccanico a una legge universale e immu- tabile di periodicit, il ricorso delle cose non mai av- verrebbe innanzi di aver quelle incontrato il novero immenso di cambiamenti di cui sono capaci. Perocch la natura (si disse pi volte) non consente di lasciarli nella nuda e perpetua virtualit. 294 LIBRO TERZO. Aforismo Xin. 130.  Ma se le enormi inasse stellari costituiscono un macchinismo vero e fruttifero,  sempre da man- tenere che tuttoci  diversissimo dalla organizza- zione strettamente denominata, la quale, sebbene sia r ultimo termine d' una artificiosa coordinazione e connessione di mezzi, nuUameno  carattere tanti^ proprio e cosi definito che in ninna maniera si dee confondere col macchinismo e con qual si voglia for- ma ed operazione del mondo meccanico. Eppure  ' frequente V abbattersi in trattati di cosmologia i ; quali proclamano con certa enfasi la organizzazione , dell' universo. E qualora affermassero ci per dilata- ^zione di significato, e dir volessero che V universo intero compone un sistema e in ciascun suo membro  cei-ta coordinazione e cospirazione di mezzi, a noi non toccherebbe di dissentire avendo espresso propriamente e in parecchi luoghi il concetto medesimo. E nemmanco faremmo contesa quando ristretto il lor ragionare al mondo nostro visibile giudicassero che il suo tutto insie- me in quanto risulta di astri e costellazioni  coordinato e connesso in modo da produrre pi e meglio di ci che ciascuna parte e ciascuna aggregazione di parti per s non potrebbe. Ma costoro vogliono a dirittura che i gruppi di costellazioni sieno le vere membra maggiori d'un forando corpo animato od almeno vivente; ed anzi I r Owen e il Burdach l' arcano della vita spiegano e disigillano con questo altro arcano certo non inferiore \e non, meno chiuso della universale organizzazione. Laonde, se parlano per metafora e danno questi nomi di organizzazione e di vita a un ordine molto impli- cato di materia e di movimento, trascurano la propriet COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL' UNIVERSO. 295 e la severit di linguaggio convenienti a filosofo, e se adoperano i detti nomi con significazione litterale, af- fermo da capo che non s' appongono alla verit. Afobismo XIV. 131.  Sopra il che non mi bisogna di anticipare il corso della nostra teorica e produrre in mezzo il valor vero ed esatto che debbesi assegnare ai vocaboli vita ed organizzazione quasi sempre mal definiti. M'ab- bondano le ragioni per dimostrare che nel mondo mec- canico in quanto esso  tale e distinguesi onninamente dal mondo chimico non  vita e non  organizzazione, pigliando le due voci fuor d' ogni senso traslato e nel- r accezione comune, poco o molto determinata che sia. 132.  L' organizzazione e la vita da lei proveniente sono le massime sintesi della natura sopra la terra ; conciossiach in esse apparisce l'attuazione perenne ed universale del fine dell'ordine fisico. Per vi con- corrono del sicuro i tre mondi insieme descritti da noi per quanto vi concorre ogni ragione di materia e di corpo, e senza qui risolvere se la materia ed i corpi bastino s o no all'adempimento reale del fine. Ma le sintesi della natura essendo i com])Osti pi elaborati e difficili, domandano la massima variet, frequenza ed agevolezza di moto e il massimo intreccio delle so- stanze e delle mistioni loro. Per lo contrario predomina nelle grandi masse la stabilit, la uniformit e la coesione compatta. Onde nella serie dei mezzi e degli apparecchi il mondo meccanico rimane inferiore e ogni altra serie lo presuppone. 133.  Oltrech, se vogliono que' metafisici al com- plesso delle costellazioni dare un' anima intelligente o per Io manco sensibile, noi gi negammo pii sopra il 21if LIBRO TERZO. senso latente o spiegato appartenere comecchessia agli atomi della materia e negammo pi assai risoluta- mente tra le cagioni seconde qualunque principio reale ed universale dotato di attivit e costituente una effi- cienza altres reale ed universale. 134.  Rimane che si convertano gli aggregamenti di stelle in una celeste e magnifica vegetazione; e cos dai poeti fu domandata; ne io li biasimo;- perocch ad essi appartiene cercare le simiglianze pi appariscenti e gradevoli e per via di tropi arditi e significativi im- primere negli intelletti volgari la cognizione di cose astratte. Certo le costellazioni fondamentano ogni altra sorta di mondi e la vita compare o sopra essi od intorno ad essi. Laonde quelle sono sostegno, difesa e ricettacolo della vita come il fiore e la pianta del seme e del frut- to; e perch in ogni gruppo diverso di stelle immagi- niamo a ragione una forma diversa di ordine e composi- zione mondiale e quindi eziandio d^ organizzazione e di vita, cosi i poeti osano assomigliarli alle specie diverse di piante e di fiori. E che pi? basta alle lor fantasie che un cielo stellato in notte serena e limpida renda qual- che sembianza di campi e pianure dismisurate quando in primavera sono gremite di minutissime erbe e di fiori. Ai poeti s' appartiene di descrivere leggiadramente le nude apparenze, ai filosofi di spiegarle. E i filosofi in questo caso debbon concludere che una vegetazione generale infruttifera, quando pure fosse possibile, non compete alla natura. Quella che noi scorgiamo quag- gi sulla terra  preparazione e sostentamento dell' or- ganismo animale. 135.  Ma per tagliar netto questo nodo e chiu- dere r adito a supposti non ragionevoli, stringiamo il discorso dicendo : o parlasi di vegetazione simile od ana- loga per lo manco a quella che conosciamo, ovvero di COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 297 ultra di costruzione ignotissima ed infigurabile. Se vuoi la prima, io la nego ricisamente salvo che tu non ardissi di paragonare le roccie di granito alle cellule e i filoni di metallo alle fibre legnose; e non so poi dove rinverresti le analogie per le radici e le foglie per la nutrizione e la secrezione, per le semenze e lo sviluppo. Ma se vuoi per lo contrario pensare ad una vegetazione tanto diversa che rimangasi fuori d' ogni nostra esperienza e notizia, io ti risponder in genere che non v'  certo e vero organismo dove non v'  ge- rarchia nessuna di essere e cio non si distinguono le sostanze in inferiori ed in superiori tanto che quelle servano a queste e tutte insieme compongano una tale complessione di corpo da prevalere alle forze ambienti ed esistere con leggi proprie e individuali. Ma nulla di ci non si trova nel mondo meccanico, dove le leggi e le forze operano anzi con estrema conformit e co- munanza, prive di abito ed efficacia individuale e adu- nando e sperdendo i loro aggregati per impulso este- riore e senza nulla che assomigli a sviluppo intrin- seco e a qualche virt unitiva di un cotal tutto e separativa da ogni rimanente. 136.  Questo attribuire al gran complesso dei mon- di creati una organizzazione ed un' anima, provenne del sicuro dal concetto esagerato della unit, secondo che ne abbiamo discorso piii volte. E per fermo, il tutto insieme delle cose non potendo stare senza ordine e connessione compiuta e non parendo ragionevole che dentro all'intero risplenda minore unit e minor per- fezione che nelle parti, ei si dovette pensare che la gran fabbrica dell'universo da ultimo si unificasse in uno 298 LIBRO TERZO. spirito vivente e la materia e i corpi e le forze gli si congiungessero a maniera di organi, per essere in effetto r organizzazione la forma pili eccellente e meglio uni- tiva di un sistema di enti finiti. 137.  Ma costoro non avvisarono che legando un anima al gran corpo organato dei mondi peccavano del sicuro nel poco o nel troppo.  Che non  cosa da pigliarsi a gabbo  la formazione di un' anima cos fatta, e bisogna o com- porne una specie di Dio ovvero un ente difettosissimo e sproporzionato da ogni parte alla sua organizzazione ed incoerente in ogni condizione del proprio essere. N Platone la intese altramente, se pur non volle nel Timeo , sotto la figura di un'anima descrivere la mentalit supre- ,ma, governatrice eterna e immanente della creazione. Certo  che la chiam un Dio beato, stante per la virt propria, nofi bisognoso mai d'altri, unico solo solitario e il quale coiosce ed ama se stesso con su/fi- eienea, Afobismo XV. 138.  Ma lasciando queste opinioni che a noi com- pariscono strane, ricordiamo novamente che nel finito nulla cosa pu cancellare la moltiplicit che gli  es- senziale ; quindi il tutto dell' universo, come altrove si disse, potr riuscire concordante, non uno. E se a tutto lui presiede un sol fine, i mezzi debbono spiegare la infinit del diverso. Per ci medesimo, posto anche un legame ed una cospirazione in tutte le parti del cielo stellato, a noi debbono sovvenire quell'altre regioni  sentirsi avvinghiato e serrato con persistenza e vio- ' lenza, apre la bocca ad esprimer V oracolo e il vati- * cinio che gli si domanda. Potevas egli significare con maggior garbo e insieme con maggior lucidezza Tarte lunga laboriosa paziente e ingegnosa d'interrogar la ' natura e nella congerie de' fenomeni che paiono disciolti ^ e discordi cogliere alcuna legge universale e perpetua ' di certo ordine di fatti? Eppure quel documento di r prisca sapienza non fu praticato a dovere che a far principio dalla scuola di Galileo in gi; e praticato appena, mut la faccia di tutte le scienze sperimen- tali. A chi rimangono ignoti gl'incremenfl prodigiosi delle matematiche e delle fisiche ottenuti in pochissimi anni mediante i metodi nuovi induttivi? Non  per Hamuhi. - II. .91 l 822 LIBEO TERZO. ci da ammirarsi che i dotti e le Accademie non voles- sero udir pi parlare di deduzioni speculative applicate alla cognizione dei fatti, e negassero a dirittura la pos- sibilit di comporre una cosmologia razionale. Ma, d' altro cauto, non v'  sapere sodo senza principj. ne induzione larga e feconda senza virtii di astrazioni e di raziocinio, n frutto generale e scientifico del percepire,  dell' osservare e del cimentare senza menar tutto ci I alla universalit e al nesso discorsivo delle teoriche. ^ 190.  Per tal guisa, ne' nostri giorni la cosmologia razionale  pi che mai divenuta un desidercUo delle menti profonde e niuno ancora pervenne (ch'io sappia) a definirne il giusto carattere, i metodi acconci, i ri- vsultamenti sperabili. Nel cadere del secolo scorso ri- provandosi e deridendosi da ogni parte V ontologia e coltivandosi fra  pensatori pi arditi una specie di culto verso la natura visibile, sorse la fiducia di spie- gare ogni cosa empiricamente e merc delle forze o manifeste od occulte della materia. Per, la cosmolo- gia (se vogliamo cos domandarla) del barone d' Hol- bach consegui fama strepitosa ; la quale oggid sem- bra a tutti pochissimo meritata ed egli ci riesce freddo e ampolloso allato air entusiasmo che or fa due mi- la anni cantava :  ^neadum genitrix, hominum, divumque voluptas, Alma Venus.  I Ma perch ninna forza dell' animo pu ricalcitrare j alle necessit permanenti e agli istinti profondi e noti I cancellabili del pensiere e della ragione, presto gli uomini si persuasero che non ispiegasi nulla col solo accozzamento degli atomi, e bisogn dare alla natura l'intendimento di quel che opera; e si torn quindi al vecchio adagio mens agitai molem. COORDINAZIONE DKI MEZZI NELL'UNIVERSO. 323 191.  Ora cotesta mente che  ella mai? e come costruisce una fabbrica tanto miracolosa? Accadeva, dunque, di sposar novamente alla metafisica e air on- tologi|i la notizia suprema ed universale della natura secondo che fu tentato in qualunque tempo ed in ogni scuola; con, peraltro, questo divario sostanzialissimo che conveniva far caso dei progressi vasti e rapidi di tutte le scienze fisiche; le quali poi quanto pi si di- latano e crescono, pi sembrano disl^arsi e moltipli- care le specie; onde la sintesi loro terminativa e dimostrativa soverchia a gran pezza le forze del- l' umano intelletto. Cosi da una banda le esigenze e tendenze del nostro spirito ci riconducevano alla co- smologia razionale e dall'altra ce ne discostava la quasi impossibilit di metterla in atto. 192.  Ma poco o nulla, invece, se ne sgoment la Germania; e Schelling ed Hegel fra gli altri osa- rono di costruire a priori non che tuttoquanto il creato ma l' autore di lui il quale rinchiusero dentro r opera sua con invisceramento maggiore o minore, secondo portava la lor metafisica, e con sorte inferiore e meno invidiabile, al credere mio, di quella del boz- zolo e d'altre crisalidi le quali sfarfallano alcuna volta e girano liberamente per V aria aperta de' campi; lad- dove il loro Assoluto non  mai tale nel fatto e non  mai compito n libero. 193.  Del resto,  incredibile la disinvoltura, la facilit, r eleganza e la sicurezza con la quale lo Schelling e i suoi passionati discpoli fannosi a costruir la natura idealmente e sillogisticamente e affermano ad ogni tratto la rispondenza perfetta delle legfi^i del pensiero con quelle del mondo visibile e tramutano le une nelle altre e tutte poi le risolvono in certa iden- tit arcana e inescogitabile. Agli occhi loro con*e 3J24 LIBRO TERZO. nn* analogia compitissima tra il peso e la verit e tra la materia e la scienza. Del pari, sono analoghi la bont e la luce, il moto e la religione. Di tal manie- ra, fu introdotta nella metafisica una forma nuoTa di misticismo ; i fenomeni diventarono simboli e una me- tafora abilmente trovata vel con certa leggiadria la ^ignoranza profonda delle vere cause e la impotenza ^inemendabile della mente indovinatrice. / 194.  Non per di meno dalla baldanza inconsi- I derata di quei filosofi usc il vantaggio che venne da capo riconosciuto alla metafisica il debito d' inve- stigare le ragioni supreme dei fatti sperimentali e che non le sia conceduto di starsene sopra ci con le mani a cintola, solo perch la fisica, la chimica e la biolo- gia rifuggono dalla speculativa, o perch l' unit della scienza ogni giorno discostasi di vantaggio e alla no- tizia dei fenomeni non basta oggimai nessuna capacit di memoria e il filo del raziocinio si perde nell' im- menso lor labirinto. 195.  Concedesi volentieri che all' impossibile nes- suno  tenuto. Per il possibile della cosmologia  ancor tanto largo da procacciare non solo onore immortale ai coltivatori pi fortunati ma Ma salvare eziandio la fisica e gli altri studj naturali dalle conseguenze ^maggiormente pregiudiziose del gretto e basso empi- rismo. N perci crediamo che non vi sia altro sen- tiere da battere, eccetto quello segnato dalli Schel- linghiani e da Hegel. Rispetto poi a quest^ ultimo, possiamo passarcene qui con silenzio, considerando che se ne discorre spesso e minutamente nel corso della presente opera. COORDINAZIOKE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 325 Vili. 196.  Dal sommario che abbiam compilato delle sorte diverse di cosmologia succedute in antico e fra noi moderni, risulta, per nostro avyiso, quello che se- gue: Primo; che tal parte nobilissima della metafisica esce dagr ingegni (peculati vi tutta informata per osdi- naro dei sistemi ontologici che V antecedono e a se- conda di questi piglia veste e color diferente. Per, notandosi che in Germania le cosmologie ultime fu- rono derivate dal concetto della identit fra Dio e la creazione e che questa  uno spiegamento ed una ma- nifestazione della sostanza divina, dobbiamo conclu- dere che il teismo difetta ancora della sua propria e conveniente cosmologia. 197.  Secondo; rispetto all'intriseco della tratta- zione doversi persuadere il filosofo che le generalit vuote ed astratte sul fare degli scolastici non soddisfano al d d^oggi neppure a mezzo la curiosit umana che  nudrita  cou abbondanza e meglio assai che in antico dai trova- ' menti cotidiani e stupendi dei fisici e dei matematici. ' 198.  Terzo ; per doversi tener gran conto del pro- gredire sicuro, veloce ed applicativo che conseguiscono tuttod le discipline sperimentali.  dove qualche parte almeno non ne sia spiegata e dimostrata dalia cosmologia, doversi giudicare inutili e quasich pue- rili le sue meoitazioni e i suoi pronunziati. 199.  Quarto; che si pu, cominciando, descrivere i fatti, conforme notammo sull'opera del La Place, e quindi trovar le ragioni assolute ed universali. Ovvero, e ctm- verso stabilire i priucipj e dedurne tali nozioni d' in- tomo ai fatti che il tutto riesca come una larga e bene ordinata ipotesi la quale si avvera con esattezza nella 326 LIBRO TERZO. realit del creato. Questa seconda maniera  pi pro- pria della scienza rigorosa. L'altra  pi modesta e sincera. Ad ogni modo, il metodo della cosmologia ra- zionale dee sempre essere sostanzialmente deduttivo. 200.  Quinto ; che dalle prefate considerazioni di- scende consstere lo sforzo massimo della cosmologia nel rinvenire prove apodittiche non gi delle somme categore e di ci solo che le cose create anno tutte a comune; ma si delle leggi pi sostanziali che reggono l'economia universa del mondo meccanico e chimico e del mondo organizzato e animato. E di quanti pi fatti avviser la ragione vera e propria, di altrettanto diverr fruttuosa e sveglier giusta ammirazione. 201.  Sesto; che oltre alle deduzioni esatte e sicure non crediamo interdetto alla cosmologia metafisica come a nessuno studio speculativo i ragionamenti probabili e le congetture assai verosimili ; con questo, peraltro, che sieno confessate con ischiettezza e le riceva il let- tore ne pi n meno per quel che sono. 202.  Settimo; altre massime direttive cos salde e fondate come fertili e salutevoli provenire dalla ispe- zione stessa della natura e di vantaggio dalla medi- tazione profonda sui caratteri del finito, conforme apparisce nei due Libri gi scritti e seguiter pi che mai a mostrarsi nel sonito. E perci appunto ci  sembrato opportuno contro l'uso corrente accennare il metodo della scienza quando ella comincia con qual- che precisione e nettezza a delinearsi in mente al lettore. 203.  Ottavo; che del danno proveniente dal travi- sare i giusti ed esatti caratteri del finito baster citar per esempio quella persuasione direm naturale appresso molti scrittori di riconoscere nella creazione le forme e le leggi medesime del proprio pensare e del proprio intendere; e segnatamente Tunt rigorosa e certo fondo COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL' UNIVEK80. 327 continuo d' identit e il misurare alla propria stregua la semplicit, la finalit e T ordine intero delle cose. 204.  Nono ; invece il canone giusta il quale dee procedere la nostra investigazione essere questo mai sempre: che la natura non  Tuno, ma  il molteplice e Dio stesso potervi bene introdurre V armonia, non r unit; e che tra le leggi del pensiere e quelle del mondo creato v^  certa rispondenza e certa analogia del sicuro maravigliosa e fedele; ma che, nondimeno, la luce della creazione giungendo alla nostra pupilla mentale ora attraversa parecchj prismi ed ora si ad- densa in parecchj fuochi di lente; il che peraltro mai non accade senza la consapevolezza mediata o imme- diata del nostro animo. 205.  Decimo; nella cosmologia quanto in ogni scienza speculativa le deduzioni e dimostrazioni di- pendere dai principi ; e che questi quando sono pochi ed astratti non bastano, quando molti e specificati o non si connettono o mancano di assoluta certezza. La scienza per al presente non pu se non procedere con riserbo fra tali due opposti ; e radunando copia bastevole di principj procurare di connetterli il pi strettamente che sia fattibile. Undecime ; perci pre- supponemmo noi alla cosmologia nostra i principj infrascritti. In primo luogo ed a comune con gli altri studj speculativi le supreme categorie alle quali ag- giungemmo una chiara teorica dell'atto creativo. In secondo luogo le disposizioni e i caratteri incancellabili del finito ritraendoli dalle dottrine ontologiche pii certe e pi manifeste. In terzo luogo le sue relazioni necessarie e perpetue con V infinito. Di che poi pro- vengono altri principj particolari e fecondi. Perch dai rapporti con la potenza infinita discendono le massima intorno la possibilit. E dai rapporti con la sapienza 328 LIBBO TERZO. deriva la legge di convenienza, scambievole di tutti i possibili. Per ultimo, dai rapporti con la bont in- ci*eata vien fuori la legge di finalit e V altra del pro- gressivo perfezionamento e l'altra che le fa tenore con- tinuo della partecipazione massima del bene assoluto. 206.  Duodecimo; confessarsi da noi schiettamente che i principj surriferiti insegnano molte condizioni e attitudini non pur generali ma particolari della natura e del suo modo di ascndere all'adempimento dei fini. Salvoch vi sono gi introdotte le nozioni pi generali della materia e del moto, oltre a quelle dello spazio e del tempo. E sebbene in questo presente Libro e nei due anteriori abbiamo avvisata una rispondenza perfetta fra essi principj e ' indole propria e gli atti diversi vuoi della forza attrattiva e delle affinit chimiche vuoi della forma peculiare dell' etere e cos discorri per altri particolari, nullameno v' qualcosa in tutto ci di speciale e di originale che i principj astratti non danno, e ci proviene da quella esperienza comune la quale accompagna, pu dirsi, ciascun istante di no- stra vita. Senza dire che la materia in atto e il suo moto e le sue affezioni similmente attuali ci vengono  rivelate dal senso e dalle percezioni facolt differen  tissime e separatissime dagli oggetti ideali. 207.  Ma egli si dee dubitare se con questi sus- sidj medesimi T argomentazione e la deduzione in co- smologia trova modo di assegnare le vere cause e le ragioni assolute a fatti e fenomeni ancor pi speciali, r ovvero le  forza di compiere un tessuto a vergato y attingendo dalF esperienza di mano in mano un certo ^numero di pi-esupposti e derivando ogni rimanente r dalla virt dei principj. Sulla qual cosa proponesi di ^discorrere il Capo che segue. COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 329 CAPO QUINTO. DEI LIMITI DELLA DEDUZIONE IN COSMOLOGIA. I. 208.  Noi siamo tornati delle volte parecchie su questo nostro principio che dalla nozione alla perce- zione ancora che passino molte attinenze, nuUameno guardate nei termini proprj elle non s' immedesimano e non si uniscono, e mal si pretende di farle mescola- ag. 349. Veidtone francese ik\ Pruf. Vera. 336 LIBRO TERZO. IV. 227.  Hegel. N io, dunque, replicher, per farmi incontro sollecitamente al vostro desiderio. L'idea, pertanto, arrivata al termine che io dicevo, guarda fuori di s e fassi esteriore a s medesima ; e tale este- riorit immediata e indeterminata  lo spazio. 228.  Ma il diverso  poi sempre dallato all'iden- tico e la negazione dallato all'affermazione. Per il punto che  un certo limite e un cotale inizio di deter- minazione dee comparir nello spazio.  questo punto medesimo dee diventare anco esso, {Perch ogni cosa principia e diventa; quindi per le massime prestabi- lite, egli negher s stesso e varcher in altro gene- rando la linea, come la linea con processo conforme dee generare la superficie. 229.  Ecco in tal diventare del punto viene ge- nerato altres il tempo, conciossiach questo  uno e identico perfettamente con lo spazio ed il moto. Quel qualche cosa poi che dura e si move  propriamente la materia. Non  egli chiaro, evidente, palpabile? 230.  Angiolo. Oiml filosofo! che se la chia- rezza vostra  si fatta, io sono spacciato, e non inten- der mai buccia della vostra teorica. Di tutto quello che avete esposto io confesso candidamente di aver capito un bel nulla. 231.  Hegel. Non  mia colpa del sicuro; che io parlo netto e preciso; e dopo Aristotele nessuno in ci mi pareggia. Ma quass non intendete per quello che io credo, altro parlar filosofico se non l'usato da san-' t' Agostino e da san Tommaso. Fatemi, per, canoniz- zare da un qualche papa e forse allora mi capirete. 232.  Angiolo. Un po' di pazienza, maestro caro, COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 337 un po' di pazienza! E non vi sarebbe caso d'espri- mere cotesta vostre proposizioni con altre parole, a vedere se mi entrassero meglio? 233.  Hegel. V' ricordato lo spazio, il punto, il moto, il tempo e la materia. Or voi sapete troppo bene quel che significhino tali vocaboli. Atteso che sono concetti annoverati essi pure nella idealit infi- nita di cui godete l' eterna visione. 234.  Angiolo. Cos , filosofo; e il mio danno sta propriamente che voi mi lasciate dentro i concetti, quando io vi prego di cavarmene e condurmi in co- spetto delle realit corporali. Oltrech, badate che quei concetti di materia, di spazio e via prosegui sono ana- loghi e non simili alle cose di cui discorriamo, ten- gono con esse corrispondenza simbolica ma non le ef- figiano e non ne fanno ritratto. Io so, infrattanto, che lo spazio efi^ettivo, il moto e la materia effettivi sono tanto diversi dalla nozione, che perci appunto io essere immateriale non giungo in ninna maniera a capirli. Voi gi cominciaste con la nozione dell'essere inde- terminato e proseguiste via via per tutte le altre ca- tegorie ideali. E sebbene io non abbia notizia del modo come traeste l'una idea dall' altra, nullameno non mi ci perdo e confondo compiutamente dacch rimango pur sempre nella regione dei concetti. Ma voi, venuto ad un certo termine, senza che io scorga il perch n indovini il come, trasmutate la vostra idea in tutto altro essere e le date una natura per me incompren- sibile. Veggo che voi strabuzzate gli occhi in qua e in l come attonito della tardit del mio ingegno. Ma che volete I posso io scambiare le leggi eterne della logica ? Se la vostra idea pur divenendo perfetta e assoluta  sempre idea e nozione, come pu dar na- scimento ad altra cosa che nozione non sia? E quando Mamuni.  n. 33 338 LIBRO TERZO. lo faccia, ognuno io credo s'unir meco a dire che quelle due cose riescono indipendenti affatto e diverse, e r una del sicuro non  ingenerata dall' altra. Qui fra i due termini, adunque, non  veruna necessit, verun trapasso razionale veruna sorta di legame; e lo spazio, il moto, la materia e simili escono fuori dalla idea logica con tanta impertinenza e stranezza, quanto se un cherubino si trasmutasse nel cavai bianco dell' Apo- calisse. 235.  Hegel. Come dite che non v'  trapasso legittimo, mentre lo spazio e indi poi la materia sono la idea esternata?  dunque la stessa cosa e diversa medesimamente. Ma voi sembrate non capire il senso delle parole. 26.  Angiolo. Pu darsi, e per emendarmi ri- peter esatto le vostre frasi. La idea logica, affermate voi, con lo esternarsi produce lo spazio.  dunque la idea logica che esternata si raddoppia; ovvero che fa se oggetto a se stessa. Imperocch in questo sol modo una idea o nozione si esterna. E cos rimaniamo sem- pre nella idealit e non nel concreto corporeo. Che se poi il vocabolo esterno  qui usato non per metafora ma neir accezione sua propria e conveniente alla sola materia, primamente vi dico di non lo intendere; in secondo luogo vi fo avvertire che noi spiegheremmo la cosa con la cosa stessa esplicanda; e il problema si risolverebbe mediante un giuoco di parole. 237.  Hegel. Voi non pigliate la questione pel suo verso; e sembravi aver detto assai provando che la nozione e la natura anno essenza differente. L'abbiano anche opposta; perci proprio 1' una  ingenerata dal- l' altra. Imperocch nel trapasso della idea logica alla natura debbe incontrarsi giustamente una opposizione ed una medesimezza; e questo  sempre e universal- COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 339 mente il processo di tutti gli esseri. Dacch gli oppo- sti si richiamano a vicenda in quel mentre che si di- vidono. Nel processo di cui parliamo conoscete l' oppo- sizione. La medesimezza ben sapete che risiede nella idea la quale tuttoch diventi natura non cessa per di essere idea. 238.  Angiolo. In cotesto modo, non v'  dubio, voi farete nascere il quadrato dal rotondo e ogni cosa verr prodotta da ogni cosa; salvoch, procedendo per simile via, noi ci troveremo molto pi prossimi al Caos di quello che al mondo corporeo. Ma io nego a dirit- tura che gli opposti nascano 1' uno dall' altro, e dico i veri opposti e non gli apparenti. Del sicuro, il male non genera il bene n il brutto il bello n il vizio la virt, e cos seguita. Oltrech, gli opposti da me ricor- dati si pareggiano per lo manco nell' avere a comune Tessere di sostanza. Poich il vizio, pur troppo, e la bruttezza e il male, ancorach mescolati di negazione in sola negazione, non tornano e per isventura parte- cipano della sostanza. Ma la vostra idea logica nep- pur si ragguaglia al mondo corporeo rispetto alla realit; sondo eh' ella principia con 1' essere puro inde- terminato a cui mancano del pari 1' atto e la potenza ; ed  poi manifesto che tale cominciamento primo e assoluto dee serbare l' essenza propria in qualunque sviluppo. Discende da ci che nemmanco  vera quella medesimezza che voi riponete fra la natura e l'idea; non potendo correre nessuna sorta d' identit fra una cosa reale in atto ed una nozione cui la virtualit e r attualit fanno similmente difetto. 239.  Hegel. Io non mi posso pi contenere. E pu far Dio che un angiolo annaspi cos raaladetta- mente? Ma se le nozioni diventano e passano V una neir altra, come dite che non possiedono virtualit al- 340 LIBRO TERZO. cuna? La nozione, sappiate per regola vostra,  attuale e realissima quanto ogni altra sorta di essere; eccet- toch diflferisce dalla realit esteriore o vogliam dire dalla materia con la quale pur nondimeno si sustan- zia ed unifica.  pur tollerato che parlando voi a vo- stra posta usiate la voce nozione al modo volgare. Ma nella mia logica V accezione sua diventa particolaris- sima e vuol significare, invece, la potenza libera e so- stanziale, queir assoluta virtualit esistente per s e dentro cui  come ripiegato ed epilogato l' intero uni- verso. 240.  Angiolo. Chieggovi scusa di cuore e m' av- veggo che ancora non vi siete avvezzo alla nostra fran- chezza paradisiaca. Ma io non potrei per nulla dissi- mulare quello che penso. 241.  Io stimava d'intendervi bene, mantenendo nel principiato la essenza medesima del principio. Che se questo  V essere puro e tanto indeterminato da fare equazione col nulla, come poteva io figurare che in- vece egli sia una potenza infinita da cui verr fuori di mano in mano ogni cosa? Del resto, io sono ormai chiaro eh' io non perverr ad intendere quello che sono la natura ed i corpi. E mi rincresce di ripetervi che per le vostre parole io non veggo spuntare da nessun lato quel mondo materiale di cui fo dimando da lungo tempo; e quando anche mi sforzi di menar buono a me stesso queir esternarsi della nozione e quel diven- tare lo spazio effettivo, non per ci mi si fa intelligi- bile il rimanente. Nel vero, se io debbo aspettare che il mondo della natura esca, nel modo che a voi piace, dal movimento del punto io non ne verr mai a capo. Conosco lo spazio intellettuale e tutte le sue determi- nazioni. Perci conosco eziandio che il punto  mera astrazione e concetto; e quindi il suo moto  altret- COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 341 tanto astratto e ideale. E davvero davvero, vorrei ve- derlo, 0 filosofo, cotesto punto nel moto suo e dico moto effettivo, non mentale e speculativo. Ma v'  di pi ; cb pur concedendo a V astrazione che chiamasi punto la facolt del moto, il meschinello non potr valersene tanto ne quanto. Perch ad ogni facolt  necessario si aggiunga una acconcia determinazione. In fatto, per dove si addirizzer quel moto, domando io? in gi od in suV a destra od a manca? sar lento 0 veloce, ritardato od accelerato? Il punto, a rispetto di ci,  come il centro d^ un circolo; e quanti sono i raggi, altrettante direzioni di moto pu prendere. Il perch, mancandogli dal di fuori la cagione determi- nante, forza  che rimanga in quiete per sempre. 242.  Volea l'Angiolo proseguire a discorrere delle sue dubbiezze intorno al tempo ed alla materia, con- forme sono originati dall' Hegel, ma questo di carat- tere un poco albagioso e stizzoso rompendogli a mezzo le fine argomentazioni gli si tolse davanti e se ne and borbottando fra s e s contro la sua fortunaccia che in terra un solo de' suoi discepoli 1' avea bene inteso e talvolta neni manco lui ; ed ora dovea riconoscere che neppure gli angioli lo capivano. 243.  Provengono da questo dialogo, per mio giu- dido, due massime tanto vere quanto profittevoli assai per la scienza speculativa e per li suoi metodi. L'una insegna di nuovo come sia impossibile trapassare dalla nozione alla realit effettiva della natura per un le- game d' identit fra i due termini e presumendo di trasformare 1' uno nell' altro. 244.  La seconda massima insegna che nella co- 342 LIBRO TERZO. smologia razionale non  dato all'ingegno umano di trapassare i limiti descritti pi sopra da noi; e che dove gi non fossero radunati dentro la nostra mente i concetti di spazio, di moto, di materia, di corpo e simili, giammai il pensiere li troverebbe, come suol dirsi, a priori, cavandoli dalle categorie universali del- l' essere ; n volendo imitare 1' Hegel il quale dopo avere per traforo introdotto nella sua logica l' espres- sioni metaforiche d'interno e d'esterno e l'altre di re- sistenza, di centro, di parti, d'aggregato e simiglianti, prova poi leggier fatica a dedurre dalla nozione del- l' obbietto in universale la nozione tanto divei*sa del mondo materiale e meccanico.* E con tutto questo, le spiegazioni e ragioni addotto dei fenomeni e dei muta- menti calzano cos poco e legansi con nodi tanto ri- lasciati, da dovere per nostro avviso destar pi che spesso la ilarit dei fisici e dei matematici. 245.  A detta dell' Hegel le stelle non sono altro che la materia nella identit sua immediata e nel suo alienarsi continuo da s medesima. In tutto il firma- mento il solo nostro sistema planetario attua in pieno la nozione del mondo meccanico ponendovi un centro assoluto che  il Sole, il quale nega s stesso e per genera altri centri particolari che sono i pianeti. Ol- tre ci, il Sole esprime la indipendenza della materia ; i pianeti, il mischiamento d'indipendenza e di sugge- zione, perch possedendo un centro proprio, tuttavolta ne cercano un altro al di fuori a cui perci si acco- stano a vicenda e se ne allontanano. Invece, i satelliti esprimono il momento della esteriorit, e non avendo centro proprio e cercandolo altrove esprimono altres il momento della dipendenza ; ancora che tale esterio- * Logique, voi. Il, png. 890 e sogiionli. COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 343 rit e dipendenza 8a melto meglio significata dalle comete, le quali non girano sopra s stesse come fanno i pianeti. Il sistema solare poi tutto insieme attua compiutamente, come si disse, la nozione della mecca- nica, atteso che quivi ogni parte  attratta ed attrae respinge ed  respinta,  centro ed  fuori del centro e compone un tutto in cui la materia perviene ad uni- ficare lo in s e lo per s, 246.  S'io voglio parlare con ischiettezza, ogni con- cetto qui mi riesce non pure strano ma discorde dnl fatto.  prima, se v' cosa ormai accertata in fisica si  che le stelle ed ogni materia siderea viene gover- nata dalla legge dell' attrazione n pi n meno di quello che faccia il nostro sistema solare. Senza che, si notano colass movimenti proprj molto diversi, cam- biamenti di colore, scuramenti subitanei, apparizioni di nuove stelle; il che dimostra da per tutto non la identit e certa ripulsione uniforme, sibbene la diffe- renza, la composizione e l' attivit. Lass sono sistemi compiuti di stelle moven tisi 1' una a rispetto dell'altra con quella legge proporzionale di massa e con quel medesimo impulso centripeto e centrifugo del nostro sistema planetario. Oggid si annoverano circa seimila coppie di astri solari e per ciascuna prende nome di stella doppia; e v' pure gruppi di tre, quattro, cinque, sei stelle aggirantisi al modo de' nostri pianeti. Ma come si disse, il maggior numero degli aggregati risulta di due sole stelle e non troppo diverse per massa; onde pesano 1' una inverso dell'altra con equi- librio di gravit e girano bilanciate con movimento circolare scambievole. 247.  In tutto questo, per mio avviso, la nozione hegeliana della meccanica perde la bussola e d a tra- verso. Fra le stelle doppie non v'  pi un corpo cen- 344 LIBRO TERZO. trale ed universale ma due corpi e talvolta parecchi che sono in se ed in altro, dipendenti e indipendenti al tempo medesimo e con eguale misura. 248.  In secondo luogo, se il centro, giusta la no- zione hegeliana, dee respingere se stesso e creare con ci altri centri che sono i pianeti,^ questi per una simile ragione debbono, respingendo s stessi, creare i satelliti. Perch, dunque, i satelliti rappresentano un altro momento della nozione, quello cio della este- riorit e della dipendenza? Per fermo, nei satelliti  il rapporto medesimo coi pianeti che in questi col Sole, e vale a dire che ciascheduno possiede un suo proprio centro, possiede il moto rotatorio (che nella luna  di- mostrato) e il moto di traslazione. Vero  nondimeno, che se nei satelliti si ripete tal quale il momento della nozione attuato nei pianeti, non v' motivo perch quelli non producano a s medesimi altri satelliti e questi altri a vicenda e cos senza termine. D'altra parte, se i satelliti rappresentano un momento spe- ciale e distinto della nozione, perch Mercurio, Marte e Venere ne vanno sprovvisti, e Saturno in quel cam- bio s'incorona di otto lune e di tre anelli? Del pari, si  qualche arbitrio di chiedere perch il Sole e tutti quanti i pianeti e pure tutti i satelliti, eccetto due, girano in un medesimo verso da occidente ad oriente e poco declinano dal piaiao dell' equatore, mentre le comete (salvo quelle comprese nelle orbite planetarie) tagliano il detto piano con angoli piii o meno ottusi ; e mentre per esser corpi che esprimono il momento della dipendenza dovrebbero per lo contrario secon- dare il piano ed il verso del corpo dal quale di- pendono. ' Philotoph. de la tiature, voi. I, pag. S72. COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 345 249.  Per nostro giudicio, non sono queste do- mande troppo indiscrete, addirizzandole a gente la quale  scoperto la scienza assoluta e fanno del nostro si- stema solare il centro vero ed unico dell'attivit e della vita. Similmente, se debbe esservi un centro che attira e respinge perch afferma e nega se stesso e operando ci fa esistere altri centri i quali respingono insieme ed attraggono, il numero e la condizione di cotesti centri non dee rimanersi fortuita. Ma la teorica dell'Hegel se ne passa con silenzio. 250.  Di pi, in essa teorica il Sole  detto centro assoluto ed universale. Per, sarebbe rovesciata ogni cosa, quando si provasse che invece il Sole  centro relativo e particolare, movendosi, come sembra certo, con l'intero sistema verso un centro maggiore locato nella costellazione di Ercole. Ma pi ancora. Provano i matematici che quando la materia del Sole fosse tutta quanta omogenea e per il moto impulsivo var- casse netto pel centro di gravit, il sole medesimo si traslaterebbe d' un luogo in un altro senza rota- zione veruna; e la stessa cosa conviene asserire d'ogni pianeta e d' ogni satellite. Ma l' Hegel di questa ragion matematica non fa nessuna stima, e mette innanzi una certa sua ragione metafisica per la quale il Sole e i pianeti debbono a forza ed in ogni caso girare sopra s stessi ; ed anzi con uguale imperturbabilit (sia qui ricordato per incidente) nega egli ai geometri che un pendulo dove fosse posto nel vuoto e non sostenesse at- trito nel punto d' appoggio durerebbe le oscillazioni sue continue ed invariabili. La ragione poi metafisica del- l'Hegel  r infrascritta, e cio che i punti innumerevoli di materia dipendenti dal centro e pur tenuti lontani da quello non anno luogo ben fisso e determinato; e per ciascuno di tali punti debbe occupare a vicenda ogni 446 LIBRO TERZO. luogo occupabile e ci origina il moto di rotazione. Ma tutto questo, n pi ne meno, si avvera altres nel nucleo delle comete, perch quivi anche sono punti di materia dipendenti che propendono verso il centro e sono dal centro tenuti discosto; ora, perch le comete non ruotano, che si sappia, intorno a s stesse? Che quando poi le comete avessero rotazione, ci scapite- rebbe Hegel per altro lato ; conciossiach le comete in quel caso non esprimerebbono pi il momento della dipendenza, com' egli vuole onninamente che esprimano. 251.  In somma, le sue astrazioni, per arrendevoli che sieno e larghe tanto e comode da calzar bene ad ogni piede, venute alla prova dei fatti non possono mai azzeccar nel vero, e quando s'accordano con un fenomeno, fanno a pugni con un altro. 252.  Da ultimo, sembra all'Hegel che i pianeti sieno il pi perfetto membro di tutta la natura mec- canica formando 1' unit dell' opposizione, e vale a dire che i pianeti sono in s e fuori di s, anno moto e centro lor proprio, ed anno altro movimento regolare intorno ad altro centro. Cotesta perfezione, al parer nostro,  tirata coi denti e ribellasi ai dogmi della logica di quel filosofo, conforme i quali la perfezione di qualsia sfera di enti mai non risiede per entro al particolare che qui si attua nei pianeti, ma s risiede entro al tutto individuato che qui sarebbe l'intero sistema solare. Salvoch, la incoerenza non era evita- bile volendo che le stelle e ogni rimanente sia fatto solo per annidare la organizzazione e la vita in quest' ajola che domandasi orbe terraqueo ed  tanto picciola cosa, che convenne al Poeta nostro sorridere del suo vii sembiante. COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 347 Vili. 253.  Si pu dai lettori intendere facilmente che le deduzioni e g' indovinamenti dell' Hegel fannosi tanto meno rigorosi e determinati, quanto egli s'inol- tra a creare a priori le specialit della fisica e della chimica. Stantech, le cagioni molto particolari intro- ducendo il diverso in mezzo all' identico scemano ognora pi al raziocinio la facolt di trovare i nessi necessarj dei fatti. 254.  La luce  delle cose molto generali e co- muni e pur tuttavia le astrattezze hegeliane non giun- gono ad accalappiarla. La luce per quel filosofo  la manifestazione universale della materia e alla materia appartiene cos essenzialmente come la gravitazione. Ma che vuol dire manifestarsi ? farehbesi forse anche qui abuso di parlar figurato? Se manifestarsi vuol dire qtmlcosa che va dal di dentro al di fuori^^ non v'  mestieri la luce per questo. Perocch il moto de' corpi e le lor mutazioni e fenomeni sono tutte cose che vanno dal di dentro al di fuori e manifestano la materia. E le figure non la manifestano esse continuamente e in modo regolare e costante? Dacch ogni specie diversa di corpo sortiva originalmente una figura diversa di cristallo? Certo la luce manifesta assai meglio i corpi e le loro figure, perch vi sono occhi umani che la rice- vono ed anime umane che la percepiscono. Ma tutto ci non proviene dalla necessit delle cose di mani- festarsi, spiegando cio al di fuori le facolt e dispo- sizioni interne. Qualora poi la luce sia manifestazione delle cose in fra loro e 1' una a rispetto dell' altra, f Philoioph. de la Naturej voi. I, pag. 339. 348 LIBRO TERZO. ci pu essere fatto assai bene da qualunque modo di azione scambievole, e, verbigrazia, dall'attrazione che  quel moto, secondo Hegel, per cui la materia cerca incessantemente il suo centro fuori di s. 255.  La luce, adunque, nel sistema di lui non  origine necessaria n legame alcuno ontologico. Hegel la mette pur fuori, perch in ogni dove V esperienza gli mostra la luce. 256.  Vero  eh' egli sostiene la luce tenere V uh timo luogo tra le determinazioni fisiche della materia ; onde i corpi non concreti, e vale a dire nel suo lin- guaggio semplici e incapaci di sviluppo, sono costituiti di mera luce e fra questi sono le stelle ed il Sole. Egli  scordato il valentuomo che per verit la luce insieme col calore  cagione promotrice, e almeno concomitante, di tutte le mutazioni e disposizioni importanti nella chimica e neir organismo die veggonsi sulla faccia del nostro globo; e dire che le steDe e il Sole sono costi- tuiti di mera luce dee far sorridere tutti gli astrono- mi sparsi per le speculo d' Europa e d' America. L'Hegel aggiunge che la luce per s  fredda e il calore che r accompagna viene suscitato dal contatto di essa luce con la terra e cita in prova il freddo dell' alte mon- tagne e dell'aria atmosferica. Curiosa dottrina anche questa, la quale sembra testimoniare che 1' Hegel non ponesse la debita distinzione fra il calor latente e il rag- giante; n so in qual parte dell' atmosfera e in qual cima di montagna accadessegli di trovare che il Sole non iscalda. Ma certo  che quanto la fisica progredisce, tanto si fa pi difficile di separare luce e calorico per maniera che luce si trovi la quale non dia segno d'alcun calore. 257. L'Hegel afferma eziandio che ruotando il Sole e ruotando le stelle si stropicciano gagliardamente COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 349 6 s' illuminano da se stessi.^ In qual maniera il Sole o le stelle si stropiccino lascer indovinare agli altri, ch'io per me non ne  notizia. Questo io so, che ac- cettando simil dottrina convien mantenere che dove il Sole e le stelle non ruotassero e non si stropic- ciassero insieme non darebbero luce; e intanto le comete, bench non ruotano, a ci che sembra, man- dano luce propria mista di luce riflessa; e per contra i pianeti e i satelliti loro, non ostante che ruotino, per- mangono sempre opachi. 258.  Da ultimo, se tu chiedi il perch di questa opacit perdurevole, mentre il dar luce fu detto pro- prio ed essenziale d'ogni materia quanto la pesantez- za, rispondono col cercare nell'arsenale delle loro astra- zioni uno di quegli ordigni che servono ad usi infiniti e sar il bisogno del diverso e dell' opposto. Se v'  la luce, dicono, debbe esservi anche l' ombra che  la sua negazione e contraddizione; e perch i pianeti sono gli opponenti del Sole, l' ombra dee comparir nei pia- neti. Ci potrebbe passare, se i fatti qui pure non fos- sero impertinenti al segno da dare una smentita inur- bana a simil supposto. Nel vero, i sistemi di stelle doppie ricusano la spiegazione, perch quivi pure v' opposizio- ne e tuttavolta v' luce. Ma di pi, le stelle, a detta di Hegel, sono una continua opposizione della materia con s medesima; perch dunque risplendono? E d'altra parte, se i pianeti sono opachi perch si oppon- gono al Sole, questo a vicenda si oppone ai pianeti ; e se, rispetto ai pianeti, il Sole  virt e funzione di centro, accade il medesimo di ciascun pianeta rispetto ai proprj satelliti ; questi dunque dovrebbero essere opachi e luminosi i pianeti, o per lo manco dovrebbe  Pkito^ph, de tu Nature, voi. I, pag. 353. 350 LIBRO TERZO. correre diversit di ombra e di luce fra cotesti ele- menti. 259.  A noi non sarebbe diflficile il protrarre molto pi in lungo il saggio che diamo della maniera onde r Hegel si studia di costruire compiutamente a priori la scienza dell' universo visibile; e il lettore gi s'in- dovina da per s che ogni rimanente dee procedere allo stesso modo e peggio; perocch quando si esce dai limiti stati prescritti all' ingegno umano e alla po- tenza conoscitiva, quanto pi vigor d' intelletto e d'arte combinatoria sort un uomo, altrettanto crescer il cu- mulo delle apparenti deduzioni e dimostrazioni. Sal- voch, quando la mente vuol calcare una simile via torna forse pi fruttuoso o per lo manco pi grade- vole abbandonarsi a certa mistica ispirazione come fecero Paracelso, Van Helmont, Boeme ed altri parec- chi, de' quali, per verit, l' Hegel parla con rispetto e parzialit e coglie e s' appropria qualche pensiero. Ma dove quelli fantasticavano da entusiasti, egli pretende di esporre una dottrina tanto positiva ed irrefragabile, che  quella medesima che sta nel pensiero dell'Asso- luto. Senza dire che ancora tali apparenze di deduzione sono state possibili per la notizia anteriore di tutti i fe- nomeni correlativi. N v' un sol fatto speciale impor- tante che sia riuscito all' Hefl;el di prevedere, anticipando le osservazioni e gli esperimenti. E certo, per ritornare agli esempj allegati, credo che ognuno si viva persuaso che quando nella mente dell'Hegel fosse unicamente esistita la nozione dell'interno e dell'esterno e l'altra di giudicare necessaria la manifestazione dell' essere e della materia, mai non avrebbe scoperto che tale mani- festazione dovea farsi mediante la luce. Ma sarebbe come il cicco di nascita venuto pensando alle figure tan- gibili ed anche a queste avrebbe volta la mente condot- COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 351 tovi dall' esperienza. E di vero, nella luce la condizione di essere cosa esteriore  la meno propria e qualitativa ch'ella s'abbia; e ci che possiede di eflfettualmente pe- culiare e diverso da tutte mai le esistenze non giace in nessuna nozione e da nessuna pu esser dedotto. 260.  Seguita, che noi ricordando i limiti della cosmologia razionale e le massime del suo metodo, e deducendo dai principj gi fermi e definiti in questo Libro e nei due precedenti descriviamo la genesi del mondo visibile per quella parte che spetta alla coor- dinazione dei mezzi e al grande apparecchio della na- tura verso la vita, il senso, l'animalit e la ragione che sono diversi gradi e aspetti della finalit. 261.  Imperocch tutto quello che fu discusso nei due Libri anteriori e in questo presente guard gli elementi le forze e 1' ordine dell' universo nell' essere loro astratto e pifi generale. Rimane che si considerino nella successione causale e nelle massime particolarit. CAPO SESTO. AFORCSHI GENETICL Atorismo I. 262.  Nel principio d'ogni tempo flu dall'atto  creativo l' oceaju) delle esistenze finite. Cominci quasi un pi^to non percettibile e si dilat e crebbe senza Ax pi mi intermettere ; e dopo milioni di secoli tuttavia ^ si dilata. Perocch lo spazio va allargandosi quanto il suo contenuto^ e di l dall'ultimo luogo che ora Vedi Appendice, I. 352 LIBRO TERZO. possiedono i corpi siderei nuova materia comparisce e nuovi aggregati si formano e cos sempre. 263.  N accade altramente di quelle sorte di gran contenenti dallo spazio differentissimi e di cui non ab- biamo n certa notizia n concetto determinato, ma che pur pensiamo possibili per adequare le nostre idee all'indefinito del diverso. 264.  Flu ogni ragione d' elementi semplici e indivisibili e ciascuno moltiplic senza termine e i pi diflferenti si espansero come oceano in altro oceano senza confondersi e come un suono e un odore riem- piono la medesima aria d' un medesimo luogo. Ma noi di quei mari immensi, che sono forse innumerevoli, co- nosciamo solo due specie distinte, la corporalit e la spiritualit; e di questa seconda conoscian^o per espe- rienza quella forma unicamente che congiungesi alla corporalit. A. 265.  Che il mondo non sia infinito, oltre all'aver- sene prova razionale  confermato pure dall'esperienza, per quanto i fatti possono dimostrare simile sorta di cose. r Quando la formazione e moltiplicazione delle stelle fosse infinita, dovrebbe il telescopio trovar dilBFusa da per tutto certa bianchezza e chiarezza uguale uscente da infinito numero d'astri infinitamente accumulati per ogni banda. Invece, il telescopio rincontra qua e l re- gioni vuote e deserte ed altre in quel cambio fittissime di costellazioni. Del pari, se in alcune parti del cielo avvi ammassi di stelle il cui fondo  occupato da un chiaror nebuloso di altre pi minute e remotissime co- stellazioni, pi spesso accade d'incontrare gruppi di stelle il cui campo  oscuro affatto e nerissimo. COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 353 Afortsmo II. 266.  Meditando sulla essenza del fine quanto sulla essenza del mezzo, fu gi fermato da noi che quello risolvesi in attivit e questo debbe o promoverla od aiutarla o comechessia servirla. Da ci fa dedotto che debbe avervi una serie di esistenze dall'uno dei capi della quale stia la massima attivit potenziale ed ele- mentare e dall' altro la massima passivit ; intercedendo nel mezzo copia strabocchevole di esseri variamente partecipi dell' attivit e della passivit. Riducesi pure a questo ci che venne fermato da noi circa la resi- stenza e la permanenza di fronte alla estrema mobi- lit e trasmutazione. 267.  La passivit, la resistenza e la immobilit pensate nell' essere loro inferiore ed inerte, fanno con- "cepire propriamente certa natura somiglievole alla ma- teria le cui qualit generali sono quel tanto che si fa necessario onde un ente finito sussista e serva di mezzo a cosa migliore. Che quando non tosse esteso, non ap- parterrebbe allo spazio e non avrebbe potenza di moto ; e perderebbe estensione e mobilit quando non fosse impenetrabile. Del pari, negherebbesi a qualunque ufii- cio se fosse al tutto immodificabile e sfornito d' ogni recettivit. 268.  D'altra parte, se noi concepiamo degli esseri spirituali ed attivi e per capaci della finalit e per- venenti a quella mediante la corporalit, dovremo con- siderare in che guisa la corporalit dee venir trasmu- tata in natura organica ossia nella forma pi alta e perfetta di essere strumentale; ed  il punto massimo a cui pu venire condotta qualunque esistenza nella sua condizione di mezzo. Mamuri.  11. 33 354 LIBKO TERZO. 269.  A noi, dunque, s' appartiene di descrivere la generazione dei mondi in quanto a poco per volta di- vennero mezzo e strumento dell'universa finalit e come servirono a tale ufficio la mobilit e la perma- nenza, r attivo e il passivo, il diverso e V identico e attuando in ogni cosa l'infinito della possibilit e la sapienza riposta nel Convenevole. Afobismo III. 270.  Ripetiamo, impertanto, che al principiare dei tempi sgorg il flusso della materia e per legge preordinata di creaziojie mescol in ogni modo fatti- bile il simigliante e il diverso. 271.  Fu generale il simigliante, particolare il di- verso; perch i modi, gli atti e i fenomeni s'informano della sostanza e non al contrario. Quindi non possono i subbietti essenzialmente diversi possedere modi, atti e fenomeni in fra loro identici, se non in parte e per accidente. Imper la materia ebbe tutta quanta certo essere comune e fondamentale, differenziandosi all'in- finito in ogni rimanente. N solo fu varia di qualit ma di forma plastica, n solo di forma plastica ma di numero, posizione e combinazione degli ultimi indi- visibili, perch ninna maniera di variet e differenza  lasciata fuori dalla natura. 272.  Primamente gli atomi, ovvero sia gli ultimi indivisibili, formarono le molecole, queste i cristalli pi elementari che sono molecole approssimate e situate con certa regola ; perch fu visto per addietro da noi principio di mutazione nella materia dover essere il moto, e questo dovendo avere impulso esteriore e certa direzione produce in generale 1' accostamento delle parti della materia; il quale atto poi dee succedere COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 355 secondo legge e vale a dire secondo le originali dispo- sizioni d'ogni specie di materia. Per la forza attrattiva medesima i cristalli elementari composero i corpi e questi le masse. Ci importa che la distribuzione primitiva della materia nel vuoto fosse divei*sa. Che quando fosse stata uniforme, il tutto rimaneva nella immobilit del- l' universale equilibrio. Del pari, dovette la materia essere spartita di guisa da produrre masse divise; pe- rocch altramente tutto sarebbesi conglobato in un acervo immenso e compatto. 273.  Ma la materia spartita corse qua e l ai centri pi prossimi; e questi dovettero rimanere il pi delle volte assai remoti V uno dall' altro. Che qualora fossero stati s prossimi da operare 1' uno neir altro con atto profondo ed assiduo, i moti, g' in- flussi e g' ingerimenti scambievoli sarebbersi tanto moltiplicati e intralciati, da produrre per ogni dove od una confusione perpetua ovvero una cessazione del movimento e della vita. Aforismo IV. 274.  Per, nella distribuzione della materia come in tutte le cose, il diverso apparve nella misura del possibile. In alcune parti dello spazio la materia fu radissima, e questa radezza medesima ebbe ogni grado e combinazione. Di tal materia si composero le comete dalle pi rarefatte alle meno e dalle vaporose e dia- fane alle costruite d' un nocciolo spesso e ben contor- nato. A. 275.  Per la legge della variet non  da stimare che ogni specie di nebbia lucente incontrata dal tele- 356 LIBRO TERZO. scopo debba risolversi in gruppi di stelle ; e forse  rada materia stellare quella nebbia albeggiante che scorgesi in fondo alle nuvole magellaniche ; e della sorta medesima  forse la luce domandata zodiacale. N consentirei a crederla, come vogliono alcuni, certa quantit di etere pi condensato. L' etere, per mio gi- dicio, nella sua distesa immensa e per tutto presente ed equilibrata non d splendore molto n poco ; e sem- pre gli bisogna un subbietto esteriore da cui sieno promossi e in cui appariscano i suoi moti e le sue qualit. AroBisMo V. 276.  Altrove, per la stessa legge del diverso, la materia contrasse la maggior compattezza possibile e trascorse per ogni grado e combinazione intermedia. Nel generale, furono di tal compattezza formate le stelle con densit differente; e di talune si pu pen- sare che gi superarono di durezza il diamante, altre di gravezza il platino ed il ferro e in altre si adem- pievano tutte le misure interposte. Ondech, se in que- gli astri accadde una successiva condensazione come porta l'attrazione molecolare, quivi la compattezza dei corpi trascende ogni termine di nostra immagi- nativa. 277.  In certi luoghi la materia stessa compatta ma tritamente divisa agglomerossi in centri frequenti e vicini, e lo spazio si grem di astri minuti e fitti li quali compongono le nebulose domandate riducibili. Del sicuro, accadde in altri luoghi il contrario e ne uscirono sistemi di poche stelle e talvolta di due sol- tanto. 278.  E se nei sistemi fu diversa la chiarit, il nu- COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 357 mero e la distanza delle stelle non accadde minor diffe- renza nella grandezza di ciascuna, e certo la natura compiacquesi ancora in ci di trapassare dal minimo al massimo. Onde gli astronomi non possono in niuna guisa valutare con precisione il volume dalla distanza e la distanza dal volume o V uno e V altra dalla in- tensione della luce, perch questa medesima segue la legge perjictua della variet. 279.  Per quel desiderio e bisogno che predomina sempre la mente umana di cogliere V unit delle cause e l'uniformit del loro operare, Herchell venne opi- nando che s ogni stella e s ogni congerie di stelle fosse originata e composta al modo medesimo e vale a dire per la lenta condensazione d' una materia radissima ed omogenea, con questo divario che dove erano molti raduni separati di tale materia l comparvero molti astri componenti le costellazioni; e talvolta anche in grembo della materia rarefatta costituironsi uno o pi centri sia per materia pi spessa ovvero per altra cagione. Insomma, suppose THerchell ogni stella essere stata innanzi una nebulosa; e il La Place aggiunse tale essere stata eziandio T origine del nostro Sole e de' nostri pianeti e satelliti. Ma la natura, che vuole il diverso quanto l' identico e pi dell' Uno vuole il molteplice, mostr all'Herchell medesimo che le credute nebulose tornano in vere costellazioni. Tuttavolta pec- cherebbe contro al principio stesso della variet colui che escludesse affatto le nebulose dal cielo, come fu toccato pi sopra, e stimasse che niuna stella e niun gruppo di stelle esca giammai dalla graduata e lenta condensazione di materia rara e omogenea. 358 LIBRO TERZO. 280.  Similmente s' egli non  vero che osservando i noccioli delle nebulose e il pi o meno infittire della loro materia, si cavi pressoch la misura esatta del punto a cui  pervenuta la loro formazione e composizione, tuttavolta non ci  vietato di cogliere la natura in sul fatto del costruire i sistemi solari. Dappoich nella immensit dello spazio visitato dalle nostre lenti v' certo alcune costellazioni ancora incompiute; e fra que- ste, alcune prossime al perfezionamento loro finale, altre appena iniziate ed altre pervenute al mezzo della pro- pria costituzione. Afoeismo vi. 281.  Ma non bastava che la materia cosmica gia- cesse spartita od accumulata per guisa da produiTe sistemi stellari isolati e per la distanza indipendenti r uno dair altro. Occorreva eziandio che le acervazioni degli astri non fossero casuali n dentro dell'ambito loro n fuori ; dappoich dentro, il numero, la posizione e la figura del tutto importava tale condizione d'in- flussi scambievoli, piuttosto che tale altra. Di fuori, il principio ordinatore voleva che que' sistemi, tuttoch indipendenti, non rimanessero tanto slegati ed alieni che in verun tempo e in veruna combinazione e per nessun efiFetto della economia generale potessero eser- citare alcun' azione scambievole. Che tali due estremi vuol sempre fuggire la mente rettrice, 1' uno di con- fonder le cose per l' intralciamento minuto e continuo di tutte le forze; l'altro di fare le parti dell'universo straniere fra loro tanto che non cospirino piii diret- COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 369 tamente o meno alla comune finalit. Il che nondimeno diciamo a rispetto delle esistenze comprese in quei mondi che non s' alienano affatto di essenza e di modi e possono avere Tuno in rsguardo dell'altro alcuna attinenza di azione e passione. Dell' altre sfere di es* sere tanto diverso da rimanere fra loro ignotissime e come non esistenti noi dovemmo fermare la sola pos- sibilit e aggiungemmo che solo Dio le contiene in certa unit e intende la .cooperazione di tutte allo spiega- mento e perfezionamento del creato. L' unit sotto la quale noi g' intendiamo  logica meramente e no:i guari obbiettiva. 282-   manifesto che nella composizione e figura- zione degli adunamenti stellari apparve la medesima va- riet che in qualunque opera della natura. E tale variet corrispose nel tempo stesso ai fini che presiedettero alla distribuzione dei vasti membri (cosi li domande- remo) del gran mondo sidereo, fra' quali la Galassia  notissima e spiccatissima. Il fine principale poi fu di render possibile ad ogni sistema la partecipazione del diverso, come venne toccato nel principio di questo libro e pi tardi sar nuovamente spiegato. La quale partecipazione tende nell' universo sidereo al risulta- mento medesimo che in ogni altra sfera di essere, e cio al fine di svolgere la virtualit tutta quanta ri- posta in ogni sistema, tanto che gli apparecchi e le potest del mondo strumentale tocchino il loro estre- mo ; e le creature capaci in diretto modo della finalit raggiungano per tutto ci il maggior bene progressivo e la variet maggiore di esso bene. 283.  N simili effetti potevano comparire pel solo moto e per le sole combinazioni che escono dall' at- trazione delle masse e coesione dei corpi. Considerato che non torna a ci sufficinte qualunque forma e mo- 360 LIBRO TERZO. r dificazione del movimento circolare od elittico. Le altre sorte di movimento, vuoi il parabolico, vuoi l' iperbo- lico e i composti di essi due, sebbene valgano a porre in comunicazione i sistemi separati, non riescono per s soli a foggiare le moltiibrmi costrutture e le membra smisurate e complesse del mondo sidereo. Elle, dun- que, furono l'opera d'una prestabilita armonia, e ci importa che la materia stellare venne ripartita origi- naliQente e qua e l condensata cpn V apparenza del caso e la verit d' una legge occulta e profonda di provvidenza. 284-  Altrove fu dimostrato perch quegli aduna- menti di stelle cui demmo nome di membra d' un corpo immenso non vogliono essere riguardate quali parti vere d' una vivente organizzazione, contro V uso invalso in molte cosmologie tedesche. 285.  Nondimeno, essendo per sicuro le costella- zioni ricettacolo della vita, debbesi ammirare V istinto profondo del genere umano di aver dato alle stelle figure viventi e sempre avere opinato che dagli astri procedessero influenze prepotenti ed universali. Noi ve- dremo fra breve che in fatto nessun sistema solare va esente da quelle influenze e come in esse convien no- tare la causa maggiore delle innovazioni e trasmuta- aoni mondiali: Afobismo Vn. 286.  Similmente abbiamo veduto nell' anterior libro che le masse esprimono il principio di resistenza e immobilit e per lo contrario nel mondo chimico COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 361 sono i principj attivi e mutabili. Nondimeno, si ag- giunse che per le necessit del Unito anche nel mondo chimico, dopo certa serie di azioni e di reazioni, le so- stanze e i composti tendono a quietare ed equilibrarsi. Imperocch il principio attivo non  loro essenziale per guisa da non bisognare dell' azione esteriore pro- vocatrice e questa di un'altra, e cos di seguito. E per- ch tale catena non s' interrompa e le provocazioni si ripetano e si modifichino senza tregua, occorre un principio generale e perenne di eccitazione. 287.  Del pari, essendo in ogni parte della mate- ria la potenza attrattiva e V attitudine alla coesione perch il finito procura primamente di dilatarsi me- diante la congiunzione dei simili, accade che i corpi tendono da ogni lato a coacervarsi e quindi a cagione dell' inerzia spengono nella coesione il moto e le fa- colt produttive. 288.  Bisogna, impertanto, che nel principio ge- nerale di eccitazione sia perauche una virt espansiva contraria alla coesione. Adunque nei cominciamento dei tempi allato alla materia o rada o condensa parve e si diiFuse rapida- mente un' altra materia immensamente pi sottile ed abile a penetrare per ogni porosit e giungere in contatto degli ultimi atomi. Cotesta materia tanto sottile, dovendo essere da per tutto presente, compose un continuo molto pi puro ed unito dell' aria e di qualunque altra sostanza gaz- zosa, e dovette poter ripigliare immediatamente il suo posto e la forma sua quante volte ne sia rimossa. Ella  per la pi elastica delle sostanze. 289.  Ognuno intende che una materia si fatta, per essere fonte generale e perenne di eccitazione, debbe riuscire il contrario dell' altre sostanze in cui prevale 362 LIBRO TERZO. il principio del permanere e del resistere. Sar dun- que mobilissima ed atta a variet infinite di moto, e il pi minimo impulso esterno la porr in tremori e in oscillazioni; e perch s'insinua in tutti i corpi e giunge sovente insino agli ultimi indivisibili, tali suoi tremori e oscillazioni eccitano ad ogni istante ogni parte di essi corpi con ordine per altro e con leggi determinate. 290.  Ma percli tale materia che domandasi etere debbe diffondersi da per tutto con certa medesimezza di sostanza e di atto, per venne avvertito piii sopra che le  impossibile di assumere un essere individuale e particolare, siccome avviene alle sostanze speciali. Per ninna cosa  composta di etere, sebbene ogni cosa  mescolata con l'etere. 291.  Del pari, come nessuna potenza finita e mas- sime materiale  un principio originale indipendente ed assiduo di attivit, cos all' etere occorre un sub- bietto centrale a cui dare e da cui ricevere in modo uniforme e costante una virt motrice variabilissima, e di tal maniera serbare intomo di s e in tutte le cose r ufficio di promozione e di eccitazione. Quel subbietto centrale a rispetto nostro vedremo essere il Sole. Ma si noti che un subbietto centrale consimile o parecchi in- sieme coordinati debbono sussistere da per tutto dov'  materia attrattiva e dove sono sistemi stellari per le ragioni esposte poc'anzi e altra volta significate. 292.  Ne' suoi libri del Cosmos l' Humbolt pretende che r etere onde viene ritardato e alquanto deviato il corso delle comete non sia un medesimo con l'altro etere il quale vogliono i naturalisti sia diffuso per ogni parte dello spazio, e la ragione che adduce si  COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 363 che questo secondo etere penetrando intimamente ogni corpo insino agli ultimi indivisibili non debba cagio- nare resistenza veruna al moto. Ma gli atomi non sono assolutamente punti matematici, perch sono forze estese o per lo manco operano nell' esteso; e quindi ciascuno occupa certa porzione di spazio non penetra- bile. E sia quello spazio minore d' ogni quantit mi- surabile ed anche se vuoisi percettibile, ci non fa che sia inesteso assolutamente; che in altra maniera i corpi disparirebbero, e l'etere, occupando anche gli ultimi in- divisibili, piglierebbe in tutto il lor posto ed esisterebbe solo ed unico ente nella creazione corporea. Ci veduto e concedendosi che v'  in ogni materia un complesso di punti estesi non penetrabili neppure all' etere, segue che una massa grande di atomi impedisce all' etere di entrarvi per linee rette o poco inclinate ma lo forza a girare, il che importa un qualche grado d' impedi- mento e ritardamento nell' occupazione della massa. Dunque tal massa movendosi velocissima trova con- trasto nell'etere, il quale non pu in istante invaderla tutta. Ne vale il dire che gi la massa nominata  piena di etere; perch questo, raccolto e combinato con le molecole di quella, non  la stessa disposizione ap- punto e forse la stessa quantit dell'etere ambiente; quindi nel muoversi in parte almeno con tutta la massa urta neir altro etere e non cede immediatamente il suo luogo. Perocch l' elasticit e 1' arrendevolezza del- l' etere non  propriamente assoluta che dir vorrebbe infinita. I corpi, massime leggieri e spugnosi, sono bens impregnati d' aria, nullameno movendosi con prestezza ricevono contrasto dall' aria ambiente. Ora, v'  dal- l' aria all' etere diversit immensa di grado nella sot- tigliezza e nella penetrabilit, non nella essenza co- mune ai corpi gazzosi. 364 LIBRO TERZO. Afobismo VIIL 293.  Dovunque, impertauto, furouo corpi, fu ezian- dio r etere, conforme s' ebbe a notare altrove, e perci venne ad essere dopo lo spazio il pi gran contenente della natura visibile. Quindi, perch' egli  nesso e co- municazione di tutte le vaste moli quanto dei minimi corpi trovandosi in ogni luogo e penetrando ogni cosa, per avvertiremo che non soggiace all'attrazione gene- rale delle masse ; o parlandosi pi preciso, le attrazioni esercitate sopra di lui si bilanciano e contrappcsano. 294.  D' altro canto, insinuandosi egli nelle pi compatte sostanze per la minutezza estrema de' suoi elementi e per certa affinit generale che tiene con gli ultimi componenti dei corpi, interdice a questi una coesione permanente e immutabile e vince assai volte le altre specie di affinit. 295.  Egli  poi natura espansiva; e intendesi non solamente che slega e disgiunge ogni diverso ag- gregato penetrandolo a poco per volta e talora con gran veemenza; ma intendesi pure ch'egli vibri ed oscilli per entro i corpi ; e con impulsi finissimi e ra- pidissimi ne ecciti le molecole e di pi in pi le se- pari e le disperda. 296.  Tutto ci porta nell' etere una facilit som- ma ed assidua di moto e di quiete, di combinazione e risoluzione. Perci, sebbene nell' essere suo normale egli forma di s un immenso e perfetto continuo, pu nullameno diradarsi od accumularsi con agevolezza incredibile, e intendiamo senza quello sforzo che occorre a vincere nelle altre sostanze l'adesione delle mole- cole. Ma d' altra parte, egli tende a ricomporre ogni sempre il continuo ed equilibrare i suoi elementi. COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 365 297.  Per simile, come tende nel generale a com- binarsi con tutti i corpi ed anzi con gli ultimi lor componenti, cosi li abbandona assai facilmente ; e per entra esce ritorna ad ogni mutazione miinma di con- dizioni e accidenti, essendo esso medesimo autore ordi- nario d' innumerabili mutazioni ; onde viene ad essere cagione insieme ed effetto con vicenda frequente ed universale. Da tutto il che procede per ultimo il ri- sultamento maggiore e pi generale a cui tende la na- tura, e ci  il moto e la mutazione spessa e diversa di tutte le cose. 298.  Chiaro  poi che di rimpetto a cotesta forza eccitatrice e disgregativa debbono sussistere altre forze di congiunzione, di resistenza, di compattezza e d'im- mobilit, come pi fiate venimmo accennando e si pro- seguir a mostrare nel seguito. 299.  A noi venne riconosciuto per semplice ra- ziocinio che vi debbe essere nell'universo corporeo qual- che principio supremo di attivit e di mutazione e similmente un qualche principio di legamento e comu- nicazione tra le parti pi disgregate. Del pari, scor- gemmo per raziocinio la necessit d' alcuna potenza separativa al_fine appunto di conservare il moto e fre- quentare le mutazioni. Ma che tutto ci si operasse da un solo agente accordando in s medesimo facolt ed atti in apparenza contrarj noi pensiamo che l'espe- rienza sola poteva insegnarlo. Ci non ostante, giova considerare quello che fu avvisato nel Libro anteriore, e vale a dire che mentre la divina mentalit vuole in ogni parte ed in ogni cosa l' indefinito del diverso quanto del simile, tuttavolta in ciascuna cosa parti- 366 LIBBO TERZO. colare studia ella ogni massima unit e semplicit; quindi accoppia in una stessa natura propriet e forze nel primo aspetto contrarie e dalF opposto ritraggo la conformit degli effetti; come talvolta dalle cagioni Jdentiche  Parte di dedurre V opposizione degli effetti. 300.  Ad ogni modo, questo  sicuro e lo vedremo con precisione fra breve, che l' etere conginnge pro- priet e virt di sembiante contrario. Imperocch da un canto egli si comunica a tutte le masse e per le lega a s e pone iu rapporto fra loro; dair altro canto per la sua forza espansiva e le sue vibrazioni tende a sciogliere la coesione dei corpi e, quando non vi fosse contrasto, a dissiparli per lo vano. Egual- mente, r etere mentre scioglie infinite combinazioni ne promove altrettante e pi; e mentre  cagione incessabile di mutamenti, provoca le composizioni pi fine e implicate e le sintesi terminative a cui si ado- perano i tre mondi da noi ricordati, il meccanico, cio, il chimico e l'etereo. 301.  Ma perch ogni cosa creata vedemmo dover serbare la propria natura e in ogni suo cambiamento riuscire identica a s medesima, tanto che il cambia- mento stesso avviene con certo ordine e certa regola impreteribile, non pu air etere accadere diversamente, e a lui debb' essere proprio un certo suo modo uni- forme e costante di agire; il che si avvera principal- mente nel Sole che  il subbietto nel quale l' etere, a cos parlare, si sustanzia e prende corpo regolato nel modo stesso che fa in ciascun' altra stella. Di quindi la gran maraviglia che mentre nel Sole 1' etere opera con ugualit immutabile di atto e d' influsso viene non COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL' UNIVERSO. 367 pertanto a causare nel nostro pianeta una serie non mai discontinua di mutazioni, e ci per queir avvenirsi che fa in complessioni di corpi differentissime e in qualche altro principio formativo di cui si terr di- scorso nel Libro seguente. Aforismo IX. 302.  Apparve, dunque, la materia distribuita come si disse, eccetto che era nel generale pi rada che non al presente, e spazio vuoto per intero non si scorgeva.  mentre di l dagli ultimi atomi V onda delP oceano materiale si dilatava ognora pi, la materia inte- riore, a cosi chiamarla, cominci a muoversi per ogni lato coerendo T una molecola air altra e addensandosi a poco a poco intorno ai centri pi poderosi, e inten- diamo pi spessi e compatti per formazione primor- diale. Cos cresceva V addensamento iusino che v' era materia prossima da assorbire e solo cessava o per interponi mento di vuoto o perch altra materia ac- centrata e discosta facea maggiore richiamo intorno di s. 303.  D'altro canto, le masse appena composte ed arrotondate ognora che non giacevano soie e per inter- vallo immenso disgiunte, incominciarono ad attrarsi e muovere Tuna inverso dell'altra; e perch radamente accadeva che fossero al tutto omogenee, cosi quell'im- pulso attrattivo e quella direzione di moto non trapas- sando esattamente per lo centro di gravit, le masse girarono intorno di s medesime o per lo manco gira- rono quelle che risultavano di materia coerente molto e compatta. La qual rotazione ognun vede come dee cagionare innumerabile variet di fenomeni, dacch ogni principio di moto  cagione perenne di variet. 368 LIBEO TERZO. A, 304.   manifesto che laddove la materia sia tutta d' un modo per la quantit e distribuzione, la linea che descrive la direzione del moto non pu non traversare il centro di gravit del mobile. Di qui forse proviene che le comete con nucleo o senza nucleo sembrano prive del moto di rotazione ; atteso che sembrano co- struite di materia ugualmente rarefatta e in cui il nu- cleo venga formandosi lentissimamente per un regolare accostamento e per certa coesione uniforme delle parti. Il che poi torna forse in contrario al supposto che il sistema nostro planetare pigli origine da una stella nebulosa. Conciossiach nel detto sistema tutte le parti sono mosse da rotazione e i pianeti non meno del Sole e il Sole non meno dei pianeti. Ora, ci importa o che la materia primordiale fosse con molta disugualit ri- partita o che sopravvenissero cagioni ignote e diverse a turbare 1' aggregazione graduata e normale degli ul- timi componenti. Afobismo X. 305.  Ma l'attrazione scambievole delle masse gi divenute astri maggiori o minori a che ultimo effetto pervenne? Conciossiach s'elle erano vaporose e ra- dissime potettero alla per fine congiungersi e incor- porarsi e di due o pi masse formarsene una. Dovec- ch se per origine o per coesione progredente erano compatte e solide o divenivano tali, lo scontro loro veementissimo dovette cagionarne lo infrangimento e lo sperdimento; od anche per virtii del calore espresso dal grande urto dovettero quelle masse risolversi in minuto e acceso vapore. OOOEDINAZIONE DEI BiEZZI NELL'UNIVERSO. 369 306.  Cos a poco per volta T attrazione mutua dei corpi siderei portava di seminare lo spazio dei triti frammenti delle stelle disfatte, ovvero di agglomerarle tntte in una congerie unica, e vale a dire che unica diveniva di mano in mano per tutto lo spazio in cui la materia stellare quivi entro diffusa sentiva il ri- chiamo dell'una parte verso dell'altra. 307.  Salvo che nel progresso di questo medesimo libro indicammo la impossibilit di tale supposto con- trario ai fini patenti della natura. E di pi aggiun- giamo essere contrario ai metodi certi di lei, per li quali non v'  forza nessuna che senza frutto n utile consumi se stessa perpetuamente e non rinvenga nella economia del tutto un contrapposto convenevole e pro- ))orzionato. 308.  Laonde, se accosto alla attrazione e coesione molecolare troviamo una virt disgiuntiva e perci espansiva, del sicuro allato all'attrazione scambievole delle masse trovar dobbiamo alcuna energia opponente o capace di limitarla. 309.  Parecchie volte abbiamo considerato se la na- tura, economica e risparmievole, a cos parlare, nella moltiplicazione dei mezzi, non abbia suscitato all'attra- zione degli astri quel genere stesso di opposizione e di limite che alla coesione molecolare. 310.  Ma sembra evidente che la virt espansiva dell'etere non risponde in ninna maniera all'intento. Avvegnach cotale virt  attissima a dissolvere la materia non a serbarla unita con certa forma e dire- zione regolare di moto. Che se le sostanze aerose spie- gano una resistenza mirabile e poderosissima, ci pro- Maniiii ~ 11. 94 370 LIBRO TERZO. viene dal potersi trovare altre forze e materie capaci d' imprigionarle e comprimerle; il che  impossibile di operare con l'etere che penetra agevolmente quelle stesse forze e materie. Ne T azione espansiva di lui opera esteriormente; ma s opera nel pili intimo e pi compatto di tutti i corpi ; mentre poi da ogni parte li circonda uniformemente e con perfetto eqnilibrio. Seb- bene adunque i corpi compatti nel moversi possono, come si spieg altrove, venir ritardati dall' etere, non sono per ci deviati dal corso loro; nel modo che nell'aria queta un corpo voluminoso e leggiero, sebbene discende ritardato, non si discosta dal perpendicolo. E per non ostante qualunque ritardazione cagionata dall'etere al moto degli astri questi proseguirebbero diritti per la loro via e l' uno nell'altro si abbatterebbe. Senza con- siderare oltreci che la forza ritarda trice dell'etere debb' essere invece la piii piccola immaginabile cos per la estrema tenuit della sua materia, quanto per aver luogo e parte nell' intrinseco d'ogni corpo secondo che venne definito pi sopra. 311.  Certo , pertanto, che la cagione la quale tempera e modifica profondamente l'attrazione reci- proca dei corpi siderei non  riposta nella virt espan- siva dell' etere. Aforismo XI. 312.  D'altro lato persuadesi ognuno che tal ca- gione dovette essere universale e reggere cos i moti del nostro sistema solare quanto quelli d' ogni astro e d' ogni costellazione. E per non l' andremo cercando nel caso speciale d'un' atmosfera che si raffredda come fece il La Place o in altra supposizione di carattere particolare ed accidentale. COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 371 313.  Ella risedette sicuramente nella costituzione medesima della materia ed esser le debbe essenziale ed iogenita. Ora, noi rammentiamo al lettore ci che venne -) fermato nel primo Libro intorno alla comunicazione del mto, la quale negammo assai risolutamente; e ci parve in quel cambio che il moto sebbene ab- "" bisogna di eccitazione esteriore come tutte le forze finite, nullameno abbia sempre origine propria in qua- lunque mobile e vale a dire insita sempre e congenita col mobile stesso; il che ci apparisce tanto pi vero, in quanto nell' universo intero corporeo non si rinviene altro principio fontale e causale di mutazione eccetto che il moto. E quando questo fosse ogni volta comunicato e quasi a dire accattato, converrebbe dietro le poste di Aristotele salir con la mente ad un mobile primo contenente sotto se ogni cosa e quindi naturato d' una virt infinita di moto e per moventesi sempre infini- tamente, il che vale quanto la quiete assoluta. Ne potrebbesi fare diverso concetto eziandio del moto molecolare, al qual pure bisognerebbe una virt im- pulsiva perenne ed universale. 314.  Il moto adunque  innaturato ed essenziale nei corpi, salvo che gli bisogna una qualche esterna eccitazione come di tutte le forze succede. 11 moto, im- pertanto, se possiede in s medesimo alcuna cosa di veramente originale ed attivo, non pu essere tutto e sempre attuato nella sola passivit. 315.  Ci veduto, se noi di nuovo poniamo mente alle masse celesti allorquando si movono per attrazione scambievole, noi vi dovremo ravvisare una schietta e semplice passivit. Considerato che V una massa non cambia luogo se non pel richiamo possente dell' altra. 372 LIIJKO TERZO. e di quest^ altra conviene affermare esattamente il me- desimo. Ne ci accade soltanto nel primo atto di moto ma nel secondo e negli altri ; dal che proviene la legge appunto che lo governa, la quale consiste nella ragione diretta delle masse e inversa del quadrato delle distan- ze. Ma il principio attivo e indipendente di moto dove si mostra? AroBisHo XII. 316.  Mostrasi in quella deviazione normale e pro- porzionata che ora domandasi impulso primitivo, ora forza tangenziale o centrifuga. Ne la direzione di cotal forza potrebbe d' un atomo dilungarsi dalla lnea tan- jj^ente; perocch in lei soltanto la virtii originale attiva dista con intervallo uguale s dal punto dove opera la forza passiva e s dal punto contrario dove le due potenze si eliderebbono compiutamente. Invece non eli- dendosi e perdurando V una e 1' altra nell'atto proprio, il momento loro comune raccogliesi nella diagonale del rispettivo parallelogrammo. 317.  Cos primamente oper nello spazio la forza (li coesione o molecolare che tu la chiami. Quindi pel componimento delle masse venne eccitata la forza col- lettiva e passiva dell' attrazione a grande distanza fra grandi corpi. E quindi pure entr in atto la forza mo- trice propria ed attiva. In cotal guisa abbiamo rinve- nuto d' accanto all' attrazione passiva e scambievole delle masse certa energia opponente e capace di limi- tarla. 318.  Gli astri adunque si mossero, non l'uno di- rettamente inverso dell' altro, ma obliquamente con moto circolare od elittico. Questa la legge del nostro sistema solare e delle seimila stelle doppie insino a COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL' UNIVERSO. 37;:J qui conosciute; questa medesima legge governa il moto delle comete; e niun corpo sar trovato nel cielo in cui non appariscano le due forme di movimento onde discorriamo. Afobismo XIII. 319.  Dopo tutto ci e per applicare pi stretta- mente al sistema nostro solare le leggi e gli ordini gi descritti del mondo meccanico diremo anzi ogni cosa che l' aggirarsi d' ogni pianeta d' intorno al Solo e de' satelliti d' intorno al pianeta loro con poca de- viazione dal piano dell'equatore e pel verso mede- simo, e il rotear tutti eziandio da occidente ad oriento come pure fa il Sole (intendendo i corpi la cui rota- zione  provata) non accade per lo certo in modo fortuito e per cagione accidentaria ; e il La Placo giunse a ci dimostrare per sino con l' evidenza dello cifre riducendo la cosa ad una particolare posizione del calcolo delle probabilit. N si dee credere che simile calcolo perda molto di efficacia perch non di tutti i pianeti conosciamo per anche la rotazione e perch due delli sei satelliti di Urano muovono contrariaraento agli altri da oriente ad occidente e le orbite loro rie- scono quasi perpendicolari al piano dell* eclittica. 320.  Ma ci  avviso che nello stato presente dell(* cognizioni, vuoi cosmologiche, vuoi astronomiche, non pure non sia fattibile assegnarne ragioni fondate mn costruirvi sopra alcuna congettura accettabile. Pel rimanente, ogni fatto procede, mi sembra, se- condo i principj da noi fermati. 321.  Nel cominciamento dei tempi comparvero in questa nostra regione di spazio non diversamente dallo altre ammassi enormi di materia non omogenea e varia- \\ 374 LIBRO TERZO. mente spartita. L dove furono maggiori assai e con parti pi approssimate, V attrazione reciproca e certo grado di coesione li accumul, li restrinse e ne risultava da ultimo il gran corpo del Sole. A differenti distanze da lui con la legge medesima si composero i pianeti e i satelliti. Il Sole poi, chiamato da stella vicina o da un gruppo di stelle, si mosse per doppio impulso, attivo, vale a dire, e passivo giusta V accezione che abbiamo data a simili voci. E perch la materia sua non era tutta omogenea n densa ad un modo cominci pe- ranco nel Sole un movimento di rotazione. Le stesse forze e gli stessi impulsi mossero quindi i pianeti in- torno di lai e i satelliti intorno di questi e ciascuno di tali corpi intorno del proprio asse. A. 322.   Trovo scritto che Argelander credeva il cen- tro di gravitazione dello strato stellare a cui appar- tiene (dicono) il nostro sistema essere nella costella- zione di Perseo. Maedler lo pone, in vece, nel gruppo delle Pleiadi. 323.  A me sembra che se tuttaquanta V acerva- zione stellare di cui siamo parte  un moto comune di traslazione verso l' uno o V altro dei centri indicati, dovrebbesi anche poter discoprire il moto correspettivo dell' uno di essi procedente verso di noi e girante per proprio impulso e per la forza attrattiva nella ma- niera medesima che facciamo noi a rispetto suo. Forse il concepire la necessit di questa forma di movimento circolare scambievole gioverebbe a ordinare le osser- vazioni, i confronti e le congetture. Forse anche il cen- tro comune di gravit dovrebb' esser cercato in ispa- zio vuoto non in Perseo propriamente  in mezzo alte COORDINAZIONE JDEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 375 Pleiadi. Dacch n queste n Perseo lasciano far con- gettura che sieno di massa cotanto smisurata da pre- ponderare d' assai sullo strato nostro stellare e quindi moverlo intorno a loro siccome satellite. Nella costel- lazione di Perseo e delle Pleiadi non c'imbattiamo in nessuna stella di prima e di seconda grandezza. AroRisMo XIV. 324.  Geometri sommi ed astronomi anno di con- certo mostrato che non v'  cagione veruna nel nostro sistema solare la quale accenni alla sua sconnessione ed alterazione ancora che remotissima. Ogni perturba- mento vi si riduce a esatta periodicit di moto e a certi sviamenti che mai non trascendono i confini a loro assegnati ; onde  il caso giustamente di dire che l'apparente eccezione conferma la regola. 325.  N debbe in altro modo, per nostro giudi- ci, operar la natura. Conciossiach ogni sistema so- lare  quasi un formale individuo dell' universo mec- canico.  quando in lui non prevalesse la costanza e perpetuazione dell' essere, nemmanco si presterebbe all'ordine progressivo e sintetico delle mutazioni e combinazioni nel quale debbe aver parte e tener ra- gione di elemento. 326.  Oltrech, nel sistema solare operano due forze soltanto semplici esatte e con sommo rigore commisurate e contrappesate. Non cos nello interno di ciascuna sua parte dove moltiplicano le forze spe- ciali e diverse ed ogni accidente a valore; onde le mutazioni vi sono perpetue quanto minute. 327.  Il nostro sistema solare, impertanto, non caver da s proprio le successive trasformazioni, ma s dagli accostamenti e quasi congiungimenti con 376 LIBRO TERZO. altri sistemi e dallo scambio reciproco delle influenze come spiegher alquanto meglio questo Libro medesimo un poco pi tardi. A. 328.  V  taluno che pensa dovere il corpo solare crescere la sua massa per la caduta incessante dei bo- lidi, per crescere altres la sua forza attrattiva e di tal guisa dopo milioni di secoli i pianeti dovere an- ch'essi precipitare nel Sole; dove poi la combustione loro violenta e subita potrebbe forse rinnovare la con- dizione primigenia di vaporosit incandescente e quindi da capo il Sole produrre dalF atmosfera sua i pianeti. 329.  Cotesta. periodicit di costruzione, distrug- J' gimento e ricostruzione identica ed infruttifera non si v^V,f ,%'9'Ccorda, al mio parere, coi metodi conosciuti della ^M f*^* mentalit creatrice. E se comparisce col dove la per- '^*^ duranza individuale  impossibile come negli esseri organizzati, la natura vi supplisce con la perpetua- zione e inalterabilit delle specie. 330.  Del resto la supposizione anzi espressa pro- viene dal concetto oggimai riprovato che il sistem^t nostro solare esca tutto quanto da una nebulosa. 331.  Ma prescindendo pure da ci, io affermo cho i bolidi non precipitano unicamente nel Sole; ma posta la proporzione delle masse, egli sembra che altrettanti ne cadono sulla superficie dei pianeti ; o parlando con precisione, egli sembra che parte, almeno, delle stello cadenti infiammi e sperda la propria materia nelle pi alte regioni della nostra atmosfera. 332.  E mentre per noi l'entrare delle stelle ca- denti neir mbito della nostra atmosfera  fatto posi- tivo e altres positivo  il precipitare sulla terra di COORDIXAZIOXE DEI MEZZI KELL' UNIVERSO. 377 molti bolidi ; nessuno  veduta quella pioggia che gli autori prenominati asseriscono avvenire nel Sole. Per, ponendo a riscontro del loro supposto una realit costante e bene accertata, diciamo che crescendo con legge di proporzione la massa dei pianeti quanto quella del Sole e con la massa la forza altres tangenziale o la virt attiva del moto che la si chiami, dura e persevera esattamente V equilibrio di tutto il sistema. 333.  Ma quando 1' etere sia dappertutto, e non Ostante la estrema tenuit, penetrazione ed elasticit sua opponga esso in fatto un qualche minimo grado di resistenza al moversi de'pianeti, ed anzi generalmente al moversi di qualunque astro intorno ad un centro; come negare che tal resistenza, per infinitesima ch'ella sia, non cagioni nella fuga dei secoli un effetto misu- rabile ? N questo per le leggi meccaniche pu essere altro che deviazione dalla curva normale trascorsa e quindi, per un moto spirale, violenta precipitazione del- l' astro circolante qualchessia sul corpo dell'astro cen- trale. 334.  Inipertanto, o conviene discredere la diffu- sione generale dell' etere o eh' egli sia materia non resistente o concedere che dopo scorsi bilioni di secoli r ordine meccanico del nostro sistema sar scomposto ed anzi annullato. 335.  Qui avanti ogni* cosa  da domandare se r accorciamento della elissi trascorsa dalla cometa di Encke (per fermarci all' esempio meglio conosciuto) debba recarsi alla resistenza del mezzo ovvero ad altra ragione. Certo, se non  da negare che in si corto pe- riodo d'anni abbiasi potuto avvertire un perturbamento 378 LIBRO TEBZO. sensibile e misurabile, non  allo stesso modo da con- sentire a chi vuol riferirlo alla resistenza d'un mezzo la cui tenuit ed elasticit oltrepassa qualunque im- maginazione umana. 336.  A ci debbesi aggiungere cosa notabilissima che tale resistenza del mezzo non fa segno alcuno di s nella cometa di Halley la quale secondo i calcoli del Rosemberg avrebbe dovuto tardare di sette giorni il passaggio suo nel perielio, quando rinvenisse per via r impedimento medesimo della cometa di Encke; e il simile pare si debba concludere a rispetto della cometa di Faye ; o per lo manco, la resistenza sofiFerta da cotest' ultima non procederebbe con egual pro- porzione. 337.  Oltre di che, scorgendo il magistero maravi- glioso e infinito mediante cui la natura provvede alla conservazione e inalterabilit del nostro sistema contro cause molto maggiori di perturbamento e conquasso, si k buona licenza di dire che ci rimangono ignoti ancora innumerevoli temperamenti e compensi che possono fornirsi dall' arte divina al nostro sistema per ovviare a quel minimo disequilibrio' di cui si discorre. 338.  E forse la mente insino da ora giunge a ravvisarne uno molto evidente per s, tuttoch indo- cile, credo io, alle determinazioni ed alle esattezze del calcolo. Nondimeno mi risolvo ad accennarlo come per saggio, e perch i dotti vadano pi a rilento a giudi- care e concludere in cotesta specie di cose. 339.  Il compenso, dunque, a cui accenno  for- nito dal camminare degli uomini e degli animali, non che dal moversi d'ogni peso trasportato per arte o comechessia e dall' agire delle macchine che risve- gliano in mille maniere la energia di forze latenti. Certo, da tnttoci risulta un impulso contrario alla COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 379 forza attrattiva esteriore. Conciossiach nel generale tutte le sorte del moto di cui parliamo adempionsi du- rante le ore del giorno e per dalla banda del Sole che  il verso appunto e la direzione dello sviamento prodotto (giusta la supposizione) dalla resistenza del mezzo. E perch tutte le regioni del globo giacenti fra i poli sono visitate di mano in mano dal Sole in ogni diurna rivoluzione, V impulso centrifugo da noi indi- cato, sebbene muta luogo, non muta mai verso, ne mai si fa discontinuo. CAPO SETTIMO. 8EGUONO GLI AFORISMI DELLA STESSA MATKRIA. Aforismo I. 340.  N il mondo materiale n la coordinazione che vi s fa degli apparecchi alla vita risulta di sole forze meccaniche. V  le fisiche necessariamente e le chimiche, e si vogliono chiamar di tal nome quelle po- tenze onde sono governate le picciolo masse ovvero anno fondamento in certe native disposizioni dei corpi che non si risolvono in variet di figura d' impulso e di moto sebbene con qualcuno di questi fenomeni si accompagnino. 341.  Chiaro  poi che la separazione la quale fac- ciamo delle forze meccaniche da tutte le altre  me- ramente metodica. Attesoch il mondo preparatorio, per cos domandarlo, usc dal nulla in forma com- pleta rispetto alle forze ed agli elementi costitutivi, ninno dei quali fece difetto od ebbe tardo nascimento. 380 LI imo TERZO. AroKiSMO n. 342.  L' ambizione quanto forse il bisogno di unifi- care la scienza, spinse, quando io non m^ inganni, gli odierni fisici a voler risolvere di nuovo la intera natura inorganica in una di quelle generalit che abbracciando ogni cosa istringono molto poco e dispergendo per ogni dove il simile ed il medesimo ci lasciano al tutto ignoranti del diflferente; mentre la scienza matura e durevole comincia soltanto in quel vero in cui il di- verso ed il simile si connettono e spiegano mutuamente. ^ Di tal guisa ripullula appo i dotti sperimentali ' cotesto concetto pericoloso eh' ei sono prossimi ad ^ agguantare la cagione unica e sola di tutti i fenomeni, scordando assai presto che tale invenzione non puro si sovrappone al termine delle facolt umane, ma s  ^discorde dal vero concetto dell' ordine della natura, la quale intende mai sempre ad effettuare l' indefinito dei possibili nelle cose simili nelle varie e nelle diverse, o che quanto pi si complicano le sue sintesi con la moltiplicit delle cause tanto piii si accosta ella ai suoi fini ed alla perfezione ultima delle sue opere. Del sicuro, come spiegammo altrove, dicendo sintesi diciamo fattura in cui apparisce o certa unit rela- tiva o certa totalit strettamente connessa e cospirante ad un fatto complessivo e terminativo. Ma queste me- desime sintesi diventerebbero impossibili, qualora non intervenissero da ogni parte principj originali e diversi. 343.  Vogliono, dunque costoro che nel mondo tisico e chimico ed altres nell'etereo prosegnano in so- stanza ad agire un po' trasformate le forze del mondo meccanico e ogni fenomeno vi si spieghi per sole leggi di moto; le quali sebbene, a lor confessione, non si COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'Ux\IVER80. 881 lasciano ancora tutte conoscere, nulladimeno  di gi possibile di misurarle nella pi parte de' loro effetti 3 del sicuro si unificano in pochi principj inerenti alla natura comune e universalissima dello spazio e della materia. 344.  Costoro non badano per mio giudizio che affermando ogni fenomeno essere moto e niente altro (he moto annunziano solo il piii generale dei fatti senza spiegare in guisa veruna il miracolo grande che  inchiuso nel lor discorso e ci  come da cotesta cagione s semplice, s comune a tutto, s uniforme con se medesima escono le differenze e le variet innume- rabili dei fenomeni. Perocch tanto  difficile e neces- sario alla scienza scoprire il diverso e il particolare nel troppo simile e troppo comune, quanto per centra nel particolare e individuale tutto differente e speci- tco rinvenire il generale e l' identico. 345.  Il moto, non si nega,  inizio e accompa- gnatura d' ogni mutazione nel mondo inorganico ma non perci ogni mutazione  semplice moto! Simil- mente, le leggi meccaniche come quelle che risul- tano dalla essenza comune e perpetua della materia ricompariscono modificate in qualunque fatto del mon- do fisico e chimico ma non sono le sole; ne, conosciute esse,  conosciuto ogni rimanente. 346.  V  mutazioni atti e fenomeni copiosissimi che del sicuro provengono da ben altra cagione che da mera forza motrice, ma sono invece modificazioni ed esplicamenti di facolt essenziali e diverse dei corpi. Escono certo dalla materia, ma non in quanto  estesa figurata e movibile. N basta il dire che astraendx)8 dalle affezioni speciali de' nostri organi, ci che rimane apparente nella materia  moto estensione e figura ; conciossiach rimane altres apparente nella materia 382 LIBRO TERZO. una continua sproporzione ed incoerenza tra le cause gli effetti, sempre che le prime sieno interpretate da noi per sole modificazioni di moto. Ne Galileo affer- mando egli il primo, che io sappia, che le qualit se- condarie dei corpi debbono venir distinte e sceverate con diligenza dalle primarie, volle affermare queste ultime solamente e negare l'esistenza dell'altre. Per lo contrario, egli confess che v'  nei corpi una es- senza profonda ed occulta, conoscer la quale speri- mentalmente giudicava impossibile. 347.  Ora le qualit e forze della materia diffe- renti dalla potenza motrice dimorano in ci appunto che volgarmente domandasi la natura od essenza dei corpi, e non  giusto dire che a noi si occultano com- piutamente. Considerato che oltre al moto ed a' suoi fenomeni elle si palesano nelle affezioni de' nostri or- gani mescolate peraltro e contemperate alle affezioni medesime, e vale a dire ai modi dell' animo nostro e con altro vocabolo alla natura e passione dell'essere ricevente le esterne azioni. A, 348.  N solo i fisici di cui discorriamo reputano che tutte le forze della natura inorganica si risolvano in qualche atto e maniera di moto, ma s aggiungono che il moto, sebbene si trasforma, non pu estinguersi mai. Onde ripetono oggi queir after mazione ipotetica di Cartesio esistere sempre nella materia una stessa quantit ed essenza di moto. Spesso, dicono, da esterno diviene interno o viceversa ; talora si diffonde e spar- tisce, talaltra si raccoglie e condensa ; una volta da ponderoso e massiccio si fa molecolare e invisibile; un'altra volta adempie l'inverso; ma pure trapas- COORDINAZIONE DKI MEZZI NELL'UNIVERSO. 383 sando da corpo a corpo e da forma a forma si con- serva e perpetua uguale sostanzialmente a s stesso. Che la forza, una volta estinta, non si rinnova e non potrebbe ricominciare l'opera sua. 349.  In tal guisa, aggiungono, tutte le forze sono^ r una all' altra equivalenti e a vicenda si misurano a^ vicenda s'ingenerano. Sopra ogni cosa,  mirabile la^ equivalenza tra esse e il lavoro meccanico divenuto ferma unit di misura per tutte. Di tal guisa la geo- metra comincia a introdurre i suoi calcoli, il suo ri- gore e la sua certezza in materie che ne parevano affatto aliene; e la fisica e forse anche la chimica vannosi convertendo in vasti problemi di meccanica molecolare. E dove un gran genio apparisse pari a quello di Newton, forse la costituzione dei corpi sa- rebbe svelata a' d nostri. 350.  Noi andremo rettificando capo per capo, an- ^ cora che brevemente, le asserzioni o soven*hie o false >^ della scuola sperimentale di cui parliamo. E prima,  v troppo vero che le forze mai non s'estinguono; ma , ora sono in essere virtuale o di facolt, ora in ispie- ^ gamento di atto ovvero in conato che  certa condi- zione di forza, la quale intramezza fra lo spiegamento . compiuto e la schietta virtualit. Gran fatica sar per cotesti fisici il dimostrare che mai nessuna forza mo- trice nella natura non  impedita nello spiegamento dell'atto e si vuol dire nel moto attuale, ovvero che impedita in un luogo rinasce in un altro. Che quando ricorrano, come Cartesio, a un'idea astratta e costitui- scano un bilancio e un compenso continuo fra i moti virtuali ed i moti in atto, noi risponderemo che il calcolo si pu ben cominciare ma non finire, ed avr necessariamente del congetturale e dell' ipotetico. Anzi  congettura pi ragionevole che mentre le forze per- 384 LIBRO TERZO. mangono sempre d'un numero e d'una natura, la somma del movimento si accresca nell'universo, per- ch aumentano qua e l le sintesi terminative, le quali risultano in genere dalla frequenza variet e rapidit infinita di piccioli moti. 351.  Per fermo, le forze estinte non si rinnovano 0 il moto annullato non risuscita da s medesimo. Ma scordano i fisici summentovati che se mancano i moti parziali e individui mai non fa difetto V eccitazione centrale che emana dal Sole e dall'etere, mai la luce e il calore non cessa di piovere di mano in mano sulla faccia del globo, e mai non si quetano le correnti ma- gnetiche e le elettriche correspettive. 352.  Maravigliosa, certo, e feconda scoperta  quella del rapporto misurabile tra il lavoro meccanico e l'azione dell'altre forze, e maravigliosa  l'equiva- lenza e trasmutazione reciproca tra il calore ed esso lavoro meccanico. Ci dimostra di nuovo come ogni cosa procede esattissimamente in pondere et mensura, e intendiamo che le leggi meccaniche uscenti dalla essenza pi generale e comune della materia non ces- sano di operare nei piccioli corpi quanto nei grandi, tra i fenomeni di mera estensione e figura non meno che tra i fisici e chimici. 358.  Ma nel modo che la scoperta dell'universale attrazione non bast guari a porger ragione della fisica universale e spiegare, per via d'esempio, perch il Sole e le stelle rilucano di luce propria e i pianeti di riflessa; ovvero perch il Sole raggi calore perenne- mente e susciti la vegetazione e la vita sopra la terra ; in quel modo, ripetiamo, quando sar discoperta e provata la costituzione meccanica del mondo moleco- lare e le leggi de' suoi movimenti, rimarranno tutta- volta da discoprire le cause e i principj dei fenomeni COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 385 propriamente fisici e chimici. Imperocch, ricordia- moci non essere la stessa cosa il quale ed il quanto. E r avere bene accertato che le forze sono tutte quan- titative e per misurabili l'una con l'altra; od anche l'aver provato che a vicenda si promovono e legano le azioni loro e gli effetti a maniera di catena che a s medesima si ricongiunge, non d arbitrio nessuno / di reputarle della stessa natura ; u porge speranza i fondata di condurle tutte a un solo principio causalo. , Per lo contrario,  ferma nostra opinione che il pro- gresso delle scienze terr da una banda separatissim^ le forze e le essenze e dall'altra mostrer ogni d maggiormente le rispondenze, correlazioni e legamenti loro intimissimi e senza numero; considerato che la natura nel pi generale e comune fa comparire la identit e unit di principio, mentre poi nel partico- lare e diverso fa con la inoltiplicit dei principj e delle cagioni comparire fra tutti essi una stupenda convenienza e armonia. Per un genio tragrande come quello di Newton, quando anche svelasse oggid le vere ed uniche leggi della meccanica molecolare credo che dovrebbe recarle a parecchi principj e cagioni e a diverse nature di cose e non mai vi discoprirebbe il giuoco di sole due forze siccome accade per li movi- menti celesti. 354.  Insomma, l'abbaglio dei fisici , per mio sientire, sol questo eh' io riconosco parecchie forze al tutto separate e diverse; in quel cambio, essi, giusta il vezzo dei tempi, le identificano tutte in una e i feno- meni pi differenti chiamano modi e atti pur differenti d'una stessa virt dinamica. E quando le varie forze si meschiano e proporzionano, e l' una provoca 1' altra 0 semplicemente la occasiona, essi avvisano in tutto ci una continua e commisurata trasformazione di MAMuni. -. II. ^iS 386 LIBRO TERZO. certo principio astratto universale e comune che do- mandano forza. B, 355.  Quella tendenza de' nuovi fisici di tutto spie- gare col movimento la figura il numero e V orietaeicne delle molecole si accrebbe talvolta per modo, che sper convertire tutti gli elementi semplici in proporzioni diverse di una sola sostanza; ne mai finano essi di far notare come i composti chimici cambiano sovente di qualit senza intervento alcuno di forza esteriore e dovendosi perci attribuire la mutazione al diverso aggiustamento che prendono gli atomi Tuno a rispetto dell'altro sia nel numero sia nella posizione. Per nostro avviso ninna scienza quanto la chimica! delude la speranza di convertire in forza meccanica i fatti speciali e molteplici dell' afinit. E gi gli au- tori medesimi della teorica mediante cui si tent di scoprire nelle combinazioni chimiche altrettante diffe- renze quantitative d' un solo elemento desistettero dalla impresa non solo perch certa legge di propor- zione da loro avvisata non riusc compiuta e fedele per tutti i fatti, ma pi, al creder mio, perch quella legge fosse pure verissima ed esattissima non rispon- derebbe per nulla al cumulo delle propriet singolari ed originali che compaiono in ciascun elemento ed eziandio nella maggior parte delle loro combinazioni. 356.  Sostanze composte non pure degli stessi ele- menti ma delle stesse quantit e proporzioni e che non- dimeno producono eflFetti tanto diversi e spiegano qualit singolari e talvolta opposte dimostrano invittamente che v' nell'azione loro un diverso principio, il quale si occulta alle nostre analisi e non pu consistere nel COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 387 isolo mutare il numero e la posizione rispettiva degli atomi. U Isomerismo basta, per mio avviso, a smen* tire la chimica costruita sull'aritmetica e sulla mec* canica. E se mutando gli atomi di numero, di propor- zione e di posizione cagionano mutamento di qualit, conviene non iscordare due cose; la prima, che ci si argomenta nel pi dei casi per congettura non per ve- duta sperimentale. In secondo luogo, che possono altre cause pili intime di cangiamenti accompagnarsi alla mutazione del luogo della proporzione e del numero. 357.  Infine giova di avere a mente ci a cui non pensano forse i naturalisti, ed  che non tutti i fenomeni di mutazione serbano lo stesso carattere; e l'uno pu provenire da causa accidentale 1' altro da sostanziale. E in genere, non dubitiamo di dire che nei fenomeni chimici si svela piuttosto la parte superficiale delle sostanze che la profonda e costitutiva; e sempre ci  sembrato un po' singolare, per via d'esempio che uno dei caratteri proprj essenziali e costanti della gran classe degli acidi sia denotato quello di volgere in rosso le tinture azzurre vegetali e di non alterare la tintura gialla d curcuma; mentre poi l'altra gran classe de- gli alcali o delle basi  per nota qualitativa di mutare in verde la tintura azzurra di viole mammole e di ar- rossare il giallo di curcuma; tanto che se non vi fos- sero viole mammole al mondo n curcume mancherebbe uno de' caratteri pi importanti per isceverare e ras- segnare le sostanze giusta gli ordini della scienza. Forse noi c'inganniamo a partito, ma noi siamo an- cora alla superficie e alla buccia delle cose. 358.  E uscendo della chimica e trapassando alle parti della scienza dei corpi in cui sembra la geome- tria progrech're mirabilmente, parmi nondimeno che sempre c'imbattiamo ad un che il quale sfugge a tutti 388 UBBO TERZO. i rapporti di quantit, di figura, di numero e di movi- mento perch b' attiene in diretto modo alle propriet originali ed essenziali delle sostanze. Qual dottrina appare oggi pi prossima alle spiegazioni meccaniche quanto quella del calore? ci non ostante qualunque parte se ne pigli e qualunque fenomeno se ne consi- deri insorge la difficolt e la differenza che io dico. Quando si paragona, per via d'esempio, la facolt as- sorbente delle sostanze e quanto ella vari^ dair una all'altra s per la diversa natura propria e si pel mu- tare delle sorgenti di calore ninno mi persuade che tutto ci si risolva in semplici diiferenze da un lato de' movimenti ondulatorj, dall' altro di figura e posi- zione di molecole. 359.  N per qualunque parte della fisica sembra a noi doversi fare differente discorso. E ne sia lecito addurre ancora un esempio. L'acustica possiede una sua stupenda geometria. I toni corrispondono con pre- cisine aritmetica alle vibrazioni dell'aria e dei corpi; le vibrazioni alla lunghezza rapidit numero intensione delle onde, ai ventri, ai nodi e altre modificazioni o del mezzo o dei corpi che vibrano. N questi rapporti si negano; e sono movimenti e leggi di movimento parti- colari e immancabili che accompagnano sempre i feno- meni del suono; ma per nostfo parere non bastano a darne ragione compiuta. L'ottava del sicuro  il dop- pio delle vibrazioni d'una corda accorciata della met: e sia pure. Ma l'orecchio sente nell'ottava una forma di suono che  altra cosa della quantit raddoppiata. E questa medesima ottava  infinitamente modificata ne' diversi strumenti che l'arte ritrova e nelle divei-se nature di suoni che genera tale corpo e tale altro. E ci perch mai? per la difi'ercnza forse della materia vibrante? Ma come fa il meccanico a diversificare coi COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 389 noi principj quelle materie medesime? Certo con va- riare il numero la figura V orientMzione e il moto delle molecole. Noi cos ci aggiriamo sempre nelF identico circolo, e per effetti i pi diversi del mondo si offrono cause e modi di operare eh' entrano tutti nella specie medesima. Noi in quel cambio diciamo che allato alla geometria acustica v' un'altra natura di causa con- comitante e cooperante, la qual dimora nelle pro- priet peculiari delle sostanze' e nell'indole specialis- sima ed essenziale di loro forze. 360.  Concludiamo con questo gran pronunziato ^ che nella natura ogni cosa non  moto sebbene col \ moto s' accompagna e si manifesta, e se qualunque ^ fenomeno della materia porta seco di necessit certa ^ varianza di moto, le cagioni dei fenomeni non sono ^ guari quella sola varianza. K ogni moto ricerca un ' movente, ogni movente un perch intrinseco dell' atto proprio: che se tu tramuti eziandio in moto quel mo-\ vente e quel suo perch, tu entri a forza nell' un via ^ lino, e giri in un circolo senza uscita. "^ 361.  Si andr poi pi l della buccia non pur(*\ moltiplicando l'osservazione ma curando di vantaggio^ quella notizia della natura che pu provenire a- nois dalla virt discorsiva. Perch tanto  inetto il razio--^ cinio a rinvenire le specie, quanto l' esperienza a con- nettere gli universali e concordare i principj. Che quando bene le essenze occultino affatto la specie loro profondissima non ne occultano per intero le relazioni molteplici; e di queste  pi sagace conoscitore il gi- \ dicio speculativo che la sensata esperienza. \ 390 LIBRO TBRZO. AroBiSMO in. 362.  Ripigliando, impertanto, quella concisa de- scrizione che impreuderamo di lare dell'epoca gene- tica, ricorderemo di aver afifermato che dovunque ap- parse variamente spartita la materia de' corpi, apparse eziandio l'etere materia immensamente pi fine, quin- di penetrativa d' ogni sostanza, e la quale servir do- vendo di legamento comune e per indifferente pei* certo rispetto alla diversit dei composti, venne diffon- dendosi da per tutto con omogeneit compiuta ed equilibrio perfetto. Del che nasce di necessit che l'etere (da capo il diciamo) sia creduto imponderabile e vale a dire non attraente e non attratto. Perocch dove pure si ponga eh' egli attragga tutti i corpi e da tutti riceva, attrazione, questa generalit medesima  sufli- ciente a colliderne sempre e da ogni banda gli effetti. L'etere dunque non pesa perch non prepondera vei^o tal centro piuttosto che verso tale altro. 363.  Per la ragione stessa l' etere si combin ugualmente con tutti i corpi, o meglio parlando, Peter* laddove non ebbe ostacolo, penetr insino agli ultimi indivisibili, ciascuno de' quali peraltro occupava certc luogo ; e intendiamo, certa estensione impenetrabile; la quale tuttoch minima, riusciva uullameno maggiore di quelle che occupano i punti indivisibili dell' etere stesso. Laonde, ciascuno indivisibile della materia, quando niente non lo impediva, fu circondato da una sferula d'eterea sostanza. E fra P uno e P altra comin- ci subito una vicenda di vibrazioni incessanti, le quali, propagate nell' etere ambiente, vi determinavano quelle libere ondulazioni che nell'occhio umano diventano luce. COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 391 364.  Intendasi dunq ne che cascan atomo di materia circondato dair etere e da lui provocato rispose all' im- pulso con altro impulso. E perch V atomo era pro- vocato egualmente da ciascuna parte non mutava di luogo n restringeva lo spazio suo impenetrabile ad ogni forza. Invece, la reazione uscente da lui rpelleva in giro la sostanza eterea, la quale mobilissima oltre ogni estimazione e supremamente elastica propagava circolarmente e a guisa di onda V impulso ricevuto ; mentre nuova sostanza eterea circondava da capo V in- divisibile sopranotato ripetendo V alternazione degl' im- pulsi e delle onde. Z/^-  ^' .' ' // 365.  Qualora poi simili ondulazioni dell'etere riescano meno fitte e rapide ne si spieghino con libert piena e nella loro interezza, producono semplicemente r effetto che domandiamo calore raggiante. 366.  Di tal maniera, nei primordj delle cose ca- lore e luce furono le prime e pi generali manifesta- zioni della materia ; e debbesi considerare come natu- rale e al tutto comune la combinazione dell' etere con ogni atomo di corpo e 1' azione e reazione incessante fra essi che genera sempre ondulazioni calorifiche e lu- minose, ancora che queste seconde sieno impedite pi spesso e pi agevolmente che le prime. A. 367.  Ogni divisione ed attenuazione estrema della materia corporea sembra' per s sola poter produrre luce e calore; sebbene talun fisico attribuisca ci a tensio'ie elettrica; ma nel vero l'una cagione non estin- gue r altra, e dobbiamo credere che ogni materia atte- nuandosi per insino quasi agli ultimi indivisibili entra per ci solo in quella libera vicenda di azioni e rea- 392 LIBRO TERZO. zioni con T etere che fa comparir la luce e il calorico. E certo  che ognora che la luce balena in mezzo di noi e non proviene dal Sole si pu avvisare una divi- sione ed attenuazione della materia corporea la quale tanto pi si scioglie dalle forme cristalline e moleco- lari e da ogni coerenza di parti, tanto rimane investita e fiSgnoreggiata dall'etere. 368.  Quella intermittenza che sembra accadere nella scintillazione delle stelle e quel vigore e tremore che l'accompagna spiegasi molto facilmente con la con- siderazione che gl'impulsi dell'etere e della materia vibrante non sono continui compiutamente, ma si av- vicendano e si rinnovano con estrema velocit e con isplegata energia; mentre nella luce riflessa il rimbalzo proviene tutto dalla elasticit del raggio luminoso e il piano che lo rinvia appare come passivo nella sua resistenza, e certo non ci  il vigore della vibrazione originale. Afobismo IV. 369.  Intanto, proseguendo, diciamo che qualora l'etere avesse padroneggiato senza contrasto la mate- ria dei corpi, r universo convertivasi tutto in ammassi nebulosi raggianti luce e calore e forse per la elasti- cit del calore medesimo a pdco a poco si disperdevano per lo immenso vano. 370.  Ma gli atomi de' corpi laddove erano pros- simi o poco lontani l' uno dall' altro, sentirono la forza scambievole dell'attrazione molecolare insita, come si disse, in ciascuno. Per, non ostante gl'impulsi e i tre^ COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 39S mori dell'etere interposto si accostarono effettualmente e si strinsero giusta la misura di loro tendenze: quindi composero le prime molecole e poi con queste le se- conde e le terze. 371.  Egli  chiaro che la legge suprema di va- riet e convenienza qui pure dovette operare. Il perch gli atomi o gr indivisibili d'ogni sostanza come dif- ferivano di natura, cosi differirono nella intensit di attrazione e nel modo di aggregazione. Quindi le mo- lecole riuscirono molto diverse dall'una all'altra so- stanza. In questa sorta di molecole entrarono pochi atomi, in quella parecchi; qua si addensarono senza spazio, l con intervalli pi o meno larghi. E di' il si- mile della orientazione loro, il simile delle ligure che ne risultarono e della variet nei contatti, e cos pro- **egui per altri accidenti. 372.  Composti poi con le molecole di diverso ordine i corpi, fu necessario che si svegliasse l'altra tendenza loro primigenia ed essenziale che  l'attra- zione collettiva di masse; e le maggiori chiamarono a se e conglobarono le minori pi prossime, secondo venne descritto pi sopra da noi. Aforismo V. 373.  In tal maniera si bilanciarono le forze nella natura. Che l'attrazione molecolare, o coesione che la si chiami, costituiva i corpi e moderava la troppa virt espansiva dell'etere; mentre questo col suo penetrare ed insinuarsi per ogni dove, mantenne la separazione e impedi che la materia fitta e coagulata rimanesse incapace di movimenti e trasmutazioni intestine. Pe- raltro, nella generalit i corpi pi densi e pi coe- renti volgendo al centro e i pi leggieri e men coerenti 394 LIBRO TERZO. alla superficie, in questi V etere mantenne maggior do- minio, e non vi cessando la reciprocazione degl'impulsi e la libera espansione delle onde calorifere e luminose, parve il firmamento seminato da ogni parte di Soli splendenti ed inestinguibili. Perocch, essendo nato un bilanciamento naturale' fra la coesione molecolare e la espansione eterea, nessuna forza quando non pro- cedesse dal di fuori potrebbe sturbarlo. E insino a che vi sar scambievolezza d'impulso fra la sciolta materia e l'etere circostante in sulla faccia del Sole e dell'altre stelle, mai non cesseranno n altereran- nosi le onde calorifere e luminose che ne provengono. 374.  Vero  che queste onde non sono una sola e mera forma di movimento. Conciossiach V etere rimbalzando dalla superficie degli astri increspa, a cos parlare, la sua sostanza sottilissima e d' un tal poco la condensa. Quindi il corpo che riceve l'ultima onda propagata dell'etere, riceve insieme alcuna condensa- zione di etere. Ma in primo luogo, se trattasi di corpi luminosi con altri als luminosi, l'uno rende all'altro la quantit ricevuta di etere condensato. Invece, se l'onda eterea giunge alla superficie d'un corpo oscuro, la sostanza assorbita parte  compensata da uno ir- raggiamento tardo s e rado ma pure effettivo di esso corpo, parte dalle masse ancor nebulose che trapas- sando per varj gradi di coesione emettono gran quan- tit di calore. Oltrech, l'etere tendendo sempre ad equilibrarsi ripartisce quella sottrazione di sostanza comparativamente minima in tutto il suo immenso perimetro, talch essa diventa propriamente infinitesi- ma. Ad ogni modo tal sottrazione di sostanza gi non accade come si giudica volgarmente nel Sole, ma s veramente nell' etere dal Sole eccitato e fatto ondeg- giare. COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 395 375.  (3oncios8ach queir etere non move dallo interno del Sole na dalF ultima superficie; n raggia air intorno per sovrabbondanza di s, ma per atto normale ed assiduo di, Tirtii repellente. N mutasi nulla nel tenore del moto nelle proporzioni o in altre accidente. Perocch, sebbene la sferula che circonda ogni pi esterna molecola venga respinta e per con- densata, un' altra ondn di etere cme test s disse, a quella succede immediatamente e ristringe da capo la sferula primitiva intorno di ciascun atomo. Che poi r irraggiamento solare si adempia all' ultima superfi- cie non dair interno dell'astro venne comprovato dal- l'esperienza, mostrando che la luce del Sole perviene a noi intatta d'ogni refrazione e per non d segno d'alcuna polarit; contro la quale induzione non mi sembrano senza replica le obbiezioni e i dubj che accampa Giovanni Herchell. A, 376.  Coloro che nelle dottrine circa la luce e il calore seguono la teorica dille ondulazioni, sogliono negare non pure qualunque emissione di materia ma qualunque condensazione. Noi neghiamo la prima non la secontla in tutto. V  per lo certo nel moto circo- lare dell' etere un increspamento e per un qualche addensamento dell' etere. Perch ci non avvenisse, converrebbe tenere per infinita la elasticit dell'etere; e la radiazione allora consisterebbe in una sola e unica onda dal Sole alla terra anzi dal Sole all' ultimo termine dove apparisce la luce sua; n ci  tampoco esatto, perch termine non vi sarebbe e l'immensit di quell'onda ragguaglierebbe solo la immensit stessa dell' etere. 377.  Poich dunque la elasticit  limitata e 396 LIBRO TERZO. v' contrasto ed inciampo fra le parti dell'etere, v' condensazione di sua materia; e com' assorbita la luce e adsorbito il calore dal corpo in cui termina la ondulazione cos l'etere vi si. condensa. Per mio giu- dicio, quando il calore non rechi giammai aumento o \ sottrazione quantitatTa di etere troppo gran fascio \di fenomeni rester inesplicato. B. 378.  Io toccavo qui sopra della radinzione o rimigenia delle proprie molecole. 403.  In coteste sorti di gaz non  luogo emissione naturale e perenne di luce e possono invece i loro ele- menti accostarsi alle materie per le quali sentono affinit, perch a ci non sono impediti dalle vibra- zioni spiegate e libere e dalla espansione prepotente dell' etere. 404.  Cos sulla faccia del nostro globo adunatisi l>er la leggerezza loro gli elementi dell' aria, avven- nero subito le combinazioni dell' ossigeno con le basi metalliche e a mano a mano con altri elementi e altri principj aerosi. 405.  Effetto di simili combinazioni si fu la opa- cit del nostro pianeta e un condensamento molto maggiore dell'ultima scorza di esso. Avvegnach l'ade- sione pi perfetta ed intima fra le molecole  quella del sicuro prodotta dalle affinit chimiche. Ne segui- 406 LIBRO TERZO. tono prontamente azioni e reazioni gagliarde e conti- nue con gli strati inferiori che dififerivano dall' ultima crosta del globo parte per variet di sostanze parte e molto di pi per condizione termica, elettrica e chimica. 406.  Ben altra cagione, adunque, ebbe, al nostro parere, l' indurimento della faccia del globo che quella predicata da molti dello irraggiamento del calor sot- terraneo dair ultima superficie. Nel vero, notammc^ pili sopra che la coesione delF interno del globo di- venne^ maggiore a ogni poco per virt di gravita- zione e di compressione. E per gran copia di ca- lore latente, o di etere condensato che tu il domandi, usciva dal centro e propagavasi a grado per grado alla superficie. Ma occorre di avere a mente che se gran quantit di calore giunta per diffusione alla su- perficie del globo di quindi sperdevasi per forza di contiguit o d'irraggiamento, altra gran quantit suc- cedeva a quella immediatamente pel crescere della coesione e pressione centrale. Onde segue che non do- vette il raffreddamento procedere dalla superficie in- verso del centro ma per lo contrario dalle parti cen- trali inverso le meno. 407.  Che la materia non sia per tutto costituita delle sostanze medesime, si proverebbe assai bene dalle induzioni che i fisici tentano oggi di ricavare dalla luce spettrale. Conciossiach pretendono essi che men- tre nel Sole ardono molte sostanze identiche a quelle del nostro pianeta, altre invece vi fanno difetto; e fra queste seconde citano l'oro, l'argento, il rame, lo zinco, la strontiana, l'antimonio, l'alluninio, il piombo. Ora considerato che il Sole  della terra pi grande quasi COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 407 un milione e mezzo di volte, se ne potrebbe con- cludere che a ragione di massa debbono sussistere dentro al Sole altre sostanze numerosissime che il no- stro globo non conosce. Il medesimo si arguirebbe dall' altro fatto dello spettro solare, di contenervisi cio non meno di tre mila liste oscure le quali sem- brano corrispondere a variet grandissima di sostanze elementari in ai-sione. Ma, per mio giudicio, le analo- gie speciali e strettissime che si vogliono ravvisare tra la materia del Sole e quella del nostro globo argo- mentando dai fenomeni della luce spettrale tengono troppo insino al d d' oggi del congetturale e suppo- sitivo. JB. 408.  Tutto quello che conosciamo intorno alla diversa luce irradiata dai nostri corpi e intorno alle diverse specie di fiamma che si palesano nelle com- bustioni naturali od artificiali, conferma la opinione che bisogna onninamente pel fenomeno della luce un' attenuazione massima della materia ed una intera scomposizione di tutte le forme molecolari. Il che viene a dire che la flangia e la luce provengono dalle spie- gate e libere ondulazioni dell'etere nel modo che fu descritto pi sopra. Afomsmo X. 409.  Perch poi le sostanze gazeiformi non po- terono tutte disprigionarsi dalle masse metalliche e salire alla superficie, rimase tra questa e gli strati pi bassi certo flusso di materie aerose e liquide. Eb- bevi ancora radunamento di quel calore espresso dal 408 LIBRO TERZO. centro e il quale per la compattezza delle roccie del suolo abitato trova crescente difficolt di espandersi. Al che si agf;;iunse I' altro calore emesso dall' involu- ero della terra nel suo condensarsi e il quale parte raggiava nell'atmosfera e parte scendeva per diflfu- sione allo strato dove cessavano le cause della coer sione pi attiva e pi rapida. Di quindi le acque bol- lenti, le lave vulcaniche e i composti minerali che anno origine certa dal fuoco. Di quindi pure i terre- moti e il sollevamento delie montagne; fenomeni gi- ganteschi air occhio dell' uomo ; ma pure, per mio giudicio, assai poco profondi nella cagione ed origine loro se la si ponga in confronto della lunghezza del raggio terrestre. A. 410.  Nessuno qui obbietti che su nella luna, sebbene non sia vestigio di atmosfera gazosa  non- dimeno un involucro il quale appare assai pi com- patto e assodato del rimanente; il che s'arguisce con buona ragione dal sollevamento di enormi montagne e dalla frequenza dei crateri. 411.  Per isciogliere la obbiezione, baster sup- porre che quivi le sostanze aerose^ emerse dal fondo vennero al tutto assorbite dalle combinazioni chimiche con le basi metalliche od altri elementi ; nella maniera che sulla terra il carbonio dell' aria venne pressoch tutto assorbito dalla vegetazione (se  lecito dire) co- lossale ed esuberante delle prime et. Aforisho XI. 412.  Fu posto da noi per principio che all' etere appartiene di suscitare continuamente e in qualunque COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 409 luogo le forze dei corpi, tanto che non s' abbiano fer- mo riposo giammai ; ed anzi varcando d' un cambia mento in un altro pervengano infine a quelle compli- cazioni particolari e sintetiche alle quali intende la divina mentalit. 413.  Gi vedemmo che V etere, ancora che nel generale si equilibri con la forza di coesione, pure ad ogni momento o lo rompe o lo rinnova o lo varia e sempre con la virtii espansiva impedisce di quella forza il dominio soverchio e durevole. 414.  Vedemmo altres che le piii minute e spe- ciali combinazioni delle sostanze provengono dalle azioni chimiche, e intendiamo dire da quelle congiun- zioni e penetrazioni pi intime che accader possono fra materie differenti, onde poi nasce in natura la cooperazione del simile e la partecipazione del di- verso. 415.  Ma come ciascuna sostanza  fornita di c^^to essere inalterabile e le combinazioni di lei sono parimente determinate di qualit e di numero, occor- reva una potenza univei-sale e comune, la quale im- pedisse che, adempiute una volta in questo corpo e in cotesto tale acidificazione e tal combustione ed altri atti di affinit, ne seguitasse certa inerzia immobile e permanente o per lo manco un trasmutarsi ed un moversi troppo lento e troppo parziale. 416.  Quindi per insino dal suo primo apparire l'etere si mostr provveduto di certa efficienza operosa mediante la quale furono da ogni parte pi'omosse le affinit chimiche ; e per contra furono con gagliar- dezza estrema disfatte le pi tenaci affine di abilitare le sostanze ad altre ed altre senza mai numero. 417.  Questo nella natura  V ufficio massimo dello elettro-magnetismo ; e perci le correnti sue 410 LIBRO TEKZO. quanto si svegliano con agevolezza ad ogni mutare di stato dei corpi, tanto sono diffusive ed abbracciano forse anche tutta la terra e la pongono iu peculiare relazione col Sole, conforme accennammo in altra parte di questo medesimo Libro. Afobismo XII. 418.   nostra massima metodica (e T abbiamo scritta delle volte pnrecchie) il combattere vivamente l'abuso frequentissimo cLe fanno i fisici del principio di unificazione, tanto che ad ogni pie sospinto dimen- ticano le ragioni e cagioni del diverso e menano quar lunque cosa alla simiglianza e alla identit. Ci non ostante, trattandosi dell'etere, parvemi che l'unit sua si accordasse troppo bene alle nozioni dell'intelletto circa r originazione e 1' ordine della natura. Quindi noi non dubitiamo di asserire che luce e calore, elet- trico e magnetico sono funzioni e fenomeni d' una so- stanza medesima ; nel che oggimai convengono tutti gl'ingegni. 419.  Occorre per altro che i fisici maggiormente si assottiglino a rinvenire neir etere stesso un princi- pio essenziale ed elementare di differenza ; pel che i fatti spettanti al calore e alla luce rimangano natu- ralmente divisi da quelli che lascia scorgere l'elettro- magnetismo; non si potendo in guisa veruna confon- dere insieme le due serie di fenomeni ; tuttoch si accompagnino volentieri insieme e tengano proporzioni e corrispondenze esattissime in fra di loro e paiano procedere mutuamente l'uno dall'altro. 420.  Ma se il calore, per via d'esempio, suscita o modifica in molti casi l'elettrico e questo a vicenda pro- move il calore, invece di ricavarne argomento per 1 COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 411 loro medesimezza, credo all'incontro che se ne debba dedurre una prova di differenza. C!oncios8acL calore ed elettrico sebbene per mio sentire non si risolvono meramente in forma diversa di moto, certo col moto si manifestano. Ma in che guisa una stessa porzione di etei-e potrebbe in identico tempo pigliare il moto e le vibrazioni che sono proprie del calore e il moto e lo scorrimento che sono proprie dell' elettrico ? Certo, di due impulsi diversi dee di necessit risultare un moto che non sia propriamente nessuno dei due; men- tre nell'esempio allegato calore ed elettrico compiu- tamente si diitingiiono ne si trasmutano in cosa terza ma serbano e manifestano esattamente l'indole propria. Uopo  dunque di credere ad una distinzione e sepa- razione primitiva ed intrinseca nell'etere stesso. 421.  Pure i fenomeni della luce assai dispaiati in fra loro indussero gi alcuni fisici e geometri a credere che nel fluido etereo intervenga alcuna diver- sit originale e costitutiva come sarebbe un grado disuguale di addensamento ovvero di elasticit; ed alcuno pens a dividere l'etere univei'sale in zone va- riamente riscaldate. A noi l' elettro-magnetismo si rap- presenta come qualcosa di generale e comune ma tut- tavolta di men sottile e di pi veemente dell' altro etere. E mentre luce e calore risolvonsi il pi del tempo in moti di elasticit e vibrazione, l' elettro-ma- gnetismo scorre e fluisce con la propria materia quasi un'aria pi grossa che giri e viaggi nella nostra atmo- sfera. Quindi  pur naturale, come fu toccato altrove, che tal flussione di materia meno sottile e per meno elastica e pi resistente scomponga le pi intime con- 412 UlifiO TBZO. giunzioni delle sostanze prodotte dalla chimica affinit e superi la efficienza espansiva dell' etere calorifico. Perocch, s'ella  meno sottile a rispetto dell'altro etereo, vince nondimeno assaissimo la tenuit e mi- nutezza d' ogni forma molecolare. AroRisMo Xni. 422.  Resta che girando da capo gli sguardi della niente pel tutto insieme del cielo stellato e in quanto egli dee servire di mezzo e preparazione al mondo morale o finale che il domandiamo, si determini alcuna cosa di pi intorno al suo destino comune e all'ordine perpetuo delle sue parti. Noi producemmo pi sopra le sode ragioni perch neghiamo di credere che i mondi siderei compongano insieme una vivente organizzazione. Tuttavolta, dicemmo allora che i sistemi solari, le costellazioni e le coacervazioni di astri onde il firma- mento  cosparso non furono del sicuro disposti qua e l e ripartiti alla ventura. Ma i luoghi che tengono, le figure che formano e le connessioni e rispondenze che anno in fra loro tendono come ogni cosa in na- tura ad esaurire il Possibile e il Convenevole della materia strumentale e a moltiplicare e variare insino all'estremo la cooperazione del simile e la partecipa- zione del diverso. 423.  Per  da giudicarsi che tutti que' grandi membri del corpo immenso degli astri, se tal nome pu darsi a tutto il complesso del firmamento, sono chiamati a partecipare ed a ricambiare gl'influssi di- versi che emanano dalla tempra differente di ciasche- duno, come ciascheduno rcambier prima gl'influssi liversi de' suoi membri minori. Al che fare sar pro- veduto che l' un sistema solare circoli o in modo qua- COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 4 IH Ixinque s aggiri intorno o frammezzo ad altri. Poi venga quel sistema e cotesto o da s o con molti insieme rapito e aggirato in qualche sistema maggiore per ef- fetto forse di moti iperbolici, come sembra accadere dei moti erranti delle comete. Cosi  lecito di pensare che in lunghezza di tempo, maggiore assai d' ogni estimazione e computazione umana, ogni parte del firmamento visiter di mano in mano tutte le altre; imitando quanto  possibile a materia inorganica il corso e Taggirazione de* nostri fluidi vitali che trapas- sando per ogni viscere arrecano in quello la propria virti e per contra fanno gli elementi proprj parteci- pare alle qualit di tutti i composti pei quali trascor- rono e ne' quali s' infiltrano. 424.  Quando questa legge non si avverasse nel mondo sidereo, rimarrebbesi egli escluso dalla parteci- pazione del diverso ; mentre per ci che venne veduto ne' Libri anteriori circa all' ordine dei finiti, si conobbe essere legge costante e generalissima d' ogni parte del creato che da per tutto vi sia azione e reazione mediante il simile e il dissimile, l' omogeneo e l' ete- rogeneo, cos dentro a ciascun aggregato come di fuori. In quel modo, impertanto, che nelle picciole masse allato alla coesione opera l'affinit, certo fra i si- stemi solari oltre la legge meccanica del moto passivo ed attivo debbono svegliarsi molte influenze analoghe all'affinit o vogliamo dire all' azione dei differenti. Afobismo XIV. 425.  Dopo ci ed a fine che a noi torni fattibile di concepire una idea men gretta, meno determinata e pi esatta di tale coordinazione immensa e operosa doir universo, buono  di contemplar nel concreto e 414 LIBRO TERZO. per va d' esempio particolare e visibile alcnna di que- ste azioni continue dei mondi nei mondi. E per al- ziamo di nuovo gli ocelli lass nel cielo e rivolgiamoli in quella regione dove  distinta da minori e maggi Lumi, biancheggia tra i poli del mondo Galassia si che fa dubbiar ben aggi.  426.  Guglielmo Herchel, come altrove accennam- mo, scopriva che la Galassia piegasi in forma di anello la cui spessezza  poca, molto masjjiiore la larghezza della sua zona, smisuratamente pi grande la circo- lare lunghezza. A (}uli(^lmo Herchel sonihi eziandio, e il tedesco Argelander il venne poi confcrnuiiido, che il Sole co' suoi pianeti faccia parte della Galassia e che per entro di lei si mova con indicibile velocit verso un punto della costellazione di Eicole indicato dagli astronomi con la lettera Lamda, cio a dire che il Sole trovisi al presente verso il confino interior dell' anello. Ora, egli  da sapersi che Giovanni Plana geo- metra insigne speculando intorno a cotesti fatti e adattandovi ingegnosamente le leggi dell' universale gravitazione,  provato mediante suoi calcoli che una stella posta in sul lembo esterno od interno del gran- de anello della Galassia viene attratta di necessit verso il mezzo della fascia di quella; e quivi giunta poi non si ferma ; da che per effetto della velocit acquistata nel suo correre rapidissimo debbe oltre- passare il punto dell'equilibrio delle attrazioni e inol- trarsi infno al margine opposto del detto anello. Ove pervenuta e subito richiamata dalla gravit del punto mezzano ritorner indietro per l'acquistata accelera- zione e ri varcher da capo quel limite recandosi alla COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 415 estremit esteriore; e cos di continuo e senza mai cessazione possibile discorrer fra i due termini come spola in telaio. 427.  Ma qui  bisogno di ricordare il nostro prin- cipio che pone e heogni corpo sidereo movendosi per ltrza attrattiva suscita eziandio in se medesimo una virt moti-ice che  sua propriamente ed attiva mentre l'al- tra  per eifetto di azione ricevuta e alla quale gli  necessit di obbedire. Da ci segue che il nostro Sole scorrer dall'uno all'altro lembo della via lattea non rincalca ndo le stesse orme ma deviandone sempre in onta misura; e cos avverr che egli per una strada serpepgiante si condurr a visitare tutte le parti del grande anello; e ci non una volta soltanto ma un numero indefinito di volte. 428.  Queste cose presupposte e accettate ognuno intende che elle si applicano molto bene cos al no- stro Sole come a tutte le st'lle che dentro al corpo della Galassia a lui rassomigliano. Laonde conviene figurare nella via lattea un intreccio maravigloso di astri ed anche di sistemi par/jali di astri che scendono e salgono a maniera di meandri e non senza modifi- cazione ed innovazione nelle qualit di ciascuno. Con- siderato che per avvisare un cotale efi'etto di mutazione basta supporre certa variet oiiginale e costitutiva di sostanza nei gruppi numerosi di stelle per mezzo ai quali scender prima e quindi ris^alir il nostro sistema solare o tutto solo od accompagnato con altro maggior sistema. 429.  N qui cadrebbe in acconcio la sentenza platonica che nulla si move dove tutto si move. Pe- rocch nella creazione corporale la quiete e la immo- bilit non essendo termine mai assoluto, baster dire che i movimenti delle parti della Galassia sono a pr- 410 LIURO TfiZO. porzione delle distanze lentissimi e che nel tempo che un astro si move, poniamo, dal lembo esteriore inyeno del mezzo, un altro per Io contrario vi torna onde la massa dell'anello pu dirsi che rimane sempre d'una forma e d' una quantit. Oltrech le stelle mezzane per virt di equilibrio negli impulsi attrattivi poco o nulla si sposteranno del luogo antichissimo, e col pure avverano esse il grande principio che sempre al- lato alla mobilit debb' essere la permanenza e aitato a questa il contrario suo. LIBRO QUARTO. DELLA VITA E DEL FINE NELL' UNIVERSO. IAMr4ni  n. CAPO PRIMO. DEL P&INGIPIO SPIRITUALE NELLA G08MOLOGU. I. 1.  Il finito pu dilatarsi in due modi ; o con la moltiplicit e contemperanza dei simili e dei diversi, e questo in Tane maniere secondo abbiamo avvisato pi volte; ovverq con lo spiegamento e perfezionamento successivo deir individuo, mediftnte una pateffza di facolt priginaro wT individuo inserite-per atto i creatone. Noi insino a qui abbiamo piuttosto accen- nato che definito Tessere individuale fornito d'assai facolt ed invece venimmo designando, come portava il subbietto, le limitazioni estreme e non valicabili entro le quali egli debbe rimanersi per le deficienze generali e non correggibili della finit. Oltrech, era conveniente considerare da prima il finito nella sua moltiplicit essenziale e le relazioni scambievoli delle sue parti, a cosi domandarle, in quanto possono fare uScio di mezzo. 2.  Noi delineammo nel primo Libro i confini estremi e negativi dell' individuo e vale a dire V ul- tima attenuazione dell'essere di l dalla quale pi 420 LIBRO QUARTO. non esiste subbietto alcuno determinato e concreU. Conviene al presente avvisare il termine opposto o cio insino a qual %egno pu venire alzata original- mente la forma individuale e impartibile d'un ente fi- nito e particolare. Conciossiach in questa soltanto dee potersi attuare il fine delia creazione cbe  la dispen- sazione massima del bene assoluto. E la capacit del bene guardato soprattutto nella specie pi alta che  la beatitudine, ricerca gran perfezione di essere. N basta che la natura inferiore aiuti e cooperi tutta- quanta in condizione di mezzo e strumento. Imperocch n i mezzi n gli strumenti valgono a tramutare la essenza del subbietto sostanziale che ne fa uso. Senza dire eh' egli debb' esser fornito della facolt per ap- punto di coordinarli e metterli in opera ; e tanto me- glio vi riesce quanto pi signoreggia i mezzi e gli strumenti. Cotesto finito, pertanto, che dee racchiudere in s una qualche ragione di fine, dee per ci racchiu- dere molta perfezione propria e maggioreggiar gran- demente in fra la moltitudine sterminata degli enti che anno sola ragione di mezzo. 3.  E subito si raccoglie da ci perch entrando a meditare sul Fine l'abbiamo altres chiamato il principio spirituale della cosmologia. L' individuo ca- pace di bene  per necessit incorporeo; stan teche in- dividuo vero non sarebbe, se non fosse impartibile e semplice perfettamente; e non sarebbe partecipe d'al- cun vero bene, quando fosse sfornito di volont e con- sapevolezza le quali sono potenze che non anno na- _ tura estesa e materiale. Per dilatazione poi dimanderemo^ spirituale eziandio l'essere provveduto di virt appo- ititiva piuttosto che di volont, e li cui beni sono cenni ,e vestigi del bene vero come scorgesi chiaramente n(g1i animah* bruti. DELLA VITA E DKL FINE NELL'UNIVERSO. 421 II. 4.  Per incontro alle toccate perfezioni dell' in- dividuo etanno le perpetue necessit del finito che noi rassegnammo nel primo Libro. Egli debbe posse- dere nell'intimo suo, e cio nel subbietto siccome tale, una forma di essere tanto determinata quanto sem* plice. Quindi egli non pu assumere questa entit e quella e quell'altra ad un tempo. A guardar la cosa in astratto, diresti che gli possono Tenire attribuite originalmente moltissime facolt ed anzi innumerevoli. Ma prima, dovendo riuscire omogenee col loro princi- pio 0 subbietto, ognun vede che al numero e alla va- riet loro sono assegnati certi confin di l dai quali quelle potenze e attitudini o comincerebbono a farsi non coerenti e sproporzionate o l'adoperamento loro non tornerebbe agevole, simultaneo e fruttuoso quanto conviene, e diverrebbe di pi in pi complicato e con- fuso. Tutto il che viene a ripetere la sentenza espressa nel cominciamento di questo trattato, e cio che il finito  l'opposto della Unit; e l'individuo non pu aver perfezione se non in quanto partecipa della uni- t; e s' intende della piena unit, non della vuota ed astratta. * ' /   . 5.  In secondo luogo osserviamo che l'individuo del quale si parla non dee venir riguardato rispetto solo all' infinito di potenza che crea il mondo. Impe- rocch simile potenza  quattro termini esteriori in veduta e sono, qualmente si spieg nel secondo Libro, la Possibilit, la Convenienza, 1' Attivit e la indefinita Partecipazione. La potenza increata ricusa per s di riconoscere altri limiti salvo quelli del possibile. E iV altra parte la infinita sapienza ponendo con inefl^a* 422 LIBRO QUARTO. bile arte ogni cosa in suo luogo, tempo e cougiuntiire migliori serve mirabilmente alla latitudine sterminatii dei possibili. Seguita la bont sempiterna, che volendo attribuire la massima fruizione del bene agli enti finiti debbe condurli al grado massimo dell' attivit, che  insieme la pienezza e V apice delkt vita. In ultimo, tutto questo debbe venire distribuito s fattamente, che ne risulti sempre ed in ogni dove il bene maggiore al maggior numero di creature. Quindi bisogna che l'attivit e la vita si compiano nella intuizione e partecipazione diretta dell' Assoluto. Da ci risulta che le molte necessit e angustie avvertite nel pri- mo Libro intorno alla finit, non pure non si dile- guano mai assolutamente sotto gl'influssi dell'infinito; ma nemmanco nel generale possono gli enti finiti ri- moverle e dilungarle a un tratto da s con ismisu- rato intervallo; ma ogni cosa nel mondo comparir procedere verso la perfezione sua con gradazione, tar- dit, contrastamento e lavoro. III. 6.  Pur nullameno, quel quanto di vera unit e di vera individualit che possiede il finito capace di alcun grado di bene lo rende altamente superiore di nobilt, di efficacia e di virt organatrice a tutti gli elementi del mondo meccanico e chimico e a tutti i com- posti loro. Per fermo, ciascuno di tali elementi  agli al- tri simigliantissimo in quanto n li soverchia di potenza e di facolt in modo da subordinarli a s, u molt con Tessere che  ragione sola di mezzo. ' 11.  La serie poi dei principj spirituali debbo riuscire innumerabile nel quale e nel quanto come tutte le serie della natura, non dimenticando noi per altro che laddove apparisce la vera mentalit, la viva / coscienza e simili eccelsi attributi della personalit, co- / mincia una categoria d^ individui supremamente pi nobile per lo intervenimento d'un principio al tutto diverso che  la congiunzione dello spirito con la infi- nita idealit. ^* ^''* -' - ' - '- '. ' 12.  Ora non pu negarsi che ragguagliando ^ l'atomo materiale con uno di tali individui, ci pare di scorgervi una diversit immensurabile. Tuttavolta essa rivolgesi, chi ben la guarda, in negazione piutto- sto che in altro ; e s' intende che l' atomo materiale t manca di tutta quanta la nobilt e splendenza di es- ^ sere notata qui sopra nell'individuo razionale; e nondimeno, 1' atomo  questo di comune con esso in- dividuo che ancora che comparisca sempre esteso e composto, pure convien pensare che termini in punti non divisibili o vogliam dire in subbietti semplici e inalterabili, e che per 1' atomo, o meglio ciascuno di essi punti pu congiungersi all' individuo spirituale 426 LIBRO QUARTO. con varj legami di causa e di effetto; e cio, da un canto con legame reciproco di azione eflSciente in quello che i due subbietti anno di simigliaute (sia poco od assai) e l'individuo  d'inferiore (se pu dirsi) nei Irradi dell'essere; e d'altro canto con legame di ecci- tazione o di semplice occasionalit per le parti supe- riori e le pi differenti dall' uno all' altro. 13.  N gi si nasconde che la materia pur rice- vendo r atto efficiente dello spirito, e quando anche non lo ricambi, rivela con ci solo qualche rapporto di simiglianza; imperocch il tutto diverso nettampoco  passivo e non  facolt di accogliere l' atto este- riore diverso. Ma ricordiamoci che fuori degli op- posti i quali si negano compiutamente, il simile e il differente non sono assoluti, e che il tutto diverso venne per appunto definito da noi quella specie di en- tit che oltre al differire sostanzialmente da altro es- sere, nettampoco gli si connette per qualunque rela- zione causale attiva o passiva. 14.  Nessuna impossibilit metafisica  da ricono- scere per tanto nella congiunzione temporanea ed ac- cidentale dello spirito e della materia. L'atomo ma- teriale sempre si accompagna coi simili a lui; e intendi ch'ei si manifesta e opera sempre come un aggregato { e un composto. Ma ninno  provato e non vi perverr, credo, giammai che al semplice venga interdetto di . congiungersi in una volta con parecchi semplici ossia col conjposto. Che s'egli si pu congiungere, pu ezian- dio ricevere i loro atti, tanto che facciano uno dentro al suo spirito, e fuori dello spirito si dividano nel mol- i teplice. 15.  Vero  che i semplici corporei, o vogliam dire gli atomi, sono sempre estesi laddove lo spirito  compiutamente inesteso. Ma si badi che eziandio gli DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 427 atomi negli estremi loro elementi sono inestesi salvo i cbe sono congiunti allo spazio e nello spazio appari- ' scono ; quindi V azione loro cumulativa si manifesta mai sempre in certa estensione e genera il fenomeno del continuo resistente. E questo medesimo spazio, nel subbietto universale che , riesce cosa impartiiiile, e tutti i suoi modi estensivi e quantitativi risolvonsi in meri fenomeni. Che cosa, irapertanto, debbono venir giudicate le divisioni e separazioni materiali? Certo, disgiungi menti di gruppi di forze accompagnati sem- pre da fenomeni rispettivi di estensione e di spazio e i quali disgiungimenti mai non fanno sparire in com- piuto modo i gruppi medesimi e solo li smembrano e li assottigliano. 16.  Ma le forze corporali o gli atomi per essere immancabilmente congiunti allo spazio non per ci s' immede&imano al tutto con esso. Chi pensa tal cosa, confonde la identit dell'essere con la congiunzione degli esseri. E parimente la espressione che gli atomi sono nello spazio vuole a giusto modo significare certo atto di congiunzione e non mica una sostanziale ine- renza come parrebbe indicare il segnacaso in e come si avvera, per esempio, nella virt motrice ; dacch la virt motrice  inerente in fatto agli atomi o forze movevoli ancorach V eflFetto si manifesti quindi al di fuori per fenomeni di spnzio. 17.  Perch poi ciascun atomo di materia si trovi in questo originale e, a ci che sembra, essen- ziale congiungimento con lo spazio di guisa che ogni operato loro non mai si discioglie da qualche fenome- no di estensione, io non V andr ricercando ; atteso che credo dover rimanere sepolto alla umana meditazione,  e solo  da concederne la notizia e la scienza a coloro che convertono lo spazio nella esteriorit deiridea o ft-" 428 LIBRO QUARTO. creano l'estensione col punto e col tempo; il primo che non  fiato di estensione, il secondo che  succes- sione ma non  spazio ne moto.^ ( 18.  La monade spirituale perfetta del sicuro  . ^ fuor dello spazio e la sua essenza non punto la lega / ad esso a maniera indissolubile. Tutta volta, congiun- gendosi intrinsecamente con gli atomi materiali, si congiunge altres allo spazio sebbene accidentalmente e mediatamente; e ancora che non sia estesa, opera nello esteso. Intendo per monade spirituale perfetta l'anima razionale. Rispetto alle monadi vegetative ed \ organiche, le quali per dilatazione appelliamo principj spirituali, discorreremo tra breve. 19.  Dopo ci, dimostrato avendo che tra la ma- . teria e lo spirito non sono impossibili le relazioni I causali e la penetrazione degli atti, noi per iscansare la. malagevole spiegazione e dichiarazione di tali rap- porti non cadremo in verun paradosso, come fecero pi metafisici, ora negando la esistenza della materia, ora quella dello spirito ed ora trasformando a piacere r uno neir altro, ovvero immaginando teoriche le quali se forse scampano dalla suddetta difficolt, rovinano in parecchie contraddizioni, siccome incontra, per mio giudicio, all'ipotesi dell'armonia prestabilita e alla dottrina che domandano occasionalismo. 20.  Per fermo, qualora si ammetta come verit chiara e patente che la idea o possibilit astratta che / la si chiami tiene facolt di attuarsi nella natura finita e particolare e dall'eterno discendere nel tem- porale, dall'assoluto involgersi nel relativo e farsi larga, lunga e profonda, ogni cosa apparentemente  spiegata e tutto pu uscire da tutto. Ma coleste me- H^gel. DELLA VITA E' DEL FINE NELL'UNIVERSO. 429 tamorfosi sono pi incredibili assai di quelle dei poeti, e coDvien ripetere con V Alighieri  Taccia di Cadmo e d'Aretusa Ovidio. > V. 21.  Ne d'altra parte professandosi invittamente da noi la dottrina delle essenze diverse ed inalterabili possiamo in nulla partecipare alla opinione oltremodo ^ n diffusa al di d'oggi in Alemagna che la materia e lo ^ spirito sieno termini relativi e nulla d'assoluto non sia neir uno e nell' altro. Vero  bene che non accade di porre fra la materia e lo spirito quell'abisso pr- / fondo n quella specie di alienazione e di odio che vi / pone il volgo, tanto che la materia diviene sinonimo di tutti i mali e d' ogni sconcezza e bruttura. Che se fosse tale, nemmanco sarebbe mezzo e strumento a buon fine. 22.  Alla psicologia^ poi appartiene il mostrare . con prova apodttfca cie la sensazione e la percezione porgono notizia certa e scientifica'^della sussistenza dei subbietti esteriori corporei e dovere in questi spiegarsi un ordine di qualit e di atti correspettivi ai feno- n meni eh' essi subbietti medesimi promovono od occa- . sionano dentro di noi. Similmente mostrano le dottrine da me professate che il concetto chiaro e peculiarissimo del fuori di noi ci attesta per s solo la realit dello spazio; tuttoch non sappiasi definire preciso nei fenomejii dell' esteso e del resistente continuo quello che lo spirito v'intro- duce, ossia il modo col qual riceviamo l' atto della re- sistenza esteriore corporea e pi in generale le formo e determinazioni dello spazio. 430 LIBRO QUARTO. 23.  Concedesi volentieri che la distinzione fra le (jualit primarie e le secondane de' corpi non esce da diversit veruna di essenza; e che le une e le altre sorbano l'alternazione di una serie di fenomeni alla quale risponde una serie obbiettiva e reale di qualit, di atti e di relazioni. Per fermo le qualit domandate primarie sono le piii generali e costanti. Laddove le se- condarie dipendono in buona parte dalla costituzione e passione de' nostri organi. Ma questi medesimi organi sono pur fuori dell' anima, e la loro sostanza e disposi- zione soggiace a frequentissime modificazioni dallo spi- rito indipendenti. Egli  il vero, per via d' esempio, che, tolto di mezzo l'apparecchio dell'organo dell'udizione, non si sveglierebbe entro noi la sensazione dei rumori ve dei suoni. Ma eziandio quell' apparecchio mirabile \tornerebbe inoperante ed inutile, quando 1' aria non fosse capace di quei tremori cosi svariati le cui leggi impariamo nei libri di Acustica. 24.  Bimane, pertanto, certissimo che fuori dello spirito sussistono i corpi ; ed ogni genere di percezione rinviene all'esterno un certo ordine correspettivo di fatti e certe rispondenze continue ed esattissime nello stato di essi corpi. 25.  Queste generali distinzioni e definizioni tra la natura di mezzo e hi natura di fine occorrevano al principio del Libro presente; le quali poi ci condussero per legamento logico a discorrere per sommi capi della diversit e dei legamenti causali tra la materia e lo spirito. Seguita che noi raccogliamo, secondo nostro uso, la sostanza del tutto in certo numero di aforismi, porgendo al lettore quel saggio di teorica deduttiva che non  temerario oggi d' iniziare e di esporre in- 'torno al proposito. DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 431 CAPO SECONDO. PBIHI AFORISMI SULLA FINALIT DEGLI ENTI CBEATL AroRiSMO I. 26.  Poich v'  uno stupendo e immenso apparec- chio di mezzi, certo l'universo racchiude eziandio altret* tanta varet e immensit di esseri in cui si attua e splende la ragione del fine. E come per la contempla- zione del fine siamo pervenuti a determinare per ad- dietro la natura dei mezzi e degli apparecchi, ora dalla cognizione di tutti questi proceder la notizia deter* minata e particolare degli enti inverso de' quali sono disposti e coordinati. 27.  Gli enti con ragione d fine parrebbe doves- sero riuscire pi numerosi degli altri in quanto la na- tura pone volentieri in opera un mezzo solo al conse- guimento di pi fini, come la lingua e il palato che servono s . al tatto, al gusto e alla prima digestione e s alla parola ed al canto e quindi al pensiero ed all' arte musica. Ma viceversa, la natura adopera al- cune altre volte pi mezzi in verso ad un solo fine ; come quando nei vegetabili accerta la propagazione delle specie e con la fecondazione e con i tralci e i germogli e persino con le semplici foglie. Ma questo 432 LIBRO QUARTO. computo non  agevole a farsi ed anzi impossibile. Dacch i fini relativi e inferiori sono mezzi e strumenti a fini piii alti e prossimi all'assoluto. E d'altra par- te, se ogni atomo di materia  ragione di mezzo e tu lo consideri com' esistenza separata, la loro moltipli- cit oltrepassa ogni proporzione con l'altre sorte di osseri. Ad ogni modo, l' esperienza ed il raziocinio s'ac- cordano ad attestare che quanto gli esseri sono pi perfetti e per partecipano con pi abbondanza del yfine, altrettanto riescono meno numerosi perch sono vi' ultimo effetto del travaglioso operare di mille cause , minute e l'ultimo risultameuto di lunghe sene di ostacoli superati e d' insufficienze supplite. Afobismo il 28.  Chiaro  che la onnipotenza della cagione spiega eziandio negli enti finali la sterminata moltipli- cazione dei generi e per del diverso; e nei generi la sterminata moltiplicazione delle specie e per del vario ; spiega poi altrettanta moltiplicazione degli individui e per del simile in ciascuna diversit di genere e varianza di specie. 29.  N appo gli enti che chiamiamo finali il di- verso si stringe alla sfera della quale ci  lecito pi- gliare alcuna notizia od alcuna divinazione; ma qui pure noi replichiamo che i confini dell' affatto diverso si stanno estremamente remoti e di l. dal segno d'ogni nostra immaginazione e cogitazione. Eccetto che, trattandosi di esistenze in cui s'adempie il bene vero e reale, forza  che vi apparisca 1' unit del- l'individuo l'attivit e l'intendimento; soppressi i quali,  pure il bene vero soppresso, nel modo che venimmo sponendo in altra parte dell'opera. DELLA VITA B DEL FINE NELL'UNIVERSO. 483 Aforismo in. 30.  Nessun principio ristringe la reiterazione di u medesimo qualora non ne venga impedito ; quindi n la reiterazione, pure degli enti finali  per se alcun termine. Imperocch noi vedemmo nei Libri anteriori che la creazione  incessabile ed  tale in tutte le cose e non meno rispetto alla quantit che alla qualit. I limiti poi dell' una e dell' altra provengono dal dover essere i finiti mutuamente compossibili e del pari dal non riuscir compossibili certe mischianze molto com- plesse e estremamente implicate dell'identico e del differente. Perci nel generale tanto pi di leggieri moltiplicano gli enti organati quanto sono pi sem- plici. 31.  Ma la vita sar da per tutto dov'  materia ca- pace di qualche organismo ed avr limite pi presto dal lato della materia che dal lato dei principj vivifica- tori ; conciossiach a questi non sono prescritti i confini di certo spazio e di certa misura come al pianeta che abitiamo. La qual verit  testimoniata con abbon- danza dal fatto. Che veramente i germi vitali sono in- finiti n v'  minima parte dell' aria, della terra e del- l'acqua dove non dimorino, solo aspettando che le forze e disposizioni ambienti permettano loro di svi- lupparsi. E quello che l' esperienza ci mostra d'intorno a noi dobbiamo pensare che accada in qualunque lato del mondo visibile dove sia materia disposta ad orga- nizzazione e in altri mondi eziandio non visibili, ai quali non pu mancare n l'ordine degli enti finali n certa concomitanza d'idonei mezzi e strumenti. Mamiani. - li. ^M 434 LIBRO QUARTO. 32.  Degl' insetti si conoscono a un dipresso cento ventimila specie diverse e v'  alcuni luoghi in Ame- rica dove sono copiosi e molesti al segno da fare im- possibile all' uomo il viverci. N alcuno ricerchi se le miriadi di tali enti nocivi od inutili adempiono la fina- lit ovvero la contraddicono. Primamente, la forza vi- tale espande se medesima per la necessit sua intrin- seca ; e di tutte le combinazioni fattibili fra la materia e un principio vitale qualchesissia nessuna pu man- care di effettuazione se forze contrarie non interven- gono. E le forze contrarie non punto difettano qualora si volga r occhio alla totalit dei fenomeni. Nel vero, molte specie d'insetti depongono le uova loro sulle, larve di altri iisetti i quali con lo schiudersi di quelle uova rimangono uccisi ; senza parlare del gran nume- ro d' uccelli e d' altri animali che se ne cibano conti- nuamente e pur tacendo della hmitazone che reca assai volte al lor propagarsi la scarsezza delle piante di cui si nudriscono. Ma l'arte e perseveranza del- l' uomo giunge a purgarne l'aria ed il suolo con suffi- cienza; e quando gli fosse spediente di far dimora nelle vallate dell' Orenoco test ricordate, rinverrebbe certo alcuna maniera di liberarsi da quelli sciami fastidio- sissimi. 33.  Del resto, tali cento venti mila specie d'in- setti ci dimostrano da capo la infinit del possibile a rispetto dell' organismo. Ma la saggezza altres infinita che abbiam chiamata arte divina di Conveni'nza ci  sopramodo pi malagevole a discuoprire e ad inten- dere in tale subbetto perch dei rapporti innumera- bili che legi^ quella sorta di viventi alla economia uni- DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 435 versale del inondo, appena nna minima parte ci  co- nosciuta. 34.  Venne fatta da parecchi fisiologi una sin- golare investigazione e fu di sapere se la quantit della vita scema sul mondo o s' accresce, ovvero se nei confini medesimi si conserva. E come spunt fuori il pensiere d'introdurre la quantit nella vita? Puoi tu contarla veramente a pezzi e minuzzoli? e di qual mi- sura ti servirai nel tuo calcolo? Certo  impossibile avvisare e sapere la quantit estensiva degli enti or- ganati se intendiamo per ci il numero degl'indivi- dui ; ed esso non  mai fermo un solo momento ; ma varia continuo pel variare degli accidenti. Sapere il numero delle specie  cosa fattibile, sebbene lunghis- sima e travagliosa e sempre mai incompiuta ; che le specie minutissime si nascondono ad ogni ispezione la pili diligente; oltre il dover noi per sempre ignorare le specie innumerabili apparse nell' epoche geologiche e delle quali non  rimasta veruna spoglia e vestigio. Sopra tutto ci riluce una .sola massima generale ac- cennata da noi delle volte parecchie, e cio che l' infi- nito del possibile dee comparire nell'organismo quanto nella materia inorganica. 35.  Meno singolare a noi sembra il chiedere in- torno al proposito la quantit intensiva, e intendiamo se va declinando o crescendo sulla faccia del globo la vita pi ricca di facolt e provveduta di maggioro eccel- lenza di organi. Sotto questo rispetto e ricordando le cose per addietro ragionate non si dee dubitare che sul nostro globo crescendo l' attuazione del fine vi cre- sce altres la perfezione della vita ; al che basterebbe la maggiore propagazione e la migliore civilt dol g- 436 LIBRO QUARTO. nere umano. Ma v' di pi; che Tuomo, conforme si toccher in altro luogo, pur seguitando il proprio in- teresse e l'intento dell'utile, mantiene e propaga ab- bondantemente le specie animali meno imperfette cho sono quelle in cui si aduna, per si dire, la maggiore in- tensit della vita. Afobismo IV. 36.  Coteste esistenze qualichessieno se anno ra- gione di fine sono superiori e pi nobili al risconta) di ogni mezzo. Ma nell' ordine delle realit, ci che  superiore e pi nobile significa una reale maggioranza nelle primalit dell'essere, come la potenza, l'unit, la individualit, la vita e simiglianti. Maggioreggia, dunque, cotesto essere, e vale a dire eh' egli  fornito di pi attitudini; quindi partecipa di qualche grado di pi alla unit vera, la quale consiste non nell'at- tenuazione estrema e indivisibile dell'esistenza ma nella sua pienezza che  tutto e semplice al tempo medesimo. 37.  Simile ente finale avanza in dignit e su- pera d'importanza tutti i sistemi solari aggirantisi per lo spazio. Onde fu molto bene asserito che la gran- dezza smisurata d' un astro e la sua lucentezza con- tinua e la sua durata quasich eterna e la velocit portentosa danno meno da pensare e maravigliare al filosofo che una farfalla od altra sorta di vivente seb- bene non vi risplenda se non il fine relativo e qual pu uscire dalla cospirazione di puri mezzi naturali. 38.  Ancora si pu notar con ragione quanta parte del mondo corporeo piglia nobilt e importanza DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 437 dal nostro spirito per le relazioni che questo v' induce con r assoluto del vero e del hello. N vuoisi dire -con ci che la natura non sia ne vera n bella* Coucios- siach i termini della relazione come possono rima- nersi alieni dalla essenza di lei? E d' altra parte, ogni rivelazione dell' Assoluto nell' uomo non  subiettiva ma sostanziale e obbiettiva. Certo, la soavit e va- ghezza delle armonie non  originata dalle ondula- zioni e vibrazioni sonore dell'aria, s bene dalle in- tuizioni nostre della bellezza musicale ; e si afiFermi al- trettanto per la leggiadria dei colori e la magia delle prospettive.  il diamante carbone impietrito e la perla una escrescenza forse morbosa d'alcuni molluschi. L' oro e l' argento giacciono informi e appannati den- tro le roccie. Ma trapassate queste cose alle mani del- l' uomo acquistano avvenenza, espressione e decoro di arte plastica. Per simile, il fluido elettrico gira le sue ;--. ^c//^/,. . 60.  Sul che quando si voglia discorrere con ar- gomenti sperimentali, credo la scienza conceda di ri- spondere risolutamente di no e mostrare per via di fatto che tra il mondo chimico all'etere mescolato e il principio spirituale perfetto, o vogliam dire l'anima razionale, interviene un' altra efficienza domandata dagli antichi con somma acconcezza anima vegetativa. ' 61.  Ma ragionandosi api/on, come  nostro istituto negli aforismi, non iscorgiamo con quali massime on- tologiche e di assoluta dimostrazione sia lecito di pro- vare la necessit di tale intermezzo. 62.  Salvo che a noi non dee mai cadere della memoria che l' attivit umana intera e tutto V essere suo mentale e morale furono prima unicamente in 446 LIBRO QUARTO. potenza; e per condurli in atto fu senza meno mestieri d' una lunga serie concatenata d* impulsi esteriori ; da poich of;ni forza attiva creata  il primo impulso fuori di s. 63.  Non s' intende, per tanto, come essa anima avrebbesi costruito l'organo intero con le solo sue facolt, le quali nell' ultimo nulla non anno che fare con la materia con le forze chimiche e le figure dei corpi e venendo l'organo stesso fabbricato e foggiato con fine di suscitare e spiegare esse facolt. 64.  Dopo questo, diventa chiaro che la risolu- zione del dubbio test espresso dipende dalla diversi- t dei supposti. Essendo che tu puoi concepire molta, poca e nessuna omogeneit di natura tra il principio spirituale e il mondo circostante in mezzo del quale ap- parisce. Quindi seguita che laddove interviene distanza grandissima fra i due termini, occorre che alcuna cosa tramezzi per accostare gli estremi, e il contrario ac- cada nel contrario supposto. Ci  lecito di asserire in universale e per astrazione. Nel caso, dunque, specificato , dell* uomo e della materia bruta, la scienza non potr  spegnere il dubbio in altra maniera salvoch parago- nando intentivamente i concetti che possiede circa la i natura ed essenza di quei due estremi; e chiamandoli noi di tal guisa, come porta la verit delle loro no- zioni, pensiamo di non lasciare senza risposta positiva o precisa il prefato quesito. 65.  Aggiunge a tutto ci l'esperienza che veramen- te la vita vegetativa apparisce spiegata e in certo modo compiuta eziandio col dove del sicuro non  anima, come nelle piante. E la simiglianza negli elementi, BELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 447 nelle forme e nel processo compositivo  tanta, da fare probabile assai V intervento della cagione medesima nelle due sfere di viventi. Che se Tuomo fabbricasse Finter organo proprio con le sole sue facolt, onde mai procederebbe eh' egli non possa governarlo sovente- mente a sua voglia e la pi parte delle funzioni de' vi- sceri suoi si compiono senza che egli o le cominci o le tronchi o le modifichi in niuna guisa e n' abbia per lo manco un sentimento spiccato e immediato? Del pari, quando sia 1' uomo unico autore e costrut- tore degli organi proprj diventa inesplicabile quella soggiogazione asprissima che talvolta g' impongono e quella specie di sudditanza continua che ad essi lo lega per pili rispetti e in pi cose. J / / AF0BI8M0 Xni. 66.  Debbesi, adunque, affermare che fra il prin- cipio spirituale perfetto e quella materia predisposta di cui facemmo descrizione intervenga un altro prin- cipio non forse materiale ma inetto ancora per s ad effettuare il fine, sebbene lo apparecchia meglio di tutte l'altre disposizioni del mondo fisico; ed  ci che i naturalisti anno domandato pi propriamente organismo o forza vitale. Afobisho XIV. Questo mena il nostro discorso a ragionar della vita che  il subbietto fondamentale e il pernio intor- no di cui s aggira, pu dirsi, tuttaquanta la scienza del Cosmo; perocch ogni ente nella natura vive o i^erve alla vita. 67.  Diciamo, avanti ogni cosa, che la vita nel 448 LIBRO QUARTO. SUO concetto pi universale e pi vero  sinonima essa ancora della finalit e del principio spirituale perfet- to, siccome vedemmo questo medesimo diventar sino- nimo della perfetta individualit. Cotesti termini, adunque, si convertono tutti 1' uno nell' altro, perch esprmono in sostanza una cosa identica. 68.  Salvoch il concetto di vita  degli altri pi sintetico; n solo racchiude la idea del fine attuato o che viensi attuando, ma collegasi in modo strettis- simo all'idea del mezzo e dello strumento. Concios- siach noi dobbiamo definire la vita in universale: la esplicazione e perfezione delV individuo in ordine ai bene mediante un acconcio organismo, 69.  Qui, coin scorgesi a prima giunta, viene contemplato il principio spirituale perfetto, dappoich tale  il vero individuo. Del pari, vi viene contemplata la finalit, perocch questa convertesi in tutto col possedimento del bene ; e V attuarsi di lei importa pre- ciso la esplicazione e perfezione dell'individuo in or- dine al bene. E ancorach la finalit richiami per se medesima il concetto respettivo del mezzo, pur nondi- meno r idea universale di vita lo richiama ad una o lo determina quanto bisogna, perch costringe a pen- sare al mezzo acconciamento disposto e coordinato ad intima unione con l'individuo. Afoeismo XV.  non meno evidente che in questa nostra defini- zione la vita  assunta nella sua verit e pienezza quanto al mondo creato; che della vita sempiterna di Dio non esitiamo a dichiararci molto ignoranti. 70.  Perci, se la vita non prosegue a tradursi in esplicazione e perfezione dell' individuo in ordine al DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 449 bene, noi manteniamo che sar vita dimezzata e non vera, come non vero e dimezzato e solo apparente riuscir il fine ed il bene che debbo quella infor- mare. 71.  Chiamisi pure organismo la vita e facciasi pure tutta la vita consistere nell'organismo; questa accezione  meramente fisiologica ed un accomuna- meuto di nome alla parte strumentale insieme ed alla finale. Laddove poi balena il senso la fantasia ristinto ed altri cenni fugaci di alta e spirituale unit, come appo gli animali bruti, quivi dimora non la pie- nezza ma la pi o meno partecipazione della vita. N di- ciamo diversamente per la esistenza stessa dell' uomo individuo s' egli interrompe ed annulla l' esplicazione e perfezione del proprio essere in ordine al bene. Che se tale svolgimento e progresso adempiesi invece per la maggior parte nel corpo sociale umano e per la virtii e l'opera di esso corpo, noi dobbiamo nondi- meno valutarlo unicamente per quella porzione che ne deriva a ciascun individuo, a cui cresce effettualmente la perfezione crescendo la civilt generale. 72.  Concludiamo che per la nostra definizione l'ente organato vegeta bens ma non vive; l'ente ani- mato non provvisto di ragione e moralit nemmanco' vive ma solo partecipa tanto o quanto all' atto di vita. E che similmente sarebbe da dire partecipe soltanto di vita ogni uomo individuo quando egli non isten- desse nella eterna durata l'esplicazione del proprio essere mediante l' attivit propria sovvenuta da con- veniente organismo. 73.  La vita adunque non  delle cose comuni- cabili ma si ristringe nell'individuo. Quindi se fuori dell' unit sostanziale si spegne, la vita dei generi en- tra nell'ordine delle astrazioni. lliMURi.  n. 99 450 LIBRO QUARTO. Afobismo XVI. 74.  Eziandio, per la definizione addotta, quanto  necessario il concorso dell'organismo altrettanto egli pu risultare di essenza differentissima; e dalle forme materiali ascendere in altri mondi a forme so- praeccellenti e proporzionate a principj spirituali molto pi alti o meglio assortiti. 75. Perci nell' ordine intero del mondo organato e vitale la natura dee procurar sempre di giungere air unimento migliore dell' ottima materia organica e dell' ottimo principio spirituale. Tra questo termine di perfezione e il pi lontano e difettivo cominciamento ogni cosa piglia luogo nella serie degli organismi in- termedj e preparatorj. E vuoisi in ci riconoscere una massima fondamentale della scienza del Cosmo. A, 76.  Se pertanto nel mondo vitale terreno l'uomo  comparso nell'ultima consumazione dei trasmuta- menti materiali ed organici, egli congiunge del sicuro ]ieir essere proprio la perfezione ed unione migliore dei due termini anzidescritti, sebbene noi la giudi- chiamo divisa per troppo grande intervallo dall'arche- tipo eccelso a cui tende egli e sospira, tanto che le reli- gioni pronunziano quasi tutte il dogma della decadenza. Aforismo XVII. 77.  Ma per compire le dichiarazioni che fanno mestieri alla nostra definizione la quale dee contenere tutta la sostanza di questo capo,  bisogno incora DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 451 specular m^lio V ultima frase : mediante tm acconcio > organismo^ e conoscere se v^ rinchiusa ogni sorta e ogni condizione di mezzo, ed  capace di tanta gene- ralit quanta si contiene nella nosione della vita. 01- trech bisogna far disparire qualche apparenza di / incongruit che forse taluno creder scorgere fra V afo- 1 rismo precedente ed il VII. 78.  Senza dubio, il mezzo migliore onde l'ente animato  potenza di operare intorno di s sulle esterne cose  l'organo, il quale si unisce in modo con lui e segue e seconda le sue impulsioni al segno da com- i parire una (fuasi espansione della propria sostanza. Ma  d'altro canto, tale soggezione medesima e tale adatta- mento perfetto importano che la natura dell' organo sia inferiore a quella dell' ente organato. E posto che sia inferiore, non avr efficacia e non recher utile che sopra un mondo altres inferiore. Che  il caso defi- nito di sopra nell' aforsmo VII, e il solo che . porge subbietto ai nostri studj sperimentali. 79.  Ci veduto,  da ricordare che il bene, il quale significa eziandio il fine e per nota il ritorno della creazione al principio suo, distinguesi in^relativo ed in assoluto. Nel primo  un vestigio e una transitoria similitudine del secondo, ed  proprio degli enti finiti in quanto finiti e per ci che operano nella cerchia dei beni creati. Seguita che il pi maraviglioso ed efficiente degli organi, quando anche signoreggi la natura intera e r usufruisca, non attinge nessuna parte del bene as- soluto; il quale poi diviene accessibile a certa schiera di viventi, conforme il modo e il grado di congiun- zione che accade fra lui ed essi, introducendosi nel- l'ordine della finalit un principio diverso e alla na- tura superiore. Da ci discende che l' organo il quale aiuta al conseguimento dei fini relativi non pu non 452 LIBRO QUARTO. differire sostanzialmente da quello che innalza il vi- vente alla fruizione del bene sovraniondano. 80.  N solo questo secondo dee differire sostanzial- mente dair altro, ma occorre innanzi tutto considerare se sia conveniente e fattibile. Attesoch abbiamo fer- mato pi sopra che T organo, quando non muti di so- verchio la significazione del nome, tramezza tra un principio spirituale superiore e una creazione inferiore. Ma trattandosi del bene assoluto, 1' ordine fra il prin- cipio il mezzo ed il fine  invertito ; e il fine essendo superiore d'interminata distanza al principio spiri- tuale, conviene che V ente il quale tramezza partecipi della superiorit del fine ed ecceda per qualche lato la bont e nobilita di esso principio spirituale. In tal caso vede ognuno che il mezzo, o il sistema dei mezzi, non pu assumere convenientemente il nome di orga- no ; perocch non s'intende, e l'accennammo qua ad- dietro, come qualcosa di superiore al detto principio s' immedesimi con esso lui in modo tanto subordinato da perdere ogni individualit propria e divenire effet- tualmente porzione integrale dell'essere altrui. 81.  Barategli, almeno, strumento staccato sebbene docilissimo, in quella maniera che si figurano certi genj dell' aria o del fuoco pronti e obbedienti ad ogni cenno dell' uomo per opera d' incantesimo ? Ci, per mio giu- dicio,  vana fantasia, se non si suppone che quegU spiriti superiori si sottomettano all'uomo ovvero ad altro ente morale per atto di amore e di abnegazione. Ma  pi ragionevole il credere che una interposi- zione s alta ed eterea (per cosi chiamarla) non pi- glier unque mai la forma e l'abito strumentale; ma gli enti superiori che l' operano compiranno invece r ufficio loro con la virtii indipendente di mediatori sublimi. DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 453 A, 82.  Non dicasi che questo tema esce affatto dai termD della cosmologia, dappoich trascende la na- tura e l'universo visibile e tutte le sorte di organi dei quali abbiamo notizia. A noi sembra che volendo la scienza trattare generalmente dell' ordine di tutta la creazione piglia obbligo altres di scrutare l' ordine delle congiunzioni e partecipazioni ascendenti dello spi- rito con l'Assoluto, insno al segno al quale pu il raziocinio salire, ragguagliando continuamente le con- dizioni del finito con gl'influssi salutari e divini del- l' infinito. Afobismo XVIIL b3.  Se non che, abbiamo notato in altra parte della cosmologia dovere l'ente che  ragione di fine pervenire al possesso del bene per isforzo di attivit e volont propria. Quindi gli conviene inflettere sopra s stesso e dispiegare le sue facolt per guisa da cre- scere con esse e a grado per grado la conquista del bene assoluto; ovvero raggiungere il fine medesimo per concorso ed aiuto dei mezzi esteriori. Ma non pu il primo onninamente senza qualche opera del secon- do. Imperocch alle facolt sue pi nobili q, vigorose  spediente ricevere l' eccitazione iniziale fuori di s ed occorre sempre il sovvenimento di qualche sistema di mezzi, onde supplisca alla insufficienza e limitazione innata ed inemendabile del proprio essere. N tale sistema di mezzi n l'eccitazione iniziale gli pu pro- venire immediatamente dall'Assoluto, che  incommu- tabile, e il quale, come si scrisse nel Libro terzo, nien- 454 LIfiBO QUARTO. tre con un atto infinito e perpetuo produce ogni cosa, prescrive similmente che le cause seconde facciano tutto. E d' altro canto, la congiunzione immediata con TAssoluto senza alcuna Tirt intermedia che susciti, serbi e dilati le forze operose della finita creatura, di- cemmo altra volta doverla attrarre e occupare con tal veemenza e tale pienezza da mantenerla in sempiterno nella pi profonda passivit. 84.  Ora, una eccitazione varia insieme ed assi- dua, sempre bene proporzionata e per ogni verso con- veniente e omogenea non pu altronde provenite che da qualche sorta di organo il quale sia parte delU in- dividuo nel mentre pure che  diverso da lui e alterni con esso continuamente la causalit e l' effettualit, r agire e il patire. 85.  Lo inflettere poi dell' anima sopra se stessa a ci dispieghi la propria potenza e proceda gradata- mente e con metodo al conseguimento del fine o del bene che s' abbia a dire, dee produrre esso medesimo una sorta di organo spirituale ; e intendesi che l'anima adempia intrinsecamente una sequela ed una cospira- zione tale di atti che le serva di mezzo continuo e quasi manesco per trapassare regolarmente a innume- revoli altri atti capaci di vera e progressiva finalit. Questo  fatto chiamare organo la logica di Aristotele e Parte induttiva di Bacone; e di questo nome credo potrebbero andar fregiate parecchie altre discipline, secondo sar veduto nelP ultima parte della Cosmo- logia. 86.  Del pari, dimanderemo di tal nome cert' ordine di mezzi esteriori dal quale risulta, per via d'esempio, r assetto sociale e politico d'una citt e d'uno Stato ovvero un esercito condotto a battaglia od altro corpo  nuove e singolari di corpi ; ma s le procura con ogni > industria e sveglia e cimenta continuo tutte le forze , latenti della natura ; onde  pervenuta a produrre , combinazioni di corpi o sceveramnti in natura forse ^ non reperibili e a rifare la costituzione d'innumere- voli minerali e indovinare &cilmente ed esattamente ^ la costituzione di tutti. NuUameno ne la vita vegeta- tiva n cosa che la somigli  mai balzata fuori dalla scienza e dalle industrie dell' uomo. 109.  Oltre di ci, se per suscitare la vita vege- tativa fanno sommamente mestieri le forze della mate- ria e certo concorrimento speciale e particolare di cause e di circostanze altres materiali, egli accade di avere a mente che le azioni particolari e specifiche non occul- tano interamente l' universale a cui appartengono e di cui all' ultimo costituiscono un modo e un atto pi o meno diverso. Di tal guisa, sebbene la virt magne- tica comparisce spiccata e pi assai operosa nelle ca- lamite, si trov col tempo che ogni corpo qualechessia ne partecipa in qualche grado ; e se le afiinit, per  Mamu^i. - Il 30 466 LIBRO QUARTO. citare un secondo esempio, diflferiscono profondamente dalle leggi meccaniche, non per di meno queste fannosi ravvisare contnuamente nei fenomeni chimici, essendo pi generali e pi permanenti e dovendo perci ac- compagnarli e mescolarsi con essi. Rimane, adunque, ^esplicabile come degli atti pi sostanziali e qualita- %vi della vita nessuna generalit e nessuno indizio t comparisca giammai nella materia inorganica. Per / , fermo, in cotesta materia a nessuno venne mai ravvi- ' sato qualcosa che faccia indizio della eccitabilit ov- vero della nutrizione o della prolificazione, qualcosa di simile alla virt formativa interiore ed allo svilup- po, volendosi qui tacere di tuttoci che appartiene, per nostro giudicio, allo spirito come il sentire e il .volere e pi ancora l'intendere e l'altre doti sublimi della personalit. III. 110.  L'aver discoperto i moderni con maggiore esattezza che le leggi comuni della materia proseguono ad operare nei corpi organati, invece di giovare al supposto della vita potenziale universa, gli milita con- tro. Per vero, nessuna di quelle leggi va esente nella vita effettiva da profondissime modificazioni, e talvolta vi dimorano trasmutate per guisa da faticare assais- ^ simo r occhio del fisico e del fisiologo per ravvisarle. . Il che  gran pena a spiegare se le leggi della vita e quelle della materia in essenza non differiscono e sono le une e le altre modificazioni ed effetti delle forze medesime. D' altro lato, che leggi meccaniche e chimi- che non annullino per intero l' opera loro nella ma- teria organata  naturale e necessario, perch V ultimo fondo delle essenze persiste e ninna straniera eflicacia DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 467 le abolisce. Ma bene la modificazione loro sostanziale ed intrnseca addita evidentemente V azione d' una ef- ficienza superiore e diversa. Vedi quello che diventano le leggi idrauliche nei fenomeni della circolazione ani- male e quello che le leggi della capillarit negli ani- mali e nelle piante. Imperocch in queste (per pure un qualche particolare) i succhi, giusta le l -deir attrazione capillare, dovrebbero fermarsi nei vi ad un' altezza determinata e non ascendere mai insini air ultimo vertice.  quando si ricorra ad altro genere di spiegazione meccanica e (poniamo) all' endosmosi, dovrebbe V ascendimento dei succhi avvenire in ogni stagione, considerato che in ogni stagione la costruttura dei vasi non muta. Spenta anzi la vita stessa del ve- getabile, dovrebbe l' ascendimento dei succhi ottenersi artificialmente per tutto quel tempo che i vasi riman- gonsi inalterati. Per simile, se 1' elevazione dei succhi procede da causa meccanica, questa non pu produrre l'effetto inverso della discensione, la quale dentro la Gara si fa ocularmente e succede negli stessi e iden- tici vasi solo che la parete  scambiata. 111.  Del pari, negli animali dovrebbero gli umori fennarsi per ostruzione alle boccucce dei vasi pi sot- tili di un centesimo di millimetro, dovech vi trapas- sano con velocit indicibile e non ostante la loro so- stanza oliosa e viscosa. 112.  Vassi predicando che nella materia organata ogni combinazione di elementi accade per l^gi di af- finit. E cos, ripetiamo, debbe succedere. Considerato che quando quegli elementi si combinassero per una efficienza al tutto aliena dalla forza chimica, ei si do- vrebbe giudicare o che la vita distrugge essenzial- mente le forze mentre queste sono perpetue e incon- sumabili 0 che produce originalmente altre forze e le 468 LIBRO QUARTO. insinua dentro i subbiett che ne sono sprovveduti. Ma venne ricordato pi volte da noi quel principio onto- logico il quale reputiamo assoluto e per universale, e cio che le forze emanano dalla cagione prima e non da veruna causa inferiore, conciossiach queste lignificano bens ma non creano. 113.  Ci non ostante, la ejficienza vitale spiega iieir ordine delle affinit chimiche una tal gagliardezza, che, dove questa non operasse, troppa gran parte di quelle giacerebbesi potenziale e inattiva per sempre, e nel rimanente poi sono indotte modificazioni nuove, sin- golari e profonde. La virt sola vegetativa sceglie dalle sostanze ambienti le convenevoli a se e lascia tutte le altre ; solo essa trasmuta le composizioni binarie in com- posizioni molteplici, genera materie e prodotti infiniti con propriet fisiche e mediche maravigliose; centuplica gli atomi in ogni molecola e porge agli organi difi*e- renti facolt differenti di assimilazione e di secrezione. 114.  Se la scienza  pervenuta con istento e trava- glio grande a produrre fra i metalloidi alquanti compo- sti ternarjle quademarj, prova unicamente con ci che alla forza chimica quei composti non sono impossibili : ma prova altres che V intervenimento solo della forza vitale li sa costringere a venire in effetto continua- mente e in ogni luogo e tempo dov' ella opera. Le altre numerose riproduzioni ed imitazioni che fa essa la scienza delle materie ammali e vegetative abbisognano del fondamento d' una molecola organica ; laonde tutte queste, in cambio di dimostrare parit di natura fra il mondo vitale e il mondo corporeo, ne confermano largamente la essenziale differenza. 115.  La chimica senza alcun elemento organico  pervenuta a comporre l'acido formico, l'alcool ed una specie di grasso. Ma delle sostanze dov' entra l' azoto DELLA VITA E DEL FINE NELL' UNIVERSO. 469 e onde si formano il sangue e i semi di tutte le piante non le  stato possibile di produrre (ch'io sappia) fuor che l'urea la quale, ben fu notato, tiene uno degli ul- timi gradi fra le produzioni animali e sembra poter esser mutata assai di leggieri in composizione binaria. IV. 116.  Spegnesi la vita vegetativa quante volte le ia negato di rinnovare di continuo la sua contenenza ; ed  sommamente probbile che ci provenga dal di- morare gli elementi e i principj di questa fuori dello statp lor proprio e che la energia vitale sia valida a tra- mutarli e predominarli per assai poco tempo. Ora, con- forme il supposto che combattiamo di parecchi fisiologi, il subbietto operoso il quale resiste da un lato alle forze contrarie dell' ambiente materia e dall' altro le assimila a s con flusso continuo, le violenta e le sot- tomette al dominio di leggi diverse e non rado opposte, e prosegue a cos tramutare e governare l' incorpora- mento delle sostanze esteriori pel corso talfiata di pi d' un secolo, cotesto subbietto, noi ripetiamo, sarebbe materia esso ancora in circostanze particolari bens ma non distinta e non separata dalla forma comune per veruna essenza speciale e originalmente diversa. Il che importa all' ultimo che la materia mediante un certo concorso di cause non punto diverse per natura da s medesima ponesi in lotta con le facolt e tendenze proprie e produce effetti diversi e contrarj dalle cagioni. 117.  Nella sola vita poi  capacit e attivit di sviluppo, altra condizione essenziale che ne contiene parecchie similmente essenziali ed originali ed anzi un intero mondo di fatti e fenomeni peculiari ed ignoti al mondo corporeo. Certo, la materia non li conosce. 470 LIBRO QUARTO. In lei tutte le composizioni meccaniche e chimiche sono effetto di altrettante scomposizioni anteriori e le at- tuali debbono disfarsi perch succedano le future. Ol- trech, i corpi che si combinano, sebbene mutano di qualit, non perci si debbo affermare che in essi ac- cade aumento di essere e cumulo di propriet e di potenze. Il ferro combinandosi con V ossigeno e il mer- curio collo zolfo perdono parecchie loro attribuzioni e parecchie nuove e diverse ne acquistano. Parimente, i sali diventano una sostanza affatto dissimile dai com- ponenti; e mentre assumono qualit ed efficienze par- ticolari non serbano quelle che negli acidi e negli alcali si manifestano. 118.  In genere la materia trascorre continuo dalla potenza all' atto nel modo che toma altres continua- mente dair atto alla potenza e non v'  incremento e guadagno. Per contra, nella vita vegetativa accade un reale sviluppo; conciossiach un gran cumulo di po- tenze e di facolt vengono all' atto di grado in grado con ordine con unit con maraviglioso consenso e me- diante la efficienza ed attivit interiore; da onde poi nasce la composizione d' un tutto progressivamente maggiore e migliore e cosi omogeneo nel suo complesso come diverso nelle parti ; il che importa alla fine un' au- mentazione vera di essere e certa individualit com- piuta o per lo manco certa totalit peculiare e dal rimanente mondo separata. 119.  Ora, ci costituendo un fatto non guari ac- cidentale, ma generale e perpetuo, quando provenisse dalle forze sole della materia, questa dovrebbe sempre ed in ogni dove usare e manifestare alcuno sviluppo. Dal concorso speciale che si suppone delle cause e delle circostanze dovrebbe procedere unicamente talo indole particolare e tale altra di esso sviluppo; ma la DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 471 virt sua perenne universale ed ingenita operar do- vrebbe e dimostrarsi in qualunque materia. 120.  Per fermo, tutti i ragguagli e le somiglianze che taluno  procacciato di fare scorgere tra le com- posizioni e trasmutazioni cosmiche e la vita dei vege- tabili e degli animali sono riuscite romanzesche e fal- laci e vie maggiormente anno accertato la differenza ' non dissipabile fra le leggi meccaniche e fisiche e le . leggi proprie ed essenziali dell'organismo. Debbo io consumar tempo a provare la vanit delle nozze che dicono intervenire fra le montagne e la differenza loro di sesso, ovvero gli alti connubj ideati fra la luna e i pianeti e 1' umor seminale raffigurato nelle comete e simili fantasticherie? Per gli scienziati non anno soli- dit, per li poeti non anno eleganza. 121.  Vero  che noi trattando nel terzo Libro del mondo materiale abbiamo accennato piii volte alle sintesi terminative che la natura vi conclude ; e questo nostro globo fu descritto da noi quale una macchina portentosa dove ogni parte risponde al fine del tutto e dove le ultime trasformazioni compendiano, per cosi dire, le precedenti ed apparecchiano con ordine, con legamento e con armonia il letto nuziale alla vita ; il che si dir somigliare grandemente alla virt di svi- luppo da noi descritta poc' anzi ed attribuita solo alla potenza organatrice. 122.  Non ci  malagevole lo sciogliere questo nodo ; a ci bastando il mettere in considerazione che gli sviluppi vitali sono per facolt interiore ed innata dell'essere il quale spiega, figura, costruisce ed unifica s medesimo. Laddove quel concorso vario ed armonico degli elementi materiali del globo accade per effetto d' un ordine prestabilito, al quale obbediscono per ne- cessit interiore le forze corporee disgiuntamente V una 472 LIBRO QUARTO. dair altra e accostandosi Tuna sostanza all'altra mosse da legge che anno a comune con tutto il creato visi- bile, e non alterando minimamente la propria indolo per entro la massa alla quale si uniscono.  insomma intervengono fra. la struttura del globo e la composi- zione organica quelle differenze profonde e qualitative che notammo pi d' una volta fra la migliore delle macchine e la inferiore delle sostanze viventi. 123.  Un sol progresso  da notare nella mate- ria generale che non dipende in particolar modo da fini prestabiliti ma s dalla necessit propria ed inge- nita, e questo  il varcare che fece dalla disgiunzione alla congiunzione ; perocch, accostandosi gli atomi per comporre diversi ordini di molecole e queste per com- porre i piccioli corpi ed i grandi, poterono le virt latenti della coesione e dell' affinit chimica venire all'atto; in quel mentre che per addietro non appa- rivano. Quindi nella materia fu augumento vero di essere e di propriet. Sebbene ci non accadde al si- curo per ogni dove, siccome pu riscontrarsi negli afo- rismi genetici del terzo Libro. Ed anche debbo avver- tirsi che queir incremento di essere  meno verit in se medesimo che rispetto al fine a cui venne coordi- nato; della qual cosa discorrer pi per minuto r ultimo Libro. V. 121:.  Per verit, sonosi parecchi fisiologi di Ger- mania avveduti troppo bene di queste intime discre- panze tra la materia comune e la vita vegetativa. Per, taluno di loro, e il Trivisanus, fra gli altri, affer- mava esistere nella natura certa materia particolare sempre attiva e sempre unita ne' suoi elementi, la DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 473 quale per se  informe ed  nuUameno capace di as- sumere ogni variet di forme; e queste vengono de- terminate in lei e variate dalle cause esteriori ; il per- ch durano quelle forme insino a tanto che durano e perseverano le cause medesime. Mutate queste ed al- tre forze esteriori operando^ subito ella piglia altra costruttura ed aspetto. 125.  Il Trivisanus confessa impertanto che la materia comune non basta a produrre la vita vegeta- tiva o r organismo che si domandi, ma pone in mezzo altro genere di materia con forze proprie ed originali. . N di questo vogliam disputare. Solo neghiamo che il subbietto vivente qualchessia riceva passivamente dalle cagioni esteriori le forme sue. Per lo contrario, egli determina e informa s stesso, parte trasmutando r ambiente natura, cui assimila a s, e parte adattan- dosi e modificandosi, giusta le condizioni diverse di essa natura. Per guisa che, quante volte V accordo fra la virt formativa intrinseca e l' ambiente estrinseco non  conseguibile, la vita non incomincia e i germi stessi attuali e presenti o non sbocciano ovvero periscono. 126.  Altri come il Bourdach con pii elevato con- cepimento non nega n attenua le diversit essenziali che separano la materia organica dalla inorganica. Ma le spiega (secondo lui) con agevolezza, ravvisando nella vita vegetativa una forma e manifestazione finita e particolare dell' infinito organismo dell' universo. Il perch presume di riconoscere nel sistema planetario la pi parte delle disposizioni proprie e qualitative degli enti organati ; e il simile con maggior perfezione immagina che debba succedere nelle innumerevoli ag- glomerazioni delle stelle fisse. 127.  A noi baster il rimetterci che facciamo a rispetto di tal materia alle cose ragionate pi sopra 474 LIBRO QUARTO. intorno al mondo corporeo. Discorrendosi in astratto e per mera supposizione, ninno al sicuro potr negare la possibilit d' un sistema di astri organato e vivente a guisa d' un vegetabile e d' un animale, figurandosi certa complessione arcana ed unificata della sostanza siderea non diversamente forse da quella che appresso Platone costituisce l' anima e 1' organismo del mondo. Ci che affermiamo con certezza in tale proposito si  che l'esperienza non ci abilita insino al d d'oggi ad applicare tale possibilit astratta ai pianeti e alle stelle che conosciamo e in quanto le conosciamo. 128.  Ed  similmente disforme dalla buona dia- lettica il credere che il mezzo e il fine non differiscano^ intrinsecamente ovvero che l' uno si converta nell' al- tro. Imperocch questo accade talvolta per accidente e per relazione e partecipazione, come scorgesi nei ve- getabili e negli animali bruti che oltre ad essere fine a s stessi servono eziandio di mezzo a maggiori viven- ti. Ma ei sono mezzo per indiretto e dopo essere stati fine ; quando la natura meccanica e chimica non  per nulla fine a s stessa ed  mezzo primo e ante- riore ad ogni rimanente. E cos  necessario che av- venga in qualunque ordine di esistenze; perloch se nelle stelle e nei pianeti v' anno enti con ragione e natura di fine,  pur necessario che allato ad essi e prima del lor comparire sieno altri enti costituiti con ragione e natura essenziale di mezzo; e se le stelle e i pianeti sono essi medesimi grandi corpi organati bisogna che altri corpi uguali o maggiori forniscano loro le materie strumentali e gli antecedenti appa- recchi inorganici; e torna da ogni parte la distinzione tra le propriet e le leggi delle essenze organate e r altre onde s' informa ed  governata la comune e universale materia. DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 475 129.  Va un' altra schiera di fisiologi in Italia segnatamente, ai quali non sembra da sostenere che la vita vegetativa  opera generale e continua della materia, mediante un riscontro speciale di ca^goni e di circostanze. Ricorrono invece all' incognito dei tempi genetici, e dicono le forze della materia essere state in quella epoca straordinaria dotate d'una potenza che in progresso si  spenta; e insomma attribuiscono il fatto maraviglioso della vita a cagione insolita e ino- pinabile sotto il cui influsso nacquero i germi e di quindi la rinnovazione giornaliera e normale di essa vita. 130.  N a costoro sarebbe da obbiettar nulla se quella cagione straordinaria invocata fosse di natura diversa dalla materia. Ma se fu materiale anco essa, e d' altro canto le essenze e le forme sostanziali non mu- tano, si  intero arbitrio di chiedere quale delle forze della materia valse a tanta opera e come accadeva che la virt sua portentosa venisse indi al niente. 131.  Parlandosi in genere, lo straordinario  ac- cidentale; perciocch quello che in un essere  so- stanziale e qualitativo opera sempre; e se non sempre, opera almeno con regola ferma di alternazione ; dapoi- ch la regola esce appunto dal fondo costante e sostan- ziale dell' essere. Ma 1' accidente, o dir vogliamo h\ fugace modificazione e congiuntura delle cose, non in- duce se non effetti altres accidentali; e come la ca- gione fu transitoria, medesimamente sono gii effetti. Ma  impossibile attribuire il fatto sostanzialissimo dalla vita vegetativa e il suo rinnovarsi e perpetuarsi a cagioni accidentali e fugaci. Oltrech, la materia avrebbe per accidente operato cose pi perfette e me- glio conformi al fine delle esistenze che quando opera a norma di sua natura propria e costante. 476 LIBRO QUARTO. 132.  Questo medesimo si risponde ai nuovi ma- terialisti tedeschi e in particolare al signor Biichner. il qyale, per nostro avviso, cade due volte in contraddi- zione. L' una, attribuendo alla materia la forza vitale che  d' altra natura e d' altro principio ; la seconda, che mentre V attribuisce, la nega implicitamente per- ch concede che oggid la materia  incapace di pro- durre la vita e questa si mantiene per la successione dei germi. 133.  Vero  che gli avvenimenti i quali a noi compariscono straordinarj ed accidentali perch non veduti mai prima e perch li giudichiamo sforniti di legge e senza tempo determinati, possono al contrario possedere l' una e V altro perfettamente sebbene in modo non apprensibile alla nostra esperienza. Vero  similmente, che posta pure da banda la gretta mate- ria e invocato per dar nascimento alla vita alcun altro principio, nondimeno convien riconoscere che in questo principio medesimo intervenne alcuna cosa straordinaria e non pi ripetuta dappoi. Conciossiach la vita, tuttoch operi sempre ed in ogni luogo, ci fe mediante la successione dei germi; e vedesi che non potrebbe in guisa veruna ripigliare il suo corso, inter- rotta che fosse quella catena riproduttiva. 134.  Noi sopra ci diciamo per al presente che lo straordinario  pur anche accidentale e non esce dal fondo dell'essere qualunque volta la causa che opera non riceve nulla dal di fuori e non intervengono na- ture sostanziose e aflFatto diverse alla produzione del nuovo fenomeno; che era il caso appunto della materia operante da s e per s. Diciamo poi che certamente al principio vitale, affine che venga in atto, bisognano in origine alcune occasioni esteriori ed alcuni apparecchi non dipendenti da lui e levati i quali esso rimane in DELLA VITA E DEL FINE NELL' UNIVERSO. 477 istato di mera potenza; nel modo che tutte le forze ed i componenti chimici giacerebbono inattivi e in solo etato virtuale quando fossero impediti di approssimarsi fra loro dentro quel termine dove l'attrazione di af- finit incomincia. 135.  Quello, pertanto, che il nostro discorso esclu- deva pi sopra in modo assoluto si era che la mate- ria procreasse la vita con la sola materia quali che fossero le attitudini e le condizioni delle sue forze e figurandole a piacer nostro ordinarie o straordinarie, peculiari o comuni, sostanziali od accidentali operanti per efficienza o per occasione; eccetto sempre, che non si muti significazione ai vocaboli e la materia venga ad esprimere cosa troppo diversa da quello che cono- sciamo sotto tal voce. Ma rimanendo fermo il valor del vocabolo e concedendo per esso alla natura dei corpi le qualit sole del mondo meccanico e della chi- mica inorganica noi manteniamo che nulla giova al Biichner ed a' suoi consorti l' appellarsi all' autorit e potenza del tempo e affermare intrepidamente che i bilioni di secoli valsero a condurre una tenuissima cellula, organica allo sviluppo variet e complicazione del presente organismo. Colui che stupiva dell'avere san Dionigi recata sulle proprie palme la propria testa pel tratto di una lega, sent dirsi con ragione che la difficolt consisteva tutta nel primo passo. 136.  Tu mi chiedi nuli' altro che una cellula microscopica con la virt di comporne altre a s si- miglianti, e sembri la persona pi discreta del mondo. Ma invece mi chiedi effettivamente ogni cosa, perch vuoi ti conceda la forza di organizzar la materia e mantieni che quella forza debb' essere d' una stessa natura con la materia medesima. 478 LIBRO QUARTO. VI. 137.  La causa adunque e il principio della vita vegetativa differisce da tutte le forze che operano nella materia comune ed  superiore ad esse, dacch le predomina ed alle leggi sue proprie e particolari le sottomette. 138.  Simile causa non pu risolversi in vuota astrazione ne mancare d' un aubbietto in cui si su- stanzii; e ci che domandasi forza vitale vegetativa debbe riuscire un principio reale e fondamentale di attivit non un modo n un accidente. Quindi da que- sto Iato si mossero censure legittime ai vitalisti che spesso parlarono in guisa da far della vita qual cosa d' indeterminato e d' aereo, una certa generalit che mai non si concreta nel positivo e nel sussistente. 139.  Ma per il subbietto di cui discorriamo nem- manco debb'essere necessariamente uno ; e se uno sotto certi rispetti, non pu essere assolutamente impartibile e indivisibile. Conciossiach V esperienza ne mostra ogni di che il ramo d' una pianta pu metter radice e fare pianta da s ; e molti semplici si moltiplicano mediante ]e foglie loro ; ed eziandio la met d^ina foglia, o meno,  bastevole a ci. Una foglia d'Ornitagalo tirsoide con- servata nelle cartelle d' un erbario spieg dentro al tessuto del suo parenchima gran copia di corpicelli globulosi, alcuno de' quali messo fra terra con modo e riguardo germogli e produsse un nuovo Omitagalo tirsoide. Che pi? Vogliono i botanici che qualunque cellula di pianta, posto che ogni circostanza sia favo- revole, pu convertirsi in gemma e da questa pullulare la pianta novella, e se ne  esempio nella origoma della Linularia e in qualche altro semplice. N ci DELLA VITA E DEL FINE NELL' UNIVERSO. 479 si avvera unicamente nei vegetabili ; che v'  certa, specie di polipi i quali trinciati a minuzzoli ripigliano in ciascuno di questi la vita e ciascuno si converte in polipo nuovo. 140. Ora, se nelle piante e in certi animali infe- riori il principio vitale fosse uno e impartibile, qua- lunque membro se ne staccasse dovrebbe perire, o perir dovrebbe il corpo e vivere il membro; dapoich quel principio vitale non pu rimanere uno e dividersi in- sieme insieme tra il corpo principale e il membro spiccato. 141.  Pu darsi, adunque, una vita ed un orga- nismo vegetativo senza bisogno di sostanziale unit, e per entrambi non procedono da causa impartibile come sarebbe ci che domandasi un' anima. Per altro, quale che sia co tal causa, ella debb' essere tuttora pre- sente e operosa in ogni molecola del corpo organato e debbe almeno costituire un complesso distinto e se- paratissimo dalla natura fisica ambiente, serbando altres fra le parti una specie di nesso comune ignoto alle sostanze inorganiche.  142.  E perch appunto cotesto tutto organato si scevera profondamente per le sue qualit ed atti dalla nuda materia, usurpa il nome di vita e di organismo vegetativo; sebbene la vita vera e perfetta  in esso appena iniziata, come il progresso di questo trattato verr dimostrando. 143.  Imper, cotesta causa, o virtii efficiente che la si chiami, ancora che per gli effetti visibili paia identica a s medesima per ogni parte dell' ente organato, pu, certo, esser molteplice e varia ne' suoi fattori ; e pu eziandio succedere che nell'ente organato non operi e non disponga, come a dire, una monade sola e sovrana, ma parecchie e forse anche innumerevoli, unite insieme 480 LIBRO QUARTO. coordinate e costituenti un sistema particolare di azioni diverse ed ancora opposte all'azione ambiente. Dalla sfera di quelle azioni interiori e diverse  costituito l'individuo vivente di cui discorriamo; e quindi come l'unit sua  relativa cos la sua individualit. La vera e assoluta  luogo nel colmo, a cos parlare, della gerarchia dei viventi nel modo che fu accennato pi sopra e ripeteremo qua oltre. Tale sistema d'azioni, che in sul primo raccogliesi virtualmente dentro i con- fini del germe, diffondesi poi e dilata a reggere la or- ganizzazione intera o della pianta o dell' animale infe- riore. 144.  Teniamo, adunque, per ben dimostrato e ben saldo che i principj attivi d' un ente organato (guar- dandosi alla vita sola vegetativa) sono tanti per lo meno in quante parti si pu quello dividere. E per- ch ciascuna di esse parti divenuta un individuo sepa- rato e vivente pu soggiacere allo smembramento me- desimo ed ai medesimi effetti, cos chiunque non istimi di riporre nel primo vegetabile o nel primo inferiore animale comparso nel mondo un numero effettualmente infinito di monadi sufficiente alla indefinita moltipli- cazione di quel vegetabile e di quell' animale gi pel succedere di tutti i secoli, si sentir violentato ad am- mettere che v'  negli enti organati non pure un flusso perpetuo di nuova materia, ma eziandio un flusso scarso 0 copioso, tardo o frequente di principj attivi o monadi che le si voglian chiamare. Peggior partito sarebbe di credere che ogni germe nuovo ed ogni membro, ramo 0 foglia spiccata, accatta dal germe anteriore e dal corpo e tronco una emanazione o comunicazione di principj vitali attivi. Dacch abbiamo riconosciuto qua poco addietro e cento volte l'abbiam ripetuto nell'Opera nostra che i principj quanto le forze non si emanano DELLA VITA E DEL MNE NELL'UNIVERSO. 481 e comunicano da subbietti sostanziali finiti ; imperoc- ch ci varrebbe come crearli. 145.  Negandosi poi tutto questo, rimane di ab- bracciare per realit le astrazioni. Avvegnach la na- tura  tuttaquanta costituita di enti particolari ; e per ci medesimo noi ripudiamo quelle efficienze individue insieme ed universali, i Genj delle sfere, l'anima del mondo, V Arcbeo e simili esseri misteriosi e d' infinita potenza. Nessuna cosa, al credere nostro, tolse credito alla fisica antica e alle cosmologie del secolo decimo- sesto e decimosettimo quanto cotali supposti di influenze e ingerenze universali ed astratte che in niun subbietto particolare si concretano e si sustanziano. N perch simili fantasie rinascano ora col nome d' Idea Assoluta tragittantesi per varie trasmutazioni legate insieme da sola apparenza di necessit fsica o logica, veggomi astretto di approvarle e accettarle pi volentieri. 146.  Del resto, a noi sembra un voler quasi op- pugnare la evidenza medesima persistendo a negare che nella forza vitale non sia qual cosa di ben defi- nito di sostanziale e d' intrinseco all' ente particolare in cui si manifesta, e il quale  complessionato via via e serbato intiero ed incolume sempre da un atto im- manente di lei. Quindi l' operar suo non  somiglianza con quello, per modo d'esempio, dei fluidi impondera- bili, la cui natura porta che ancora che compariscano per ogni dove e sieno come a dire forze concomitanti e perpetue d' ogni fatto e fenomeno fisico, nullameno per s non costituiscono nessun corpo individuo e non anno forma propria e durevole nella maniera che non ne  r aria od altra sostanza gazeiforme. 147.  Quindi, se la forza vitale dimora ed opera interiormente e sostanzialmente nel corpo entro il quale si palesa; e d'altro canto, non  una di necessit e Mamiari. II. 31 482 LIBRO QUARTO. impartibile ed anzi pu dividersi in tanti principj at- tivi in quanti rami o foglie o semi o membretti si an- noverano in certa pianta e in certo animale inferiore, quegli agenti diversi dalla materia a cui demmo nome di monadi sono cosa reale e provata. Risulta eziandio dall' osservazione generale e costante sui fe- nomeni organici e segnatamente sul fatto del conver- tirsi in nuovo individuo le parti staccate e da ogni banda separate che un flusso di monadi nuove V una air altra succedenti nel corpo organato  verit posi- tiva e non guari suppositiva. 148.  Ora, aggiungiamo che sebbene per la im- materialit loro non s'incontri quella dimostrazione piena e patente che esponemmo di sopra rispetto a un pili alto principio spirituale, non pertanto  assai ragionevole che le si reputino inestese affatto e incom- poste ; perocch, da un lato, elle sono prevalenti mai sempre sulla materia in che operano ; ne dee pensarsi che quando cessa la vita vegetativa soccombano per lo contrario alle forze della materia inorganica; es- sendoch od elle cessano al tutto ogni attivit loro ed ogni passivit, ovvero trapassano ad avvivare altra materia disposta a ricettarle. D' altro lato, si fanno esse conoscere sempre quali forze invisibili ; e voglia- mo significare che niun fenomeno di materia e di spa- zio pu ad esse attribuirsi come loro immediata ine- renza e accidenza ; ma in quel cambio ogni fenomeno corporeo manifestasi esternamente quale pertinenza e modo della materia organata, tuttoch la cagione sua vera efficiente ed intrinseca sia di continuo da rico- noscere neir azione occulta e profonda di quelle forze. 149.  Del pari, il consenso perfetto che lasciasi scorgere in tutti gli atomi d' un corpo vivente sembra convenire all'azione di esseri che non conoscono ma- DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 483 terale separazione nel comunicarsi la loro virt e che ponno farsi presenti in qualunque minima parte sic- come nel tutto. 150.  Ad ogni modo, se materiali sono le monadi organatrici, del sicuro la materia loro  differentissi- ma per intima essenza dall' altra comune e della quale  costituito il mondo meccanico e il mondo chimico. Per lo contrario, se tali monadi, com'  giusto di cre- dere, sono sfornite d' ogni materia, operano nondimeno nello spazio e nei corpi e sono congiunte assai stret- tamente a qualche forma di estensione per modo che tolte di l e separate perdono ogni virt attiva e ri- cascano nel nudo essere potenziale. VII. 151.  Cotesto monadi poi sono o diverse in fra loro o diversamente operano l'una a rispetto dell'al- tra o sono e fanno entrambe le cose. N sembra cre- dibile eh' elle discordino dalla legge comune a tutto il creato e la qual pone il contrario dentro alle somi- glianze medesime e che per taluno fu domandata ele- gantemente legge di polarit. Conciossiach negli enti finiti e corporei non si esce dalla impotente medesi- mezza eccetto che per alcuna diversit ed eterogeneit di complessione e di atti. Gi notavasi nelle piante certa specie di polarit fra la pi mula e la radichetta e che il fusto ed ogni altro organo dividesi in due parti conformi e contrarie insieme; perocch in verso contrario vanno a congiungersi. Ma di ci parleremo ad altra occasione, e gli esempj si offrono per s stessi dovunque si guardi. 152.  Si aggiunga che negli enti di maggior per- fezione organica non debbono far mancamento varj 484 LIBRO QUARTO. ordini di monadi alcune prevalenti ed alcune subor- dinate. Avvegnach le parti diverse di un tutto non bene concordano insieme e non compongono forte e feconda unit se non per mezzo della suggezione loro da certa virtii centrale predominante e coordinatrice. La qual virt nondimeno negli enti di cui discorria- mo  di doppio grado. L^ uno  delle monadi bens . prevalenti ma che per essenza dalle altre non si di- . schierano. Il secondo  delle monadi al tutto spirituali e dotate per lo meno di facolt sensitiva ed appetitiva, e sono perci quegli esseri a cui si costuma partico- larmente di dar nome di anime. Tali monadi ciascuno avvisa che non ponno essere pi d'una per ogni vi- vente; e con Tatto di loro presenza originano una forma di vivere superiore e diversa dalla pura vegetativa. Vili. 153.  Il germe compito  ci che risulta dal primo svegliarsi ed operare delle monadi ; quindi  1' azione immediata e scambievole di loro forze interiori ed  un primo dispiegamento della virt ch^ domande- remo plastica e del poter loro sulla materia organiz- zabile entro la quale souosi, come a dire, annicchiate. In questo atto le monadi operando non con altro im- pulso che proprio si equilibrano alla fine e riposano; come accade a qualunque moto proprio e interiore della materia imponderabile, e come per alcun grado di simiglianza pu dirsi che incontra nel regno inorga- nico ai cristalli regolari rispetto alle mutue tendenze ed affinit delle molecole componenti. Il germe  del sicuro un cristallo, ma con questa diversit essen- zialissima che  gravido di virtualit e capace di svi- iluppo e cava le forme plastiche dall'intimo suo fondo, DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 485 mentre nel cristallo inorganico elle succedono pel so- prapporsi regolare delle molecole e portando ciascuna certa sua costruttura e figurazione. 154,  Certo, le monadi organiche non diversamente da ogni principio attivo creato mancano in s stesse del cominciamento iniziale assoluto del proprio operare ; e mancano di quello eziandio delle successive rimutazioni in quanto si legano alle circostanze esteriori. Da ci pro- viene che ogni virtualit loro di moto e sviluppamento pericola o di non passare all' atto o di fermarsi per via in ciascun istante. Anno, invece, in s medesimo la cagion della quiete subito che compiettero e quasi a dire saziarono certe loro essenziali e native tendenze e certa loro scambievole polarit. Cos nel germe quale- chessia le monadi si riposano col minimo grado di azione e il massimo della potenzialit; in maniera peraltro che la forza loro di resistenza riesca tanto maggiore quanto proviene dall'ultimo fondo dell'essere e dalle combinazioni immediate ed innaturate che ne derivano. Il che spiega il fatto costante e comune della perseveranza dei germi tenuissimi e talvolta invisibili contro le forze piii intense e pi poderose del mondo fisico. E appunto, perch 1' atto onde il germe  co- stituito esce dalla energia essenziale ed originale del principio organico torna necessario non che naturale che sempre si rinnovi e ripeta, se altre forze ed ecci- tazioni non lo rattengono ovvero non lo trasformano. Di quindi nasce la propensione generale ed assidua di tutti gli enti organati a riprodurre il germe loro, ossia tornare alla forma primigenia e normale. Cos la forza riproduttiva di simili enti  analoga in per- fetto modo alla forza di elasticit nei corpi inorganici. 155.  Se non che, ogni germe debb' essere altres analogo e proporzionato allo sviluppo ulteriore della pr- 486 LIBRO QUARTO. pria organizzazione. Di quindi la variet dei germi e la costituzione loro talvolta progressiva ; di quindi ezian- dio i metodi differenti della natura per accertarne la ripetizione pronta perfetta e copiosa. 156.  Puossi concepire un essere organico tanto semplice che V atto primo delle sue monadi e la prima esplicazione della sua forza plastica esaurisca quasi la potenza organatrice la quale per flusso di materia e per gli stiraoli esterni debbe pigliare incremento e sviluppo. Noi siamo chiari che in tal supposto il germe, ossia la ripetizione dell'atto primo, consister in qualche forma di cellula la meno composta che sia fattibile e assai bene rispondente alla semplicit estrema del susse- guente sviluppo. Nei casi di pi complicata organiz- zazione il germe porter seco i rudimenti e il com- pendio della pianta o dell' animale futuro; e perch  complessione pi dilicata ed  maggior dipendenza dalla natura esteriore, perci avr seco un apparecchio nudritivo e preservativo; di quindi la costituzione di tutti i semi nelle piante e ogni ragione e contenenza delle uova negli animali ovipari. 157.  Ma perch il germe, ovverosia la struttura iniziale dell' ente organato, racchiude tanta maggiore efficacia quanta  pi viva la eterogeneit de* suoi componenti, e questa risolvesi nell' antagonismo d' un principio attivo e d' un principio passivo contrapposti sempre fra loro e sempre ordinati a quetarsi da ultimo in certa superiore unit, ne segue che la natura nei viventi meno imperfetti e di pi complicato sviluppo divise i due principj attivo e passivo in fra due sub- bietti separati, e dispose nondimeno che venissero alla congiunzione con quella energia e quell' impeto che avvisiamo tuttod nelle scariche elettriche. 158.  In ci, come vede il lettore, consiste la sepa- DELLA VITA E DEL FINE NELL' UNIVEESO. 487 razione dei sessi e il procedimento mirabile della fecon- dazione per effetto della quale al germe primo, troppo debole e male proporzionato al futuro sviluppo, succede altro germe elaboratissimo col nome di sementa o d'uovo o di feto, in cui le monadi organiche non pure rifanno la complessione loro iniziale, ma vi compendiano i rudi- menti del gi conseguito sviluppo in quanto esso dipende dalla efficacia interiore e nativa. Quindi  che le mo- nadi intendono a cotesto lavoro subitoch il travaglio dello sviluppo tocca il suo termine ed elle possono, per via di parlare, tornarsene in dietro e produrre di nuovo quegli atti che loro sono essenziali ed inge- niti con quel di pi di efficacia che rappresenta la virtualit intera d'ogni incremento e dispiegamento posteriore. Cos il fiore ed il frutto sono V ultima ope- razione della pianta gi bene conformata e cresciuta in ogni sua parte, e v'  di quelle che dopo la fecon- dazione ed il frutto appassiscono e muoiono. Simil- mente r uovo e la pregnezza accennano alla compitezza di tutti gli organi e al colmo della vita degli enti nei quali appariscono; e per la ragione medesima l'ap- parecchio generativo degli animali si compie insieme con la maturazione del feto. 159.  Abbiamo discorso qua sopra di quel che ac- cade nelle organizzazioni semplicissime ; in altre meno semplici, ma che risultano di parti per affatto similari (e intendesi quanto alla forma sostanziale), gli  mani- festo che ogni parte verr capace per questo medesi- mo di riprodurre l'intero individuo se le condizioni esterne la favoriscono ; perocch l' intero individuo non  molto pi che espansione successiva ed ingrandi- mento della parte similare. Di quindi la moltiplica- zione di assai vegetabili per ispori, escrescenze, gemme, rami e foglie. Di quindi accade eziandio che qualun- 488 LIBRO QUARTO. que ritaglio di certi polipi si trasmuta esso medesimo in polipo intero. IX. 160.  Dunque della vita vegetativa sono due gli atti e le funzioni principalissime, assimilazione e riprodu- zione. Alla prima gli antichi e fra questi Aristotele dettero pi volentieri nome di nutrizione e di accre- scimento, la quale ultima appellazione risponde con esattezza a ci che modernamente usa chiamarsi svi- luppo. 161.  Della riproduzione abbiamo parlato con suf- ficienza, e rimane fermo questo concetto eh' ella sia sempre la rinnovazione dello stato proprio e iniziale delle monadi organiche, il qual provenendo dalla es- senza vera, costante ed inalterabile di esse e da quel primo atto, per cui si dispongono e uniscono nella so- stanza acconcia ad accoglierle, dee ricominciare e ri- petersi di piena necessit ogni volta che gli stimoli esterni e il flusso della materia ed altri accidenti non costringe le monadi al lavoro incessante del crescere e dello svilupparsi. E perch quel gruppo di monadi a cui . stato fattibile il rintegrare l'essere loro pri- mitivo e normale n pu mantenerlo intatto, mescolato siccome  alle forme dello sviluppamento, n abolirlo e impedire che si ripeta ; perci proseguendo la neces- sit primitiva di lor natura ; si scevera al tutto dallo sviluppo vegetativo di gi compiuto e quindi incomin- cia la esistenza separata d' un nuovo individuo. 162.  Tutto il che  molto diverso dalla spiega- zione mistica messa innanzi dall' intera scuola peripa- tetica, dicendo che i vegetabili e gli animali si ripro- ducono per solo istinto e desiderio d'immortalit; il DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 489 perch, non venendo tal desiderio appagato negl' in- dividui, era provveduto che si appagasse nella conser- vazione e propalazione della specie. 163.   chiaro che ci confonde il fine specula- tivo con la necessit fisiologica degli enti organati. Certo, la natura, e qui intendesi la divina mentalit, mira a perpetuare la vita sotto qualunque sembianza ed abito; ma quello che alla scienza appartiene di scoprire si  il modo positivo e la legge fisica e orga- nica, onde i viventi per forza fatale dell' essere proprio attingono al fine dalla provvidenza voluto. 164.  I panteisti odierni tedeschi trassero in mezzo un' altra sorta di ragione meno salda ancora, per mio sentire, dell'antica d'Aristotele. Dicono, dunque, che r uno perfetto e assoluto dee di necessit palesarsi e dar cos nascimento al composto e al molteplice; ag- giungono che il pi semplice modo di composizione e pluralit  la divisione dell'identico in due parti ugualissime; e in fine, che tal divisione equivale al producimento del simile. Sul che io noto che tal ra- gione generalissima valer dovrebbe nella materia mec- canica quanto nella organata e che intanto la pri- ma non genera nulla di simile a s, ed un minerale si rimarr eternamente con 1' aggregato che per acci- dente si venne dal di fuori formando. In secondo luogo se la cellula genera un' altra cellula per dividere la identit propria in due parti ugualissime, ci dovre'obe proseguire senza mai termine, conciossiach nell' ultima cellula procreata v'  tanta necessit di ripetere s me- desima quanta in ogni altra che 1' antecede. In fine qui si confondono due fenomeni al tutto diversi, e cio la reiterazione delle parti similari con la rinnovazione del germe; e ninno dir, per via d' esempio, che l'uovo degli animali ripetesi in ciascuna cellula del lor tes- 490 LIBRO QUARTO. suto per modo che questo risulti d'una continua ag- glomerazione delle uova germinative. 165.  Quanto all'assimilazione, non par difficile intendere per qual ragione essenziale e perenne l'ente organato pigli dal di fuori la sua materia e l' aumenti e informi di s medesimo, tanto che la conduca a grado per grado a quella misura e figura che pi gli sono confacevoli. Ma non . altrettanto facile intender bene la cagione e necessit del flusso continuo e del conti- nuo permutarsi di sua materia. Nel che, nondime- no, consiste il fatto pi rilevato e il fondamento ge- nerale di tutta la economia del mondo dei viventi a noi noti. ' 166.  Ci non ostante  da porre l' animo a questo ' vero solenne e principalissimo nella scienza della vita, ,e cio che l'organo quando non tramezzi per sua na- tura fra r ente che 1' applica e l' oggetto al quale si applica diventa incapace del proprio ufficio. Cos la mano, perch aflferri i corpi e li stringa o perch gli alzi ed aggiri, conviene sia resistente non meno di essi e con la forza muscolare e la leva del braccio vinca la forza del peso loro e voltandosi li volti e pieghi la palma e le. dita secondo i contorni delle loro figure. Di questo nasce che 1' organo sebbene dee prevalere alla materia comune ed a s assimilarla, pure non pu eccederla al segno da farsi alieno ad ogni pro- priet e forza di lei. 167.  Quindi nasce eziandio che l' atto d' assimi- lazione  una specie di vittoria sopra gli elementi esteriori e non  carattere durevole. Avvegnach l' as- similazione perpetua vorrebbe dire o che la materia  perduta la sua natura o che l' organo poco o nulla differisce dalla materia; due estremi del pari impossi- bili. Stantech col primo l'organo cesserebbe di ma- DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 491 neggar la materia esteriore e col secondo cesserebbe di esser vivente. 168.  Rimane che la materia organata fluisca e muti a ciascun istante ; perocch solo in tal caso an- cora che obbedisca per poco alla violenza della forza vitale, tuttavolta permane identica Sr s medesima e serba incessante la comunicanza e la convenienza tra la vita e il mondo esteriore. 169.  Il supposto d'una materia non bisognevole di flussione perpetua ricerca che la non differisca gran fatto dal principio spirituale e per l' assimilazione divenga per lei una tal quale modificazione non molto profonda e in che sia per dimorare senza sforzo nessuno. Il qual supposto mena poi drittamente alla necessit dell' altro supposto, e cio che l' ambiente natura possa ricevere con prestezza ed arrendevolezza tutti gli im- pulsi dell' organo ; il che importa approssimazione e omogeneit di essenza. Tutta questa variet di rap- porti e di proporzioni non  certo impossibile, ma  impossibile che si avveri nella materia che conosciamo. 170.  Nel generale poi il flusso della materia or- ganica costituisce una specificazione molto distinta e qualificata della polarit fisica e della vitale. Perocch eziandio in quel flusso avverasi continuamente certa attrazione del diverso e certa ripulsione del simile ; po- tendosi senza troppo abusar delle voci chiamare di cotal nome la reiezione, la quale adempiesi nelle so- stanze divenute simili all'organismo ma incapaci di mantenervisi e necessitate di ripigliar 1' abito loro es- senziale inorganico. 492 LIBRO QUARTO. CAPO QUINTO. DELLA VITA ANIMALE. I. 171.  Adunque, se  proprio il dire che le piante vivono e qualche animale stremamente imperfetto vive, noi abbiamo di tale atto determinata la causa e il principio e lo domandammo virt e forza vegetativa. Da lei sono creati individui imperfetti e di vera unit sforniti ; onde essi piuttosto compongono certa totalit relativa, in quanto il complesso loro si scevera e diffe- risce sostanzialmente dalla materia circostante e vi ope- rano dentro le leggi meccaniche e chimiche ad ogni mo- mento modiidcate ed anzi trasmutate; tutto il che pro- viene da certa unione operosa di forze coordinate e non materiali che monadi appellammo. 172.  (Poteste monadi, in quanto s' appartiene alla vita vegetativa, sebbene reagiscano inverso gli stimoli esterni, in quel modo peculiare dell' organismo che do- mandiamo eccitabilit od irritazione; sebbene eziandio svegliando insino dal primo atto loro molta e propria e diversa virtualit modifichino profondamente le so- stanze nelle quali risiedono; e tuttoch, infine, per certo sistema di azioni scambievoli e per una coordinazione stretta e continua di moto, di affinit e di forma plastica producano quello che domandiamo comunalmente svi- luppo e giungg^no a costituire un qualche individuo, imperfetto,  v(?ro, ma separato e diverso dall'ambiente natura; ci noli ostante elle operano, a cos parlare, sul DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 493 fondo delle forze della materia, commosse per altro e commutate a maniera che senza quello ngerimento e mescolamento di forze spirituali mai non conoscerebbero l'atto di vita. NuUameno questo atto rivelasi unicamente in combinazioni chimiche peculiari, in forme cristalloidi e in flussione di sostanze incluse od escluse. Ancora in simile sorta di vita non apparisce alcuna cosa d'intera- mente spirituale, e vogliamo dire alcun fatto il quale sebbene occasionato dalla materia organica pure ad essa materia non possa tribuirsi tanto ne quanto e non consista minimamente in una modificazione profonda di lei cagionatale per ingerimento efl5cace ed intrinseco delle monadi vegetative. 173.  Ora, l' atto di vita nel quale ravvisasi pri- mamente il carattere di che parliamo  la sensazianc e la volont; nel primo  la spirituale passivit del principio vivificante, nel secondo  1' attivit; e dicia- mo spirituale per dinotare che sorge dalla essenza in- tima e qualitativa di quel principio; e ancora che ab- bisogni dello stimolo esterno acconciamente disposto e organato, nientedimanco differisce funditus dalla materia stessa organata e da qualunque attribuzione di lei, come da tutte le efficienze che abbiamo insino a qui divisato e descritto dentro le monadi. 174.  Ma tra la sensazione e la volont inter- viene eziandio questa sostanziai diflferenza, che la se- conda non traggo dall'organismo occasione all'esistere se non in quanto tiene dietro alla sensazione; e giunge di poi negli animali perfetti a deliberare ed a moversi per cause molto remote dalla sensibilit. Laonde quel primo grado della facolt volitiva, del quale parliamo al pre- sente e che sorge accosto accosto alla sensazione, dovreb- be, per mio giudicio, pigliar sempre nome di appetito ; ed  il reagire che fa, secondo sua forma spirituale, la 494 LIBRO QUARTO. monade sovrana ed unificante inverso lo stimolo esterno ora fuggendolo ed ora invece accogliendolo con intimo soddisfacimento. II. 175.  Seguita di cercare se la sensazione e quel sensuale volere che  l'appetito domandano la indi- vidualit perfetta, e intendesi V unit compita e asso- lutamente impartibile; e per se occorre di attribuire entrambe a un qualche sistema di monadi, o sola- mente ad una monade superiore od anima che voglia chiamarsi. ^^l^.V ^vw^^'.^  182.  D'altro canto, il sistema nervoso  rgano proprio ed unico della virt sensiva ed appetitiva e per indiretto della volont e del pensiere. Onde pu esser chiamato con gran ragione organo insigne dell'anima; dico nell'ordine istrumentale corporeo e ragguagliato a qualunque altro del medesimo ordine. Il perch  da chiedere se la presenza stessa dell' ani- ma sveglia e incammina le monadi vegetative alla co- struzione di queir organo ; o per lo contrario, l'anima diventa capace di congiungersi a un corpo organato mediante la costruzione d' un organo a lei confacente. E il secondo supposto sembra conformarsi meglio alla ragione. Conciossiach l' anima nelle attinenze sue pri- me con r organo proprio della sensibilit e dell' appe-. tito apparisce compiutamente passiva. E d' altro lato,( come notammo in qualche luogo, l'anima umana su- periore d'immenso intervallo all'anima dei quadruma- ni non che agli altri bruti, quando fosse autrice pri- maria dell' organo suo, costruito l' avrebbe con minore disproporzione da s medesima e alzato a segno mag- giore tutta la eccellenza di cui  capevole la natura corporea e la forza vegetativa. ' ^ Che sebbene noi siam di credere che nel corpo animato umano avvenga la mistione e la tempra mi- gliore del principio spirituale e dell' organismo corpo- reo, noi giudichiamo parimenti che questa tempra mi- gliore sia relativa e non assoluta; e valga solo nel mondo circoscritto e particolare di che siamo parte, e considerata per appunto la gravosa necessit delle ani- me di non potere per s medesime informar la mate- ria con atto iniziale e immediato. AMU.^l.  II. 32 498 LIBRO QUARTO. 183.   dunque la vita vegetativa dell' animale eziandio perfetto opera non gi indipendente dall' ani- ma, sibbene prodotta con altre forze che quelle di essa anima e propriamente da certo sistema particolare e coordinato di monadi ; e ancorach non intendiamo per questo di escludere ogni azione migliorativa dell'anima umana sull' organo proprio e sol confessiamo che ne ' r esperienza n il raziocinio ci chiariscono a sufficienza su tal subbietto. Ma nuUameno, ci chiariscono quanto bisogna per dimostrare la esagerazione della teo- rica domandata appunto dell'animismo e giusta la quale la vita vegetativa sarebbe fattura del nostro spirito. 184.  Non  poi razionale il pensare che una stessa e medesima generazione di monadi componga le mem- bra degli animali inferiori e dei superiori con questo soltanto che mutino le condizioni ambienti o la materia primitiva od altra sorta di accidenti. Ei si conviene  in tutte le opere della creazione revocarsi a memoria due massime normali ed ugualmente vere e feconde. L'una afferma che la natura usa gli stessi mezzi a diversi e variati effetti. L'altra ch'ella in ogni specie di cose e dove non si occultano intrinseche ripu- gnanze introduce ogni differenza possibile tanto di so- stanza quanto di modo. Per lo che ci  lecito per al presente e nel generale di affermare che pi specie originali di monadi e pi differenze di loro sistemi in- tervengono nella serie dei viventi. Quindi v'  molti animali, similissimi in fra di loro per organismo, dis- simili assai per istinto, come ad esempio il cane e lo sciacallo, riuscendo l'uno socievole ed educabile e l'al- tro no; si scorge la differenza medesima tra il cavallo e il giumento ; la medesima e pi tra 1' ape ingegnosis- sima e la maggior parte degl'insetti volanti. Non sem- DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 499 bra egli ragoneTole in tanta parit di organi e confor- mit di circostanze recare le differenze al principio loro spirituale? Ma secondo che dar V occasione, torneremo pi d'una volta su questo recondito investigamento. 185.   poi da reputare assai verosimile che in ciascun vvente nel quale si scorge variet grande di parti e subordinazione graduata di funzioni e di atti sieno varie altres le nature di monadi e le une so- verchino r altre di facolt e d' efficacia. E tali senza fallo vogliono essere giudicate le monadi a cui per certa sublimit di essere si d nome di anime e sieno pure irrazionali. Queste del sicuro tengono il centro dell' organismo e lo informano di potente unit, oltre all'essere peculiarmente dotate di sensivit e di ap-^^ petizione. IV. ^..-L. 186.  L' anima umana, fatta capace del pensiere, esce per ci solo dell'ordine di tutte le altre e in infinito le soverchia. Oltre di questo, ella si separa dagli altri viventi per l'atto di coscienza che  il modo pi immediato e spontaneo dell' intima e propria at- tivit sua e le fornisce la possibilit vera del bene ; perocch vedemmo non vi essere bene reale se non conosciuto, n cognizione se inconsapevole di s mede- sima. Aggiungasi il deliberato volere e la intuizione sublime del bello del giusto e del santo come si ac- cenn in altro luogo. 187.  L' anima umana  del sicuro congiuntissi- ma col suo corpo, e vi  attiva ed efficace, ma non tanto, che si debba consentire con Aristotele di chia- marla forma di esso corpo. La qual espressione vuol dire, 0 che l' anima non  una, ovvero che il corpo 500 LIBRO QUARTO. molteplice pu farsi uno; due concezioni ugualmente contradittorie. Aristotele del sicuro volle significare che l'anima con forza propria e iniziale traeva la mate- ria del corpo all'atto; con che toglieva alla materia qua- lunque energia e originava dall' anima sola tutto il Wivere vegetativo. Nel fatto, la forma sostanziale degli organi risulta principalmente dalla virt delle monadi costitutive ; n l' organo della sensibilit  meno de- mentato e plasmato da quella virt. 188.  Invece, l' anima considerata nella sua po- tenza giudicativa e nella volont sua direttrice fu con felicit rassomigliata da Platone al pilota che  dentro la barca e con essa cammina. Imperocch il pilota non  autor della barca e non pu di lei uscire, ma non- dimeno la governa ; salvo che il corpo  certa sua vita ed azione indipendente al tutto dall' anima, come la nave degli Argonauti dicono fosse composta di legni e chiodi viventi e animati. Ma parlandosi con esattezza, r anima umana mentre  congiunta strettissimamente al corpo e alle monadi organiche vive eziandio con- giunta alle idee, e mentre  legata a membra mortali partecipa dell' eterno e dell' assoluto per la congiun- zione spiritale della sua mente. Onde Platone stesso non rappresent con la similitudine sua n tutta la dignit n tutta la natura dell' anima. Per se fac- ciamo che le idee sieno figurate dagli astri perpetui ed incorruttibili a cui guarda continuamente il nocchiero per condurre a bene la nave noi accosteremo la im- magine platonica alla verit. Ma di questo a suo luogo. V. 189.  Per insino dal secolo di Aristotele fu sen- tenziato che le piante crescono ; gli animali bruti ere- DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 501 scono, sentono e si movono ; V uomo infine cresce, sen- te, si moTe e ragiona. La qual distinzione ancorach si confonda nei termini estremi, e vogliam dire nei passaggi da nna classe ad un' altra, tuttavolta rimane anche oggi verissima. Forse y'  parecchi molluschi % dotati di certa sensibilit e sforniti di moto locale; e c^JtZA parimente v'  alcuni mammiferi e alcuni quadrumani ^ a cui  forza di assegnare qualcosa intermedia tra la ! sensibilit e la ragione. V  pure alcune mimose dette 1 sensitive e persino pudiche; ma certo il senso e l'ir- ritabilit non sono il medesimo; e se il vecchio * - Darwin interpret bene e con rigore di scienza i fe- nomeni delle piante, la lista dei dotti botanici dee cominciare da Ovidio. Altrettanto sembrami singolare "^ la presunzione di alcuni naturalisti alemanni di appro- priare per anco agl'infusorj pi tenui ed informi la sensazione e la volont senza che mai sia mostrato in essi un minimo cenno di apparecchio nervoso,^ n v atti almeno ed operazioni animali di qualit da co- / stringere il nostro giudicio ad arguire la medesimezza i della cagione per la evidente e compiuta parit degli , eflFetti. 190.  Ci non ostante, fu molto bene asserito che r animale bruto fra l' altre condizioni che lo separano e soprapongono alle piante possiede quella del moto locale. Avvegnach cotal moto guardandolo nella sua origine e ne' suoi effetti proviene dal principio unitivo spirituale, o che s' abbia a dire dall' anima, la quale eccitata dalle sensazioni risveglia in s non pur l' ap- , petito, ma dirige e governa i suoi movimenti locali a , seconda di quello e conforme agli accidenti diversi e ^ mutabili del mondo esteriore. Nel fatto, l' organo di . * Fra gli oltri L. BOijchiier, Forza e Materia. 502 LIBRO QUARTO. que' movimenti  della stessa costruttura e materia che l'altro della sensibilit e ambedue Tanno a metter capo (se  lecito cos parlare) entro V anima, e cio a dire che mentre questa opera nel corpo suo il pi delle volte mediatamente e per indiretto, invece ella  in relazione e contatto spirituale immediato e diretto col sistema nervoso, e quindi l' atto proprio e interiore di lei propagasi senza mezzo ai nervi del moto. 191.  Ma conviene tenersi a mente che la vita iielle apparizioni sue diverse e negli abiti suoi varia* tissimi compone un sol tutto disposto e ordinato a sod- \ disfare al fine generale della creazione. E sotto tale rispetto non peneremo a conoscere qualmente la di* stinzione e distribuzione aristotelica debbo venir per- mutata in altra di pi profondo senso e cosmologico propriamente. Imperocch le piante iniziano la stru- nientalit o V organismo che si domandi, ma non con- tengono in se il fine, perch non anno senso di bene,, non forma vera di unit, non distinzione veruna fra il subbietto ed il suo strumento e servono tutte e per ogni verso alla superiore organizzazione. In quel cambio, negli animali bruti il fine principia ad essere parzialmente attuato non ostante che servono ancora ad un organismo pi alto e per parte del fine  fuori di loro ; ed anche nei meno imperfetti animali  da dire che gli organi, sebbene divenuti veri stru- menti, non colgono il fine salvo che per accidente a cagione della inferiorit del principio loro spirituale. Neir uomo, invece, V organismo non serve fuori di s quale mezzo ad altro superiore e migliore ; e di van- taggio, aiuta il subbietto a raggiungere un termine che sopravanza smisuratamente ogni virt istrumentale diretta ; perocch questa inverso il pensiero, la ragione, la coscienza e l' altre facolt personali  mera causa DELLA VITA E DEL FINE NELL' UNIVERSO. 503 occasionale ; e in esse influisce immediate un principio diverso ed assai superiore non pure allo strumento ma si airanima stessa, e intendiamo la intuizione dell'As- soluto. 192.  Negli animali bruti, se guardasi attenta- mente,  pi presto V attuazione dei fini che del fine ; stantech in ciascun animale bruto il fine visibile  singolare affatto e individuale e risolvesi nella con- servazione fisica di esso vivente. NelP uomo per lo con- trario non solo il fine  positivo ed intero, ma  fine universale o vogliam dire  fine assoluto. Il perch r uomo conosce e adopera secondo Y universale, seb- bene ci avvenga in lui mediante un principio alieno per se dalla vita organica e sensitiva. 193.  Negli animali bruti altres il fine  cos accidentale e ristretto, che l' organismo eccellente di parecchi fra essi gli rimane assai superiore; e inten- diamo che il fine d' una vita fugace ed inconsapevole non si proporziona e non corrisponde al mezzo ed allo strumento maraviglioso. Il che move a pensare che quella eccellenza del mezzo trovi miglior proporzione e compenso nella perpetuazione della specie, nell'or- dine generale e concatenato della intera animalit; e opra ogni cosa, negli apparecchi che dispone e matura all' organismo dell' uomo e nell' ufficio strumentale, sebbene separato, che porge al medesimo uomo. In iiuesto invece l'organo riesce estremamente inferiore al fine, ancora che sia tutto il meglio che la sapienza infinita potea ritrarre dalle materie e forze del nostro globo. 194.  Esce pure dalle cose notate un' altra gra- dazione e distribuzione degli enti organati; e per fermo, la vita si ordina prima negli enti che crescono e si sviluppano entro un tutto senza unit impartibile 504 LIBRO QUARTO. come sono le piante; dipoi negli enti che si svilup- pano con certa unit impartibile come gli animali bruti; e per ultimo in enti, e intendesi gli uomini, che oltre all'anzidetta unit congiungonsi spiritual- mente ad altra unit superiore e assoluta e vogliam dire l'infinito. CAPO SESTO. AFORISMI DELLA VITA VEGETATIVA. Aforismo I. 195.  Seguendo il nostro istituto, noi ripiglieremo per ordine la considerazione delle cose di gi discorse intorno al vegetare, al sentire e al volere, studiandoci di dedurle con rigore scientifico nella maniera che fu usata pi sopra circa 1' universalit della vita ; e co- minciamo dal subbietto particolare di questo Capo. 196.  Come ogni compossibile dee trapassare al- l' atto, il medesimo debbe accadere degli enti finali e per qualunque maniera di vita. Per trattando di que- sta nel generale, fu eziandio supposto che qualche principio vivente e spirituale sussista troppo alieno dalla materia e quindi incapace per s e da s di connettersi a quella e convertirla in istrumento suo proprio alfine di dominare sugli esseri ambienti. 197.  Nondimeno, perch quel tale principio  possibile e la materia altres ; e di pi  possibile un terzo principio detto anima vegetativa, per con essa diventando compossibili gli altri due termini e ope- DELLA VJTA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 505 randovi l' arte divina del Convenevole, avremo un principio vivente spirituale involto nella materia e fornito di organo mediante 1' anima vegetativa. Senza qui risolvere se forse cotesto principio spirituale vi- vente non possa talune volte essere una monade su- periore vegetativa che subordina tutte le altre e da lor differisce di perfezione non di natura. Aforismo n. 198.  Ma gli  chiaro che se V anima vegetativa opera immediatamente sulla materia e con efScacia organatrice, potr sussistere anche sola e attribuire a s stessa certo dominio sugli esseri ambienti. Ei vi sar dunque una vita meramente vegetativa senza connessit e unimento veruno con qualche anima su- periore a cui serva di tempra e legame con la ma- teria. 199.  Certo , peraltro, che tale anima vegetativa mancando di vera individualit (giusta la defini- zione che di questa si scrisse qua addietro) non par- tecipa del fine e del bene; e quindi ancora che sia sostanza organata, nientedimeno la sua dilatazione di essere e il suo predominio sulla circostante materia valgono solo un incremento e un predominio di forze opra altre forze meno gagliarde ed unite. Ma perch simile vita corporea ed inconsapevole  pure peschile e serve immediatamente di anello e scala ad altre finalit, cos dobbiamo pensare e credere che sussista sulla nostra terra; e con diverse forme, in altri diversi mondi. Conciossiach la plenitudine della vita  l'ul- timo gran portato della creazione e debbono essere perci superate infinite volte le limitazioni le insuf- ficienze gli impedimenti e le incoerenze delle nature 506 LIBRO QUARTO. finite. Quindi la divina mentalit moltiplica a pi non posso le esistenze intermedie e le loro combinazioni. 200.  A noi accade, impertanto, di considerare r anima vegetativa nel suo vivere proprio e staccato, come eziandio nelle sue attinenze con un superiore principio. Ma in questo secondo rispetto debbono i particolari che pi importano venire studiati, laddove discorreremo della vita animale propriamente deno- minata e della umana e razionale. 201.  Insino dal principio noi dichiarammo che la deduzione in cosmologia torna tanto meno efficace e sicura, quanto scendesi di vantaggio ai minuti par- ticolari. E per fermo, lasciate che sieno le generalit della vita e procedendo al primo particolare che  la vita vegetativa o in separato o connessa con pi alto principio, la deduzione pena a serbare integro e te- nace il filo dialettico, argomentando dai compossibili e da certo modo costante ed universale di operare dell'arte divina; e avverr il medesimo per ogni sub- bietto speciale e impresso di caratteri peculiari ed ori- ginali. Ci non ostante, noi siam di credere che la scien- za vale a scoprire se non i dati primi di cotesti pro- blemi certo le loro attinenze e dipendenze immediate e profonde e le mostra assai pi intrinseche e pi razionali che altri non giudicherebbe ; e tale  il pro- fitto di simili studj. 202.  In questo proposito della vita vegetativa, noti da capo il lettore come prepondera nella natura DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 507 il principio della diversit contro que' filosofi che s'in- testano di ravvisare in qualunque cosa l' uno e l' iden- tico. E nel fatto vedremo che gli elementi da noi domandati monadi sono un principio nuovo e assoluta- mente sui generis nella maniera che ad ogni passag- gio un po' arduo ed eterogeneo abbiamo incontrato eziandio per addietro un elemento originale e diverso dall'altra materia ovvero una forza al tutto partico- lare della materia medesima. Che se la natura non va per salti e procede e scorre per tutte le possibilit intermedie, ci fa in una stessa ragione di cose. Av- vegnach a lei importa di esaurire tanto il diverso quanto il vario nel simile; e la minutissima variet segna e determina appunto la gradazione delle esi- stenze. Afobismo III. 203.  Nel mondo nostro visibile l'anima vegetativa tramezzando fra la materia e il puro principio spiri- tuale dee partecipare di entrambo.  immateriale ma comparisce ed opera nella materia a ci conveniente- mente disposta. Si unisce di congiunzione immediata e formale con essa materia, ma le rimane superiore e la padroneggia e costringe. 204.  Per tutto questo sar neir opera vegetativa ogni condizione propriet ed accidenza della materia sebbene in modo diverso e non possibile a comparire nella sola natura meccanica e chimica. Quindi nel composto materiale vegetativo saranno leggi di moto differenti dalle ordinarie, non per in maniera che le ordinarie spariscano al tutto e si annientino. Per si- mile le leggi di affinit senza creare elementi nuovi e mutare le essenze incontreranno modificazioni singo- 508 LIBRO QUARTO. lari e profonde per la qualit e il grado di forza. Del pari, dovendo ad ogni composto materiale aderire una forma figurativa, quella del composto organato sar dif- ferente da ogni fatta di cristalli inorganici. Per ultimo, il composto vegetativo accoglier le azioni esteriori in modo altrettanto diverso e speciale, perch il passivo risponde nelle sue differenze all' attivo. Perci quelle azioni domanderannosi stimoli e il modo di riceverli pigli era nome d' irritabilit od eccitabilit. 205.  Si pot scrivere dal Borelli e da parecchi altri una statica del corpo umano giusta i principj fondamentali della meccanica d' ogni materia. Ci non ostante vi fanno eccezione gravissima il moto di sistole e diastole e il moto vermicolare, non che il flusso cir- colatorio pei grandi vasi e per li minimi secondoch accennammo pi sopra. Quanto alla figura dei com- posti vegetativi sembra che si possa intendere non solo perch diversifica dalle altre delle sostanze inorgani- che ma eziandio perch la sua propria risolvesi sem- pre in qualche forma e specie di rotondit. Nel vero, la forza vitale od anima vegetativa che la si chiami attraendo ed assimilando la materia esteriore scioglie questa naturalmente negli ultimi suoi componenti e per toglie loro le forme molecolari angolose da onde risultano i triangoli i cubi i poliedri ed altre figure cristalline dei minerali. Segue che sciolte quelle so- stanze negli ultimi indivisibili e ricevendo uguale at- trazione dal centro di ciascuna monade essi indivisi- bili si dispongono in cerchio e producono le diverse rotondit conforme il diverso moto al quale obbedi- scono. Quindi una stessa ragione opera nel massimo DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 509 e nel minimo, e cio nella rotondit dei corpi stellari, nelle gocciole dei liquidi e nelle minime cellule dei composti vegetativi; e la ragione si  T equilibrato impulso e uniforme delle forze centrali. 206.  A detta del Liebig manca alla forza vitale il potere d' ingenerare qualunque specie nuova di af- finit chimica sebbene valga a modificarla in infinite maniere. Tale sentenza non mi sembra sia stata in- dotta dal Liebig per le vie sperimentali. Stantech r esperienza a rispetto di ci rimane ancora incertis- sima e imperfettissima, e converrebbe innanzi aver ri- prodotto con r arte e i fornelli tutte le sostanze ve- getali e animali. Ma s' io non m' inganno il Liebig pervenne a quella sentenza mediante un giusto razio- cinio. Couciossiach le combinazioni chimiche originali e ogni forza di affinit si fondamentano nella essenza impermutabile dei corpi e non vi appariscono ed ope- rano per accidente. Non pu dunque V anima vegeta- tiva n creare nei corpi una forza nuova ne abolire al tutto le gi esistenti ; perocch le forze n si creano n si distruggono. Apobismo IV. 207.  La forza vitale o vegetativa possedendo, come fu dianzi veduto, alcuna dote spirituale, pu congiungersi naturalmente ad un' anima sensitiva e compiere r omogeneit dei tre termini, dell'anima, vale a dire, della materia organata e della materia ambiente. Ma se la congiunzione si faccia immediate, ovvero dopo certa preparazione della virt organatrice, non pu 510 LIBRO QUARTO. sapersi a priori; e nemmanco in quale termine di preparazione e di sviluppo essa virt diventi capace di svegliare le reazioni, a cosi chiamarle, deir anima sensitiva e lo spiegamento delle forze di questa nella materia organata^ Ma di ci piii distesamente nel capo che seguir. Afobisho V. 208.  Se la congiunzione della forza vegetativa con la materia non  comune e continua a tutto il mondo corporeo, debbo questo venire in certa singo- lare e antecedente disposizione alF effetto proporzionata. N comune e continua pu essere, dacch ci mute- rebbe a poco per volta od anche a un sol tratto il mondo fisico intero in mondo vegetativo, e cio a dire die non sarebbevi una natura deputata ad essere mezzo ed un' altra deputata ad essere fine; il che fu provato impossibile e torna contrario all'ordine e all'intendi- mento pi generale e pi manifesto della creazione; e l'organo e la sostanza onde  fatto e gli esseri ambienti che debbo l'organo usufruttare confonderebbersi all' ul- timo in una sola e medesima cosa. Oltrech, ci torna con- trario eziandio alla povert innata ed inemendabile dei finiti. Perocch questi non pervengono a dilatare e col- mare s stessi, eccetto che per alcuna sorta d' appropria- zione di altri finiti ; la qual cosa distingue da capo in qua- lunque lato dell'universo la serie dei mezzi dalla serie dei fini. 209.  Ancora si avverta che se l'anima vegetativa dee tramezzare tra la materia e il principio spirituale, essa per lo certo partecipa del pi fine della materia da un lato e del meno squisito ed etereo, a cosi par- lare, del principio spirituale. Non ogni materia aduii- DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 511 que  disposta a compenetrarsi con V anima vegeta- tiva. E se questa vale con le proprie sue forze ad or- ganar se medesima e il composto organato assume qualit ed attribuzioni sostanzialmente diverse dalla materia, forse da ci solo  lecito di arguire che la condizione primitiva ed originale della materia per con- giungersi col principio organizzatore ebbe dello straor- dinario affatto e dell' eccettuativo a fronte del mondo attuale; e che  trascorsa perci sopra esso mondo un'epoca singolare iniziale e genetica. A. 210.  Questo sar soggetto di lungo e particolare studio nel progresso dell'opera. Nondimeno ci piace di qui notare che ai chimici conveniva di separare pro- fondamente le sostanze organizzabili da tutte le altre. Stantech nelle prime debbono rincontrarsi qualit e prerogative le pi peculiari, quando con sole esse pu la vita vegetativa passare all'atto. N il calcio pu esser confuso con qual metallo si voglia, dacch entra sempre come elemento costitutivo delle ossa degli ani- mali ; e il simigliante si ripeta del fosforo a rispetto di altri organi e in ragguaglio con altri principj semplici. Aforismo vi. 211.  Del rimanente, convien riconoscere che le prime reciproche azioni tra la materia bruta e l' anima vegetativa bastar non possono alla costruttura com- piuta dell' organo per quanto poco sia implicato ed elaborato e ricerchi unicamente qualche progresso e sviluppo delle virtualit sue e del suo composto. N la serie delle mutazioni e degl' interiori incrementi di 512 LIBRO QUARTO. lui pu provenire dalla efficienza estrinseca, la quale, oltre ad essere provocatrice od occasionale soltanto, varia spesso, gli  vero, ma sempre ad un certo modo e non  progresso e coordinato incremento; oltrech abbiamo gi definito che V organismo, quale che sia, opera necessariamente dal di dentro al di fuori e quindi l'efficacia esterna non pu servire. Del pari venne supposto che l'anima propriamente spirituale non sia proveduta di facolt vegetativa ini- ziale ma soltanto perfettiva. Senza dire che la virt organatrice dee poter reggere da s stessa e in di- sparte dair anima test accennata. Si conclude che l'organo qualechcssia non vale a dedurre le ca- gioni prime efficienti del proprio essere eccetto che dall' ultimo fondo di s medesimo. E perch d' altra parte nessun ente finito e semplice dilata e sviluppa s stesso quando pigliar debba da solo s l'impulso iniziale e il principio di diversificazione, per  ne- cessit di affermare che la virt organatrice non  una ma s  molteplice, e vale a dire eh' ella risulta d'un sistema di forze identiche quanto svariate le quali per questo possono intrinsecamente e variamente ope- rare r una inverso dell' altra e tutte operare sulla materia del lor composto e suU' ambiente natura. AroRisMo VII. 212..  Cade, impertanto, l'appellazione di anima vegetativa da noi accettata per forza di uso e vecchia tradizione scolastica. Perocch la voce anima dee sem- pre significare qualche cosa di uno, mentre scorgiamo nella vita vegetativa la necessit del molteplice s a rispetto della materia compositiva e s a rispetto del principio che debbe informarla. Dicasi, adunque, che DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 513 laddove non  un'anima sensitiva e di qualunque altra specie e ragione pu tuttavolta sussistere ed operare un sistema di forze vegetative o monadi che le si chia- mino ; e per tale sistema costituire un tutto organato che parr unito e sostanzialmente individuo a rispetto della materia bruta ed ambiente ma nel quale man- cher ogni principio vero unizzante e quella serie intera di atti che solo appartiene all' individuo reale e com- piuto. Di tal che nel vegetabile non sar distinzione tra subbietto e organo ma desso l' organo sar pure il subbietto. Aforisho Vili. 213.  Anzi quando il sistema iniziale delle forze vegetative ripetasi sostanzialmente nelle parti del tutto organato, ognuno ravvisa che ciascheduna di esse potr separarsi con poco danno o veruno e fare individuo nuovo da s. Il che poi affine si vegga succedere in- numerevoli volte, converr che nell'individuo vivente si moltiplichino le monadi per lo meno quanto le parti capaci di vita propria staccata. 214.  Questo  abbondantemente confermato dal- l' esperienza s nel regno vegetabile e s nel regno ani- male inferiore ; e nel generale  confermato in qualun- que organizzazione assai semplice e che moltiplica per escrescenze; quivi le parti sono similari ed in ciasche- duna  ripetuta la forma iniziale costitutiva; come d' altro lato la connessione dell' una con l' altra reca modificazione poco profonda all' essere proprio d'ogni singola. MAttlANI. - 11. 33 514 LIBRO QUAETO. 215.  Quanto al bisogno di certo antagonismo o polarit nel germe e in qualunque sia rudimento di un composto organizzato, oltre all'aversene buna prova razionale risulta chiaro e patente da ogni osservazione sperimentale. Conciossiach nessun ovicino appare sfor- nito d' altro ovicino minore e di qualche doppia pelli- cola. Del pari, notammo pi sopra come in qualunque organismo le parti si dispongono sempre in certa con- trapposizione simmetrica, e ci si nota eziandio negl'im- perfettissimi esseri. Parlammo qua addietro del Fro- tococcos 0 Discerea nivalis^ reputata l'ente organato pi semplice forse che si conosca. Ed in essa pure si notano quattro cellule minori disposte per guisa che due si contrappongono a due con perfetta simmetria. Un' altra di coteste semplicissime organizzazioni^ am- mirata nel Nostoc, alga marina composta di filamenta .gelatinose ed articolate e ciascuna delle quali in ogni suo minimo articolo si distingue in due parti contrap- poste e ugualissime ; la propagazione si fa con lo stac- camento di una di esse la quale a vicenda non tarda a distinguersi e geminarsi nelle parti suddette. AroRisMO IX. 216.  Per un lato, le monadi vegetative, si disse, partecipano della materia ; per l' altro la predominano e sottomettono e sforzano. Del pari, da un lato la ma- teria non pu resistere alla virt assimilatrice per quella omogeneit di natura che la connette alle mo- nadi ; dall' altro, assorta ed assimilata che sia, dimora in cosi nuova e straordinaria condizione e modifica- DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 515 zione, che piglia convenientemente nome di stato ec- cettuativo e come a dire violento. Per  necessario non pure che insorga conflitto tra le leggi dell' organi- smo e quelle generali e continue della materia comune, ma che tal conflitto non possa durare salvo che rin- novandosi molto frequentemente il subbietto passivo e signoreggiato, appunto come le battaglie non durano laddove coji ischiere nuove ed integre non si rinfre- schino. Al qual motivo di mutazione e d'innovazione oc- corre di aggiungere che l'ente organato talora cresce e si esplica, talora si mantiene e resiste, e per, variando sempre e moltiplicando l' azione, moltiplica il moto ; e varia e frequenta eziandio il moto e l'azione, adattar volendo ai proprj fini la circostante natura che  in- stabile e cambia un poco ad ogni luogo ed in ogni tempo. Tutta la quale necessit del moto frequente e diverso cagiona in ciascun istante qualche dispersione di minuta materia e per induce il bisogno continuo d' altrettanta riparazione. 217.  Da ci risulta per ultimo la rinascente ne- cessit del flusso perenne della materia, e vale a dire che r assimilazione e la reiezione debbono tuttod av- vicendarsi e compirsi nell'individuo vivente. Laonde il continuo entrare di molecole nuove nel tutto orga- nato e r uscirne continuo di altre non pi assimilabili costituir debbe la legge fondamentale e non mai in- terrotta della vita vegetativa. 218.  Certo in natura nulla si fa contro la natura medesima e ci ancora che  violento non esce dal termine delle sue leggi. Nondimeno, tal cosa opera se- condo le cagioni pi comunali e in certa misura or- 516 LIBRO QUARTO. dinara, tale altra secondo un particolare concorso di potenze e di atti e toccandosi V estremo della potenza e dell'atto. Ci sebbene pu farsi, non dura; quello e sempre si fa e sempre si mantiene. I fisici a gran pena e con mezzi pi che insoliti anno conseguito di liquefare alcuni gaz. Ma ci per un poco di tempo e solo quanto riuscivano a serbare la unione di molte forze e l'atto estremo della loro energia. Ne potea durare quello che  contrario alla naturale ed essen- ziale tendenza di esse materie gazeiformi. 219.  Quando noi, per addurre altro esempio ef- ficace, mischiamo ferro e potassa entro un tubo chiuso e caldissimo, si vede che noi tramutiamo per arte lo stato ordinario e permanente di affinit in quell'al- cali ; e la base di lui, o vogliam dire il potassio, racqui- eta r essere suo di metallo. Ma ci dura poco prove- nendo da condiziono eccettuativa e straordinaria. L'os- sigeno presto s' incorpora novamente con quel metallo e l' alcali ricomparisce. Onde fare che il potassio du- rasse libero e solo, quando in natura non  mai tale, converrebbe introdur sempre nel tubo rovente nuovo ferro e nuova potassa. Ora ci fanno appunto i prn- cipj vitali nelle combinazioni chimico-organiche me- diante il flusso delle sostanze di mano in mano assi- milate e reiette. 220. Ei non v'  dubbio, impertanto, che nella vita vegetativa le monadi organatrici operano nella mate- ria uno sforzo operando contro le pi comuni ed es- senziali tendenze di lei. V' dunque in tale atto la necessit di riuscir transitorio, ovvero di mutare con- tinuamente il subbietto passivo. E in questo bisogno di sforzar la materia al segno ultimo delle sue pas- sive trasmutazioni, ci si rivela eziandio il principio della caducit della vita vegetativa. DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 517 221.  Probabilmente in altri mondi con mezzi e strumenti fatti e composti con meno straordinariet e violenza la vita organica torna pi facile e pi per- manente insino a che in pi alte regioni divenga per- petua, giovandosi di strumenti affatto spirituali ed in- corruttibili. AroRiSMO X. 222.  A cotesto flusso incessante corporeo biso- gnano altres certi organi in forma di recipienti e che loro servano di condotto e di alveo. Quindi in simili organi recipienti debbe accadere certa maggior fissa- zione di materia. Diversamente i moti del flusso non trovando resistenza veruna si sperderebbero e confon- derebbero tutti. In queste parti adunque meno muta- bili sar meno vivo il conflitto tra le leggi speciali della vita e le generali dei corpi ; ossia che quelle parti dimoreranno in condizione assai meno eccettuativa a rispetto delle forze comuni della materia ; e per minor bisogno sar in loro di venir rinnovate. 223.  Ma poi questa prevalenza medesima delle leggi pi generali dei corpi aumentando lentamente ed a poco insieme l'effetto piglier vantaggio sul rima- nente e condurr in pi o meno tempo la consuma- zione del corpo organato o la morte che voglia dirsi. CJonciossiach per la vita vegetativa  necessario un perfetto equilibrio tra il solido e il liquido. Ma d'altra parte, la vita vegetativa risultando principalmente dal conflitto incessante delle due sorte di forze,  gran me- stieri che dove l'una non prevale e non vince, l'altra la soverchii e gradatamente l'annulli; il che importa che la materia organata ritorni tutta quanta sotto l'impero delle leggi comuni, la qual cosa domandasi appunto la morte sua. 518 LIBRO QUARTO. A. 224.  Negli animali la graduata preponderanza delle leggi comuni entro la parte solida dei medesimi  chiara e patente. Quella porzione delle ossa che i fisiologi chaman terrosa, consiste principalmente di fosfato e carbonato calcareo ; e simili materiali vi stanno in forma di sale, e cio come semplici combi- nazioni inorganiche; e a rispetto del rimanente nella composizione delle ossa quei materiali tengono propor- zione della sola met nel fanciullo, di quattro quinti nello adulto e di sette ottavi nel vecchio. Ma v' cosa ancor pi notabile e vale a dire che negli anni senili le cartilagini tutte ed eziandio la tu- nica dei vasi sanguigni tende a riempiersi di sali calcarei. Visibile  dunque che in tutto ci che nel composto animale domandasi solido predominano le leggi corporali comuni. E quando cotal predominio non esistesse infino dal primo costituirsi del composto ani- male questo non potrebbe in guisa veruna svilupparsi e perfezionarsi. Conciossiach i suoi movimenti varj e molteplici debbono per molta porzione obbedire alle leggi della statica universale, senza il che non potrebbe esso composto operar di continuo sull'ambiente ma- teria adattando lei a s quanto s a lei. Bisogna dun- que neir organismo venga crescendo insino ad un certo segno r assolidarsi di certe parti, il che trae seco la prevalenza delle leggi comuni esteriori; le quali seb- bene trovano nel colmo della vita vegetativa giusto contrappeso nelle forze contrarie, proseguendo nulla meno la propria efficacia debbono in corto tempo sce- mare e quindi rompere affatto quelF equilibrio. 225.  Perch tale equilibrio durasse perennemente DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 519 ei si converrebbe che quanto prevale da un lato l'azione delle forze fisiche e meccaniche altrettanto succedesse nelle forze propriamente vitali. E per fermo, crescono queste e prevalgono insino a tanto che la composizione e funzione dei visceri e degli altri membri vassi com- piendo e perfezionando ; dacch la potenza assimilatrice misura l' efficacia sua al mezzo immediato e bene or- ganato di esercitarla. Di quindi nasce che il corpo ancor tenero cresce e raggiunge in un cotal tempo le proporzioni, la sodezza ed i limiti del proprio sviluppo. Ma gli  manifesto che pi l di quel termine, mentre la virt assimilatrice e l' altre forze propriamente vitali e interiori mantengonsi in una pari intensione ed azione, le forze fisiche e meccaniche test ricordate proseguono a minimi gradi la lor prevalenza ; da poich fu neces- sario alla economia animale il concederla in sino dal primo in certi organi e in certa porzione del corpo vi- vente e che d' altro lato le forze della materia esteriore n cambiano sostanzialmente n scemano. B. 226.  Nei vegetabili ci apparisce altrettanto vera, sebbene in modo meno visibile, la teoria anzi esposta.  di fatto ogni pianta  una connessione di cellule e ad ogni cellula bisogna certo recipiente come pure certa separazione e difesa; il che le  procurato dal proprio involucro o vaso, e cio a dire dalla parte solida del proprio organismo. 227.  N qui vogliamo" celare un nostro pensiere il qual ci sembra disascondere la cagione essenziale 520 LIBRO QUARTO. ed intima dell' introdursi nel corpo organato la pre- valenza parziale delle leggi comuni della materia. E intendiamo la cagione efficiente immediata e non la finale e intellettuale. Conciossiach non cesseremo pur mai di rammemorare ai naturalisti e ai filosofi che la natura in disparte dalle intenzioni supreme opera anzi tutto per cagioni fatali ed intrinseche le quali non sono alP ultimo altra cosa che le sue forze le sue tendenze ed i suoi accidenti, sebbene accada pur sem- pre che tal suo modo di operare combaci esattissima- mente coi fini prepensati e voluti dalla divina men- talit. 228.  Piaccia dunque di avvertire che il germe iniziale d'ogni corpo organato  la cellula e questa si dilata quanto porta l' attivit della monade o delle monadi respettive. Quindi nei punti estremi della cellula stessa egli par naturale doversi formare un involto di materie quasich inerti, cio poco o nulla mosse e im- pregnate dalla virt organatrice e poco altres stimo- late dall' estrinseche forze speciali , dapoich quivi muoiono in parte le une e le altre e come dicesi oggi si neutralizzano. 229.  Prevarr quivi soltanto la forza pi gene- rale ed inestinguibile della materia stessa che  la forza di coesione. Ne nascer dunque una concrezione meccanica e per pi inerte e al resistere pi confa- cente. Aforismo XL 230.  Ma un' altra cagione certo pi generale e non meno vigorosa condur debbe alla distruzione qua- lunque corpo organato e questa  insita nella supre- ma necessit del frequente moto e del frequente mu- DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 521 tare. Che sopprimendo cotale frequenza la vita non si sviluppa n si rinnova e modifica quanto bisogna alla sua compitezza e all' adattazione continua che debbe in s medesima indurre verso il variare altres con- tinuo della natura ambiente. Ma frequenza estrema d' innovazione e di moto traggo seco l' azione impli- cata di molte cause particolari e di molti minuti ac- cidenti. E sebbene tuttoci  ordinato con serie mira- bile di compensi di riparazioni di preservazioni e di- fese, saria vanit il pensare che in certo sistema de- terminato di monadi la virt riparatrice e preserva- trice fosse infinita e alla quasi infinitudine delle azioni specialissime ed accidentali potesse far sempre impe- dimento esatto e per ogni parte compiuto. Infrattanto,  legge comune non che necessaria del- l' universo dei finiti che le cause minime ed accidentali cumulino invisibilmente gli effetti loro insino a quel punto che la somma di tutti si manifesta assai rilevata e mena seco altrettanta efficacia di opera. Ora basti il considerare che nel complesso dell'organismo insinuan- dosi a minimi gradi la forza degli accidenti, debbe in ultimo risultarne che le riparazioni e preservazioni ed ogni altra sorta di compensi, mantenimenti e difese non riescano precise esquisitamente ogni sempre e il flusso  le forze naturali che noi conosciamo. Perocch i su- biti accidenti come i terremoti e T eruzioni deWulcani e la furia delle tempeste sono atti Tolenti che distrug- gono ma non creano. Le trasmutazioni poi tardissime accadute sul globo, e che a minimi gradi forse si ope- rano tuttavia, sono per ultimo V accumulazione infinita d' infinitesime forze. Solo V uomo fa ordina compone ^.mmenda e perfeziona secondo i principj e le leggi immutabili del vero, del bello e del bene. A, 293.  La operosit e T industria umana ebbero gi recato mutazioni e modificazioni non poche al clima, alla temperatura, al corso delle acque, alla fertilit del suolo, alla traslazione dei vegetali e degli animali e ad altre contingenze. N si dee credere che il ge- nere umano sia pervenuto neppure al mezzo di tale trasmutazione ; perch gli stimoli stessi della necessit suprema di provvedere al sostentamento proprio costrn- ) gerannolo a dilatare le sue dimore in ogni angolo (della terra e trasformare i deserti in campi ben col- tivati, mentre dalla chimica e altre scienze naturali caver secreti e spedienti maravigliosi per iscemare e combattere la intemperanza dei climi, la malsania delle arie e simili danni e pericoli. Onde non pu ne- garsi air uomo la gran dignit d' essere braccio di Dio e compiere sotto questo rispetto V atto medesimo di creazione adattando s stesso e le cose al fine giusta r arte divina che abbiam domandato del Convenevole. DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 549 294.  Ma cotesta arte nelle mani di Dio, mentre nddixizzsk gli enti inferiori all' attuazione del fine as- soluto, imprime in loro i vestigi del bene e qualche fruizione di qualche fine relativo. Imitano esse in ci le generazioni umane l' arte divina o invece attri- buiscono al proprio lor fine ogni cosa senza badare quello che ne risulta per la vita universale della na- tura sulla faccia del globo? 295.  Certo, sotto le mani dell' uomo e per li progressi della cultura l'aspetto del nostro pianeta si fa i*egolare, ameno, fiorito, elegante e pieno di moto e di vita; e s'egli  vero che la bellezza sia raggio della divinit, noi, recando a poco a poco la terra nella forma . soluto esistere dentro 1' anima e non esstere ; n del pari  concepibile un mezzo senso del retto e del giu- sto n dividere per met l'atto di coscienza. /* ^;^' . Alla stessa maniera egli si vedrebbe che a vol^ tramutare in uccello un mammifero non con- sentivano le leggi onde  governato quest' ultimo che gli si appiccassero le ali nel modo di tutti i pennuti, ma invece si dilatassero le cartilagini tra le falangi delle estremit qualmente si scorge nel vipistrello; ovvero si pot nella bocca simular la forma del becco e nelle viscere costruir la cloaca, seguitando pel rima- nente, cio a dire pel pi sostanziale, la costruttura necessaria al mammifero come si scorge nel genere gi ricordato dei monotremi. 400.  Che, quando tu sopprima in questo animale e in cotesto alcuni ristringimenti od ampliamenti di parti od alcune poche superfluit, tu verresti insieme a fare impossibili, come si disse, alcune funzioni essen- ziali ; e s ancora ad annullare assaissimo svarianze di specie, mentre la natura guarda sopra ogni cosa alla sterminata eflfettuazione del possibile. 401.  Per lo stesso fine e per quelle necessit pro- venienti dalla universalit d' una legge determinata di vita e di organizzazione, consente la natura talvolta a disdire, nell'apparenza almeno, la sua norma eterna e divina del Convenevole, siccome quando  fatto che l'ape DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 595 usando a propria difesa del suo pungiglione t perda insieme la vita; ovvero quando foggi la capsula del papavero e d'altre pianticelle in guisa che rendesi malagevole lo spai^mento del seme, e forn di pappo le semenze che permangono sterili, mentre a parecchie altre germogliabili lo diniego e ad altre lo concesse in maniera che si separa dal granello invece di tras- portarlo seco. 402.  Ma se le specie dimostrano a drappelli per drappelli certa comunanza di leggi e di forme organi- che, ci non induce alcuna prova che 1' una specie sa generata dall'altra; nel modo che le somiglianze, le quali intervengono tra l' oro e il ferro non diede al- l' alchimista veruna ragione buona per credere di tra- mutar l'uno nell'altro. Nel vero alle variet indivi- duali non  assegnabile alcun numero, tante sono e cos volubili 1 Ma non travalicano l' individuo, e sopra tutto non oltrepassano d' un minimo iota la sfera degli accidenti. E sebbene l'industria umana o certa par- ticolare costanza del mondo ambiente pu dare fer- mezza e perpetuazione alle variet, nulla non perviene a cancellare in esse il carattere loro fortuito; quindi mai legittimamente assumono 1' appellazione e quasi diremmo la dignit di specie. E quando sia confer- mato che animali e piante ibride malamente tradu- cono in remoto avvenire la loro fecondit, noi neghe- remo eziandio che esistano vere specie consorelle e di parentela congiunte. 403.  Quanto poi alla dirisione delle gran classi per entro le quali sono rostrate le diverse fami- glie delle piante e degli animali,  facile il preve- dere che i dotti non bene s'accordano fra loro, ap- punto perch la unit di disegno non lasciasi scorgere ancora nei suoi caratteri fermi e ben definiti e forza  596 tilBRO QUARTO. air uomo lo andarli raccogliendo dalle pi esterne ap* parenze. 404.  Nel che per altro, se non  temerario cos giudicare, i naturalisti compiacciono di soverchio al senso ed all'occhio ed assegnano troppo alto luogo alle forze plastiche. Cos sono posti insieme talvolta animali troppo diversi nelle funzioni ed istinti loro e in tutto r abito della vita, solo perch qualcosa di pi esteriore e visibile appartiene ad essi in comune, ovvero perch concorrono in quella sola general somiglianza opportuna e comoda a noi per le nostre ripartizioni. Come quando i zoologi involgono nella stessa dirama- zione, e per in certa medesimezza fondamentale di tipo organico, il granchio, il calabrone, il ragno e la sanguisuga, principalmente per la rassomiglianza che anno nella forma anulare od articolata degP integu- menti i quali, come si not altra volta, differiscono per sino nella composizione chimica elementare; dac* che nel granchio risultano di carbonato calcareo, e negl' insetti di solfati e d' altri principj, e negli anelidi confondonsi con T epiderme. N dovea bastare la tras- formazione mirabile del filugello di verme in crisalide e di questa in farfalla per comporre di esso e degli altri a lui simili un ordine il pi distinto ed originale di tutti ? Nondimeno sono mescolate con loro pi sorte d' insetti che mai non volano n s' incrisalidano. Ma in genere si dee giudicare che le diramazioni e classi nel regno dei vegetabili e degli animali sono aiuto della memoria ed agevolezze e metodi a far meglio avvertire le somiglianze e le analogie. 405.  Solo mi sembra un poco ambizioso il titolo che i moderni lor danno di ripartizioni e classi ordi- nate con metodo naturale, e credo la natura se ne debba alquanto burlare. Ei sembra che a tutte le DELLA VITA E DEL PINE NELL'UNIVERSO. 597 razze canine sa conceduto di accoppiarsi e prolifica- re ; e intanto, se giudichiamo dalle forme esteriori v'  molte specie distintissime di animali fra cui V accop- piamento si rimane infecondo e le quali tuttayolta ap- paiono meno fra loro diversificate che non , ad esempio, il picciol levriere e il cane di Terra Nuova. Tu ti affretti, o zoologo Darvinista, di argomentarne e concluderne che razze e specie sono tntt' uno. Mai no, signor mio, ma invece si dee concludere che v'  nella specie qual- cosa di pi profondo e qualitativo che sfugge non rado alle tue analisi e quindi alle tue divisioni e designa- zioni. 406.  Ripetasi il discorso medesimo per le razze umane tanto diverse e pur tutte coniugabili e tutte fe- conde. Al che dovrebbersi, al parer nostro, aggiungere le variet che facilmente si traducono e si perpetuano e sceverarle da quelle che muoiono con T individuo. Del pari dovrebbersi aggiungere le molte specie che non sopportano mutazioni d'ambiente ancorch leggiero, mentre moltissime altre vi durano e vi resistono. Tali fatti, e i consimili che lungo sarebbe di qui registrare, ci sembrano dar prova abbondevole che l' occhio dei zoologi  insino al d d'oggi non molto penetrativo nella sostanziale e suprema economia della vita. 407.  N voglio nascondere che quando il metodo fosse invertito (e v'  pure chi lo venne tentando) e in luogo delle forme e della testura plastica si ripartis- sero i viventi piuttosto con la norma delle funzioni e degl' istinti, cadremmo in altre bizzarre ripartizioni ed unioni ; perciocch la forza organatrice, sebbene tende ai medesimi fini, adopera mezzi differentissimi, volendo far sempre luogo ad ogni diverso e ad ogni possibile. E per via d' esempio, egli  certo che alla natura pre- me in singoiar modo di operare in larga misura l' atto 598 LIBRO QUARTO. di ossigenazione nei corpi organati, siccome quello che  potentissimo eccitatore delle facolt ed azioni vitali ; ma quanta diversit di funzione si compiace di usarvi ! Peroccb nelle piante si serve del ministero della luce, in molti animali lo efiPettua col sistema polmonare e cardiaco; negP insetti, mediante la moltiplicazione e il prolungamento delle trachee, nei pesci mediante le branchie che mal si presunse dover essere polmoni tras* formati, e fu provato invece che nelle rane le branchie e i polmoni sussistono insieme per qualche tempo. 408.  L'atto del volare non  egli importante? certo che s, e tutti gli abiti della vita, pu dirsi, ne vengono modificati e variati. Nondimeno, se tu pen- sassi di radunare gran parte degli enti organati sotto questa denominazione di volatili, tu porresti insieme le pi dispaiate organizzazioni ; perocch allato agli uccelli dovresti collocare da una banda g' insetti, dal- l'altra qualche viviparo; n vi sarebbero esclusi i ret- tili e i pesci, quelli rappresentati dalla lucertola detta dragone, questi dal datiloptero. 409.  Da tutto ci si raccoglie che quantunque non sia da negare negli enti finali, o viventi che li chia- miamo, certa divisione naturale di organizzazione e certa unit di disegno in pi forme e tipi distinta, vero  d' altra parte che torna difficile sopra modo di coglierla nel suo carattere e nella sua essenza ogni ora che dalle idee scendiamo nei fatti particolari e ben definiti. In ogni maniera, cotesta unit organica cercata e desiderata dai fisici giudichiamo non essere che una forma ristretta e corporea del gran disegno generale della vita nei mondi creati, intorno del quale noi ci faremo di nuovo a discorrere nel Capo che segue. E si riconosca qui pure come l'unit volendola stringere forte con mano sdrucciola via da tutte le bande ; e ri- DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 599 mane il diverso ed il vnno e nel tutto insieme certa connessione di cause e certa armonia, ella pure va- riata mai sempre e maravigliosa appunto perche ema- nante da separati principj. IV. 410.  La quale armonia per volerla gustare il pi che sia conceduto domanda di essere ricercata e quasi SI dire ascoltata dalla maggiore altezza dell'universo, e ben compresa nelle sue relazioni con l' ordine intero della finalit che  l'ordine altres della vita. Allora anche i fatti dell'organismo vegetale e animale pale- sano la significazione loro; e quella unit di disegno che l'osservazione e l'esperienza non giungono a co- gliere  ravvisata nella connessione dei principj e dei fini, e tanto supera di perfezione e di bellezza il mondo meccanico e chimico, quanto la natura del fine  pi degna di quella del mezzo. Noi qualcosa ne abbiamo di gi discorso e specificato, e proseguiremo fra breve. Ma, infrattanto, vogliamo notare come nelle dottrine dei moderni naturalisti, consapevoli o no, sia penetrato lo spirito della moderna metafisica ; indizio nuovo ed efficace che lo studio severo dei fatti non dee n pu scompagnarsi quanto vorrebbero molti dalle teoriche speculative ; onde noi speriamo che di queste pagine non sar detto dai fisici, qualora pur le leggessero, che sono astrattezze vuote ed inutili alla positiva scienza del Cosmo. /.yzv- o , .' 411.  Questo  certo che la metafisica impregna- tasi pi che mai in Germania dell'aura del panteismo produsse del pari una panteistica cosmologia. E in- sino a che trattossi delle attinenze pi generali e del comune di tutte le cose, non parve la osservazione em- 600 LIBRO QUARTO. pirica entrare in conflitto manifesto con que' nuoTi concetti. Ma quando venneai ai particolari dell^ orga- nismo, non bast ingegno d'uomo a ridurli tutti al medesimo stampo, e intendiamo che non bast a farli uscir tutti da una sola progressiva generazione e tras- mutazione dello stesso principio; talch si potesse concludere l'organismo essere uno perfettamente dal zoofito air uomo, salvo che sempre ascendente a svi- luppo maggiore e variato, e le specie con moto inces- sabile essersi trasmutate l' una nell' altra e nessuna restare identica a s medesima, e tutte segnare un punto transitorio e un passaggio del divenire perpe- tuo della gran forma vitale. 412.  Oggi subentrano altri naturalisti e ci si provano con erudizione nuova di fatti e con nuova industria di raziocinio. A noi sar debito di tenerne ap- propriato ragionamento. In questo mezzo ci par giove- vole di avvertire come a tutta la schiera dei panteisti speculativi e sperimentali presiede un concetto essen- zialmente fallace intomo all' origine delie cose e alla natura dei finiti. 413.  Il vero  che i finiti sono il diverso, il disgregato e l'insufficiente, e tutto quello che a lor s'appone, apponesi dal di fuori. Chi sempre non tiene dinanzi agli occhi luminosa ed evidente cotesta massi- ma, circa Tessere della finit che  l'essere dei mondi creati, dismetta la speranza d' indovinare e interpre- tare secondo ragione e conforme a realit 1' economia eterna del Cosmo. 414.  Invece, nei panteisti  il concetto contrario che il mondo esce dalla propria potenza mediante un progresso di esplicazione e organizzazione di s mede- simo. Vogliono che nel finito sia un virtuale infinito, qualcosa di perfettamente uno che si svolge e dirama DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 601 nel molteplice interminabile. I pi moderni poi, che sono gli Hegeliani, danno un cominciamento a quella medesima virtualit ; onde a priori non resta pi nulla e tuttavolta n'esce fuori ogni cosa; il perch i pensatori ne rimangono attoniti, come il popolo nei teatri quan- do l'abile giocoliere fa da un cappello yuoto uscir roba e roba senza mai fine, prima fiori e frutta a bizzeffe, poi uccelli, anatre e papere, e da ultimo un grosso agnello e un barbuto caprone. 415.  Noi ripigliando il filo delle deduzioni svolto e disteso per li Libri anteriori aduneremo da capo in alquanti aforismi la somma dei principj intomo alla vita, dappoich le analisi test compiute e la sequela medesima delle conclusioni venutasi spiegando per li passati aforismi ne porge modo di meglio delineare al presente e meglio stringere nelle sue parti la sintesi generale della vita nell'universo. CAPO UNDECIMO. ANCORA DELLA UNIT DI DISEGNO NELLA ORGANIZZAZIONE. Afobismo I. 416.  Assai volte abbiamo veduto nei Libri ante- riori che l'universo  spartito in due grandi ordini e cio in quello dei mezzi e nell' altro dei fini. 417.   chiaro che in ciascuno dei mezzi, per quanto  tale, dimora una entit relativa e la cui esi- stenza rimane in parte (a cos parlare) fuori di s. 602 LIBRO QUARTO. A rincontro nel grande ordine dei fini, che vuol dir della vita, dimora una forma di essere che rispetto ai mezzi  assoluta e in s medesima  consistenza ed e richiamo ed attrazione naturale del rimanente. 418.  I mezzi adunque, come spiegammo per ad- dietro, se accrescono la potenza loro per adunamento ed aggregazione e compongono alcun macchinismo (e ne compongono degli stupendi, arrivano a ci per con- corso fatale di forze, e nulla in essi adempie diretta- mente Vintus smceptio, che  propria ed essenziale alla vita. A. 419.  Dal che risulta, per altro, che se principio di mutazione e d' ampliazione e d'ogni cosa nella ma* teria  il moto, diventa necessario che il moto, nel generale, riesca attrattivo e non ripulsivo, di accosta- mento, vale a dire, e non di rimozione e di fuga. Stan- teche il finito pu solo aggregandosi ai simili fuggire lo sceveramento e la piena impotenza. Troppo  ne- cessario impertanto che V attrazione sia la legge su- prema ed universale non pure dei corpi ma d' ogni esistenza finita. 420.  Dal che si vegga di nuovo siccome, dato il concetto di materia e di moto, il rimanente pu in non picciola parte venir dedotto per metodo dimo- strativo e ontologico ; mentre io persevero nell' af- fermare che dalla nozione sola ed astratta del finito niuno dedurr mai con nesso apodittico la idea speci- ficata della materia, n dalla nozione di questa la idea di moto. DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 603 Aforisho II. 421.  Ma gli enti finali, per chiamarli alla nostra maniera, partecipando alla vita, fannosi centro di at- tivit in qualche grado e rispetto dominatrice all'in- torno di loro ; e ci che pigliano e ci che diventano accade per forza interiore al contrario appunto del concorso fatale di materia e d forza che nell'ordine dei mezzi succede. Laonde nella definizione generalis- sima che proferimmo della vita fu serbato il primo luogo al concetto dell'individuo giusta l'accezione e determinazione che apponemmo al vocabolo in questo medesimo Libro. E appunto perch egli  finito indi- viduo e nel generale  insuflScientissimo a s medesi- mo a lui fa d'uopo di accrescere e invigorire l'entit propria operando sugli altri finiti. Di quindi l'atti- nenza logica che introducesi immediatamente fra il concetto della vita e un qualche apposito organismo ; e per la definizione nostra compievasi con l'esprimer quell'attinenza. Aforismo in. 422.  L' essere finale e vivente pu trovarsi con le circostanti esistenze in queste sole tre relazioni : od egli  lor superiore od uguale o inferiore. 423.  Nel primo caso, lo sforzo dell'ente vitale  di assimilare i finiti ambienti e convertirli nel miglior macchinismo possibile che  la forma strumentale. 424.  Nel secondo caso, e cio quando l'essere finale e vivente imbattesi ne' suoi pari e simili, si fa manifesto ch'egli non  potere di appropriarseli e per- ci rimane che nasca fra essi una spontanea consocia- 604 LIBRO QUARTO. zione e certo organismo razionale comune. Del quale organismo parecchie specie di bruti danno indizj e /cenni nell'istinto lor compagnevole, ma nelle genera- zioni umane  principio e fondamento del consorzio civile, . 425.  In terzo luogo, se quello che all'individuo vivente rimane esteriore  pi perfetto di lui (e l'oggetto rispondente al fine assoluto  perfettissimo), l'individuo in parte organizza s stesso con la potenza riflessiva e ragionatrice ; in parte si giova degli strumenti a lui connessi come di cause occasionali nel modo che ab- biamo spiegato pi sopra; e da ultimo,  potenza at- tiva insieme e passiva ed  mezzo e fine scambievole mente in un pi alto organismo, conforme si verr dimostrando a suo luogo. Afobismo IV. 426.  Seguita da ci, e questo pure fu detto al- trove, che da per tutto dee gomparire il fine o la vita dove sar qualche coordinazione di mezzi; e la vita piglier tanti aspetti quante sono le sorti di mezzi e le loro combinazioni, e quante altre combinazioni rie- sce a creare la vita medesima operando sopra le cose. Ma la divina mentalit tendendo mai sempre alla vita, che  il fine, e tutte le esistenze a ci addirizzando, moltiplica in portentosa maniera i germi; perocch meglio  che un germe o parecchi periscano o si ri- mangano infruttiferi per difetto dell'ambiente, di quello che all'ambiente bene apparecchiato manchi l'essere finale o il germe vivente che tu il domandi. Ci fa che non s'incontri un police d' aria o d' acqua o di terra entro il quale non viva qualche umile anima- luzzo, 0 per lo manco germi varj e copiosi, belli e DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 605 pronti alla vita. N pensiamo dover essere diversa- mente in ogni pianeta e in ogni luogo del creato, per- ch tuttoci  al creato essenziale ed universale. Afobismo V. 427.  D' altro canto, compendiando il gi definito altra volta da noi, ricordiamo che ogni cosa in natura sembra nativa e spontanea e nondimeno esce da certo sforzo del finito contro la propria impotenza ; e la per- fezione vi  raggiunta parzialmente e per gradi col vincere ad ogni poco le insufficienze ed i limiti. Per la natura sebbene tenda a menar la vita al colmo dell'eccellenza, tardi perviene in ciascuna sfera di creazione a porre in unione intima il pi compito in- dividuo col pi perfetto degli organi. E tuttoch la natura desideri di moltiplicare il bene ed accomunarlo al maggior numero di viventi, cotesto numero si va , ristringendo nella proporzione inversa che la eccellenza della vita sopraccresce. Afobismo VL 428.  Ma noi sappiamo dai libri anteriori che eotal serie e prolungazione di termini spiegando tutte le differenze e variet d'organismo serve alla natura per obbedire continuo alla legge dell'attuare i possi- bili; e col procurar di questi ogni fattibile combi- nazione e correlazione la natura ottempera docilmente all' altra gran legge del Convenevole ed insinua certa virt di progresso nella catena smisurata degli enti finali. 606 LIBRO QUARTO. Afobismo vii. 429.  Come poi la vita significa attivit e spiega- mento fruttuoso di forze; e d' altro lato, le leggi della finit vogliono che V attivit di qualsia vivente si com- pia in gran parte fuori di s, e del pari le ampliazioni deir essere sieno cercate al di fuori traendosene ora la promozione delle facolt proprie ed ora la materia da sottomettere ed organare, per tutto ci il concetto della vita non si determina n specifica convenevolmente, quando altri non consideri ogni rapporto particolare dell'individuo vivente con la natura che lo circonda. 430.  La quale, conforme notammo pi sopra, se gli  troppo inferiore, non dilata n migliora l'essere di lui con lui congiungendosi, n tampoco dobbiamo crederla bene disposta a provocarne le facolt. Per opposito, se r ambiente natura accostasi troppo di es- senza e di abito all'individuo vivente, appar manife- sto che non potr essere dominata a posta di lui n diventare strumento suo. 431.  Difficile . dunque trovare che tale indivi- duo valga ad ampliare l'essere proprio e variamente eccitarlo con aggiungersi per via immediata e adat- tarsi le cose ambienti. Ma qui pure  bisogno quanta in ogni altro ordine certa successione e concatenazio- ne, tanto che fra l'estremo del principio spirituale attivo e il contrario estremo d' un principio inerte ed eterogeneo, tuttoch disposto a venir dominato, in- tervenga una forma mezzana, la quale, investendo im- mediatamente di s il principio passivo ed eterogeneo e dall'altra parte congiungendosi in istretto nodo col l)rincipio spirituale vivente, componga di s e delle sostanze passive l' organo pi confacevole. DELLA VITA E BEL FINE NELL'UNIVERSO. 607 Afobismo Vin. 432.  Ma quando corra distanza eccessiva fra il primo e V ultimo termine, il piegarsi questo ad obbedire allo spirito in modo che rechigli utilit e servigio con- tinuo non pu essere proprio ne abituale alla sua na- tura, ma dee succedere in maniera eccettuativa e per isforzo e violenza. Di qui la necessit permanente del ilusso della materia e la consumazione dello strumen- to, secondo che fu spiegato a dilungo altra volta. 433.  Il quale siforzo, per altro, e la qual condi- zione eccettuativa pu del pari avverarsi tra V ultimo termine e il medio, se fra essi due interviene simil- mente molta distanza e la materia non si congiunge spontaneamente all'anima vegetativa ma n' soggio- gata. E di questo parlare per tropi chieggiamo scusa perch reca evidenza e cresce espressione. 434.  Tuttod si osserva e si sperimenta che in fatto se l'anima vegetativa rimane discosta di molto dal principio superiore spirituale, non  minore l'aliena- zione della materia bruta dall' anima vegetativa. Per noi scorgiamo che il flusso della materia accade con- tinuo eziandio nei composti organati, dove non  prin- cipio senziente alcuno e dove si  la congiunzione di soli due termini, la materia, cio, e un qualche sistema di monadi. Salvo che il flusso  tanto pi vario e veloce, quanto l'organizzazione  pi complessa e dil- cata ; il che importa maggiore frequenza e complica- zione di moto ; e questa, maggiore sperdimento di ma- teria e bisogno assiduo di riparazione. 608 LIBRO QUARTO. 435.  Del resto, se la materia bruta  violentata dall' anima vegetativa, noi giudichiamo che avvenga altrettanto a un di presso di questa seconda a rispetto del principio spirituale vivente ; onde non pare impro- babile che nemmanco le monadi rimaner possano sem- pre le stesse ma avvenga di loro una qualche iBus- sione. 436.  Certo e poi che la quasi indipendenza delle funzioni strettamente vegetative dall'impero del prin- cipio senziente dimostra che questo lega e signoreggia le monadi meno assai che le monadi stesse non fanno a rispetto della materia ; tanto manca che possa dirsi con Aristotele l'anima umana essere forma del proprio corpo; il che nel parlare di quel filosofo importa r anima vegetativa essere materia e possibilit di cui lo spirito umano  l'energia e l'atto perpetuo. 437.  Da ultimo andremo notando che l'organi- smo dei vegetabili non trapassa a quello degli animali per virt informativa d'un principio senziente che vi si aggiunge; dacch negl' infimi gradi dell' animalit, come nelle meduse e forse in alcun altro zoofito, si pu senza uccidere il vivente aggregato trinciarlo in parti numerose e moltiplicar l'animale secondo che accade nei vegetabili. V' dunque nelle meduse un sistema particolare di monadi non un vero e vivente individuo; e v' due ordini differenti di esse monadi, le vegetabili propriamente denominate e le animali, e cio a dire le ben disposte a ricevere un qualche principio spirituale senziente. Aforismo IX. 438.  Cotesta necessit del flusso perenne delle sostanze organiche pu cessare in parecchi modi. Pri- DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 609 mo, col sottomettere l'ambiente natura senza isfor- zarla e convertendo quella sua congiunzione al prin- cipio vivente in istato affatto ^ormale ed abituale come, per via d'esempio, vediamo il carbonio che nel diamante perpetua la sua solidezza contro l' essere suo proprio di sostanza aerosa. Secondo, col fare che il flusso delle sostanze organiche succeda con tale per- fetto equilibrio di sperdizione e compensazione che ri- petendosi infinite volte giammai non si alteri, ovvero alterandosi vaglia in certi periodi a reintegrarsi com-. piutamente; e allegheremo per un cenno di simiglianza il ringiovanire artificiale di quei parassiti animaluzzi viventi sul musco hypnum purum di cui discorre il Dutrochet. Terzo, col trasformarsi l'organo a grado per grado, ovvero a tempi determinati seguendo i moti e gl'impulsi del principio spirituale a cui serve. 439.  Noi dobbiamo credere che la creazione non vuol riuscire meno varia e meno progressiva nella co- struttura e potenza dell'organismo di quello che nel- r altre specie di cose. Per i supposti surriferiti  gran- demente probabile si avverino tutti o in altre parti dell'universo o nei medesimi esseri alzati a superiore condizione di vita. Onde conviene che la mente si av- vezzi una bella volta a divisare il progresso dell' or- ganismo non nelle sole modificazioni della materia as- similata e delle forme plastiche, ma in trasmutazioni assai pi profonde e assai migliori che le corporee, e per ci medesimo non figurabili ai nostri sensi e ma- 1 nifeste solo al pensiere. 440.  Che l'organo possa ricevere influsso di per- fezione dal perfezionarsi del principio spirituale si Mamuiii. ~ ]I 39 610 LIBRO QUARTO. vede per qualche segno eziandio nella condizione no- stra presente. Perocch gli  certo (come avvertimmo altrove) che nell'organismo nostro il sistema nervoso dopo lunghissima serie di generazioni crebbe di volu- me e di attivit e le sensazioni si fecero per ci pi squisite. Chi poi non sa quanto l industria e il sa- I pere umano affinassero ad una e stendessero la po- I tenza degli organi con istrumenti acconci e ingegnosi per modo che questi paiono recare agli organi stessi quel gran profitto che l'anima suol ritrarre tuttogiorno dal proprio corpo e dal ministero dei sensi? Gotesta I virt strumentale inventata dagli uomini e bene adat- / ta al moto ed agli usi de' nostri membri , per mio avviso, un simbolo chiaro di quello che sar l'organo appropriato ed immedesimato con lo spirito e ricevendo gli influssi del sublimarsi e perfezionarsi di quest'esso. Aforismo X. 441.  Errore grande, peraltro, commetterebbesi a credere che l' uno dei prefati supposti avverandosi non porti seco sostanziai differenza nella economia intera della vitalit e dell'organismo e per rimbalzo in quella dei mezzi e degli apparecchi. Attesoch, il primo supposto del rimanere sempre una medesima sostanza organica abitualmente congiunta e senza sforzo nessuno col principio spirituale non pure  combattuto dalla inferiorit soverchia della materia assimilabile a rispetto cos delle monadi come dello spirito, ma dalla necessit eziandio del continuo moto e delle continue modificazioni senza le quali lo spirito stesso n cam- bia n progredisce n pu adattarsi ad ogni poco al mutare del mondo esterno. Sopprimere adunque il flusso incessante della materia assimilabile impoi'ta DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 611 una generale trasformazione del nostro mondo orga- nico ed inorganico ; e per V attuazione sua debb' es- sere conceduta ad altro sistema di cose in altra re- gione di viventi. 442.  Al secondo supposto dell' equilibrio perfetta ed inalterabile fra l' entrare e 1' uscire delle fluenti sostanze move contraria e invincibile la necessit del dover crescere l'organo e di svilupparsi via via sino alla maturit sua. Perocch, come si vide a suo luogo, se le forze vitali e meccaniche si bilanciano esattamente nel punto di quella maturit, cos non facevano nel corso dello sviluppo ; e se trovano le seconde equilibrio con le altre perch aumentarono a mano a mano di prevalenza, questa  forza che prosegua ed all' equi- librio succeda l' eccesso ed all' eccesso la morte. Con- cioBsiach tali vicende emanano dalla essenza costante ed universale di quelle s fatte forze e sostanze e non dalla parte accidentale e mutabile ; al che poi debbe aggiungersi la variet e frequenza estrema del moto la quale induce la continua intervenzione e cooperazione di mille cause particolari e minute. Di quindi le ine- vitabili alterazioni del flusso che bench minime e tenuissime producono nella lunghezza del tempo un qualche disequihbrio nella bilancia quotidiana dell'as- similazione. 443.  Contro al terzo supposto milita lo stesso. genere di obbiezione, e il lettore la segna e determina da s medesimo. 444.  Salvo che altre difficolt insorgono molto maggiori. Perocch se il perfezionarsi progressivo del- l'organo emerge dalle proprie sue forze, non inten- desi come ci avvenga senza progresso ninno spiri- tuale dell'organo stesso; e quello presunto e aifermato non intendesi come quelle forze possano rimanere eia . LIBRO QUARTO. passive e sottomesse per intero al vivente individuo. Oltrech, due nature diverse quanto sono qui in terra il principio spirituale e Torganico, in qual maniera s' in- contrano a progredire e perfezionarsi nello stesso grado e eeoiz' alterare in nulla il loro rapporto reciproco? ; 445.  Qualora poi si voglia che il perfezionarsi ^ucssivo dell' organo provenga tutto dall' individuo vivnte, occorre di fingere in questo da un lato distanza nulto minore tra esso e l' organo, aflBne di potervi entro operare e influire immediatamente ; dall' altro occorre di fingere clie tale operare e influire torni assai pi pro- fondo e penetrativo di quello che oggi lo spirito nostro Dn fa; e per tale penetrazione l'organo s'informi e s^ imbeva della crescente virtii del subbietto al quale obbedisce. AF0R1S3I0 XI. .. 446.  Questa cosa, nondimeno,  sicura che in ogni sfera diversa di esseri tendendo pur sempre la divina mentalit al congiungimento pi intimo del nniglior principio spirituale con l'organo similmente Wiigliore, e questo punto del meglio non si potendo otte- nere che mediante un progresso in ciascuno dei ter- mini, noi siamo di credere che negli stadj superiori dell' anima razionale, l' organo riceva di mano in mano da lei analogo perfezionamento attalch non perda fa- colt di servirla nella difficile appropriazione ch'ella tenta di fare dell'oggetto assoluto. Aforismo XII. 447.  In simile guisa noi dopo un lungo rivolgi- mento siam rimenati al concetto della vita per ogni DELLA VJTA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 613 verso compiuta e perfetta e la quale dee perci con* sistere in quella energia razionale e morale ^li^e par- tecipa gradatamente del bene assoluto sinonim'della assoluta finalit, e compone a s il ])ropno orgfeno tanto neir ordinare e disciplinare le operazioni* del suo spirito quanto nell' assumere e immedesimarsi il^.amh biente natura; da cui ritraggo talvolta impulfe&>pToi- movitori e pi spesso di mera virtii occasioaaale pfer procedere fruttuosamente nella congiunzion.;8oavo0'a l'oggetto assoluto. Ognuno avvisa che tale srta: di ;ai'- gano debbe crescere in perfezione ad ogni perfezioujarsi della sua causa efficiente immediata; e in questo si- stema ciascuno del pari scorge e ravvisa V inteatO'eH pretto della vita razionale che quaggiii sulla '^ewatrii- , passa in conflitto e in non dissipabile torUideaisa ;ed i incoerenza. Ma la conquista del bene assolutoria^ v pu adempiersi unicamente per mezzo di uril^kiiiwcafv sionale e debbe l'anima essere, come a dir.,n rmti di altro efficiente organismo oltre la rifl^sifae *gi ricordata di s sopra s medesima. E tale effiien^za: di organo nettampoco pu uscire da mezzi inftriori'non ^ partecipi dell'Assoluto. Questa specie di antinomia altre volte indicata vedremo dissiparsi pi 'tardi; i- trattenendoci a ragionare della particolarit! dellaf vita umana razionale e morale. ' . i 448.  Ciascuno da ultimo misurandoi la ^Via/tras- corsa e la rimanente, s'accorge come la -Qnalfitl/o l'atto di vita che tu il domandi, non divcrstameilte.da ogni cosa creata scorre per trapassi variati e >copio8. Principia dalla pura vegetazione dove  organi^sO senza unit e che  fine a s stesso, attesoch noii viene informato e signoreggiato da individuo -^kuno spirituale e non  ufficio di vero strumentoi Qui gli svariati sistemi di monadi provano, per si diife^ e speri*- 614 LIBRO QUARTO. mentano la propria efficacia e sono V apparecchio ultimo fornito dalla natura all' effettiva finalit. 449.  Passa poi la vita al carattere di animalit e di organismo complesso, dove per la potenza inte- riore unificatrice le parti estremamente diverse armo- nizzano insieme e servono ad uno spirito e forse anche talvolta ad una monade superiore, la quale reagendo al suo modo verso gli stimoli esteriori e le svariate provocazioni interiori manifesta senso e appetito che sono attributi nuovi da nuova forza originati e so- vrapposti air anima vegetativa. 450.  Da cotesto punto la vita ascende per valichi innumerevoli di pi perfetta animalit con rispon- denza e proporzione di organi, e perviene insino ad un termine dove, per mio giudicio, non  ancora V intel- ligenza ma un qualcosa che T assomiglia e consiste principalmente in certa virt rappresentativa sebbene tutta fantastica e a maraviglia contemperata a molte sorte d' impulsi e moti interiori che per ignoranza del- l' esser loro domandiamo istinti. 451.  In cotal serie ascendente apparisce nel pia- cere e nel suo contrario alcun vestigio di bene e per alcun' ombra di fine relativo e per transitorio il quale poi per tal suo carattere fugacissimo racchiude di ne- cessit in se stesso una visibile antilogia. Conciossiach operando gli animali bruti maggiori e minori intorno alla propria conservazione che  il fine da Aristotele as- segnato air intero universo travagliansi a non perdere quello che anno, e per il loro intento  in realt di fuggire un male non di conseguire un bene, laddove il fine  qualcosa di superiore e di non ancor conseguito. 452.  Oltre che il fine privo di coscienza e d' intel- ligenza ignora e nega se stesso ; e per tutta la gran famigha degli animali bruti vive per s fuori di qua- DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 615 lunque fine e questo risplende solo nella divina men- talit che neir opera generale di conservazione statuisce il contrapposto della mutabilit ed esam'endo tutti i possibili respettivi valica dal senso all'intelligenza, dal- l' appetito alla volont e dai primi indizj del bene e primi segnali del fine al bene vero oggettivo ed aK l'assoluta finalit. 453.  Perci la vita ascendendo pur sempre ne' suoi due termini misti, l' attivo e lo strumentale, perviene da ultimo nella natura nostra terrena e corporea al congiungimento migliore dell'organismo e dello spi- rito, e ci mediante la intervenzione d' un terzo prin- cipio che  la visione ideale. Da questo punto la vita  consapevole di s medesima, veste tutte le am- mirevoli attribuzioni della personalit e riconosce un bene, un oggetto e un fine assoluto sempre in parte conseguito e conseguibile sempre. Allora la voce in- dividuo piglia la significazione intera che intende- vale dare la nostra definizione; e invece di esprimere come in principio di questi Libri l'ultima attenua- zione dell' essere e ci che in esso  negativo, perviene a designare il maggior colmo della potenzialit pro- gressiva che praticamente noi conosciamo. Onde quel primo individuo era semplicemente il non divisibile: questo secondo  l' indivisibile polidinamo. 454.  Allora l' organismo che nella corporalit non pu trascendere il segno di gi toccato muta ne- cessariamente non gli ufficj proprj ma gl'intendimenti ai quali sono rivolti, non potendo essi procurare la congiunzione e partecipazione del bene assoluto salvo che per indiretto e con virt occasionale; e la stessa natura ambiente predominata e connessa alle variabili esigenze dell' essere razionale vivente convertesi in fine relativo e sottordinato. 616 LIBRO QUARTO. 455.  Per ultimo, noi dobbiamo credere ad altra suprema evoluzione della vita la qual consiste, come qui sopra notammo, in certo progredire perfettivo e ordinato del principio spirituale con certa disposta e proporzionata forma di organo ; cotalch sia cessata in fra essi ogni specie d' incompatibilit e d' incoerenza. Laonde V evoluzione di che parliamo, sebbene  V ul- tima, dividesi per sua natura in istadj innumerevoli per tutti i quali la vita cresce e si compie. 456.  Sembrami che adunando insieme e raffron- tando parte per parte le cose discorse per questi afo- rismi il pensiero abbia in cospetto tale maravigliosa unit di disegno da lasciarsi indietro di mille miglia quella cercata dai naturalisti e fisiologi. Aforismo XIII. 457.  NuUameno noi confessiamo che tutto ci  lavoro lento travaglioso e incessante delle forze del- l'universo guidate in alto dalla efficacia divina del Convenevole. Dinanzi da lei  il possibile da esau- rire e il meglio da combinare. Negli esordj della possi- bilit, rispetto alla vita, incontrasi V idea dello spirito amano involto in corporale organismo e operante sulla materia per mezzo di quello. In cotal tenore della possibilit la perpetuazione dell' organo sarebbe la pessima delle condizioni per l'uomo. Dacch impedi- rebbesi con questo solo il progresso ulteriore delle sue forme e attribuzioni spirituali. Senza dire che ci non potrebbe stare con la virtii procreativa e propagativa deputata da Dio ad estendere il bene al numero di creature maggiormente fattibile. Nel vero, sommando insieme le generazioni tutte quante compai*se sul no- DELLA VITA E DEL FINE NELL' UNIVERSO. 617 stro globo, troverebbesi che la terra non  sufficienza di allogf^iarle non che di nudrirle 458.  Cos  provato di nuovo che il timor della morte, sebbene appaia naturalissimo, non  ragionevole, ed  naturale e profondo in quanto esce dagl' impulsi ed istinti ordinarj ed assidui dell' anima vegetativa e del senso. Dappoich la vita, supremo fine dell' essere, comincia sol quando il possesso quieto progressivo e sicuro del bene assoluto comincia. 11 che non  con- seguibile coi presenti organi e nella circostante natura sopra la quale operiamo. Quindi per questo rispetto e i nostri organi e V ambiente natura corporea sono essenzialmente falsi, perch mentiscono al fine vero e assoluto; ed ogni spirito dee sapere che pronunzie^ un giorno le parole del poeta  i miei di fersi Morendo eterni e nell'eterno lume Quando mostrai di chiuder gli occhi apersi. AFpRISIO XIV. 459.  Ma, girando da capo lo sguardo all' unit di disegno la quale si manifesta nel corporale organismo, noi avvertimmo pii sopra quanto bisogna per dimo- strare che forse i fisici ed i zoologi non la intendono nel senso migliore, e talvolta la cercano dove in so- stanza non  e talaltra volta si fermano con soverchio compiacimento nelle forme plastiche od in somiglianze di carattere accidentale. Gi fu derisa non a torto la definizione platonica dell'essere l'uomo animale bi- pede e implume, e vale a dire ugualissimo agli uccelli e al pollame eccetto le penne. Ma forse Diogene fareb- besi beffa anc'oggi a ragione di molte definizioni di specie a cominciare da quella dell' uomo che  detto C18 LIBRO QUARTO. # bimano invece di bipede. A noi sembra che quella unit di disegno onde ragioniamo splenderebbe pi chiara e profonda insieme, qualora fosse additata nel- r ordinamento dei fini sempre correspettivi agli organi e alle funzioni degli organi. 460.  Noi con le cose notate nei Capi anteriori provammo, ci sembra, che non pu la natura inorga- nica diventar capace d'alcuna forma di vita ognora che non entri in atto, e alla materia non s* accompagni un principio nuovo ed originale che monade fu domau- dato. Additammo la necessit della struttura cellulai-e e del flusso della materia; il che porta eziandio la ne- cessit deir assimilare e dell' espellere, poi l' altra di qualche aggirazione di umori, e poi l' altra ancora s del crescere le cause minute di alterazione e s del prevalere il solido al liquido; da entrambe le quali seguita la necessit della morte dell'ente organato il cui posto riempiono i simili a lui pel ritorno naturale d' ogni sistema di monadi all' essere loro essenziale ed ingenito che si compendia tutto nel germe. 4G1.  Ma perch la vita senza unit  solo appa- rente, conviene che nell' organismo vegetativo compaia un altro principio, il quale unificando potentemente ogni cosa dia campo alla massima diversit e compli- cazione delle parti e del tutto. Pel che uon mutano sostanzialmente le funzioni ne crescono ma diventano, a cos parlare, pi laboriose ed artificiali. Quindi r assimilazione e la secrezione fannosi particolari e specifiche per ciascun organo, e il circolo o vogliam dire l'assimilazione compiuta in ogni minima fibra e molecola si compie con diversit e intreccio maggiore di canali e tragetti. 462.  N quell'individuo pu vivere unicamente per allargare intorno di s la sua vigorezza unifica- DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 619 trice, ma si dee contenere alcun principio attivo deter- minato, al quale poi si ricerca certo organo peculiare proporzionato e consentaneo affine che l'atto di lui sia ricevuto in qualunque parte della macchina strumen- tale. Di quindi la necessit del sistema nervoso, che mette capo, a cos parlare, nel centro immediato spiri- tuale, e tanto si sviluppa e si affina, quanto lo spinto spiega maggiore facolt e ingerimento maggiore. 463.  Dicemmo il reagir dello spirito verso gli stimoli esterni e verso qualunque impulsione organica dover vestire due forme contrapposte insieme e con- giunte: runa passiva, che  il senso; l'altra attiva, che  l'appetizione e la volont nella quale siccome atto il pi intimo e il pi sostanziale della vita debbe con- sistere naturalmente la forza suprema moderatrice dell'organismo in quanto esso non dipende dalle mo- nadi vegetative. 464.  Perci lo adattar l'organismo alle cose esteriori e queste vicendevolmente a quello sar ufficio proprio e perenne del senso degli appetiti e del moto locale, a tutto il che bisognano gli organi domandati di rela- zione, bisognano i nervi del moto e le membra con- formi. 465.  Cos  perfetto l'animale, in quanto vegeta sente appetisce e vuole e si move, e di tal maniera si produce nell'organismo quel circolo stupendo di cagioni e di effetti in s medesimi riconversi che gi notammo nella economia generale del mondo meccanico e chi- mico. Imperocch, secondo fu accennato pi sopra, i nervi eccitano il senso ed il moto; questo, diretto dagli organi di relazione e dagli appetiti, provvede alla nu- trizione, la quale mediante il chilo e 1' aggiramento del sangue ristaura e mantiene l' intero sistema ner- voso. 620 LIBRO QUARTO. 4G6.  Tutto il rimanente esce dall' anima per via immediata e giovasi della corporale immaginazione per Tia indiretta ed occasionale; quindi u la coscienza n il sentimento morale n la visione delle idee pos- siedono organi proprj non ostante T apotegma famoso dei moderni materialisti che senza fosforo non v'  pensiero n idee. Certo al pensiere bisogna V occasione dei sensi eccitati e la successione dei fantasmi ; e levato il cerebro, gli uni e gli altri sono levati ; in quella guisa che senza mantici e senza tastiera gli organi delle chiese non suonano, ancora che  mantici e le tastiere non sieno per s medesime cagione eflScace de' suoni. 467.  Di tutta questa materia qui e altrove segnata abbiamo sol qualche linea e appena imbastita la vasta tela; ma pure ogni altro subbietto che trattano alla distesa i libri dei fisiologi e dei filosofi naturali vi si raccoglie e spartisce molto facilmente e come raggi a lor centri, e una stessa ragione e argomentazione ne penetra le parti e ne dichiara i nessi e i rapporti. 468.  Esce, come vedesi, il progresso dell'organi- smo da differenti sistemi di monadi e V uno succedente air altro per legge scambievole di preparazione e cor- rispondenza, e ciascuno serba in perpetuo la impronta propria e tutti seguono non consapevoli l'eterno det- tame della Convenienza e della finalit. 469.  Nei panteisti fisiologi invece  il concetto d'una sola generazione e d'un solo sistema di monadi il quale, come la idea hegeliana, non  ma diventa e r essenza sua raccogliesi interamente in questo diven- tare incessabile. Pi timidi, nullameno, del loro mae- DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 621 6tro non osano indicare il nascimento della prima cellula; ma questa data e presunta, ei si confidano di ricavarne tutto quanto il mondo vivente attuale. Cel- lula prodigiosa davvero sar cotesta; perch nel suo fondo  l'infinita virtii di tutte le forme organiche per ogni lunghezza di secolo.  quando si neghi quel- l'infinito, io negher a vicenda che quella cellula possa mutarsi minimamente e qualcosa produrre. Genera essa, per via d'esempio, altre cellule a s somiglianti? Certo  che questo avvenne per potenza causale; e potenza s fatta non era altrove celata che dentro la cellula generatrice. 470.  Ma giova poco il produrre altre cellule a s somiglianti, quando non si leghino insieme con certa legge preordinata ed insita essa pure nella medesima cellula. Se non che le guise di legamento sono copio- sissime e quasich innumerabili. Ponete che le cellule nuove dispongansi due contro due dentro una stessa membrana e avrete la forma del protococcos ; ovvero po- nete che si dispongano invece in fila e una contro una siccome stanno nel nostoc che  quella specie di alga la qual contende col protococcos il primato della sem- plicit nella figurazione e testura organica. In che maniera quella cellula progenitrice potr determinar s medesima all'una delle due forme qualora entrambe dentro di lei si dimorino potenzialmente con diritto uguale di procedere all' atto ? ricorri tu alla diversit dell'ambiente e degli stimoli esterni? Sia come dici. Ma per progredire nella variet delle specie e nella effettuazione degli archetipi superiori, come non basta r aggiungere cellula a cellula e comporre il tutto con parti esattamente similari, ma si occorre profonda- mente modificarle e connetterle in certo ordine pre- stabilito, cos da capo affermiamo che di queste con- 622 LIBRO QUARTO. tinuate e variatissime metamorfosi o convien dire che nascono tutte a caso, o convieu riporre la cagione vir- tuale per entro alla prima cellula. Conciossiacli affermando pure che dalle cellule moltiplicate emergano attitudini nuove e diverse, queste come facolt e principio giacevano in fondo a ciascheduna di quelle e per da ultimo si origina- vano dalla cellula primitiva in cui metton radice le virtualit sparse e moltephci di tutto il composto. 471.  Qualcosa, impertanto, conclude la ipotesi nuova dei panteisti fisiologi ? Questo, per nostro avviso, conclude che parendo non presupporre nulla, presuppone invece il tutto della vita; perocch per entro a quella cellula, se hen si guarda,  un infinito potenziale poco diverso dall' anima che Platone infondeva per l'intero creato e simile affatto all'una di quelle nature uni- versali concrete che Aristotele poneva in cima ai dif- ferenti ordini delle cose e che noi pi volte abbiamo dimostrato non potere sussistere. CAPO DUODECIMO. DELLE GRANDI EPOCHE GENETICHE. 472.  Noi entriamo al presente in una materia la pi difficile, io j)enso, a venir sottomessa alle preco- gnizioni e deduzioni teoriche, e per la quale debb' es- sere conceduto eziandio 1' usare con discrezione delle fondate congetture e fermarsi al i)robabile ognora che il certo sembri non asseguibile. A noi tornerebbe per DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 623 ci sconveniente in tale subbietto la forma rigorosa degli aforismi, sebbene si mostrer pure in esso che la estensione e la vigorezza del raziocinio va forse di l dai confini che altri stimerebbe dovergli assegnare. 473.  La vita, si disse pi sopra, non pu non com- parir da per tutto e sempre dove forza maggiore non r impedisce. Conciossiach la creazione delle monadi vegetative e quella eziandio delle pi alte esistenze spirituali, quando ritrova sufficiente apparecchio, mol- tiplica di necessit senza limite alcuno; stantech ella procede dall'infinito dell'efficacia divina ed attua l'al- tro infinito degli eterni possibili. Va dunque in ischiera con tutte l'altre sorte di creazione ciascuna delle quali non rattenuta gagliardamente da forze contrarie  necessit di crescere e spandersi senza termine. 474.  Per ci, se la materia bruta fosse disposta da per tutto ugualmente a ricevere i principj organizzatori, questi, per lo certo, invaderebbero il mondo intero e la materia bruta scomparirebbe. Dal che poi prover- ria un termine non valicabile al moltiplicare mede- simo della vita, dacch il quanto della materia sulla superticie del globo estendesi in certa misura e non pi. Del pari, posto che la materia bruta fosse ac- concia da per tutto ugualmente a ricevere i detti prin- cipj, ne seguirebbe che l'organismo divenuto abituale e connaturale con lei non potrebbe venir disfatto n lasciar quindi luogo ad altra forma superiore e mi- gliore cos d'istrumento come di vita. Durerebbero gli enti organati con quella perpetuit che scorgiamo nella coesione dei corpi ])ietrosi ; e la vegetazione pi- glierebbe V abito la consistenza e la morta figura delle stalattiti: onde mancherebbe a lei ed all'altre forme di vita quel mutare e riniutare incessante che rende loro possibile la dilatazione e perfezione dell'essere. 624 LIBRO QUARTO. 475.  Che quando non tutta la materia bruta ma certa porzione soltanto fosse stata nella disposizione na* ti va e continua di raccettare la vita, avremmo le conse- guenze stesse or ora significate, e vale a dire che, consumata quella materia speciale, non sarebbe rima- sto spazio nessuno alla ulteriore propagazione della natura vivente e la possibilit delle metamorfosi suc- cessive e sempre ascendenti sarebbe cessata. 476.  Fu dunque mestieri air economia univei-sa della finalit e del bene che l'organismo corporeo co- minciasse una volta sola sopra la terra in virt di certo apparecchio straordinario ed eccettuativo della mate- ria. Di quindi accadde che dileguata quella eccezione, la vita si pot solo perpetuare con la riproduzione successiva dei germi secondo le necessit e le leggi che altrove abbiamo stesamente spiegate. N ai germi nuovi  per mancare il subbietto rispettivo corporeo ; dacch la efficacia di essi medesimi basta a trovare e foggiare la materia organizzabile, la qual dee servire al loro sviluppo e mantenimento. E d'altro canto, le esistenze individuali componendosi e disfacendosi tut- tavia, la materia bruta ripiglia continuamente quello che a tempo fornisce alla vita. 477.  Perch poi l' organismo corporeo si fa e mantiene per mezzo del flusso incessante delle so- stanze assimilabili e da ci deriva la ne.  Fu dunque spediente che i germi dilicati delle pi perfette organizzazioni nascessero in questa successione e in quest'ordine, che cio alquante specie inferiori apparendo e poi disparendo fossero mezzo e apparecchiamento a ci, secondo verr espresso pi chiaramente tra hreve. Ed  il metodo usato per or- dinario dalla natura di procedere prima per lunga sequela di apparecchi e risultamenti e convertire poi questi ultimi in apparecchi pi elaborati d'altri nuovi e pi perfetti risultamenti. 527.  Nella guisa che oggi medesimo ognuno si accorge che gli animali carnivori serbano la specie loro traendo sostentamento da animali inferiori meno gagliardi e pi copiosi e gli erbivori lo traggono dai vegetabili e questi da pose e relitti impregnati di sali e sostanze un giorno organate e viventi ; del pari occorse agli animali vertebrati e segnatamente ai mammiferi una dis'posizione anteriore e particolare di acconcia materia, la quale porgesse ai germi loro- dili- cati e gracilissimi ufficio comodit e uso di placenta e matrice, e somigliasse ai principj del chimo e del sangue; il che dobbiam figurare siccome un lento prodotto di molte generazioni d' animali peculiarissimi a ci destinati e di cui ne' sedimenti geologici non ri- masero mai ne avanzi ne impronte, non avendo per av- ventura sortito essi alcuno integumento pietrificabile. 528.  Per fermo, accumulazioni e ripositorj di quelle organiche sostanze in luoghi bene appropriati potevano allora durare esenti d'ogni fracidezza (secondo fu av- vertito di sopra) per quella cagione medesima la qual DELLA VITA E DEL YISE NELL'UNIVERSO. 645 manteneva alla natura inorganica la facolt di com- porre i misti quadernarj e ternarj; laonde avemmo eziandio a notare che le leggi della fermentazione e putrefazione doveano senza fallo differenziarsi dalle attuali; e certo vi aveano potenza minore d'assai le forze esteriori; e non intervenendo cagioni veementi e straordinarie, qualunque disfacimento e dissoluzione operar si doveva con infinita graduazione e lentezza. Non per che nel generale non vi fosse contrariet e conflitto (quale lo descrivemmo altrove) tra le leggi della vita e le virtii meccaniche e chimiche d' ogni materia circostante; essendoch le combinazioni mol- teplici di essa materia nascevano bens spontanee al- cuna fiata e giovavano soprammodo alia composiziono dei germi e al primo loro coltivamento, ma tutto ci accadeva in tempo e luogo particolare e con ispeciale rincontro di cause e accidenti. 529.  Del resto, non vedesi oggi medesimo che le uova d' innumerevoli insetti e vermi sono covate e nu- drite da sostanze fermentative e dalle carni di morti animali? Ma il fatto che meglio mi persuade e mi fa intendere V avvenimento genetico del quale discorro sono le pregnanze estrauterine le quali accadono nelle donne non radamente e negli animali bruti eziandio. 530.  Anno, dunque, i germi facolt di comporsi e svolgersi in altro luogo che non nel proprio di loro specie, semprech non difetti la condizione essenziale di certa giacitura munita, per cos dire, da ogni sconcio ed offesa 0 di certo calore e umidore ben temperato e sopra il tutto di certi succhi alimentari e dell'atto di assimi- lazione estremamente agevolato. N qui si obbietti la infecondit alla quale sono dannate le copule che suc- cedono tra le specie pi aflini. Perocch, senza dire d'alcune eccezioni alle quali giustamente la sAn-i^a non 64G LIBRO QUAKTO. presta fede, baster ricordarsi la copula non essere altro (chi bene l'esamina) che il compimento stesso del germe il quale per una cotal legge di polarit fisiologica di- stinguesi in attivo e in passivo, nello spermozoide e nel- r ovulo ; di tal che V atto della fecondazione recando alla materia del picciol uovo la potenza formativa a lei propria e la necessaria eccitazione lo fa germe vero e principio efficace di vita. 531.  Ma nel caso di cui discorriamo il germe pre- supponesi gi bello e compiuto; salvoch lo svilup- pamento suo non pu in sul primo non riuscire pi rozzo d'assai e quasi diremmo selvatico in paragone della sua forma al tutto normale ed archetipa. Laonde ogni specie animale spartita di sesso, e per bisogne- vole di venir fecondata, comparve la prima volta da l)i lati imperfetta; considerato che il germe vennesi costruendo per certa polarit e contrapposizione inte- riore e quindi meno distinta e meno efficace di quella prodotta dallo spartimento dei sessi e dal loro con- giungimento. 532.  Tutto questo ne disasconde un altro arti- ficio mirabile adoperato dalla natura nella lunga ra genetica affine di far salire per dritta scala a mag- gior compitezza le sue creazioni organiche ; e il magi- stero consistette nel fare per assai tempo le discen- denze meno difettose delle geniture anteriori, e perci pi prossime alla perfezione loro a cui da ultimo per- venivano in maniera costante e non pi mutabile. 533.  Il che s' intender di leggieri se poniam mente a questo, che ogni specie ben definita  un cotal sistema fisso e determinato di monadi vegetative o solo ovvero accompagnato e sommesso a un principio sen- ziente. 534.  Ora, ciascuno di tali sistemi pu essere inci- DELLA VITA K DEL FINE NELL'UNIVERSO. 647 piente o perfetto, impedito o favoreggiato. Se T impe- dimento  s grave e s perdurevole da snaturare tiinto 0 quanto la essenza delle specie, il germe o non si attua punto o iudozza e perisce. Nel contrario sui]>osto le monadi correlative sforzerannosi pur 6era))re di con- quistare la interezza e pienezza di loro stato normale; e per il germe verr ripetuto con sempre maggior perfezione. E ci insino a quel termine in che, rag- giunto esso l'archetipo proprio e. data alla propria essenza ogni delineazione a s convenevole, il suo moto ascensivo si fermi e invariabilmente si riproduca. 535.  N alcuno si maravigli che questi s fatti trapassi per compiere la costruttura e figura del pro- prio essere non si avverino oggi in nessuna pianta e in nessun animale; perocch i germi in entrambo i re- ' gni sono perfetti e germi nuovi ed orguali non si pro- ducono. Ma bene scorgiamo di tutto ci una chiara similitudine negli animali che s'incrisalidano e molto pi nella stona singolarissima dei vermini intestinali, i quali non giungono al lor compimento salvo che var- cando per tre distinti corpi animati. 536.  Oltrech, uemmanco  lecito di affermare assolutamente che le piante e gli animali al d d' oggi non si perfezionano net proprio organismo, senza dire delle variet e delle razze che 1' arte procura. Miglio- rano le specie per parecchie generazioni migliorando r ambiente e favorendole per ogni lato le circostanze. La diversit fra i tempi nostri e quelli del Genesi con- siste meramente in ci che al d d'oggi le specie si perfezionano in minimi gradi e per accidenti leggieri e quasi diremmo superficiali; ed ogni cosa rimane per entro i confini del proprio archetipo. 537.  N, bene osservando, le mutazioni accadute nel tempo del Genesi uscivano da essi confini. Anzi era 648 LIBRO QUARTO. sola e costante cagione di quelle la necessit di non preterire l'archetipo prestabilito e vincere ad oncia ad oncia le forze contrarie e i tenaci impedimenti. 538. Certo  dunque che gli animali di pi fina e implicata organizzazione e i vegetabili altres ven- nero per lunga pezza di tempo trasmettendo i germi loro con questa vicenda, che V ultimo avvantaggiavasi di qualche punto e per qualche rispetto sopra il pe- nultimo e questo sull'anteriore, e cos prosegui. 539.  Ma non cada per ci in pensiere che per tale miglioramento l'un genere varcasse nell'altro e neppure questa specie in cotesta, per modo che acca- desse (poniamo esempio) che un rettile dopo assais- sime generazioni si convertisse in uccello o l'uccello in quadrupede e nemmeno cotale uccello e cotal qua- drupede in una specie non sua tuttoch affine. Peroc- ch a simili metamorfosi era fatto divieto assoluto dalla differenza del tipo essenziale ed originale o vo- gliate dalla differenza nativa ed incancellabile dei si- stemi di monadi. Laonde, cosi era impossibile in cir- costanze favorevoli interdire a questo sistema o cotesto di non trapassare di grado in grado alla perfezione sua respettiva, quanto il farnelo uscire di poi e tras- mutarlo pi l dei limiti dei proprj accidenti. Il qual limite, gi si notava per addietro,  diverso margine pure esso, e talvolta  largo e arrendevole, talvolta ristretto e inflessibile. 540.  Intanto le copule si adempivano sempre ed in tutto fra i simili; perocch ciascuna delle parti era soggiaciuta a uguale modificazione di compitezza e dirozzamento. Onde, se la prole veniva per certo corso di generazioni mutando in modo assai rilevato, gli autori di quella per niun rispetto si dispaiavano l'uno dall'altro. DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 649 541.  Erra quindi gravemente, per nostro avviso, quella scuola di zoologi che va spacciando con gran sicurezza Tuomo essere stato' T ultimo effetto d'un numero incomputabile d' accoppiamenti e incrocicchia- menti fra le specie pi perfette di scimmie. Imperocch, non ostante ogni mistione di variet e ogni trasmis- sione durevole delle razze intermedie, l' ultima ge- nitura comparsa non potette essere altro che una scimmia perfezionata.  torna il discorso medesimo per li prodigi della scelta naturale che predicano i Darvinisti. 542.  Quando le specie avesser potenza di tra- mutarsi runa nell'altra, l'avrebbero i minerali ezian- dio ed i corpi semplici ; onde V ipotesi darviniana (test dicevamo) sembra a noi ripetere in zoologia l'abbaglio ostinato degli alchimisti nella anateria bruta, con questo solo divario che Darwin aiuta V alchimia sua con la lunghezza sterminata del tempo senza ba- dare che il tempo per s non opera nulla e nulla non crea; e ci che  impossibile oggi sar similmente di l da molti bilioni di secoli, dapoich le essenze non mutano n a grosse porzioni n ad infinitesimi ; e quando mutassero solo un milionesimo di dramma, certo po- trebbero proseguire e pi non sarebbero essenze ma transitori accidenti. ,  543.  Per contra, il raziocinio mi persuade che la specie umana in quanto ebbe organi materiali non and esenzionata da alcuna delle necessit del co- mune organismo, e per giudico ch'ella sia nata la prima volta nel mondo assai difettosa e inferiore pur molto alle schiatte selvagge d' Australia e di Congo. I figliuoli, aiutandoli da ogni parte le forze esteriori o per lo manco non li avversando, nacquero o diventa- rono meno imperfetti dei padri insino a che quel erfezione non mutano; e di tal maniera re- sistono durevolmente alle potenze esteriori che sono parte diverse e contrarie, parte in volubilit ed alte- razione continua. Per fermo, quando ci non fosse per ogni dove e sempre, e ciascuna forma peculiare di or- ganizzazione non possedesse un che d' identico di pri- 652 LIBRO QUARTO. mitivo e di impermutabile^ tutto il regno della vita confonderebbesi ad ogni momento. 549.  N basta il dire, siccome fa la scuola dei Darvinisti, che le mutazioni succedono lentissima- mente ed a gradi minimi. Conciossiacli, se il prin- cipio della mutazione esiste dentro le specie ed  essenziale ed ingenito, la difficolt  capovolta, e con- viene spiegare perch 1' essenziale non opera sem- pre; ed anzi occorre spiegare qual cosa sia quella che opera, e come mutando sostanzialmente e senza mai termine, tuttavolta resta identica a s medesima. 550.  N avvedesi cotesta scuola di porre in ultimo un'astrazione in luogo della realit e la vita; e l' orga- nizzazione convertono in certo ente di ragione e in certo Ile vivificabile, a cos chiamarlo, che  tutto iu potenza ed  nulla in atto e verso le infinite disposi- zioni ed attuazioni che sta per assumere  indifferente in compiuto modo. Per cotal guisa la filosofia loro indietreggia insino alle vuote astrattezze che tolsero credito al Peripato ed alla Scolastica. Ma di ci par- leremo altrove pi acconciamente. V. 551.  Posto che le specie non mutino sostanzial- mente e a vedere sorgere altre specie diverse oltre alle ibride, fa spediente ricondurre sul mondo l' epoca ge- neratrice, seguita di conoscere in che maniere durante l'epoca stessa le forme viventi esaurivano la immen- sit relativa del possibile che  uno dei fini a' quali tende la natura perpetuamente ed in ogni cosa. In- torno di che il raziocinio discopre essere stati non pi di tre i fattori supremi d'ogni diversit di orga- nismo. DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 653 552.  E per fermo ei dovettero sempre consistere o nella materia organizzabile o nella virt informativa o nelle esterne potenze. Ma perch i principj elementari della materia organizzabile sono pochi e semplici ed eziandio si ripetono con poca differenza in ogni genere di animali e di piante; e perch d'altro lato l'ambiente 0 vuoi le cagioni esteriori sono comuni il pi delle volte a gran variet di enti organati, per tutto ci  ragione- vole riconoscere insino dal primo che la cagione preci- pua e molto pi generale e profonda d' ogni divei-sit tra le specie risiede nel diversificarsi fra loro immo- bilmente ed originalmente i principj informativi inte- riori. 553.  La qual cosa  foiose il contrario di ci che pensano e scrivono i pi moderni naturalisti a cui piace di tener saldo sempre quel loro essere informe ad una e proteiforme e ne cavano tante fogge d' ani- mali e di vegetabili, e tante, coni' essi le chiamano, adattazioni diverse quante rivoluzioni e permutazioni succedono nel mondo ambiente. 554.  Del pari, rinvenendosi in quasi ogni specie di vegetabili alcuna sostanza peculiarissiraa la quale men- tre si distingue sopra misura da tutte le altre nelle qualit e negli effetti si ragguaglia invece perfetta- mente con esse pel numero e costituzione degli ele- menti, spiegano ci i moderni fisici con osservare che sebbene gli elementi costitutivi riescono uguali o assai poco diversi, per contra, le combinazioni, la postura e V orientazione loro sono capaci di variet somma e quasi fuor d' ogni computo. Sopra il che avvertiamo essere verissimo che quella variet  nozione esatta e positiva del tutto insieme. 12.  Soddisfare, impertanto, a tale curiosit ed appetizione con qualche sufficienza e misura  opera degnissima di filosofo ed anzi a lui peculiare. Conside- rato che ogni altra generazione di dotti porger con- cetti e notizie o meno generali e meno sintetiche, o troppo specificate e particolari; e guarder la natura (poniamo) da solo matematico o da solo geologo. 13.  Gi fu notato da noi che dove termina il fisico e il chimico, dove il zoologo od altro naturali- sta, l comincia il filosofo razionale e indaga i prin- cipj e i legamenti comuni de' loro studj-; e sotto la luce di poche supreme verit dell' ontologia trasmuta di mano in mano i fatti sperimentali in pronunziati speculativi dedotti l'uno dall'altro a forma di mon- diale geometria. Sebbene poi riconoscemmo nel terzo Libro e negli altri tutte le cause perch cotesta opera maravigliosa di trasmutazione non pure  lentissima e difficilissima, ma si anche ad ogni tratto si spezza e la risaldano a malapena le sensate osservazioni. E dove nemmanco queste suppliscono e la mente agogna pur tuttavia di veder lineato e adombrato in alcuna guisa tutto il disegno dell' universo, subentrano archi- tettori e fabbricatori ultimi e arditissimi del Cosmo alquante congetture e probabilit giudiciose e ingegno- se, simili a quelle parti dei minati edificj antichi che archeologi e artisti figurano e coloiscono di lor capo con pi e meno di felice indovinamento. 14.  S'io vorr poi raccontare quante volte  can- cellato e mutato il disegno di questo abbozzo di mon- 704 LIBRO QUINTO. f diale edificio ; quante mi sono accorto di offendere o , la notizia positiva dei fatti o la severa esigenza delle teoriche razionali e procedenti per lungo filo di de- duzioni; 0 infine, quante volte  veduto spiccarsi i gran membri del grande corpo o mancare i passaggi diritti e legittimi dall' un teorema air altro ; o, infine, il tutto insieme mostrarsi confuso, disciolto e disordi- nato, io scrver una confessione tralunga e tediosa^ e la quale ciascuno preconosce e presente in gran parto vogliamo a cagione della mia pochezza, vogliamo per- eh' ella  storia in qualche modo partecipata da ogni pensatore e scrittore. D'altro lato, se ne avvisano gi troppi segni e prove nelle mie vecchie stampe, se ta- luno va pur degnando di leggerle. : ^-Z IL 15.  Comunque ci sia e rivocando l' occhio men- tale sui punti dialettici pei quali  insino a qui trapas- sata la nostra cosmologia, noi noteremo per prima cosa eh' ella  vero corpo di scienza distinto perch  sub- bietto vero e proprio che  il finito sostanzialmente diviso dall' infinito ; mentre le cosmologie moderne ale- manne sono un' ontologia insieme ed una teologia, e parendo discorrere della natura parlano invece delle membra viventi di Dio. Quindi la mescolanza contra- dittoria e perpetua di assoluto e relativo, di uno e molteplice, d' immobilit e mutazione, di causa ed ef- fetto, di universale e particolare. 16.-^ Tutte discrepanze chein questa nostra cosmo- logia si dileguano naturalmente ed anzi forzatamente per necessit logica impreteribile. E se nei sistemi alemanni il finito non trova mai ragione di essere e balza fuori dall' infinito per un palpabile paradosso e DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 705 uccdendo (sia lecito cos parlare) il suo genitore me- desimo al quale reca mutazioni e limitazioni, qui il mondo esce per ragioni eyidenti dalle mani di Dio, e sebbene Dio lo informa della sua potenza, saggezza e bont e nella immensit sua lo contiene e con Fatto creativo si fa immanente nella natura, ci non ostante non si sustanzia con lei n molto n poco e dimora tuttavia nella primitiya e assoluta sua libert di pen- siero e di atto. 17.  Qui il temporale cominciamento del mondo  con pienezza dimostrato, e del pari  dimostrato il suo fine eccelso, che  il bene quanto no pu ca- pire in essere limitato. Da ci emerge chiara e spe- cificata la notizia del mezzo che dee combaciare da ogni lato eoa con la essenza del fine come con le necessit, le insufficienze e tutta l'indole inemenda- bile degli enti finiti. Laonde segue che la creazione  per noi (conforme direbbe il geometra) una risultante perpetua del mirabile parallelogrammo delle forze eterne e delle mondane; e cio da una banda le leggi non declinabili della finit e dall'altra l'infinita po- tenza, saggezza e bont che influisce contnuo e per ogni dove sul mondo. 18.  Per prima cosa venne provato ne' nostri Li- bri che l'uno ed ogni attribuzione essenziale dell'uno quanto  propria dell'Assoluto, tanto per lo contrario dee rimanersi esclusa dalle nature relative che ognora sono pi, e sono composte e manchevoli. 19.  Per, e sotto tale rispetto almeno, essere al tutto falso che la creazione dall'uno proceda ve mag- giormente al vario e dall' identico vie maggiormente al diverso e dall' indeterminato ed universale al deter- minato e particolare. Noi in quel cambio dimostriamo che la creazione per necessit intrinseca del finito ri- Uamiari. - II. 45 706 LIBRO QUINTO. sulta primamente di cose diverse ed eterogenee, e per- ci separate e sconnesse, ed ogni ente t si trova per s e come singolare e incomunicabile. 20.  Certo, la natura comincia radamente dal- l'atto e quasi sempre dalla potenza, poich il de- terminare se stesso non  proprio del finito n V avere in propria essenza V attivit perennemente spiegata; talch le cose cominciano in atto per ci solamente che  necessario a ciascuna rispetto aiP esistere. Ogni rimanente giace in istato di mera potenza. Ma in co- tale stato non  maggiore unit che in qualunque altro; n l'uovo, per esempio, di tutti i generi dei ver- tebrati  uno e medesimo, perch V occhio non vi sa scorgere le diversit virtuali che dentro nasconde. E la diversit virtuale  gi opposta alla identit, deb- besi anzi chiamarla una specie di atto primo, a par- lare con Aristotele. 21.  Per ci stesso noi sostenemmo che roini- versale non  mai in natura ma  sempre ante rem. E intanto ci  conceduto di contemplare le cose partico- lari e individue sotto il lume degli universali correspet- tivi, perocch in quelle  mai sempre la sostanziale e separata replicazione di certa natura o forma comune. Salvo che, il finito, il quale dicemmo nascere per s im- potente perch isolato e bisognevole d'ogni cosa, venne dalla divina mentalit provveduto della facolt di con- giungimento che  il termine solo mezzano tra il mol- teplice assoluto e l'assoluta unit. Di quindi tra gli enti finiti, le reali attinenze di parte e tutto, di causa ed effetto ; di quindr pure la cooperazione del simile e la partecipazione del diverso ; di quindi infine quelle varie maniere di ordine, di componimento, unione e totalit che noi domandammo cospirazione, macchi- namento ed organizzazione. DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 707 22.  Del pari dicemmo star sopra alla creazione intera un sol fine, che  il bene; e il bene sostanziale non potersi scompagnare dall' attivit e dalla cogni- zione e ambedue queste dal progressivo perfeziona- mento. Avvi dunque un mondo morale comune a tutte le creature, per diverse ed aliene che sieno. Ma perch poi cotesta unit del mondo morale  affatto trascen- dente e si sustanzia e compie fuori del mondo visibile e termina nel vero e nel bene assoluto, per nemmanco per questo rispetto debbo affermarsi che nella -diver- sit sterminata dei mondi avvi qualcosa di comune e d'intrinseco a tutti ed  uno per tutti assoluta- mente. 23.  Per, mentre nel creato V uno e il tutto sono ogni sempre relativi e parziali, il solo carattere della diversit e pluralit gli  peculiare e diremo anche assolato in quanto la finit lo porta seco indelebil- mente, e per spogliarsene converrebbe si trasmutasse nel suo contrario che  l'infinito. 24.  Da ci seguita che la creazione non si rac- coglie nenunanco in un tutto assoluto, il quale da ul- timo tornerebbe a ricostruire l'unit. Il perch fu scritto da noi che la creazione  un tutto unizzante ed armonioso davvero al solo sguardo e al solo intel- letto di Dio; il quale comprende come in un punto lo spazio il tempo e gli altri gran contenenti che sono segni e simulacri dell'immensit sua, e dentro i quali scorge egli ed abbraccia l'indefinito di tutti gl'inde- finiti, e fa in ciascuno di essi e nelle loro attinenze regnare l' arte divina, per cui le cose onninamente diverse e contrarie servono tuttavolta per diretto o per indiretto all'adempimento del fine. 25.  Per vero, nel molteplice della creazione l'uomo per istinto razionale insinua ad ogni tratto certa unit 708 LIBRO QUINTO. mentale o Bubbiettiva che la si chiami. Ed io stesso che la unit reale dei mondi combatto, la penso a ciascun istante e medito le cose finite e sconnesse dentro uno schema sintetico; eccetto che io ne tyo sempre mai consapevole e la mia forma logica distinguo e separo dall'esteriore materia. 26.  Per fermo, fu divisato eziandio da noi che r opera assidua della divina mentalit consiste. ap- punto a condurre il diverso il disgregato e il discorde a una tal quale conformazione e congregazione e a certe sintesi terminative di pi maniere e a passo per passo arricchite di maggior perfezione.  quanto, per via di dire, il Possibile va seminando e moltiplicando le differenze, altrettanto il Convenevole le tempra e le accoppia, vincendo a poco insieme e non mai total- mente le necessit, le scarsezze e ogni ragione d'im- potenze che porta seco il finito. Laonde ei si potrebbe anche descrivere la nostra cosmologia dicendo ch'ella  la natura la quale dalla disgregazione e dalla iner- zia trapassa alPaggregazione ed all'atto ; poscia al- l'automatismo, indi air organizzazione e indi ancora al senso ed all'appetito; da ultimo all'intelletto e per esso alla congiunzione col bene assoluto. 27.  Nelle quali forme avvi del sicuro un moto e progresso di unificazione ma non quale s'intende dal pi dei cosmologi odierni, agli occhi de' quali tutto ci si compone e sviluppa per l^ge d'identit e senza stranieri elementi. Noi all'incontro diciamo, che ninna di queste sintesi esce sostanzialmente dall'altra e con lei s'immedesima. Perocch l'aggregazione, ancorach leghi insieme i finiti, lascia interissima la pluralit dei subbietti; n di poi varca all'automatismo senza far cospirare insieme cause diverse e diversi elementi; e la coordinazione loro e il complicato risultamento che DEL PB00RB8Q0 NELL'UNIVERSO. 709 n'esce  fatale e molteplice,  retto dalle forze comuni e particolari e niente non a d'individuo e d' inseparato. 28.  Del pari, nelP organismo vegetativo appari- sce un altro differente principio ed originale, che, parte sottomette le materie aggregate, parte vi cede e vi si adatta. L'organismo poi che sente e appetisce e quello pi alto che intende e vuole pervengono alla sintesi loro con l'intervento di due prindpj novissimi l' anima senziente e l'anima razionale, troppo dissimili da tutte le forze che operano nei composti inferiori. 29.  Ugualmente, la congiunzione dell'intelletto e della volont col bene assoluto  per s differente ed aliena da tutte le luntesi che la precedono. Il per- che; l'uomo, ultimo effetto sul nostro pianeta della virt creatrice, sebbene si lega intimamente agli or- gani proprj, non fa con essi unit di sostanza; come negli organi, materia e monadi si connettono piut- tosto che s' immedesimino. E la natura automatica, quale sarebbe il nostro globo e il sistema solare e molte catene fisiche di cause e di effetti, quando an- che prepari e atteggi ogni cosa all' organizzazione, non fa un solo subbietto con lei ma opera indipendente e divisa. 30.  D' altro canto, cotesti gradi d' unificazione e coteste serie di sintesi che altro sono nei mondi creati se non particolari e speciali subbietti di una pi di- versa e pi vasta moltplicit? Considerato che di l dalla creazione visibile in mezzo di cui anno effettua- zione quelle relative unit e quelle sintesi di cui si discorre stendonsi altri pelaghi d esistenze tanto dis- simili che ninna potenza fantastica perviene a fingerle e indovinarle- E sebbene eziandio in que' differenti oceani a vincere le necessit del finito il sol modo possibile  di congiungere gli enti e condurli bel bello 710 LIBRO QUINTO. a qualche composto sintetico, nuUameno Tindole di essi mondi  tanto remota dalle nostre esperienze e dai nostri concetti, che ninna parit e ninna conformazione vi corre. III. 31. Il creato, adunque,  consonanza delle parti e coordinazione del tutto, e non  Tuno che si esplica nel y diverso e nettampoco il diverso che immedesimasi a grado per grado con l'uno. Chi si rappresenta di tal maniera la natura naturata, confonde da capo e per due vie contrarie l'infinito col finito. Laddove que- st' ultimo, non mai capace di perdere le sue condizioni essenziali e non declinabili, assume bens interrotta- mente ed a luogo a luogo molte specie di unificazione; ma nel tutto insieme e pel pi ordinario risulta di nu- merose molteplicit separate e diverse. Vero  ch'eziandio queste debbono poi rinvenire un limite necessario nel- r ultima attenuazione dell' essere e perci negli atomi indivisibili e condotti al termine estremo della ne- gazione. 32.  Cotesto ultime e individue sussistenze sono per inconfondibili, perch A ed A formano due e non uno. La individuazione loro esce immediata dal loro esistere primitivo, ed ogni altra cosa accede e s'aggiunge a quello. Perci la nostra cosmologia fa il principio d'individuazione sinonimo dell'esistere finitamente e sciogliesi di tal maniera da tutte le ambagi della Scolastica intorno al proposito ; n suda a cavar V in- dividuo dall' universale e da certa arcana contrazione della materia. 33.  Un altro limite poi dee trovare l' ente finito e individuo nell' ampliazione dell' essere. Conciossiach ' DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 711 la yarianza e la energa delle sue facolt e degli atti non pu trascender quel punto in cui non terrebbe pi proporzione e omogeneit con la energia peculiare deir intrinseco principio attivo. 34.  Fu pure spediente a noi di provare che co- testo individuo vero e spirituale, cui demmo il nome qualitativo di plidinamo,  sforzo supremo della na- tura e vi giunge essa per lunga serie di ostacoli vinti e d' insufficienze supplite, appunto perch in lui si attua il grado maggiore di unificazione del quale sia capace il finito. Di tal che dopo essere trapassati i corpi per tutte le aggregazioni del simile, le partecipazioni del diverao e loro meschianze ed aver compita la sequela degli apparecchi e T automatismo generale e partico- lare, i nuovi principj vegetativi non possono altro in sul primo se non separarsi appena e distinguersi dal- l'ambiente materia. 35.  Poi l'organismo medesimo costruendo altre preparazioni ed altri principj vi fa comparire gradata- mente la unificazione individua col moto locale, la sensibilit e l'appetito, e prosegue con la percezione la volont e l'intelletto; e qui finalmente  l'indivi- duo perfetto dell' ordine nostro terreno, qui accade la congiunzione spirituale dell' ente creato con l'AssoJuto. 36.  Sebbene, per le disposizioni innate ed in- correggibili della finit, esso individuo rimarrebbesi quasich impotente ed inoperoso, quando i principj vegetativi non lo fornissero degli strumenti acconci da un lato ad usuiruttuare il mondo . corporeo e dal- l'altro, non male adatti ad occasionare nella mente di lui la visione dell'Assoluto e il sentimento arcano degl'influssi divini.  37.  Di tal maniera, dopo aver noi dimostrato che parte delle esistenze finite  sola ragione di mezzo, e aver 712 LIBRO QUINTO. descritto le varie categorie per le quali la mezzanit dilata r essere proprio e si abilita ai richiesti prepa- ramenti, indicammo le porte, a cosi parlare, onde entra la vita nel mondo o Togliam dire V attuazione progres- siva del fine. 38.  Guardata poi questa nella sua sostanza pro- fonda e perpetua quanto nella sua estensione a tutte le parti del creato capaci di vera finalit, stimammo doverla definire : Y esplicazione e perfezione dell' indivi- duo in ordine al bene, mediante un acconcio indi- viduo. 39.  E perch nel colmo della vita si attua il colmo della finalit e quivi  la meta dell' universo, ci risult evidente quest'altra sentenza che in ogni sfera di cose rette da leggi proprie e costituenti un mondo particolare e dissimile dal rimanente debba la creazione mirar senza meno a questo effetto termi- nativo di unire e immedesimare al possibile il pi alto principio vitale e la pi perfetta forma degli- strumenti nel grado per e nella sufficienza che  conseguibile a quella sfera e a quel mondo. Salvoch ci avve- demmo la congiunzione e partecipazione diretta del- l' Assoluto condur seco (in qualunque luogo e mondo succeda) un' indole d' organismo nuovo e spirituale, ed ogni potenza d' organismo inferiore (come test si no- tava) pigliar carattere di mera causa occasionale. 40.  L' uso poi dei fisiologi e d' ogni sorta natu- ralisti di chiudere la scienza intera della vita per entro i fenomeni dell' organismo corporeo ci men a discorrerne stesamente e sotto diversi rispetti. Ne defi- nimmo razionalmente la natura e l l^gi; ne indagammo le origini; e quelle teoriche combattemmo che pure in tale subbietto amplificano stranamente il principio d' identit e d' unificazione. DEL PR0GKE8S0 NELL' UNIVEBSO. 713 41.  Dair atto creativo procedono immediate i subbietti sostanziali d' ogni ragione, e ciascheduno ne procede ben determinato e individuato nell'essere suo. Quindi le cagioni seconde, ancora che il possano mo- dificare, mutarlo nella essenza non possono. E del pari non  in loro arbitrio impedire o mutare quelle congiunzioni e composizioni fra essi che dervano drit- tamente dalle forze ed attribuzioni essenziali e native; e sono del novero tutti i sistemi originali di monadi ; e per in ciascuno  costituito la forma perpetua ed inalterabile d' una specie vegetale o animale. 42.  Salvoch a queste forze ed attribuzioni na- tive ed ai loro composti necessario  un cotale ordine di promozioni e certe congiunture di luogo e di tempo ; e sono talvolta V una forza all' altra un conveniente apparecchio. 43.  Quindi non pu, esempli grazia, la coesione apparire innanzi d' un qualche moto ed accostamento della materia in fra s ; n le affinit differenti in- nanzi dell'incontro di certe sostanze speciali ed ete- rogenee; n l'attrazione meccanica innanzi della co- stituzione de' grandi corpi ; n gli ossidi metallici innanzi dell' adunarsi dei principj aerosi sulla super- ficie del globo ; n infine i sistemi delle monadi vege- tative e la formazione dei germi innanzi del combi- narsi a tre a quattro ed a piii gli elementi metalloidi in tempra e misura idonea. 44.  Adunque, da un lato gli elementi che sem- plici sono domandati, dall' altro le monadi e gli altri pincipj spirituali viventi sono i semi eterni di tutte le cose. Perocch dagli elementi provengono onnina- mente e senza giammai fallire i primi composti e le forme molecolari ; dalle monadi, i viventi cristalli ; e da ogni generazione di anime, la certa e successiva effet- 714 LIBRO QUINTO. tuazione degli archetipi organici e gli aspetti e le guise diverse e ascendenti della vita e della finalit. 45.  In cotesti semi eterni  sostanziale separazione dall'uno all'altro ed  insieme fatale necessit di ac- costarsi o repellersi ; e nel lor tutto insieme campeggia la discorde concordia che fa delle parti dell' universo un macchinismo maraviglioso ed immenso, il quale risulta di macchine innumerabili e d' innamerabili organizzazioni disperse nei mondi particolari ma tutte accomodate e corrispondenti al concetto informatore della creazione. 46.  Questo diventano il finito e il molteplice nelle ( mani della natura ; e perci sono chiude ed attutite per i sempre le vane disputazioni sull'anima universale, e se le cose possono o no trasformarsi l' una nell' altra, e se in ciascheduna giace qualche appetizione e vir- tualit d'ogni rimanente e per lo manco i semi del sentire del volere e del conoscere e la facolt rappre- sentativa dell' intero creato ed altre simiglianti imma- ginazioni, che tutte, per nostro giudicio, provengono da intempestivo mescolamento dell'infinito col finito e dal volere a forza che questo secondo in ogni sua parte costitutiva sia copia e simulacro fedele del primo. 47.  Laonde chi studia di cogliere il concetto vero e fruttifero della creazione debbe antecedentemente av- visare (quel che facemmo nel primo Libro) la schietta e germana essenza della finit e scrutarne le condizioni le insufficienze le necessit e le angustie che sono il primo lato del grande parallelogrammo da costruire. 48.  Ci veduto, egli debbe chiedere a s medesimo con lunga istanza per quale arte divina pu il finito e il molteplice congiungere le sue esistenze sconnesse e bizzarre, e l'una fare preparazione alle altre e sce- mare a grado per grado la loro impotenza comune. DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 715 tanto che divenga attuabile V apparizione degl' indi- vidui plidinami e condurre l'accostamento e congre- gamento delle parti semplici insino alla forma stru- mentale, e per ultimo adattarle a ricevere gli alti princpj vitali e far possibile a taluno di questi la congiunzione intellettuale e morale con l' Assoluto. IV. 49.  Certo, nel solo ente che si congiunge con r Assoluto giace la facolt d' imitarlo e divenire suo simulacro; perch l'intelletto e gli altri influssi divini che piovono dentro l' anima innalzano questa a spaziare veracemente nell' infinito ; e in quanto congiungesi ve piti sempre con essolui, sembra perdere i limiti proprj e l'innata fralezza. Ma, parlandosi con precisione, la natura  quivi scomparsa; e quando non si voglia ci affermare ricisamente, sar pur forza di riconoscere che la natura non  quivi in presenza di solo s stessa e non opera coi soli suoi elementi e con la vecchia arte combinatoria. 50.  Nella natura, dopo la moralit e la scienza dell'uomo, quello che men dissomiglia dall'Assoluto e pu senza sconcio soverchio venir dimandato simu- v lacro di lui  senza fallo l' indefinito. Che non potendo i r Assoluto replicar s medesimo e attuare un altro infinito, produce in quel cambio le serie sconfinate e r innumerabile cos nello spazio come nel tempo, cosi nel diverso come nel simile, tanto nell' ordine subal- terno dei mezzi, quanto nell' ordine respettivo dei fini, e, per dir breve, in ogni costituzione variet e progresso di cose quando alla efficienza divina non si contrap- pone con troppi ostacoli la insufficienza mondana. 51.  Per fermo, l'indefinito solo che sempre vince 716 LIBRO QUINTO. e trascende i limiti senza mai poterli del tutto annui- lare,  il termine estremo, il quale tramezza tra V atto infinito di creazione e la finita capacit del creato. E per eziandio ad esso il geometra applicherebbe il nome di legittima risultante tra le forze contrarie. E ognora che nelle cose particolari  impedita la moltiplicazione dei principj sostanziali diversi, la natura provvede con la indefinita replicazione dei simili ; e se questa pure  impedita nelle composizioni implicate e massiccie, sem- bra la natura rivendicarsi di nuovo nel picciolo mondo invisibile ed empie di milioni d' infusorj le goccie d' acqua e di milioni di conchiglie un pugno di arena. 52.  Ad ogni modo, perch gV impedimenti mag- giori, come8 disse, riescono sempre parziali e locali, regna senza dubbio l'indefinito nella immensit delle cose e non pure l' indefinito del simile ma del diverso altres. Quindi, come sa il nostro lettore, la creazione ci apparve quasi un punto impercettibile che segna e comincia il tempo e dilatasi tuttora in oceano smisu- rato con flusso perpetuo ed inessiccabile ; e v'  tanti pelaghi sempre crescenti e V uno diverso dall* altro quanto pu crescere V indefinito dei principj sostanziali diversi e dei semi eterni delle cose. E perch a tutti i possibili contenuti nella efficienza divina compete un valore medesimo, per tutti debbono manifestarsi ad extra nel tempo; sebbene, d'altro canto, essendo infi- niti e non rinvenendo in nessun luogo proporzionata recettivit, egli accade che i compossibili soli vengono air atto, e vale a dire i possibili non ripugnanti o con altri o coi proprj elementi, considerate le necessit e le angustie d' ogni molteplice ed in s medesimo e in quello che gli bisogna al di fuori onde possa coesistere e proporzionarsi con tutti gli altri.^ ^ Vedi Libro secondo. Capo quarto, aforismi XII, XIII, XIV, XV. DEL PROOREflSO NELL'UNIVERSO. 717 53.  In questi termini la creazione rende qual- che tenuissima e parzialssima effigie del creator suo, e cio gli enti morali a rispetto del contenuto, e a rispetto del contenente gV indefiniti.^ Forse taluno dir che ogni discreto e dabben cristiano la pensa al modo medesimo; ne altro intendono i metafisici quandq discorrono della immagine di Dio improntata nel mondo. Tanto meglio, rispondo io, e siamo tutti d' ac* cordo. NuUameno,  mostrato in parecchi luoghi di questi libri che i metafisici anno scordata la lor di* screzione in proposito; e sopratutto anno scordato quello che sia propriamente il finito e le conseguenze certe generali ed ognora presenti che l'essenza di lui tra- manda alla intera cosmologa. 54.  Per tale tendenza delle cose create in verso Y indefinito, scopresi in modo patente V abbaglio di co- loro i quali esagerano fuor di misura quel detto ari- stotelico ripetuto poi da Linneo e dal Tolgo dei dotti che la natura mai non procede per salti. Perocch, se la creazione stendesi nelP indefinito del simile, del diverso e del misto, ella debbe a marcia forza commet- tere salti frequenti e profondi. C!onciossiach i diversi sono divisi fra loro per intima essenza, e il varco dal- l'uno all'altro  di necessit uno sbalzo; e quando paiono trapassare assai blandamente e per minime sfumature, ei sono commisti di simglianza e differenza e producono gradatamente il vario nello identico. 55.  Ma se il creato chiudessesi per entro l' iden- tico, riuscirebbe ristretto e picciolo quanto uniforme e monotono; e troppa gran parte degli enti fattibili si rimarrebbe esclusa per sempre dall' esistenza. Tutto il che piglia conferma amplissima e cotidiana dalla sen- sata esperienza; e noi dimostrammo ne' libri anteriori, * Vedi Libro secondo. Capo quarto, aforismo XX. 718 LIBRO QUINTO. che quante volte pens la natura di ascendere a un or- dine nuovo o di mezzi o di fini le abbisogn eziandio r opera d' un nuovo principio. E nel vero, la coesione l'affinit r attrazione la luce e il calore, V elettrico e il magnetico, le monadi il senso la volont e V intelletto, sono principj diversi e fecondi, nessuno dei quali pu provenire dall' altro per l' indole sua peculiare ed ori- ginale. Onde notammo a parecchie occasioni quanto sia vano sforzo e impotente quello degli Hegeliani e d' altri panteisti di ritrarre, per via d' esempio, dalla materia l' organismo, da questo il senso e da entrambi r intelletto. 56.  Ne debbesi non avvertire che i principj test allegati sono sotto altro nome gli stessi ch'io ram- mentavo nel Capo quinto del libro secondo, chiaman- doli sfere differenti di esseri, e cio la stellare la eterea la tellurica la chimica la organica l' animale e l' uma- na. Salvoch, le posteriori dichiarazioni mi detter li- cenza di introdurvi alcune specificazioni non nuove ma per addietro taciute; e, verbigrazia, mi  stato lecito di distinguere nell' etere i suoi due modi solenni di palesarsi e d'operare : da una banda, la luce e il calore ; dall' altra, l' elettrico ed il magnetico. 57.  In sul cominciare del Libro secondo, a noi vennero pronunziati i principj infrascritti, e cio che La efficienza divina crea e determina tutto La divina mentalit preordina tutto La natura naturata fa tutto La infinitudine partecipata termina tutto. Crediamo le cose partitamente discusse nel seguito aver DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 719 chiosato a sufficienza e applicato con profitto i prn- % cipj suddetti; e crediamo altres che ognuno vi ricono- sca al presente quel grande filosofema di Vico onde pigliammo gi le mosse a discorrere di cosmologa, e il qual dice, che Tuniverso move da Dio, in Dio si sostiene, a Dio si ritorna. 58.  Per fermo, se la natura naturata fa tutto, nondimeno ella non farebbe nulla quando le cagioni seconde non fossero create e determinate dall'efficienza divina. E opererebbero senza pr e discosto dal fine, ognora che la mentalit suprema non dirigesse e preor- dinasse; e per tutto ci  detto assai propriamente che r universo o la natura naturata sostiensi in Dio.  del pari, da ci s' intende come le cagioni seconde mentre operano fatalmente e col tenore preciso e la necessit ineluttabile delle proprie essenze, non per di meno adempiono inconsapevoli i fini particolari ed i generali che la saggezza divina preordinava.  con questo asse- guimento continuato dei fini e col partecipare negli enti morali al bene  Di l dal qual non  a che b' aspiri   troppo vero che l'universo ritorna a Dio. 59.  Cos nella nostra cosmologia viene dimo- strato che tutte le cose non sono Dio, ma Dio  per in tutte le cose ed  il loro principio e fine assoluto ed anche  legamento supremo fra l'uno e l'altro; e intendesi ch'egli eziandio  il mezzo spirituale supremo onde tutte le esistenze procedono verso il fine. Perocch in primo, l'atto creativo perenne e impartbile inizia, cagioi^a e conserva il mondo e in ogni lato lo involge e lo penetra. Onde ogni amplitudine di cose create  contenuto eminenter nella divina immensit e la dura- zione loro nella divina eternit, due forme dell'infinito 720 LIBRO QUINTO. che sono parimente forme essenziali dell'atto crea- tivo. 60.  In secondo luogo, qualmente s' ebbe a toc- care poc'anzi, le cause seconde ancora che facciano tutto, se per legge fatale di lor natura non adempies* sero al punto il disegno preordinato dalla divina men* talit, piuttosto che fabbricare l'ordine e raggiungere il bene atte sarebbero a fluttuare e contendere nello ^scompiglio del Caos, avendo noi divisato nel primo \Libro le infermit e manchevolezze d'ogni finito e co* me il tuttoinsieme di tutti essi riuscendo 1' opposto dell'Uno si alienerebbero di mano in mano da Dio e il caso parrebbe accozzarli, il caso discioglierli quasi immensa congerie e confusa di elementi e principj; e forse a poco a poco dopo innumerabili ondeggiamenti e conflitti ciascuna forza trovato il suo contrapposto si adagerebbe nell'inerzia nativa, e sarebbe nella natura- silenzio immobilit e squallore eterno simile a un mare di vetro e di ghiaccio con dentro una miscea strana in* composta ed infigurabile di infinite essenze di cose. 61.  Perci si disse che a quattro termini princi- palmente mira e intende l'atto creativo supremo, e sono il Possibile, il Convenevole, l'Attivit e l'indefi- nita Partecipazione. Conciossiach il Possibile attuan- dosi porge gli elementi, le materie, i semi e i principj del tutto. Il Convenevole li dispone ed accoppia per guisa da cavarne ordine, corrispondenza e armonia.  perch fine  il bene e il bene torna sempre ad attivit e si concentra nell' individuo, perci l' arte divina del Convenevole accumula, per cosi favellare, e condensa l'attivit nel pi perfetto individuo; e l' attiviti con- densata  pure condensazione di esistenza e di vita co- me il crescere in perfezionamento vale il congiungersi di pi in pi e partecipare dell' Assoluto. DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 721 62.  ila qui cade troppo in acconcio il ribattere novamente * quella obbiezione dei materialisti alemanni contro l'arte divina del Convenevole, e consiste a dire che non si conforma gran fatto ad una sapienza e bont in- finita il salire penosamente a certo grado mediocre di eccellenza e di compitezza e condurvisi per una serie di prove, di assaggi, di tentamenti e di quasi aborti e stroppiature e usando di lunghe catene di mezzi, nes- suno de' quali  bastevole n esente d' imperfezione, proprio come farebbe la povera creatura umana im- previdente e debolissima e non avendo in arbitrio suo un infinito di potenza. 63.  A ci rispondesi primamente argomentando a priori, e ponendo in considerazione che se da una banda la mentalit infinita operante sul mondo  cosa innegabile e dall'altra si avvisano processi lenti e im- perfetti e graduate combinazioni,  forza credere che elle provengono dalla invincibile tenuit, pochezza e difettosit del finito. Imperocch a costoro esce mai sempre di mente che la saggezza e potenza divina non pu trasformare e immedesimare il finito nell'infinito. 64.  Secondamente, si risponde (cosa notata gi per addietro) che tale insuficienza e scarsezza perma- nente ed inemendabile del finito si lascia conoscere al giudicio dell' uomo in pi modi e in qualche nota- bil porzione. 65.  Egli  certo, per via d' esempio, che Dio non poteva simultaneamente largire al finito la pleni- tudine di cui  capace. Atteso che, qualunque termine vario e vasto assegnato gli avesse, rimaneva ancora dietro quello uno spazio immenso da colmare ed anzi incolmabile perch indefinito. * Vedi Libro secondo, Capo primo, Vllf. Mavia^i. -> II. 46 722 LIBRO QUINTO. 66.  Del pari, poich il finito  molteplice e non  mai r uno assolutamente, e vale a dire che in ninna sfera di esistenza  l'uno e il tutto identificato, ma rotto, sparso e incompiuto, rimaneva la mera possibi- lit di congiungere gli elementi del molteplice e di combinarli. Ma eziandio tale congiunzione e combina- zione non poteva accader tutta in istante, perch qua- lunque specie e numero ne fosse mai risultato, quella specie e quel numero si rimanevano sempre capaci di indefinita dilatazione e moltiplicazione. 67.  Qui pure adunque, occorreva un processo, una gradazione, un ascenso. E come il congiungimento e il combinamento che meglio dilata il finito  quello che toma maggiormente sintetico, ed ogni sintesi  pure ca- pace di variet, di aumento e di perfezione, cos scorgesi di necessit la natura non pervenire in istante ma per tempo e per grado alla costruttura, alla variet e al perfezionamento delForganizzazione, la quale in ultimo  propriamente una sintesi di congiunzioni e combinazioni. 68.  D' altro lato, perch il finito non pu con- tener l'infinito n pareggiarlo, ma s pu riflettere e riverberare interrottamente e spartitamente alcuna delle determinazioni di lui, per ci la creazione esten- desi nella diversit delle cose; e tale diversit pari- mente non trova modo di esaurirsi ad un tratto ne ad un tratto compiere la mistione del differente e del simile. 69.  Ancora si metta in considerazione che il Convenevole pone in corrispondenza e armonia le pi diverse ed opposte cose, ma il fa per una trafila non evitabile di essenze ed atti mediani, e quanto  mag- giore la discrepanza originale &a quelle, tanto  pi lunga e minuta la mediazione; e poich gli atti pro- mossi od occasionati sono mutamenti, e questi succe- dono in tempo, cos debbe avvenire che molte con- DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 723 temperanze e conciliazioni sembrino cons^uite assai tardamente e con fatica. 70.  Da ultimo, essendo per gli enti morali per- fezione massima e nobilissima l' imitare quanto pos- sono Iddio che  puro e assoluto atto, di tal maniera la natura tende negli enti morali (come notammo pi volte) ad accrescere l'attivit, e s'intende la perfet- tiva. Onde poi la beatitudine, che conseguita al pro- gredire di simile attivit trovi bens l' oggetto ed il termine in Dio, ma per la operosit propria di essi enti morali venga promossa e svolta di mano in mano e alla vita e all'anima loro intrisecata ed assimilata. 71.  Per ci medesimo l' Assoluto non si comunica / agli enti morali per guisa da porli in istato passiva di ratto e di invasamento, ma iniziandone invece la ^ massima spontaneit e l' azione pi profonda e pi in- tima dello spirito e dello intelletto ; ed ancora ci non dee succedere mai in istante, ma per progresso indefi- nito. Avvegnach Dio pu molto bene dare immutabile contentezza, ma pu solo in successione di tempo e variazione di atti concedere tutto l'acquisto possibile del fine e della beatitudine. 72.  Del perch poi, venendo agli ordini parti- colari delle cose, l'ascendere nella scala perfettiva dell'essere cominci da un grado pi tosto che da un altro sembra non potersi dare definizione e ragione assoluta ; e del pari sembra ignorarsi nel generale da che punto sia necessit o convenienza che l'essere incominci il suo movimento dal nulla. Gli  certo, nientedimeno, che a noi rappresentasi come adatto e conformissimo alla sapienza divina l'ordinare l'universo per modo, che quale fu creato da prima basti ad adem- piere tutti i fini della bont increata e infinita, mo- vendosi perpetuamente con le forze e leggi sue proprie- 724 LIBRO QUINTO. 73.  E tale portento pare aggrandirsi al nostro giudicio quanto il finito comincia pi basso e piglia inizio dair ultima attenuazione deir essere. D' altro lato, questo principiare dal minimo per ascendere verso il massimo, il quale si mostra sempre pi alto e mai non sembra fermarsi, d luogo all' attuazione del mag- gior numero dei possibili, giusta le spiegazioni ed i limiti espressi da noi in parecchie parti di questi Libri. 74.  Conchiuderemo osservando che coloro i quali movono le prefate istanze contro il provvedere divino par non s'avveggano di darsi spietatamente della scure in sui piedi. Conciossiach se al finito  necessit evi* dente ed intrinseca il procedere dal meno al pi, dallo slegato al congiunto, dal semplice al composto, da tali mezzi a tali altri e cos prosegui, dimandasi agli He* geliani e a qual s'  scuola di panteisti in Germania e altrove, perch la natura e i mondi non sono in sin da principio tutto quello che anno in potenza e in ar- bitrio di essere, visto ch'ei sono esso medesimo T As- soluto, il quale  uno e tutto compiutamente. 1..X. .. ., 75  Iq dunque li consiglierei di starsene cheti e di non troppo voler trionfare del posto che s'nno usurpato, e intendo di queir Olimpo nebbioso e postic- cio dove collocarono il loro Assoluto simile a Giano trionfante con due capi e un sol busto, e il quale da una faccia rappresenta il finito, dall' altra V infinito. Cotalch, quando bisogna parlare delle cose eterne e discorrere dialetticamente delle infallibili atiaribuzioni dell' ente primo, essi al modo di monna Tessa dei Lo- teringhi girano il collo del grande idolo e il mo- strano dalla parte che significa V infinito. Ma se ta- luno chiede ragione della caducit delle cose e come possono stare nell' Assoluto, rispondono, dato prima una nova rivolta all' idolo bicipite, figliuol mio, non DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 725 vedi l quella faccia che rappresenta illinito ? Neces- sit vuole che quel che comincia eziandio abbia ter- mine. E in fondo quel che comincia  parvenza e fe- nomeno; e noi ci lagniamo a torto delle nostre miserie; e quando si pensi che siamo fenomeni fugacissimi e simiglianti a quelle spume che fervono un sol mo- mento sulla gran distesa dell' oceano, del sicuro senti- remo assai pi l^gieri le afl^ioni, il dolore, le avver- sit, le ingiustizie, le malatte e la morte medesima. 76.  Io non so quanto si fatta maniera di con- solazione torni gradita agli uomini nel generale e pi particolarmente agli sfortunati. Giudico per altro es- sere stata buona ventura che non cadesse in pensiero a Boezio nella torre di Pavia n a Socrate nelle pri- gioni d'Atene. Ma lasciando ci stare, mi sembra che un altro argomento per mantenere in modesto silen- zio ogni sorta di panteisti dovrebbe uscire da questa considerazione, che il loro Assoluto come non  punto adorabile, cosi da alcuno non  invidiato, perch man- cagli la forma vera del bene, che  l'infinito conten- tamento o la perfetta beatitudine che tu la chiami. 77.  E poco vale ch'egli diventi ogni cosa e pro- gredisca nella coscienza di s medesimo. Varrebbegli molto meglio non si conoscere, che sapere a poco per volta che mai non sar beato. Conciossiach il bene vero  supremo  individuo e incomunicabile e vuole per sua compagnia tutte le doti della persona spirituale ; che se questa e quelle sopprimi o dividi e sperdi per l'universo, la beatitudine  spenta. E se, per contra, le unifichi e separi sostanzialmente dal mondo,  salvo il divino, ma il naturale non fa pi uno e medesimo con esso lui. Credo fermamente che da questi rafi non si ^ scampa: o Dio non  beato, o la natura non  Dio. ^ 726 LIBRO QUINTO. CAPO SECONDO. TEORICA DEL PROGRESSO. Aforismo I. 78.  Reputiamo dopo tutto ci di dovere per una volta ancora fermar V occhio dell' animo sulla defini- zione data per noi della vita e conoscere che neir ente morale e fornito di organizzazione corporea quella de- .finizione comincia ad acquistare l' altezza e pienezza .del proprio significato. Conciossiach nell' ente morale  spiegamento e perfezionamento di vero individuo, e il bene a cui mira con V intelletto e col desiderio  il bene assoluto e d' ogni cosa minore non  soddisfatto. Perci appunto l' organizzazione corporllie nella vita, vegetativa  tutto l'essere vivente e nell'animale bruto  mezzo commisurato ed efficacissimo al fine, invece neir ente morale e in ordine al bene assoluto essa opera occasionalmente e al fine  sproporzionatissima. 79.  Se non che, allato a questo s fatto strumento r ente morale ne trova ed acquista parecchi altri di pi nobil natura secondo che verr mostrato fra breve e s'indic per le generali nel libro anteriore. 80.  Di tal maniera nell' ente morale e in quel- r abito di vita che piglia pi propriamente nome di razionale, deesi avverare eziandio quell' ultimo inciso della nostra definizione: mediante un acconcio orga- nismo. AF0RIS3I0 II. 81.  Oltrech, la definizione, com'  assunta in uni- versale e in modo assoluto, deesi parimente avverare nel- DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 727 r ente morale in guisa universale e assoluta. Dapoich, quando accadesse altramente, la vita non sarebbe in atto perpetuo, ne consisterebbe neir attivit continua e progressiva dello spiegarsi e perfezionarsi, n vi si scorgerebbe attinenza certa e sostanziale col fine vero, ma tutte le sue condizioni riescirebbono accidentali e caduche e darebbono della realit della cosa nulla meglio che un cenno ed un' apparenza. Quindi o la vita razionale mentirebbe all' appellazione propria o si converria cercare altro genere di enti e altra indole di vita e di attivit superiore e capace di ragguagliarsi con la nostra definizione. 82.  Qualora dunque sia certo (e noi l' abbiam dimostrato) che l' universo ritoma a Dio e per riceve negli ordini suoi superiori tanta partecipazione del bene quanta ne pu contenere, e cio indefinita ed interminabile, dee sussistere una forma e una replica- zione di essere in cui tutto questo si sustanzii ed uni- fichi. La qual cosa da ultimo vuol significare, che negli ordini effettualmente finali della creazione debbo es- stere a diversi gradi e sotto condizioni ed aspetti ezian- dio varatissimi la facolt e l' atto del progredire per- petuamente nella vita nell' attivit nella perfezione e nel bene, tutte espressioni che si convertono e nell' ul- timo fondo loro si riducono ad un medesimo. 83.  A noi, pertanto, conviene, volendo compiere il discorso intorno la vita ed il fine nell' universo, provare innanzi in modo apodittico la teorica del Pro- gresso. 84.  Sia qui detto per incidente che quando r uomo fosse escluso dagli ordini finali dell' universo, 728 LIBRO QUINTO. egli diverrebbe 1' ente fra tutti il pi mostruoso ; non solo perch' egli sembra su questo globo segno e meta delle opere del mondo meccanico e chimico e dell'in- tero mondo organato; ma pi assai perch conoscendo egli il fine assoluto e aspirandovi sempre e conoscendo altres la legge e le norme che vi conducono e studian- dosi di seguitarle, nondimeno nel fatto vivrebbe sem- pre ingannato del fine ; e quella legge medesima e quelle , norme sacre ed incancellabili gli mentirebbero ; il che in sostanza vuol dire che gli mentirebbe la ragione e la verit. 85.  Poc'anzi poi pronunziavasi che all'ente mo- rale (e r uomo  del novero certamente) bisognano di  mano in mano organi molto migliori che i corporali , ond'egli  fasciato. E notammo per addietro che l' uomo ^pur nella vita presente si munisce d' altre sorte di or- , gani spirituali e di superior natura, come l' inflettere ^opra s stesso e armarsi della dialettica. Similmente, egli provvedesi di dogmi morali e gli ordina e dispone per entro una sintesi bene appropriata alla scienza e alla pratica; e s fatto manuale, o saputo a mente o dettato in carta,  organo vero ed assiduo delle ope- razioni dell' anima. 86.  Ma qui s'aggiunge al presente che l'ordine tesso morale e l' espressione di lui fedelissima che  la legge suprema onde il bene  dispensato universal- / mente e della quale la coscienza fa testimonio continuo, servono all' uomo di organo sopraeccellente ed anzi il migliore ed il pi attuoso, in quanto serba efficacia agli altri e li coordina tutti in verso del fine. Per fermo, noi dimostrammo in qualche altro dettato, che l' uomo non  razionale e morale in modo compiuto, salvo che assi- milando i principj dell' etica e trasmutando la volont propria nella volont della legge di tal maniera che DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 729 questa diventi atto e deliberazione spontanea del suo /  spirito e potest informativa della sua vita ; le quali 1 tutte espressioni riescono a dire che assimilando Tuomo la legge morale viene a farla strumento continuo alla perfezione propria ed all' asseguimento del fine. E si  veggono nella natura di tale strumento le due condi-- zioni ottime che Aristotele desidera nell'operazione di vita beata, e sono eh' ella si compia al possibile dentro allo spirito siccome quella di Dio, e non dipenda dai beni estemi ; e qualora eziandio miri alle cose esterne, vi usi un arbitrio e un'autorit architettonica e quindi per l'atto del pensiero si adempia ogni cosa. 87.  Certo  che la perfezione morale e l'efficacia ^ sua propria ed ineluttabile si compiono dentro 1' animo ed anno sostanza nella purezza ed intensit del volere. . . L' attuazione esteriore seguita necessariamente ; e nella somma generalit dei casi e nella massima lunghezza del tempo vince ogni forza contraria; e mentre simile attuazione proviene in diritta via dall' intima essenza dell' ordine della creazione, la inefficacia invece della volont perfetta morale e il non adempimento del- l' ordine e della legge che lo significa avviene parzial- , mente e per accidenza. 88.  Oltredich si metta in considerazione che r uomo sopra la terra praticando nelle cose esteriori la legge del bene, non a il piii delle volte arbitrio di  al senso profondo della infermit e caducit nostra.  Perocch quello che mostrasi universale ed assiduo e"^ intrinsecato sostanzialmente col genere umano  un fatto essenziale e costitutivo del nostro spirito, e le mani , stesse della natura ve lo inseriva ed alimentava; il che , mosse a dire, s' io mal non ricordo, i medesimi Aristo- telici che niun desiderio naturale pu essere indarno, e ' intendesi di quella fatta desiderj che non s' informa di > condizioni speciali e individue, ma in ciascuno  simile, ^ in ciascuno  perenne; e se il combatti, resiste e ri- ' sorge; se il recidi dalle radici, rigermoglia nondimeno  e ribarba ancor pi tenace. 138.  Ondech il discorso qui pure giunge a quel- r ultimo termine in cui lo scettico peraeverante non dubita di affermare che la natura ci m^irt^^ c'in- ganna. Mentre la filosofia che perci appunto noi chia- mammo naturale o del senso comune raccoglie invece l'estreme prove e dimostrazioni in questo pronunziato: la natura n pu ingannare n pu mentire. Oltrech 750 LIBRO QUINTO.  facile ritorcere V argomento e cogliere in contraddi- zione lo scettico, il qual pretende che la natura e' il- lude in certi sentimenti e convincimenti in quel tempo stesso eh' egli usa a ci provare della facolt discor- siva fornitaci dalla natura come tutte le altre. Afobismo ni. 139.  Ma perch la teorica del progresso venga ricevuta dall' alta scienza speculativa  mestieri che la si provveda d' una dimostrazione puranche speculativa e propriamente a priori qual fu la prima significata nel secondo aforismo. Ne di piii si dee chiedere se la dimostrazione non difetta da nessun lato ; che questo vantaggio portano seco le prove razionali di riuscire difficili ad esser trovate e compite ma di bastare pie* namente a s stesse e reggere anzi con autorit e vi- gorezza mai sempre uguale ogni serie di deduzioni e ragionamenti che ne dipendono. 140.  Salvoch la prefata dimostrazione esce pi direttamente dal concetto della causa e dell'infinito; e giover quindi cavarne altra non meno assoluta dal concetto opposto del finito e del causato, e proceder tutta con le nozioni pi comuni ed irreprobabili. Ora, la dimostrazione  si fatta. 141.  L' universo , certamente, creato ad un fine; e le mutazioni ed operazioni che v' intervengono, viste nel lor tutto insieme e quali che sieno le specie loro, debbono essere domandate un, moto rivolto al fine. 142.  Ci posto, se 1' universo non cesser mai di operare e mutare, forza  di concludere che l' universo come opera e muta perpetuamente, per si muove ezian- dio perpetuamente in verso del fine. 143.  Ma ci esige di piena necessit che il fine DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 751 deir universo riesca sempre conseguibile e inesauribile sempre. 144.  Quando il fine fosse tutto conseguito, pi non vi sarebbe moto al fine, e V universo si fermerebbe inoperante e immutabile. 145.  Ma per lo contrario, quando il fine non fosse di mano in mano e parzialmente conseguito, il moto del pari non sarebbe pi moto al fine; sarebbe mu- tare e operare ma senza fine.  il simile  da dirsi ne pi n meno se il fine intero fosse raggiunto ad un solo tratto. Perocch il moto anteriore che stato non fosse mezzo e preparazione sarebbe corso fuori del fine; come ugualmente avverrebbe fuori del fine qualunque moto e mutazione posteriore. 146.  Adunque il perpetuo moto al fine non pu sussistere nell' universo che per via d' un conseguimento successivo e parziale del fine medesimo e rimanendo di l da ciascuno di essi risultamenti un pi largo e nobile fine da conseguire. 147.  Alle prove razionali abbisognano forzata- mente i vocaboli astratti e in questi  cosa agevole il trasandare ed equivocare. Di tal modo potrebbe taluno uscirsene a dire che il movimento al fine debb' esser quello onde il fine  sempre pi avvicinato ; e invece nel caso nostro il movimento essendo perpe- tuo e interminabile domanda uno spazio altres e una distanza interminabile; quindi il movimento a rigor di termini sarebbe sempre d' una maniera distante dal fine e per sarebbe senza fine. 148.  Si scioglie 1' equivocazione avvertendo che in fatto il moto dell' universo  pur sempre ad uguale 752 LIBRO QUINTO. distanza dal bene assoluto, in quanto questo  infinito ed inesauribile 149.  Il che peraltro non vieta che i fini parziali 0 le sempre maggiori partecipazioni del bene assoluto non sieno l' una dopo l' altra accostabili e per V una meno dell'altra distante. Aforismo IV. 150.  Potrebbesi obbiettare, giusta l' opinione degli antichi, e massime di Aristotele, che il moto continuo dell' universo tende al fine di conservarsi e quindi cotal moto non essere propriamente rivolto al fine ma per cagione del fine ; e per questo raccogliersi tutto nella perpetua conservazione di esso universo, che non  pie- ciola bisogna, n da vedersi mai consumata. 151.  Di tal guisa, dicono, ragionava Aristotele e con esso l' antichit quasi intera; i testi chiari e pre- cisi non conosco e non trovo citati. 152.  Ma prima conviene redarguire dicendo che se il moto dell' universo volgesi tutto e semgre alla conservazione dell' universo medesimo, v'  dunque una parte di questo che incessantemente lo combatte e minaccia di distruzione; altramente nessun obbietto avrebbe il suo moto. N la forza che lo minaccia pu essere aliena e scissa da lui, che universo pi non sa- rebbe. Neppure pu essere la forza creatrice assoluta la quale  infinita e nessun riparo vi avrebbe il mondo. Impertanto  da ripetere che se questo s move perpetuamente alla conservazione propria, una sua parte lo minaccia e combatte del pari perpetua- mente. Cotesta parte adunque opera e muta senza fine, 0 pi esatto parlando,  contraria al fine. Non si  quindi licenza di dire che l' intero universo  una ragione sola che lo governa e lo move. DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 75B 153.  In secondo luogo si badi che qui  mutata sostanzialmente la nozione di fine in quanto esso  guar- dato nelle realit e se ne cerca V attuazione. Attesoch il fine praticamente  cosa certo asseguibile, ma non asseguita. E per fermo, stando alla significazione co-  munale ed applicativa del vocabolo, fine domandasi ^ ci che manca e si procura di possedere. Quindi fuor della mente esso  il termine attuabile dell'azione e non  il principio n il mezzo; ed appena attuato,  possedimento e non  pi fine; e insomma egli  qualcosa che sempre rimane futura in verso le cause e le azioni che lo precedono.  quando prosegue ad essere fine eziandio dallato al possedimento, si fa ma- nifesto che al possedimento bisogna conservazione e durevolezza; il che nei casi particolari avviene spes- sissimo per la ragione degli opposti e per quel cu- mulo di forze scorrette e sinistre onde tutte le esi- stenze non semplici anno pericolo di consumazione e mina. 154,  Ma r universo  inconsumabile e inaltera- bile ne' suoi elementi. E in risguardo dei composti, esso nel generale non pu costruirne uno che altro non ne disfaccia, perch qui aggiunge quel che l toglie, qui aduna e l disperde; in un luogo genera in un altre fermenta, in un terzo imputridisce ed invermina ed in un quarto con forse la stessa materia torna ad in- generare ; in tutte le quali opere ogni cosa avviene per leggi fatali e forze determinate ed intrinseche e nulla dal di fuori non sopraggiunge a mutare e disor- dinare d' un iota quello che vi si fa per la natura certa definita e invariabile di tutti gli enti creati. Come dunque per la creazione tuttaquanta conservarsi vuol dire esistere siccome esiste ed operare quello che opera ; che le tornerebbe ripugnante e impossibile esistere in 1Iaiam.  li. 48 A 754 LIBRO QUINTO, altro modo e con altra operazione; per d, se tale  il fine dell' universo, ognuno s' avvede che  mera e vana apparenza o parlando pi preciso  falsa appo- sizione del nome. Stantech o non vi esiste fine veruno od  sempre conseguito in ogni dove e per ogni cosa, il che, rammentandosi i concetti di gi espressi, torna a dire che non v'  fine. D' altro lato, giusta la mente di Aristotele, il fine e il bene esattamente si convertono; ma pel con- cetto attrbuitogli circa al fine delU universo questo  da lui privato d' ogni aspirazione attiva al bene asso- luto, dapoich T opera del conservare significa uno forzo perenne di non perdere il bene relativo che si  e disperando del meglio rimanersi contento di non cadere nel peggio. f 155.  Concludiamo che in far sinonima la conser- ^ vazione al fine si usa della nozione di questo, tal quale esce dalla notizia dei fini relativi caduchi ed acciden- tali degli uomini e si applica inopportunamente al tutto della creazione. Ma chi toglie all' universo l'aspi- rare attivamente e fruttuosamente al bene vero e so- stanziale che  bene assoluto, abolisce d'un tratto l'or- dine intero degli enti morali e leva la finalit dal mondo levandone insieme 1' azione e l' influsso della potenza e bont infinita. Necessario  dunque il moto finale delle cose; e posto un moto s fatto, egli non pu essere differente da quello che abbiamo descrtto pili sopra. 156.  L volentieri da riconoscere che in tutte le scuole del medio evo corse con autorit di assioma questo pronunziato, essere in ogni cosa certa virt di DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 755 preservazione e tutte resistere con pi o meno di ener- gia al proprio annicbilamento.  se intendevano de'corpi semplici, confusero del sicuro con V istinto .conserva- tivo la impossibilit metafisica di menarli al niente; imperocch si domanda per annullarli un infinito di potenza e quella medesima per appunto che li condu- ceva dal niente all'essere. 157.  Ma per rispetto ai composti (e il mondo tutto materiale resulta di composti) la virt {Hreserva- trice della natura inoi^nica  sinonima spesse volte della fonsa elastica e della forza di coesione. Salvo- che d' altra parte le affinit elettive sono il contrario affatto dell' accennata preservazione; e la pirite, per via d'esempio, ama s poco la propria esistenza che risol- vendosi per calore insino all' ultimo atomo, lo zolfo abbandona il ferro od il rame e compone col mercurio un essere nuovo che piglia nome di cinabro ; e la chimica tutta quanta, pu dirsi,  costituita di tali spontanee risoluzioni e nuovi composti ; ne il fuoco potrebbe nulla contro la presunta energia di conservazione qualora nei corpi che ardono non fosse una maggiore energia e un pi spiccato impeto di mescolarsi con Tossigene. 158.  Vero  nondimeno che nella natura vivente ed organica appariscono gli animali forniti assai volte d'istinti maravigliosi mediante i quali fuggono essi quel che loro nuocerebbe e dispongono s medesimi e adattano con artificio non insegnato da alcuno al mondo ambiente che abitano. E perch l'uomo, se- condoch fu notato in altra occasione, assomiglia tutte le cose volentieri a s stesso, di tal guisa volle in ogni parte della natura riconoscere l'istinto della conser- vazione, come volle ravvisarvi una specie di vita e di anima e chiam simpatia l' attrarre delle calamite e vegetazione le miniere dei metalli. 756 LIBRO QUINTO. Aforismo V. 159.  Dicemmo appostatamente di questa dimo- strazione a priori da noi esibita del progresso inter- minabile che usciva per via immediata e propria dal concetto del finito e delle esistenze create come T altra superiore, di cui parla il secondo aforismo, emanava dal concetto contrapposto dell' infinito. Gonciossiach la nozione del fine varia estremamente nei due concetti, e chi non vi bada incorre in non pochi abbagli. 160.  Laonde qui si ripete che dalla parte delle cose create e massime degli enti morali il fine oltre essere un intendimento  pure un principio fattivo e un termine successivo e reale di moto; e ben fu no- tato che per ci appunto egli in quanto  propria- mente fine attuabile,  V essere suo in futuro e si va stendendo nel tempo e cessa e rinasce, per via di dire, assai volte quando trattasi di intento parziale, e innumerevoli volte, quando trattasi del fine assolu- to, e cio della partecipazione del bene sommo. Le quali espressioni, accorgesi ognuno che rispondono a capello alla nostra sentenza che V universo debbesi movere a un fine sempre conseguito e sempre ine- sausto. 161.  Invece, nella divinit mai il fine non s'in- futura, ma  tutto presente ed in atto; e simile at- tuazione ad extra risponde preciso a quel certo ordine di causalit eterna e ideale che ogni lingua suol doman- dare la nozione del fine; e pure nell'intelletto umano tal nozione consiste ad apprendere una certa specie di attinenza causale i cui termini esser debbono necessa- riamente pi d' uno e di due : e vale a dire che fra il nesso ordinario e immediato della cagione e del- DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 757 r effetto nterponesi una cagione mezzana, e ci non a caso ma per alcuna mentalit e per un volere in- telligente. La qual cagione poi intermedia pu es- sere semplice quanto composta e dividersi e ripartirsi in molti atti ed agenti annodati e subordinati. E y'k tale divario notabilissimo tra V idea del fine e Y ef- fettuazione sua al di fuori della mente che in questa r anteriorit logica spetta a forza al concetto del fine ; laddove nel mondo reale il fine  posteriore ad ogni altra cosa. Col lume e la scorta di simili distinzioni verranno scansate molte dubbiezze e non pochi sofismi.^ A. 162.  Mancando agli antichi questo concetto ve- rissimo e fecondissimo del progredire indefinito del- l' universo, ei non dovettero accogliere in mente un concetto limpido e da ogni parte compiuto della fina- lit. E forse  da convertere la proposizione e giudi- care che la imperfetta nozione del fine imped loro di ascendere alla idea principe del generale progresso. 163.  Comunque ci sia, scorgesi in Aristotele stesso e nella scuola sua certa fluttuazione di pen- siero intomo al proposito. In un luogo della metafi- sica afferma che il fine  nelle cose le quali operano da natura o dalla mente, con che distingue preciso nel fine il principio speculativo e il principio fattivo. Del pari, scrve pm volte, la natura non far nulla imperfettamente ed inutilmente e il fine convertirsi col bene ; e nella Fisica che il fine non  V ultimo qualunque sia, ma l' ultimo eh' eziandio  l' ottimo ; e 1 Vedi Cosmologia, lib. I, cap. Il, % V. 758 LIBRO QUINTO. nella Politica che la ragione e la mente sono fine della natura; e nell' undecimo della Metafisica parla di Dio, purissimo atto e in verso di cui aspira il mondo e tutte le cose ; per le quali allegazioni parrebbe Ari- stotele fondare il dogma della inesauribile partecipa- zione del bene, e le cose e la natura essere a ci preordinate. 164.  Ma d' altro canto egli assevera troppe volte nella Fisica e altrove che il fine continuo e generale della natura  la perfezione della forma, onde la scuola sua ebbe a dire finis et forma in naturalibus idem habet; ed anzi nel primo della Politica Aristotele giunge a dire che la natura stessa non  altro che fine. E ci si prova^ perch si afferma comunalmente ciascuna cosa avere la sua natura quando la genera- zione di quella possiede la sua perfezione e il suo fine. Nei quali concetti si addentr e persever maggior- mente il Filosofo per ragioni grammaticali, avendo tutte le voci greche d'intorno al fine un significato troppo simile al perficere dei latini e che noi tradu- remmo col vocabolo finimento, e nelle arti domandiamo talvolta finezza o finitezza. Di tal guisa come aito di- vent sinonimo di forma, questa $, vicenda divent sinonimo di fine e in generale il fine volle significare la perfezione dell' atto; e quindi 1' atto compiuto che altro potea fare e volere se non conservarsi? 165.  Egli  manifesto, per mio sentire, che gli antichi e segnatamente Aristotele non distinsero quanto bisogna l'essere fatale delle cose dalla intenzione che le guida. Nel vero, tu cercherai mille anni dentro di esse quello che sia il fine e non potrai nulla scoprire di differente dall' indole loro e dagli atti che ne con- seguono; e similmente gli effetti proprj e gli estemi saranno, per via di dire, una espansione altrettanto DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 759 fatale di que' medesimi atti; quindi avvertimmo al- trove come ai panteisti e materialisti ^rni gradito sopramodo il ripetere che gli uccelli non furono fatti con Tali affin di volare e i pesci con ie branchie e le pinne afSn di nuotare, ma in quel cambio che i pesci nuotano perch anno branchie e pinne e cosi gli uccelli volano perch forniti di ale. 166.  Sul che rispondemmo allora, e qui repli- chiamo, essere vero e saldo l'uno e l'altro giudicio: il primo a rispetto della mentalit direttrice, l' altro a rispetto della natura degli esseri. La qual cosa non  negata da alcuno trattandosi degli oggetti dell'arte; essendo verissimo, per via d' esempio, che i congegni interni dell' orivolo sono costruiti e connessi al fine di mostrar le ore, e queste sono mostrate e indicate per virt della molla intema che sforza i pezzi addentel- lati e ogni rimanente. 167.  Allora, dunque, parl esatto Aristotele, quando il fine ripose nella mente e nella ragione, perch l' es- senza sua prima e verace  nell'intelletto. E simil- mente parl profondo il Filosofo, quando nell'ordine delle realit vide il concetto del fine attuarsi nel bene supremo. Restava solo di avvisare che l' ordine intero delle realit rispondente all' ordine intero dei fini non poteva ad altro riuscire che ad un' ascendente parte- cipazione del bene, e questo dovendo essere attivo, e mediante l' attivit conseguito, si scorgeva ad un tratto che neir ordine degli enti morali il fine dopo essere stato una forma della ragione diventava un sommo principio fattivo e il termine sempre raggiunto e sem pre innovato di tutte le opere. Ogni rimanente nella natura e nell' uomo pigliava ragione di mezzo e par- tecipava al bene ed al fine in quanto il mezzo  ap- parecchio e coordinazione in verso di quelli. y / 760 LIBRO QUINTO. JS. 168.  Poich viene a taglio, non ommgtto di ri- cordare che nella teorica nostra la necessit del pro- gresso e dei gradi e trasmutamenti suoi principali piglia radice razionale in pochi filosofemi nella On- tologia dimostrati e i quali nel corso di questa co- smologia trovano le applicazioni loro e danno prova particolare e apodittica del progresso medesimo. Giudi- chino i lettori se possa e debba affermarsi altrettanto della teorica hegeliana; o se invece ad ogni termine nuovo che vi apparisce non torni bisogno di domandar la ragione e il perch. 169.  L' essere va diventando e perfezionandosi via via. Ma saldo ; per dove si passa e a che riuscia- mo? perch e come questa mutazione e poi V altra e l'altra? Attesoch non le precede un infinito di bont e potenza, ma il nulla assoluto che  certo assai poca cosa. Una necessit arcana, rispondono i pi leali, agita quello essere continuamente e il tragge a mutarsi in tutte le cose. Sta bene; ma non  logica necessit la sua, n metafisica n sperimentale e molto meno morale;  mera necessit del supposto hegeliano. L'ente si dee movere; e quando non volesse scusan- dosi di non potere, dacch  dell' essere V apparenza e il nome soltanto, l'uovo di Brama perisce e i mondi sono distrutti prima di nascei*e. Oltrech, nel vuoto immenso ed interminabile esisterebbe solo l'as- surdo dell' essere astratto eternamente uguagliato al nulla. 170.  Concedesi che l' uguaglianza  sciancata e falsa appunto perch assurda ; ed  vero eziandio che r essere diventando non la raddrizza, e che al diven- DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 761 tare medesimo occorre la ricomparsa della paradossa equazione. 171.  Ma lasciando ci stare e accostandoci al tema di cui qui si parla, diciamo che non soltanto il progredire perpetuo dell'ente hegeliano  cosa fitti- zia e suppositiva, ma che dee movei*si forzatamente alla cieca e fuor d' ogni fine. Per lo certo, il fine esige anzi tutto una mente e una razionale intenzione. Occorre perci che l' idea hegeliana mirando sopra tutto a conoscere se medesima e verso tal meta con- ducendo ogni suo diventare, occorre, io replico, che gi ella si pensi e conosca in alcuna guisa ; ed allora tutti quei ponti delle astratte categorie per attingere al* r ultimo r idea dell' idea o vogliam dire l' idea di se stessa perch se li fabbrica?  similmente, quegli altri ponti della materia, dell'organismo e del senso, perch ella travagliasi a costruirli e valicarli quando le torna impossibile di ci fare se non  concetto del termine e vale a dire se gi non conosce di essere identica con la materia l' organismo ed il senso ? Dunque o l'idea hegeliana opera a caso e alla cieca, ovvero insino dal primo passo  notizia di s e della propria medesimezza col tutto e va cercando la sua coscienza come colui che chiedeva affannato ad ognuno della poUedra che cavalcava. ITI.  A questa seconda dimostrazione assoluta . ed irrepugnabile che noi esibiamo del progresso per- 'ELL' UNIVERSO. 837 374.  AsMCurate alla civilt dei moderni le attri- buzioni deir essere libera, attiva, istruita, spontanea e morale, poco avremo a faticare per riconoscere in essa tutte le doti che piii volte toccammo dell'ottima co- munanza degli uomini. Che nel vero ne rimangono due sole da nominare e specificare e cio di eccellere nello stato e neir arte. Ora quale stato  migliore secondo le conclusioni ultime e pi sostanziose della scienza? Quello per appunto che meglio tutela ogni maniera di libert e lascia in tutte cose il pi aperto campo allo svolgimento ordinato della spontaneit umana. 375.  L' arte poi nelle sue fatture ed applicazioni meccaniche non pu far difetto laddove  un buon reggimento civile; dappoich le arti meccaniche sono r organo materiale continuo dello stato e il mezzo ne- cessario ed unico ond' egli adatta la natura al proprio bisogno e fornisce ogni sostentamento e ogni como- dezza ai privati ; senza le quali cose (e intendiamo la copia, la facilit, l' incremento e la perfezione di tutte) troppa gran parte della vita razionale e del progresso civile  impedita. D' altra parte la libert non vuole schiavi n servi adetti al lavoro, e la scienza dimostra patentemente che i tributi e le spoglie dei popoli con- quistati danno ricchezza fugace e corrompitrice. Forza  dunque trattare l' arte e affinarla con libere mani e nobile intendimento e cosi pratica il mondo moderno. Afobismo XII. 376.  Giunse, per fermo, a un gran segno la com- pagnia umana quando pot ordinarsi in guisa da non 838 LIBRO QUINTO. impedire in nulla il moto e l'operazione spontanea del proprio essere. Atteso che allora sembra lecito di affermare che non V uomo veramente ma dessa la na- tura si move ed opera nel consorzio civile e nei pri- vati cittadini. 377.  Ma puossi egli dire che la spontaneit umana scampa con certezza da tutti gli errori funesti al buoQ andamento del viver comune, e perci  ancora da que- sto verso rassicurata la miglioranza e la perfezione progressiva di nostra stirpe? 378.  Nel vero, il genere umano incapp per addie- tro in parecchi errori nocevolissimi al perfezionarsi ed al progredire e i quali parvero nascere spontaneamente neir intelletto e animo suo.  troppo credibile, per via d'esempio, che il politeismo greco pieno di miti cosi scandalosi come eleganti e inettissimo a confermare e purgare le dottrine morali nascesse di mano in mano dai sensi voluttuosi e dalle scorrette fantasie di quel popolo, appresso il quale non fu mai Casta sacerdotale e nemmanco gerarchia estesa e fortemente connessa e disciplinata. 379.  Vedesi anzi come le vecchie e informi teo- gonie che i Greci traevano forse da fonte Ariano o Samotracio vennero a passo per passo frantese nel loro concetto simbolico e fatte pi materiali via via e pi sensuali ; perch ogni tradizione volgare tenevasi buona, purch graziosa e poetica. Ed oggi  poi con- fermato da ogni banda che nei misteri eleusini e ne* gli altri celebrati sul suolo greco non ascondevasi al- cuna pellegrina e severa uQtizia di Dio e di verun altro dogma. 380.  Non potr, dunque, il genere umano errare di nuovo profondamente pur seguitando la propria spontaneit ? DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 839 Rispondesi che il popolo greco e similmente gli altri dell'antichit sebbene forniti di genio divino per molte imprese e molte invenzioni, pure furono giovani e non potettero dilatare la vista dell' intelletto a quello spazio e a quel tempo che in se contiene la storia intera di nostra progenie. Per contra,  dato alla scienza moderna il far paragone di cento nazioni in cento Provincie diverse apparite e fra congiunture dif- ferentissime di religione, stato, arte e costume. Dal che  nato che 1' uomo possiede ora tale consapevo- lezza e notizia del proprio essere e delle proprie ne- cessit ed istinti che mai la simile. 381.  E credere che la cognizione delle storie, comparate d' ogni tempo e d' ogni nazione non sia per- venuta ancora a cogliere e divisare con buon giudi- ci le tendenze vere, sostanziali ed impermutabili di nostra natura quanto, almeno, al viver comune e alle istituzioni fondamentali, non sembra opinione accetta- bile. Senza parlare della scorta che viene con noi sempre del senso comune e del senso morale al cui lume non si erra a far giudicio degli atti sociali e distinguere quelli che valgono a menarci oltre nella perfezione e quelli che ne distolgono. Il perch oggi gli errori del socialismo, sebbene adombrati da bei colori di carit e fraternit, non possono prevalere in niun modo alla scienza positiva ed alla esperienza lunga e consumatissima che l'uom possiede di s medesimo. 382.  Laonde pare da concludere che la spontaneit umana fortemente guarentita cosi rispetto al pensiero, alla scienza e all' ammaestramento come rispetto alle pratiche tutte quante del viver sociale, se non pu accertar s medesima dal traviare tal fiata in errori parziali e forse anche durevoli, debbo nondimeno aver fede che non potr minare in quelle stravolte opinioni 840 LIBRO QUINTO. COS generali quanto pertinaci onde i sentieri della natura sono affatto smarriti; e quando pure ci acca- desse in un popolo singolo, diventa impossibile che si ripeta il medesimo appo tutte le eulte naziofii in un medesimo corso di et. AroBiSBfo Xm. 383.  Pure il fondamento primo e incrollabile di tutti questi ordini del viver civile quali  procurato- descriverli ad uno per uno che  altro "finalmente se non la stessa natura? Nessun' arte umana varrebbe contro di lei, come ogni tentamento nostro per attiq- gere la perfezione tornerebbe indarno senza di lei. Se dunque ci  lecito di salire al segno di perfetta condi- zione civile; e per discorrere piii esatto, se abbiamo desiderio e forze per avvicinarlo di pi in pi, dee fermarsi anzi tutto che questo  proposito assiduo della natura e che il pieno essere nostro  a ci disposto con disegno maraviglioso. 384.  Del sicuro, qual bene porterebbero seco la libert e spontaneit, se noi non fossimo preordinati a trovare le istituzioni migliori del viver comune e non le avessimo' cominciate per saggezza distnto e come studio in ape di fare il mle molto tempo innanzi che la ragione e V esperimento non ce ne venissero additando il perch e quello che ad esse istituzioni conviene aggiungere e quello che torre? Basterebbe egli forse levar le spine e l' erbe nocive d' intorno al grano che spunta, qualora non fossevi dentro la virt formatrice? 385.  Quanto all' essere l' uomo costituito per la verit e non per 1' errore,  cosa evidente e non bi- sogna spendervi intorno parole. Ma bisogna invece DEL PROGRESSO NELL' UNIVERSO. 841 considerare cbe la fede che noi riponiamo negli incre^ menti della scienza procede dalla persuasione medesima ; essere, vale a dire, tutte le cose addirizzate e commi- surate al fine e il fine consistere nella partecipazione massima del bene assoluto. Ondech ogni progresso in qual sia ramo dello scibile crescer le forze umane per adattar la natura alle nostre occorrenze e cre- scer luce all'intelletto per confermarlo pi sempre nei dogmi del bene morale, nell' esercizio del giusto e neir adorazione del Santo. 386.  Certo  che quando il contrario accadesse e per le ampliazioni della scienza fosse dimostrata la va- nit della religione e l'inutile nostro aspettare i premj immortali e il corso perfettivo della vita razionale as- soluta, il genere umano affranto e deluso ricadrebbe a forza nei calcoli dell' egoismo e da ogni cosa do- manderebbe un frutto transitorio di senso voluttuoso e d' interesse individuale appagato. 387.  Di tal guisa la dimostrazione sperimentale del progredire incessante degli uomini, oltre al chiudersi nei limiti di nostra stirpe su questo nostro pianeta, non pu sollevarsi al certo presagio del progresso avvenire se non presumendo che gl'incrementi della scienza mai non disdiranno i principj di fratellanza moralit e reli- gione che il senso comune professa. Il che vuol signifi- care in sostanza l' uomo essere dalla natura fazionato al progresso civile. Ma tal presunzione  cotanto vera quanto difficile, e vorremmo quasi dire impossibile ad esser provata dal nudo fatto, e chiude anzi, al parer no- stro, un' argomentazione in circolo. Attesoch gran parte della interpretazione dei fatti noi l' attingiamo a quel supposto fondamentale; e dapoi per l'indole interpretata di essi fatti ci alziamo a provare la verit del supporto. 388.  Tornando in quel cambio alla severit delle- 842 LIBRO Ql/INTO. dimostrazioni razionali assolute scorge ognuno che il detto supposto proviene per dialettica necessit dal principio nostro formale che il progresso  legge del- l'universo, perch convertesi con la suprema cagione finale cosi a rispetto della infinita virt creativa, quanto a rispetto dei mondi creati. 389.  Per simile, noi pronunziammo, che la legge morale suprema  divina espressione del bene assoluto comunicato e quindi  sinonimo della gran legge del progresso. Conseguita che gli enti razionali e morali cui si fa precetto di fare il bene sul mondo, e per ci attenersi alle norme dell' etica universale assoluta, in- contrar debbono sulla via loro il perfezionamento progressivo dei singoli e di tutta la specie. Oltrech la legge suprema del bene ancora che possa parzial- mente e accidentalmente rimanersi frustrata, certo dee trionfare in ogni parte dell' universo, nel tempo e nella eternit, fra gli spriti puri e fra gli spiriti materiati dapoich questi eziandio conoscono la finalit e incominciano sulla terra la vita razionale assoluta. ^;^,,..T> Aforismo XIV. 390.  Ma d' altra parte, le cose tutte esaminate negli aforismi anteriori e forse troppo minutamente, si possono adunare e risolvere in questi cinque capi. Primo, che veruna nazione fu bastante a s mede- sima per alzarsi a qualche segno glorioso e durabile di civilt. Secondo, che ninna nazione antica o da s o con r aiuto d' elementi stranieri pervenne al possesso di tutte sei le forme sociali costitutive, che sono la scienza r attivit la libert l' arte lo stato e la moralit. E quando pure vi pervenne, che senza forse Roma antica DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 843 vi giunse al tempo dei Cesari, disconobbe i trovati e le discipline difficilissime onde quelle forme s' accordano insieme e onde Passetto loro scambievole tiene rispon- denza e misura col moto naturale e spontaneo del viver comune. Il perch, mentre in Roma, per via d'esempio, una fede nuova religiosa spuntava, rima- nevano della libert le sole apparenze. Terzo, negar non si possono le decadenze non pure apparenti ma sostanziali sopravvenute al progresso civile di molti popoli e durate assai lunghi secoli e la cessazione delle quali (dove ebbe luogo) fu per im- pulso ed ingerimento straniero. Quarto, le decadenze che menano alla profonda depravazion morale non anno riparazione veruna pos- sibile, salvo quella che dal di fuori pu sopraggiun- gere. Atteso che ogni tentato rimedio interiore si av- volge entro un circolo e chiede che il bene germogli dalle radici stesse del male. Quinto, la nostra civilt ristaurata e risorta per principj e forze esteriori  nondimeno progredita in- sino ad un termine che piglia sicurezza intera per r avvenire. 391.  Appresso tutto ci, la logica stringe la mente a concludere che il risultamento finale e durevole del progredire e perfezionarsi di parecchie nazioni non potendo essere giudicato l'opera di nessuna di esse in particolare ed in separato, debbe venire attribuito a certo organismo occulto di tutte, apprestato da lunga mano e condotto a passo per passo nelle con- dizioni presenti per disegno e lavoro maraviglioso della natura. Cotale stupendo disegno e lavoro abbiamo chia- mato r Unit organica del mondo delle nazioni. 844 LIBRO QUINTO. 392.  Si afferma nell' aforismo che niuna antica nazione pervenne a possedere con suflBciente maturit e con vicendevole accordo e misura le sei forme costi- tutive dell'ottima congregazione umana. Il che, seb- bene qui apparisce piuttosto asserito che dimostrato, non pu mover dubio nessuno in coloro a' quali lo studio della storia  famih'are ed abituale. Intanto non se ne fa al presente maggiore dimostrazione, do- vendo il subbietto medesimo venir toccato ad altra occasione. Afobismo XV. 393.  Neir embrione umano avvisano i fisiologi due pellcole tenuissime distinte Tuna dall'altra e producenti ciascuna da s la esplicazione propria ; per modo che in processo di tempo n' escono distinti del pari, sebbene contigui, due sistemi differentissimi il vascolare e il nervoso. Per simile, notano quei fisiologi che in sulle prime l'encefalo  distinto anzi separato in pi divisioni e ciascuna parte sembra crescere e contornarsi indipendente dall' altra ; poi s il cervello e s la midolla spinale e la filza di ganglj si toccano ed uniscono in un sol tutto. Non diversamente avviene dell' ossatura e pi in generale di tutti i legami ed' intrecci che avanti fanno nel feto certo separamento, quindi una complessione sola e un solo sistema con- nesso per ogni verso ed unificato. 394.  Con r artificio medesimo  proceduta la na- tura nel suo gran fatto dell'unit organica del mondo delle nazioni. Perocch aprendo le storie antiche noi vi scorgiamo da ogni banda popoli non consapevoli DEL PROOKESSO NELL'UNIVERSO. 845 r uno deir altro.  quando anche sappiano i nomi e gli usi de' loro vicini, ciascuno yvesi separato ; e se non separato affatto e per ogni cosa, i legami che strnge sono piuttosto di guerra e conquista che di unione morale e di fratellanza. 395.  Col tempo, ancora che i commerci crescano e r odio faccia luogo all' amicizia, rado  che le nazioni non proseguano a vivere a norma del proprio inte- resse. Eppure (mirabile a dirsi) coteste parti cosi dis- giunte di quel tutto insieme cui si d la denominazione di genere umano lavorano inconsapevoli ed organiz- zano a poco insieme la loro unit e il comune pro- gresso civile. Ma ci  proprio dell' uomo, ogni cosa cominciare per istinto e inscienza e (^empierla con no- tizia delle cagioni e unire V intelletto e l' animo alla divina mentalit. 396.  Intanto, dai principj assoluti che nella teo- rica del progresso venimmo sponendo si prova imme- diatamente non potere tale unit organatrice delle nazioni provenir mai da un incontro fortunato ed ac- cidentario di potenze sociali sparse e divise fra varie genti e da un'arte peregrina di civilt trasmessa d' uno in altro paese per opera dei tesmofori. 397.  Conciossiach non v'  nulla di pi essen- ziale al genere umano n di pi inerente alla sua vita razionale e morale quanto questa virt forma- tiva dell' ottimo consorzio civile comparsa imperfetta ed insufficiente nei singoli popoli e solo riuscita effi- cace e feconda nella loro totalit e in quella specie di persona morale di cui sono visceri e membri; tanto che, mentre ciascuno possiede la pienezza virtuale d' ogni grado di eccellenza, l'attuazione compiuta e durevole non pu emanare che dal concorso travaglioso e spesso ignoto ed arcano di tutti. 846 LIBRO QUINTO. 398.  N oggi medesimo le nazioni pi eulte si arbitrano di passarsi delP influsso vario e perenne di molte altre ed ognuna sgomenterebbesi della necessit di rimanere fornita delle sole prerogative . e dovizie proprie. 399.  Certo  poi che la essenza della virtii pro- gressiva riconosciuta non nelle parti ma nel lor tutto, come' si fa per appunto della essenza vitale, rende ra- gione agevolmente di se medesima e scioglie le anti- logie fra le quali pareva test intricata. Che se il pro- gresso civile mostrasi tardi nel mondo e a rispetto della durata egli non occupa maggiore spazio che un giorno entro V anno, d' altro lato chi esamina attenta- mente le storie antiche subito s' avvede che l' organiz- zazione complessiva del genere umano mai non ebbe tregua n interruzione e molto manco retrocessione; quando vi s'includa, com' ragionevole, la sequela degli apparecchi ed ogni cosa sia raffrontata ne' suoi rapporti col risultamento finale. 400.  Quindi negli scadimenti stessi dei popoli rav- visansi certe forme di civilt insufficienti e guaste che s' incrisalidano (a cos parlare) per di poi rinascere e rinnovellarsi sotto l'influsso e l'eccitazione dell'orga- namento comune di tutta la stirpe, la quale pro- paga nelle parti pi caduche 1' azione vigorosa di nuovi principj. E similmente se tal popolo e tale altro non pu per s in modo veruno uscire di corruttela riceve dal di fuori o meglio parlando dalla economia vitale del tutto uno spirito di moralit che a passo per passo lo ammenda e risuscita. 401.  Cos il principio progressivo di nostra pro- genie non  in lei (ripetiamo) per accidente, ma per profonda sostanza, n vi opera in modo qualitativo e a tempo, ma essenzialmente e sempre, ancora che gli ef- DEL PBOaRESSO NELL'UNIVERSO. 847 fetti si occultino ne possa riconoscersi in ogni caso qualunque la necessit insieme e la saggezza del- l' operato. CAPO SETTIMO. UNIT ORGANICA DEL MONDO DELLE NAZIONI. Afobismo I. 402.  Cos r esperienza medesima ci  ricondotti ai principj assoluti della nostra cosmologia. Concios- siach togliendo essi di mezzo, niuna conclusione teo- retica e necessaria poteva ritrarsi dal fatto, come nes- suna dottrinale certezza per l'avvenire. Vacillavano similmeirte i criterj sul valore della civilt e sopra le forme ch'ella riveste, sempre diverse e volubili. Da ultimo, levata la scorta dei principj, ogni modo era levato per conciliare le incongruenze di tutte le storie circa il progresso civile. 403.  Risultamento saldo e terminajj vo della ispe- zione dei fatti quanto della speculazione  stato che la vita del genere umano sopra la terra non pu non essere inizio ed avviamento alla vita razionale asso- luta. Quindi  pure visibile partecipazione alla gran legge del progresso; ed aver la natura predisposto ogni cosa infallantemente, sebbene anche fatalmente, perch il progresso vi si manifesti quanto  lecito alla doppia essenza dell' uomo corporea e spirituale e con questa economia mirabile che il progredire di tutta la stirpe aiuti ed accerti quello dei singoli popoli quanto il progredire di ciascuno di essi aiuta ed accerta il moto perfettivo dei singoli cittadini. 848 LIBRO QUINTO. 404.  Ma per intendere razionalmente quello che procede e consegue da tutto ci accade di ricordare parecchie cose di gi chiarite e ordinate.  prima la definizione latissima della vita che fu: spiegamento e peifezionamento dell'individuo in ordine al bene me- diante un acconcio organismo. Gi si conobbe che ap- plicata cotale definizione al genere pi alto e Togliam dire alla vita razionale purissima, ella ragguagliasi alla gran legge del progresso universale e incessabile ; dappoich T individuo il quale si spiega e perfeziona assolutamente vuol significare che non conosce inter- rompimento n termine a cotale suo atto.  posto che l'incremento vero sia quello rivolto al bene altres assoluto, il progredire dell' individuo viene a significa- re la partecipazione di lui operosa e incessabile del- l'infinito del bene. 405.  Si avvert del pari, qua di dietro, che la vita razionale domanda per s una specie superiore di or- gano molto diversa da quella che le fornisce la vivente materia ed anche tutte insieme le forze della natura fisica esterna. Imperocch tutte queste sorte di stru- menti e di mezzi anno a rispetto del bene assoluto certa virt occasionale e non altro. 406.  Per centra, si vide e conobbe eh' essa vita razionale, ancorach posta in relazione diretta col bene infinito, nuUameno  bisogno di organo conve- niente ossia d' un ordine acconcio e proporzionato di mezzi; avvegnach 1' Assoluto, il qual vuole nell' ente morale un supremo esercizio di attivit in quanto il bene  attivissima essenza, non pu eccitare egli stesso queir esercizio con atto speciale; attesoch l' atto crea- DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 849 tivo di lui  uno, eterno, immutato ed universale per ogni effetto reale e possibile, e quindi non si dispiega in verun atto particolare in particolar tempo ed og- getto. 407.  Concede, invece, l'operare alle cagioni seconde e porgesi, per maniera di dire, a termine e oggetto per- petuo delle congiunzioni loro, pi alte di mano in mano e penetrative. Ed anche supposto l' atto speciale del- l' assoluta efficienza, gi notammo che sarebbe s vee- mente da rivolgere ogni forza individuale in una sorta non definibile di stupore e senza moto ne coscienza di- stinta e vivace di s. Dacch la vivace e distinta consa- pevolezza  moto ed attivit nostra e non pu stare in- sieme con quello eccelso e repentino soprafFacimento. 408.  Dopo tali premesse, o, a dir meglio, ramme- morazioni, entreremo a speculare (cosa annunciata per addietro ma non eseguita) sulla forma V essenza e la fruttuosit dell' organo proprio della vita dello spirito, ronciossiach in quello  riposto l'ordine intero del mondo finale. N la unit organica del mondo delle nazioni pu essere altro che applicazione e partecipa- zione dell'organismo supremo avvisandola sopratutto nelle ultime sintesi e nel concetto esemplare a cui pro- cura continuamente di approssimarsi. Aforismo II. 409.  A qualunque organismo guardato nel suo rapporto diretto con l'ente che se ne giova non sono concedute che queste tre sorte di proporzione : od egli riesce inferiore a quell' ente o superiore od uguale.  facile riconoscere che 1' organo onde al presente fac- ciamo inchiesta non dee riuscire n inferiore all' ente morale n superiore. Conciossiach, quando gli sia Mahiaiii.  li. 54 850 LIBRO QUINTO. superiore, e vale a dire di pi estesa intelligenza e mo- ralit, come potrebbe assumere qualit ed ufficio di mero strumento passivo? E se per opposto gli sia infe- riore, come potr sovvenirlo ed abilitarlo all'intento sublime di partecipare in diretto modo al bene asso- luto? 410.  Rimane, adunque, la terza supposizione e cio che r organo pareggi di nobilt di natura V ente morale o finale che il domandiamo. Se non che, par- lando per addietro degli organi corporali cui demmo nome di anima vegetativa, fu concluso prontamente centra il supposto ; essendo che 1' uguaglianza elimina anzi tutto la suggezione assoluta, poi la utilit e la efficacia, non intervenendo alcuna mezzana potenza fra il principio spirituale ed il materiale. 411.  Ora torna il proposito di considerare con molta ponderazione se tali due impossibilit si avve- rano neir ordine della vita razionale purissima e il cui oggetto e il cui termine non  il bene relativo ma la infinitudine del bene. A. 412.  Qui pure volendosi procedere non per no- tizie empiriche ma per via scienziale, dobbiamo ritrarre ogni cosa dai principj per addietro determinati ed esenti da controversia. Noi, pertanto, ricorderemo che ogni qualunque ente finito, per ben provveduto che sia di molte e mirabili facolt ed attribuzioni, non  l'arbitrio di condurle con la energia propria a verun atto ed esplicamento ma sempre  fuori di s la causa efficiente e la causa finale, il principio e il termine del proprio operare. 413.  Ma, per contra, noi scorgemmo che l' un DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 851 finito pu essere all' altro promovitore di azioni e di mutazioni, come 1' un finito congiungendosi all' altro possono tutti insieme rimovere i limiti loro e moltipli- care il risultamento al quale anno volta la mira. 414.  Da ultimo avvisammo assai volte essere tuttoci conseguito con la cooperazione del simile, la partecipazione del diverso, la cospirazione dei mezzi e la strumentalit o vogliam dire il macchinismo e r organismo. In questo secondo fu ravvisato il supremo sforzo della finit per dilatare il proprio essere con variarlo insieme ed unificarlo e vedemmo l' organismo riuscire di tanto superiore alle macchine in quanto queste lo presuppongono e solo mediante lui pigliano vero ufficio ed utilit di strumenti esteriori ; senza che, r organo sa ognuno che s' immedesima s fattamente con la sostanza del finito da comparire una espan- sione e modificazione di lei stessa. 415.  Altra cosa poi sono le immense macchine della natura, eosi denominate da noi per similitudine e consistenti in quelle maravigliose concatenazioni e cospirazioni di mezzi onde ella perviene a certi fatti terminativi complessi ed efficacissimi all' ottenimento dei quali ciascuno dei singoli mezzi tornava scarso ed insufficiente. Onde per tal rispetto, la natura tutta- quanta  da venir domandata una serie e vicenda portentosa di macchine. Aforismo iti. 416.  Vogliamo s noti per prima cosa che nella vita animale inferiore 1' organo  natura privativa e non punto comunicabile ; e che sembrando una espan- sione di essere dell' ente al quale amministra e pale- sandosi in ogni atto per via del senso di cui nulla  pi y2 LIBRO QUINTO. subbiettivo, accresce e afforza per ogni parte l' egoismo di esso ente; il che nel mondo del puro spirito e della assoluta finalit non debbe succedere. Iraperoccb il mirabile di quell' ordine sta in ci espressamente ch'egli nel suo tutto insieme costituisce una specie di unit la pili larga e varia e la pi perfetta possibile, tanto che neir universo finito altra maggiore e migliore non se ne incontra. 417.  Il qual concetto di unit bene e conveniente- mente raccolto e delineato ci rivela da ultimo che V or- dine intero degli enti finali e partecipi dell'Assoluto compone un tale organismo in cui ciascun indivduo  mezzo ed  fine scambievolmente; stavvi come ob- bietto e come subbietto, confonde in se l' universale e il particolare, il bene privato e il bene comune, ap- pare centro e periferia e compone una s fatta persona morale che possiede pi vita, maggior connessione e maggiore unit di quello che ciascheduno individuo con s medesimo. N dice altramente la sentenza di Cicerone laddove egli scrisse: nihil est iwm uni tat simile tam par quam omncs inter nosmetipsos sumns. 418.  Veggasi ora come in questo organismo spi- rituale s avverano stupendamente tutte le sorte d'in- cremento alle quali possono pervenire le esistenze finite. Per fermo, la congiunzione e cooperazione del simile quivi  perfetta in quanto non accade per sola neces- sit meccanica e per una rassomighanza parziale, ma gli enti si accostano s per istinto socievole e s per ragione e moralit, e quanto pi sono progrediti nel- r intelletto delle cose e nel desiderio del bene pi si stringono insieme volonterosi e con libero affetto; e la congiunzione si fa con tutte le supreme e nobili parti dell' essere qual  la mente e Y animo, la virt e la simpatia, l' ammirazione e 1' onore ed altre se ve DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 85o ne a ; e poi che in ciascuno ente v'  certo intrinseco e certo estrinseco, il primo si dee stimare assai mag- giormente unito che il secondo. 419.  La partecipazione del diverso  pur quivi grandissima, perocch veramente ciascun individuo partecipa e fruisce di tutte le variet da natura di- stribuite fra essi e per lo manco di tutte quelle che anno indole comunicabile; e la intera congregazione opera con energia similmente varia e molteplice sul diverso delle cose onde  circondata. N potendo dove sono spiriti razionali mancare i divini influssi del vero del buono del giusto del bello e del santo, e questi emanando e piovendo diversamente negl'intel- letti e negli animi, cos ogni congregato partecipa ezian- dio alla intuizione diversa dell' Assoluto che nei sin- goli avviene. 420.  Quanto alla strumentalit separata e cui demmo appellazione peculiare di macchinismo, egli se ne vede una immagine molto perspicua nel nostro mon- do civile nel quale lo sforzo e V acume d' un popolo intero, ed anzi di parecchi insieme,  prodotto opere meccaniche tanto pellegrine e dotte quanto gigante- sche ed  pervenuto a invenzioni e trovati pi presto divini che umani. Attalch, se laddove regna puramente e liberamente la vita razionale assoluta esiste un mondo ambiente ed una natura da possedere e piegare al pro- ^tto comune, certo col il macchinismo (quando sia lecito serbargli tal nome) dee riuscire miracoloso. Afoiusxio IV. 421.  Infine, trascorrendo a paragonare cotesto organismo di tutto l'ordine degli enti morali con quello particolare de^pi perfetti animali sopra la 854 LIBRO QUINTO. terra, diviene manifesto che il primo guardato ne' gradi suoi superiori in luogo di perdere alcuna efficacia ed attribuzione a ragguaglio dell' altro, si avvantaggia, invece supremamente. Senza dire poi delle attribuzioni oltre numero eh' egli va conquistando e le quali ri- mangono ignote ed inaccessibili all' organismo animale del nostro mondo. 422.  Nel vero, all' organismo spirituale di cui di- scorriamo non manca la forma dell'unit sostanziale e del centro assoluto onde sono forniti i sistemi pi elaborati di monadi nel regno animale. Attesoch quante volte gli enti razionali si sottopongono all' autorit di uno di loro, quest' uno avvera fra essi l' unit sostan- ziale e centrale prenominata. Ma la unit superiore ed effettualmente divina che quivi s' incontra e l' altro organismo ignora,  quella dei pensieri e delle volont, la quale riesce tanto pi salda e compatta, a cos par- lare, e piglia carattere di assoluta in quanto si origina dalla unit delPobbietto infinito in cui si appuntano e in modo perfetto si unificano esse volont ed essi pensieri. 423.  Da ci poi emana quest' altra gran maravi- glia che nei gradi superiori l' azione organica dell' or- dine intero finale sembra un moto ed una espansione dell'essere individuo di ciascheduno. Perocch quivi l'azione organica segue realmente la deliberazione e il volere individuale; e perch questo  conformato alla mente ed all' animo di tutto V ordine, perci l'organismo opera siccome un riverberamento conti- nuo delle azioni immediate e spontanee dei componenti dell' ordine stesso. Non accade diversamente della luce riflessa fra molti specchi regolatamente disposti; che tu non sai bene se ella  data o ricevuta e dove ter- mina e onde si move. Ma intanto la luce  una e ere- DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 855 sce d'intensit e splendore, quanto crescono le sue onde ed i suoi rimbalzi. Afortsmo V. 424.  Di tal guisa nell'organizzazione che per som- mi capi abbiamo descritta degli individui alzati all& pura vita razionale si aduna il frutto compiuto del- l' ordine intero dell' universo ; perch il Possibile e il Convenevole, 1' Attivit e la Partecipazione vi si con- nettono in modo tanto perfetto, che la finit raggiunge e fruisce il colmo dell' essere del quale  capace. 425.  Quivi ciascun ente vive ognor meno in se solo e ognor pi nella vita comune, tuttoch cresca di libert e spontaneit e la vita comune rifletta conti- nuamente i pensamenti le volizioni e le calde affezioni di lui. 426.  Per la congiunzione spirituale con l' Assoluto l'ampliazione dell'essere non  pi termine e adem- piesi l'intendimento sovrano dell' ordine universale, che  doversi il bene infinito diffondere e partecipare in proporzione che cresce negli enti morali l'attivit e r ardore per conquistarlo. 427.  Neil' organismo anzidetto gli enti morali si eccitano mutuamente e si aiutano e con tale eccitazione ed aiuto ascendono con efficacia maggiore nell' intuito dell' infinito; e simile ascenso accresce a vicenda la virt eccitativa e il soccorrimento scambievole e cos pur sempre. Laonde dobbiamo ritrarre per conclusione finale che r organo peculiare e ben conformato della vita razionale assoluta  certa morale unit di tutti i par- tecipanti e certa caldezza operosit e perfezione d'amore che insieme li stringe. 856 LIBRO QUINTO. A. 428. -^  osservabile che nell'organismo corporeo V assolutamente passivo ed irrazionale stia intorno al- l' attivo ed al razionale se trattasi d' anima umana e vi sia di necessit la parte soletta e serva e l' altra che sforza ed impera; n queste divisioni possono mai disparir o scemare senza che l' organismo o si annulli 0 grandemente si alteri. Onde l'effetto suo proprio, come accennammo pi sopra, si  di comporre un egoi- smo ampliato e di carattere privativo e spesso anche ripulsivo, nel modo che possiamo conoscere in tutto il regno animale fornito di senso e sfornito di ragione. 429.  Ma neir ordine superiore della finalit l' or- ganizzazione  tale, che attivo e passivo non si distin- guono e il servire non  d' alcuno come V imperare  solo del divino Paracleto, e perci si converte nella necessit dell' amore e della ragione. Quindi il me si confonde sempre col noi e l' egoismo privativo pi non sussiste ; che  la maraviglia massima e il portento mag- giore di tutta quanta la creazione; attesoch l'egoismo nel fondo vuol significare la particolarit e lo sceve- ramento del finito in quanto finito.- 430.  Nell'antichit intera a ninno, ci sembra, lampeggi pi vivo il concetto dell'organismo spiri- tuale, come a Platone e pi tardi a Cicerone che forse lo attinse dagli stoici e da esso Platone. Il vero  che Tullio discorse con parole magnifiche della citt uni- versale di cui tutti siam cittadini e le cui leggi pro- vengono drittamente dalla ragione eterna e dal giure assoluto; e il suo detto citato qua dietro circa l'unit morale del genere umano,  certo una mirabile divi- nazione dell'organismo supremo. DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 857 : 431.  Platone poi lo descrisse, per nostro giudicio, assai stesamente nei libri della Repubblica; la quale non fu pensata come opera pratica ma come specula- zione intorno di ci che esser dovrebbe V organizza- zione sociale quando non intervenissero gli organi corporali ed il senso a rompere con le necessit loro e con r egoismo la eccelsa unit delle anime. E questo profondo significato .della Repubblica ci pare bastevole a serbarle riverenza fra gli studiosi e vendicarla dalle censure troppo facili e troppo vere del suo discepolo. AF0RIS31O VI. -432.  Noi crediamo che alla speculazione stretta- mente scientifica non sia conceduto di oltrepassare le generalit descritte poc' anzi intorno all' ordine univer- sale della suprema finalit. Imperocch questo solo ci  lecito di affermare dei mondi essenzialmente diversi ed ignoti, che qualora s' abbiano per oggetto finale il bene assoluto forza  che lo conoscano e per V attivit propria e l'organismo delineato da noi lo partecipino e godano. 433.  Ma certo debbono essere fuor di numero le disposizioni e i modi speciali con che 1' Assoluto con- giungesi agli enti morali e loro si comunica ; e quelle tutte specialit ne rimangono ignote. Che non sareb- bero differenti davvero quando ignote non rimanes- sero; e posto che differissero solo un poco, la crea- zione distenderebbesi unicamente nello indefinito del simile ; il che sappiamo non potere essere e non dovere. 434.  Scarsa, dunque, e astrattissima  la cogni- zione nostra dell' ordine morale e finale in tutto il di- verso e r inopinabile della creazione. E per soltanto di tal cognizione astratta -e monca ci  lecito di afier- mare ci che il Vico pronunziava con arditezza straor- 858 LIBRO QUINTO. dinaria, e vale a dire, che quando anche esistessero mondi infiniti essi debbono tutti esser fatti alla stessa nonna in quanto al corso ed alle vicende della storia ideale eterna, 435.  Noi pertanto non diremo con Hegel e la sua scuola, ci che non conosco non esiste; ma diremo invece: dell'universo immenso che non conosco le sole notizie esatte sono queste poche, e le piglio dai principj ontologici e dall' essenza morale della natura umana. 436.  Per uscendo dal troppo indeterminato ed universale e proseguendo per li particolari e per le spe- cialit non al tutto ignote, gi noi discoprimmo che sul nostro pianeta dee del sicuro avverarsi la legge del pro- gresso nei confini imposti dalla materia organata e tra gli ostacoli ntolti che v' incontra la vita dello spirito. 437.  Per la ragione medesima, quando anche il fatto noi palesasse, noi saremmo certi che organo prin- cipalissimo di quel progresso  il consorzio civile ordi- nato per ogni verso ad imitare al possibile l'organismo spirituale supremo poc' anzi meditato. 438.  Sul che non c'intratterremo pur molto; da- poich ognuno pu riconoscere da s medesimo che in una congregazione di genti bene e virtuosamente costi- tuita si avvera gran parte dell' ordine sopra descritto e una molto maggiore se ne andrebbe attuando qua- lora non fossero le perturbazioni che v' arreca ogni d r indolenza 1' egoismo e l' errore tre forzo disgregative che mai non sono estirpate dalle radici e onde rampol- lano vizj mancamenti ed esorbitanze d'ogni maniera. 439.  Ci non ostante,  facile di ravvisare che quanto di bello di acconcio di durevole e di magna- nimo fa un popolo, esce tutto dalla concordia per- fetta del suo pensare e del suo volere; da onde la frase vera comech spesso abusata : insorsero, combat- DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 859 terono, deliberarono come un sol uomo. La quale con- cordia (si disse qui sopra) compiendosi nella unit delle idee o nel sentimento uno del dover morale e politico o neir apprensione del bello, del buono e del santo infi- nito trova da ultimo quella unit vera e sostanzialis- sma dell'Assoluto che supera infinitamente qualunque unit e concentramento delle organizzazioni corporee. 440.  E come in ogni animale di superior costrut- tura la organizzazione dell' intero individuo vassi spe- cificando e diflferenziando in ciascuno viscere e mem- bro ; cos nel corpo sociale umano all' organamento comune di tutto il consorzio vannosi mescolando gli organamenti particolari delle istituzioni pi vitali e solenni quali sono la pretura l' esercito il sacerdozio e simigliane. Anzi laddove non  gerarchia n leggi scritte ne regole definite a ciascuno dell' operar suo l'organamento  ancor pi mirabile e abbondante- mente efficace, come, per via d' esempio, nella merca- tura e nell'ordine intero economico, entro il quale ogni cosa  governata oggid dalla mera libert e sponta- neit umana. 441.  Nemmanco  difficile a riconoscere nella buona e retta organizzazione civile il doppio genere di attinenze che dee racchiudere, 1' uno de' quali la lega al perfezionamento e progresso d' ogni individuo in quanto individuo; l' altro la lega all' ordine finale uni- verso e all'organismo superiore spirituale. A. J ^ 442.  Error grave, per mio sentire, commettono i socialisti gli utilitarj ed i positivi (tal nome dannosi alcuni filosofi in Francia) credendo che sia possibile studiare il consorzio umano e le leggi che lo gover- 860 LIBRO QUINTO. nauo e i fini ai quali tende, senza in nulla trapassare la sfera dei fatti sperimentali e negando di collegarli col mondo invisibile e coi fini eterni ed universali della moralit ed anzi di tutta la creazione. E gi notammo altrove che rimovendo dal nostro giudicio cotali atti- nenze niuno alto problema di qual sia scienza arte e disciplina rinviene la risoluzione sua ; e ostinandosi a volerla trovare cadesi nel paradosso e nella contraddi- zione. Il che non fu negato nemmanco dal gran mae- stro e capo degli ipercritici Emanuele Kant ; salvo che egli convertiva ogni rapporto con l' Assoluto in un bi- sogno illusorio di nostra mente di pervenire all' idea o voglia dirsi unificazione suprema di tutti i concetti. 443.  Ma lasciando ci stare, veggasi un bello esem- pio d'organizzazione civile con le convenevoli sue atti- nenze nello esercito d' un popolo libero e giusto. E per fermo, non sembra quello il pili del teoipo un gran complesso di' parti animiate da vita comune? e tratto in campo e vicino a far giornata e per pendente dai cenni del capitano, non direbbesi forse eh' egli si move da pi bande con tale desterit e prestezza e con tale regolarit ed unione come userebbe un immenso ani- male capace di rannicchiarsi e di stendersi e con mem- bra oltremodo flessibili? che se tale schiera o tale altra si spicca alquanto da tutto il corpo, ella vi torna similmente e vi si riattacca quasi fosse 1' Grillo del- l' Orlando Furioso? 444.  Ma queste sono troppo materiali compara- zioni. Ci che importa di notare si  che ogni soldato  mezzo ed  fine, e la disciplina e l'unit vi  serbata dal sentimento del dovere e dalla cospirazione degli animi ed ognuno  coscienza di quello che opera ed onorasi tanto dell'obbedire quanto del comandare. Cos ogni milite perfeziona s stesso e dirige le azioni non meno DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 861 a giovare e servire la patia che a compiere la legge suprema del bene e iniziare come pu il meglio quag- gi la vita razionale assoluta. 445. -T- E d' altro canto, nell' esercito sebbene  ilussione e rinnovazione continua di elementi,  pure certa vita perenne e quasi perpetua. Egli  sempre giovine tutto che attempatissimo, e mostrasi altero delle glorie anticamente acquistate sotto le sue ban- diere da veterani gi tutti morti e di cui restano ap- pena le tombe ed i nomi. N alcun rimorso o rincre- scimento perturba le gioie di queste sue ricordanze; perocch egli sa e conosce che ci si connette con r ordine morale universo e che sono lass apparec- chiati seggi immortali ai cittadini onesti che s' armano 0 pugnano a difesa della patria. AyoKisMo VII. 446.  Ma innanzi che le congregazioni umane o per lo manco parecchie fra esse pervenissero a tal per- fezione di organismo ed altre vi si accostassero, di- cemmo avere la divina mentalit preparato sparsa- mente in diversi popoli una virt organatrice comune a cui non erano per venir meno col tempo i risulta- nienti certi e durevoli. Oper essa latente come effi- cace, e nascondendo Tartc e il modo, si rivel negli effetti maggiormente maravigliosi quanto apparvero tardi e additarono ad ogni intelletto non cieco un di- segno preordinato le cui linee sembravano tutte spez- zate e non avere significazione. 447.  Di tal maniera quello che non pot in se- >arato veruna stirpe di uomini sebbene cresciuta oltre numero, lo pot collettivamente e il pi delle volte inscientemente il gran mondo delle nazioni. E fu a 862 LIBRO QUINTO. buona ragione. Perocch volle la divina mentalit che ogni gente si riconoscesse parte e membro costitutivo di una gran persona morale e per sentisse quanto  bisogno dell'amicizia e fratellanza comune e di quanto beneficio riraan debitrice alle vecchie nazioni e alle nuove. 448.  Per vero, la consapevolezza lenta e faticosa che piglia 1' uomo dell' organismo portentoso comune delle varie famiglie umane disseminate, a cos par- lare, nello spazio e nel tempo, giover non poco ad accelerare T amicizia e benevolenza scambievole di tutti i popoli e crescere per ogni dove il senso del r umanit e nel viver civile e nel giure internazio- nale imitare con una specie di religione il supremo organismo della vita razionale assoluta. 449.  Del sicuro, l'organizzazione del pi picciolo vermicciuolo fa inarcare a forza le ciglia e confessare una saggezza infinita volta a correggere la imperfe- zione ingenita e l' abituale impotenza della materia. Nulla meno, lo spettacolo ora patente della unit or- ganica del mondo delle nazioni sembrami testificare Iddio e la sua saggezza e bont ineffabile con tanto pi di efficacia, quanto organare il genere umano di- viso e disperso fu nova mente mettere ordine dentro il caos e da opposti elementi ritrarre la pi nobile e pura delle armonie, e quella intendiamo di cui disse un poeta :  Amore alma  del mondo, amore  cetra Che d'auree corde ed infinite e sante Leva eterna melode al primo amante.  Afortsmo VIIT. 450.  Per ci che nella storia civile splende lucen- tissima r orma di Dio e pi visibile forse ancora che DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 863 nella storia fisica, non  punto da maravigliare se i mistici si addarono prima dogli altri di questo inge- rimento ora occulto ed ora palese dell' un popolo nel- r altro e dell' organismo i)rofondo e comune che ne risulta. Certo, nella Citt di Dio di sant' Agostino  il primo concetto d' un avvicendamento ed intreccia- mento preordinato dei casi umani in tutti i quali vuoisi scorgere certo legame di unit e certa prepa- razione al fine che  di raccogliere in una sola fami- glia le diverse nazioni, e reggerle con una legge su- prema ed universale di giustizia e di amore. 451.  E nella guisa che in sul principio la na- tura  spiegata dagli uomini non per 1' azione delle cause seconde e per l' indole necessaria ed intrinseca delle forze fisiche ma con l' atto immediato e mira- coloso di I)io, tanto che Dio, giusta quella opinione, mo- della tutte le cose particolari e le trasmuta secondo sua volont. Del pari, pel mondo civile i mistici con sauto Agostino a maestro deducono gli avvenimenti a seconda che Dio li fa e li vuole e non dal procedimento causale delle facolt e potenze umane operanti giusta la forma intrinseca dell' intelletto e dell' animo. 452.  Quindi la scienza della storia, parlandosi con rigore, cominci quel giorno che dal Vico si dichia- rava essere il mondo delle nazioni fatto per intero dagli uomini e la notizia delle leggi dello spirito umano por- gere la sola bussola atta a condurre l' ingegno specu- lativo nel mar tempestoso delle vicende dei popoli. 453.  Perloch investigando noi al presente le ra- gioni vere ed efficaci onde vennesi costruendo 1' unit organica del mondo delle nazioni non dobbiamo cercarle altrove che in questi tre gran fattori del vivere umano sopra la terra, e cio la nostra natura comune e per- petua; la diversit delle schiatte e di loro indole, la 804 LIBRO QUINTO. diversit dei luoghi abitati; la quale, parte sforza e soggioga le volont umane, parte ne riceve V impero, e dall' uno e dall' altro esce modificata continuamente la guisa del viver privato e comune. A, ' ' ' '454.  V' una certa schiera di mistici e fra essi lo Schlegel in Germania e il Bonaldin Francia, i quali mantengono la civilt umana essere rampollata dalla tradizione divina che propagossi in ogni contrada e a tutti i popoli divenne comune. Aggiungono essere le corruttele del vecchio mondo state cagionate dalle alterazioni e dimenticanze di quella tradizione, mentre tutto il bene sostanziale quivi comparso d^si recare agli avanzi e ai ricordamenti di essa parola celeste. Onde poi concludono T uomo senza cotal tradizione sarebbe tuttora 0 selvaggio o barbaro ; e inemendabile riusci- rebbe la sua barbarie 0 la sua selvatichezza. 455.  Ora, a cotal dottrina porgendo fondamento e principio un supposto che le storie non ravvisano e non testimoniano ed anzi negano assai nettamente, non occorre di contraddirla con ragioni speculative e pro- priamente filosofiche. E per dare un saggio al lettore della ninna consistenza di quel supposto messo al ri- scontro dei fatti, baster citare una delle tradizioni maggiori e solenni che la scuola sopracitata afferma essere corsa fra tutti i popoli, sebbene poi le supei*sti- zioni e le favole l' abbiano .sconcia e travisata in pi modi. Affermano impertanto costoro, essere statai cre- denza comune del vecchio mondo l' aspettazione certa d' un divino riparatore, 456.  Vero  che in Persia i libri di Zoroastro parlavano senz' ambage d' una redenzione del genere DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 865 umano che Ormuz compirebbe nella consumazione dei secoli.  molto meno sicuro che tal credenza fiorisse nel popolo ebreo prima del suo ritorno da Babilonia. Ma se guardasi all' Indie, troviamo che Visn espri- mente il principio di conservazione e riparazione molte volte per addietro ripar e redense il mondo e altret- tante lo andr riparando con una sequela di vatari od incarnazioni. Il che poi si attiene al concetto della Trimurti braminica, nella quale sono tre potenze su- preme e infinite : l' una crea, V altra distrugge, la terza conserva o ristora, e ci diflferisce sostanzialmente dalla tradizione di cui discorriamo. 457.  Quanto alla Cina, allegano un mito il quale racconta della sposa di Foe che permase ver- gine e salv il mondo perduto vincendo e uccidendo il nero serpente. Non badano costoro che ivi si parla d'una salvazione non gi futura ma trapas- sata e che il serpente, al contrario di noi,  simbolo frequentissimo appresso i Cinesi d'ogni cosa piii ec- celsa e perfetta. Quello che significhi appresso gli Egizj e i Fenicj la morte e il risorgimento di Osiri e di Adone non v'  chi possa ignorare, e cio le rivo- luzioni del Sole e il suo ritornare nella pienezza della potenza fecondatrice. 458.  A rispetto dei Greci si fa gran caso della favola di Prometeo. Ma intanto Omero se ne pass con silenzio; il che basterebbe a provare o la poca vetust 0 la poca diffusione di quella favola; e il suo costrutto che nella trilogia di Eschilo diventa del sicuro pieno di maest e di recondite significazioni  nella forma pi antica molto diverso e meno adatto all' adombra- zione d' alcun mistero. Esiodo descrive Prometeo come un trovatore d' astuzie e di frodi, e narra che ingann Giove a un banchetto imbandendogli un bove intero MiMlARI.- II. 55 866 LIBRO QUINTO. spartito in due pietanze affatto simili al di fuori ma r una composta di carne l'altra di sole ossa. Poi segue a dire che invol il fuoco ma non quello celeste del Sole sibbene il terrestre che arde nelle nostre case e fucine. 459.  S'io volessi allegorizzare alla maniera del Vico, direi Prometeo significare un aristocrata ambi- zioso o bcMiefico che istruisce le moltitudini d' una Casta iuf( riore ed oppressa e fa lor sentire la divi- nit dell'anima nostra e la ugualit delle orgini. Onde la Casta regnante mette in catene questo (mi si lasci dire) Marino Faliero dei secoli eroici; e forse gli accadde di essere indi liberato da qualche pi po- tente 0 pili fortunato capo di popolo. Certo  che nei versi di Esiodo e in quelli pure di Eschilo, Prometo appartiene alla tribi dei Titani in lunga e infelice guerra coi Saturnidi e per da essi calunniata. 460.  Ad Eschilo piacque raffigurarvi l'immagine dei benefattori del genere umano pagati spesso d' in- gratitudine e forse anche la irrazionale prepotenza del Fato, divinit misteriosa ed inesorabile delle religioni antiche. E questo  l' ordine naturale dei pensamenti umani, che prima nelle et eroiche la fantasia smode- rata dei popoli intende ogni cosa sotto forme animate e sotto concetti materiali, poi la mente dei savj crede discoprirvi molta sapienza riposta. Cos il mondo fan- ciullo disse che la terra  legata al trono di Giove con una catena d'oro. E Platone spieg da poi che quella catena  simbolo della congiunzione spirituale degli enti creati col gran Demiurgo. 461.  Ma tornando alla tradizione del futuro libe- ratore del genere umano, Schelling fu tanto poco per- suaso di riffigurarlo in Prometeo, che cerc altre favole e altro personaggio allegorico, e fu Bacco o Dionisio ; e stillosst il cervello a provare che nella celebrazione DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 8G7 dei misteri sotto nome di lacchos era effettualmente rappresentato un Dionisio secondo il quale dovea tor- nare non so bene se dall' Indie o d' altra regione a redimere il mondo. I Tedeschi, troppo istruiti oggimai intorno al poco valore e alla volgare sapienza dei mi- steri antichi, sembrarono increduli a quella prepostera erudizione dello Schelling. 4G2.  In fine, chi non ricorda i famosi versi di Vir- gilio nell'egloga VI, Ultima Cumcei venitjam carminis etas con quel che segue? Ma quale importanza vi si pu annettere quando si sappia che i versi i quali furono spacciati sotto nome delle Sibille vengono ora generalmente riconosciuti apocrifi? E quando si av- verta che Virgilio alludeva a un oracolo strano uscito dal collegio dei sacerdoti etruschi nel tempo di Siila, nel quale oracolo pretendevano che fosse vaticinato come prossimo non la redenzione del mondo ma il ri- cominciare delle otto epoche solenni che al dire di essi Etruschi componevano l'anno grande e di cui la prima era quella di Saturno? Aforismo IX. / 463.  Hegel volendo ritrarre la scienza della storia dalla sua ontologia astrattissima ed anzi dalle formolo vuote e pi generali della sua logica, costru, per nostro giudicio, l'organismo sociale del genere umano me- diante una specie nuova ed inaspettata di misticismo. Conciossiach, a detta sua, i popoli sorgono ed appa- > riscono sulla scena del mondo ovvero ne discompaiono ed operano cos o cos unicamente perch all' Idea  necessit di trascorrere dall'una all'altra categoria dell'essere e della sostanza. 464.  Per tal guisa, mentre ai filosofi di maggior 868 LIBRO QUINTO. polso torna difficilissimo lo spiegare (poniamo caso) la istituzione  perseveranza delle Caste orientali, e sonosi travagliati a darne ragione con supposti di- versi e ingegnosi, Hegel contentasi di aflfermare con gran sicurezza che le vecchie Caste orientali signifi- cano quel primo grado e leggieri di differenza e con- trasto, il quale succede alla oscura e indeterminata sostanzialit della Idea a cui manca ogni notizia di s e della libert propria. Taluno obbietter forse che nelle Caste orientali non  da ravvisare un primo grado e leggieri di dif- ferenza apparente nella oscura medesimezza della so- stanza, ma s veramente la massima diversit e pi profonda che cader possa nel subbietto comune e a petto alla quale ogni altra divisione e disparit fra gli uomini  da giudicarsi minore. 465.  Ma lasciando ci stare e ricevendo dalle mani di Hegel la forma e l' indole degli istituti umani non quali escono dal profondo del nostro essere, ma quali domanda che sieno le trasmutazioni logiche del- l' Idea, occorrerebbe almeno che ogni cosa trovasse il suo debito avveramento nei fatti. Ma la storia pur troppo non vuole obbedire alle deduzioni dell' Hegel e lo smentisce crudelmente ad ogni proposito ; ancora che non sia malagevole ritrovare attinenze ed analo- gie tra un cumulo di avvenimenti d' ogni fatta da un canto e certe nozioni astratte e indefinite dall'altro che si confanno a qualunque oggetto. 466.  Secondo la mente di Hegel i caratteri del momento primitivo ed inconsapevole nella vita dello Spirito compariscono molto chiari e molto spiccati nella Cina, il cui popolo giudica egli superare tutti gli altri di vetust. Ma per isventura le scoperte ul- time degli etnografi, e il Lepsius segnatamente dimo- DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 8G0 stia che nnovi nell'Egitto monumenti certi, precisi ed autentici dei re della linea che Manetone computa essere la quarta di tutta la serie e vale a dire ante- riore di 3400 anni all'ra cristiana; laddove la sto- ria non favolosa della Cina, che pure  croniche ed annali si diligenti, comincia appena un 2900 anni pri- ma di Cristo; e quella dell'Indie solo 2204, 4G7.  La ontologia di Hegel esige a marcia forza che nella pi antica delle civilt succeda il massimo annichilamento dell'individuo a cui debbono per ci mancare diritti fermi e riconosciuti e sopra cui dee pesare continuo un' autorit senza limiti ; laonde la libert  di uno soltanto e il servaggio  di tutti. Per la sostanzialit stessa oscura e indeterminata della Idea che vuole mutarsi in Ispirito e cessare la confu- sione dell' oggetto e del subbietto, la moralit dee gia- cersi come sopita nelle coscienze e riesce, quasi a dire, materiale ed esterna, ne si distingue dalla legge ci- vile e poco assai dall'arbitrio di chi tiene l'impero. 468.  A fronte di ci la storia, che (ripetiamo) non conosce i movimenti dialettici della Idea hegeliana e non si studia di rispettarli, racconta invece che prima della presente vastissima monarchia, la Cina and spartita per molti secoli in regni numerosi combattenti in fra loro guerre lunghe e spietate; ai che s' aggiungeva una molto tenace e disordinata feudalit con minuti baroni ed inermi e con grossi ed armati che insorgevano qua e l contro il monarca loro capo non diversamente da ci che accadde nel medio evo appo noi. 469.  Ora, giusta i pensieri stessi di Hegel, la feudalit significa l'uno indeterminato che si frange e sminuzza ed  la trita individualit che distnguesi violentemente dalla sostanza. Le cose adunque proce- dettero in ordine affatto contrario a quello delle ca- 870 LIBRO QUINTO. tegorie. Prima si compiva la distinzione violenta del- l'individuo, poi la indeterminazione della sostanza. 470.  Aggiungi che eziandio nel vasto impero ci- nese succeduto alla feudalit l'individuo scomparve assai meno che in qualunque altra terra orientale. Avvenga che quell'impero si regge da lunghi secoli pel governo de' mandarini o dotti che si possin cliiamare, dai quali  composta una gerarchia fitta ed estesa creata per sola virt di candidature e di esami. Onde il prin- cipio che lo informa si  che il solo pregio individuale pervenga dagli infimi gradi ai supremi ; il che an- nuncia l' opposto dall'annichilazione predicata dall'He- gel. N la somma pedanteria si degli studj e s degli esami n l'arbitrio e la tirannide che vizi spesso in Cina le istituzioni provano, al parer nostro, che il principio elettivo e il merito personale non vi sieno in massima professati e riconosciuti ab antico. 471.  Altra smentita formidabile d la storia ci- nese all' Hegel rispetto alla moralit ; conciossiach parve in quella contrada due secoli avanti Zenone e cinque avanti Epiteto la dottrina di Confucio fondata onninamente sul bene morale assoluto rivelantesi alla coscienza dell' uomo e separata da ogni riguardo al- l'utilit. N rimase quella dottrina un pensamento privato d' alquanti filosofi come tocc a Zenone e a tutti i gran moralisti greci e latini, ma si divenne scienza volgare comune e fondamento fermo ed uni- versale di educazione pubblica. 472.  Bastino questi cenni a mostrare quanto sia vana speculazione il dedurre le leggi storiche dalle prette generalit e astrattezze dell'ontologia e della logica. Dentro le quali astrattezze dimorano al pi le cagioni remote ed universali, ma le prossime ed effi- cienti debbono essere indagate nel fondo dell' essere DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 871 umano poi nella diversit delle schiatte e per ultimo nella diversit della circostante natura. Che se a forza vuoi nel cinese (per ritornare all'addotto esempio) rap- presentare la identit oscura e indistinta della so- stanza, mostra per lo manco in che guisa l'indole di quel popolo e i luoghi da lui abitati menar lo dovet- tero a quella disposizione speciale di sentimenti, di istituzioni e di atti. E se ci intralasci, tu caschi, ri- peto, in una specie singolare di misticismo ; imperoc- ch nella storia il misticismo consiste appunto a ren- der ragione dei fatti umani non por umane cagioni ed intrinseche ma per estrinseche ad essi. 473.  Nullameno, nel libro di Hegel , per mio sentire, da riconoscere un pregio notabilissimo, e cio a dire ch'egli il primo  ravvisato assai nettamente la scienza della storia consistere in principal modo a scoprire e delineare l'unit organica del mondo delle nazioni. Aforismo X. // 474.  V  pure stata una generazione di filosofi ai quali venne creduto che i sommi fattori delle mas- sime rivoluzioni dei popoli fossero per addietro e sieno per essere nell'avvenire non le facolt umane e gli atti che ne derivano ma le forze invisibili della na- tura e certe loro influenze, tanto certe ed efficaci quanto misteriose. Anzi alcuno tra essi prenunzia una prossima palingenesi non pure del mondo civile ma del corporeo ed organico. 475.  Fra gl'Italiani furono di tale schiera il Zorzi, il Pomponaccio il Vanini ed in parte il Campanella. In Germania il Fould e il Boeme, in Francia il Martin e recentemente il Fourier. 476. - Sa ognuno che la scienza positiva dei geome- 872 LIBRO QUINTO. tri e dei fisici men al niente la teorica durata per tanti secoli delle influenze celesti. Quanto alle palingenesi sostanziali della natura corporale ed organica, fa bi- sogno anzi tutto distinguere le trasmutazioni interor dalle esteriori. Che rispetto alle prime, cadono quegli autori in grave errore di credere che i subbietti so- stanziali non permangono immutati. Ma per li cambia- menti causati da forze che sopraggiungono dal di fuori non si nega che pu il nostro pianeta, ed anzi tuttoquanto il sistema solare di cui siamo parte, soggiacere a im- pulsioni ed influssi nuovi; e, come notammo nel terzo Libro, la fuga sua incessante verso altro sistema di astri forse maggiori e pi poderosi annunzia per av- ventura un simile eflFetto. 477.  Ma stante che esso adempiesi in lunghezza di tempo che  fuor di numero calcolabile e i risulta- menti non riescono prevedibili da nessun lato; perci se le palingenesi corporali ed organiche non sono da dirsi per cotal via impossibili, nuUameno dobbiamo solo considerarle come destinate a segnare nelF indefi- nito del tempo alcune apocalissi supreme e il ritorno di epoche generative differentissime dalle anteriori ; tanto che se produrranno creature razionali migliori deir uomo, questi non ne sar testimonio ; dacch avr del sicuro cessato di esistere. f 478.  Per la scienza umana, quando si stanca di errare fra generalit troppo astratte ovvero tra supposti molto speciali ma poco accettabili, debbe pi sicura- mente spaziarsi nello intervallo e fondarsi sulla identit e permanenza di certe leggi conosciute della natura. Onde qui ritoma convenientemente il concetto che la scienza della storia non rampolla da verun^ altra radice salvo che dalla investigazione profonda delle facolt umane e de' loro atti. Considerato che solo esse le fa- DEL PROGRESSO KELL' UNIVERSO. 873 colta umane operando per le proprie necessit fanno il mondo delle nazioni e ne costituiscono passo per passo Punita organica e il gran moto perfettivo e continuo. 479.  Egli  poi manifesto che nominandosi nel caso nostro le facolt umane si debbe intendere che il discorso indaga lo spiegamento l'esercizio e l'ap- plicazione di quelle in modo conforme altres ai luoghi, alle schiatte e ai particolari diversi della circostante natura. Conciossiach parte dell'uomo  l'ambiente in cui vive e da cui gli provengono tutte le cagioni e gl'impulsi esterni dell'operare. 480.  Ne in tutto ci  possibile alla filosofia dedut- tiva di scansare superbamente 'gli aiuti dell'esperienza e i frutti dell'induzione. Allato ai quali, nondimeno, proceder fecondo e sicuro il ragionamento apodittico illustrando i fatti e i fenomeni ; e lo attingeremo sempre alle fonti della nostra ontologia e cosmologia, mirando sopra ogni cosa ai principj nei quali s' imperna e si stende l'ordine della finalit e il necessario spiega- mento e perfezionamento della vita razionale. 481.  Per la causa medesima onde abbiamo negato all'ingegno speculativo ogni potest di dedurre a priori le condizioni peculiarissime delle differenti abitazioni dell'uomo, ci  forza negare altres di poter dedurre raziocinando le schiatte diverse di nostra progenie e l'indole singolare e profonda di ciascheduna. Salvoch, osservando com'elle s'acconciano pi che bene ai luoghi e climi a loro sortiti, potrebbe dirsi per avventura che il sol postulato non deducibile nella storia delle nazioni ristringesi al clima e al figuramento dei luoghi. Ma tuttoci toma vero per le somme generalit e non pi 874 LIBRO QUINTO. oltre. E certo, avremo penetrato assai poco nella ra- gione e concatenazione dei fatti umani quando pro- nunzieremo che sotto la sferza della canicola e verso i ghiacci polari debbono vivere complessioni fisiche nolto differenti; ed anclie indovineremo indigrosso parte y dei loro costumi e delle abitudini loro. cIa^^\ p fifjN 432.  Avanzando ed assottigliandosi gli studj etno- grafici venne a tutti conosciuto che le stirpi umane peregrinarono da un capo all' altro del mondo e perci mutarono sostanzialmente e pi d' una fiata le condi- zioni dell' aria e del suolo e il tutto insieme delle cir- costanze locali. E d' altra parte  forza di confessare eh' esse circostanze determinarono il pi delle volte ogni forma particolare degli avvenimenti d' un popolo. Con queste considerazioni si possono, mi sembra, segnare nella filosofia della storia i giusti confini della dedu- zione scientifica rigorosa. \^ 483.  Ma noi non vogliamo a tale occasione pas-  casse di tale capacit fermerebbe il moto di tutti gli altri, appunto come si scorge negli orinoli che 1' al- terazione ed immobilit d'una sola ruota fa quieti e inattivi tutti gli altri ordigni. Ci veduto, e ripiegando da capo l' occhio mentale sul nostro essere noi vi vediamo non poca n leggiera eterogeneit e c'imbattiamo in un elemento che sempre  il medesimo e non possiede capacit di indefinita mu- tazione ed ampliazione e questo  il nostro corpo or- ganato. Nel fatto, se rimiriamo in particolare alla mente e allo spirito veggiamo che i secoli v'nno re- cato tale differenza di pensieri e di sentimenti eh'  necessario di argomentare la identit del subbietto pel testimonio intimo ed altre -ragioni assolute e non mai per la simiglianza e continuazione degli atti. Sul che baster figurarci i pensieri e le cognizioni d' un pastorello (poniamo caso) della vecchia Arcadia o del- l'Idumea ragguagliati a quelli che volgevano in mente Galileo ed Isacco Newton ; e di' il medesimo a rispetto dei sentimenti, paragonando le passioni e i propositi d' un troglodita con l' animo, per via d' esempio, di Bonaparte e di Washington. 676.  Air incontro il corpo di cotesto persone s dispaiate varia dall'una all'altra per soli accidenti, e il tempo e la civilt non vi possono nulla. Preten- dono bene alcuni fisiologi che l' encefalo sia propor- zionalmente cresciuto di mole e il cervello in ispecie, e che forse proseguir a crescere in virt del mag- giore eserczio. Tutta volta, nessuno si dubiti che tale aumento non rimanga entro certi confini; che altra- mente ne nascerebbe perturbazione profonda nella economia nostra vitale e da ultimo la estinzione di tutta la specie ; non vi essendo cosa pi certa e patente in fisiologia quanto che al vivere sano bisogna l'equili- 944 LIBRO QUINTO. brio del sistema nervoso col sistema muscolare; e pi in generale, bisogna la rispondenza ammodata e am- misurata d' ogni membro e d' ogni viscere. G77.  Adunque, fra gli elementi costitutivi dell'es- sere umano sopra la terra avvi una ruota (per ripi- gliare r esempio allegato) che non segue il moto delle altre n pu seguire. Del che riman di vedere le con- seguenze. A. 678.  Non sembra quasi credibile che gli scrittori . di queste materie intralascino di esaminare la diffi- / colta innanzi alla quale si ferma al presente e s' in- / dugia la nostra teorica. Ma cos  veramente, e citer in prova due autori solenni, un francese e un tedesco. De' quattro volumi di speculativa filosofia che il La- mennais dettava negli ultimi anni, tre versano per in- tero nella trattazione della teorica del progresso. Ma tu non vi trovi parola dell' antinomia che sorge tra la immobilit dell' organismo nostro corporeo e la dila- tazione di essere indefinita e perpetua delle potenze spirituali; e nel silenzio medesimo egli si mantiene rispetto ad altri limiti certi e non valicabili di cui ter- remo discorso tra breve. 679.  N meno silenzioso intomo al proposito  Giorgio Hegel nella sua scienza della storia. E mentre egli incardina la sua intera filosofia nel continuo di- ventare del tutto, dimentica di porre mente alle con- seguenze di questa immutabilit sostanziale della or- ganizzazione umana sopra la terra. Ma forse all' Hegel non bisognano ampliazioni nell'essere umano; da- poich i problemi dello Spirito che sono gli ultimi diveniri dell'idea assoluta mi sembrano oggimai di- sgroppati nel suo sistema e pervenuti al lor termine; DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 945 cotesta, almeno,  la significazione che esce dai lunghi trattati di lui sulla religione sul diritto sulla estetica e sulla storia. Onde il progresso indefinito del lontano avvenire non so bene dove si nasconde, e quello che far ridea per consumar tempo e non si tediare ; quando pure non si adattasse a ripetere s medesima od anche a tornare indietro e salir da capo alla nozione dell' es- sere indeterminato. Che veramente V un moto non  pili necessario dell'altro e sono tutti egualmente pos- sibili ed impossibili. Il fatto sta che un diventare inces- sante ed interminabile incontra paradossi enormi e non risolubili. Perch ci che diventa dee dissomigliare in parte da quello che era. Ma continuando neir in- finito, la dissomiglianza si fa enorme, e la somiglianza, o dir si voglia l'identico permanente,  quasi nulla al paragone. 680.  Onde non  pi l' Idea che muta e diventa, ma un'altra cosa e quindi un'altra e cos prosegui. N giover l'asserire intrepidamente che ogni muta- zione nel suo fondo  certa medesimezza ideale ovvero che sono aspetti forme e rivoluzioni dell'Idea. Consi- derato che le mutazioni e i diveniri o sono mere ap- parenze 0 sono realit; in questo secondo supposto regge interissima e irrefragabile la obbiezione; nel- r altro supposto gli svolgimenti progressivi della Logica della Natura e dello Spirito sono fantasmi variamente larvati per riempiere un sogno perpetuo di non so quale divinit. 681.  Oltredich, il diventare senza mai termine di- stendesi in un futuro arcano ed inopinabile, perch il nuovo quanto pi cresce tanto s fa pi discosto dal noto e pensato. Ma d' altro canto, gli Hegeliani negano la esistenza di tutto ci di cui non ritrovano la nozione. Dunque il progresso non pu andare pi l della Mahiari.  II. M *)46 LIBRO QUINTO. scienza assoluta che gli Hegeliani beatamente possie- dono, e r Idea torner forse nel nulla come l'ente dei Buddisti, e per tal maniera si trarr dair impaccio dell'essersi chiuse tutte le porte del progresso avvenire. Noi trattammo di sopra la difficolt del conciliare la innovazione e la permanenza e medesimezza dell'ente, e la risolvemmo, se il lettore ben si ricorda, col ristrin- gere la innovazione al quantitativo ed escludere il qualitativo. B. ()82.  Si pronunziava da noi senza ninna incer- tezza che il maggiore effetto del progresso futuro dei popoli esser debbe un' ampliazione maravigliosa della vita razionale e quasi un emanciparsi al tutto dalla tirannide del nostro organismo corporeo. Il che non solamente non dovr menomare la vita operosa del- l' uomo, ma si accrescerla di mano in mano e conver- tendo in motivi ed impulsi affatto spirituali e d'animo ([uelli che oggi provengono in troppa gran parte dalla sensibilit e dall' organismo. 683.  Giova, nondimeno, avvertire qualmente ci sia difficile e quasich impossibile l' immaginare la forma di tale energia profonda e operosa e tuttavolta promossa mai sempre da cagioni spirituali e non bi- sognevole delle occasioni e provocazioni dell'organismo. Per fermo, se noi contempliamo i gesti e i pensieri^ poniamo caso, di Marco Aurelio subito vi scorgiamo un' attivit incessante e vigorosissima eccitata e rin- novata ogni sempre da cagioni pure e sublimi di ra- gione e moralit. Nondimeno  da ricordare che le miserie e i vizj del mondo e gl'infortunj crescenti e la crescente corruttela del popol romano davano a DEL PROGRESSO XELL' UNIVERSO. 947 quel giusto occasioni continue e motivi indiretti ma pur gagliardi e sensibili di tenere svegliata e operosa la forza dell' animo. La legge di polarit esercitavasi dentro e fuori di lui con rara potenza e frequenza e il contrasto nasceva da un doppio ordine di elementi, r uno interiore dell' anima sua, V altro esteriore di malvagi e furiosi che la oppugnavano. 684.  Ma nell'epoca lontanissima e progressiva del genere umano della quale disegnammo pi sopra alcune fattezze non intendiamo in quale maniera si esercite- rebbe con gran vigore la legge di polarit e ne scop- pierebbero, a cosi parlare, atti diversi e continui di sem- pre maggiore ed energica operosit. Nel vero, ne' tempi di cui discorriamo le guerre sono cessate e le rivolture violente politiche sono una storia divenuta antichis- sima. Nel generale regnano fra gli uomini la giustizia la concordia e V amichevole intrinsechezza. Tutto ci che tiene del contenzioso dell' ostile e 'dell' ingiurioso sparisce; i bisogni materiali trovano competente sod- disfazione, e il vivere si fa tranquillo ed agevole quanto virtuoso e dalla saggezza governato. 685.  Ora in mondo cotale l' uomo non si stempra non si sgagliarda e non si ammollisce? Ma dov'  la cote delle ire soldatesche, degli affetti traditi, della ma- lizia e perfidia umana per riforbire la nostra costanza e fortezza e promovere la gagliardia estrema dell' ani- mo? Eppure quello stato di pace profonda e di uni- versale giustizia e benevolenza ci  comandato ogni giorno dal senso morale e dai giudicj della ragione. 686.  Concludiamo che debbono fra cotesti estremi intervenire alte cagioni spirituali la cui eificienza e il cui operato non ci  lecito d'indovinare. E insomma da questo lato la finit e immobilit del nostro orga- nismo non sembra far divieto assoluto al cercare e 948 LIBRO QUINTO. trovare il fine in infinito; s ci obbliga a pensare un principio ignoto ed inconoscibile di perfettiva inno- vazione. Afobismo ih. 687.  Dicemmo pur dianzi la tradizione dello sci- bile fondarsi sulla ritentiva, perch scrisse il poeta:  non fa scienza, Sanza lo ritenere avere inteso.  688.  Lasciamo stare che la memoria  soggetta piii che altra facolt spirituale a mille accidenti ed  la prima che soffre del peso degli anni. Tali accidenze dileguansi nel generale degli uomini, perocch mentre qualcuno n'  percosso, molti ne vanno immuni. Ma cre- scendo, come fa, lo scibile, e massime lo sperimentale, in maniera smisurata e rimanendo la potenza memorativa e percettiva in certi confini non valicabili, a che spe- diente avremo ricorso ? e per che guisa manterremo la proporzione tra il contenente ed il contenuto ? 689.  Vero , per detto di Leibnizio, che quanto pi r intelletto profondasi in una scienza, tanto si stringe il novero dei principj che di quella affermiamo e tanto  maggiore il cumulo di cognizioni che in essi principj s' inchiude. Ma tale sentenza  valor relativo e non assoluto. I principj non ci esentano dallo aver notizia dei particolari. E per atto di esempio, nell' astronomia di quanto i principj sono divenuti piii pochi e piii sem- plici da Nev^ton in poi ? Nullameno la notizia dei parti- colari degni d' attenzione e necessarj a sapersi  ormai sterminata e non  possibile paragone con quella pos- seduta da Tolomeo e da Ipparco. 690.  Quindi nessuno confidasi oggi di conoscere DEL PROGRESSO NELL' UNIVERSO. 949 coinpiutamente l' astronomia in ciascuna sua materia. Ma r uno s' appiglia all' osservazione, 1' altro al cal- colo. Questi consuma gli anni a compiere il catalogo delle fisse, quegli delle stelle doppie, un terzo s'addice allo studio delle nebulose e un quarto a migliorare le lenti e altri ordigni da specula. 691.  Ma ci che incontra agli studiosi d'astro- nomia ripetesi in egual modo e forse di vantaggio in qualunque altro subbietto di scienza; e le menti che un giorno bastavano al tutto d'una disciplina, oggi non bastano nettampoco ad una sua parte ; e varcato qual- che secolo, quella parte medesima si spezzer in altre ed altre e ciascuna diverr una scienza vastissima. 692.  Avvi dunque una sorta d' antagonismo non dissipabile fra la cognizione profonda degli universali e la cognizione esatta e compiuta d'ogni particolare. E se r antagonismo cresce col tempo in ciascuna dot- trina speciale, cresce viemaggiormente fra esse dottrine speciali e la sintesi terminativa di tutto lo scibile. 693.  Quindi in genere tutte le sintesi vaste e le vaste unificazioni diverranno di pi in pi impraticabili e ninno ingegno vi riuscir sufficiente e quindi il sa- pere diverr sdruscito e spezzato e cadr nell' empiri- smo ogni giorno di vantaggio ; ovvero le sintesi generali farannosi troppo astratte e indeterminate senza forte e visibil legame coi fatti particolari ; saranno un con- tenente quasich vuoto e sempre meno applicativo. 694.  So bene che gli uomini s'aiutano gi, e s'aiu- teranno pi ancora nell' avvenire, coi lessici i ma- nuali i compendj gli abbozzi d' enciclopedie e simile. Del pari s'aiutano e aiuterannosi maggiormente con lo spezzare gli studj e ciascuno dedicarsi a qualche por- zionucula dello scibile. Ma che perci? Cotesto frazioni non corrono da s medesime ad unirsi dentro la mente 950 LIBRO QUINTO. e neminanco ti puoi giovare d' alcuno portentoso in- telletto che il faccia per te; avvegnadioch bisogna assimilare la scienza che ti si porge, n tu V assimili se non l'intendi a dovere e se non ne conosci i partico- lari e non discerni la lor connessione coi generali e questi non vedi giacersi virtualmente ed unificati den- tro i principj. 695.  Qualora, adunque, non sia trovata V arte di crescere la comprensiva e la ritentiva quanto cresce fuor modo la materia apprensibile e memorabile, certo il sapere umano s' imbatter in limiti di l dai quali in nessun modo non potr ire. Ma tale arte vorrebbe significare da ultimo crescere di mano in mano le po- tenze intellettuali, e cio a dire rifar V anima e modi- ficarne l'essenza; e perch' ella  chiusa negli organi e Tatto delle sue facolt si connette a quelli talvolta strettissimamente che  il caso del percepire e del ricordare, bisogner trovar V arte eziandio di recare mutazione notabile e pi sempre maggiore al nostro organismo. Tutte cose per nostro giudicio impossibili e sopraposfe, direbbe il poeta, al segno dei mortali. 696.  Si prov largamente ne'Libri anteriori quanto sia vana opinione quella dei vecchi enciclopedisti di chiudere all' ultimo tutto lo scibile dentro un solo prin- cipio, conosciuto il quale non fosse ogni rimanente che applicazione perpetua di esso. Coloro volevano trasmu- tare tutte le cose in una sola forma di essere, mentre sono infinite ; e il diverso nella creazione moltiplica ne pi n meno del simile. Ed anche laddove regna la simiglianza e la identit comincia la infinitudine delle variet e delle relazioni sul che testimoniano le ma- DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 951 tematiche pure, le quaU nessuno scienziato oggid ose- rebbe dire di conoscere tutte ed anzi confesser Tolen- tieri di conoscerne qualche parte appena. Aforismo IV. 697.  V  un altro segno che V uomo non pu tra- scendere, e sono i termini della terra la quale gi co- mincia a parere molto meno vasta che gli antichi non giudicavano. Per uscirne, converrebbe non vivere di aria e bisognerebbero organi differenti affatto da ogni complessione e forma di animali a noi noti. Laonde n pur basterebbero le metamorfosi immaginate dai Darvinisti. Avvenga principalmente che la ossigena- /ione  necessaria pure alle infime specie. 698.  Infrattanto le popolazioni moltiplicano; o sembra certo che in Russia ogni 43 anni e in America ogni 25 si raddoppiano. Verissima  pure, nel gene- rale, la legge osservata e commentata dal Malthus, che le generazioni umane crescono pi copiose ed in minor tempo dei mezzi di sussistenza ; e pii esatta- mente, che questi moltiplicano in sola ragione aritme- tica, quelle in ragion geometrica. E certo  che il terreno vegetale adunato per avventura da migliaia di iteceli consumasi rapidamente ; e a noi tocca di sup- plirlo con dura fatica. 699.  Ma d'altro canto, l'arte e l'industria umana diventano miracolose. Quindi la nostra specie trarr, per maniera di dire^ il pane dalle pietre e abi- ter climi reputati ora inospiti affatto. Alzer case* sui laghi sulle riviere e sui mari, e additerannosi un giorno assai pi citt e metropoli che borghi e cata- pecchie al presente. 700.  Con tutto ci, Fonda delle generazioni n 952 LIBRO QUINTO. si ferma n torna indietro, ed ogni letto che le si ac* eia torna da ultimo non recipiente abbastanza. 701.  Tre soli rmedj supremi trova possibili il pensiere contro tal crescente marea. Sterilire .le fem- mine ; sconciare i parti ; dannare gran porzione del genere umano a perpetuo celibato. 702.  Una sola obbiezione insorge a combattere tutti tre i partiti. Una sola, noi replichiamo, ma niuDO , la sgruppa e discioglie, perch assoluta. Vogliamo dire che il senso morale a tutti comune e i precetti positivi  ond' esso  norma perpetua rifiutano di approvare al- cuno di quei partiti; e riesce contradittorio il supporre che la stirpe umana prosegua a perfezionarsi col delu- dere un gran documento etico nel mentre che ogni progresso ed ogni perfezionamento fondasi invece nella osservanza maggiore e pi rigorosa dell' ordine morale supremo. 703.  Deesi perci concludere ripetendo fermamente il principio annunciato di sopra, e cio che in una serie connessa di termini e addirizzata al fine di ainpliare incessabilmente l'essere in cui s'aduna la serie,  stretta necessit^ che l' ampliazione divenga fattibile sempre in ciascuno dei termini ; la qual cosa nel nostro subbietto scorgiamo non potersi avverare. Afobismo V. 704.  Ma d' altro lato, la legge del progredire co- stituendo l'essenza stessa dell'organismo delle nazioni, queste, non avendo pi campo al migliorare e perfe- zionarsi, debbono cessare di esistere sul nostro pianeta. Quindi la specie nostra vi sar vissuta progressiva sempre ma non immortale. E diciamo progressiva mai sempre con questa considerazione, che ogni tempo ante- DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 953 riorefu consumato nella preparazione occulta ma certa e continua dell'organismo sociale; e a quello scopo conversero per indiretto le decadenze medesime e i deviamenti e disfacimenti parziali dei popoli. 705.  N alcuna porzione dell' essere virtuale umano a rispetto del progredire si rimarr senza esplicazione di atto insino al punto che gli organi materiali e i confini non superabili di certo spazio non faranno manifesto che l' uomo  doppio, e solo nella vita sua razionale pu cercare e trovare il fine in infinito. Quindi  necessario non pure agi' in- dividui liberar lo spirito dagl' impacci della corporalit ma che la specie intera, dopo trascorse innumerevoli combinazioni, arrivi, quando che sia, al dissolvimento di un misto, naturale ma non guari normale perch tem- poraneo di sua essenza e violento, dovendosi tale giu- dicare qualunque composto i cui elementi non sono tutti nella unione migliore e pii confacevole al proprio essere. 706.  Dopo ci vorremo forse giudicare di poco momento il corso perfettivo delle generazioni umane cominciato da molte migliaia d' anni e durabile, Dio solo sa per quante ancora centinaia di secoli? No del si- curo. All' incontro, noi lo diremo cosa immensa e splen- dente di luce divina e la cui grandezza sempre maggiore nella fuga dell' et nessuno ingegno immaginoso per- viene ad abbracciare e delineare. Salvoch, paragonato dalla mente con le ragioni dell' eterno e dell' Assoluto e con la economia superna ed universale del bene, noi dobbiamo nel progresso civile avvisare il temporaneo, il relativo e il particolare, tuttoch mescolato con eie- 954 LIBRO QUINTO. menti sopramondani e porgente inizio alla vita razio- nale pura e assoluta delPuomo. 707.  Intorno di che occorre subito di osservare la conferma solenne che ricevono le nostre parole l ^dove asserimmo non vi essei-e problema veruno circa ! i principj delle scienze e i principj delle cose che trovi ' risoluzione compiuta nella cerchia dell' esperienza, ne- gando di trarsi pii oltre e non si legando all'ordine puro spirituale e alle verit trascendenti. "^ f 708.  Non si dubita che ci dee risonare incresce- vole e strano all' orecchio di tutti coloro, i quali, an- nullando ogni altra specie di dogma e di culto, questo idolo solo anno risparmiato del progresso infinito del genere umano sul nostro pianeta. Deit caduca vera- mente e poco invidiabile, dapoich vedemmo non poter movere un passo fuori del suo tempio che  questa , palla superbamente chiamata mondo. t[* ' Afouismo vi. 709.  Noi crediamo di avere oggimai concluso tutto quello che intorno al progresso civile discorrono di pi certo le massime fondamentali della nostra co- smologia ; e siamo proceduti sempre vuoi col raziocinii speculativo e le astratte nozioni, vuoi col riscontrare alle massime stesse i fatti della natura e le storie umane. 710.  Ma stante che 1' organismo intero del mondo delle nazioni e per il progresso civile che ne consegue emanano nella sostanza loro dalla efficadft suprema ed universale dell'ordine della finalit e sono certa particolare specificazione della gran legge del progredire espansa per tutto dov' ragione e morali- t, fa pur bisogno di rivocare il pensiero alle atti- nenze correnti fra tali due termini e andar divisando DEL PROGKESSO NELL'UNIVERSO. 955 quello che vi 8 pu discernere o di assolutamente vero 0 di sommamente probabile. Non dovendo affatto arrossire i filosofi, se nelle altezze ultime dell' ordine spirituale la scienza trasmutasi in riguardosa e mode- sta divinazione. Considerato che fielle cose celesti e divine (e nella rivoluzione finale degli enti avvi del celeste e del divino) dee contentarsi la mente di ritro- vare e descrivere alcun che di verosimile. Questo scri- veva Platone nel Crisia ad ammonimento dei pensatori ohe dopo lui tratterebbero materie si fatte. 711.  Noi diciamo, impertanto, che il progresso civile  due sorte di attinenze fuori di s ; V una col rimanente mondo visibile, l'altra con lo invisibile, ossia con quell'ordine superiore della finalit dove si effet- tua la vita razionale in modo assoluto e dove la legge del bene spiega immediatamente la plenitudine di sua efficienza. 712.  E quanto al primo genere di attinenze, chi vorr giudicare che di tutta la creazione visibile o corporea che tu la domandi questo solo pianeta nostro contenga un modo completo ed originalissimo del pro- gredire universale; il che porta essere l'uomo esem- plare unico e non mai ripetuto altrove d'un alto principio spirituale rivestito di corpo e servito da organi acconci a farlo signoreggiare sulla natura cir- costante? 713.  Perocch nulla non sussiste nella immensit del creato che non tenga suo luogo tra le fatture le quali anno ragione di mezzo ovvero tra le altre che anno ragione di fine. Ora, se i mondi visibili, e cio a dire gl'innumerevoli sistemi solari diffusi pel firma- mento,, non servono di apparecchio e dimora ad enti morali partecipi del bene assoluto, non essendo altro quei mondi in s stessi che materia e moto mecca- 956 LIBRO QUINTO. nico e chimico, ei non escono dalla natura del mezzo e il fine loro dee venir ricercato altrove e molto di- / scosto da essi. Ma chi non perde affatto il senso del / vero e del convenevole non  mai per estimare che tal fine concentrisi tutto nel nostro pianeta e nell' uo- mo ivi collocato. N, d' altra parte, far giudicio che quella congerie sterminata di mondi venga prodotta con intenzione di essere mezzo efficace e immediato air ordine superiore della finalit, posto che sieno essi non altro che corporalit e movimento, e per inferiori troppo e non consentanei con l'alto ufficio. Cos giungesi alla necessit di concludere che tutto il mondo visibile di l dal nostro pianeta o non possiede alcuna ragione ne di mezzo n di fine, il che  prettamente assurdo, ovvero che serve di apparecchiamento ed abitazione ad enti forniti d' intelletto e moralit e involti e chiusi nella materia organata. 714.  Oltredich, raziocinandosi con la scorta eziandio delle somiglianze strettissime e delle analogie copiose le quali passano tra il nostro pianeta e gli altri come tra la nostra stella centrale e le altre fuor numero disseminate nello spazio, dobbiamo reputare per sommamente probabile che elle compongono siste- mi vasti e differenziati dove abbiano sede creature di essere misto e partecipi al tempo medesimo di corpo- ralit e d'intelligenza. 715.  E giudichiamo anzi impossibile affatto (se- condo si accennava test) che data la esistenza del- l'uomo, e intendesi di tale ente che inizia nel creato un ordine nuovo ed originale di viventi, la natura non esaurisca nell' ordine stesso la immensit dei possibili, 0 se meglio ti piace, dei compossibili. DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 957 710.  N dica taluno : basta per dare un fine pro- prio e immediato ai mondi visibili di farli ricetto di qualche organismo animato ancorach irrazionale, ap- parendo di gi nei bruti un cenno e un vestigio di bene e potendo cotesto fine relativo e manchevole an- nettersi ad altro sommamente maggiore e migliore. Stieno pure le cose di tal maniera ; noi manteniamo tuttavolta che fra la creazione sconfinata della mate- ria mondiale e il nostro pianeta minimo, e quasi non percepibile a ragguaglio di quella, correr sempre tanta disproporzione e inferiorit per essa creazione mondiale, quanta se ne scorge fra la essenza umana e la essenza del bruto. Aforismo Vn. 717.  Nella quale sfera di enti commisti di anima razionale e di corpo, nem manco  credibile che l'uomo tenga la parte suprema ; ed anzi per tutte le cose di- scorse altrove ne' nostri Libri torna maggiormente pro- babile che egli della catena degli esseri soprannotati occupi solo il primo anello. Tanto pi che non toma agevole immaginare molte creature mezzane tra l'uo- mo ed i bruti ; e intendesi (come altra volta fu espresso) di creature le quali vengano a possedere mezza co- scienza del giusto e del retto e mezzo lume dei prin- cipi assoluti del vero. 718.  D' altro canto, ei non  lecito di presupporre l'ordine degli spiriti razionali ad una e corporei come sconnesso in fra s e col rimanente universo; impe- rocch nulla di sciolto e sconnesso incontrasi nella na- tura e massime fra le esistenze pertinenti a un me- 958 LIBRO QUINTO. desimo genere; ma ogni cosa invece si corrisponde e da ogni cosa esce una voce, a cosi parlare, del concento mondiale. 719.  Per simili considerazioni non  disdicevole di pensare che disparendo il genere umano dalla fac- cia del globo e cos rompendosi il corso del perfezio- namento civile, ci accada per far luogo ad alcuna esistenza migliore e pi perfettibile o quaggi sul nostro pianeta medesimo o veramente altrove. E come cia- scuna nazione vedemmo far parte dell' organamento sociale e comune di tutte e venire anco manomessa al profitto e incremento di quello; cosi lo sviluppo suo intero e il perfezionamento finale del suo grande con- sorzio  forse parte d' un organamento sociale pi vasto e sublime, sebbene esterno al nostro pianeta, e di cui non torna possibile definire l'indole propria e parti- colare e descrivere i legami occulti ed assai misteriosi con esso noi. 720.  Basti sapere che esistono. Avvegnach non  razionale, per lo certo, il credere che i pianeti sono attratti dal Sole, il Sole da alcuna costellazione, le costellazioni V una dall' altra, e che tutte mandano lu- me e ricevono e tutte s' aggirano e nuotano, a cos parlare, in un medesimo etere; non  razionale, replico io, il credere a queste rivelazioni dei sensi, e poi giu- dicare che le specie spirituali difi^use per quei gran corpi e variamente organate non abbiano, quando che sia, ad avere legame alcuno reciproco n attrazione e luce comune di anime n altra sorta di scambio e partecipazione. 721.  Noi dobbiamo, adunque, fermarci a questo concetto che  il pi comprensivo e per pi degno della natura, e cio che tra la vita razionale purissima e la irrazionale e vegetativa interviene la creazione di DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 059 enti molto simili all' uomo in quanto risultano di ma- teria e di spirito a cominciare da esso l'uomo infino a quelle sottilissime organizzazioni in cui la materia si stia soggetta e lo spirito signoreggi pur tanto clie le discrepanze fra i due componenti riescano meno f assai travagliose e funeste che nell'uomo non sono.  722.  Perocch quando fu pregato che il regno di lass avvenisse sopra la ferra ci debbesi intender per tutto quanto 1' universo corporale e visibile e deb- besi credere che se le anime intelligenti anno per de- stinazione ultima di salire alla vita razionale perfetta nel cielo, tuttavolta, qualche parte del cielo influisce (^ si manifesta eziandio fra i Soli e i pianeti; dappoich si legge la eterna citt discendere fra i mondi creati bella ed ornata siccome sposa : vidi sanctam civitaiem Jerusalem descendentem de ccelo. ^- Fu avvisato, poco addietro, che il moto perfettivo del consorzio civile umano debbesi accompagnare ezian- dio con r altra sorta di attinenze che guarda l' ordine superiore e sintetico della finalit. Di questa sorta, importante, rimane che si ragioni sotto brevit. E per- ch il subbietto  gravissimo e compie e corona, per via di dire, la nostra cosmologia, perci noi ne trat- tiamo nel Capo che segue come in disparte dalla ma- teria generale in che va compreso. Laonde il Capo sar quanto poco difi'uso altrettanto, se non e' inganniamo, pieno di sostanza. E visto che i concetti compariranno od insoliti 0 nuovi, noi studieremo di appianarli con la semplicit e precisione del dettato. 960 LIBRO QUINTO. CAPO DECIMO. SEGUE LA STESSA MATERIA. Afobismo I. 723.  Quelle attinenze che passano fra il moto perfettivo umano e l' ordine superiore di finalit sono del sicuro comuni a tutto il moto perfettivo, quale che sia, dei sistemi solari onde  pieno lo spario. Im- perocch ogni moto s fatto applica senza meno e particolarizza la gran legge universa del progredire; ' salvoch nei mondi visibili tali applicazioni e spedfi- 'cazioni vengono di necessit ristrette, indugiate e per mille guise impedite dalla corporeit. 724.  Ma la legge del progredire (si disse piii fiate)  sinonima con la legge morale che n' esprime la essenza; ed entrambe sono sinonime con la dispensa- zione provvidente del bene assoluto. Laonde, se il moto perfettivo deUe societ degli enti morali disseminate pei mondi visibili non si compie nel bene, sarebbe vacuit e mentirebbe al suo nome. 725.  Ora, considerando, sotto questo rispetto, il nostro progresso civile e le innumerevoli specificazioni che supponiamo rassomigliarlo negli altri mondi, si raccoglie che del progredire poco meno che indefinito degli enti morali in comunanza di vita gP individui fruiscono appena un punto segnato nello spazio e nel tempo e copiose generazioni si spengono avanti di as- saporare una bench minima particella del bene pre- parato con travaglio immenso ai discendenti remotis- DEL PROGRESSO NELL' UNIVEKSO. 961 siroi. Anzi parlandosi del moto perfettivo umano, dee venir confessato che ottanta o novanta migliaia d'anni sembrano essere trascorsi in dolorosi apparec- chiamenti, e che perci tutta la grandezza e perfezione civile della quale fruiranno i tardi abitatori di questo pianeta non rinfrancher del sicuro il novero incom- putabile e quasi infinito di creature razionali com- parse ed estinte nella fuga di tanti secoli. Se ne ristora bens e se ne ricompensa via via la specie propagata e la persona morale di tutti i consorzj civili, continuando ella ad esistere per tutte le et insino al termine che avr spiegata ed effettuata la facolt intera di miglio- ranza e perfezione in lei contenuta. 726.  Ma nel fatto gP individui soli sussistono e il progresso della persona morale di cui si parla guar- dato in disparte dagl'individui riducesi a qualcosa di astratto o per lo meno a qualcosa di collettivo senza unit e perennit di sostanza ; e perci neppure il bene vi si sustanzia ed unifica. Afjbismo ti. 727.  Nel vero, i singoli uomini procurando il bene della persona morale suddetta, occasionano a s medesimi un premio immortale e vi esercitano nobil- mente le facolt loro, come apparecchio alla vita ra- zionale futura; laonde nel quarto Libro affermammo noi che tutto il bene relativo, il quale  voluto e fatto dall' uomo sopra la terra e conformemente ai precetti morali, gli si converte in una specie di organo per ascendere alla perfezione della vita spirituale migliore. 728.  Ma tuttoci non toglie che il bene dell'in- dividuo e il bene collettivo della social comunanza il quale si forma e cresce nella sterminata lunghezza del Maiuiii.  11. 61 962 LIBRO QUINTO. tempo non sieno termini separatissimi ; e per fermo, r un bene non  continuazione ed espansione dell' al- tro ; e sono cause ed atti connessi ma al tutto diversi. Una cosa  T edificio dismisurato che i lavoranti a coppia a coppia murano e innalzano, e un'altra la buona mercede che vi guadagnano, e V arte e V abilit che vi acquistano. A, 729.  Non si nega che il progredire travaglioso delle comunanze degli enti morali e il prolungarsi d queste nelle migliaia di secoli, e il succedere una mi- gliore ad altra venuta meno, e il compiere tutte insieme ogni diversificazione possibile del vivere oonsorzievole nei mondi inferiori non valga a fornire materia di spet- tacolo maraviglioso a un ente divino il qual possa dal di fuori comprendere, per si dire, ad una girata d' oc- chi la vita compiuta di esse comunanze e i loro lega- menti e succedimenti ; nel modo che  lecito di fare a noi locati in alta vedetta e riguardanti una gran ran- nata di popolo 0 r evoluzioni di uno esercito e d'una armata di mare che sembrano moti e gesti d' un sol corpo gigantesco retto da un' anima sola. N agli Dei della gentilit riusciva forse questa contemplazione poco degna e poco sufficiente ad assegnare alle cose il lor fine. Ma certo ella  indegna e sproporzionatis- sima verso la bont e saggezza infinita dell' Iddio vero, il quale non giudica di assegnare altro fine alle cose eccetto la partecipazione massima del bene asso- luto, e per del bene sostanziato ed unificato; il che non succede nell' essere collettivo ed astratto del con- sorzio civile. DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 968 Ajtorismo IIL 730.  Ci non pu stare; e il bene astratto e quasi a dir nominale di tutta la specie dee convertirsi in bene sostanziale ed unificato; e trattasi di scoprire o per lo manco di accertare cotesto trasmutamento. 731.  Affermiamo, dunque, che il bene collettivo delle comunanze sopra descritte e il quale  flussibile e momentaneo negli individui e si perpetua solo ed allarga nel corpo sociale intero riflettesi neir ordine su- periore della finalit e diventa bene reciproco e non flus- sibile di tutti lass viventi la vita razionale perfetta.  ci accade perch fra le leggi essenziali di tutto V ordine della finalit  la comunicazione continua del bene, da onde venga e comechessia formato. Laonde si vuol giudicare che tal condizione si avvera necessariamente sempre ed in ogni luogo dove la separazione della ma- teria o la tristizia degli animi od altri impedimenti e violenze non difficultino e non interdicano la effettua- zione sua. E quindi per contrario si vuol giudicare che nei gradi pi alti e perfetti della creazione si ra- duna e si affina tutto il bene sincero degl' inferiori per naturale virt espansiva e comunicativa di esso bene. 732.  Oltrech noi dobbiamo aver mente a quello che fu statuito nel Capo quinto e sesto, e cio a dire la vita razionale assoluta confondere insieme l' oggetto e il subbietto, l'universale e il particolare mediante la vicendevolezza compita e perenne d'ogni dote e prerogativa dell' essere. E di qui proviene che il vivere razionale perfetto fu paragonato assai volentieri a un -'convito, dove la festivit di ciascuno  pure festivit e contentezza comune ed eziandio ciascuno sembra 5tt 964 LIBRO QUINTO. trasfondere V anima propria in altrui ; e come nel convito va attorno la coppa incoronata di fiori, cos per appunto va la benevolenza sincera e la letizia pacata e serena ; rimanendo incerto se riesca maggiore quella che si riceve, o V altra che si porge, o se pi vivasi dentro V essere piT)prio ovvero in quello di tutti i consorti. Aforismo IV. *^ 733.  Avvezzi noi alla contingenza dei fatti ed alla caducit estrema delle cose pi care ; e avvezzi altres all'indole privativa dei beni materiali non che allo egoismo profondo e invincibile della vita sensitiva ed organica, peniamo a persuaderci della sentenza solenne che io mi fo debito di ripetere e dappoi dimostrare, e la quale aflFerma che il bene nella sua essenza spi- rituale  natiiralm&nte diffusivo e comnmcabile. Rive- lasi in certi fatti determinati tra certi accidenti sotto l'ombra di certi fenomeni; ma questi venendo meno. la sostanza di lui quasi vapore sottilissimo di arso aroma sorge ed olezza in etere sempiterno. E laddove incontra idonea recettivit quivi si dispande e senza menomazione di s comunica se medesimo. 734.  La prima prova di ci esce dalla conside- razione che quanto le cose perdono di materialit e aquistano del contrario, altrettanto si fanno meno privative ed esclusive e pigliano maggiore virt di comunicazione. 735.  Ogni materia per sua necessit formale  divisa e di tutte le divisioni  causa. Laonde i corpi separati ed impenetrabili in ninna maniera possono dare ad altri senza torre a se stessi. Di qui la signo- ria gelosa delle terre e delle robe, le quali spartite DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 965 e distribuite a ciascuno impoveriscono i benestanti e i malestanti non arricchiscono. 736.  Per contra, avviseremo quelle sostanze che tengono poco o niente della materia, come la luce l'elettrico e l'altre conformi, mostrarsi inesauste e perenni nelle loro potenze e dando ognora di s paiono di se non iscemare. Sebbene tutto ci  simbolo e immagine di quello che adempiesi nelle cose effet- tualmente incorporee. Nel fatto, vediamo le idee, le cognizioni, le opinioni, gli affetti e ogni sorta di scien- za, ogni apprensione di bellezza, ogni magistero di arte trapassare velocissimo da intelletto a intelletto, e non solo non menomarsi cambiando subbietto ma ritornare da quelli ampliato e rinvigorito. Di tal guisa la sa- pienza di Socrate, per grazia d'esempio, non solo non perde a scorrere nella mente de' suoi alunni ma tor- na fecondata dei trovamenti di Senofonte di uclide di Antistene di Menedemo di Cebete di Platone. 737.  Il simigliante si pronunzi con sicurezza di qualunque altra sorta di possessi spirituali. Certo, la virt non sopporta detrimento alcuno versandosi fuori di s con r esempio e l' altre sue proprie efficienze. N succede diversamente all'amore all'amicizia e a qualunque onesta congiunzione ed unione degli animi. 738.  Rimovansi gli ostacoli, diceva Tullio, delle smodate passioni, dileguinsi le separazioni varie ed irremovibili che la materia intromette fra uomo e uomo e tra popolo e popolo, e scorgeremo a un tratto per semplice attraimento delle nature spirituali non che le genti d'un paese ma i regni le nazioni le liii-. gue e insomma la generazione umana intera vivere di una sola vita morale. d anzi dobbiamo recarci a mente che dove non fosse interposizione di spazio, segregamento di p^ 966 LIBRO QUINTO. corpi infermit e differenza di organi, tutti gli enti morali quanti ve n'  per l' universo e popolano le costellazioni lontanissime cesserebbono di occultarsi r uno air altro e incomincerebbe fra i mondi una benevolenza sociale quasi infinita. 739.  Discende dal fin qui detto, che ogni forma sincera di bene e partecipe del bene assoluto come  sostanza pura e interamente spirituale  diffusiva in immenso e comunicabile. Anzi aggiungiamo, che se r indole comune delle cose spirituali porta il non aver nulla in se di ripulsivo e di privativo e il fuggire le spartizioni e le divisioni, ci dee comparire singolar- mente nel bene; che fra le entit spirituali  dignit ed eccellenza maggiore, qualmente fu provato nei Libri dell'ontologia; e la verit stessa non  tutto il com- pimento e l'ultimo termine in s medesima; dacch il bene non  apparecchio alla verit ma s la verit al bene. Laonde non pu concepirsi che una parteci- pazione intima universale perpetua succeda tra le ve- rit e non succeda tra le forme schiette e purgate del bene. 740.  Concludesi, adunque, che nella economia generale e stupenda delle cose create ognuna di quelle forme n mai viene al nulla n si ristringe e chiude in s stessa. Onde lo spirito, a cos domandarlo, d'ogni bont d'ogni bellezza d'ogni scienza d'ogni civilt risorge lucente ed incorruttibile e fassi porzione dell'ultimo perfezionamento delle razionali creature, adunandosi, a modo di dire, e costituendo un'atmo- sfera celeste nell'ordine superiore della finalit e dove, secondo fu notato da noi, la definizione della vita piglia un'assoluta significazione. DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 967 A. 741.  Indizio di questo essere inconsumabile d'ogni buona e leggiadra cosa ci danno quelle industrie stesse dell' uomo onde le belle e fuggevoli creazioni di- ventano permanenti e capaci di vetust. Nessuna crea- zipne mostrasi pi fuggevole della musica ; e se l'arte dei tipi non eternasse quasi le melodie dei grandi maestri, un genio divino avrebbeli ispirati senza pro- fitto. Per simile noi vediamo le cogitazioni umane, e sieno anche le piii labili e momentanee, tragittarsi incor- rotte ed inalterabili per la lunghezza dei secoli ; e certo le pi degne riviveranno in tal modo infinite volte nella mente dei nascituri. L'ossa e le ceneri dei sommi scrittori, bench venerate, non furono potute difendere contro il tempo e le forze disgregative della materia. Ma vive tuttora merc dell'arte d'imprimere e splende vigoroso e fiorito il loro intelletto nei lor volumi e, se  lecito dire, discorre ancora e argomenta con le suc- cessive generazioni e ne scalda gli affetti e la fantasia. 742.  Meglio di tutto ci dee saper fare senza dubbio veruno l' arte divina ed anzi tutto ci proviene pure esso dal partecipare l'arte nostra dell'arte di- vina. 743.  Si scrisse in alcun luogo di questi volumi, il bene nella sua ibrma pi intima che  la beatitu- dine riuscire affatto incomunicabile ; il che pu sem- brare a taluno in contraddizione manifesta coi prece- denti aforismi. Noi crediamo non pure non vi essere contraddizione ma potersene dissipare con facilit le apparenze. T 98 LIBRO'^QUINTO. 744.  Cei'to, la beatitudine siccome tale  intrin- seca air essere ed  una forma interiore e profonda dell' attivit di lui ; e come sempre dicemmo T essere avere certa forma subbiettiva incomunicabile, allo stesso modo  incomunicabile la beatitudine inerente al fondo di quella forma. W non ostante, cotesto me- desimo atto beatifico, volendol cos chiamare, risulta dall'esercizio delle facolt razionali e morali e confor- masi in modo preciso alla legge etica universale ; tutto il che vale siccome dire che l' ente acquista beatitu- dine operando la diffusione del bene e vivendo in al- tri pi ancora che in s medesimo. 745.  Adunque, la beatitudine, in quanto  tale, av- vegnach possa venir replicata e moltiplicata fuori di s in infiniti subbietti, rimane intima all' essere e non pu riuscire interna ed esterna in tempo e con forma identica. Certo  peraltro che cresce la sua intensione col crescere intorno di s la reiterazione e simi- glianza perfetta del suo bene proprio e impartibile. Aforismo V. 746.  Ma che  mai questa essenza del bene espansiva eterna ed inconsumabile e nella quale sem- brano unificarsi tutte le azioni buone elette e magna- nime in quella maniera che in ogni bellezza partico- lare scorgiamo un lampo ed un raggio della medesima luce spirituale eterna ed incircoscritta a cui si d nome^di celeste pulcritudine ? Non v' egli pericolo di scambiare qui le astrazioni con le realit ? Imperoc- ch noi siamo insorti pi volte nell'ontologia e nella cosmologia contro coloro i quali figurano talune essenze create e nondimeno infinite in certa potenza causale e operanti in qualunque tempo e in qualunque spastio. DEL PROGRESSO NBLL' UNIVEJfcO. 969 747.  Avvi una legge morale, tu pronunciato da noi, che esprime con ischiettezza la gran legge del bene, e cio a dire l'ordine prestabilito e immutabile onde la felicit  partecipata nell'universo in quel grado massimo e a quel massimo numero di creature che la finit delle cose pu sopportare e serbare. Tal legge e tale partecipazione movendo da fonte infinita di bont e sapienza  natura assoluta, e perci sono eziandio assoluti i precetti morali e V ordine intero da cui risultano. Perci ancora  assoluta l'efiicienza della legge del bene; e tutte le forze contrarie della finit, della corporalit, dell'arbitrio abusato e d'altri fortunosi accidenti, ancora che possano indugiare o interrompere, deviare o sopprimere nelle apparenze la efiicacia integra ed irrepugnabile di essa legge, non per dimeno ella dee pervenire all' effetto. N questo si adempie accertatamente e secondo l' origine sua quando non piglia unit di sostanza n forma alcuna beatifica ; appuuto perch da ultimo esistono realmente i soli individui che sono sostanze une ; e il bene, d' al- tro lato, per tornare a fine vero e desiderabile assumer deve la forma della schietta felicit e con muta vi- cenda r uno includere e l' altro. 748.  Invocando, al presente, il discorso nostro al progresso civile da cui s' ebbe il cominciamento, dicia- mo che tutte le azioni in esso operate conformemente ai principj del bene del bello del giusto e del santo ebbero valore assoluto e ninna potenza impedisce loro d'incontrare quando che sia la pienezza del loro ef- fetto si particolare e si generale ; imperocch fu ve- duto questi due termini dovere nell' ordine assoluto morale conciliarsi ed unificarsi e con mutua vicenda l'uno includere l'altro. 749.  Di tal guisa il progredire e il perfezionarsi V 970 LIBRO QUINTO. deir essere collettivo e flussibile cui domandiamo pro- genie umana sopra la terra, mentre ci compariscoDo una quasi astrazione e un tutto insieme piuttosto d rapporti e di colleganze che di effettive realit, deb- bono ricuperare altrove la concretezza loro pienissima in sostanze une e singole. E vogliam dire che il bene ii quale si va raccogliendo quaggi ed accumulando di et in et dalla specie intera ed  perduto od ap- pena assaggiato dagli individui e compiutamente per- duto per le generazioni tutte anteriori viene ripigliato da, queste e da quelli pi che abbondantemente nel- r ordine superiore della finalit, dove la vita loro di- venta una e perpetua con la vita della specie che quivi si raduna novellamente e si ricompone. 750.  Dicasi adunque senza ambage ed esitazione che ogni incremento schietto e purgato di bene nella tale civilt o nel tal secolo o nella tale schiatta river- bera, a cos favellare, nelle altezze ultime dell' universo. 751.  Sempre i moralisti anno sentenziato che la retta e forte deliberazione costituisce il proprio valor morale di nostre azioni, e quando T effetto non segue per ostacolo esterno, ci non deroga minimamente al detto valore.  cosi dee stare quanto al perfeziona- mento nostro individuo ed alle sue conseguenze. Tut- tavolta mancando T effettuazione esteriore viene altres a mancare l'efficacia della legge del bene; ma perci che si disse, quella efficacia essendo assoluta non pu dagli accidenti venire affatto annullata; quindi, se non prima, risorge del sicuro nell' ordine superiore della finalit, dove per la comunicazione compita del bene il valor morale e particolare degl' individui si & uni* DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 971 Tersale e questo vicendevolmente aggiungesi aglMndi- vidui. Per cotal guisa il fine subbiettivo confondesi con r obbiettivo e non sono pi separati come nell'opinione volgare; e ci che opera l'uomo singolo da s ovvero opera collettivamente il corpo civile od anche in pi nazioni e tempi tutto il genere umano riviene a un medesimo, considerata la riverberazione eterna che  nell'ordine superiore. 752.  N dee trascorrere inavvertito, come con que- sta dottrina, che a noi sembra verissima, la legge uni- versale di progresso e perfezionamento riesce una da per tutto ; e non ostante la variet forse incomputabile delle applicazioni e specificazioni sue per li visbili mondi, nullameno essa le congiunge tutte quante con nesso strettissimo alla forma sublime della vita razio- nale perfetta. Aforismo vi. 753.   notabile sopra modo nel nostro proposito quello che la coscienza a pur suggerito sempre alle anime giuste e gentili ; io vo' dire che v'  nelle cose buone uno spirito ed una essenza del bene la quale mai non si altera e nel mondo e fuori del mondo si sem- piterna. Per fermo, onde nasce egli quel sentimento profondo e non cancellabile che tutte le cose per ul- timo tornano vane o sazievoli eccetto quella porzione di bene sincero che in s racchiudono? Quando la for- tuna imperversa e agl'imprendimenti puri e nobilissimi seguita efi'etto contrario e le speranze sublimi di una nazione e di un secolo intero falliscono, l' anima si ri- stora pensando di aver voluto il bene fermissimamente e in ninna guisa si persuade eh' esso debba giacere impotente e infruttifero. Senza cotesto riguardamento al pr^o quasi infinito degli atti onesti e magnimi che 972 LIBRO QUINTO. diventa la fama e la gloria umana? Togli di mezzo tale comunicauza arcana del temporale con reteriio. tali divini trapassi e commerci tra l'ordine inferiore ed il superiore della finalit, e tu scorgi immediata- mente rappiccinire e svilirsi le cose che svegliano ma- raviglia e riverenza maggiore; i Romani quanto si dif- ferenziano dai ladroni delle vieV E Cristoforo Colombo, ohe apparisce simile a un Dio quando approda alle Antille e vi pianta il vessillo spagnuolo a nome di Ges Cristo, di re Ferdinando e della civilt occiden- tale, che altro diventa egli se non lo scopritore di una spanna di terra e di mare tenendo V una e l' altro mi- nor proporzione ancora con la grandezza del nostro sistema solare? 754.  N il sentimento delF animo ci assicura del pregio eterno dell' ottime azioni perch gioveramio (]uando che sia con l' essere ricordate ai futuri o ve- ramente perch frutteranno premio agli autori nel mondo di l. Queste e altrettali considerazioni, ancora die possano venire a mente, lon sono la causa imme- diata e particolare di quel sentimento. Perocch ve- dremo, guardando con attenzione per entro alla sua natura, che per moto primo e spontaneo delle coscienz* giudicano gli uomini essere nelle eccellenti azioni ed imprese un che di assoluto di eterno di universale e d' inconsumabile, uno spirito di bene che esiste per s e splende e vive non perituro e in disparte da ogni effetto particolare di altro bene che ne possa provenire. A, 755.  N solo il sentimento morale ci testimonia s gran verit ; che anno fatto il simile i pensieri re- ligiosi e le meditazioni profonde e mature d' intomo al Santo. E nel vero, tutto questo che noi veniamo DEL PROGRESSO NELL' UNn^ER.^0 973 ponendo nel Capo presente col lume della cosmologia la fede cristiana radun ed espresse in quella parte del suo simbolo che domand la Gomtmione dei Santi; e volle eh' effettualmente le opere buone di tutti i cre- denti sulla terra e nel cielo costituissero un tesoro immenso di grazia e di gloria al quale partecipasse ogni giusto e chiunque  annoverato fra gli abitatori della Citt di Dio. AroBiSMO Vn. 756.  Ogni progresso adunque di perfezione che fanno le societ degli enti morali nei visibili mondi si riflette ed insempra nelle alte regioni del vivere razionale migliore. Le dimostrazioni furono date e non ci compaiono leggiere ed invalide. Ma chi domandasse del modo col quale lo spirito e la essenza del bene di quaggi ti-apassa nell' ordine superiore della finalit chiederebbe forse pi assai di quello che*  ragionevole di esigere dalla scienza del Cosmo. 757.  Tuttavolta se noi pensiamo che ogni pro- gresso di perfezione, lo vuoi comune o individuale, ebbe ad autore tale anima o tale altra, noi ardiremo di dire che ogni perfezionamento il pi particolare e speciale impronta eziandio le anime di note speciali ed incan- cellabili e seco le portano esse l dove incominciano vita purissima di ragione e moralit; e perch quivi non sono separazioni e il bene si d e riceve mutua- mente ed assiduamente, perci quelle note e forme par- ticolari delle anime sono tutte partecipate e diventano universali. Afobtsmo viti. 758.  Il bene vero, si disse pi volte, emana dal- l'Assoluto, e perci le anime lo attingono originalmente 974 LIBBO QUINTO. per la congiuuzione loro immediata con Dio e ciaacona r attinge secondo che  fatta e condizionata. CSaacan bene poi cosi derivato si comunica e la comunione ac- cresce facolt nelle anime di azione pi potente e per tornano ad attingere all' Assoluto con maggior Ygore e profitto e cosi in perpetuo. N altramente si compie la diffusione e confunicanza stessa del bene che per un atto assimilativo e per certa acconcia appropriazione ; e vogliam dire che la comuni- cazione  modificata dalla energia dell' essere parteci- pante ed  conformata all' indole peculiare di lui. 759.  Cosi da ogni banda riceve conferma il nostro principio che essenza del bene  V attivit ; e perci nella vita razionale suprema pervengono all' apice lon) i due intenti massimi ed ultimi della saggezza e bont creatrice che noi chiamammo per appunto Attivit e Partecipazione. CAPO UNDECIMO. ULTIMA CONFESSIONE. 760.  Prese questa nostra opera cominciamento dall'Assoluto, perch da lui  il principio e niente non presuppone sopra e avanti di s. Dall'Assoluto poi conseguita, al sentir nostro, la necessit piena e im- mediata dell'atto creativo e per la certa esistenza delle cose finite. Ora, quando si stimi che alla potenza dialettica possa venir fatto di fecondare i prncipj e le somme generalit intorno il creato per guisa da rca- DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 975 varne un ritratto ben lineato e rassomigliante della na- tura, noi possederemo una cosmologia razionale dav- vero e apodittica. N questa perder esso pregio in tutto, se alla deduzione intromette alquanti dati spe- rimentali, assunti, per altro, siccome ipotetici e con- nessi ai principj col legamento speculativo della pos- sibilit. 761.  Ci non pertanto, la dottrina dell'Assoluto e qualchesia potenza ed abilit dialettica non anno balia d'affermare che alcuna cosa finita sussista presente- mente. Puossi ben dire, per grazia d'esempio, che debbe esistere necessariamente un essere razionale e morale tornito di anima vegetativa e partecipe del fine asso- luto. Ma che esista oggi ed in tale punto di spazio e che ieri esistesse o no ed abbia seco questi accidenti ovvero cotesti,  impossibile di conoscere per deduzione e come suol dirsi a priori; attesoch cotali notizie vengono attinte da scaturigine troppo diversa quale  il sentire ed il percepire. Tuttavolta, dappoich l'uomo  doppio e misto di senso e ragione e dentro l'animo suo sta la coscienza una s dell'atto percettivo e si dell'intellettivo, egli acquista naturalmente la facolt sicura e preziosa di ragguagliare insieme i due ter- mini ancorch per indole diversissimi e relativi ad og- getti opposti non che diversi. 762.  Di qui succede, che nella interezza del fatto cogitativo r Assoluto non si manifesta onninamente in s e per s, ma come oggetto perenne ed illimitato di una visione ideale. Quindi quel fatto cogitativo assunto e significato nella sua compitezza il che vuol dire quale fatto presente ed umano debbe venire cos espresso : io penso Dio essere ineffabilmente qtiello che , 763.  Ma d'altra parte, tale mio atto cogitativo terminando effettualmente nell'Assoluto e questo esi- 976 LIBRO QUINTO. stendo in s e per s ; ognora che io fo astrazione dal subbietto e annullo e sperdo la mia propria entit nella contemplazione delP obbietto in disparte dal rimanen- te, io sopprimo il finito particolare e attuale ma non danneggio V essenza del vero. Conciossiach il vero e la scienza sono obbietti W e s' immedesimano con l'As- soluto. 764.  Da ci si vede, e l'avvisiam di passata, quanto sia malagevole il chiudere ogni controversia sul metodo dei psicologi e quel degli ontologi. Stante- che Tuomo risultando di obbietto e subbietto avr sempre arbitrio di asserire che incominciandosi dal- r obbietto assoluto e in separato dal rimanente s'inizia il filosofare da mezza astrazione. Ma V error grave poi de' psicologi, qualmente fu dimostrato nel primo volume,  quello di sperare e volere che dal fatto particolare e attuale delle nostre cogitazioni, ed anzi delle mie pecu- liari e individue, proceda con vigore scientifico e valore universale e assoluto la dimostrazione del primo Ente. 765.  Ad ogni modo, egli  certo pure altrettanto che il ragionamento a priori non s' imbatter mai nella percezione e nel fatto come in suoi conseguenti; ed anzi la sola cosa onninamente impossibile a lui di provare  la presenzialit della percezione e del fatto. Onde  che bisogna non gi dedurli, ma ricercarli l dove sono realmente, e cio nell' atto nostro cogitativo di costa alla visione ideale. 766.  Segue che le dottrine ontologiche e cosmolo- giche ricevono il compimento loro nella psicologia. E ci, non perch senza questa sieno mozze e manche- voli in quanto dottrine universali e apodittiche; ma in quanto appartengono ambedue all'uomo; n senza un atto d'astrazione si slegano. originalmente dal sub- bietto individuale. DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 977 767.  Non comincia dunque siccome vogliono molti il filosofare dalla psicologia, ma invece termina in tal disciplina assai regolatamente. E per rispetto a questa mia opera io vi dovrei ricercare con pi perspicacia le nozioni delF uno e dell' essere in quanto sono abi- tuali ed informative dei nostri pensieri ed affetti e stu- diarle con diligenza nei riferimenti loro assidui al no- stro spirito e alla natura esteriore che mai non  identica ed una in qualcliesia cosa e mai non  l'es- sere astratto ed universale; ed anzi negli enti finiti mai questo essere generalissimo non si ritrova ne di- stinto n distinguibile in maniera veruna. Per simile, io dovrei i^cercarvi con indagine lunga e paziente la dottrina bellissima che io domandava dei cinque in- flussi divini e tutta la quale procede mescolatamente di ontologia e psicologia. 11. 768.  A cotesti argomenti io dar mano pi tardi se mi regger la vita e la mente; e seutomi astretto per ora di rimettermi al poco che io n'  discorso nei Libri ontologici e nel secondo segnatamente. Credo il let- tore*sia stanco e tediato di tenermi dietro, quanto io di procedere oltre, si per lunga fatica e s per un crescente scoraggiamento che entrami addosso, e dal quale nes- suna ragione e nessuno artificio  valevole a difendermi. 769.  E dappoich mi son fatto debito in questi volumi d'introdurre chi legge alla storia occulta dei miei pensieri come non dannosa ed anzi giovevole a dare esperienza e buon indirizzo ai giovani alquanto novizj in cotali discipline, siami conceduto di raccontare sotto brevit per che cagioni l' anima mia venuta fuori oggimai dal gran pelago della metafisica  Si volge all'acqua perigliosa e guata. > Mahuni.  11. fd 978 LIBRO QUINTO. E se altri verr stimando che io il faccia per provo- care indulgenza e benignit verso queste povere pagine io non mi sbraccer per provargli il contrario. 770.  Sappiasi adunque che poste insieme, or a qualche tempo, le molte carte dove io ero andato, parte abbozzando e parte sponendo i miei cinque li- bri di cosmologia, m'entr in cuore (come spesso mi accade) un dubbio fierissimo d'aver gittate il mio tempo, e che era miglior senno il mettere li scartabelli in disparte od anche farne un fal in cospetto della effigie di Antonio Rosmini che l pendeva da una pa- rete del mio scrittoio. E mentre io mi rivolgevo in tale umor malinconico, volle il caso che veniss^rmi sotto gli occhi le Memorie del generale Carlo ^wch% un picciolo volume nel quale a pag. 107 l^gevo queste parole:  Bologna era sossopra. Le politiche fazioni febbrilmente s' agitavano ed erano alcuni che speravano vincere tuttavia con 1' aiuto del furore popolare. Fra essi stava il conte Terenzio Mamiani Egli venne da me, mentre fuggivano i suoi colleghi di go- verno per sollecitarmi a mettermi a capo della popo- lazione, onde sostenere per le vie della citt una di- sperata resistenza.  771.  Per prima cosa, io mi sentii commovere l'ani- mo da dolcezza non ordinaria perla menzione cortese che di me volle fare pubblicamente quel veterano insigne dell' armi italiane e il quale pi volte posesi a pericoU estremi per carit della nostranfelice patria. 11 secondo mio moto fu di sorridere di quella baldanza davvero gio- vanile e inconsiderata e paragonarla con la presente pu- sillanimit. Sebbene io sentivo la differenza che passa tra il cimentarsi nelle sollevazioni l^ttime e nelle prove temerarie ma generose d' un popolo e l' affrontare il giudicio dei dotti sopra un lavoro di scienza. Che DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 979 l  glorioso persino il soccombere, e qua invece la disfatta succede immancabilmente con vergogna e con beffa. 772.  Tutta volta, quell'essere stato come a forza rimenato dal detto libro alle memorie di mia giovi- nezza e quel ripensare alla fiducia e serenit dello spirito che io venni allora serbando a Rimini, ad An- cona e perfino nelle prigioni dell' Austria in Venezia, mi rinfusero in cuore pii calma e pi sicurezza che io non era per procurarmi da me medesimo. Quindi ri* pigliata la penna, posimi alacremente a dar compitezza all'opera mia. 773.  Quando ecco un altro accidente mi soprag- giunse di li a pochi mesi che rinnov i dubj e rin- fresc le paure con troppa ragione. Io aveva per ap- punto finito di ricopiare il quarto Libro di questo volume dov'  quasi tutta delineata la teorica della vita, allorch il signor Marco Debrit ginevrino, e del- l'Italia s benemerito, venne a visitarmi col dove io ero (che non ero in Italia), e meco s' intrattenne amo- revolmente pili giorni in conversazioni tanto piacevoli quanto per me istruttive e fruttuose.  Panni, disse egli un mattino, che la condizione vostra presente sia molto pili riposata e benissimo accomodata a ripigliare con agio gli studj intermessi. *   Cos , rispondevagli io. N il corso di mia natura poteva essere impedito e sviato per lungo tempo. Nasce ciascuno sotto sua stella. Io nacqui col prepotente bisogno di investigare, e forse mai sempre a vuoto, l'alta cagione e ragione delle cose. Nondimeno , mi  forza dire che del picciolo ed oscuro mio dramma l' episodio ultimo  stato bel- lissimo e invidiabile a tutti. E cos  confermato quel giudicio dei retori che nella pi parte dei poemi pre- vale e vince indebitamente la bellezza degli episodj 980 LIBRO QUINTO. che sono in fondo iutramesse ed appiccagnoli.  Eutro, riprese il giovine, nel vostro concetto ; e davvero voi do- vete reputarvi felicissimo fra gli uomini di questa et d' essere stato nel governo collega del maggior politico de' nostri tempi e avere con lui sottoscritto i decreti pei quali si accettavano quelle annessioni di provincie e que' plebisciti di popoli che crearono alla perfine il sospirato regno d'Italia.  774.   Voi la intedete pel verso, io risposi, e poco fa che io dovessi parere, come un proverbio dice, la quinta ruota del carro. La fortuna e gloria di quelle sot- toscrizioni chi me le potrebbe strappar di mano? E v' questo di vantaggio ch'essendosi nel 49 rinno- vellato con fiera perseveranza e con acre soddisfazione il decreto del mio esilio lunghissimo, il mio buon ge- nio porsemi il sovrumano compiacimento di cancellai-e io stesso quella odiosa sentenza accettando di conserto con gli altri colleghi e a nome dell' ottimo nostro Re il plebiscito dei Marchigiani e degli Umbri. 775.   Ma usciamo di queste rammemorazioni, per care e onorevoli eh' elle sieno, e torniamo a guardare nel volto celeste della nostra comune amica la Filo- sofia. *   Torniamo, disse egli, eh' io lo fo sempre di gran buona voglia. * 776.  Cos dispiccata la mente dagl' interessi mon- dani, l'alzammo alla contemplazione dei divini para- digmi, e dopo un libero svagamento e discorrimento di l)ensieri speculativi il colloquio si ridusse quel giorno medesimo al subbietto mio geniale ed abituale che  r ordine della natura e i misteri e le origini della vita. Sopra il che io venni a sommo agio sponendo all' amico mio i principj e le deduzioni che avevo rac- colte e proponevo di mettere a stampa. 777.  Al compiersi del mio discorso il Debrit fece DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 981 un po^d silenzio e guardavami tuttavia con aria so- spesa e preoccupata. Alfine , sorridendo, cos prese a dire :  Voi test uscito d' una rivoluzione politica vi figuraste di trovar quiete e riposo nel mar della scienza. E pare, invece, che non sappiate il vento procelloso che ora vi soffia. A voi, se bene v' intendo, seguita sempre di gradire il concetto espresso ne' vostri Dialoghi, gi sono parecchi anni, della immutabilit delle specie. Ma il Darwin, insigne zoologo inglese, pubblicava di recente un volume il cui vero costrutto, levate le reti- cenze, consiste a dire che la vita vegetale e animale sul mondo  un lento vario e continuato trapasso da minime mutazioni ad altre pur minime ; e le specie, non che persistere sempre neir essere loro, si cambiano invece e si trasformano compiutamente, e questa di- venta quell'altra e quell'altra una terza e via pro- seguendo.  III. A tale notizia d' un libro si nuovo e di concetti s arditi e col nome in fronte d' un grande scienziato, io mi rimasi, credo, con aria attonita; e le parole non volevano uscire. Poi rendetti allo scrittor ginevrino grazie particolari d'avermene ragguagliato, scusandomi seco alla neglio della mia grossa ignoranza e sospet- tando di dover forse cancellare e rifare da un capo all' altro la mia trattazione. Del che avvedutosi il Debrit risposemi prestamente :  Voi dovete, del sicuro, leggere e ponderare a dilungo quell' opera ma contur- barvene non dovete. Perch, qualora si trattasse per voi di competere o di scienza o d' ingegno col Darwin, certo neir una non  facile oggi a nessun consumato naturalista di superarlo; e nell' altro, non consente la 982 LIBRO QUINTO. vostra modestia di sperarne vittoria. Ma qui trattasi, per ci ch'io stimo, d' un paradosso abilissimamente proposto e difeso, e chi maneggia di rincontro le armi del vero, trova sempre modo da prevalersi contro qua- lunque avversario.  778.  N pi quel giorno s' intrattenne il conver- sar nostro sul libro del Darwin e sul durare o mutar delle specie. Ma una impressione salda e penosa era gi succeduta nell'animo mio. Che quell' essermi ri- masto occulto uno scritto diventato in poco d' ora fa- moso fecemi a un tratto ripensare alla mia troppa ignoranza, e subito mi rimisi nelle cogitazioni di prima che era pazza presunzione la mia di parlare al pub- blico De rerum natura in sul mancarmi della vita, e cio quando io non poteva n coli' affacchinare in sui libri n col frequentare scuole e accademie erudirmi a sufficienza intorno d' una materia si vasta, si diversa, si moltiforme. E appena fu che vi bastasse l' ingegno e il sapere dismisurato dell' Humboldt. 11 Cuvier non vi si volle provare ; e il Buffon capitato a' nostri tempi e vista la strabocchevole ampliazione degli studj forse avrebbe smesso il concetto di scrivere sulla gran fab- brica del mondo, siccome fece. Ogni residuo di coraggio dileguavasi come neve al lume e al caldo di queste con- siderazioni. E sarei per avventura tornato alla prima de- liberazione di chiudere sotto chiave i miei cinque Libri od infliggere loro la pena che Pomponio Leto usava ogni anno ad onor delle muse negli epigrammi di Mar- ziale. 779.  Ma la vanit degli autori quando ben bene si crede morta d certi guizzi e sbalzi improvvisi da non li credere chi non li vede, e sono men tenaci a vivere le serpi pestate ed arrandellate. Il fatto  che nel fondo dell' animo di essi autori abita uno spirito DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 983 pronto sempre alle riscosse ed alle difese e il quale fa professione di ribattere capo per capo tutte le ra- gioni contrarie al nostw amor proprio ; e davvero che potrebbesegli apporre nome di avvocato dei poveri essendo che egli quasi l' abbia per obbligo non lascia derelitta nessuna causa la pi spallata e disperata del mondo. 780.  N altramente procedette la cosa nell' in- terno di mia coscienza ; che a poco a poco Y avvocato di cui discorro fecesi far silenzio e con voce in sul co- minciare molto rimessa venne cos ragionando. hi prova troppo, niente prova, e quando si tenesse per vero che gli Humboldt soli e i Cuvier e i radissimi pari loro possono tentare di scrivere sulla scienza del Co- smo, diventa necessario di cancellare affatto quella nobile disciplina dal novero delle materie che tratta il filosofo. Dappoich i sommi naturalisti, oltre il ca- pitarne solo uno 0 due ogni secolo, non si curano di me- tafisica o mancano del tempo e dell' agio per meditarvi sopra quanto bisogna; o veramente il sapere stesso pro- fondo che possiedono della natura toglie loro ardimento di farne ritratto compito ; e filosofando si tengono sulle pi generali, come pratic Leibnizio il solo sapiente che nel suo secolo bastasse a congiungere insieme la fisica e la metafisica. 781.  0 non i tu ricercato debitamente e deter- minato questo soggetto medesimo? Non ti risolvevi tu a credere che fra le somme astrazioni ontologi- che e la scienza minuta ed empirica dee procedere coraggiosa una scienza intermedia procedente fra la deduzione apodittica e la induzione sperimentale e tra- vagliantesi a lineare e colorire una qualche imma- gine dell' universo, tanto che le fila sparse sconnesse e disciolte o per lo contrario avviluppate e intricate 984 LIBRO QUINTO. di cento dottrine naturali ricevano qualche ordine e compongano un buon ordito nella gran tela descrttTa dei mondi ? 782.  Non provasti tu. mi sembra, evidentemente che simile scienza intermedia maneggiata da valentuomini dee tornare utilissima quando anche sia costruita d'in- gegnosi supposti ed invochi a sussidio suo le ragionevoli congetture? Ti manca la notizia d' infiniti particolari; e i pochissimi che conosci, conosci male e confusamen- te. Pu darsi. Ma tu non presumi d' insegnare a ninno i fatti minuti e speciali ; che anzi  costume tuo, bene avvisate e fermate le massime, illustrarle con la notizia respettiva di qualche fenomeno. Se questa  spesso in- compiuta e inesatta, rimangono saldi i principj;e in tanto numero di allegazioni, posto pure che tu prenda abba- glio su quella o quell'altra, il tutto insieme della teo- rica non pu soffrirne detrimento, come non si scrolla un vasto edificio e non si sconnette perch tal mattone  fesso tal pietra  smossa e tal travicello  marcito. 783.  Cos dentro l' animo la discorreva intrepida- mente il patrocinatore dei poveri. E s' io voglio dir tutto, io dovr aggiungere che la coscienza, la quale sedeva per giudice, essendo legata, com'io seppi poi, di stret- tissima parentela con V avvocato e non osando tutta- via di darla proprio attraverso alla ragione ed alla giu- stizia, si appigli al mezzo termine consueto e risol- vette di non risolvere pronunziando quei versi famosi :  Pacemi aver vostre ragioni udite; Ma pi tempo bisogna a tanta lite.  IV. 784.  Di tal maniera rimasto V animo quasi pa- drone di s lasciossi pendere dal lato delVamor pr- DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 985 pro e della vanit di scrittore e mise mano a stam- pare i presenti volumi. Abbiali il lettore in misericor- dia ; e perch tra me e lui avvenga onesto comiato, de- sidero narrargli per ultima cosa certo sentimento soave in uno ed elevatissimo nel quale  pur final- mente trovato giusto riposo. E sebbene al lettore non debbono importare nulla le circostanze di tempo e di luogo che occasionarono e forse anche generarono quel dolce sentimento, nuUameno mi voglia scusare il breve ricordo che gliene io, persuadendosi ancora con questo esempio che agli studiosi e meditativi Dio manda il suo spirito, infuso principalmente nell' aperto lume nelle voci armoniose e nell'aspetto vario e simbolico della natura campestre. 785.  Io villeggiava, or fa pochi giorni, vicin di Firenze, per dare buon termine a questo lavoro e fuggire i caldi assai stemperati della citt. Ne qui mi lascer vincere alla tentazione di descrivere le bellezze pittoresche del luogo. Che ninno ignora l' amenit dei dintorni di Firenze, e troppo maestrevoli penne vi si esercitarono. Solo dir che una sera in fra molte altre condottomi in sul largo terrazzo adiacente alla casa da me abitata e godendo la mite frescura che usciva del bosco vicino, m'entr nel cuore, io non saprei bene il come, una talquale mestizia che discordava di so- verchio con la dolce stagione e con le vaghissime pro- spettive che illuminate dal plenilunio mi si schiera- vano, per cosi dire, a gara davanti agli occhi e pare- vano in fra di loro competere di grazia e di gentilezza. Dal prossimo giardino, piante di agrumi, di rose e di catalogni esalavano le loro fragranze. Nel bosco qual- che rosignuolo ripeteva alla distesa il suo verso vibrato e squillante con quel gruppetto soave alla fine. Be- veasi a larghi sorsi e da ogni lato un' aura refrige- 986 LIBRO QUINTO. rante e salubre e tutte le cose parevano liete di ripo- sarsi e contente di esistere. 786.  Ma la luna batteva poco di l discosto e con raggio limpidissimo sulla croce d' una chiesuola e imbiancava le mura e le lapidi funerali dell' annes- sovi Campo Santo. Per la qual vista io dicevo in fra me : pi bella notte e pi dilettevole passar non potreb- be sulla faccia di questo nostro pianeta. Solo vi man- cano i balli aerosi dei silfi e le scorribande e i giochi innocenti d'altri eterei spiritelli; e n pur questo vi manca quando l'uomo lo creda o lo finga. Ma tanta va- ghezza di natura sar muta per sempre a tutti coloro che dormono colaggi in quel cimitero il sonno di morte. 787.  Tu prosegui, o madre divina delle cose, l'eterno corso delle stagioni e rinnovi immancabilmente al debito tempo le ghirlande fiorite e odorose del sacro tuo capo; e perfino tra le macerie fai spuntare vivace e ramoso il caprifico e fra le fessure delle pietre tingi di bel nero morato le bacche dell'edera e aspergi di fine olezzo le ciocchette degli amorini. Ma delle gene- razioni umane tu fai il conto medesimo che delle fo- glie autunnali sbattute dal vento ; e in pi luoghi del mondo e massime nelle Americhe volesti che grandeg- giassero foreste immense ed opache sulle sparse fon- damenta di vetuste metropoli e di regni e d'imperi a cui invidiasti perfino la sopravivenza del nome. 788.  Perfetta vacuit  dunque in ogni nostra impresa e fatica; e se tu guardi quaggi un poco alle nostre bassezze, quanto io devo comparirti cosa ride- vole coi miei lunghi aufanamenti per queste povere carte che io pongo a stampa. Le accetti il mondo o le spregi, incontrino poco onore o nessuno, sar il bisbigliare d'un giorno fra qualche gente in qualche miglio quadrato di paese. DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 987 789.  A pensieri s fatti che sono vecchissimi ed ovvj e paiono sempre nuovi era trascorsa la mente mia ; ne se ne poteva disciogliere e barattarli con altri meno gravosi. Intanto, la luna splendeva d'argento pi puro che mai nel mezzo del cielo. Spiravano i fior miglior profumo e dalle cime dei cipressi conti- nuavano gli usignuoli a farsi amoroso richiamo.  in quello stante cominci ad asolare dal colle della Pe- traia un ventolino piacevole che a volta a volta cre- sceva e sarebbesi detto che dentro vi susurravano certe voci blande e inarticolate della natura le quali poi arri- vatemi in fondo del cuore sembravano di suono chiaro e distinto e ne uscirono i concetti che io qui riferisco. 790.  Vana fatica sono gli studj, infruttifera sol- lecitudine le scritture e le stampe, avvegnach la notte dei tempi le invade e consuma. Vanissima pi ancora, s'egli  possibile, la fama degli autori, perch dura meno assai della scienza e la scienza meno assai della vita del genere umano. Ma da tutto questo sorge e vapora lo spirito immortale della verit; e la ve- rit si converte nel bene e il bene ondunque radunato e comunque dall'opere belle giuste sante e magna- nime ripiove nelle alte sfere della finalit e cresce letizia attiva e fruttuosa alla vita razionale perfetta. 791.  Simili sentenze, che ad altri suonerebbero oscure e involute, uuUa non possono avere d' incerto e d' enigmatico al tuo pensiero. Atteso che questa teorica appunto da te si professa e questo  il supremo costrutto della cosmologia tua. La natura che da ogni parte arride, come vedi, e festeggia, qualora tu la intendessi a dovere e il solo orecchio di carne non le schiudessi, farebbeti sentire il salmo che innalza perpetuo per sino dalle tombe e dai recinti dei cimi- teri all'autore sovrano di tanto marayigliosa dispen- 988 LIBHO QUINTO. sazione e comunicazione del vero e del bene. Ma tu nella tua canizie serbi T inettezza e la levit del cuor d' un fancinllo e sospiri con ingegno mediocre e impo- tente dietro la gloria d' un giorno brevissimo. Infrat- tanto temi le censure dei dotti lo sparlar degli scioli la incuria e il silenzio della moltitudine. Che cosa adunque ti rimane da non temere e dove riponi la tua fidanza? Egli sembra davvero che la vanit t^ in- volgesse come una terza placenta nell'utero di tua madre e in forma di sudario scender teco nel tuo sepolcro. 792.  E invece se tu badassi molto meno al pazzo amor proprio che alla coscienza e al dovere, tu avre- sti forse di che coTisolarti e una serenit perpetua di mente e di animo allegrerebbe gli avanzi della tua vita terrena. Imperocch questa giustizia puoi rendere con fidanza e con fermo giudicio a te stesso di aver cercato sempre e voluto la verit e la scienza con pu- rezza d'intendimento e con zelo passionato e sincero. E per la verit e la scienza ti sei fatto romito e quasi selvatico, e per fino ti 'sei sottratto agli allettamenti e agli onori della vita pubblica, in verso i quali ti con- ducevano naturalmente l' indole dei tempi e i casi da te incontrati. Che se fosti desideroso di fama oltre il convenevole ad uomo severo e virtuoso e fuori di pro- porzione col poco vigore della tua mente, mai non de- viasti perci d'un sol passo dal tramite della verit secondo che ti parve di ravvisarlo segnato e dischiusa) davanti a te. N poco ti dei compiacere che la fama medesima ti parve desiderabile sopra misura per cre- scere appo gli stranieri la riputazione della tua pa- tria tanto sbassata e umiliata. Quindi  che se appa- risse nel Bel paese un ingegno peregrino e largamente inventivo atto a riporre in seggio la filosofia antica DEL tROGRESSO NELL'UNIVERSO. 969 italiana, tu in luogo di concepirne pure uu^ ombra di {gelosia inchinerestiti innanzi a lui con gaudiosa^ rive- renza e per poco non baceresti le orme dei suoi piedi ])redicando da per tutto il nome di lui e la glora ri- solata d^ Italia. Questo solo  bello, questo solo  im- mortale ne' tuoi lunghi e sudati studj e vaporer co- me incenso dove nessun bene puro  perduto; e l ibrse per questo solo meriterai che ti si' rivolga il sa- luto caro e affettuoso che Dante salito al secondo cielo udiva farsi con quelle parole:  Ecco chi crescer li nostri amor.  Fine. INDICE. LIBRO PRIMO. DEL FINITO IN S. Capo Primo.  Altre ntime confesBion Pag. 3 Capo Secondo.  Del principio di causalit 13 Capo Terzo.  Aforismi della finit delle cose 34 Capo Quarto.  Dell' azione dei finiti 58 Capo (Jcinto.  Principj di mutazione e di congiun- zione e loro insufficienze 81 Capo Sesto.  Del finito, in quanto  accagionato della esistenza del male 103 LIBRO SECONDO. DEL FINITO IN RELAZIONE OoN l' INFINITO. Capo Primo.  Del positivo negli enti finiti 123 Capo Secondo.  Della immanenza di Dio nel creato. . 138 Capo Terzo.  Dei progressi della teodicea 147 Capo Quarto.  Aforismi delle pi generali attinenze del finito con F infinito 167 Capo Quinto.  Della unit nella scienza 207 Capo Sesto.  Aforismi intorno alla finalit 221 992 INDICE. LIBRO TERZO. DELLA COORDINAZIONV DKI MEZZI NELL' UNIVERSO. Capo Primo.  Aforismi intorno ai metodi della na- tura Pag. 237 Capo Secondo.  Segue la stessa materia 254 Capo Terzo.  Ancora della stessa materia 278 Capo Quarto.  Delle varie sorte di cosmologie apparse infno a' di nostri 301 Capo Quinto.  Dei limiti della deduzione in cosmo- logia 329 Capo Sesto.  Aforismi genetici 351 Capo Settimo.  Seguono gli aforismi della stessa ma- teria 379 UBRO QUARTO. DELLA VITA E DEL FINE NBLL' UNIVERSO. Capo Primo.  Del principio spirituale nella cosmologia. 419 Capo Secondo.  Primi aforismi sulla finalit degli enti creati 431 Capo Terzo.  Confessione d' un errore e definizione della vita 457 Capo Quarto. -^ Della vita vegetativa 462 Capo Quinto.  Della vita animale 492 Capo Sesto.  Aforismi della vita vegetativa 504 Capo Settimo.  Aforismi della vita animale 529 Capo Ottavo.  Dei nuovi materialisti 562 Capo Nono.  Della immutabilit delle specie 571 Capo Decimo.  Unit di disegno nella organizzazione. 580 Capo Undecimo.  Ancora della unit di diseguo nella organizzazione 601 Capo Duodecimo.  Delle grandi epoche genetiche. . . 622 Capo Decimoterzo.  Di C. Darwin e de' suoi discepoli. 679 INDICE. 993 LIBRO QUINTO. DEL PROGRESSO NELL' UNIVERSO. Capo Primo.  Ancora un poco di confessione e di epi- logo Pag. 699 Capo Secondo.  Teorica del progresso 726 Capo Terzo.  Si dimostra la necessit del progresso indefinito.. 746 Capo Quarto.  Ancora della vita razionale 762 Capo Quinto.  Prove sperimentali della teorica del progresso 779 Capo Sesto.  Ancora delle prove sperimentali 813 Capo Settimo.  Unit organica del mondo delle na- zioni 847 Capo Ottavo.  Segue la stessa materia 893 Capo Nono.  Dell' ultima forma del progresso nel- r universo 939 Capo Decimo.  Segue la stessa materia 960 Capo Undecimo.  Ultima confessione 974 UilUlfl.  II. 65 EBRAT-OOBRIGE. Pf^. lim. 2U, 18 simile a quello di Febo simile a quello di Fedro 880, 5 dispargendo 402, 6  diretto e diretto ^ 400. 7 si equilibri faccia equilibrio 4ie, 4 etereo etere 413. 80 meno determinata pi determinata 552, 80 Ghimpans Ghimpanz 570, 24 spirito suo anima sua 583, 1 ad una patera 0 ad una patera 652, 13 e la vita ; e V organiz- zazione ; e la rita e l' organizzazione 664, 80 con radumi raduni 689, 26-27 troppo dlfUcolt troppa difficolt 728, 8-9 cbe conseguita al pro- gredire che consguita al progredire 798, 19 dall'impero di Manete dair impero di Ramsete Aggiunta alla pag, 378, paragrafo 336, Nel mese di settembre di questo anno il Padre Secchi annunciava che la cometa del Faye  ricomparsa giusta le preTsioni e i calcoli del si- gnor Moller il quale non  tenuto in essi calcoli verun oonto della pre- sunta resistenza deir etere. Aggiunta aUa pag, 589^ paragrafo 389. Sono per gran cortesia del signor Professore Cesare D' Ancona ar- vertito che il celebre Owen esaminando test con somma diligenza 1* ani- male fossile di Solenhofen lo giudic essere un uccello e non punto un rettile alato. /r 1' f\^ - y#/^ y 1^ f',.^ *

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