a cura di
Stefano Asperti Sara Gentili e Oreste Floquet Fondamenti di filologia e linguistica romanza 2 Le origini delle lingue romanze e i più antichi testi romanzi corso di laurea in Lingue e culture europee anno accademico 2002-2003 Edizioni Lettere e Filosofia - La Sapienza Stefano Asperti Sara Centili - Oreste Floquet Fondamenti di filologia e linguistica romanza 2 Le origini delle lingue romanze e i più antichi testi romanzi Corso di laurea in Lingue e culture europee Anno accademico 2002-2003 Edizioni della Facoltà di Lettere e Filosofia La Sapienza - Roma Edizione a cura di Biblink Service marchio di Biblink s.r.l. v.le XXI Aprile 63 - Roma 9. Letterature romanze medievali Il titolo del capitolo è ambizioso e promette ciò che non può essere mantenuto. Si cercherà soltanto, più modestamente, di individuare alcune linee di lettura possibili all’in- terno di un quadro che, col passare dei decenni, diviene via via più ricco, articolato, com- plesso, diversificato e nel quale si definiscono tradizioni che a pieno titolo si possono dire nazionali e che costituiscono l'antefatto delle letterature moderne nelle lingue nazionali. 9.1 Il XII secolo: l'affermazione della letteratura in lingua volgare. Il XII secolo, per l’area gallo-romaza, e il XIII, per quelle iberica e italiana, vedono l'affermarsi di tradizioni letterarie nazionali in lingua volgare. Il cambiamento e sostan- ziale: per l'XI secolo occorre parlare ancora a tutti gli effetti di ‘Origini’, ossia di una fase di preparazione della quale rimane un certo numero di testimonianze d'impronta religio- sa, già rilevanti di per sé e che ci permettono anche, assieme alle tracce indirette fornite da testi mediolatini, di abbozzare una preistoria ipotetica, formale e tematica, di alcuni generi profani (epica, lirica); per il XII secolo, limitatamente ancora all'area gallo-roman- za, dobbiamo parlare di piena manifestazione di una ‘letteratura romanza’ variegata nei temi e nelle forme e nella quale campeggiano nuovi generi profani. Questa letteratura si costruisce lungo diverse linee, tra cui, accanto a quella d'ispirazione religiosa che conti- nua, irrobustendosi anzi considerevolmente ed ampliando il proprio spettro formale, s'in- dividuano come costitutive per lo meno quelle dell'epica, della narrativa cortese, della li- rica cortese, della produzione didattica. Dominano le forme versificate, sia là dove è isti- tuzionale il rapporto con la musica - epica, lirica - sia anche nella produzione narrativa e didattica, destinate alla lettura ad alta voce. Si affermano attraverso questi testi nuovi valori e nuovi tipi umani. Nell’epica cam- peggiano eroi cristiani, per lo più cavalieri di nobile stirpe, spesso investiti di feudi, in lot- ta contro nemici di religione diversa, per lo più musulmani, ma anche, per esempio, paga- ni sassoni nella Chanson des Saisnes, ma in lotta anche tra di loro e spesso in dissidio o in aperta rivolta contro il sovrano. Si manifesta qui, con varie sfaccettature, la sensibilità del- la civiltà feudale, tra assetti alto-medievali e realtà contemporanee (le Crociate, i nuovi conflitti e i nuovi equilibri di potere che si delineano tra fine XI e XII secolo entro la strut- tura feudale e tra questa e nuovi soggetti, come le città che ricominciano ad acquisire un certo peso). L'andamento è corale e la destinazione delle opere è, non solo nella fase più antica, quello della declamazione pubblica sulla base di una linea melodica (verosimil- mente di una salmodia d'impianto gregoriano); i personaggi sono eroi simbolici, nei quali il pubblico - e, va notato, un pubblico non esclusivo - può riconoscere i propri campioni. Nella narrativa cortese si afferma un tipo umano simile al precedente, ma diverso: i pro- tagonisti sono di nuovo nobili, cavalieri, ma il loro campo d'azione non è più quello di grandi scontri collettivi tra nazioni, civiltà e religioni, come nell'epica, ma quello dell'av- ventura individuale di ricerca, scoperta e conquista: di un ruolo sociale, di una condizio- ne, di una donna (< DOMINA, quindi “signora”, spesso ereditiera di un feudo e di un titolo: nei romanzi di Chrétien de Troyes due dei protagonisti, Erec e Yvain, sono figli ed eredi di re, ma devono entrambi conquistare una propria dimensione sociale e spirituale assieme ad una donna, di rango e soprattutto di qualità personale a loro adeguata, che devono tro- 59 vare e di cui devono ‘conquistare’ e mantenere l’amore). Si affaccia difatti l’amore - pres- soché assente nelle chansons de geste più antiche e introdotto in quelle più tarde per influs- so appunto del romanzo - come potente stimolo dell’azione umana, talora assolutamente incontrollabile (romanzi di Tristano e Isotta, specie nella redazione di Thomas), talora in- vece mediato da considerazioni di carattere sociale e etico (nei romanzi di Chrétien de Troyes, composti tra il 1160 ca. e il 1185 ca.). I protagonisti sono dunque in primo luogo individui - di norma maschi - impegnati in una ricerca (in francese queste, quéte): su questa linea l’intera tematica, in origine del tutto profana e per certi aspetti decisamente pagana (temi celtici nel Tristan e nella materia arturiana), è anche cristianizzabile (Ricerca del Sa- cro Graal da parte dei cavalieri della Tavola Rotonda di Artù). L'accentuazione individua- le della narrativa cortese riprende e sviluppa in chiave appunto narrativa, attraverso una diegesi, quello che è il nucleo essenziale della lirica cortese, creazione parrebbe esclusiva del Sud della Francia - si veda quanto detto a proposito della componente occitanica nel- l'antica strofetta Las, qui non sun sparvir astur - e di poeti (trovatori) legati al peculiare tes- suto sociale di questa regione, caratterizzata da un'alta frammentazione dei poteri territo- riali. Nel suo più completo e decisivo sviluppo, a partire dalla seconda metà del secolo, la lirica dei trovatori acquisisce valenza e statura europea, imponendosi come punto di rife- rimento ad un tempo di una nuova sensibilità cortese, con accentuazioni complementari a quelle della narrativa francese pure di ambito cortese, e di una forma espressiva che po- tesse dare voce a questa nuova realtà interiore. Una delle ragioni determinanti dell’affer- mazione europea della lirica cortese trobadorica - probabilmente ‘la’ ragione determinan- te a livello tematico-sostanziale -, è proprio l’espressione formalmente compiuta e quindi l'affermazione di una nuova subiettività - laica, fondamentalmente maschile, d'ispirazio- ne latamente cavalleresca - che si manifesta liricamente - e in primo luogo nelle scelte lin- guistiche, nei segnali grammaticali - attraverso l'assunzione di una centralità della prima persona e del punto di vista soggettivo e individuale che ad essa è associato. Questo «io» s'impone nella lirica cortese come forma modellante anche a livello grammaticale dell'in- tero discorso amoroso; dal sistema dei segnali testuali si costruisce una visione dell’esi- stenza che è innovativa rispetto ai modelli tardo-antichi ed alto-medievali, d'estrazione classica, cristiana o barbarica. Si affaccia infine con alcune prime prove la letteratura di ti- po didattico: trattati informativi, spesso stilisticamente molto aridi nelle prime prove do- cumentate e tuttavia significativi di un campo di ‘curiosità’ presumibilmente legate al mondo dei laici e, attraverso questi, all'espressione volgare. È l’inizio della strada che por- ta, attraverso le grandi compilazioni encliclopediche già sviluppate nel XIII secolo (come il Trésor di Brunetto Latini) e poi largamente diffuse nel Basso Medioevo, a quella gradua- le estensione del ‘campo d'azione’ del volgare, a scapito del latino che si è segnalato più volte come uno dei grandi temi sui quali è possibile costruire una periodizzazione di rife- rimento, tra Medioevo e Età Moderna. Tra i generi più emblematici in campo volgare si segnala quello dei Bestiari, di cui è conservato un antico monumento nel Bestiaire anglo- normanno di Philippe de Thaón (ca. 1140). Con questa schematizzazione non si sono voluti che indicare i complessi di generi in- torno ai quali - ripeto, assieme ad una vasta produzione d'ispirazione religiosa: agiografie, raccolte di sermoni - si costruisce per la prima volta, nel XII secolo e in area gallo-romaza, un complesso cui può essere applicato a pieno titolo l'etichetta di ‘letteratura romanza’ 60 (prescindendo dalle pur sostanziali differenziazioni interne ed anche dalla peraltro decisi- Va opposizione tra nord oritanico e sud occitanico, tra forme narrative e didattiche e forme liriche). A partire da questo dato che è in qualche modo ‘di base” - segnalo che nella secon- da metà del secolo si affacciano prime tracce di tradizioni che diverranno consistenti e sta- bili a partire dagli ultimissimi anni del secolo e dai primi del seguente - è possibile schizza- re per sommi capi una serie di prospettive di sviluppo nei secoli successivi: - geografia e storia: a partire dal XIII secolo, anzi dalla svolta tra XII e XIII secolo, compaio- no nuove aree e si delineano nuove tradizioni, mentre si profila un primo declino dell’area occitanica e della tradizione più propriamente trobadorica (mentre altre regioni raccoglie- ranno l'eredità dell'espressione lirica); un primo approfondimento qui di seguito in 9.2; - forme, versi e prosa: tutta la produzione più significativa del secolo XII è in versi, la prosa si affaccia, ma è ancora strutturalmente limitata a tipologie formali ben ristrette (raccolte di sermoni, soprattutto); proprio dalla fine del sec. XII la prosa si afferma nella storiografia e nelle forme narrative ampie (romanzo in prosa) come nuovo, potente stru- mento espressivo, destinato a conquistare progressivamente settori e generi via via più vasti e a restringere progressivamente l’uso della versificazione; la dialettica tra versi e prosa è essenziale per seguire l'evoluzione interna di generi come il romanzo, che regi- strano nel XIII secolo un vero e proprio ‘passaggio alla prosa’ che prevede la ricompila- zione e la riscrittura - e di conseguenza la restrizione o addirittura la scomparsa dalla tradizione manoscritta - di buona parte della produzione precedente in versi; la dialetti- ca tra versi e prosa è peraltro decisiva anche come chiave di lettura in termini nuovi del confronto tra volgare e latino, che si riarticola in termini appunto nuovi sul terreno della prosa: se il volgare si era affacciato nello scritto in forme testuali complesse attraverso la mediazione formale indispensabile del verso e quindi appunto di ‘forme metriche’, lo sviluppo della prosa è permesso da un nuovo grado di coscienza che attribuisce ormai al volgare piena maturità espressiva; il confronto tra versi e prosa non si decide affatto su- bito, si prolunga per tutto il Medioevo (per esempio un momento di singolare rilevanza è alla fine del XIII secolo e nella comparazione tra scrittori che in versi - Jean de Meung, Matfre Ermengau - o in prosa - Ramon Llull - superano la barriera della ‘sottigliezza’, con Dante impegnato su entrambi i fronti), però è chiaro che la svolta di fine sec. XII ha carattere nel complesso decisivo; generi: rispetto al quadro tipologico dei componimenti più antichi più sopra presentato in forma di parametri generali e schematici, il panorama delle tipologie testuali riscon- trabili nel novero tradizioni romanze del Basso-Medioevo si amplia considerevolmente, anche a seguito dell'adozione estesa della prosa (traduzioni di testi sacri e profani, per esempio); tra le innovazioni più significative, oltre appunto al panorama estesissimo dei volgarizzamenti, si segnalano almeno la didattica religiosa e profana e la narrativa con caratteri non più solo cortesi e strutturata su forme brevi, legata prima al verso, poi alla prosa, in forme che preannunciano il racconto e la novella italiana. Ma le radici di tutto questo si possono ravvisare nel XII secolo, anche per esempio nel- l'apparizione della prosa in quei tipi letterari speciali che sono i sermoni, diretti a tutti e quindi programmaticamente e sotto ogni aspetto in rusticam romanam linguam. La letteratu- ra gallo-romanza del sec. XII appare come enorme repertorio comune di forme e temi poi sviluppati successivamente nelle scuole letterarie nazionali: in certo modo e premesso che 61 la centralità francese si manterrà inalterata per tutto il sec. XIII - mentre il ruolo del Sud oc- citanico comincia a declinare precocemente già con l’inizio dello stesso secolo -, il XII seco- lo gallo-romanzo costituisce un momento di grande ‘letteratura europea occidentale’. 9.2 Cronologia assoluta e relativa Come si è preannunciato, è in coincidenza del passaggio tra XII e XIII secolo che si registra un'autentica svolta, accertabile anche sulla base della documentazione conservata e non più ipotizzabile sulla base di indizi e tracce spesso infide o deboli, che concerne sia la Penisola Iberica sia l’Italia. Nella Penisola Iberica registriamo, pressoché contemporaneamente, l'avvio di una tradizione lirica autoctona in lingua galego-portoghese sia la composizione del capostipi- te o ‘capolavoro originario’ della letteratura castigliana medievale, il Poema de Mio Cid, poema epico in tre cantares nel quale sono rievocate le imprese di Rodrigo (Ruy) Díaz de Bivar (ca. 1043-1099), eroe della Riconquista. La più antica cantiga galego-portoghese da- tabile è difatti del 1196 (o degli anni 1200-1201, secondo un diversa interpretazione): si tratta di un testo satirico, a sfondo politico - e questa relazione con avvenimenti e perso- naggi del tempo permette difatti una datazione accurata - composto da Johan Soarez de Paiva (Ora faz ost’ o senhor de Navarra). La tradizione lirica galego-portoghese si estende appunto dall'ultimo scorcio del sec. XII sino al XIV inoltrato, con assai forti caratteri di continuità negli aspetti formali e tematici. Sua caratteristica essenziale è l'adozione, come fatto costituitivo posto a propria base e fondamento, di una sola lingua poetica a base in- nanzitutto galega e poi tintasi di tratti portoghesi nel corso della sua evoluzione e soprat- tutto ad opera dei trovatori più tardi di origine portoghese; questa lingua venne adottata stabilmente anche da autori - trovatori o giullari - non originari della Galizia e non legati specificamente a centri di quella regione. L'esempio massimo ed emblematico è quello del re di Castiglia e León Alfonso X (nato nel 1221, re dal 1252, morto nel 1284), nella cui corte di Toledo è riconosciuto il centro promotore di una tradizione di prosa castigliana di alto livello (Crónica General de España, General Historia, varie compilazioni di carattere didattico e scientifico): Alfonso fu egli stesso poeta profano in galego e adottò questa lingua - rico- nosciuta evidentemente come la sola ‘lingua d’arte’ della lirica nella Penisola Iberica - per la monumentale raccolta di canti in onore della Vergine Maria (Cantigas de Santa Maria) da lui promossa e nella cui realizzazione intervenne di certo direttamente. Per quanto riguar- da l'ambito più propriamente castigliano e il Poema de Mio Cid, tutte le indagini più re- centi convergono nell’assegnare agli ultimissimi anni del sec. XII o ai primissimi del XIII il poema così come conservato nel ms. unico - mentre resta aperto, con opinioni assai di- scordi, il dibattito circa l’esistenza, la natura, la consistenza testuale e l'assetto formale di possibili redazioni anteriori, lungo le quali si costruirebbe in forma letteraria la leggenda di Rodrigo Díaz, che impersonifica i caratteri di un ‘tipo’ epico e umano castigliano: eroe di famiglia nobile ma non appartenente all'alta aristocrazia, valoroso ma anche insoffe- rente e dunque ribelle - giustificato nel poema - contro il proprio re, espulso e bandito dal regno ma capace di riconquistare la dignità e il favore del sovrano grazie alle proprie im- prese. Dopo il Cid e ormai dentro il sec. XIII seguiamo i primi passi di una letteratura ca- stigliana ancora in cerca anche di un proprio canone formale, destinato a definirsi intorno alle figure di Gonzalo de Berceo (Milagros de Nostra Sefiora) e poi soprattutto, come già ri- 62 cordato, di Alfonso X. Per l’Italia, è ben noto a tutti come l’inizio di una vera e propria let- teratura nazionale sia segnato dalla Scuola poetica siciliana costituitasi attorno a Federi- co II. La recente scoperta da parte di Alfredo Stussi (1999, 1999a) di una canzone volgare di poco più antica e non riportabile al canone - autoriale, formale e tematico - della lirica cortese siciliana non muta sostanzialmente i termini della questione e rafforza semmai la rilevanza della fine del XII secolo come momento di autentica svolta. È parso utile cercare di riassumere graficamente il quadro cronologico globale dei rapporti tra letterature romanze e tradizioni manoscritte conservate in una sintesi grafica strutturata per macro-aree che, per ragioni di semplicità ed evidenza espositiva, associa: -sotto l'etichetta di «Francia» tutta l’ area gallo-romanza, quindi sia l’area oitanica sia quella occitanica, con una duplice avvertenza: che la tradizione manoscritta conservata del sec. XII concernente testi oitanici è in larghissima parte costituita da codici di origine anglonormanna; che la tradizione manoscritta della lirica dei trovatori provenzali, ossia del genere letterario di gran lunga più significativo elaborato in questa lingua è com- plessivamente tarda, dal momento che è costituita di grande raccolte repertoriali che non rimontano, negli esemplari conservati, a prima del 1250 - sotto l'etichetta «Spagna» le varie aree iberiche, con l'avvertenza che la quantità di testi portoghesi medievali è minima sino ad una data assai avanzata e che parimenti minima è la quantità di manoscritti medievali conservati. 1100 1200 1300 riferimento cronol. | letteratura . . | Francia mss. . | letteratura Italia, Spagna mss. I manoscritti francesi conservati del sec. XII sono relativamente numerosi, ma ancora facilmente computabili e ordinabili tassonomicamente: il catalogo di Woledge e Short (1981) ne annovera 46, più altri 65 ‘possibili’, ossia da assegnare al periodo a cavallo tra XII e XIII sec., ai quali si può aggiungere un certo numero di manoscritti occitanici (8). Non si dispone al momento di un censimento dei manoscritti. del sec. XIII, il cui numero è valutabile nell'ordine delle centinaia, anzi probabilmente sopra il migliaio, con molti co- dici di provenienza italiana: si tratta dunque di un ordine di dimensione del tutto diverso. Al contrario - e sempre considerando i veri e propri ‘libri’ e trascurando dunque le testi- monianze sparse e avventizie - il numero dei manoscritti duecenteschi italiani è ancora ri- strettissimo (i tre grandi ‘canzonieri antichi’ della lirica delle origini, i codici della poesia didattica settentrionale, il Laudario di Cortona, alcune raccolte di testi didattici in prosa: la maggior parte di questi codici è da assegnare all'ultimo scorcio del secolo). Analoga- mente, i pochi codici duecenteschi di origine spagnola sono pressoché tutti da associare a 63 un luogo e a una situazione particolarissima, ossia alla corte castigliana di Alfonso X, che fu in ogni senso grande centro culturale e grande officina scrittoria, ossia luogo sia di compilazione sia di trascrizione delle opere. Dopo l’anno 1300 si registra una svolta per tanti aspetti decisiva in tutta la Romània letteraria: mentre si attenua la centralità francese e viene meno del tutto - fuorché per la sola Catalogna, che conserva gelosamente questa eredità sino alla metà del sec. XV - il punto di riferimento rappresentato dalla lirica cortese provenzale, si delineano varie tra- dizionali nazionali, che appaiono ormai saldamente costituite e provviste ciascuna di pro- pri tratti caratterizzanti e distintivi. Anzi, mentre la Guerra dei Cent'Anni (ca. 1340- ca. 1450) è causa di una profonda crisi materiale e culturale in Francia, il Trecento vede l'au- tentica ‘esplosione’ della letteratura volgare italiana e, soprattutto, l'aumento esponenzia- le del numero dei codici conservati, rappresentativi di tutti i generi della cultura scritta. Anche dal quadro qui sommariamente abbozzato e dai riferimenti cronologici che lo delimitano risalta in maniera netta la centralità delle letteratture gallo-romanze in una fa- se decisiva di origini che abbraccia il sec. XII e buona parte del XIII. Questa funzione e po- sizione centrale è avvertibile nell'irradiamento dei testi e nella diffusione di aspetti sia te- matici (i nuovi personaggi e i nuovi paesaggi e terreni d'azione della letteratura romanza del sec. XII) sia formali (si è detto della quartina di alessandrini in Spagna; in Italia è diffi- cile svincolare l'endecasillabo dal décasyllabe lirico gallo-romanzo, soprattutto provenzale, a sua volta connesso almeno a livello generico con il décasyllabe epico delle antiche agio- grafie cantate e delle canzoni di gesta). 10. Testi, lingue, forme La breve collezione di estratti e di testi brevi che qui si presenta ha finalità prevalen- temente linguistiche e di esemplificazione di diversi tipi testuali romanzi delle Origini. Non s'intende delineare un canone né si pretende di avere individuato testi emblematici e in tutto rappresentativi delle regioni, delle lingue, delle letterature e dei tipi formali. 10.1 Problemi generali della presentazione dei testi antichi. Quale avvertenza problematica alla lettura e al commento di una breve selezione di testi romanzi delle origini è opportuna una premessa circa la presentazione dei testi attraverso le edizioni e le varie questioni che sono sottese alla pratica editoriale, ossia appunto di pubbli- cazione dei testi. Le considerazioni hanno carattere generale e si applicano quindi all'intera categoria dei testi scritti, non solo letterari e non solo delle Origini; esse possono pertanto ve- nire estese, con i dovuti adattamenti, ad altri campi, primo tra tutti quello dei testi musicali. I testi, quali che siano, vengono intanto presentati o offerti al lettore in un formato edito- riale che rispetta una serie di convenzioni moderne; più sostanzialmente il loro dettato deve essere controllato al fine sia di depurarlo dagli errori di trascrizione, che si presentano inevi- tabilmente in ogni processo di trasmissione non completamente meccanico, sia di individua- re e se possibile isolare ed eventualmente eliminare manipolazioni posteriori alla volontà ac- certabile dell'autore (integrazioni, omissioni, revisioni linguistiche e stilistiche, ecc.), proce- dendo tra l’altro al confronto di tutte le copie disponibili, manoscritte o a stampa. 64 In generale, l'assetto testuale e para-testuale e l’avan-testo (titoli, paragrafatura, sud- divisioni, ecc.) sono determinati da colui che si prende la responsabilità dell'edizione e che agisce secondo principi e direttive operative dettate da una branca peculiare delle di- scipline filologiche - non solo quella romanza, ma anche, ad esempio, quelle classica e germanica, nei rispettivi ambiti di competenza - e che va sotto il nome di critica del testo. Con nome di critica del testo (o critica testuale o ecdotica), da non confondere assolu- tamente con ciò che nella critica anglosassone viene denominato come «textual criticism» e che è piuttosto una critica letteraria di tipo formale, indichiamo l'insieme principi teorici, di tecniche e di operazioni finalizzate al tentativo di offrire ai lettori una edizione critica del testo preso in esame, ossia - nella formulazione più generica e onnicomprensiva - una versione attendibile del testo stesso, depurata cioè per quanto possibile - in termini non solo di assoluta possibilità di individuazione del punto critico, ma anche di efficacia e di praticità della soluzione che per esso si può offrire - da errori, inesattezze e modificazione di ogni tipo che si siano inserite nel corso di ciò che definiamo tradizione del testo, ossia della sua trasmissione - manoscritta, a stampa, orale, mista - o diffusione. In particolare, nella peculiare prospettiva e tradizione di studi filologici viva in Italia, l’obiettivo posto al- la critica del testo è quello di cercare di ricostruire il testo in una redazione o assetto che si avvicini per quanto possibile all'originale - ossia all’intenzione dell'autore - e di accompa- gnare comunque la pubblicazione di un testo da un tentativo di analisi della sua tradizione - manoscritta, a stampa, ecc. - che permetta di illustrare e di spiegare le diverse forme - mi- crotestuali così come macrotestuali - concorrenti e quindi di dare conto criticamente della vita e della storia - nel tempo, nello spazio e negli ambienti - del testo in questione nelle va- rie fasi del processo di diffusione, quindi nelle sue varie forme e modalità di esistenza. Come edizione critica di un testo, qualunque esso sia - dal libro di conti al documen- to giuridico al testo letterario propriamente detto - indichiamo l'operazione di pubblica- zione - ed anche il prodotto di tale operazione, ossia il testo edito appunto in edizione cri- tica - del testo in esame, del quale viene stabilita e controllata criticamente la lezione, ossia l'esatta definizione testuale, partendo dall'esame di tutte le testimonianze - ossia le atte- stazioni - oggi disponibili. Questa operazione di revisione critica del testo sulla base di tutte queste componenti è necessaria anche nel caso - rarissimo per i testi medievali, via via più frequente man mano che ci si avvicina ai nostri giorni - in cui si disponga di una copia, manoscritta o a stampa, redatta sotto il controllo dell'autore, e da lui autorizzata (idiografo), o anche di un autografo vero e proprio, dal momento che gli scrittori sono ta- lora pessimi copisti di se stessi (un esempio clamoroso è fornito da Boccaccio con l'auto- grafo della versione definitiva del Decameron, conservata nel ms. Hamilton 90 della Deut- sche Staatsbibliothek di Berlino). In entrambi i casi è difatti necessaria, oltre quantomeno una revisione per isolare eventuali errori e refusi di stampa, anche banali, che si siano in- trodotti e siano rimasti inavvertiti, un'operazione di allestimento editoriale secondo crite- ri moderni - regolarizzazione di maiuscole e minuscole, inserimento di segni diacritici (accenti, apostrofi, ecc.) e di segni di punteggiatura; si tratta di un'operazione nient'affatto banale e scontata nel momento in cui si devono operare scelte concernenti per esempio la separazione delle parole, che obbedisce nei testi antichi a regole diverse dalle nostre, o la disposizione di punteggiatura di fronte a modelli privi o quasi di segni ovvero, all’oppo- sto, dotati di una punteggiatura antica, magari d'autore, non direttamente compatibile col 65 sistema moderno sia quanto a simboli sia quanto a significato e valore, o ancora la suddi- visione del testo in unità significative - capitoli, paragrafi, ecc. - a fronte di organizzazioni non chiare o contraddittorie. Nel corso di tale operazione di definizione del testo critico si procede innanzitutto ad un censimento delle attestazioni disponibili, ossia delle varie copie, manoscritte o a stampa (o anche, per casi recentissimi, sotto forma di registrazioni audio), del testo esami- nato, quelle che definiamo normalmente testimoni o relatori del testo. L'insieme dei testi- moni costituisce la tradizione del testo. Definito l'elenco dei materiali, si passa ad una lo- ro analisi comparativa, finalizzata all'interpretazione ed alla spiegazione delle differenze eventualmente presenti nei testimoni. Si utilizzano a questo fine criteri di valutazione di ordine più propriamente filologico (modalità e aspetti della trasmissione dei testi) inte- grati strettamente con altri di ordine linguistico o letterario o storico-culturale, riferiti sia all’epoca ed all'ambiente nel quale possiamo collocare il momento di produzione del testo (norma linguistica, varianti dialettali, assetti stilistici, costrizioni formali dettate dai generi letterari, coerenza, e così via) sia anche al singolo autore, ciò che si indica spesso con la definizione latina di usus scribendi - di un singolo, ma anche di un ambiente particolare: possiamo parlare, ad esempio, di usus scribendi di una particolare cancelleria. Come si è già detto, confrontando tra loro tali redazioni concorrenti sulla base dei criteri linguistici, letterari e filologici sopra illustrati, l'editore critico dovrà cercare di individuare ed isolare e se possibile eliminare dal testo che presenta gli errori e le alterazioni o innovazioni, di qualsiasi tipo esse siano, introdottesi nel corso della trasmissione, avendo come scopo principale la restituzione del testo in una stesura che sia la più vicina possibile a quella originaria, tenuto conto, beninteso, delle condizioni di partenza, ossia della tipologia e qualità delle redazioni conservate. Parallelamente a tale operazione di restauro formale viene fornita un'interpretazione e illustrazione linguistica, storico-culturale e letteraria del testo, tale da dare conto delle sue caratteristiche. Nella disposizione tipografica tipica delle edizioni critiche, il testo stabilito dall'edi- tore - spesso come detto accompagnato da una parafrasi e da note interpretative - viene affiancato dalle varianti presenti nella tradizione, ossia da tutte le altre lezioni alternative a quella scelta che sono presenti nei relatori del testo (anche lezioni di un testimone unico rifiutate perché ritenute erronee). Si può trattare sia di errori, sia di varianti equivalenti o adiafore a quella adottata, scartate a seguito dell'esame comparativo sopra descritto del complesso della tradizione e dei rapporti tra i testimoni. Tutte queste varianti sono pre- sentate in un'apposita sezione denominata apparato delle varianti (e sinteticamente ap- parato), disposto o in appendice al testo oppure, meglio, in un'apposita fascia tipografica disposta a piè di pagina, in conveniente rapporto con la sezione di testo cui le varianti si riferiscono oppure ancora in combinazioni miste dei due sistemi, con presentazione a piè di pagina delle varianti di maggior rilievo e rinvio ad un'appendice per la documentazio- ne completa o integrativa. È possibile organizzare l'apparato su più livelli o fasce, in mo- do da distinguere tra loro dati diversi per qualità o importanza. Il testo stabilito nelle edizioni critiche è poi utilizzato nelle edizioni commentate o di- vulgative dei testi in questione; di norma la fonte viene indicata in un'avvertenza iniziale. Per esempio, le varie edizioni commentate della Divina Commedia oggi correnti adottano il testo critico stabilito da Francesco Petrocchi per l'edizione promossa dalla Società Dantesca 66 Italiana (La Commedia secondo l'antica vulgata, 1966-67) e fondato, come indica il titolo stesso, sul censimento dei codici più antichi del poema, ossia tendenzialmente quelli copiati entro il secondo terzo del Trecento; ma il «testo Petrocchi» ha faticato ad inserirsi nella prassi edi- toriale e prima ancora di commento scientifico in luogo di quello, peraltro già eccellente, «Barbi-Vandelli» preparato per la stessa Società Dantesca nel 1921, come parte dell'edizione critica collettiva delle opere di Dante; e ancora più lenta e faticosa era stata l'affermazione di quest'ultimo su versioni anteriori, corrispondenti ad una vulgata ottocentesca, inattendi- bili in sé, ma rafforzate dalla tradizione d'interpretazione e commento costituitasi sull'asse De Sanctis - Croce nel periodo di fondazione di una moderna storiografia letteraria italiana (a titolo d'esempio, si pensi che le prime edizioni di uno dei commenti più classici, quello di Natalino Sapegno, apparso alla fine degli anni ‘40, ancora non adottano il testo del 1921, ac- colto solo gradualmente nelle successive revisioni: cosa che può apparire del tutto incom- prensibile, dal momento che quella del 1921 era appunto l’unica edizione critica disponibile ed era nota l'inaffidabilitá delle versioni alternative circolanti, se non si considerano i fattori d'inerzia legati alla tradizione interpretativa e culturale). Quanto detto circa i testi antichi vale anche per i testi moderni e contemporanei. In- nanzitutto, a un livello minimo, una verifica è sempre opportuna per l'individuazione di refusi tipografici. Più sostanzialmente, un'operazione di collazione tra copie e di riscontro sugli originali, ove disponibili, è da considerare doverosa in tutti quei casi in cui non si abbia sicurezza che il processo di stampa e diffusione sia avvenuto sotto il pieno controllo dell'autore e ne rispetti appieno le volontà; è il caso di edizioni-pirata, ma anche, per esempio, di una situazione non rara nell'editoria sia antica sia moderna come quella della correzione in fase di stampa, magari fascicolo per fascicolo. Identicamente si procede quando si disponga di ulteriori copie d'autore, posteriori alle stampe e non più giunte alla luce, in cui l’autore abbia introdotto correzioni e varianti, delle quali occorre ovviamente tener conto e che possono implicare operazioni delicate di confronto tra fasi redazionali successive e stadi incompleti, da collocare nell’esatta gerarchia. Ci si avvicina in questa direzione ai campi che sono propri della critica delle varianti e della critica genetica. 10.2 Antico-francese: la “Cantilena di Santa Eulalia” Il testo è conservato nel ms. 150 della Biblothèque Municipale di Valenciennes. Si trat- ta di un codice pergamenaceo di 143 cc., assegnabile al IX secolo e proveniente dal fondo librario del monastero benedettino di Saint-Amand, nei pressi di Valenciennes, sul confine franco-belga. Il codice contiene la traduzione latina dei Sermoni teologici di San Gregorio di Nazianzo (cc.1-140): questa parte del manoscritto venne esemplata molto probabilmente in territorio germanico, sulla riva sinistra del Reno, nella prima metà del secolo IX. Il codice venne in seguito trasportato a Saint-Amand: anche tenendo conto dei particolari testi inse- riti, tra cui appunto l’Eulalia (v. sotto), si è ipotizzato - senza certezze, ma con indubbia ve- rosimiglianza complessiva - che il manoscritto sia giunto, con altri, nel monastero per rico- stituire la biblioteca, distrutta durante incursioni vichinghe negli anni 881 e 883. Alla fine del codice vennero operate alcune aggiunte di testi brevi, quelli che qui interessano, da parte di tre diverse mani tutte attribuibili su base paleografica alla fine dello stesso secolo IX. Sul recto della c.141 venne trascritta una sequenza latina dedicata a Santa Eulalia. Sul verso della stessa carta venne in seguito trascritta la sequenza volgare di Santa Eulalia, 67 che ha come proprio modello il testo latino. Nel poco spazio ancora disponibile in fondo a c.141v inizia la trascrizione del Rithmus teutonicus de piae memoriae Hluduuico Rege filio Hluduuici aeque regis, completata poi su due fogli ulteriori appositamente aggiunti alla fi- ne del codice. Sempre sui medesimi fogli e immediatamente a seguito del il testo germani- co, un'ulteriore trascrittore aggiunse un’altra sequenza latina (Vis fidei tanta est), sempre d'argomento religioso, ma non più connessa con la martire Eulalia. Il Rithmus teutonicus venne composto per onorare il re Ludovico, vincitore della batta- glia di Saucourt dell'881 e morto poi l’anno seguente: è dunque sicuramente databile tra i due avvenimenti, mentre l'intitolazione piae memoriae presente nel manoscritto ci garanti- sce che la trascrizione è posteriore alla morte. Allo scorcio del IX secolo è da ricondurre an- che la duplice sequenza, latina e volgare, su Sant' Eulalia, martire spagnola del secolo III: in- fatti il culto della santa si diffuse particolarmente dopo la scoperta del presunto sepolcro della Santa, avvenuto nell'878 a Barcellona (città che da pochi anni - 874 - era divenuta vas- salla del regno carolingio di Francia) e la successiva traslazione delle reliquie nel convento femminile di Hasnoné presso Saint-Amand. Sebbene nessuna delle mani che esemplano i testi aggiunti possa essere assegnata con sicurezza allo scriptorium di Saint-Amand, è cer- to che gli interventi vennero operati nell'ambiente del monastero, luogo in cui s'incrociano più percorsi: Saint-Amand è centro in quegli anni di un'importante scuola di musica, pro- mossa dall'abate Hucbald; siamo nelle immediate vicinanze del luogo di conservazione delle reliquie di Eulalia; è ben comprensibile che nel monastero vi fosse un interesse spe- ciale per il ricordo dell'impresa del re Ludovico che, sbaragliando i vichinghi, aveva vendi- cato il saccheggio dell'abbazia e garantito la sua sicurezza; è infine sicuro che la comunità annoverasse tra i propri membri monaci originari di territori sia romanzi sia germanici. È anzi a questo proposito altamente significativo che entrambi i testi volgari - sia l'Eulalia che il Rithmus teutonicus - siano conservati in un codice proveniente da una regione di confine fra i due domini linguistici, dove evidentemente era più acuta la sensibilità verso le due modalità espressive, distinte tra loro e in opposizione con il registro più elevato costituito dal latino. Il facsimile (Tavola 6) dà un'idea della presentazione del testo. Al v. 15 si pone il più delicato e per certi aspetti l’unico serio problema interpretativo del testo, connesso anche con un dato paleografico della trascrizione: il copista ha certa- mente in un primo tempo scritto aduret, con vistosa -r- dal trattino ondulato superiore prolungato verso destra; un intervento successivo, e non necessariamente del medesimo copista, ha corretto questa -r- in -n-, cosicché si avrebbe adunet (lettura del revisore, ma non per questo sicuramente corretta o da preferirsi ad aduret sulla base del solo criterio della posteriorità: sono difatti possibili correzioni erronee, soprattutto di fronte a luoghi non semplici). L'una e l’altra lettura sono state alternativamente proposte da diversi stu- diosi in una lunga serie di interventi. Nessuna delle due risulta totalmente convincente ri- spetto all'altra. Si è qui seguita la redazione aduret, che corrisponde alla prima - e forse unica - volontà chiaramente espressa dal copista. La sequenza (prosa nella terminologia metrico-musicale del tempo) è composta di 14 periodi ritmici di lunghezza diseguale, ciascuno dei quali è costituito di due unità pari tra loro per computo sillabico, legate da assonanza e spesso simmetriche o per lo meno corre- late sintatticamente quanto a sviluppo testuale. La struttura ricalca in gran parte quella della sequenza latina, tanto che si potrebbe pensare che i due componimenti prevedessero 68 la medesima melodia. Peraltro le due sequenze sono diversissime dal punto di vista del contenuto e della struttura poetica: la sequenza latina ha un assetto lirico e andamento quasi elegiaco nel ricordo della martire, canta il valore della testimonianza di fede per il credente; la sequenza volgare ha al contrario assetto decisamente narrativo - dimensione che è pressoché assente nel componimento latino, limitata com'è a due soli periodi centra- li - e descrive la funzione esemplare del suo martirio. Si possono immaginare funzioni di- verse e anche pubblici distinti per le due sequenze: quella volgare, pensata forse per i ru- stici, poteva avere destinazione più ampia rispetto a quella, più elitaria per lingua e taglio complessivo, della prosa latina. Buona pulcella fut Eulalia, Bel auret corps, bellezour anima. Voldrent la veintre li Deo inimi, Voldrent la faire diaule servir. Elle no’nt eskoltet les mals conselliers, Qu'elle Deo raneiet chi maent sus en ciel, Ne por or ned argent ne paramenz, Por manatce regiel ne preiement; [és] © Œ NI SI O1 BB © ND Niule cose non la pouret omque pleier 10 La polle sempre non amast lo Deo menestier 6 11 E por o fut presentede Maximiien, 12 Chirex eret a cels dis soure pagiens. 7 13 Il li enortet, dont lei nonque chielt, 14 Qued elle fuiet lo nom christiien. 8 15 Ell’entaduretlo suon element. 16 Melz sostendreiet les empedementz 9 17 Quelle perdesse sa virginitet. 18 Por o's furet morte a grand honestet. 10 19 Enzenl fou lo getterent com arde tost. 20 Elle colpes non auret, por o no's coist. 11 21 Aczono' voldret concreidre li rex pagiens, 22 Ad une ‘spede li roveret tolir lo chief. 13 23 La domnizelle celle kose non contredist, 24 Volt lo seule lazsier, si ruovet Krist. 13 25 In figure de colomb volat a ciel. 26 Tuit oram que por nos degnet preier 14 27 ` Qued auuisset de nos Christus mercit 28 Post la mort et a lui nos laist venir 29 Par souue clementia. 1 Perfetta fanciulla fu Eulalia, 2 bello ebbe il corpo, ma ancor più bella l’anima. 3 Vollero vincerla i nemici di Dio, 4 vollero farle servire il diavolo. 69 Ella non ascolta i malvagi consiglieri, (che vogliono) che rinneghi Dio, che regna nei cieli, né per oro, né per argento, né per abiti lussuosi, (né) per minaccia (fatta in nome) del re, né per lusinga; nessuna cosa non la poté mai piegare 10 (ache) la fanciulla non amasse sempre il servizio diDio. 11 E pertanto fu condotta davanti a Massimiano, 12 che regnava a quel tempo sui pagani. 13 Egli la esorta - cosa di cui a lei non importa nulla - 14 che ella abbandoni la fede cristiana. 15 Ella ne rafforza il proprio spirito (?). 16 Preferisce sopportare ogni supplizio 17 piuttosto che perdere la sua verginità. 18 Per questo ella subì una morte gloriosa. 19 Dentro al fuoco la gettarono per bruciarla rapidamente. 20 (Ma) ella non aveva colpe, e perciò il fuoco non la toccò 21 A questo segno non volle rassegnarsi il re pagano, 22 ordinò che con una spada le tagliassero la testa. 23 La fanciulla non si oppose a tale cosa, 24 volle lasciare il mondo, (di questo) supplica Cristo. 25 In forma di colomba salì al cielo. 26 Preghiamola tutti che voglia intercedere per noi 27 che Cristo possa avere pietà di noi 28 dopo la morte e ci lasci venire a lui, KO 0 `] Ô O1 29 nella sua misericordia. Caratteristiche linguistiche Principali isoglosse del francese: trattamento di -A- tonica libera, che, attraverso un dittongamento -ae- (cfr. qui 6 maent < MANET, con sviluppo bloccato dall'adiacente nasale), passa a /e/ (poi chiuso in /e/ e ri- aperto nel XVIII secolo in /e/ per la legge detta «di posizione»), e, quando è preceduta da fonema palatale, a /ie/ (legge detta «di Bartsch»); questo esito contrappone il francese a provenzale e franco-provenzale (ed anche al pittavino, di pià incerto statuto), secondo la seguente tabella: LATINO -A- MARE palat. + -A- TALIARE, CARA francese è mèr -ier- taillier, chiere provenzale a mar -ar- talhar, cara franco-prov. a mar -ier- taillier, chiere pittavino e mer -er- tailler, chere Qui: 11 presentede (< PRESENTATAM), 13 enortet, 14 christien, 17 honestet (< HONESTATEM), 22 spede, 26 preier e 8 regiel (< REGALEM), 9 pleier (<PLICARE), 11 Maximiien (< ), 12 pagiens (< PAGANOS), 13 chielt (< CALET), 22 chief (< CAPUT), 24 lazsier, 26 preier. 70 riduzione di -A finale a -e, progressivamente indebolita, contro la conservazione del fonema in provenzale; in franco-provenzale -A E conservata solo quando finale assoluta, altrimenti evolve in -e- e, se finale assoluta e preceduta da fonema palatale, in -i, come da schema. Esempi nella Santa Eulalia (che presenta nella scripta forti latinismi grafici, come 1 buona pulcella ... Eulalia, 2 anima): 5 Elle, 13 nonque (< NUMQUAM), 18 morte. LATINO PORTA, -AS VINEA, -AS francese porte, portes vigne, vignes provenzale porta, portas vinha, vinhas franco-prov, porta, portes vigni, vignes dittongamento delle vocali in sillaba libera: di _ lat.: 6, 25 ciel di _/_: 16 sostendreiet < *SUSTINERE + HABEBAT, 21 concreidre < CONCREDERE di _:1 buona, , 24 ruovet (< ROGAT) di_/_:2 bellezour, Si noti tra l’altro la contrapposizione tra: fem. souue (<S AM) + masch.15 suon (<s_UM), che prevede un'apertura della vocale tonica, poi dittongata. Tuttavia: 6 raneiet, 13 lei, 16 melz, 20 coist (mancati dittongamenti, a causa di uno yod adiacente) e 3 Deo, 24 seule (< SECULUM), 19 fou (mancati dittongamenti causati dalla presenza della semivocale finale u): entrambi i fenomeni che sono caratteristici dell’area (piccardo-) vallone. Quali tratti differenzianti rispetto al provenzale si segnalano la riduzione del dit- tongo latino -AU- > o (es. 9 cose), l'evoluzione di G + E/I, il sistematico intacco delle velari davanti ad A; mancano nell’Eulalia esempi della forte tendenza alla lenizione delle occlu- sive intervocaliche che è caratteristica dell'antico-francese e in generale del gallo-romanzo (cfr. solo 22 spede < SPATHA). Declinazione: compaiono diversi casi soggetti singolari: 6 chi, 12 rex, 13 il, 21 li rex pa- giens, 27 Christus e plurali: 3 li inimi, 26 tuit, a fronte di casi obliqui singolari e plurali quali per esempio: 10 lo menestier, 14 lo nom, 15 lo suon element, 24 Krist e 5 les mals conseil- lers, 12 pagiens. Il dativo di possesso compare in 3 li Deo inimi “i nemici di Dio” e in 10 lo Deo menestier. Nella morfologia verbale si segnalano i perfetti forti: 2 auret, 9 pouret, 20 coist, 21 vol- dret e una prima attestazione di condizionale: 16 sostendreiet, con la funzione specifica di fututo nel passato. È da notare come tratto complessivamente caratteristico dell' Eulalia l'assenza di arti- colo in alcuni sintagmi che parrebbero invece richiederlo (cfr. v.2 auret corps, bellezour ani- ma, 4 faire diaule servir, 25 volat a ciel) e che è del resto altrove utilizzato secondo l’uso vol- gare: v.3 li Deo inimi, 5 les mals conseillers, 10 la polle, 10 lo Deo menestier, ecc. Tratti regionali valloni, cioè esattamente della regione di St.Amand: - vocalizzazione di /B/ davanti a /1/: 4 diaule; - passaggio /en/ > /an/ in posizione iniziale atona: 6 raneiet, 8 manatce; - riduzione o mancato sviluppo dei dittonghi (v. sopra); - presenza di un elemento epententico antiiatico: 29 souue (da scomporre in sou-u-e); 71 - desinenza di 19 plur. in -am anziché in -on /-ons: 26 oram; - grafia -zs- per un probabile grado intermedio tra quelli di fricativa dent. (sibilante) sorda e di fricativa palat. sorda, ossia tra /s/ e /1/,in posizione intervocalica: 24 lazsier < LAXA- RE, ma 20 coist, 23 contredist, 28 laist; - conservazione di uno stadio arcaico di evoluzione nei perfetti latini in -UI: 2 auret e sopr. 27 auuisset < HABUISSET (ma potrebbe appunto trattarsi di arcaismi); - mancato inserimento della e- prostetica davanti a parola iniziante per ‘s complicata’ (os- sia con un nesso di sibil.+cons. occlus.): 22 spede < SPATA. Tuttavia non mancano dati contraddittori o che comunque richiedono un'interpreta- zione attraverso ipotesi; li si presenta qui sinteticamente soprattutto in chiave di esempio metodologico circa le difficoltà che s'incontrano nella valutazione di realizzazioni grafi- che (problema che si continua a presentare ogni qual volta non vi sia una sicura corri- spondenza tra sistema grafico e fonetico, ovvero quando non si sia del tutto certi rispetto a quest’ultimo: situazione che è in realtà abbastanza frequente per i testi dialettali anche in epoca recente). Nell Eulalia s'individuano difatti due fenomeni o gruppi di fenomeni non riducibili all'area dialettale vallone: - esito di /ka-/iniziale: va considerata l’intera serie: 13 chielt, 22 chief, 9 cose, 23 kose, tenen- do presenti casi di pronuncia velare indubbia come 12 chi (< QUI), 2 corps, 5 eskoltet non- ché 21 czo (ECCE HOC), che sta ad indicare un'affricata dentale /°/, come ci aspetteremmo e come garantisce l'utilizzazione del medesimo gruppo grafico da parte dello stesso co- pista nel testo tedesco, ed ancora 1 pulcella, 8 mantatce, 3 veintre; sono possibili due spie- gazioni: o si tratta di influssi di tipo piccardo, ove, come in normanno, si mantiene la ve- lare, oppure si tratta di un problema di resa grafica, per cui diversi grafemi, alcuni con- servativi, altri innovativi, concorrono ad indicare delle pronuncie ormai di tipo affricato; - presenza di una consonante epentetica di transizione, un’occlusiva dentale sonora /d/, in sequenze di nasale + vibrante (16 sostendreiet) e di laterale + vibrante (3, 4 voldrent, 21 voldret) causate dall'evoluzione fonetica; questo tratto, che pare indubbio a partire da quelle grafie, non è né piccardo né vallone, sino ad una data assai avanzata; si può pen- sare ad un influsso linguistico ‘originario’ di area centrale o champenoise, possibile ma non facilmente spiegabile a quest'epoca, ma anche, con uguale probabilità, a un primo esempio di interferenze tra originale e copia in ambito romanzo a causa di una discre- panza tra sistema del testo nel modello e sistema linguistico del trascrittore, non necessa- riamente vallone (in effetti nessuna delle mani cui si devono le aggiunte poetico-musicali è riconoscibile con sicurezza come di un copista di St.Amand). Quest'ultima spiegazione è valida anche per le incertezze sopra rilevate nella resa grafica di velari e affricate. 10.3 La “Chanson de Saint Alexis” Per la presentazione generale del testo cfr. più sopra cap. 8.1, scheda 9. Testo di pas- saggio tra i poemetti delle Origini e i grandi testi del XII secolo, la Chanson de Saint Alexis (o Vie de Saint Alexis) presenta difatti caratteri assai antichi accanto ad altri innovativi. Tra i primi, oltre alla lingua, un assetto estremamente controllato del dettato, in qualche misu- ra ieratico, ma soprattutto scarno, essenziale, del resto in assoluta consonanza col conte- nuto della narrazione; anche l'assetto sintattico appare rigido, con articolazione ridotta al 72 minimo. Tra gli elementi innovativi l'adozione del décasyllabes e il ricorso a gruppi di stro- fe tra loro corrispondenti e concatenate, espediente che ‘rallenta’ l’azione e produce un ef- fetto di intensificazione emotiva e che è proprio anche dell'epica più antica, specialmente della Chanson de Roland. La lingua presenta tratti arcaici nella fonetica, in particolare nella resistenza al dile- guo delle consonanti intervocaliche: cfr. 19 honurede; 20 cuntretha, 35 emperethur. Da notare ancora le vocali d’uscita con grafia non regolare, uso simile a quanto costatato nei Giura- menti di Strasburgo: 12 Nostra, 29 batesma, 43 conpta e anche 20 cuntretha, 116 tendra. La componente anglonormanna risalta in maniera evidente: - nelle grafie -u- per -ou- da _/_ latine (per es. già nella str.1 anciénur : amur : prut : ancei- Surs); - nella resistenza al dittongamento: 8 secles; - nell'assenza d'intacco della velare davanti ad -a-: 40 acatet, 111 serganz, 130 ker. Rispetto al francese moderno, va rilevato che nell'Alexis e nel Roland la nasalizzazio- ne delle vocali pare non essere avvenuta (o non essere considerata tratto significativo: ma questa spiegazione pare più debole); infatti, contrariamente all'impressione data dai cam- pioni testuali qui presentati (cfr. in part. strofe 2, 5, 8, 23), in altri luoghi troviamo in una stessa strofa parole assonanti con e senza nasali: cfr. per es. 71 guerpir : esmeriz : quis : pele- rins : tolir e 72 empereor : ureisuns : afflictiuns : hom : conuissum. L'edizione segue il testo stabilito da Perugi 2000, con minime modificazioni nella punteggiatura. Si aggiunge il testo del prologo in prosa, che si legge nel solo manoscritto più antico e che certamente non è originale, e che però, oltre ad essere uno dei più antichi monumenti della prosa francese, fornisce indicazioni assai utili circa la percezione della chanson da parte del pubblico del tempo. Ms. Hildesheim, f. 39r Ici cumencet amiable cancun e spiritel raisun d'iceol noble barun, Eufemien par num, e de la vie de sum filz boneüret, del quel nus avum oit lire e canter. Par le divine volentet il de- sirrables icel sul filz angendrat. Aprés le naisance co fut emfes de Deu methime amét, e de pere e de mere par grant certét nurrit. La sue juvente fut honeste e spiritel. Par l’amistét del surerain pietét, la sue spuse juvene cumandat al spus vif de veritet, ki est un sul faitur e regnet an trinitiet. Icesta istorie est amiable grace e suverain consulaciun a cascun me- morie spiritiel, les quels vivent purement sulunc castethét e dignement sei delitent es goies del ciel et es noces virginels. Qui comincia amabile canzone e spirituale racconto di quel nobile signore, di nome Eufemia- no, e della vita del suo benedetto figlio, del quale tanto abbiamo udito leggere e cantare. Per volere divino egli, che lo voleva ardentemente, generò un figlio. Dopo la nascita il fanciullo fu prediletto da Dio stesso ed allevato con grande cura dal padre e dalla madre. La sua giovi- nezza fu retta e spirituale. Per amore della benevolenza divina, la sua giovane sposa affidò al Vivo Sposo di verità, che è Creatore e regna in Trinità. Questa storia è amorevole grazia e con- solazione dell'Altissmo a tutti gli spiriti elevati, i quali vivono nella purezza, secondo castità, e degnamente si dilettano alle gioie celesti e nelle nozze virginali. I Bons fut li siecles al tens anciénur, Quer feit i ert e justisie ed amur, S'i ert creance, dunt or_ n'i at nul prut: 73 II II III IV VI III IV Toz est müez, perdut ad sa colur: Ja mais n'iert tels cum fut as anceisurs. 5 Al tens Noé ed al tens Abraham Ed al David, qui Deus par amat tant, Bons fut li secles, ja mais n'ert si vailant: Velz est e frailes, tut s'en vat declinant, Si'st ampairet, tut bien vait remanant. 10 Fu buono il mondo al tempo degli antichi, /vi regnavano giustizia e amore / e vi regnava la fede, che ora non è tenuta in conto; /tutto è cambiato, ha perduto il suo aspetto: /non sarà mai pià come fu per gli antenati. Al tempo di Noè ed al tempo di Abramo /ed a quello di David, che Dio tanto predilesse, /buono fu il mondo, mai più avrà tale valore; /è vecchio [ora] e fragi- le, va in tutto declinando, /è peggiorato, ogni bene viene abbandonato. Puis icel tens que Deus nus vint salver Nostra anceisur ourent cristientét; Si fut un sire de Rome la citét, Rices hom fud, de grant nobilitét: Por hoc vus di, d'un son filz voil parler. 15 <E>ufemien, si out a-nnum li pedre, Cons fut de Rome, de-s melz ki dunc i eret: Sur tuz ses pers l'amat li emperere; Dunc prist muillier vailante ed honurede, Des melz gentils de tuta la cuntretha. 20 Puis converserent ansemble longament, N'ourent amfant, peiset lur en forment: « E Deu, - apelent andui parfitement - E! reis celestes, par ton cumandement Anfant nus done ki seit a tun talent!» 25 Tant li preierent par grant humilitét Que la muiler dunat fecunditét: Un filz lur dunet, si l'en sourent bon gret; De sain batesma l'unt fait regenerer, Bel num li metent sur la cristientét. 30 Dopo il tempo in cui Dio venne a salvarci, /i nostri padri conobbero il cristianesi- mo; /visse allora un nobile nella città di Roma, /fu uomo potente, di alti natali: /per questa ragione vi dico di lui, voglio parlare di suo figlio. Eufemiano, cosi ebbe nome il padre, /fu conte in Roma, dei pià eminenti di quanti erano allora: /più di tutti i suoi pari l'amava l’imperatore; /prese allora moglie di animo elevato e di grande stirpe, / delle pià nobili dell'intero paese. Vissero poi insieme a lungo, /non ebbero figlio, questo è per loro un grave peso: 74 VI VII VII IX XXIII VII VIII IX XXIII /«Ah Signore - pregano entrambi com'è giusto - /ah re celeste, per tuo ordine /facci dono di un figlio che corrisponda al tuo desiderio!» Tanto lo pregarono con la massima umiltà /che [Egli] concesse la fecondità alla donna: /un figlio diede loro, essi gliene furono gratissimi; /col santo Battesimo l'hanno fatto rinascere, /gl'imposero un bel nome cristiano. Fut baptisiez, si out num Alexis: Ki lui portat, suéf le fist nurrir; Puis ad escole li bons pedre le mist, Tant aprist letres que bien en fut guarnit; Puis vait li emfes l'emperethur servir. 35 Quant veit li pedre que mais n’avrat amfant, Mais que cel sul cui il par amat tant, Dunc se purpenset del secle an avant: Or volt que prenget moyler a sun vivant, Dunc li acatet filie d'un noble franc. 40 Fud la pulcela nethe de halt parentét, Fille ad un conpta de Rome la ciptét: N'at mais amfant, lui volt mult honurer, Ansemble an unt li dui pedre parlé Pur lur amfanz cum volent asembler. 45 [...] Dunc prent li pedre de se-meilurs serganz, Par multes terres fat querre sun amfant; Jusque an Alsis en vindrent dui errant, Tloc truverent danz Alexis sedant, Mais n'an conurent sum vis ne sum semblant. 115 Fu battezzato, ebbe nome Alessio; /chi lo aveva portato in grembo lo allevò amo- rosamente; / poi il padre amoroso lo mise a scuola, / apprese tanto bene le lette- re che se ne adornava splendidamente; / poi entra il giovane al servizio dell'im- peratore. Quando si rende conto il padre che non avrà altri figli, /fuorché quel solo che egli amava cosi tanto, /allora cominciò a pensare al tempo futuro; /decide che prenda moglie ancora durante la sua vita, /gli sceglie la figlia di un grande signore. La fanciulla fu di grandissima stirpe, figlia di un conte della città di Roma; /non ha altra prole, le vuole concedere grandissima dote, /insieme hanno parlato i due genitori, /per stabilire ogni cosa riguardo ai propri figli. (| Sceglie allora il padre alcuni dei suoi migliori servitori, /per ogni terra fa ricerca- re il proprio figlio; /fino ad Alsis ne vennero due vagando, /lá trovarono il nobi- le Alessio seduto, ma non riconobbero il suo volto e le sue fattezze. 75 XXIV XXV XXVI XXVII XXIV XXV XXVI XXVII Des- at li emfes sa tendra carn -mudede, Nel reconurent li dui sergant sum pedre, A lui medisme unt l’almosne dunethe: Il la receut cume li altre frere; Nel reconurent, sempres s'en returnerent. 120 Nel reconurent ne ne l’unt anterciét. Danz Alexis en lothet Deu del ciel D'icez sons sers qui il est almosners; Il fut lur sire, or est lur provenders: Ne vus sai dire cum il s'en firet liez. 125 Cil s'en repairent a Rome la citét, Nuncent al pedre que nel pourent truver: Set il fut graim, ne l'estot demander; La bone medre s'em prist a dementer, E sun ker filz suvent a regreter: 130 «Filz Aleis, pur quei <t_> portat ta medre? Tu m'ies fuit, dolente en sui remese, Ne sai le lueu ne nen sai la contrede U t'alge querre, tute en sui esguarethe: Ja mais n'ierc lede, kers filz, nu l’ert tun pedre.» 135 È stravolto il suo dolce aspetto, /non lo riconobbero i due servitori del padre, /a lui stesso hanno dato l'elemosina: /egli laccetto come gli altri suoi compagni; /non lo riconobbero, subito se ne andarono. Non lo riconobbero né gli rivolsero la parola. / Il nobile Alessio ne loda il Dio dei cieli /per questi suoi servi da cui ha ricevuto l'elemosina; /era stato il loro signo- re, ora dipende da loro: /non vi so dire quanto egli ne fu lieto. Quelli se ne tornano nella città di Roma, /comunicano al padre di non averlo po- tuto trovare; /se fu triste non è neppure da chiederlo; /la buona madre ne uscì quasi di senno, /e di continuo intonava lamenti per il figlio: «Alessio figlio mio, perché tua madre ti portò in grembo? /Tu sei scappato via da mei, me ne sono rimasta qui afflitta, / non conosco il luogo o il paese /dove ti pos- sa andare a cercare, ne sono tutta smarrita: /mai più sarò felice, caro figlio, né lo sarà tuo padre.» 10.4 La “Chanson de Roland” Il Roland, capolavoro assoluto della letteratura francese medievale, ne è anche il pri- mo ‘grande’ testo: nella versione oggi conservata conta difatti poco più di 4000 versi, dé- casyllabes epici disposti in lasse di estensione molto variabile (i versi restano più di 2500 anche scorporando l'episodio relativo al re saraceno Baligante, da molti ritenuto un'inter- polazione rispetto ad una primitiva stesura della chanson). Il testo è probabilmente da at- tribuire all'ultimo scorcio del sec. XI (verosimilmente senza l'episodio di Baligante), il ma- noscritto più antico (Oxford, Bodleian Library, Digby 23) è del terzo quarto del XII; è l'u- 76 nico a conservare l'assetto sicuramente originario in lasse di décasyllabes assonanzati, va- riamente adattato in redazioni successive. L'azione si svolge in Spagna, durante una spedizione di Carlo Magno che ha alcuni caratteri di quella storica del 778. Ma il legame con quella realtà passata è tenue. Carlo non è un giovane sovrano energico e ‘forte’, come era al momento della spedizione iberi- ca, ma un vecchio, debole come sovrano e stanco, incapace di governare le tensioni tra i grandi signori che lo accompagnano. Energia e vitalità sono invece presenti in massimo grado in Roland, che impersonifica una serie di qualità non tutte almeno a colpo d'occhio positive: forza, valore, abilità militare individuale e come comandante, ma anche orgo- glio, tracotanza, fiducia assoluta - quindi anche eccessiva - in sé stesso. La sua ‘follia’ e mancanza di saggezza risalta accanto alla ragionevolezza e avvedutezza dell'amico e ‘compagno’ Oliviero e viene anche rappresentata drammaticamente in un duplice con- fronto faccia a faccia tra i due. Non c'è dubbio che tra i caratteri di maggior fascino della Chanson ci sia proprio questo protagonista così complesso, nient'affatto semplice e mono- corde, nient'affatto limpido, e questo in un componimento che è comunque il più antico conservato ed è attribuibile ad un'altezza cronologica che appare impressionante anche in termini assoluti. L'azione guidata da questo personaggio così incontrollabile è ovviamen- te molto più mossa e vivace che quella delle narrazioni sin qui incontrate e in particolare di quella del Saint Alexis che costituisce sotto ogni punto di vista il termine di riscontro più vicino; ma la differenza macroscopica non è tanto nell'organizzazione narrativa ma nella tecnica di costruzione testuale padroneggiata in maniera mirabile dall'autore, che gli permette realizzazioni di estrema efficacia drammatica, che possiamo spesso pensare pre- cisamente in termini di azione scenica e che vanno ovviamente lette in rapporto alla desti- nazione di questi componimenti, pensati per una declamazione cantata pubblica. I Carles li reis, nostre emper<er>e magnes Set anz tuz pleins ad estét en Espaigne: Tresqu'en la mer cunquist la tere altaigne. N' ad castel ki devant lui remaigne; Mur ne citét n'i est remés a fraindre, 5 Fors Sarraguce, ki est en une muntaigne. Li reis Marsilie la tient, ki Deu nen aimet, Mahumet sert e Apollin recleimet: Nes poet guarder que mals ne l'i ateignet. AOL [...] XIII «Seignurs barons, - dist li emperere Carles - 180 Li reis Marsilie m'ad tramis ses messages; De sun aveir me voelt duner grant masse, Urs e leüns e veltres caeignables, Set cenz cameilz e mil hosturs muables, Quatre cenz mulz cargez de l'or d'Arabe, 185 Avoec iço plus de cinquante care. Mais il me mandet quë en France m'en alge: Il me sivrat ad Ais, a mun estage, 77 Si recevrat la nostre lei plus salve; Chrestiens ert, de mei tendrat ses marches. 190 Mais jo ne sai quels en est sis curages.» Dient Franceis: «Il nus i cuvent guarde!» AOL XIV Li empereres out sa raisun fenie. Li quens Rollant, ki ne l’otriet mie, En piez se drecet, si li vint cuntredire. 195 Il dist al rei: «Ja mar crerez Marsilie!. Set anz <ad> pleins que en Espaigne venimes; Jo vos cunquis e Noples e Commibles, Pris ai Valterne e la tere de Pine E Balasguéd e Tüele e Se<b>ilie. 200 Li reis Marsilie i fist mult que traitre: De ses paien<s vos en> enveiat quinze, Cha<s>cuns portout une branche d'olive; Nuncerent vos cez paroles meisme. A vos Franceis un cunseill en presistes; 205 Loérent vos alques de legerie. Dous de voz cuntes al paien tramesistes, L'un fut Basan e li altres Basilies; Les chef en prist es puis desuz Haltilie. Faites la guer<e> cum vos l'avez enprise; 210 En Sarraguce menez vostre ost banie, Metez le sege a tute vostre vie, Si vengez cels que li fels fist ocire!» AOL XV Li empe<re>re en tint sun chef enbrunc, Si duist sa barbe, afaitad sun gernun, 215 Ne ben ne mal ne respunt sun nevuld. Franceis se taisent, ne mais que Guenelun: En piez se drecet, si vint devant Carlun; Mult fierement cumencet sa raisun, E dist al rei: «Ja mar crerez bricun, 220 Ne mei né altre, se de vostre prod nun. Quant co vos mandet li reis Marsiliun, Qu'il devendrat jointes ses mains tis hom, E tute Espaigne tendrat par vostre dun, Puis recevrat la lei que nus tenum, 225 Ki co vos lodet que cest plait degetuns, Ne li chalt, sire, de quel mort nus muriuns. Cunseill d'orguill n'est dreiz qué a plus munt; Laissun les fols, as sages nus tenuns.» AOL. XVI Apres ico i est Neimes venud 230 (Meillor vassal n’aveit en la curt nul), 78 XX XXI E dist al rei: «Ben l'avez entendud: Guenes li quens co vus ad respondud. Saveir i ad, mais qu'il seit entendud. Li reis Marsilie est de guere vencud: Vos li avez tuz ses castels toluz, Od voz caables avez fruisét ses murs, Ses citez arses e ses humes vencuz. Quant il vos mandet, qu'aiez mercit de lui, Pecchét fereit, ki dunc li fesist plus. U par ostage vos voelt faire soúrs; Ceste grant guerre ne deit munter a plus.» Dient Franceis: «Ben ad parlét li dux». AOI. [...] «Francs chevalers, - dist li empere Carles - Car m'eslisiez un barun de ma marche Qu<i> a Marsili[e] me portast mun message.» Ço dist Rollant: «Ço ert Guenes, mis parastre.» Dïent Franceis. «Car il le poet bien faire! Se lui lessez, n'i trametrez plus saive.» E li quens Guenes en fut mult anguisables; De sun col getet ses grandes pels de martre E est remés en sun blialt de palie. Vairs out <les oilz> e mult fier lu visage, Gent out le cors e les costez out larges; Tant par fut bels, tuit si per l'en esguardent. Dist a Rollant: «Tut fel, pur quei t'esrages? Ço set hom ben que jo sui tis parastres, Si as jugét qu'a Marsili[e] en alge!. Se Deus ço dunet que jo de la repaire, Jo t'en muvra<i> un<e> si grant contr<a>ire Ki durerat a trestut tun edage.» Respunt Rollant: «Orgoill oi e folage; Ço set hom ben, n'ai cure de manace. Mai<s> saives hom, il deit faire message: Se li reis voelt, prez sui por vus le face.» AOI Guenes respunt: «Pur mei n'iras tu mie! Tu n'ies mes hom ne jo ne sui tis sire. Carles comandet que face sun servise: En Sarraguce en irai a Marsilie; Einz i f<e>rai un poi de <le>gerie Que jo n'esclair ceste meie grant ire.» Quant l'ot Rollant, si cumencat a rire. AOI 79 235 240 275 280 285 290 295 300 XXI XXIII XXIV XXV XXVI XXVII Quant ço veit Guenes qu'ore s'en rit Rollant, Dunc ad tel doel pur poi d'ire ne fent: A ben petit quë il ne pert le sens; E dit al cunte: «Jo ne vus aim nient: Sur mei avez turnét fals jugement. Dreiz emperere, véiz mei en present: Ademplir voeill vostre comandement.» AOI «En Sarraguce sai ben qu'aler m'estoet; Hom ki la vait, repairer ne s'en poet. Ensurquetut si ai jo vostre soer, Si'n ai un filz, ja plus bels n'en estoet: C'est Baldewin, - ço dit, - ki ert prozdoem. A lui lais jo mes honurs e mes fieus. Gua<r>dez le ben; ja ne:l verrai des oilz.» Carles respunt: «Tro<p> avez tendre coer: Puis que-l comant, aler vus en estoet.» AOI Co dist li reis: «Guenes, venez avant Si recevez le bastun e lu guant! Oit l'avez: sur vos le jugent Franc.» «Sire, - dist Guenes - co ad tut fait Rollant: Ne l’amerai a trestut mun vivant, Ne Oliver, por co qu'est si cumpainz; Li duze per, por <ço> qu'il l'aiment tant, Desfi les ci, sire, vostre veiant.» Go dist li reis: «Trop avez maltalant! Or irez vos certes, quant jo-l cumant.» «Jo i puis aler, mais n'i avrai guarant; Nu l'out Basilies ne sis freres Basant.» AOI Li empereres li tent sun guant, le destre; Mais li quens Guenes iloec ne volsist estre: Quant le dut prendre, si li cait a tere. Dient Franceis: «Deus, que purrat co estre? De cest message nos avendrat grant perte.» «Seignurs, - dist Guenes, - vos en orrez noveles!» «Sire, - dist Guenes - dunez mei le cungiéd: Quant aler dei, n'i ai plus que targer.» Co dist li reis: «Al Jhesu e al mien!» De sa main destre l’ad asols e seignét; Puis li livrat le bastun e le bref. Guenes li quens s'en vait a sun ostel. De guarnemenz se prent a cunreer, De ses meillors qué il pout recuvrer: Esperuns d'or ad en ses piez fermez, 80 305 310 315 320 325 330 335 340 345 Ceint<e> Murgleis s’espee a sun costéd. En Tachebrun, sun, destrer est muntéd: L'estreu li tint sun uncle Guinemer. La veisez tant chevaler plorer, Ki tuit li dient: «Tant mare fustes, ber! 350 En cort al rei mult i avez estéd, Noble vassal vos i solt hom clamer. Ki ço jugat que doúsez aler Par Charlemagne n’erlt] guariz ne tensez. Li quens Rollant ne-l se doúst penser, 355 Qué estrait estes de mult grant parentéd.» Enprés li dient: «Sire, car nos menez!» Co respunt Guenes: «Ne placet Damnedeu! Mielz est sul moerge que tant bon chevaler. En dulce France, seignurs, vos en irez: 360 De meie part ma muiller salüez, E Pinabel mun ami e mun per, E Baldewin mun filz, que vos savez; E lui aidez e pur seignur tenez.» Entret en sa veie, si s'est achiminez. AOI 365 feci Quant l'emperere ad faite sa justise E esclargiez est la sue grant ire, En Bramidonie ad chrestientet mise, 3990 Passet li jurz, la nuit est aserie. Culcez s'est li reis en sa cambre voltice. Seint Gabriel de part Deu li vint dire: «Carles, sumun les oz de tun emperie! Par force iras en la tere de Bire, 3995 Reis Vivien si succuras en Imphe, A la citet que paien unt asise: Li chrestien te recleiment e crient.» Li emperere n'i volsist aler mie: «Deus,» dist li reis, «si penuse est ma vie!» 4000 Pluret des oilz, sa barbe blanche tiret. Ci falt la geste que Turoldus declinet. 10.5 “Yvain ou Le chevalier au lion” Chrétien de Troyes scrisse l’Yvain contemporaneamente al Lancelot (o Chevalier de la cherrete), orientativamente, tra il 1171 ed il 1181. Il racconto ruota intorno alle vicissitudini del cavaliere del leone. Siamo nel giorno della festa di Pentacoste presso la corte di re Artù. Yvain entusiasmatosi per il racconto di suo cugino Calogrenant, decide di recarsi nella foresta di Broceliande 81 alla ricerca di Escalos, il custode della magica fontana che precedentemente aveva sconfit- to a duello Calogrenant (tutto il passo deriva senza ombra di dubbio da antiche leggende celtiche che nel Medioevo venivano trasmesse oralmente). Ucciso Escalos, Yvain fa la co- noscenza della sua vedova, Laudine, e se innamora. Riuscirà a sposarla grazie soprattutto all'intervento di Lunete. A questo punto comincia per Yvain la fase di demesure, ossia di perdita di quelle qualità di equilibrio e di lucidità che contraddistinguevano il comporta- mento di qualsiasi cavaliere cortese (comincia a partecipare ad una serie di inutili tornei, trascura Laudine). Solamente nel finale del romanzo, Yvain riacquisterà le virtù perdute ricominciando a dedicarsi anche agli altri: difenderà la signora de Noroison, libererà le operaie del castello della Pesme Aventure, combatterà contro Gauvain a difesa di una del- le sorelle della noire Espine, riscoprirà l’amore con Laudine. Yvain riscopre, insomma, il senso umano della pietà e della giustizia comprendendo, al contempo, che il suo errore ri- siede nel non aver temperato gli ideali della cavalleria con quelli della cristianità. In questo senso, Claude Lecouteux ha interpretato il leone - che il cavaliere ha incon- trato durante una delle sue innumerevoli avventure e che da quel momento lo seguirà sempre- come simbolo della follia di Yvain ( e quindi di ogni uomo) che nel perdere la me- sure, in fondo, diventa simile ad un animale feroce. Veniamo al brano scelto. Si tratta del momento in cui Yvain viene a conoscenza della tragica sorte delle operaie del castello della Pesme Aventure. In merito a questo passo si è acceso un vero e proprio dibattito giacché alcuni hanno creduto di potervi leggere, sotto- traccia, una vera e propria critica allo sfruttamento operaio, una sorta di manifesto della condizione dei lavoratori ante litteram. Dietro l'episodio non è possibile rintracciare una denuncia, patente o latente che sia, dell'alienazione sociale, alla maniera della scuola natu- ralista. Chrétien, in perfetto accordo col simbolismo cristiano, racconta metaforicamente l'eterna battaglia tra il Male ed il Bene, incarnato quest’ultimo dalla generosità di Yvain che pur essendogli stato sconsigliato, entra ugualmente nel castello. vv.5109-5129 Ensi entraus deus chevalchierent 5109 Così cavalcarono i due insieme parlant,tant que il aprochierent parlando finché si avvicinarono le chastel de Pesme Aventure. al Castello della Pessima Avventura. De passer oltre n'orent cure Non pensarono ad andare oltre que li jorz aloit declinant. perché il giorno era ormai alla fine. Ce chastel vienent aprismant 5114 Si avvicinano al castello et les genz qui venir les voient e coloro che li vedono venire testui au chevalier disoient: tutti al cavaliere dicono: - Mal veiniez, sire, mal veigniez! «Mal giungete, signore, mal giungete! Cist ostex vos fu anseigniez Questo alloggio vi fu indicato por mal et por honte andurer, 5119 per esporvi al male o alla vergogna, ce porroit uns abes jurer. un abate potrebbe garantirvelo.» -Ha! fet il, gent fole et vilainne «Ah - fece - gente da poco, villani, gent de malvestié plainne pieni di folle cattiveria, qui a toz biens avez failli, che avete rinunciato del tutto al bene, por coi m'avez si asailli? 5124 perché vi rivolgete così a me?» -Por coi? vos le savroiz assez «Perché? Presto ben lo saprete s'ancore u po avant passez! se ardite avanzare ancora un po'. Mes nule rien ja n'en savroiz Più niente ne saprete jusque tant que esté avroiz fin tanto che sarete stato an cele haute forteresce». 5129 dentro a quella grande fortezza». [...] 82 vv.5190-5207 Et messire Yvains, sanz reponse, 5190 par devant lui s'an passe, et trueve une grant sale haute et neuve; s'avoit devant un prael clos de pex aguz reonz et gros; et par entre les pex leanz 5195 vit puceles jusqua trois centz qui diverses oeuvres feisoient. De fil d’or et de soie ovroient chascune au mialz qu'ele savoit; mes tel povreté i avoit que desliees et desceintes en i ot de povreté meintes; et as memeles et as cotes estoient lor cotes derotes, et les chemises as dos sales; 5205 les cos gresles et les vis pales de fain et de meseise avoient. Monsignore Yvain, senza rispondere, passa davanti [al portinaio] e trova un grande edificio alto e nuovo; c'era davanti un prato cintato con pali aguzzi rotondi e grossi; e attraverso i pali, là dentro, vide quasi trecento fanciulle impegnate in diversi compiti. Lavoravano con filo d’oro e di seta ciascuna come meglio sapeva; 5200 ma vi era una tale miseria che male abbigliate e discinte ve n'erano diverse per la loro poverta; e ai seni e ai fianchi erano i loro abiti laceri, e le camicie sul dorso lerce; i colli gracili e i visi pallidi per la fame avevano e gli stenti. Come riconoscere un testo in antico francese? A) Ensi entr’aus deus chevalchierent parlant,tant que il aprochierent le chastel de Pesme Aventure. De passer oltre n’orent cure que li jorz aloit declinant. Ce chastel vienent aprismant et les genz qui venir les voient trestuit au chevalier disoient: «Mal veigniez, sire, mal veigniez! Cist ostex vos fu anseigniez por mal et por honte andurer, ce porroit uns abes jurer. -Ha! fet il, gent fole et vilainne gent de tote malvestié plainne qui a toz biens avez failli, por coi m'avez si asailli? -Por coi? Vos le savroiz assez s'ancore un po avant passez! Mes nule rien ja n'en savroiz jusque tant que esté avroiz an cele haute forteresce». [...] Et messire Yvains, sanz response, par devant lui s'an passe, et trueve une grant sale haute et neuve; s'avoit devant un prael clos 5109 5114 5119 5124 5129 5190 83 de pex aguz reonz et gros; et par entre les pex leanz 5195 vit puceles jusqu'a trois cenz qui diverses oeuvres feisoient. De fil d’or et de soie ovroient chascune au mialz qu'ele savoit; mes tel povreté i avoit 5200 que desliees et desceintes en i ot de povreté meintes; et as memeles et as cotes estoient lor cotes derotes, et les chemises as dos sales; 5205 les cos gresles et les vis pales de fain et de meseise avoient. Sono state sottolineate tutte le sillabe contenenti dittonghi". In afr. subiscono ditton- gazione”: - tutti i nuclei vocalici delle sillabe aperte toniche del latino volgare: a/e/0/é/0/ (ditton- gazione spontanea) a) v.5207 fain; lvg. fa$mes, afr. fain è) v.5127 rien; lvg. rè(m), afr.rien ò) v.5192 neuve; lvg. nò$vum, afr. neu$ve v.5197oeuvres; lvg. ò$peram, afr. oeu$vres €) v.5196 trois;lvg. tre(s)”, afr. treis / trois v.5118 anseigniez; *in$sé$gnatu, afr. anseigniez o) v.5109 deus; lvg. do-, afr dui/doi/dous/deus v.5116 (tres)tuit; lvg. tot$ti, afr. tuit i nuclei vocalici (è) ed (ò) anche in sillaba chiusa tonica per la presenza di yod o articola- zione palatale) v. 5199 mialz;lvg *mel$ljus, afr.mielz /meilz/miauz" v. 5118 anseigniez; *in$sé$gnatu, afr. anseigniez'” elemento velare) lvg. deu, afr. dieu" B) Mentre in italiano possiamo avere parole: - ossitone (verità) ovvero accentate sull'ultima sillaba - parossitone o piane (paròla) ovvero accentate sulla penultima sillaba - proparossitone sdrucciole (cinema) ovvero accentate sulla terzultima sillaba - proparossitone bisdrucciole (intèrrogalo) ovvero accentate sulla quartultima sillaba in antico francese non esistono che parole - ossitone v.5109 ensi - parossitone v. 5111 Pesme Aventure 84 Inoltre tutte le parole ossitone hanno come nucleo della vocale finale la -e: Ensi entr’aus deus chevalchierent 5109 parlant, tant que il aprochierent le chastel de Pesme Aventure. De passer oltre n’orent cure que li jorz aloit declinant. Ce chastel vienent aprismant 5114 et les genz qui venir les voient trestuit au chevalier disoient: «Mal veigniez, sire, mal veigniez! Cist ostex vos fu anseigniez por mal et por honte andurer, 5119 ce porroit uns abes jurer. -Ha! fet il, gent fole et vilainne gent de tote malvestié plainne qui a toz biens avez failli, por coi m'avez si asailli? 5124 -Por coi? Vos le savroiz assez s'ancore un po avant passez! Mes nule rien ja n'en savroiz jusque tant que esté avroiz an cele haute forteresce». 5129 C) Le sequenze sottolineate servono a mostrare un'altra caratteristica dell'antico france- se: la declinazione bicasuale. Ensi entr'aus deus chevalchierent 5109 parlant,tant que il aprochierent le chastel de Pesme Aventure. De passer oltre n'orent cure que li jorz aloit declinant. Ce chastel vienent aprismant 5114 et les genz qui venir les voient trestuit au chevalier disoient: «Mal veigniez, sire, mal veigniez! Cist ostex vos fu anseigniez por mal et por honte andurer, 5119 ce porroit uns abes jurer. -Ha! fet il, gent fole et vilainne gent de tote malvestié plainne qui a toz biens avez failli, por coi m'avez si asailli? 5124 85 -Por coi? Vos le savroiz assez s'ancore un po avant passez! Mes nule rien ja n'en savroiz jusque tant que esté avroiz an cele haute forteresce». 5129 [...] Et messire Yvains, sanz response, 5190 par devant lui s'an passe, et trueve une grant sale haute et neuve; s'avoit devant un prael clos de pex aguz reonz et gros; et par entre les pex leanz 5195 vit puceles jusqu'a trois cenz qui diverses oeuvres feisoient. De fil d'or et de soie ovroient chascune au mialz qu'ele savoit; mes tel povreté i avoit 5200 que desliees et desceintes en i ot de povreté meintes; et as memeles et as cotes estoient lor cotes derotes, et les chemises as dos sales; 5205 les cos gresles et les vis pales de fain et de meseise avoient. Il nome e l'aggettivo sono flessi in numero: singolare e plurale ed in caso: caso sog- getto (CS) e caso obliquo (CO). Singolare Plurale CS -S Ø CO Ø -S Il CS che corrisponde al nominativo latino è il caso del soggetto Il CO che corrisponde all'accusativo latino è il caso di tutti i complementi Articolo determinativo Singolare Singolare Plurale Plurale maschile femminile maschile femminile CS li la li les CO le la les les 86 Articolo indeterminativo Singolare Singolare Plurale Plurale maschile femminile maschile femminile CS uns une un une CO un une uns une Pertanto: - v.5110-5111 il aprochierent le chastel de Pesme Aventure le CO sg maschile, chastel CO. Il sintagma le chastel è complemento di moto a luogo. - v.5113 li jorz aloit declinant li CS sg maschile,jorz CS. Il sintagma li jorz è soggetto del verbo aloit. - v.5120 ce porroit uns abes jurer uns CS sg maschile, abes CS. Il sintagma uns abes è soggetto. - v.5193 devant un prael un CO sg maschile, prael CO. Il sintagma un prael è retto dalla preposizione devant. Tuttavia bisogna avere ben chiaro che: 1) L'antico francese conosce all’interno dei sostantivi così come degli aggettivi delle sotto- classi morfologiche che non applicano in maniera sistematica la regola della flessione bicasuale. v.5193 un prael clos L'aggettivo clos appartiene a quella sottoclasse di aggettivi che avendo il radicale che termina in -s od in -z, ha il maschile invariabile. v.5200 mes tel povreté i avoit Il sostantivo povreté appartiene a quella sottoclasse di nomi femminili in -e che non pre- sentano alcuna opposizione morfologica di caso. 2) Poiché la declinazione bicasuale non è sempre sistematicamente osservata, più inter- preti (SchOsler) hanno sostenuto che la lingua scritta ci attesti un fenomeno che in real- tà nella lingua parlata già da molto tempo era scomparso. D) Quando la sillaba è chiusa, la consonante che si trova in coda viene solitamente defi- nita con terminologia più propriamente fonetica che fonologica consonante implosiva. In afr. tutte le /1/ implosive si vocalizzano in /u/ - v. 5129 haute; lvg. al$tus afr.haut - v.5116 au chevalier da a+ le (a preposizione, le articolo) Pertanto: - a+le: au - v.5116 au chevalier - a+les: as aus - v.5109 entr'aus deus - v.5204 et as memeles et as cotes - de+le: deu/dou/du 87 - de+les: des - en+le: eu,u,ou,on - en+les: es E) - Grafia e Fonia: in antico francese ad una medesima forma orale potevano corrispondere differenti forme scritte. 1 codici grafici, non ancora normalizzati, presentavano variazioni più o meno grandi che gradualmente verranno ridotte a partire dal XV sec”. -x frequente in finale, equivale ad us successivamente solamente -s v.5118 ostex [ostèus] v. 5194 pex [pès] -z frequente in finale, equivale al gruppo [ts] il quale, all’interno ed all’inizio di una for- ma, è a sua volta trascritto con il grafema =c. A partire dal XIII sec. [ts] si riduce ad [s]: pertanto le grafie -s ed -z hanno la stessa distribuzione. v.5113 li jorz aloit declinant [dzurts /dzurs] v.5118 cist ostex [tsist / sist] -ch equivale al gruppo [t?]; a partire dal XIII sec. semplicemente [?]. v.5111 le chastel [t?astèl/?astèl] -ign,gn,igni, equivalgono al gruppo [_] v5117 mal veigniez, sire, mal veigniez [vé?ié- vé?ié] -1l1,11,1 equivalgono al gruppo [_] v.5123 failli [fa_i] v.5124 asailli [asa_i] F) - Dimostrativi v.5118 cist ostex vos fu anseigniez v.5129 an cele haute forteresce La semantica dei dimostrativi cist e cil antico francesi è a tutt'oggi oggetto di opinio- ni molto differenti. Pertanto la loro traduzione nell'italiano questo e quello rischia per molti aspetti di risultare inesatta. Per Guiraud con cist siamo sul piano dell'enunciatario mentre con cil su quello del- l'enunciazione (piano del discorso). Cist concerne ciò che appartiene al mondo di chi parla o della persona a cui si parla laddove cil si riferisce a ciò che il locutore considera fuori dal proprio mondo ed in particolar modo a ciò che riguarda la persona non presente ovvero la terza persona. Questa opposizione puramente spaziale (vicino/lontano) tuttavia non è sempre così ben definita. Il più delle volte cist e cil servono come richiamo di un concetto precedentemente espresso (funzione anaforica). Moignet ha sottolineato questo aspetto re- ferenziale dei dimostrativi: cist, frequente nei dialoghi, accompagna i concetti «soggettiviz- zati» dal locutore mentre cil quelli che egli considera oggettivamente. Ciò nondimeno lo stesso Moignet più volte riscontra casi in cui l'opposizione cist/cil non è ben chiara. Kleiber rompe con l'opposizione netta tra cist e cil tale per cui l'uno sarebbe sempre in distribuzione complementare con l’altro (ovvero che l’uso dell'uno si opporrebbe sem- 88 pre all'uso dell'altro). La sua tesi, per converso, è che cist presenta un uso marcato motiva- to qualora il contesto immediato permette di identificare subito il referente mentre la for- ma cil è di per sé non marcata e di conseguenza può figurare in tutti i contesti, tanto in quelli incompatibili con cist quanto in quelli che permetterebbero anche un uso di cist. 10.6 Due documenti catalani dell’anno 1100 circa Nel Sud della Francia, soprattutto in Linguadoca e nella regione di Tolosa, si sviluppa molto precocemente una tradizione di scrittura di documenti giuridici di carattere sia pubbli- co che privato in lingua volgare: i primi sono del sec. XI e ne contiamo alcune centinaia con- servati anteriori all'anno 1200. La vicina area catalana partecipa al fenomeno in tono minore, ma in misura comunque significativa rispetto ad altre aree romanze. I due esempi che qui si presentano sono caratterizzati dalla mescidanza di latino e volgare che è tipica dei documen- ti del sec. XI, non come imbastardimento linguistico reciproco, ma come differente distribu- zione degli interventi, col latino che occupa, attraverso formule canoniche precostituite e ma- gari anche solo in modo minimo (Turo ego ...), una serie di punti nodali del discorso, lasciando al volgare il campo più libero della narratio, ossia dell'esposizione dei fatti. Entrambi i testi da Moran - Rabella 2001, rispettivamente pp. 63 e 57. 10.64. Giuramento «di pace e tregua» del conte Pere Ramon de Pallars Jussà (del Pallers Inferiore) al Vescovo di Urgell (1098-1112, ma prob. 1098-1100). Juro ego, Pere Ramon comte, fil de Valença comtessa, che, d'achesta hora enant, treva e paz tenré et a mos òmens tener la mannaré, axí co lo bisbe feta la à escriure; et si negú mon ome de Pallars la au[rà] franta ne la fran, a Déu e al bi- sbe per destrénner e per redércelr], aitoris l'en seré; et acsí com damont és escrit et hom líger -i o pod, sí o tenré et o atendré a Déu et al bispe senes engan, per Déu et ista .IIllor. evangelia. Arnall Ramon similiter. Tedball Ramon similiter. [...'* Omnes isti juraverunt treguam et pacem. 10.6b Reclami di Guitard Isarn, signore di Caboet (regione dell'Alto Urgell), contro Mir Arnau e il padre di questi Guillem Arnau (1080-1095) Hec est memoria de ipsas rancuras que abet domnus Guitardus Isarnus, senior Caputense, de rancuras de filio de Guillelm Arnall et que ag de suo pater, de Guilelm Arnall; et non voluit facere directum in sua vita de ipso castro de Capu- tense che li comannà. Et comannà-l en Mir Arnal que, en las ostes et en las caval- gades o Guilelm Arnal és ab mi, che Mir Arnall sí alberg ab Guilelm Arnal. Et si Guilelm Arnal me facia tal cosa que dreçar no-m volgés ho no pogés, ho ssi-s partia de mi, che Mir Arnall me romasés aisí com lo-m avia al dia che ad él lo commanné. Et in ipsa onor a Guilelm Arnal no li doné negú domenge ni establi- ment de cavaler ni de pedó per gitar ni per metre quan l'i comanné Mor Arnall. Et dixit mihi Guilelm Arnall, et coveng-m'o, che no siria mos dons ni ma folia per nullo ingenio. Et ego dixiad Mir Arnall in presència de Guilelm Arnall que de quant avia in Mir Arnall no m'en jachia re; et sicut in ista pagine est scriptum sic donavit Mir Arnall ad Guilelm Arnall. Et fuit rancurós de Guilelm Arnall e sson o del fil, quar si pres mils Mir Arnall che jo non li doné, e-l sí fed a ssi soli- 89 dar e-l comannà a ssa muler et ad suo filio a chuit no-l doné hanc. E rancur-me'n del castel de Caboded hon jo pris podstad per mal che Mir Arnall m'avia fait et dict a mi et a ma muler; e rredî-1 a Guilelm Arnall aissí com jo-l avia comanad, et él redé-1 a Mir Arnal e fed-l-en fer convenença che no m'estacás dret e che no-l me fedés sens él. [...] 10.7 Una canzone d’amore di Bernart de Ventadorn: “Can vei la lauzeta mover” Bernart de Ventadorn (... 1147-1170...) è un trovatore limosino legato al Visconte Eble II de Ventadorn (considerato da Bernart come dagli altri trovatori l'iniziatore della lirica trobadorica). Visse alla corte di Eleonora di Aquitania (dapprima moglie del re di Francia Luigi IX, poi del re d'Inghilterra Enrico II Plantageneto, conte d'Angiò, duca di Norman- dia) e visse dunque in Francia e in Inghilterra. Sono attestati (proprio rispetto a questa poesia) suoi rapporti con Chrétien de Troyes. Di Bernart sono oggi note 42 poesie (40 can- zoni e 2 tenzoni) tutte di argomento amoroso, per cui sono conservate ben 18 melodie, percentuale estremamente alta considerato il complesso della lirica provenzale. Can vei la lauzeta mover è una poesia notissima e studiatissima, assurta quasi a simbolo della lirica trobadorica. La struttura è relativamente canonica: alla prima strofa con esordio naturale, seguono due strofe sulla fenomenologia dell'amore (str. I-II), poi due strofe argo- mentative (nel filone di ispirazione misogina, ben noto alla tradizione trobadorica, str. IV- V), quindi due strofe sull’impossibilità di ottenere l’amore (str. V-VI) ed una chiusa indiriz- zata a Tristan (probabile senhal, ossia pseudonimo indicante un altro trovatore e corrispon- dente di Bernart, il signore provenzale Raimbaut d'Aurenga) con la dichiarazione di rinun- cia all'amore e alla poesia. La parte più originale della poesia è senza dubbio la prima, dove l’immagine naturale dell'allodola e la similitudine mitologica di Narciso si innestano con vi- videzza su un tessuto argomentativo di grande sottigliezza. La gioia dell'allodola, che si la- scia cadere nell'aria contro il sole, è fonte di invidia per il poeta, che non può provare gioia, visto che l’amore gli ha rubato il cuore, tutto sé stesso e tutto il mondo, lasciandogli soltanto desiderio inappagabile. Sono gli occhi della donna che hanno annichilito il poeta, perso in quello specchio come Narciso di fronte alla sua immagine riflessa nell'acqua. Schema metrico: sette strofe unissonans (ossia con rime identiche da strofa a strofa) di ot- tosillabi con schema A B A B C D C D con una tornada di quattro versi (C D C D). Indicazioni per la lettura La lettura del provenzale non pone grandissimi problemi ad un italiano ed è larga- mente intuitiva, salvo per alcuni fonemi (spesso senza corrispettivo in latino) per cui le grafie sono abbastanza oscillanti da manoscritto a manoscritto e quindi da edizione a edi- zione. Si noti che la grafia delle poesie di Bernart de Ventadorn nell'edizione Appel non riflette gli usi grafici dei manoscritti, ma è ampiamente normalizzata. Bisognerà ricordare che, cosi come in francese: - tutte le consonanti sono da intendere scempie, anche se sono scritte come doppie (scem- piamento delle geminate tipiche dell'intera area galloromanza); - le consonanti occlusive finali di parola, comunque siano scritte, vanno sempre intese co- me sorde (passaggio a sorde delle sonore finali tipico dell'intera area galloromanza). 90 Inoltre sono peculiari le grafie di alcuni fonemi: - occlusive velari (/k/ di ‘casa’, /g/ di ‘gatto’): in questo testo sono rese sempre con c / g + vocale posteriore (a, o, u) e con qu / gu + vocale anteriore (i, e). Nei manoscritti sono comunissime anche grafie qu, q / gu + vocali posteriori (p. es. ‘quan’, ‘guardar’). - nasali palatali (/_/ di “gnomo”): non se ne trovano in questo testo, ma le grafie possibili sono [inh], [nh], [lign], [nj]. - laterali palatali (/_/ di ‘aglio’): qui sempre rese con [lh] (olhs, meravilha...), possono an- che essere scritte [ill], [ilh], [il]. - affricate alveolari sorde (/ts/ di ‘calza’; le sonore, /dz/ di ‘zappa’, non esistono in pro- venzale): qui resa con [tz] (auretz) in fine di parola, ma si può trovare anche [z]. In princi- pio di parola ce /ci sono state pronunciate come affricate alveolari sorde (celeis = /tse'l_is/), prima di passare (nel XIII secolo?) a sibilanti (/se'l_is/). - affricate palatali (/t1/ di ‘cialda’, /dp/ di ‘giorno’): il provenzale conosce l’affricata palatale sorda soltanto in fine di parola e, limitatamente alla fascia settentrionale dell’area occitani- ca, in principio di parola davanti ad A. Qui si trova [cha] (che è la grafia normale) in princi- pio di parola o in parole composte (chazer, deschaptenrai...), ma [ih] in fine di parola (faih, dreihz). Quest'ultima grafia non si riscontra nei canzonieri trobadorici ma è stata restituita da Appel sulla base di attestazioni limosine non letterarie del XII secolo; nei canzonieri in posizione finale si trova normalmente [-g], [-ig], [-ch], [-ich]. Le affricate palatali sonore so- no qui indicate in principio di parola con j + vocale posteriore (ja, joi) o con g + vocale ante- riore (ges, gic). Non sono presenti in questo testo affricate palatali sonore in posizione inter- na, per cui le grafie normali sono tg + vocali anteriori (boscatge), tj/j + vocali posteriori (jut- jar/jujar). Si ricordi però che I e J sono due grafemi utilizzati dagli scribi medievali indiffe- rentemente (come U e V), cosicché è spesso incerto il valore fonetico di I intervocalico (se- miconsonate yod, che si può indicare anche con y, oppure affricata palatale sonora). Nel no- stro testo alcune I intervocaliche dei manoscritti sono state indicate come semiconsonanti (enveya, veya, puyei), ma potrebbe ugualmente bene intendersi /en’vedya/, /'vedya/, /pu'dpei/ (sembra che le differenti letture rispondano ad esiti dialettali diversi). - sibilanti (o fricative alveolari: /s/ di ‘sole’, /z/ di ‘smagliante’): la sorda è indifferente scritta [ss] (per lo più intervocalica) o [s]; la sonora (sempre intervocalica) come [z], ma anche (non in questo testo) [s]. In principio di parola ce/ci sono passate da affricate a fri- cative nel XIII secolo. Can vei la lauzeta mover de joi sas alas contra-l rai, que s’oblid’ e-s laissa chazer per la doussor c'al cor li vai, 4 ai! tan grans enveya m'en ve de cui qu'eu veya jauzion, meravilhas ai, car desse lo cor de dezirer no-m fon. 8 Ai, las! tan cuidava saber d'amor, e tan petit en sai, car eu d'amar no-m posc tener celeis don ja pro non aurai. 12 Tout m'a mo cor, e tout m'a me, Quando vedo l'allodola muovere di gioia le sue ali contro la luce, che si dimentica di sé e si lascia cadere per la dolcezza che le va al cuore, ah, provo tanta invidia di chiunque veda gioire, che mi stupisco del fatto che subito il cuore non si distrugga di desiderio. Ah, tanto pensavo sapere d'amore e tanto poco ne so, perché non posso trattenermi d'amare quella da cui non avrò mai bene. Mi ha tolto il cuore e tolto me stesso 91 e se mezeis e tot lo mon; e sé stessa e il mondo intero; e can se-m tolc, no-m laisset re e quando mi si tolse non mi lasciò nulla mas dezirer e cor volon. 16 se non desiderio e cuore bramoso. Anc non agui de me poder Mai più ebbi il dominio di me stesso, ni no fui meus de l'or' en sai mai più appartenni a me dopo il momento que-m laisset en sos olhs vezer in cui mi lasciò guardare nei suoi occhi, en un miralh que mout me plai. 20 quello specchio che tanto mi piace. Miralhs, pus me mirei en te, Specchio, dopo che mi guardai in te m'an mort li sospir de preon, mi hanno ucciso i sospiri profondi, c'aissi-m perdei com perdet se e cosi smarrii me stesso come si perdette lo bels Narcisus en la fon. 24 il bel Narciso nella fonte. De las domnas me dezesper; Delle donne ormai dispero ja mais en lor no-m fiarai; mai pià avrò fiducia in loro ; c'aissi com las solh chaptener, cosi come ero solito innanzarle, enaissi las deschaptenrai. 28 proprio cosi le denigrerò. Pois vei c'una pro no m'en te Dal momento che vedo che nessuna mi aiuta vas leis que-m destrui e-m cofon, presso colei che mi distrugge e annienta, totas las dopt' e las mescre, tutte temo e di tutte diffido car be sai c'atretals se son. 32 perché so bene che son tutte uguali. D'aisso-s fa be femna parer Femmina in questo si dimostra ma domna, per qu'e-lh o retrai , la mia signora, e per questo l'accuso, car no vol so c'om deu voler, perché rifiuta ciò che dovrebbe volere e so c'om li deveda, fai. 36 e fa proprio quel che non si deve. Chazutz sui en mala merce, Sono caduto dove non vi è pietà et ai be faih co-l fols en pon; comportandomi come il matto sul ponte; e no sai per que m'esdeve, e non capisco perché questo mi accade mas car trop puyei contra mon. 40 se non perché ho cercato d'innalzarmi troppo. Merces es perduda, per ver, Pietà è davvero smarrita et eu non o saubi anc mai, - e mai me resi conto! - car cilh qui plus en degr'aver, e poiché colei che pià dovrebbe averne no n'a ges, et on la querrai? 44 non ne ha per nulla, dove la cercherò? A! can mal sembla, qui la ve, Ah, chi mai pensarebbe a vederla qued aquest chaitiu deziron che questo infelice smanioso, que ja ses leis non aura be, che mai senza lei avrà nessun bene, laisse morrir, que no l'aon! 48 lasci morire cosi, senza soccorso? Pus ab midons no-m pot valer Poiché presso la mia signora non mi valgono precs ni merces ni-l dreihz qu'eu ai, preghiere né pietà né il mio diritto, ni a leis no ven a plazer né lei mostra di voler accettare qu'eu l'am, ja mais no-lh o dirai. 52 che io la ami, mai pià le rivolgerò parola. Aissi-m part de leis e-m recre; Mi allontano da lei e mi sconfesso: mort m'a, e per mort li respon, mi ha ucciso e come morto le rispondo, e vau m'en, pus ilh no-m rete, e vado via, visto che non mi trattiene, chaitius, en issilh, no sai on. 56 misero, in esilio, non so dove. Tristans, ges no n'auretz de me, Tristano, niente pià avrete da me, qu'eu m'en vau, chaitius, no sai on. perché me ne vado, infelice, non so dove. De chantar me gic e-m recre, Il canto abbandono e rinnego e de joi e d'amor m'escon. 60 e mi nascondo da gioia e da amore. Fenomeni linguistici comuni all'intera area galloromanza: - Mantenimento di una struttura bicasuale del maschile tramite desinenza -s (fols CR sing., cor CO sing., sospir CR plur., olhs CO plur.); opposizione singolare/plurale nel fem- minile tramite desinenza -s (ma domna sing., las domnas plur.) 92 - Caduta delle vocali finali diverse da A: lat. volg. MORIRE (al posto del classico MORI) > apr. morir, afr. morir, it. morire; PARTO > apr. part, afr. part, it. parto, ecc. Mentre in france- se la A finale passa ad E, in provenzale essa resta invariata: apr. femna fr. femme; apr. ala, fr. ele/aile. - Frequente caduta delle postoniche: D_B_TO > apr. dopte, afr. dote/doute; FOEM_NA > apr. femna, afr. femme; S_M_LAT > apr. sembla, afr. semble; ma cfr. al contrario la conservazione dell'intertonica in meravilhas < M_RAB_LIAS (afr. merveille) - Vocalizzazione della consonante laterale L: M_LTUM > apr. mout, afr. mout, it. molto; lat. volg. T_LTUM > apr. tout, fr. tout, it. tolto. E ancora doussor (< DOLCEM + suff. nominale -or). - Riduzione al solo elemento velare delle labiovelari latine (pur con frequente manteni- mento della grafia etimologica): apr. can /quan, afr. quan (sempre pronunciato /,/), it. quando; ma anche gardar, qui (/ki/), que (/ke/), aquest. - Sonorizzazione delle occlusive sorde intervocaliche (in francese evoluta fino al dileguo, in provenzale sporadicamente alla spirantizzazione): lat. volg. PERDUTA > apr. perduda, afr. *perdudhe > perdue, it. perduta; COGITABAT > apr. cuidava, afr. *cuidheit > cujoit; ma *MET_PSUM > apr. mezeis, afr. meisme > même, it. medesimo; lat. volg. POT_RE > apr. po- der, afr. poeir/pooir, it. potere. - Spirantizzazione delle occlusive dentali sonore intervocaliche (in francese evoluta fino al dileguo): lat. volg. *CAD_RE (di contro al lat. class. CAD_RE) > apr. chazer, afr. chaeir/chaoir, it. cadere; lat. V_D_RE > apr. vezer, afr. veoir, it. vedere. E ancora lauzeta (< ALAUDA con aferesi ed aggiunta del suffisso diminutivo -eta). - Mantenimento dei nessi occlusiva + laterale latini: PLAC_RE > apr. plazer, fr. plaisir, it. piacere (e plai > PLACET); ma anche (non in questo testo): plorar, flama, clau (<CLAVEM). - Palatalizzazione del nesso consonantico CT. In francese la palatalizzazione arriva al gra- do massimo (> /it/), mentre in occitanico si distingue una fascia settentrionale, in cui l'esito del nesso è identico a quello francese, ed una fascia meridionale in cui l'esito è /t1/: DIRICTUM > apr. drei/dreig (/' dret1/, nel testo con grafia [dreih]), afr. dreit/droit; ma anche FACTUM > apr. fait/faig (qui faih), afr. fait, it. fatto, ecc. Fenomeni prettamenti occitanici - Mancanza di dittongazione spontanea romanza da _ e _: lat. C_R > apr. cor, afr. (*cuor >) cuer (>coeur), it. cuore; lat. V_NIT > apr. ve, afr. vien(t), it. viene; lat. T_NET > apr. te, afr. tien(t), it. tiene; apr. be, afr. bien (la mancata dittongazione dell'italiano ‘bene’ è anomala); DE + V_TAT > apr. deveda, it. (di)vieta. - In compenso il provenzale conosce delle dittongazioni condizionate, non ugualmente diffuse in tutta l’area occitanica e non presenti in questo testo, per contiguità delle vocali /a/ e /Q/ con una consonante palatale: solh / suelh / suolh (<S_LEO), olhsfuelhs/uolhs (<_CULOS), meilhs/mieilhs (<M_LIUS), leit/lieit (<L_CTUM). Ugualmente condizionato il dittongamento di /a/ e /Q/ in contiguità con I o U: ieu (v. 42, ma eu vv. 50 e 52). I restanti dittonghi riscontrabili nel provenzale nascono da iati latini (p. es. meus < MEUS, leis < *(IL)LAEI) oppure sono dittonghi di coalescenza, ossia non formati dall'e- voluzione di una vocale, spontanea o condizionata, ma creatisi dalla contiguità della vo- cale originaria con un'altra derivata dall'evoluzione della consonante successiva (p. es. mout < MULTUM, in cui la U risulta dalla vocalizzazione della consonante laterale; o 93 laisse <LAXE(T), in cui la I risulta dallo sviluppo di -X- intervocalica). - Mantenimento del dittongo latino AU: es. apr. aur, fr. or, it. oro. Qui si trova lauzeta (<ALAUDA). - Instabilità delle consonanti nasali divenute finali in seguito a caduta della vocale finale diversa da A. La nasale cade spesso, ma non necessariamente: cfr. ven del v. 51 e ve del v. 5 < VENI(T). Nei nessi consonantici finali composti da N + occlusiva invece l'occlusiva può cadere (anche qui non necessariamente, almeno nella grafia), ma la nasale rimane stabile (pon # *po < PONTEM, fon # *fo < FONTEM ecc.) - Chiusura delle vocali seguite da consonante nasale, anche se caduta perché finale (verifi- cabile solo in sede di rima): vedi rime ve (<V_NIT), te (<T_NET), re (<R M), merce (<MERC_DEM), be (<B_NE), me (<M_) ecc. Sono ugualmente chiuse le vocali di pon, fon, mon ecc. - Vocalizzazione di B / V / F finali: CAPTIVUM > apr. chaitiu, afr. chetif, it. cattivo; DEBET > apr. deu, afr. doit, it. deve; ma anche clau (<CLAVENM, afr. clef), bou (<BOVEM, afr. buef), trau (<TRABENM, afr. tref), neu (<NIVEM, afr. noif) Lessico particolare - preposizione ‘con’: apr. ab (<APUD), afr. ot, o. - pronome neutro al caso obliquo ‘lo’: apr o (<HOC) - avverbio ‘ora’: apr. arfer, afr. or. 10.8“Roman d' Alexandre” di Alberic de Besançon In un manoscritto del sec. IX della Historia Alexandri Magni dell'autore latino Curzio Rufo (Firenze, Bib. Laurenziana, Pl. LXIV 35) è stato inserito da mano sensibilmente più tarda, databile con buona approssimazione intorno all'anno 1100, questo frammento in volgare, l’unico che si conosca del poema da cui deriva. Il frammento è ovviamente ano- nimo del codice. L'identificazione dell'autore è stata possibile grazie a un riferimento con- tenuto nell’ Alexanderlied del tedesco Lamprecht composto probabilmente verso il 1150 o poco dopo, tramandato da un codice databile tra il 1163 e il 1190; in questo poema tedesco si indica come propria fonte l’opera di un Alberich von Bisinzo, nel quale è stato riconosciu- to l'autore del nostro frammento ed al quale è stata ricercata una patria in Pisancon, Be- sançon o Briançon. L'opera di Albéric è da considerare il capostipite delle successive nu- merose rielaborazioni gallo-romanze della leggenda di Alessandro e proprio alla fortuna di questa si deve la sua eclisse, da cui si è salvata in forma minima solo grazie all'interesse di uomo di lettere latine, il quale inserì il frammento nel codice di Curzio Rufo anche pro- babilmente nell'intento di sopperire almeno in parte ad una lacuna concernente la prima parte della Historia (libri I e II) che è propria di tutti i testimoni dell’opera. Il poema di Albéric si colloca in una posizione cruciale di snodo tra generi diversi della letteratura gallo-romanza delle Origini; il suo tema è sviluppato successivamente in opere che classifichiamo abitualmente come romanzi; la sua forma è prossima a quella dei poemet- ti agiografici del sec. XI, ma non lontana da quella dell'epica più antica, in particolare dal Gormont et Isembart che è anch'esso in octosyllabes; l'atteggiamento dell'autore induce a col- locarlo in ambiente ‘colto’, quantomeno scolastico, ed è però significativa la sua scelta del volgare e la giustificazione che ne dà. La lingua infine: caratterizzata da elementi di transizio- 94 ne tra il dominio occitanico e quello oitanico (cfr. scheda alla fine del testo) essa si pone a contatto tra le due tradizioni linguistico-letterarie che si andavano allora delineando; più an- cora che la possibilità di una concreta configurazione sul piano dialettologico in una zona ef- fettivamente di transizione, appare significativa la scelta dell'autore di utilizzare contempo- raneamente elementi caratterizzanti di entrambe le scriptae letterarie dell’area gallo-romanza. L'edizione del testo è quella stabilita da Mölk & Holtus 1999, da cui si derivano i dati della descrizione linguistica e le precisazioni circa data e luogo di composizione. Per indi- cazioni più complete cfr. in italiano Boitani — Bologna — Cipolla - Liborio 1997, 11.1, con traduzione completa e note pp. 535 sgg e, per Lamprecht, p. 580 (testo romanzo e schede a cura di M. Liborio). [...] I Dit Salomon, al primier pas, quant de son libre mot lo clas: «Est vanitatum vanitas et universa vanitas.» Poyst lou me fay m'enfirmitas, 5 toylle s'en otiositas; solaz nos faz' antiquitas que tot non sie vanitas! II En pargamen no-l vid escrit ne per parabla non fu dit 10 del temps novel ne del antic nuls hom vidist un rey tan ric chi per batalle et per estric tant rey fesist mat ne mendic ne tanta terra cunquesist 15 ne tan duc nobli occisist cum Alexander Magnus fist, qui fud de Grecia natiz. III Rey furent fort et mul podent et de pecunia manent, 20 rey furent sapi et prudent et exaltat sor tota gent, mais non i ab un plus valent d'echest dun faz l'alevament; contar vos ey pleneyrament 25 del Alexandre mandament IV Dicunt alquant estrobatour que-l reys fud filz d'encantatour. Mentent, fellon losengetour; mal' en credreyz nec un de lour, 30 qu'anz fud de ling d'enperatour et filz al rey Macedonor. 95 VI VII VII IX Philippus ab ses pare non, meyllor vasal non vid ainz hom. Echel ten Gretia la region e-ls porz de mar en aveyron; fils fud Amint', al rey baron qui al rey Xersen ab tal tenzon. Et prist moylier dun vos say dir qual pot sub cel genzor jausir, sor Alexandre, al rey d'Epir qui hanc no degnet d'estor fugir ne ad enperadur servir: Olimpias, donna gentil, dun Alexandre genuit. Reys Alexander quant fud naz per granz ensignes fud mostraz. crollet la terra de toz laz, toneyres fud et tempestaz, lo sol perdet sas claritaz, per pauc no fud toz obscuraz, janget lo cels sas qualitaz, que reys est forz en terra naz. En tal forma fud naz lo reys non i fud naz emfes anceys: mays ab virtud de dies treys que altre emfes de quatro meys; si:l toca res chi micha peys, tal regart fay cum leu qui est preys. Saur ab lo peyl cum de peysson, tot cresp cam coma de leon; l'un uyl ab glauc cum de dracon et l'altre neyr cum de falcon; de la figura en aviron beyn resemplet fil de baron. Clar ab lo vult, beyn figurad, saur lo cabeyl recercelad, plen lo collet et colorad. ample lo peyz et aformad, lo bu subtil, non trob delcad, lo corps d'aval beyn enforcad, lo poyn e-l braz avigurad, fer lo talent et apensad. 96 35 40 45 50 55 60 65 70 XI XII XIII XIV XV [...] Mels vay et cort de l'an primeyr que altre emfes del soyientreyr; eylay o vey franc cavalleyr, son corps presente volunteyr; a fol omen ne ad escueyr no deyne fayr regart semgleyr; aysi-s conten en magesteyr cum trestot teyne ja l'empeyr. Magestres ab beyn affactaz, de totas arz beyn enseynaz, qui-1 duystrunt beyn de dignitaz et de conseyl et de bontaz, De sapientia et d'onestaz, De fayr estorn et prodeltaz. L'uns l'enseyned, beyn parv mischin, de grec sermon et de latin et lettra fayr en pargamin et en ebrey et en ermin et fayr a seyr et a matin agayt encuntre son vicin. Et l'altre doyst d'escud cubrir et de ss'esspaa grant ferir et de sa lanci en loyn jausir et senz fayllenti altet ferir, li terz ley leyre et playt cabir e-l dreyt del tort a discernir. 75 80 85 90 95 Li quarz lo duyst corda toccar 100 et rotta et leyra clar sonar et en toz tons corda temprar, per se medips cant ad levar; li qinz des terra misurar cum ad de cel entrobe mar. 105 Traduzione I Dice Salomone, nel passo d'apertura, quando fa risuonare la voce del suo libro: «Est vanitatum vanitas et universa vanitas.» Poiché mi dà pace la mia malattia, al bando l'accidia: l'antichità ci fornisce argomento di discorsi, che tutto non resti morto! 97 II III IV [...] In pergamena non vidi scritto né non fu detto per parola nel tempo nostro né nell'antico che nessuno abbia mai veduto un re tanto potente che attraverso battaglie e imprese tanti (altri) re abbia abbattuto e ridotti in miseria, né che abbia conquistato (cosi) tante terre, né che abbia ucciso tanti nobili condottieri come fece Alessandro il Grande, che fu nativo di Grecia. Ci furono sovrani forti e molto potenti e possessori di grandi ricchezze, vi furono re saggi e avveduti ed esaltati (nel ricordo) sopra ogni altro, ma non ne esistette nessuno pià valoroso di questi del quale intesso le lodi; vi voglio raccontare dettagliatamente di quanto Alessandro fece. Dicono alcuni cantori volgari che il re fu figlio di un incantatore. Mentono, falsi ingannatori di parola; mai crediatene neppure uno di loro, perché anzi fu di stirpe sovrana e figlio del re di Macedonia. Filippo ebbe nome suo padre, miglior signore non se ne era mai visto. Egli governava sulla Grecia e sui porti di mare di quel territorio; fu figlio di Aminta, il nobile re, che grande conflitto ebbe col re Serse. Quanto alla pronuncia ed alla grafia valgono in larga misura le indicazioni fornite per il provenzale antico. sti del dominio Francoprovenzale e del Delfinato, che mescola tratti di origini differenti anche a livello di lingua letteraria, cosi come i fenomeni linguistici presentano aspetti ac- canto ad altri meridionali accanto ad altri ancora specifici dell'area. a) componente meridionale (occitanica), complessivamente prevalente - conservazione di -A- latina in posizione tonica (strofe VII, X, XII, XV) e inoltre 22 exal- tat, 25 contar; - 39 pers. sing. del passato remoto (perfetto) indicativo in —et: 42 degnet, 88 enseyned. Si tratta di una lingua non omogenea, ma composita, come accade per diversi altri te- Tratti sostanziali e assicurati dalla rima o assonanza (da Mölk € Holtus 1999): b) componente settentrionale 98 - forme verbali del perfetto indicativo come 17 fist, 19 e 21 furent, 39 prist; - forme dell'imperfetto congiuntivo con terminazione in —ist: 12 vidist, 14 fesist. Caratteristiche dell’area di passaggio, benché interpretabili anche come forme arcai- che, sono le uscite in —eir, normalmente con grafia —eyr, del suffisso latino —ARIU: lassa XI. 10.9 Il “Cantar de Mio Cid” Poema epico in tre cantari, composto molto probabilmente nella versione conservata intorno all'anno 1200; è stata però ipotizzata una datazione anteriore almeno di qualche decennio e comunque un processo di gestazione e di lenta elaborazione del materiale epi- co-narrativo che si sarebbe protratta per molto tempo a partire dagli anni immediatamente successivi alla morte di Ruy Díaz, avvenuta nel 1099. Il poema è conservato da un unico manoscritto del sec. XIV (Madrid, Biblioteca Nacional, V-7-17) che ne trascrive uno copiato nel 1207 da un certo Per Abbat (questa è almeno l’interpretazione oggi ritenuta più attendi- bile di un non chiarissimo colophon presente nel codice). Suo argomento sono le imprese compiute nell'ultima parte della vita da Rodrigo Díaz de Vivar, detto il Cid Campedador (ca. 1043-1099), scacciato da Alfonso VI di Castiglia e León nel 1081 e da allora protagoni- sta di una serie di spedizioni fuori dai confini del regno, prima contro il Conte di Barcello- na, poi contro gli arabi, ai quali riuscì a strappare perfino la grande città di Valencia. Il poema, articolato su tre Cantares, l’unica testimonianza antica di quello che si è de- finito mester de juglaría, mostra chiari indizi di dipendenza dall’epica francese reinterpre- tate entro un sistema peculiare anche nell'assetto formale. La versificazione, probabilmen- te su base alessandrina, prevede versi lunghi con forte cesura interna, caratterizzati da elevata incertezza nel computo sillabico, tanto da risultare spesso indecifrabili anche a li- vello di assetto prosodico; è possibile che nell'esecuzione una serie di irregolarità venisse- ro risolte proprio attraverso l'interpretazione cantata. Diverso dalle chansons de geste fran- cesi è anche l'atteggiamento complessivo del narratore, più vicino nel complesso a quello dell'estensore di una cronaca rimata, che rifiuta aspetti di meraviglioso, di sovrannatura- le, di fiabesco così come mostra resistenza anche di fronte alle enfatizzazioni peraltro qua- si naturali nell'epica. È considerevole invece la precisione dell'autore nella descrizione per aspetti minuti e concreti della realtà quotidiana, da interpretare non, in chiave moderna, come realismo, bensì come specifica attenzione settoriale da parte di uno scrittore che di- mostra familiarità con la cultura giuridica e ambienti di cancelleria: un aspetto quindi del- la sua cultura e formazione piuttosto che del testo poetico che sta realizzando. 1 De lo sos ojos tan fuertemientre llorando tornava la cabeça e estávalos catando. Vio puertas abiertas e ucos sin cafiados, alcandaras vazías, sin pielles e sin mantos, e sin falcones e sin adtores mudados. 5 Sospiró mío Cid ca mucho avié grandes cuidados, fabló mío Cid, bien e tan mesurado: «jGrado a ti, Sefior, Padre que estás en alto! jEsto me han buelto mios enemigos malos!». 2 Allí piensan de aguijar, allí sueltan las riendas. 10 A la exida de Bivar, ovieron la corneja diestra, 99 e entrando a Burgos oviéronla siniestra. Meció mio Cid los ombros e engrameó la tiesta: «¡Albricia, Albar Fáñez, ca echados somos de tierra!» Mio Cid Ruy Díaz por Burgos entró, en su compaña sessaenta pendones. Exiénlo ver mugieres e varones, burgeses e burgesas por las finiestras son, plorando de los ojos, tanto avién el dolor, de las sus bocas todos dizían una razón: «¡Dios, qué buen vasallo, si oviesse buen señor!» 15 16b 20 [...] tanto fortemente piangendo negli occhi, /girava il capo e li stava a guardare. /Vide porte spalancate e usci non sprangati, /e pertiche vuote senza pelli né manti /e senza falconi e senza astori di muta. /Sospirò il Mio Cid, carico di pensieri, /par- lò il Mio Cid, molto bene, con parole misurate: /«Siano grazie a te, Signore, Padre che sei nei cieli! /Questo han rivolto contro di me i miei malvagi nemici!» Lì pensano di spronare, lì sciolgono le redini. /Alluscita da Vivar ebbero la cornac- chia a destra, /e entrando in Burgos la ebbero a sinistra. /Scrollò le spalle il Mio Cid e agito la testa: /«Coraggio, Alvar Fáñez, siamo cacciati via dalla nostra terra ». Entrò il Mio Cid Ruy Díaz in Burgos, /alla testa di sessanta cavalieri. /Uscirono a guardarlo uomini e donne, /gli abitanti della città sono alle finestre, /piangono di cuore, tanto grande è il loro dolore, /per tutte le bocche corre una frase: /«Dio che buon vassallo, avesse buon signore!» Conbidarle ien de grado, mas ninguno non osava: el rey don Alfonso tanto avié la grand safia. Antes de la noche en Burgos d'él entrò su carta con gran recabdo e fuertemientre sellada: que a mio Cid Ruy Díaz que nadi no-l’ diessen posada, e aquel que ge la diesse sospiesse vera palabra, que perderié los averes e más los ojos de la cara, e aun demás los cuerpos e las almas. Grande duelo avién las yentes cristianas, ascóndense de mio Cid, ca no l'osan dezir nada. El Campeador adeliñó a su posada; así commo llegó a la puerta, fallóla bien cerrada, por miedo del rey Alfonso, que assí la avién parada, que si non la quebrantás por fuerca, que non ge la abriese nadi. Los de mio Cid a altas vozes llaman, los de dentro non les querién tornar palabra. Aguijó mio Cid, a la puerta se llegava, sacó el pie del estribera, una ferida-l’ dava; non se abre la puerta, ca bien era cerrada. Una nifia de nuef afios a ojo se parava: 100 25 30 35 40 23 «¡Ya Campeador, en buen ora cinxieste espada! El rey lo ha vedado, anoch d’él entró su carta con gran recabdo e fuertemientre sellada. Non vos osariemos abrir nin coger por nada; si non, perderiemos los averes e las casas, y demás los ojos de las caras. Cid, en el nuestro mal vós non ganades nada, mas el Criador vos vala con todas sus vertudes santas». Esto la niña dixo e tornós' pora su casa. Ya lo vee el Cid, que del rey non avié gracia; partiós” de la puerta, por Burgos aguijava, llegó a Santa María, luego descavalga, fincó los inojos, de coracón rogava. La oración hecha, luego cavalgava; salió por la puerta, e Arlancón passava; cabo essa villa en la glera posava, fincava la tienda, e luego descavalgava. Mio Cid Ruy Dfaz, el que en buen hora cinxo espada, posò en la glera cuando no-l coge nadi en casa; derredor d’él una buena compaña; assí posó mio Cid como si fuesse en montaña. Vedada l'an compra dentro de Burgos la casa de todas cosas cuantas son de vianda; non le osarién vender al menos dinarada. [...] [...] Ya quiebran los albores e venié la mafiana, ixié el sol, jDios, qué fermoso apuntava! En Castejón todos se levantavan, abren las puertas, de fuera salto davan, por ver sus lavores e todas sus heredades. Todos son exidos, las puertas abiertas an dexadas, con pocas de gentes que en Castejón fincaran; las yentes de fuera todas son derramadas. El Campeador salió de la celada, corrié a Castejón sin falla, moros e moras aviélos de ganancia, e essos ganados cuantos en derredor andan. Mio Cid don Rodrigo a la puerta adelifiava, los que la tienen, cuando vieron la rebata, ovieron miedo, e fue desenparada. Mio Cid Ruy Díaz por las puertas entrava, en mano trae desnuda el espada, quinze moros matava de los que alcangava; 101 45 50 55 60 460 465 470 gañó a Castejón e el oro e la plata. Sos cavalleros llegan con la ganancia, 475 déxanla a mio Cid, todo esto non precian nada. [...] Tratti caratteristici del castigliano Fonetica - dittongazione delle vocali latine _ e _ in posizione tonica: 1 fuertemientre, 3 puertas abier- tas, 4 pielles, 9 buelto, 10 piensan, sueltan, 11 diestra, 12 siniestra, ecc., ma mancanza di dit- tongazione a causa di un elemento palatale contiguo: 1 ojos, 11 corneja; - evoluzione di A ad e per contatto con una palatale: 54 hecha; - sonorizzazione delle occlusive intervocaliche, senza totale spirantizzazione e senza dileguo; - evoluzione in affricata palatale sorda del nesso -CT-: 23 noche, 42 anoch - palatalizzazione della laterale geminata latina: 20 vasallo, - palatalizzazione dei gruppi di occlusiva + laterale: 1 llorando 18 plorando (con grafia lati- neggiante), 27 ojos, 32 llegó, 55 inojos - evoluzione a fricativa palatale, poi a jota // del gruppo di laterale + semivocale: 11 corneja, 462 Castejón - evoluzione come semiconsonante della velare latina davanti a vocale anteriore: 29 yentes - palatalizzazione dei nessi di velare + sibilante: 11 exida, 16b Exiénlo tra i fenomeni morfosintattici: - 21 Conbidarle ien con enclisi del pronome dopo il primo elemento del condizionale peri- frastico romanzo - 34 pers. del perfetto della 39 e 4% con. in -ó: 55, 464 salió, in alternativa a soluzioni forti (accentate sul tema) come 58 cinxo - comparativi con MAGIS: qui 46 demds lessico - 62 montafia “luogo deserto, bosco”, 470 miedo “paura” 10.10 Il “Ritmo Laurenziano” Come molti altri dei testi antichi qui esaminati, il Ritmo laurenziano venne aggiunto da una mano databile agli anni a cavallo tra XII e XIII in un manoscritto latino della metà del sec. XII (Firenze, Bib. Laurenziana, Santa Croce XV, destra 6). Composto verso il 1200, questo componimento su tre lasse di ottonari-novenari (grosso modo corrispondenti agli octosyllabes francesi) rimati, con alcune imperfezioni nella terza lassa, è un tipico testo giullaresco di lode ad un personaggio importante da cui si aspettano accoglienza e prote- zione, in questo caso il vescovo Grimaldesco di Iesi (1175-1207). Assieme al metro, poi ca- ratteristico della lirica ‘bassa’ italiana, per esempio delle laudi (e cfr. qui l'assai probabile riferimento al ballo: 40 tresco), l'aspetto più saliente del ritmo è forse costituito dalla me- scidanza lessicale fra forme locali e gallicismi anche assai forti di tradizione letteraria, uti- lizzati proprio per conferire al tutto un certo lustro formale: cfr. per es. 4 allumina, 10 mel- liorato (nella dittologia cresciuto e m. che è un equivalente di quelle provenzali del tipo 102 enansat e meillurat), 28 abelliscono. Per contro, 35 arcador conserva la forma italiana antica, destinata ad essere presto sostituita dal francesismo in —iere. Il testo è quello preparato da Castellani (1986) e ripreso da Luigina Morini in Segre- Ossola 1999, p.7. Salva lo Vescovo senato, lo mellior c“unque sia nato, ce [dall']ora fue sagrato tutt'allumina-] cericato! Né Fisolaco né Cato 5 non fue si ringratiato: e-l pap'à Ilui [dal destro lato per suo drudo plù privato. Suo gentile vescovato ben è cresciuto e melliorato. 10 L'apostolico romano lo [sagroe in] Laterano san Benedetto e San Germano -l destinoe d'esser sovrano de tutto regno cristiano. 15 peroe venne da Lornano, del paradis dilitiano. Ça non fue questo villano! Da ce-l mondo fue pagano non ci so tal marchisciano. 20 Se mi dà caval balcano, monsteroll’ al bon toscano, alo vescovo volterrano cui bendicente bascio la mano. Lo Vescovo Grimaldesco, 25 cento cavaler’ a desco, d'in un tempo no lli' ncrescono, ançi placono et abbeliscono. Né latino né tedesco né lonbardo né fran[clesco 30 suo mellior re no ‘nvestisco, tant’ è di bontade fresco. A lui ne vo [per di]sparesco: corridor caval pultresco. Li arcador’ ne vann’a tresco; 35 Di paura sbaguttisco. Rispos' e disse latinesco: «Stern ett i!» et i’ nutiaresco di lui bendicer non finisco mentre ‘n questo mondo tresco. 40 103 10.11 La prima canzone amorosa italiana: “Quando eu stava in le tu’ cathene” Ritrovata recentemente da Alfredo Stussi (1999, e Stussi in Segre-Ossola 1999, p. 607), anche sulla base di una segnalazione di Augusto Campana, che l'aveva per primo rinvenu- ta diversi decenni or sono, la canzone compare sul verso di una pergamena ravennate con- cernente un monastero della città (oggi Archivio Storico Arcivescovile, 11518 ter). Per ragio- ni paleografiche la canzone è databile al periodo 1180-1210 all'incirca e tenendo conto anche di una serie di aspetti formali la si può datare intorno all'anno 1200. Il testo è antico, ma anomalo. Una serie di aspetti, tutti qualificanti, impediscono difatti di associare Quando eu stava alla tradizione lirica italiana, iniziatasi coi Siciliani e proseguita in area toscana e set- tentrionale: la lingua, la metrica, l'ispirazione e la realizzazione del tema amoroso. In più, i due ultimi aspetti pongono in luce un rapporto coi modelli provenzali qualitativamente di- verso da quello altrove accertato nella lirica duecentesca italiana. La concomitanza delle anomalie colloca testo ed autore in posizione eccentrica rispetto alla corrente, fondamental- mente lineare a quel ch'è dato di sapere, che trapianta in Italia l’esperienza dei Provenzali. Accanto alla canzone compare anche un secondo pezzo lirico, questa volta un brevis- simo frammento: Fra tuti quî ke fece, trascritto da mano diversa e posteriore di qualche tempo, anche se probabilmente non di molto, a quella dell'intervento principale. A con- fronto con l'insieme di caratteri ‘non tradizionali’ di Quando eu stava risaltano quelli inve- ce coerentemente ‘tradizionali’ del più breve e posteriore frammento: la lingua è più deci- samente meridionale, il metro è il classico endecasillabo, il discorso amoroso ha una for- ma accentuatamente cortese, concentrando in pochi versi un numero significativo e quali- tativamente molto coerente di luoghi comuni pertinenti (la dichiarazione di superiorità in amore, l’idea del perdurare della passione amorosa e della sua perenne intensità). Il fram- mento presenta è vero anch'esso almeno un tratto estraneo alla tradizione italiana, ed è quello dell'assetto strofico, giudicabile come anomalo anche sulla base del lacerto conser- vato: la sequenza di versi con quattro rime identiche consecutive non è altrimenti attesta- ta ed è in generale assai poco frequente, benché non ignota, la scelta della formula strofica monometrica di endecasillabi (peraltro accostabile alla predilezione provenzale per la strofa monometrica di décasyllabes). Questi tratti ‘normali’, interni alla tradizione, rendo- no l'apparizione di Fra tuti quí ke fece nella pergamena di Ravenna a mio avviso ancora più inquietante di quella di Quando eu stava, testo folgorante, ma isolato e dunque comun- que circoscrivibile. Il frammento al contrario non è affatto isolabile e la sua presenza apre questioni delicatissime, al momento senza soluzione, che concernono il cuore stesso della tradizione lirica del Duecento. Quando eu stava in le tu’ cathene, oi Amor, me fisti demandare s'eu volesse sufirir le pene ou le tu’ rechice abandunare, k'ènno grand’e de speranca plene, 5 cun ver dire, sempre voln'andare. Non [rlespus'a vui di[ritamen]te k'eu fithança non avea niente de vinire ad unu cun la çente a cui far fistinança non plasea. 10 104 Null’om non cunsillo de penare contra quel ke plas'al so signore, ma sempre dire et atalentare, como fece Tulio, cun colore. Fucere firir et increvare quel ki l'è disgrathu, surt'enore: qui cò fa non pò splaser altrui, su’ bontathe sempre cresse plui, cogo, risu sempre passce lui, tute l’ure servle] curtisia. Eu so quel ke multo sustenea fin ke deu non plaque cunsilare; dì né notte, crethu, non durmia, c'ongni tempu era ‘n comencare. sì m'avlela plolsto in guattare. Co’ ‘n me brace aver la crethea, alor era puru l’[abralçare; mo son eu condutto in parathisu, fra [su] brace retignuthu presu, de regnare sempre su confisu cun quella k'eu per la [av]er muria. Feceme madonna gran paura quando del tornar me consle]llava [dicen]te: «De ro[m]or no ve cura». [Se ratta] la gente aplan[ealva [. .aviande quelthe [s]ententi[e] ‘lura, ka s'ella cun gran voce clrilthava, quando ‘1 povol multu se riavesse contra ‘l parlathor se rengrochisslel, dell] mal dir [fed'a] ella custothisse, si fa[r]ò eu per la plana via. Dle quí tuti] k'[ai], [Amo]re tego, teve prego, non me smentegare, [ka sol vitha vale c'labi sego o ria morte [tore] e suporltlare. Es ] de av[elr mego, né cun lei fi’ slalco co[n]tr'andare [s'a]l [messer] llodase] non so cui. Fals'è l'amor ke n'eguala dui [et] eu [so] kol[sì servent’]a vui, como fe” Parise tuttavia. Fra tuti qui ke fece lu Creature, nusune ne serà senca tenure 105 15 20 24bis 25 30 35 40 45 50 came, quant'e” sulu facu, Amure. El m’aucid’e confunde a tute l'ure, sì ce [m]ai poso ne note ne die. 5 10.12 La canzone o descort plurilingue di Raimbaut de Vaqueiras: “Eras can vei verdeiar” Trovatore provenzale tra i principali attivi tra la fine del XII secolo e i primissimi del XIII, Raimbaut soggiornò a lungo alla corte del Marchese Bonifacio I di Monferrato, cui lo legava una particolare amicizia. Risultato poetico di questa prolungata presenza in Italia sono, accanto a numerose canzoni cortesi d'impianto abituale, due specialissimi componi- menti di Raimbaut. Il primo è una tenzone o contrasto, ossia un dialogo in versi nelle for- me canoniche della canzone pluristrofica provenzale in cui ciascuno dei dialoganti parla a strofe alterne, con una donna genovese: Bella, tant vos ai prejada (PC 392,007). Il ‘giullare’ Raimbaut si rivolge a lei in provenzale, quella risponde nella sua parlata materna che ci appare ovviamente filtrata prima dall'orecchio di Raimbaut, poi dalla trascrizione che subisce l'influsso delle convenzioni grafiche dei canzonieri trobadorici che ce l'hanno con- servata. Il secondo testo, quello che qui si presenta, Eras can vei verdeiar (PC 392,004), è an- cora più originale e costituisce anzi il modello di una piccola serie di liriche plurilingui che si rifanno sicuramente a Raimbaut; si tratta difatti di una canzone — e forse più pro- priamente di un descort isostrofico — scritta in più lingue — provenzale, francese, italiano, guascone, galego (o portoghese) —, a ciascuna delle quali è dedicata una strofa, mentre tutte ricompaiono nella strofa di chiusura (fornada), in ragione di due versi per ciascuna. Come accade anche nel contrasto, le immagini linguistiche non sono in tutto affidabili: più limpide e pure nel caso del provenzale e del francese, esse appaiono variamente di- storte ed adatte, già in origine, nel caso delle altre tre lingue. Composta approssimativa- mente intorno all'anno 1200, la canzone di Raimbaut è una testimonianza eccezionale del quadro delle lingue romanze percepite da un testimone antico, che associa tradizioni af- fermate come quelle provenzale e francese, ad altre che proprio allora stanno raggiungen- do un pieno statuto di ‘letterarietà’, come quelle galego-portoghese e italiana, ad un'altra, quella guascone, rimasta allo stadio solo potenziale. Tutto sommato, è il più bel monu- mento ‘ecumenico’ — è un giudizio di Giuseppe Tavani — di cui disponiamo sulle letteratu- re romanze medievali, composto proprio nel momento in cui dal nucleo comune più anti- co si sviluppa la diversità delle linee nazionali. Testo critico di G. Tavani. I Eras can vei verdeiar pratz e vergiers e boscatges, vuelh un descort comensar d'amor, per qu'ieu vauc aratges: qu'una dona-m sol amar, 5 mas camjatz l'es sos coratges, per qu'ieu fauc desacordar los motz e-ls sos e-ls lengatges II ` Io son quel que ben non aggio, ni encora non l'av(e)rò 10 per aprilo ne per maggio, 106 III II III IV VI si per madonna non l'ho; certo qu'en nisun lenguaggio sa gran beltà dir non so: chu fresqu'es que flor de glaggio, e ja no me'n partirò. Belle douce dame chiere, a vos me doin e m'otroi: je n'aurai mes joy'entiere si je n'ai vos e vos moi; molt estes male guerriere si je muer, per bone foi, e ja per nulle maniere no-m partrai de vostre loi. 15 20 Ora che vedo verdeggiare /prati e giardini e boschi, / voglio cominciare un discordo / d'amore, perché vago smarrito: /che una donna mi amava, /ma è ora cambiato il suo cuore, /e per questo faccio disaccordare parole e suoni e lingue. Io sono colui che non ho nessun bene, /né mai non l'avrò se non grazie alla mia donna; / certo in nessuna lingua /non son capace di dire della sua grande bellezza; /è più fresca che fiore di giaggiolo, /e mai non me ne allontanerò. Bella dolce dama cara, /a voi mi do e concedo; /mai non godrò di piena gioia se io non vi ho e voi me; /siete una ben crudele nemica /se io muoio, in fede mia; /e mai, in nessuna maniera, non mi allontanerò dal vostro comando. Dauna, io mi rent a bos, coar ets ‘ra mes bon'e bera co anc hos, e gualhard'e pros, ab que no-m hossetz tan hera: mout auetz beras haissos ab color hresqu'e nauera; boste soy, e si-bs agos no-m destrengora hiuera. Mas tan temo vostro preito, todo-n son escarmentado: per vos ei pen'e maltreito en meo corpo lazerado; la noit quan jag'en meu leito so<n> mochas vezes penado, e car nonca m'ei profeito falid'ei, e<n> meu cuidado. Bels Cavaliers, tant es cars vostre honratz senhoratges, que c<i>ascun jorno m’esglaggio. 107 25 30 35 40 IV VI Oi me lasso! que farò si sele que j'ai plus chiere 45 me tue, ne sai porquoi? Ma dauna, he que dey bos ni peu cap Santa Quitera, mon corasso<n> m'avetz treito e, molt gen faulan, furtado. 50 Donna, io mi arrendo a voi /perché siete la più buona e bella /che mai fosse, e la più gagliarda e prode, /a patto che non mi foste tanto altera. /molto belle sono le votre fattezze /con colore fresco e giovane; /vostro sono e se vi avessi /da nient'al- tro sarei tormentato. Ma tanto temo il vostro giudizio, /che ne sono tutto avvilito; /per voi sopporto pena e tormento /nel mio corpo lacerato; /la notte quando mi trovo nel letto /sono di con- tinuo tormentato /e poiché non ottengo mai nulla /ho proprio fallito, a parer mio. Bel Cavaliere, tanto mi è cara /la vostra onorata signoria, /che vivo nello sgomento. Ohi me lasso! Che farò? /se colei che ho più cara /mi uccide e no so perché? Mia si- gnora, per la parola che vi ho dato /e per la testa di Santa Quitera / il cuore mi ave- te tolto / e, con leggiadre parole, sottratto. 108 APPENDICE DIMENSIONE VERTICALE: Epoca repubblicana ¿dal IT sec. n.001 Epoca imperiale Lingua scritta Larino classico Latino classico o n ; Larino aristocratico Lingua parlata] EEn o n J] T tue =>" ua ` a e. Larino volgare = Latino volgare = latino popolare latino parlato DIMENSIONE ORIZZONTALE: Infus della lingua parlata a Roma Libero corso alle tendenze centrifughe Pl =" Epoca repubblicana Epoca imperiale Epoca imperiale tarda (primi due secoli) „a 7 1 pr] — di 3 ë TER Jo EN 4 è = È J_Ë ZE 3 = = -8 E T a E ` ES E E — E E, E Ea = — _ Fm n e Lasino delle province T T Tav. 1: a) variazione diamesica, diastratica e diacronica: tendenziale livellamento verso il basso; b) variazione diatonica e diacronica 109 NOTE 1 10 Il caso arabo appare distinto per diversi aspetti: da un lato abbiamo a che fare con elementi non strutturati e neppure definiti tipologicamente se non a maglie larghissime, come nel caso del li- rismo femminile delle kharjat (cfr. capp. 8 e 9) ovvero con forme già assai ben organizzate te- stualmente come nel caso della narrativa in prosa, quindi implicanti un influsso che sarebbe da collocarsi ad un livello superiore rispetto a quello da ipotizzare per la lirica di donna (si ricordi almeno la raccolta di racconti esemplari detta Disciplina clericalis, compilata in Spagna dall'e- breo convertito Pietro Alfonso nel sec. XII). È assolutamente certo e di grandissima portata, ma si colloca su un altro piano l'apporto arabo all'alta cultura (filosofia, teologia, scienze pure e ap- plicate): eccettuati casi eccezionalissimi, la mediazione è qui operata non dai volgari, ma dal la- tino, che è appunto la lingua che ‘occupa’ istituzionalmente - soprattutto su scala europea - quel livello elevato e altamente formalizzato della comunicazione. I dati essenziali sulle due opere qui presentate in forma d'esempio sono in Reynolds 1983: 218- 22 e 131-2 rispettivamente. Cfr. ancora Reynolds 1983: XIV-XVII per un quadro sintetico ed estremamente efficace della tra- smissione dei classici nell'epoca tardo antica e sino al sec. VIII (e le pp. seguenti sono altrettanto raccomandabili per un quadro dell'età carolingia e medievale). Ma non ‘da sempre’ neppure nel mondo latino: si pensi, per esempio,. alla definizione relativa- mente tardiva di un primo corpus di leggi scritte, le cosiddette Leggi delle XII Tavole. È ben no- ta la dimensione orale della letteratura greca antica, anche ben oltre la fase arcaica, ancora deci- samente ‘pre-letteraria’. L'espressione è attestata in epoca molto tarda, in un testo iberico della fine del sec. XIII relativo alla leggenda di Virgilio; la si utilizza, oltre che per la sua efficacia sintetica, per la convinzione che la realtà di mediazione tra sistemi linguistici che in essa si rispecchia non doveva essere dis- simile dalla realtà alto-medievale qui esaminata. Nel Medioevo la parola miles, milites si specializza nel significato di “cavaliere, -i”, ossia “com- P battente a cavallo con armatura pesante”, spesso implicante un’origine nobile. Si tratta di un testo parodico, cioè, in questo caso, di una scrittura che in chiave scherzosa s'ispi- ra a un testo ben noto e in genere di alto livello - nel caso la raccolta fondamentale delle leggi franche, la Lex Salica -, seguendone l'assetto e ricalcandone il dettato ma con contenuti che ap- punto inducono al riso, in contrasto con quelli “seri” del modello. Si è omesso un breve frammento, indicato tra parentesi quadre, che è danneggiato nel mano- scritto e di cui sopravvivono lettere e brandelli di parole. La diversità di soluzione rispetto, per esempio,. a i0 (27, 28) è motivata dal fatto che mentre per il pronome soggetto (< EGO) il ricorrere della grafia eo (12, 28) fa pensare ad un'articolazione an- cora di tipo semivocalico e non consonantico, per jurat < IURAT è lecito presumere che l'evolu- zione della semiconsonante iniziale latina ad affricata / fricativa dovesse essere già avvenuta. Cfr. Banniard 1984: 124-5 e più sopra cap. 2.2. 11 D'ora in avanti afr. indicherà antico francese, lvg. latino volgare, col simbolo $ il confine di sillaba. 12 13 Secondo l'interpretazione più corrente le ragioni della dittongazione sarebbero da ricercarsi nell'evoluzione che subì l'accento latino il quale da musicale (la sillaba accentata è pronunciata con un tono diverso rispetto alle sillabe atone) passò ad essere intensivo-dinamico (la sillaba ac- centata è pronunciata con una intensità diversa rispetto alle sillabe atone). Tuttavia, giacché stu- di più recenti hanno dimostrato la natura dinamica dell'accento latino già in età repubblicana, un'interpretazione differente appare ormai necessaria. /-s/ finale tendeva a scomparire già nel latino arcaico; pertanto la sillaba è da considerarsi libera. 110 14 Le varianti grafiche possono essere tra loro equivalenti (cf. cap E) oppure testimoniare esiti dia- lettali. Nel caso specifico la forma miauz/mialz potrebbe essere un esito tipico dell'orleanese (dialetto di Orléans, città a Sud di Parigi). 15 Il gruppo GN pronunciato in latino classico [gn] dopo palatalizzazione si pronuncerà [p], pro- vocando la dittongazione della sillaba successiva (legge di Barstch). 16 La /u/ di deu dovrebbe essere all'origine del dittongamento. La questione resta a tutt'oggi controversa. 17 Segnaliamo solamente i grafemi più interessanti per la comprensione di questo testo. 18 Segue un elenco di alcune decine di signori laici che s'impegnano assieme al Conte a rispettare l'accordo. 111 BIBLIOGRAFIA Alessio 1993 - G. C. Alessio, Tradizione latina e origini romanze, in F. Brioschi - C. Di Girola- mo, Manuale di Letteratura Italiana: storia per generi e problemi. 1. Dalle origini alla fine del Quattrocento, Torino, Bollati-Boringhieri, 1993, pp. 3-44. Auerbach 1946 - E. Auerbach, Mimesis. Dargestellte Wirklichkeit in der abendlindischen Lite- ratur, Bern 1946, trad. it. 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Pas. Pas: pas. pag. pass pag. pas: pag. pas. pas. pas. pag. pas. Pas: pas. pas: pas. pag. pag. pas. Pas: pas. PSE: DONI Si À À 10 10 11 13 15 15 21 22 23 26 27 29 29 30 30 31 32 32 35 36 37 39 39 41 41 42 45 7 Le origini delle letterature romanze pag. 46 7.1 Ipotesi a confronto sul tema delle Origini delle letterature romanze pag. 49 8 I più antichi testi letterari romanzi pag. 51 8.1 Inventario dei testi pag. 51 8.2 Definizioni pag. 54 8.3 Analisi del corpus testuale conservato pag. 55 9 Letterature romanze medievali pag. 59 9.1 Il XII secolo: l'affermazione della letteratura in lingua volgare pag. 59 9.2 Cronologia assoluta e relativa pag. 62 10 Testi, lingue, forme pag. 64 10.1 Problemi generali della presentazione di testi antichi pag. 64 10.2 La Cantilena di Santa Eulalia pag. 67 10.3 La Chanson de Saint Alexis pag. 72 10.4 La Chanson de Roland pag. 76 10.5 LYvain ou Le Chevalier au lyon di Chrétien de Troyes pag. 81 10.6 Due documenti catalani dell’anno 1100 circa pag. 89 10.7 Una canzone d'amore di Bernart de Ventadorn pag. 90 10.8 Frammento di Roman d' Alexandre di Alberic de Pisancon pag. 94 10.9 Il Cantar de Mio Cid pag. 99 10.10 Il Ritmo laurenziano pag. 102 10.11 La prima canzone amorosa italiana: “Quando eu stava in le tu' cathene” pag. 104 10.12 La canzone plurilingue di Raimbaut de Vaqueiras pag. 106 Bibliografia pag. 112 I materiali qui presentati corrispondono agli argomenti affrontati a lezione nello sviluppo della seconda parte del corso istituzionale di Fondamenti di filologia e linguistica romanza dell'an- no accademico 2002-2003 (4 CFU - 1° semestre), rivolto a studenti di tutti i Corsi di laurea di nuovo ordinamento della Facoltà di Lettere e Filosofia, che presuppone e continua le questio- ni esaminate nella prima parte dello stesso corso a partire dal manuale di A. Varvaro, Lingui- stica romanza- Corso Introduttivo, Napoli, Liguori, 2001. I materiali sono pensati per gli studenti frequentanti e sono ad essi esclusivamente indirizzati. Le indicazioni bibliografiche intendono offrire indicazioni essenziali circa le opere che si sono specificamente tenute presenti nella re- dazione di questa sintesi e che quindi anche si suggeriscono agli studenti come integrazioni e come percorsi individuali di approfondimento nelle diverse direzioni, anche al di là del qua- dro istituzionale del modulo didattico per il quale queste dispense sono state concepite. I capitoli 10.5 e 10. 7 sono rispettivamente di Oreste Floquet e di Sara Centili. S.A., dicembre 2002 1. Presentazione: avvertenze e definizioni preliminari 1.1 Problemi specifici del campo d’indagine Il corso di lezioni, che si innesta sul Corso Introduttivo di Linguistica Romanza di A. Varvaro, di cui riprende alcune parti con punto di vista in parte diverso e complementare, intende: a) illustrare attraverso una serie di esempi concreti le trasformazioni dal latino al- le lingue romanze, con attenzione specifica per le più antiche attestazioni; b) presentare alcuni dei più antichi testi letterari romanzi e, attraverso di essi, abbozzare alcune que- stioni di fondo inerenti le Origini letterarie romanze e la definizione di un panorama lette- rario delle varie regioni romanze nel XII secolo. La finalità strettamente didattica spiega un certo numero di ridondanze espositive. È opportuna un’avvertenza specifica che tiene conto della particolarità dell’argomen- to e delle questioni che sorgono riguardo ad esso: ad un aspetto conoscitivo se ne affianca uno problematico - per cui le questioni sottendono effettivamente interrogativi o argo- menti di dibattito aperti -, dalle valenze anche metodologiche. Conviene soffermarsi un attimo a presentare i due fronti distinti. Da un lato troviamo dei dati, degli oggetti che hanno una loro indubbia concretezza, anche in termini di oggettualità, di materialità. Si tratta di singole forme e singole parole entro testi ancora latini, quindi in contesti conservativi, poi, gradatamente, di frammenti testuali e quindi di testi integri e coerenti, via via sempre più ampi, complessi e autonomi e diversificati per temi (religiosi, morali, didattici, profani, questi ultimi, nella fase più an- tica, soprattutto sul versante epico e su quello cortese-cavalleresco) e forme (varie struttu- re versificate, narrativo-didattiche e liriche, poi anche prosa). Dall'altro abbiamo la configurazione, ossia la ricostruzione di un processo linguisti- co e storico-culturale, operata in condizioni difficili: a distanza di tempo e con lacune cer- te ed enormi nella documentazione - vere e proprie voragini - proprio in corrispondenza dei passaggi più delicati. Il terreno è qui in buona parte costruito anche di sole congetture e può dare un'impressione di totale precarietà soprattutto se confrontato con l’almeno ap- parente consistenza delle tracce documentarie e testuali. Il corso si svilupperà così lungo due linee di avvicinamento al problema delle origini romanze, che corrispondono a due percorsi conoscitivi e in certo modo anche a due veri e propri atteggiamenti conoscitivi diversi. Il primo è descrittivo e può permettersi di essere analitico nella presentazione di dati che si configurano tutti, comunque, come dati di fatto, nella loro materialità documentaria, e che permettono pertanto di costruire ragionevoli - ossia sempre relative - certezze. Il secondo percorso è invece sintetico e ricostruttivo ed ha uno statuto ben diverso, in quanto si costituisce in forma di ipotesi storico-critica. In realtà la distinzione operata tra questi due piani, tra materiali recuperati e disponi- bili all'analisi da un lato e ricostruzione dei processi dall'altro, ha efficacia e validità solo didattica, in quanto messa in chiaro degli assunti di partenza e soprattutto delle diverse tipologie di discorsi critico-analitici e dei diversi ‘gradi di verità’ che ad essi si associano. Difatti, a ben vedere, anche i singoli dati che pure possiedono una loro indubbia con- cretezza anche materiale quali testi o quantomeno brandelli o estratti di testi (elenchi di parole, forme citate da grammatici, iscrizioni, graffiti, ecc.), al di là del momento pura- mente descrittivo possono essere interpretati solo entro una prospettiva di valutazione della variazione diacronica e diatopica che condiziona la stessa lettura dei reperti, orien- tandola entro un sistema di coordinate: spaziali e temporali, ossia geografiche e cronolo- giche, ma anche, per esempio, formali (relative cioè alla descrizione dei sistemi linguistici) e socio-storiche. Un sistema di coordinate che non è dato, ma va costruito. Insomma , il quadro di ipotesi complessive nel quale ci muoviamo si fonda sui dati, ma entra in gioco già nella stessa valutazione degli stessi, così che diviene rilevante e per certi aspetti decisivo il punto di vista che viene assunto e, di conseguenza, il ‘tipo di sguardo’ dell'osservatore (filologo, storico delle lingue, storico della Tarda Antichità e del Medio Evo): di qui, per esempio, le differenze anche sensibili nella valutazione dei singoli dati e di fenomeni anche complessi che viene data da romanisti e da classicisti (ossia da ‘sguardi’ orientati rispettivamente dal moderno e dell’antico, dal ‘dopo’ e dal ‘prima’). In forma di soluzione operativa ‘aperta’, si può affermare che la funzionalità dell'insieme nella ricostruzione storico-critica dipende dalla coerenza delle parti e dal rifiuto di rigidi- tà schematiche in favore di approcci sempre problematici. Problematica, cioè intimamente complessa, è di fatto l'epoca di cui ci occupiamo: essa ha i caratteri tipici di tutte la fasi di transizione, nelle quali assumono importanza anche preponderante i fattori di contatto e di mediazione. Quelli che abbiamo di fronte sono sistemi linguistici particolarmente complessi - che si possono opportunamente studiare in chiave di diasistema / diasistemi -, nei quali intervengono e concorrono più addendi: stratificazioni linguistiche e culturali anche plurime caratterizzano i testi di cui ci occuperemo e rimarranno il dato per tanti aspetti dominante sino alla stabilizzazione delle tradizioni linguistico-letterarie nei vari domini romanzi, tra XI e XII secolo. L'esposizione tende a privilegiare il contesto e il senso globale dei processi linguisti- co-culturali legati all'emergere e all’affermarsi dei volgari come mezzi espressi e come fat- tori costitutivi e caratterizzanti di tradizioni letterarie e formali, progressivamente diffe- renziate nei vari ambiti nazionali o regionali. La letteratura latina, nel periodo tra l'età Tardo Antica e l'affermarsi deciso del Medio Evo e anche ben addentro a questo limite, è stata presentata nella prospettiva delle successive letterature romanze e nella particolare ottica che ne consegue in molti ottimi studi in forma sintetica (cfr. per es. in Banniard 1984: 123-165, ovvero, con particolare efficacia, in Alessio 1993) o più analitica, questi ulti- mi con diversi gradi di complessità e approfondimento e diverse prospettive (così per esempio Novati-Monteverdi 1926, Roncaglia 1967, Meneghetti 1997) e anche con prospet- tiva storica di lungo periodo (esemplarmente: Curtius 1948, Auerbach 1946 e 1958). Inten- ti simili non rientrano nel quadro della presente trattazione. Basterà qui segnalare - lo si farà nel cap. 2 - la compresenza in questa fase, che è di passaggio e di transizione anche per le lettere latine, di fattori di continuità e permanenza che costituiscono innanzitutto l'ossatura del sistema culturale e organizzativo della Chiesa e delle grandi istituzioni lai- che del Medio Evo e definiscono quindi i contorni di una civiltà letteraria propriamente detta, pronta ad entrare in gioco anche sul versante del volgare - o dei volgari, con ruoli, tempi e modalità differenziate a seconda delle regioni - dopo che questo avrà cominciato a delinearsi come il nuovo, imprescindibile strumento espressivo. Si lasceranno così in ombra ovvero saranno tutt'al più evocate di sfuggita - e soprattutto in relazione con aspetti della comunicazione scritta e dei rapporti tra scritto e parlato - personalità e opere anche rilevantissime della cultura latina dell'Alto Medioevo, fattori anche decisivi nella definizione di una cultura medievale e di tradizioni testuali destinate ad essere anche ro- manze, oltre che latine (scritture agiografiche, devozionali, scientifiche, didattiche). Più che a una divisione di campi con altre discipline - la letteratura latina medievale, innanzi- tutto - questa scelta è motivata dalla convinzione della preponderanza dei fattori di rottu- ra, in connessione con la definizione e l'affermazione dei volgari, piuttosto che da quelli di continuità inerenti alla più specifica dimensione della letterarietà e della scrittura; della preponderanza, in definitiva, di fattori legati alle collettività e al ‘pubblico’ piuttosto che alle figure degli autori ed alla loro formazione, che continuerà certamente ad essere per- meata di cultura linguistica e letteraria latina. In questa prospettiva le letterature romanze del Medioevo appaiono tutte attraversate da una corrente - non esclusiva, ma di certo for- te e tale da influenzare largamente il mondo della scrittura volgare - che mira al recupero di una tradizionalità già antica, che intende dunque riconquistare uno statuto formale - per le opere, per gli autori, per le lingue letterarie - comparabile a quello del mondo anti- co (in questo senso sono esemplari gli studi di Auerbach 1958). 1.2 Definizioni Nell affrontare la genesi degli ambiti linguistico-culturali nazionali e i processi costi- tutivi delle varie tradizioni letterarie occorre tenere conto di alcuni aspetti peculiari del campo di indagine, che si cominciano qui ad organizzare sotto forma di definizioni al fine di mettere ulteriormente in evidenza i nodi problematici di fondo. 1.2.1 Diasistema Modello di descrizione di sistemi linguistici parzialmente simili che si concentra sugli elementi parzialmente differenziati al loro interno, studiando precisamente questo grado di differenziazione entro i limiti formali di una relativa unità; «gli elementi parzialmente diffe- renziati» sono considerati «come specie di varianti combinatorie, nelle quali però il fattore che provoca la variazione è non già il contesto ma lo spazio geografico» (Telmon in Beccaria 1994: 223); pertanto «in dialettologia il termine d., designa o il supersistema cui possono af- ferire due sistemi affini, oppure il sistema di compromesso tra due sistemi in contatto» (Se- gre 1979: 58). Ma la definizione di d., coniata da U. Weinreich in prospettiva appunto di dia- lettologia sincronica, può essere ugualmente applicata a variazioni quantomeno di ordine diacronico e diastratico. Il latino antico, repubblicano e imperiale, può essere assai ben de- scritto in termini di diasistema, in considerazione della vastità e complessità delle varietà in cui si articolava; all’interno del taglio sincronico coesistevano varietà prodotte da variazioni diatopiche e diastratiche, ma anche sincroniche (differenti momenti della romanizzazione, tensioni contrastanti fra aree innovative ed aree conservative), tutte sottoposte in maniera netta alla norma elevata, ossia ciò che definiamo oggi latino classico e nella terminologia del tempo si denominava come sermo urbano o urbanitas, con riferimento esplicito anche a Ro- ma, l’Urbs (Urbem) per eccellenza ed al suo ruolo dominante. 1.2.2 Monumento/Documento Distinzione introdotta stabilmente nell'uso da P. Zumthor (1963), che così la illustra (ibid.: 37-38): rispetto alla opposizione parlato-scritto, una volta constatata l'incoerenza ti- pologica delle attestazioni scritte più antiche e rilevato che «la comunicazione orale può partecipare della natura del testo, addirittura confondersi con esso», Zumthor ritiene «preferibile adottare un altro criterio e distinguere (non più in rapporto all'occasione del discorso, ma in virtù della sua proprietà di messaggio) tra monumenti linguistici (i giura- menti di Strasburgo; la formula orale usata, per consuetudine, dal giudice) e documenti (qualsiasi frase di comunicazione corrente; le annotazioni del sermone su Giona). Se si considera - teoricamente - la totalità degli atti linguistici possibili, risulta comunque che lo scritto, il testo, è più spesso monumento che documento. [...] In generale si distinguerà in ogni comunità linguistica: 1) uno stato di lingua primario, ‘documentario’, con funzione essenzialmente comunicativa; 2) uno stato secondario, 'monumentario”, esistente in rap- porto al primo, ma a questo irriducibile». A questi due ‘stati’ Zumthor propone di associa- re due funzioni specifiche e distinte, «la funzione primaria determinata solamente dalle esigenze dell'intercomunicazione corrente ... la funzione secondaria è propriamente una funzione di ‘edificazione’, nel duplice significato di questa parola: elevazione morale e co- struzione di un edificio». Cfr. anche Meneghetti 1997: 53 sgg. 1.2.3 Letteratura Rispetto all’età medievale: «insieme delle forme scritte che costituiscono in tradizio- ne scritta la cultura d’una società» (Roncaglia 1965: 8), con accezione dunque assai più ampia di quella che, come eredità «della cultura dell'età romantico-borghese» del secolo XIX, identifica «la letteratura con gli scritti di immaginazione e di invenzione» (Fortini 1979: 155), e tenendo però conto che il concetto di letteratura esprime una «dimensione ri- tuale, che vede fissate, in forma anche rigida nelle fasi arcaiche, le forme per una ripetibile evocazione di atti di coscienza collettiva» (Fortini 1979: 160-161); in questa direzione, oc- corre attribuire al testo il significato ‘ampio’ di «sintesi discorsiva (linguistica) di elementi culturali» (Segre 1979: 7), sul versante sia dello scritto sia dell'orale (dato per scontato che per tutta la fase anteriore al secolo XX non abbiamo della dimensione orale che delle tra- scrizioni, le cui modalità possono dipendere da condizioni tra loro oltremodo variabili e potenzialmente distorcenti). La definizione di ‘letterature volgari del Medioevo’ sottintende, entro un arco crono- logico di riferimento che giunge sino alle soglie del secolo XVI, alcuni aspetti peculiari, che conviene esplicitare. Innanzitutto la competenza tecnica di autori di coloro che ‘scri- vono”, che sono dunque in grado di padroneggiare una serie di strumenti tecnici di scrit- tura di diversi gradi e che hanno deciso di mettere queste competenze al servizio della composizione e della fissazione nello scritto di testi volgari. Tutte le forme scritte, e so- prattutto quelle cui è possibile associare una più cosciente intenzionalità nella fase delle prime attestazioni romanze, si collocano entro una tradizione di scrittura la quale a sua volta, considerate le peculiari condizioni dell’alfabetizzazione e della distribuzione della cultura scritta e dei suoi usi nel Medio Evo, si configura come una tradizione letteraria, al- meno potenziale: chi scrive ha innanzitutto imparato a scrivere e a leggere di norma in la- tino - e non in volgare - e in seguito, se ha studiato ulteriormente, lo ha fatto di nuovo in latino, anche come lingua della pratica scolastica d'insegnamento e quindi quale strumen- to - non certo esclusivo, ma decisivo - di contatto tra docente e discente e lo ha fatto anche familiarizzandosi con autori della letteratura latina, magari conosciuti attraverso estratti ad uso appunto scolastico, ai quali era associata una speciale funzione di modello, quella che indichiamo appunto come funzione autoriale (‘che ha e trasmette autorevolezza’, os- sia dignità formale e di pensiero e quindi anche ‘verità’). Inevitabilmente, almeno una parte di questa formazione entra in gioco nell'applicazione alla scrittura in volgare, ma l'apporto può essere anche decisivo e strutturante. Si entra per questa via nella dimensione che gli anglosassoni indicano col nome di li- teracy, che potremmo definire come l'ambito della alfabetizzazione e degli usi scritti del- la lingua (in Banniard 1984: 16: «la padronanza assoluta della comunicazione scritta»), cui solo con cosciente attenzione e prudenza si può adattare l'italiano letterario /letterarietà. A fronte di questo aspetto e in relazione con esso, esiste una questione di definizione delle modalità di diffusione dei testi della letteratura volgare e del loro pubblico, ossia di ‘coloro che leggono (o recitano)’ e di ‘coloro che ascoltano leggere o recitare o declamare” i componimenti volgari. Infatti nel Medioevo si afferma solo molto lentamente e non prima del sec. XIV la realtà di un pubblico che ‘legge’ direttamente, come siamo oggi abituati a fare e ad immaginare, ossia della lettura come attività individuale e il più delle volte soli- taria, intima. La differenza rispetto alla condizione attuale della ‘letteratura’ è sostanziale (e per converso accostabile in alcuni statuti fondanti ad altre forme espressive fondate sul- l’oralità, spettacolo e radio-televisione compresi). Difatti, se nel Medioevo la dimensione esclusivamente orale è tipica dei generi tradizionali e ‘popolari’ (non per questo escluden- ti le classi elevate), la maggior parte dei testi ‘scritti’ in volgare era destinata ad essere ascoltata, attraverso non solo il canto o la recitazione (i canti lirici, le canzoni di gesta, ecc.), ma anche la lettura ad alta voce a pubblici anche limitati, per esempio piccoli gruppi di persone (tutta la narrativa in prosa e in versi, di carattere non solo profano, ma anche religioso). La pratica di lettura silenziosa è infatti, se non sconosciuta, molto rara nell’ An- tichità e poi nel Medioevo; il suo imporsi, dall'età umanistica in poi, viene a definire un rapporto tra lettore e testo, e quindi anche poi tra (nuovi) autori, testi e pubblico, differen- te da quello dell'età precedente. La scansione tra: composizione /scrittura /trascrizione /lettura/ascolto individua una serie di distinzioni, se vogliamo di opposizioni che è da intendere non solo come trafila di esistenza di un’opera, ossia come serie di passaggi tra loro successivi, ma come insieme di dati concorrenti a definire il ‘campo di esistenza’ dei testi medievali, tra autore e pubblico. 1.2.4 Latino e volgare A tutto ciò si lega l'opposizione di fondo tra latino e volgare, tra espressione lingui- stica volgare e espressione latina, per cui, tra l’altro e come si è già più sopra segnalato, la padronanza della pratica della comunicazione scritta (della literacy) ha il peculiare aspet- to, nell’Occidente Medievale, del confronto continuo tra pratica latina e non-latina. A que- sto riguardo, se è opportuno tenere sempre presente la differenziazione interna al domi- nio volgare tra le varie modalità regionali e nazionali, cui, come vedremo, si associano ta- lora filoni e generi specifici, attraverso i quali si costruiscono rapporti diversi con modelli latini antichi e medievali, il dato davvero determinante è costituito dalla fondamentale, basilare dialettica tra volgare e latino, tra espressioni linguistiche tipologicamente classifi- cabili come ‘bassa’ e ‘alta’, luna ancora ‘non formalizzata’, l’altra invece totalmente gram- maticalizzata (da cui la definizione medievale e dantesca in particolare del latino come gramatica). Il latino era la lingua di cultura dell'Occidente medievale cristiano, al quale venne a lungo riconosciuto uno statuto formale, anche come mezzo linguistico di comuni- cazione trans-nazionale, che solo alcuni volgari conquistarono a stento e solo settorial- mente (l'italiano come lingua della società di corte del Rinascimento, poi in larga parte so- stituito dal francese, oggi l'inglese in tempi di supremazia culturale anglosassone), mai comunque raggiungendo la peculiare dimensione pan-europea di unica lingua di cultura e di lingua stabilmente scritta che fu propria del latino in quasi tutta l'Europa occidentale e segnatamente nelle regioni di parlata romanza sino ad un'epoca assai avanzata. Questa dialettica tra latino e volgare non vedrà la fine che nella prima Età Moderna, attraverso una lenta ma decisa riduzione del latino ad un ambito erudito e accademico, in aggiunta a tutti gli usi ufficiali della Chiesa Cattolica (ma non più delle Chiese Riformate): Leibniz e ancora Kant, all’inizio della sua attività, usano correntemente il latino nei propri scritti. Persino alla fine del secolo XIX due grandi studiosi francesi di letterature romanze, il pro- venzalista A. Jeanroy e il francesista J. Bédier, stesero in latino la loro dissertazione dotto- rale alla Sorbona. Ma anche solo la consuetudine di designare con terminologia latina i nomi ‘scientifici’ di specie animali e vegetali, presente in qualche modo a tutti per esem- pio attraverso nomi di dinosauri come Velociraptor o Tyrannosaurus Rex, dà la misura di quanto sia stata forte e persistente l'eredità latina in ambito scientifico, in forma ormai passiva, ma comunque ben oltre il momento in cui trovò la propria definizione il sistema tassonomico di classificazione di animali e piante ideato dal grande biologo svedese Lin- neo (metà del sec. XVIII). Uno dei fenomeni ‘di lungo periodo’ che attraversano il Medioevo e uno dei più im- portanti, di quelli davvero strutturali, è così quello della conquista da parte del volgare di spazi sempre maggiori della comunicazione linguistica ‘colta’, specificamente nella di- mensione dello scritto, e anche al di fuori dei generi d'invenzione e di quelli che oggi chiameremmo ‘di divulgazione’. Una svolta decisiva non si avrà che alla fine del Medioe- vo e all’inizio dell'età moderna, in concomitanza con una serie di sconvolgimenti culturali e sociali - la Riforma, l'Umanesimo europeo - e con l'invenzione (Gutemberg) e la rapidis- sima diffusione della stampa a caratteri mobili, nella seconda metà del sec. XV. Si avverta ancora che il percorso non è affatto lineare e che sono possibili sviluppi in senso inverso anche nel campo di ciò che definiremmo volentieri come ‘letteratura’ in senso stretto: esempi eloquenti sono quelli di due opere latine di quella che si suole definire ‘materia antica’, l’Alexandreis in versi di Gautier de Châtillon (fine XII secolo), che rielabora la leg- genda di Alessandro Magno anche a partire da poemi volgari francesi di poco anteriori, e poi soprattutto il De desctructione Troiae in prosa di Guido delle Colonne di Messina (ca. 1270), che rielabora il Roman de Troie in versi francesi di Benoît de Sainte-Maure, anteriore di un secolo (ca. 1170); l’opera del Giudice messinese ebbe una fortuna vastissima, attesta- ta dai più di 200 mss. medievali superstiti e dalle numerose ri-traduzioni in volgare, tanto da surclassare la diffusione, pur considerevole, del testo originario di Benoît. Delle ragioni profonde della resistenza del latino - e con esso di una certa idea di classicità - sono infine testimonianza le controversie che tra la fine del XV secolo e prima metà del XVI oppongo- no nei vari paesi romanzi i fautori del latino ai sostenitori del volgare, legandosi e in parte sovrapponendosi ai conflitti religiosi dell'età della Riforma nei quali, di nuovo, la questio- ne della lingua, del rapporto dei fedeli con le Scritture, della liturgia rivestirono un peso non indifferente. 2. Le Origini Romanze 2.1 Lingue e letterature; latino e volgari. Il problema delle ‘Origini romanze’, come processo di formazione di tradizioni scrit- torie e letterarie nei vari domini romanzi, accorpa i due macro-fenomeni della fase alto- medievale: 1) la formazione o la definizione delle lingue romanze o meglio, data l'epoca e con una formulazione più generica, la formazione delle parlate tardo latine e poi romanze e più in particolare il delinearsi delle varietà linguistiche romanze che costituiscono la base delle lingue letterarie medievali e poi delle lingue nazionali e ufficiali del mondo moderno e contemporaneo. 2) la formazione o origine delle letterature volgari o più genericamente delle tradizioni di composizione in volgare di testi e di sistemi di testi strutturati, obbedienti a tipologie identificabili e provvisti di interna coerenza. C'è un punto d'incontro, che costituisce una sorta di ‘terzo piano” degli oggetti di studio e dei modi di rapportarsi con questi problemi: 3) quello delle attestazioni scritte e delle tradizioni scrittorie (delle forme grafiche, ma anche delle caratteristiche linguistico-grammaticali e stilistiche); esse sono da un lato le tracce di cui disponiamo su cui fondare le ricostruzioni dei processi linguistici, mentre dall'altro costituiscono le tappe che scandiscono il lento emergere di un'autonoma co- scienza espressiva che prima non poté che essere più genericamente ‘diversa’ dal latino formalizzato di antica ascendenza, per poi divenire decisamente ‘volgare’. Distinguere- mo una serie di ulteriori aspetti: 3a) la formazione di sistemi ortografici specifici per la trascrizione del volgare (in quanto contrapposto al latino) e dei vari volgari, differen- ziati anche sotto questo aspetto per tradizioni geografiche; 3b) la modalità di circolazio- ne dei testi in un contesto segnato 3b1) dalla civiltà della copia manoscritta e 3b2) dalla supremazia culturale del latino sul volgare, destinata a protrarsi per tutto il Medioevo: supremazia del tutto schiacciante e tale da ostacolare in maniera sensibile - a livello ov- viamente di filtro culturale - l’insediarsi di tradizioni indipendenti, costruite a partire dai volgari, di fatto impedito per tutto l'arco cronologico dell’ Alto Medioevo. I due processi 1 e 2, sviluppo delle lingue e sviluppo delle letterature, sono tra loro evidentemente differenti e si svolgono secondo cronologie diverse, con velocità dunque non sincrone: a ritardare quella che possiamo definire come l’ ‘emersione delle letterature romanze’, ossia l'apparizione, attraverso la mediazione indispensabile dello scritto, di for- me testuali che abbiano una propria intenzionalità e compiutezza formale, sta proprio il predominio del livello culturale ed espressivo alto, dunque della scrittura e della conser- vazione formale ed organizzata nello scritto, da parte del latino. In definitiva, è proprio il sensibile iato che risulta da tutto ciò sull'asse cronologico tra le ipotesi e le prime certezze circa le lingue e la formazione delle tradizioni letterarie e le loro prime documentazioni apprezzabili che ha portato all'individuazione di un problema storiografico di definizione globale delle ‘Origini romanze’. In estrema sintesi, e anticipando quanto verrà esposto più avanti osserviamo difatti che: - le lingue romanze, come sistemi linguistici regionali distinti dal latino e tra di loro, an- che nella coscienza dei parlanti, esistono per lo meno dall'inizio del secolo IX, ossia dal- 10 l'età carolingia; è verosimile che, almeno in alcune regioni, come per esempio, secondo un'ipotesi ricorrente, la Gallia settentrionale, il processo di allontanamento dal latino avesse portato a differenziazioni non più definibili in termini di variazione diastratica ma di vera e propria distinzione formale di sistemi già nella seconda metà del sec. VII; - le letterature romanze, come sistemi organizzati di tradizioni linguistico-letterarie im- piantate in forma strutturata e continuativa nelle varie regioni della Romània esistono dall'inizio del sec. XII per l’area gallo-romanza (nella quale si riescono a scorgere tracce consistenti già lungo tutto il corso del secolo precedente, XD e dalla fine dello stesso o meglio dall'inizio del successivo per l’area iberica (scuola lirico galego-portoghese; Poema de Mio Cíd, testi del mester de clerecía e prime composizioni in prosa narrativa e didattica) e italiana (ritmi di area mediana e toscana; Scuola poetica siciliana; poesia didattica nel nord). In forma sempre di estrema sintesi, possiamo indicare le date dell’anno 1100 e del- l’anno 1200 come momenti di affermazione di tradizioni letterarie volgari rispettivamente in area gallo-romanza (sia per lingua d'oïl sia lingua d'oc, ossia francese e provenzale) e nelle due distinte aree iberica e italiana. Su tutto questo cfr. di seguito i cap. 9 e 10. Dietro a tutto questo, alle modalità di apparizione e di consolidamento, al decalage cronologico ed alle sue motivazioni, vi è un fattore che è determinante ed è quello della diversa ‘barriera’ frapposta dal latino e dalle scritture in latino ai volgari romanzi, che ne trattiene assai a lungo le espressioni al di qua della scrittura o quantomeno di una stabile presenza nella tradizione scritta. Un aspetto particolare delle Origini romanze è così dun- que quello del ‘passaggio allo scritto’ delle lingue romanze, ossia della conquista, da par- te dei volgari e di ciò che si scrive in volgare, di una propria dimensione autonoma e spe- cifica, in un quadro generale di distribuzione della cultura che continuerà per lunghissi- mo tempo e ben addentro l'Età Moderna a privilegiare il latino rispetto ai volgari. Questo momento di superamento del confine passa anche attraverso la mediazione e la riforma- lizzazione all’interno di una tradizione di scrittura latina, ossia entro una civiltà grafico- linguistico-letteraria latina, inizialmente di stampo fortemente ecclesiastico, per lo più monastico, con apporti tuttavia importanti, specie in Italia, dall'ambito giuridico e cancel- leresco. Entro il quadro delineato più sopra nella Presentazione (cap. 1), il rapporto col lati- no si configura in maniera diversa nei vari ambiti linguistico-culturali e contribuisce in maniera sensibile alla caratterizzazione individuale di ciascuno, guidando e modulando tra l’altro in maniera diversificata proprio la fase di ‘passaggio allo scritto”. 2.2 Una scelta necessaria? Questo snodo essenziale che si manifesta nella conquista, nei diversi livelli e campi dell'espressione, di una ‘tradizionalità letteraria’ in senso stretto, legata cioè alla scrittura ed alla lettura, ha in sé un aspetto particolare, sottolineato ancora recentemente da studiosi soprattutto italiani (Roncaglia 1965: sopr. 8-11 e Meneghetti 1997: 3-5), quello cioè del pos- sibile carattere ‘non necessario’ ed anzi ‘volontario’ dell'adozione del volgare da parte degli scrittori medievali: essi avrebbero potuto continuare ad usare come strumento espressivo quello ancora vivente e corrente nei medesimi ambiti di scritture, ossia appunto il latino. Alle spalle anche del solo interrogativo in questo senso si avverte un sentimento di fortissima continuità culturale entro la tradizione classica che è caratteristico della sto- riografia letteraria italiana, a partire già dalla stessa impostazione di base di un lavoro mo- 11 numentale come quello delle Origini ideate da F. Novati all’inizio del sec. XX e portate a termine da A. Monteverdi (Novati-Monteverdi 1926). L'interrogativo ha una sua fondatez- za, ma riguarda a ben vedere il solo versante dell'autore: ed effettivamente a molti degli scrittori medievali si è presentata la possibilità di una scrittura in latino come alternativa a quella in volgare e la scelta in favore del volgare - per Dante come per il catalano Ramon Llull negli stessi anni - è fattore essenziale nella valutazione degli intenti degli scrittori. Ma, appunto, l'interrogativo, e con esso l'ipotesi storico-critica che ad esso soggiace, quella cioè di una assoluta centralità delle individualità di scrittori nel processo qui esami- nato, mi pare risulti unilaterale e finisca con l'essere riduttivo. Sembra difficile poter affer- mare che l’esistenza di una letteratura in volgare sia dipesa solo dall'esistenza - ossia dalla comparsa e dall'affermazione - di figure di scrittori in volgare - e poi anche di grandi per- sonalità di autori - e di opere volgari - anche capitali -, ossia quegli scrittori e quei testi che oggi studiamo e che costituiscono per noi, a posteriori, la letteratura delle Origini romanze. Piuttosto si deve pensare che se tutto ciò è avvenuto, se cioè se è esistita una letteratura - o delle letterature, se assumiamo una prospettiva attenta alle diverse realtà regionali e nazio- nali - e se entro di essa - o di esse - si sono affermati dei suoi autori lo si deve al fatto che è esistita una com-partecipazione di autori e pubblico ad una medesima sfera comunicativa, entro la quale hanno condiviso, prima ancora che i testi conservati, che sono delle forma- lizzazioni spesso assai raffinate, delle lingue e con esse dei valori, dei temi, dei miti. E se è vero che istituzioni come quelle ecclesiastiche possono aver ‘modellato’ - linguisticamente, culturalmente, spiritualmente ed anche formalmente - il pubblico laico, lentamente, lungo generazioni e attraverso generi come le narrazioni agiografiche ed esemplari, e se è certo vero che singoli autori/creatori hanno svolto un ruolo ‘d’avanguardia’ creando nuove for- me di sensibilità, creando e modellando un nuovo gusto letterario, dando ‘forma’ nuova ai discorsi e guadagnando il consenso intorno ad essa, è altrettanto vero che essi dovettero operare all’interno di un sistema già parzialmente dato e a partire da quel dato minimale, ma fortissimo e, dal punto di vista qui assunto, decisivo del volgare e della contrapposizio- ne volgare / latino. Questo punto di partenza e questa contrapposizione passano attraver- so la società, modellano il pubblico, definiscono una condizione di partenza di ‘condivisio- ne dei testi’ senza la quale finiremmo col collocare i testi romanzi delle Origini in una di- mensione astratta, astorica, di quasi virtuale letterarietà. Vi è dunque, quale dato basilare e determinante, un ‘fondo romanzo’: la sola qualifi- cazione delle nostre lingue e letterature come volgari e romanze basta a garantirlo. Che poi questa componente romanza a noi sfugga in gran parte per tutta la fase più antica, quella grosso-modo alto-medievale, e che non se ne possa ‘fare storia’ se non per spezzoni e tracce prima di una ‘transizione allo scritto’ non significa che esso non sia esistito: va semplicemente postulato come un dato di partenza indispensabile. Si tratta, all’inizio e per lunghissimo tempo, sino almeno a Dante in Italia, di una componente ‘di tono mino- re’ sul piano squisitamente della formalità letteraria complessiva - lasciando di lato singo- le opere che si segnalano vuoi per la ricercata artificiosità formale, anche superiore a quanto si constata nella contemporanea produzione latina, vuoi per l'effettiva, assoluta eccellenza compositiva - ma con l'enorme potenziale dato dall'espressione naturale con- trapposta ad una lingua quale era il latino, non viva se non nella dimensione meramente intellettuale o formale - formalismo letterario, giuridico, amministrativo. 12 2.3 Letterature e culture: eredità classiche e novità medievali, ‘colto’ e ‘popolare’ Un ulteriore aspetto dinamico e di complessità è dato dalle culture nelle quali convie- ne collocare queste tradizioni letterarie in via di costituzione. Quando compaiono questi testi e, meglio ancora, quando questi sistemi culturali e letterari fondati sul volgare diven- gono riconoscibili nel tempo ossia si costituiscono in tradizioni letterarie, essi si presenta- no con caratteri complessivi certo non contraddittori, ma complessi e ambivalenti, in quanto hanno di fronte (o alle spalle, a seconda del punto di vista che si assume): - la tradizione latina e specialmente, sebbene non solo, la tradizione latina cristiana che im- pronta e modella tutti i testi religiosi, quantitativamente predominanti soprattutto sino alla metà del secolo XII; così, quasi inevitabilmente, elementi di provenienza latina, classica e medievale, risultano presenti in vario modo in testi ‘profani’. Questi inoltre, e specialmen- te tutti i più antichi, i veri capostipiti, mostrano, o di essere stati modellati su testi religiosi, quindi su opere di estrazione ecclesiastica e più vicine di necessità alla tradizione latino- cristiana, ovvero di utilizzare tratti formali qualificanti ripresi da testi latini o comunque anticipati, almeno a livello di ciò che è stato tramandato, entro un ambito espressivo lati- no: così il bagaglio di aspetti tematici e formali specifici, ma anche, al limite e più generica- mente, aspetti di cultura latina che passano attraverso una mediazione scolastico-religiosa. La tradizione latina conferisce tra l’altro un'impronta ‘seria’ e ‘severa’ che esclude per lun- go tempo espressioni moralmente condannabili e che dal XII sec. Accetterà, a determinate condizioni e mai in maniera pacifica, l’espressione faceta e ludica (per esempio in ambito latino nella poesia dei goliardi) o legata ad espressioni moralmente ‘dubbie’ della civiltà cortese, in particolare l’espressione amorosa (per esempio il trattato De Amore di Andrea Cappellano, composto alla fine del sec. XII, alcune proposizioni del quale furono ufficial- mente condannate a Parigi nel 1277 assieme a diverse tesi degli averroisti parigini). - la tradizione profana e volgare, cui si devono aspetti tipici delle letterature romanze: te- mi e motivi legati alle figure del guerriero, del cavaliere, della dama, alla cortesia, all'a- more, all'avventura, ecc., ma anche ad elementi di tipo tradizionale (temi popolareg- gianti, fondo folklorico). Va da sé che questi ultimi aspetti, pur decisivi e qualificanti sotto il profilo non unica- mente linguistico, di ciò che è romanzo in contrapposizione a ciò che è latino, non si posso- no che apprezzare se non in dialettica con quelli di tradizione latino-religiosa, ossia con l'e- redità del mondo antico o tardo-antico e con la sua rimodulazione cristiana e medievale. Nel campo letterario o letterario-culturale legato all'espressione volgare, l'individua- zione di questi due aspetti principali - da un lato l'eredità latina e latino /cristiana, dall’al- tro gli elementi di novità del mondo post-romano o post-imperiale (eredità pre-romane, celtiche soprattutto, nuove componenti germaniche e, in forma più problematica e in defi- nitiva meno certa, apporti arabi') - permette anche di focalizzare le due chiavi di lettura che sono state proposte da varie scuole di pensiero per le Origini delle letterature roman- ze (su cui cfr. poi cap. 3): - linea colta, clericale mediolatina (elaborazione di nuove forme in questo ambito e a que- sti livelli complessivamente elevati, anche attraverso assunzioni dal basso); - linea popolare: spinta dal basso, tradizionalità /popolarità, aspetti folklorici. Nel primo caso si finisce per attribuire rilevanza primaria agli aspetti formali di scrit- tura, che qualificano il prodotto testuale, quindi alla metrica, all'organizzazione retorica, 13 all'utilizzazione di figure, insomma alla qualità complessiva della scrittura letteraria, nel secondo a quelli tematici, ossia ai tipi umani dei protagonisti, agli aspetti di sensibilità, al- le strutture e ai meccanismi narrativi di fondo, alla scala dei valori. È chiaro che propen- dere in maniera marcata per l'uno o l’altro aspetto significa adottare l'una o l’altra chiave di lettura complessiva. Peraltro non bisogna mai dimenticare la presenza di un conflitto di fondo tra i due sistemi linguistici e linguistico-culturali: la prospettiva generale che si delinea come percorso di lungo periodo nelle Origini romanze è quello di una stabile con- quista del dominio della scrittura e dello scritto da parte dei volgari. Un altro fronte è quello costituito dagli elementi innovativi (folklorici, germanici, più limitatamente celtici, almeno nell'Alto Medioevo) che si insinuano precocemente entro la tradizione cristiana medievale: ne abbiamo testimonianza in leggende che trovano acco- glienza in cronache e annali, in resoconti di visioni e di miracoli (non pochi già nei Dialogi di S. Gregorio Magno, fine sec. VI), in narrazioni edificanti e di valore esemplare - dette per l'appunto exempla - riunite dal XIII secolo in raccolte ad uso dei predicatori. Ma un'impronta nuova si avverte anche in testi epico-cavallereschi, come due componimenti di area germanica, il Waltharius e il Ruodlieb, rispettivamente del sec. X e del sec. XI. Ac- canto ad essi va ricordato il cosiddetto Frammento dell'Aia (sec. X ex.-XI in.), un esercizio scolastico in latino opera di tre studenti che rielaborano in prosa un precedente componi- mento, sempre latino e questa volta in esametri: in scene d'assedio e battaglia compaiono Carlo Magno e diversi personaggi che saranno protagonisti del complesso di canzoni di gesta francesi imperniato su Guglielmo d'Orange (prima l'antica e isolata Chanson de Guil- laume, poi il complesso ciclo di canzoni a struttura genealogica che va sotto il nome di Cycle de Guillaume d'Orange). Il punto più avanzato in questa direzione è forse rappresen- tato da opere dell’epoca di Enrico II Plantagento re d'Inghilterra o riconducibili ad un am- biente “plantageneto”, ossia il De nugis curialium di Walter Map (ca. 1180-1190) e gli Otia imperialia di Gervasio di Tilbury (ca. 1200). Sia chiaro: tutti questi scritti debbono essere convenientemente valutati nel quadro della produzione mediolatina e di una sua dinami- ca storica; l’averli qui menzionati vale soltanto a segnalare la spinta di nuove realtà cultu- rali, di nuove mitologie, di nuove forme di sensibilità e d'immaginazione che si avvertono in tutto il mondo medievale. Possiamo cercare di adattare ad una prospettiva storico-letteraria un'osservazione di Marc Bloch, uno dei più grandi storici del secolo XX, quando rileva che il latino a fatica esprime concetti e nozioni che richiedono invece il volgare. Bloch pensa ai documenti ed alle cronache ed alla terminologia che sempre più spesso fa trasparire termini romanzi ov- vero cerca di reinterpretare realtà nuove con forme vecchie. In campo letterario la situa- zione è in parte simile: il latino esprime ciò che il volgare non è ancora autorizzato ad esprimere, ad un determinato livello e soprattutto vedendo conservata la forma testuale risultante, ed opera quindi una mediazione. I testi mediolatini segnalati qui sopra, certa- mente da leggere entro la linea di evoluzione della letteratura mediolatina e da valutare come testi latini di quell'epoca, testimoniano attraverso alcuni loro caratteri l'emergere, al loro fianco, di tematiche e forme nuove. Per altro verso, un'analoga, speculare mediazio- ne è atttiva sul versante volgare nella definizione della fisionomia testuale dei più antichi testi romanzi e continuerà ad operare per tutto il Medioevo, come risultato sul piano della realizzazione di opere e testi, di quella ‘aspirazione’ o tensione verso il livello ‘alto’ del la- 14 tino e della cultura ‘in latino’ che, come si è già detto in chiusura della Presentazione, è una delle grandi correnti o dei grandi assi portanti - e forse in assoluto il principale - su cui si costruisce il complesso della letteratura romanza medievale. 3. Definizione di un quadro storico di riferimento L'immagine sintetica e tradizionale dell'inizio del Medioevo è legata alle invasioni barbariche, causa di rapido autentico collasso dell'Impero, che lascia posto ai Regni roma- no-barbarici. Il fenomeno è in realtà oltremodo complesso, si prolunga nel tempo; a parte il singolo avvenimento per noi eclatante - ma passato inavvertito agli occhi dei contempo- ranei - della deposizione dell'ultimo Imperatore d'Occidente ad opera dell'erulo Odoacre (476) ci confrontiamo con un processo graduale di dissolvimento e ricomposizione. 3.1 Tardo-Antico e Alto Medioevo: fattori di continuità, fattori di cambiamento Una crisi del sistema imperiale romano si profila già nel sec. III d.C. e con Dioclezia- no (fine sec. III d.C.) si ha l’ufficializzazione della separazione nelle due parti Occidentale (culturalmente latina) e Orientale (greca). Alla fine del IV e poi soprattutto nel V secolo si disgrega l’unità politica a seguito delle invasioni barbariche, che causano prima l’insedia- mento di popolazioni entro i confini dell'Impero. All’indebolimento, se non la vera e pro- pria distruzione, anche a livello simbolico del centro (saccheggio di Roma da parte dei vi- sigoti di Alarico, nel 410, poi dei Vandali di Genserico, nel 455) si accompagna la forma- zione, in un primo tempo entro i confini nominali dell'impero, di una serie di regni, ossia di organismi politico-amministrativi, fondati su nuclei di popolazioni germaniche, non necessariamente omogenei dal punto di vista etnico. Questi regni furono inizialmente for- malmente dipendenti dall'autorità imperiale e in non pochi casi e talora per lungo tempo conservarono questo legame di dipendenza, spesso solo formale e come garanzia della propria esistenza e relativa indipendenza, verso l'Impero, prima d'Occidente, poi, dopo la deposizione dell'ultimo imperatore, Romolo Augusto, nel 476 anche d'Oriente (per esem- pio Teodorico giunge in Italia con gli Ostrogoti su mandato imperiale). È chiaro che le conseguenze in Occidente sono gravissime anche sul piano culturale e linguistico: - viene a mancare un'autentica unità politica e, come detto, si appanna l’immagine del centro, dunque dell'unità, e per certi aspetti svanisce la sua funzione; vengono dura- mente colpite anche le città, che avevano svolto in età tardo-repubblicana e imperiale la funzione di centri regionali; nel complesso, la quantità assoluta e soprattutto la percen- tuale di popolazione che risiede nelle città diminuisce in maniera estremamente sensibi- le, così che si può con sicurezza affermare che il mondo medievale è assai - forse incom- parabilmente - meno urbanizzato di quanto non fosse quello romano; - gli aspetti più brutali delle invasioni - saccheggi e distruzioni - e le guerre - romani con- tro barbari, romani e barbari ‘romanizzati’ contro altri barbari, regni romano-barbarici tra loro, poi anche bizantini contro regni romano-barbarici - causano danni gravissimi, talora irreparabili in settori estremamente delicati come quelli dell'istruzione e dei patri- moni librari; 15 - appaiono nuovi diritti, fondati sulle tradizioni etniche delle nuove popolazioni, prima ‘foederatae’ (alleate), poi indipendenti nei nuovi organismi statali, con differenziazioni anche sensibili: basti pensare all'opposizione tra Franchi e Visigoti in Gallia. Ulteriori divisioni si producono tra VI e VIII secolo, tra le quali hanno rilevanza primaria: - le divisioni territoriali del dominio franco nell'età precarolingia e ancora carolingia: la divisione in Neustria e Austrasia pur presentata come partizione tra una sezione occi- dentale e una orientale è in realtà largamente approssimativa, dal momento che all’Au- strasia facevano capo territori fin nella regione della Loira; - gli sconvolgimenti prodotti in Iberia dall'invasione arabo-berbera del 711, con le conse- guenti ridefinzioni territoriali della presenza cristiano-romanza nel Settentrione della Penisola; - le suddivisioni interne alla Penisola Italiana a seguito dell'invasione longobarda e del- l'insediamento di un Regno Longobardo nel Nord, destinato a durare sino all’età caro- lingia, di ducati longobardi nel Centro (Spoleto e Benevento, spesso designati congiunta- mente come Longobardia minor) e, contrapposti ad essi, di territori controllati da Bizan- tini, congiuntamente da Bizantini e Papa, ovvero direttamente sottoposti all'autorità pa- pale; va ricordata inoltre la presenza araba in Sicilia; occorre ricordare che al momento della conquista e unificazione del Sud e della Sicilia da parte dei Normanni nella secon- da metà del sec. XI tale era la condizione del territorio, con una presenza consistente del greco anche sul continente e specialmente nelle città (Napoli, Bari, Brindisi, ecc.). Tuttavia, in contrasto con un'immagine vulgata dell'inizio del Medio Evo, la cesura non è nettissima e si produce in un lasso di tempo relativamente lungo, durante il quale si manifestano alcuni fattori di continuità e in certo modo anche di stabilità, apprezzabili so- prattutto se si prende in considerazione il lungo periodo e l'insieme dell’area europea oc- cidentale, anche al di là dei confini della Romania: - si registra ovunque una certa integrazione tra invasori e “Romaní”, sebbene in misura variabile a seconda delle popolazioni, con un grado forse massimo per i Visigoti (e Fran- chi e Ostrogoti), in qualche modo ‘pre-assimilati’ a seguito dei contatti distesi per lungo tempo con le istituzioni romane e imperiali, e certamente minimo per i ‘selvaggi’ Longo- bardi, e nonostante le differenze religiose - le popolazioni germaniche, con l'eccezione dei Franchi, che si convertirono assai presto al cattolicesimo dal paganesimo, erano cri- stiane ma seguaci delle dottrine ariane. Se il sistema di governo delle élites tardo-impe- riali di estrazione senatoria entra in crisi, esso finisce però col sopravvivere in parti so- stanziali, anche attraverso divisioni e ripartizioni, poi anche fusioni, con le nuove dlites germaniche. I potentes latini delle varie regioni dell'Impero e soprattutto in Gallia si inte- grano con la nuova aristocrazia germanica. Non bisogna dimenticare che una parte con- sistente dei vescovi, ossia gli esponenti di una nuova classe dirigente articolata sul terri- torio e legata anche alla gestione del potere, provengono proprio da grandi famiglie del patriziato latino. La cosa ha una rilevanza non solo sul lato istituzionale e degli assetti di potere: una parte significativa dei seggi episcopali è così occupata da «personaggi per i quali la tradizione culturale è legata alla tradizione familiare» (Banniard 1984: 69), come tratto costitutivo della loro condizione individuale e sociale. - la Chiesa, come fattore di ordinamento e consolidamento sul piano amministrativo e, già meno chiaramente, della liturgia; soprattutto il riconoscimento della sede del Papato 16 portò con se il mantenimento non solo e forse non tanto di una centralità romana, ma so- prattutto di un centro; - la scuola e le strutture amministrative di gestione del potere, ossia ciò che in genere in- dichiamo come ‘cancellerie’; soprattutto P. Riché (1962, 1979) ha messo in risalto la relati- va stabilità di alcune strutture formative tra epoca tardo-imperiale e epoca merovingica nel caso tra tutti delicato delle Gallie - o della Francia nascente -, dove sembrava che il collasso fosse più sensibile. Manca però in questo elenco il fattore - l’unico - davvero determinante. Alle spalle della Chiesa come istituzione ed anche del mantenimento del latino come lingua unifican- te dell'Occidente sta, anche con un aspetto di contraddizione che non può essere trascura- to, una realtà dagli aspetti potentemente innovativi e in parte sovversivi, se non dell’as- setto dello Stato imperiale romano certamente della cultura antica: il Cristianesimo. Lo è per una ragione semplicissima, ma decisiva: il Cristianesimo è una delle religioni rivelate, ha dunque a suo fondamento un corpus testuale, le Sacre Scritture (la Bibbia: Vecchio e Nuo- vo Testamento). La Bibbia, eccettuate delle presenze del testo greco quasi esclusivamente molto antiche e comunque nel complesso circoscritte e quantitativamente minime, circola in Occidente in latino, in varie versioni tra le quali, accanto al Vetus latina, è destinata ad affermarsi soprattutto quella detta Vulgata, redatta da San Gerolamo. Ora, non solo la Bib- bia è un testo scritto, che va letto e compreso innanzitutto a livello letterale - da cui discen- de la necessità di una preparazione grammaticale di base in latino - ma è un testo difficile, che necessita di interpretazione (esegesi) e richiede un apposito apparato di commento a più livelli. L'esegesi cristiana, che si può dire cominciata già quantomeno con le Epistole di San Paolo, si sviluppa impetuosamente con l’opera dei Padri della Chiesa e produce una letteratura amplissima e sempre in latino che, dopo spunti anche aspramente polemici (Tertulliano, nel sec. II d.C.), sviluppa una propria dignità stilistica, tale da non farla sfi- gurare accanto alla produzione profana ‘pagana’: anzi, tra gli scrittori della Tarda Antichi- ta, già dall'inizio del secolo IV in poi, sono cristiani tutti i maggiori scrittori, con la sola ec- cezione dello storico Ammiano Marcellino e, forse, di Boezio, il cui cristianesimo è da al- cuni interpretato come solo superficiale ed è comunque problematico. Tra i Padri della Chiesa, in Occidente, ha importanza determinante Sant'Agostino, vescovo di Ippona in Tunisia (354-430), non solo per la rilevanza intrinseca dell’opera nei suoi aspetti dottrinari (De Trinitate, De civitate Dei, Confessiones) e per la sua qualità anche formale, ma soprattutto, nella prospettiva qui adottata, per la definizione da lui operata di un intero e coerente nuovo modello di cultura, che sappia fare tesoro della cultura anti- ca mettendola, per quanto necessario e utile, al servizio di una nuova cultura cristiana, o meglio “cristiano-romana”, realizzazione sul piano appunto culturale della compenetra- zione tra cristianesimo e istituzioni romane immaginata come nuovo asse della storia umana nel De civitate Dei. Nel progetto di Agostino e nella sua stessa pratica di scrittore e di guida della Chiesa l’intero sistema di istruzione antico, fondato sulle Arti dette liberali (ossia “tecniche” del sapere), già finalizzato alla formazione del cittadino delle classi diri- genti romane, fondamentalmente un retore, viene riconvertito e riorientato in senso cri- stiano, finalizzato alla formazione di un sacerdote; il processo formativo comincia anche ad assumere l'assetto che sarà poi tipico del Medio Evo, con l'articolazione su tre discipli- ne a formare il cosiddetto «trivium» di base (grammatica, retorica, dialettica), cui seguiva- 17 no nel percorso formativo le quattro del «quadrivium» (geometria, aritmetica, astronomia, musica). È un'operazione che non è comprensibile trascurando l’esperienza personale di Agostino - retore e professore di retorica prima di dedicarsi all’apostolato e di divenire maestro di cristianesimo - che ha come fondamento ultimo proprio il latino e ciò che ruota intorno all'espressione testuale in latino, fattore unificante e coesivo del tutto. E l’espres- sione «fare tesoro di» è stata qui usata in senso quasi proprio: nel De doctrina christiana Agostino, materializza la figura del nuovo intellettuale cristiano attraverso l’immagine degli Ebrei in fuga dall'Egitto con le ricchezze che potevano portare con sé di là dal Mar Rosso e verso la Terra Promessa: non tutto, ma ciò che si può trasportare in questa grande operazione di traghettamento culturale dal paganesimo al cristianesimo, tutto ciò che è compatibile con l'insegnamento di Cristo. Tra ciò che si lascia figurano elementi costituti- vi del bagaglio culturale e intellettuale antico e tardo-antico: il greco, la cui conoscenza co- mincia a smarrirsi, la metrica quantitativa classica (che Agostino stesso abbandona per quella accentuativa nel suo Psalmum contra partem Donati, un componimento di propagan- da religiosa contro la setta dei Donatisti, destinato a una diffusione anche popolare). Sia chiaro: l'operazione non è indolore. Sul momento e sul medio-lungo periodo mette a re- pentaglio la sopravvivenza di una parte cospicua della letteratura antica, quella ‘meno compatibile’ o ‘non chiaramente sfruttabile’, soggetta a perdite o smarrimenti, magari in conseguenza di condizioni difficili, ovvero ridotta al livello di estratti. Due esempi eloquenti, senza pretesa di originalità: il De rerum natura (“La natura delle cose”), trattato filosofico-scientifico d'ispirazione epicurea di Lucrezio, conservato in epoca tardo-antica ed ancora in età carolina, ma smarrito successivamente e fortunosa- mente recuperato in età umanistica; il De republica (“Lo stato”) di Cicerone, di cui, a par- te l'estratto ‘cristianizzabile’ relativo al Somnium Scipionis (“Il sogno di Scipione”), è con- servato fortunosamente sotto forma di palinsesto in un solo codice smembrato parzial- mente a Bobbio, nel sec. VII, e riutilizzato, previa erasione delle trascrizioni originali, per copiarvi - emblematicamente! - il commento di Sant'Agostino ai Salmi, e nel quale però la scrittura primitiva è ancora in larga misura leggibile e recuperabile’: dal confronto tra i due casi si evidenzia il passaggio critico che coincide in Italia coi secc. VI e VII, tra Guerra Gotica e invasione longobarda. Va anche ricordato che proprio con l'epoca di Agostino entriamo nella fase di decisiva transizione tra il libro antico, in forma di rotolo di papiro di provenienza pressoché solo egiziana, delicato e altamente deperibile, al li- bro medievale, in forma di codice con fogli in pergamena riuniti in fascicoli e rilegato in maniera simile al libro moderno, meno dipendente da rapporti commerciali con l’Orien- te mediterraneo e soprattutto più resistente - ed è chiaro che questa era una qualità indi- spensabile per la Bibbia - ma anche più costoso: è certo che questo passaggio, operato en- tro il quadro culturale delineato da Agostino, fu uno snodo essenziale della trasmissione della letteratura antica, cui non tutta sopravvisse?. Il modello agostiniano rimane e fonda ciò che è per noi il Medioevo cristiano occi- dentale. Esso è sostanzialmente adottato a base dell’organizzazione dei monasteri di re- gola benedettina e lì realizzato, soprattutto dal sec. VII in avanti, nella duplice pratica del- lo studio e della trascrizione dei codici: nella fase delicatissima di trapasso, le istituzioni monastiche assolsero il compito, per noi determinante, di conservare, nel senso anche proprio di mantenere e proteggere, una parte significativa del patrimonio letterario del mondo latino (è questa una caratteristica distintiva del monachesimo occidentale rispetto a quello orientale, soprattutto nelle sue forme più antiche, d'impronta più esclusivamente 18 ascetica e meno disposto a compromessi culturali con l'Antico). Sempre il modello agosti- niano scandisce sul lungo periodo ciò che chiamiamo Medio Evo, con varie risistemazioni progettuali e interpretazioni diverse (probabilmente decisiva per conferire l'impronta ‘medievale’ quella di San Gregorio Magno alla fine del sec. VI) e, dall'età carolingia in poi, varie ‘tentazioni’ di monaci attratti dal fascino delle lettere classiche, che dovevano essere invece mantenute nel rango in fondo servile delle discipline strumentali (straordi- nario il caso di Othlone di Sant'Emmeram), e poi di ‘intellettuali’ legati alle scuole catte- drali - ossia alle scuole annesse alle sedi episcopali - e poi soprattutto alle Università me- dievali, sensibili al fascino della nuova logica e delle nuove scienze d'impianto aristoteli- co, riscoperte dal sec. XII grazie soprattutto alla mediazione araba. Non è un caso se l'ini- zio del rovesciamento del modello culturale, con l'Umanesimo, a quasi mille anni di di- stanza, sia segnato proprio dal confronto di Petrarca con Sant'Agostino nel Secretum: con- fronto intellettuale, ma diretto e personale e, come si è visto precisamente per Agostino e per la sua ri-progettazione della cultura cristiana e dei suoi interpreti, i modelli culturali e le organizzazioni intellettuali possono fondarsi sull'esperienza vissuta ed avere caratteri anche acutamente individuali. Due aspetti di lungo e lunghissimo periodo sono da mettere in evidenza come risul- tati di questa eredità cristiano-latina: a) la presenza del latino come elemento unificante a livello sia culturale sia anche lingui- stico - di una pratica linguistica diffusa e radicata - su scala che possiamo definire co- me europea, ossia in tutti i paesi della Cristianità occidentale, anche là dove non vi era e non vi è un fondo linguistico romanzo e ben al di là dei confini dell’antico Impero Ro- mano: già dal sec. VI in Irlanda, oltre che in Gran Bretagna, e in ampi territori della mo- derna Germania (Regno dei Franchi, Baviera), poi con estensione graduale verso Set- tentrione e verso Oriente, anche a seguito dell'espansione germanica ai danni degli Sla- vi e della conversione degli Ungari, in Scandinavia (Danimarca, Norvegia, Svezia, sino in Finlandia) e in Europa Centrale (Slovenia, Croazia, Austria, Boemia, Moravia, Slo- vacchia, Ungheria, con prolungamenti in territorio oggi rumeno, Polonia, Ucraina, vari territori già culturalmente e linguisticamente germanici nelle regioni baltiche, per esempio in quella che era un tempo la Prussia Orientale), sino ai confini della Cristiani- tà orientale, di confessione ortodossa. Trasmesso inizialmente dalle istituzioni religiose e come lingua del Cristianesimo romano, il latino si mantenne come lingua di cultura - del diritto, della scienza, della filosofia - anche oltre la frattura segnata dalla Riforma nel sec. XVI - e in precedenza da movimenti come quello Hussita in Boemia - che ave- vano portato con sé i volgari nazionali come lingue delle pratiche di culto. b) la presenza, come tratto associato al latino, della scrittura in quello che chiamiamo ap- punto ‘alfabeto latino’, che continua, nelle modalità oggi in uso, a) nel maiuscolo la scrittura capitale epigrafica latina, b) nel minuscolo il sistema della scrittura che desi- gniamo come ‘minuscola carolina”, stilizzatasi appunto all’epoca della Riforma Carolin- gia, tra la fine del sec. VIII e l’inizio del sec. IX, e da qui deriva anche il carattere “goti- co” ancora in uso nella pratica tipografica tedesca e in essa per un certo periodo domi- nante, c) nel corsivo una stilizzazione caratteristica di centri umanistici italiani della fi- ne del sec. XV e dell'inizio del sec. XVI e proprio per questo spesso nota internazional- mente come ‘corsiva italica’ (ing. italic, fr. italique, ecc.). È chiaro che si tratta di un’ere- 19 dità indiretta, non immediatamente linguistica, del latino e che tuttavia è opportuno ri- chiamare in questa sede come elemento assolutamente pertinente proprio in ragione della relazione profondissima, a lungo quasi obbligata in gran parte delle regioni ‘di cultura latina’ e quindi in un ambito assai più vasto di quello delle regioni della Romà- nia linguistica, che si stabilisce tra lingua latina e pratica degli usi scritti (ing. literacy), a cominciare sin dalla prima alfabetizzazione. Sotto questo punto di vista, non è inesatto affermare che il latino opera assai a lungo e per certi aspetti sino ai nostri giorni come una sorta di «superstrato linguistico-cultura- le» dell'Europa occidentale e dei suoi prolungamenti extra-europei, anche indipendente- mente dall’appartenenza delle lingue al gruppo neolatino. Per altro verso si registra una crisi evidente del latino come modello unificante in senso verticale della società. Il fenomeno può essere osservato da più punti di vista. Innanzitutto non vi è più un complesso di variazioni diastratiche al cui vertice vi è una modalità stilisticamente e grammaticalmente definita cui è attribuita una posizione di predominio socio-culturale. Da questo punto di vista, il fatto stesso che una parte sostan- ziale della nuova oligarchia dominante, quella di estrazione germanica, abbia resistito al- l'assimilazione culturale e comunque non parlasse ‘normalmente’, ossia d'abitudine e in maniera standard, latino ha certamente contribuito in maniera decisiva all'allentamento della coesione complessiva del sistema linguistico. Inoltre, le società germaniche erano poco differenziate verticalmente al loro interno dal punto di vista culturale, all'opposto di quella latina. Dal lato ‘romano’ il Cristianesimo, che pure si era impossessato del latino e almeno di parti sostanziali del patrimonio letterario e culturale classico, era portatore di un modello ideale anch'esso opposto a quello della società antica, fondato sull'ideale del- la humilitas: «la teoria e la pratica dei rapporti tra il linguaggio dotto, fondato sulla nor- ma scritta, e il linguaggio popolare, nutrito di oralità spontanea, ... furono sconvolte dalla comparsa dell'etica e dell'estetica cristiane. Le origini popolari della nuova religione co- strinsero i suoi messaggeri ad adottare nuovi modi di comunicazione. [...] In Occidente questo testimonia, in linea di principio, la rinuncia all’urbanità come valore supremo e la scelta della rozzezza come criterio essenziale della comunicazione» (Banniard 1984: 170). Viene meno su tutto questo fronte l'influenza decisiva del sistema grammaticale /sti- listico che aveva operato come fattore di coesione già a livello di coscienza e di auto-rico- noscimento, dunque in aspetti ideali prima ancora che pratici. Si noterà l'incidenza anco- ra una volta contraddittoria del Cristianesimo, che opera ad un tempo come fattore po- tente di innovazione - e quindi di sovvertimento - e di continuità. Assieme al declino generale della cultura e del modello culturale ‘classico’ (quindi ‘classista’) che era stato proprio del mondo romano va posto in risalto almeno un secondo aspetto decisivo, forse anzi tra tutti il più importante: la dissoluzione dei centri e l'affer- mazione di tendenze localistiche: «nella società del VI e del VII secolo il particolare e il lo- cale tendono a diventare sempre più categorie fondanti della vita di tutti» (Meneghetti 1997: 31-2). L'epoca di Boezio e Cassiodoro, il VI secolo, è già chiaramente segnata da pro- fonde fratture che attraversano il mondo un tempo unitariamente ‘romano’. Un sintomo quasi emblematico della crisi del modello culturale romano è nel rovescia- mento dei valori associati ai termini di urbanitas e rusticitas, cui accennava Banniard nel passo poc'anzi citato. Nel mondo antico, il predominio del metro di giudizio fondato sulla 20 urbanitas (raffinatezza, eleganza, educazione) è totale, a riprova di un intero modello civile fondato su città (urbes) e sulla città (Urbs, Urbem) per eccellenza, ossia Roma; in campo lingui- stico e grammaticale, per esempio, la rusticitas è condannata senza appelli e l’urbanitas rap- presenta l'ideale espressivo cui tendono tutti i buoni parlanti latino (e difatti le ‘correzioni ec- cessive’, gli ipercorrettismi, vengono anche da noi definite come ‘iperurbanismi’). Le diffe- renze sostanziali nell'organizzazione del territorio e nell'incidenza delle società urbane che si producono nell'Etá Tardo-Antica finiscono col riflettersi su questo sistema e col mettere in di- scussione il modello ad un tempo centralista ed elevato della urbanitas. Così il sistema tardo latino non appare più costituito, come ancora in età imperiale, da un complesso di varietà re- gionali differenziate sì per vari aspetti di pronuncia che riconoscevano comunque la predo- minanza assoluta di una norma centrale coincidente con la varietà patrizia di Roma, diffusa e insegnata nelle scuole come il ‘buon uso’ latino, la cui padronanza era essenziale come tratto distintivo di classe e come strumento per coloro - retori e funzionari dell’amministrazione - che intendevano far carriera proprio attraverso l’uso della parola. Come si vedrà, il riconosci- mento dell’esistenza delle lingue romanze, all’inizio del secolo IX, avviene anche attraverso l'accettazione dell’esistenza - se non ancora della dignità - della rusticitas. 3.2 Letteratura Come annunciato nella Presentazione in apertura di queste Dispense, trascuro una ri- costruzione anche per sommi capi della produzione letteraria latina alto-medievale. Mi li- mito ad indicare alcune trasformazioni essenziali nella tipologia dei generi letterari che conferiscono un'impronta caratteristica alla cultura medievale - soprattutto a quella mo- nastica - e di cui ritroviamo un'impronta caratteristica alla maggioranza dei più antichi te- sti romanzi. Conviene innanzitutto ricordare la continuità della poesia nei nuovi generi dell'inno- logia cristiana e di un'epica d'ispirazione biblica (creazione del mondo), oltre che nei ge- neri aulici (panegirici, poesia d'occasione). La prosa è coltivata, oltre che nei generi storici (Annali, Cronache, Storie) e nella trattatistica grammaticale, nel settore in continuo svi- luppo dell’esegesi biblica e in quello, ad essa legato, delle enciclopedie. Questa letteratura i cui centri sono in larga parte non più in territorio romanzo - Ger- mania, Inghilterra, Irlanda - è anche caratterizzata da alcuni cambiamenti essenziali anche quanto ai tipi testuali e alle scritture. Come osserva con estrema efficacia sintetica M. Ban- niard, «la vittoria religiosa del cristianesimo è seguita dal suo trionfo letterario: la lettera- tura è ormai solo cristiana. Il che significa la cancellazione di un genere strettamente pro- fano: la poesia satirica o erotica. La clericalizzazione generalizzata della cultura scritta provoca una soluzione di continuità provvisoria: i generi eliminati rinasceranno solo con le letterature vernacolari, dopo l’anno Mille. Ma questo impoverimento è compensato dal- lo sviluppo di nuove forme che affondano le proprie radici nel III e IV secolo, tra le quali conoscono un successo crescente i racconti che narrano la vita di un santo. In effetti si pro- duce una convergenza tra la volontà pedagogica della Chiesa, le ambizioni delle città che vogliono affermare la propria identità e le aspirazioni delle folle che cercano espressioni nuove per le loro credenze antiche» (Banniard 1984: 124-5). Poesie religiose e vite di santi in versi, destinate ad essere declamate e il più spesso cantate in occasione delle festività e nei luoghi di pellegrinaggio, sono difatti i più antichi 21 testi romanzi conservati, espressione di una tradizione latina ed ecclesiastica che si espan- de, in età post-carolingia, superando la barriera tra latino e volgari. Queste tipologie te- stuali continuano in alcuni casi puntualmente forme latine, in altri rispondono con mezzi nuovi a esigenze comunicative già affrontate da predicatori e scrittori dell'età tardo anti- ca. Le agiografie costituiscono un caso specialmente interessante. Questo genere letterario tipicamente latino-cristiano, legato al culto dei santi locali e a pratiche devozionali, si pre- stava ad essere utilizzato in situazioni comunicative che richiedevano una piena e ‘facile’ comprensione da parte dei fedeli - incolti, ‘rustici’ - del testo fissato e come consacrato nella tradizione rituale. La scelta di rivolgersi ai fedeli secondo i dettami del sermo humi- lis (dal lat. humus, “terra”), ossia dello “stile basso” - connotazione non solo formale, ma anche etica e spirituale - aveva già portato ad un sovvertimento sostanziale dell'assetto stilistico-formale del testo lettario. È un'evoluzione tuttavia non sufficiente. Gradualmen- te si affaccia un termine ulteriore a definire lo stile adatto per rivolgersi ai fedeli poco istruiti: sermo rusticus (“linguaggio dei contadini”). Il dato rilevante non è tanto l’effetti- va appartenenza o associabilità dei testi conservati e così classificati - agiografie soprattut- to - alla sfera linguistica dell’oralità poco istruita, bensì l’attenzione dimostrata alla que- stione della comunicazione linguistica che non può permettersi di escludere nessuno. Tutto questo avviene all’interno di un sistema linguistico percepito ancora nei secoli VI e VII come ‘latino’: per quanto lo scarto tra la lingua scritta e la pratica orale dovesse essere ormai sensibile, l'impressione è che gli ascoltatori di quest'opera fossero ancora in grado di comprendere un testo composto in sermo rusticus. Certo, però, il sistema tardo-la- tino appare soprattutto in Gallia in rapida degradazione a quest'altezza cronologica: in ef- fetti, per più di un aspetto questo è da individuare come il momento decisivo di transizio- ne tra i due sistemi linguistici, quello latino antico e quelli ‘non più latini’ delle lingue ro- manze emergenti. 4. Le lingue romanze: cronologia, ipotesi e modelli Nell'affrontare questo aspetto è opportuno ribadire un’avvertenza preliminare: oc- corre sempre ricordare che la lingua scritta non è, in prima istanza, che una modalità di rappresentazione e di fissazione su un supporto persistente della forma predominante di comunicazione, che è quello orale. È evidente che lo scritto può influenzare il parlato e ciò avviene, in determinati settori o situazioni, anche in maniera notevole, marcata e avverti- bile. Ciò però accade solo in situazioni di forte strutturazione della comunicazione scritta e di sua riconosciuta rilevanza, come accade oggi, come di certo accadeva in epoca tardo repubblicana‘ ed imperiale per il latino, come, ancora, doveva accadere, in epoca tardo- imperiale e alto-medievale dentro ad un sistema che intendeva continuare ad essere ‘lati- no’ in opposizione alle spinte innovative in senso ‘romanzo’. Come si è più volte sottolineato, quello latino doveva essere un diasistema assai arti- colato e in evoluzione nel tempo. Il passaggio da un sistema ancora latino a sistemi non più latini è scandibile secondo tre stadi o tappe successive: «La prima consiste nella nasci- ta della nuova oralità: evento che si verifica quando la struttura della lingua parlata cessa di essere latina per diventare romanza. La seconda è costituita dalla presa di coscienza di 22 questa metamorfosi e dalla coesistenza di una scrittura e di un’oralità che non coincido- no più. La terza sopraggiunge quando la nuova oralità è consacrata da una nuova forma di scrittura, la cui natura rivela che si tratta di un cambiamento radicale; in altri termini occorre che una scripta specifica riveli che i suoi parlanti letterati hanno preso coscienza del carattere irreversibilmente eterogeneo delle due scriptae: l'antica, la latina, e la nuova, la romanza» (Banniard 1984: 181). Dunque: 1) evoluzione della lingua in forma di divergenza - da un centro di riferimento ideale co- stituito e da un dato complesso di riferimento storico, il latino parlato tardo - e creazio- ne di nuovi sistemi linguistici nelle varie aree della Romània, con differenziazioni più o meno accentuate, ma comunque sensibili, cioè avvertibili; 2) presa di coscienza dell'evoluzione avvenuta e della diversità dei sistemi, innanzitutto, certamente, della diversità in ogni regione tra latino e parlata volgare; è chiaro che que- sta coscienza può essersi generata in momenti diversi tra le varie regioni a seconda del- la rapidità e della profondità dell'innovazione linguistica rispetto al latino e alla natura di questo, ossia a seconda dell'intensità dello scarto linguistico; 3) elaborazione e utilizzazione di un sistema di trasferimento nello scritto della nuova oralità ‘romanza’; entrano qui in gioco e agiscono variamente gli effetti di ‘barriera cul- turale’ frapposti dal latino, di cui si è detto (cfr. cap. 1). Di questi momenti, il secondo e il terzo ci sono abbastanza ben noti, ed anche le rap- presentazioni grafiche concordano nel collocare questi passaggi nel secolo IX, in età caro- lingia e post-carolingia, quantomeno per la Gallia che tra le regioni della Romània antica è quella nella quale i processi paiono avere subito un'accelerazione considerevole rispetto sia all'Iberia, sconvolta dall'invasione araba, sia all'Italia più conservatrice. L'accordo si fonda sulla presenza di un gruppo di testimonianze e di primissimi testi, ai quali possia- mo attribuire coordinate geografiche e cronologiche precisissime - che è una condizione quasi eccezionale nel caso di testi medievali e specialmente dei più antichi - e che scandi- scono dunque in maniera assai netta alcuni degli ultimi passaggi della fase di transizione (Concilio di Tours, Giuramenti di Strasburgo, Sequenza di Santa Eulalia: v. sotto). Il primo momento, la nascita della nuova oralità è invece oggetto di discussione. Le ipotesi in certo modo più tradizionali, formulate soprattutto da romanisti, tendono ad anticipare l’ ‘origi- ne” delle parlate neolatine, collocandolo in epoca tardo antica, se non ancora imperiale, i latinisti al contrario a posticiparlo. 4.1 Quattro modelli ipotetici I dati essenziali del processo, le fonti e i metodi utilizzati per ricostruirlo sono deli- neati da Varvaro (2001, Parte D), cui si rinvia anche per l'illustrazione delle ipotesi formu- late circa la differenziazione territoriale antica del latino e poi la formazione delle molte- plici varietà romanze. Il processo di formazione delle lingue romanze è ovviamente complesso e affrontabi- le da più angoli visuali. Non stupisce quindi se si sono date interpretazioni divergenti, so- prattutto per quanto concerne la cronologia assoluta e relativa, ma anche rispetto al rap- porto col latino, scritto e parlato. Le quattro tavole qui pubblicate in Appendice racchiu- dono altrettanti schemi grafici sintetici proposti per raffigurare e sintetizzare visivamente il percorso che conduce da un sistema ancora chiaramente latino all’inizio dell'età impe- 23 riale - secondo le datazioni che arretrano maggiormente l'apparizione in Occidente di lin- gue ‘non più latine’ - alle sicure manifestazioni delle lingue romanze nei loro più antichi testi, a partire dal secolo VIII in avanti. Esaminiamoli in dettaglio. Lo schema di Castellani (Tavola 1) è l’unico a cercare di dare conto del duplice fenome- no di differenziazione dal latino e di differenziazione reciproca che caratterizza le origini del- le lingue romanze e si articola per questo su due tavole (per combinare i due aspetti in un'u- nica figura occorrerebbe predisporre uno schema tridimensionale). Nella seconda è illustrato il processo di differenziazione territoriale del latino in epoca antica e della divergenza tra le varie parlate romanze, che acquisiscono gradualmente reciproca indipendenza sulla base delle differenze antiche, intensificate e riorganizzate strutturalmente entro sistemi innovativi (variazione diatopica, differenziazione su un piano orizzontale). Quali eventi notevoli sono indicati l'Editto di Caracalla (o Constitutio Antoniniana, 212 d.C.), con l'estensione della citta- dinanza romana a tutti i sudditi liberi dell'Impero, la riorganizzazione dell'Impero da parte di Diocleziano (292-293 d.C.), infine le invasioni germaniche. Nella prima tavola è schematiz- zata la transizione tra il latino e ogni lingua o parlata romanza (come negli altri tre grafici). Il latino scritto è assunto come punto di riferimento relativamente costante nella prima linea in alto; l'evoluzione è individuata nel solo ambito del parlato, che prevede una differenziazione interna di tipo quantomeno diastratico (distanza tra le due linee che delimitano i livelli estre- mi ‘alto’ e ‘basso’); il senso complessivo di questa evoluzione va nel senso di un livellamento generalizzato verso il basso ed è esattamente nel livello inferiore che è individuata la conti- nuità che porta alle lingue romanze. La cronologia assoluta proposta da Castellani suggerisce che la definizione di parlate ormai romanze debba essere collocata all'incirca nel sec. V, alla fine dell'Impero, in stretta conseguenzialità rispetto alle invasioni germaniche. Come anticipato, gli altri tre schemi non considerano la variazione diatopica ed ana- lizzano il solo aspetto di distinzione dal latino, puntando soprattutto sull'area gallo-ro- manza. Il secondo (Tavola 2) è nel complesso abbastanza simile alla prima tavola propo- sta da Castellani rispetto alla quale tuttavia: - non illustra l'articolazione interna al latino parlato e ne semplifica drasticamente la vi- sualizzazione, supponendo implicitamente l’esistenza di una norma orale ‘alta’ prossi- ma allo scritto e ad essa in definitiva riducibile; - cerca di dare conto di un'evoluzione anche della norma scritta attraverso l'adozione di una linea spezzata inclinata con due punti critici, l'uno all’inizio del secolo III, cui fa se- guito un decadimento sempre più accentuato, e un secondo in età carolingia, intorno al- l’anno 800, in corrispondenza della Riforma carolingia, che promuove una ripresa del li- vello stilistico del latino scritto e l’inizio di una fase indicata come mediolatina; - segnala infine l’inizio di una tradizione scritta delle lingue romanze in esatta coinciden- za con la Riforma carolingia e il cambiamento di orientamento della linea indicante il li- vello dello scritto (la segnalazione della nuova tradizione scritta romanza come linea orizzontale, divergente dalla linea obliqua discendente che individua la dimensione ora- le, ne suggerisce il carattere internamente conservativo e, almeno anticamente, condizio- nato dal confronto col latino). Lo schema suggerisce altresì una valutazione diversa della cronologia assoluta: l'ap- parizione di sistemi linguistici chiaramente romanzi è collocata in fase alto-medievale, al- l’incirca tra fine VII e VIII sec., dopo una fase classificata come “protoromanza”. 24 Anche lo schema che interpreta l'ipotesi di Roger Wright (Tavola 3) non individua l'articolazione interna al sistema latino. La semplificazione serve in questo caso a eviden- ziare l'aspetto saliente di questa interpretazione, ossia la presenza di uno sviluppo paral- lelo del sistema orale e di quello scritto - per cui il latino scritto tardo-antico e dell’epoca ‘romano-barbarica’ riflette e accompagna un’oralità in evoluzione -, interrotto dalla rea- zione carolingia che causa un duplice contemporaneo sviluppo ‘artificiale’: una oralità la- tina restaurata a partire da una norma scritta e una pratica scritta romanza. In sostanza, un sistema unitario sino all'eta carolingia si sdoppia producendo due sistemi entrambi forniti di un versante orale e scritto. Le tappe dell'evoluzione linguistica sono scandite dalle diverse colorazioni di fondo: la fase protoromanza è estesa sino a comprendere tutto il sec. VIII. L'ipotesi di Wright è interessante, ma troppo dipendente dalla sola realtà foni- ca e fonologica, alla quale è ridotta arbitrariamente l’intera dimensione orale; è chiaro che mutamenti strutturali dovevano essersi prodotti nel sistema della flessione nominale e più in generale in tutta la struttura morfosintattica, che solo occasionalmente e imperfet- tamente trovano corrispondenza nella documentazione conservata. Gli si deve però dare il merito di avere attirato l’attenzione su una dimensione sino a quel momento trascurata, ossia quella del latino parlato ‘colto’ dall'età Tardo Antica in poi. L'ultimo schema, di W. Berschin (Tavola 4), è il più complesso, in quanto introduce una serie di ulteriori elementi di confronto sul versante latino (non a caso è stato elaborato da un classicista): l'altezza stilistica del latino letterario (scritto, ovviamente), la quantità della produzione letteraria conservata. L'evoluzione del latino ‘volgare’ tiene conto di una serie di diversità interne, ossia di variazioni, che possiamo intendere come diastratiche ma anche diatopiche, ed è caratterizzata dall'inserimento di un ulteriore elemento grafico li- neare concernente l'evoluzione del latino ‘volgare’ scritto; soluzione in sé forzata - ma oc- corre tenere conto del carattere di estrema sintesi di grafici di questo tipo - e che è però co- munque utile per evidenziare la differenziazione interna ad una documentazione scritta che rimane comunque indubbiamente latina e che però, anche nei secoli di maggiore deca- denza, in Gallia per esempio tra metà VI e metà VIII, presenta una varietà di risultati che si lascia distribuire in categorie secondo una maggiore e minore (o trascurabile) letterarietà, intendendo con questo termine la formalità e anche la correttezza dell'espressione. Più livelli nell'espressione orale - e potremmo dire semplicemente nella lingua - ma più livelli anche nell'espressione scritta. Nelle attestazioni del registro più basso, quindi più lon- tano da una norma latina classica e più vicino ai fenomeni innovativi dell’oralità, il sistema latino appare in via di profonda evoluzione. Ma l'interrogativo non concerne la presenza di volgarismi e neppure la loro frequenza e qualità, ma piuttosto la flessibilità del diasistema di partenza: qual era il limite di evoluzione possibile all’interno di un sistema qualificabile pur sempre come latino? C'è un ulteriore aspetto che appare sovente sottostimato e che mi sembra invece determinante: il processo di evoluzione dal tardo latino alle parlate romanze ha al suo interno quello di reciproca distinzione fra queste ultime ed anche di iniziale defi- nizione di varietà omogenee su base territoriale; la sua fase decisiva potrà dirsi conclusa nel momento in cui ci troveremo di fronte a un'articolazione linguistica differenziata su base territoriale e a una prima coscienza di reciproca indipendenza da parte dei parlanti, nella forma di segnalazioni più o meno esplicite di difficoltà di comprensione reciproca sul ver- sante dell’oralità ‘latina’. La prosecuzione da varietà regionali del latino suggerita dallo 25 schema di Castellani introduce una visione lineare che in realtà non si può dare per sconta- ta: se la continuità tra varietà regionali del latino imperiale e parlate romanze su un medesi- mo territorio è assicurata, in assenza di sconvolgimenti sostanziali degli insediamenti, dalla stessa continuità delle popolazioni e quindi della catena di parlanti, resta in ombra l'aspetto, che è altrettanto sostanziale, della riorganizzazione dei sistemi, ossia della grammaticalizza- zione delle innovazioni come parti di nuovi sistemi organici e tra loro differenziati ossia re- ciprocamente irriducibili, sia negli aspetti strutturali sia nella coscienza dei parlanti: non più varietà di - e quindi entro - un diasistema complesso, ma sistemi distinti. Premesso che è impossibile dare al quesito una risposta precisa e assoluta, la conside- razione di questi ultimi aspetti induce a scartare come poco verosimile l'individuazione di una formazione ‘antica’ delle lingue romanze tra loro differenziate. Si può forse proce- dere per approssimazioni successive: - lo sviluppo di sistemi linguistici romanzi è da collocare in epoca post-imperiale; - non è detto che vi sia una medesima cronologia assoluta per tutti i territori romanzi, an- zi è verosimile il contrario, ossia che tempi e velocità siano distinte; - non è detto che in un medesimo territorio il processo evolutivo si sia sviluppato in for- ma lineare e regolare, è anzi del tutto verosimile che si siano alternate fasi di accelerazio- ne e fasi di relativa stasi; - è verosimile che in zone isolate, come la Sardegna, i sistemi si siano riorganizzati abba- stanza precocemente, su basi comunque ‘arcaiche’; - se si accorda importanza all'aspetto di reciproca distinzione delle lingue romanze, non è possibile collocare la loro ‘origine’ nella prima fase successiva alla disgregazione del- l'Impero. Tutto ciò considerato, è piuttosto il periodo che va dall'inizio del secolo VIII all’inizio del IX che deve, a mio avviso, essere riconosciuto come la fase di maggiore e decisiva acce- lerazione nella definizione dei nuovi sistemi, a seguito della più profonda crisi del sistema latino che è attestata dalla documentazione soprattutto gallica del sec. VII. La datazione complessiva che così risulta è forse un po” più avanzata di quella cui pensa anche Varvaro ed è ravvicinata a quella della seconda e terza tappa dell'evoluzione sopra individuate, os- sia all’esplicito riconoscimento dell’esistenza delle parlate romanze e alle prime manifesta- zioni complesse e coscienti - di carattere ormai sicuramente monumentario -, le quali sono attestate per la Gallia settentrionale in rapidissima successione nel corso del secolo IX. 4.2 La Rinascita Carolingia e l'apparizione delle lingue romanze Pare dunque che il momento critico dell'evoluzione tra sistemi linguistici diversi, tra la- tino e volgare romanzo, debba essere situato, almeno per la Gallia, tra VII e VII secolo, dicia- mo per semplicità tra 650 e 750. L'abbozzo di una riorganizzazione della Chiesa franca in Gallia e della stessa cancelleria regia a partire appunto dalla metà del secolo VIII, timido ini- zio di quella che sarà poi la vera e propria ‘Rinascita carolingia’ a partire dalla generazione successiva, comincia a innescare un processo decisivo di reazione al processo di adattamento alla lingua parlata che si era affermatosi - pur con diverse gradualità e risultati differenti - nei secoli precedenti: si spezzò un guscio, un involucro formale e culturale, che aveva fino ad al- lora impedito la presa di coscienza della diversità (così Varvaro 2001: 219). La Riforma caro- lingia è uno dei momenti decisivi della storia della cultura occidentale, epoca di riscoperta 26 dei classici, copiati e conservati in grandi biblioteche di fondazioni monastiche, e di rinnova- to impulso creativo in letteratura come nelle arti figurative. Della Rinascita carolingia, impor- tano qui soprattutto il lato linguistico e quanto si riflette sugli usi scritti (istruzione, alfabetiz- zazione, ‘letterarietà’ in senso lato): la rifondazione classicista della cultura letteraria e delle sue espressioni partecipa di un grande progetto che è innanzitutto politico e mira all’edifica- zione di un'Europa cristiana occidentale, romano-germanica e dal baricentro tendenzialmen- te settentrionale e non più mediterraneo, che si fondasse su una serie di elementi coesivi ele- mentari e comuni, sia nei valori ideali sia anche pratici e operativi a partire sin dalla struttura dell’amministrazione: l'uniformità del latino e l'uniformità della scrittura - quella che chia- miamo appunto ‘minuscola carolina” e che è la base dell'uso moderno stampato - garantisco- no la coesione dell'insieme. Sul piano linguistico la Riforma carolingia si attua attraverso un'estesa e profonda restaurazione della norma linguistica antica, che è, come si è detto, una scelta simbolica sul piano culturale ma anche un passo necessario verso la definizione di uno strumento politico-amministrativo unitario. La Riforma rifiuta in particolare gli ‘imbarbari- menti’ del primo medioevo nella lingua scritta, specie quelli di provenienza merovingica, e qualsiasi compromesso con l’oralità delle terre romanze. È anche probabile che a questa svol- ta abbia contribuito la stessa composizione della corte carolingia e dell'ambiente intellettuale costituitosi attorno ad essa, nel quale avevano parte importante personaggi provenienti dal- l'Inghilterra (Alcuino), dalla Germania, anche dalla conservatrice Italia (Paolo Diacono). Da questo punto di vista Wright ha ragione: si arresta un'evoluzione innovativa, il latino parlato viene ‘ancorato’ allo scritto, di questo si dà un'interpretazione che tende ad essere fonetica. Questa reazione restauratrice consegue un risultato decisivo dal nostro punto di vista ‘romanzo’: come rileva Banniard (1984: 193) impedisce l’esistenza di quel «genere terra di nessuno del linguaggio, nel quale si congiungevano la scrittura latina (approssimativa) e l’oralità popolare (ancora conservatrice)» perché tesa, di fronte alla liturgia, alla predica- zione, alle agiografie, a mantenere il contatto con la lingua sacra della religione e delle pratiche devozionali. Di conseguenza, «crollano le passerelle fragili che lasciavano circo- lare un minimo d'informazione nella direzione lettore/ascoltatori» (ibid.: 194). Dal punto di vista del volgo, ossia degli ascoltatori di quelle agiografie e di quei sermoni divenuti quasi di colpo ‘non più comprensibili’, si allenta invece il rapporto psicologico con il lati- no, viene meno la coscienza di una continuità, si afferma quella della discontinuità, quin- di della diversità tra i sistemi linguistici. 4.3 Il Concilio di Tours Il primo dei documenti che scandiscono in qualche modo con sicurezza le tappe del- l'evoluzione fornendo dei riferimenti cronologici sicuri è una deliberazione del Concilio di Tours dell’anno 813, nella quale si scorge la prima manifestazione esplicita, da parte della gerarchia ecclesiastica, ossia della nuova élite linguistico-culturale carolingia, della presa di coscienza dell’irriducibilità dei sistemi linguistici correnti e quindi della diver- sità dal latino della lingua parlata dal volgo, che possiamo a questo punto definire con si- curezza come ‘lingua romanza’. Nel Concilio di Tours (Concilium Turonense, anno 813) si riunirono in assemblea ve- scovi provenienti da varie regioni dell’ Impero Carolingio, sia da quelle occidentali, lingui- sticamente latine e ormai romanze, sia da quelle orientali, germaniche. È possibile che an- 27 che questa specifica composizione del Concilio, con componenti e interessi su entrambi i versanti, germanico e romanzo, abbia facilitato o stimolato l'esplicitazione di una coscien- za ormai affermatasi nella gerarchia ecclesiastica. Il testo si legge in: MGH, Concilia, II, Concilia aevi karolini, 1 (ed. A. Werminghoff, Hannover 1908), c.17: Visum est unanimitati nostrae, ut quilibet episcopus habeat omilias continentes necessarias ammonitiones, quibus subiecti erudiantur, id est de fide catholica, prout capere possint, de perpetua retributione bonorum et aeterna damnatione malorum, de resurrectione quoque futura et ultimo iudicio et quibus operibus possit promereri beata uita quibusque excludit. Et ut easdem omelias quisque aperte transferre studeat in rusticam Romanam linguam aut Thiotiscam, quo facilius cuncti possint intelligere quae dicuntur. [traduzione] È parso opportuno a tutti noi che ogni vescovo pronunci omelie che contengano gli insegnamenti necessari all'educazione degli inferiori, cioè della fede cattolica, perché se ne possano impadronire, della perpetua ricompensa dei buoni e dell'e- terna dannazione dei malvagi, della resurrezione e del giudizio finale e di quali azioni e opere possano garantire la vita eterna e quali invece causarne la perdita. Ed anche [è parso opportuno a tutti noi] che quelle stesse omelie ciascuno di essi [i vescovi] si applichi a tradurle apertamente nella lingua latina parlata dai ‘rustici’ ovvero in [lingua] tedesca, affinché tutti senza eccezione possano comprendere senza difficoltà ciò che viene detto loro. Quattro avvertenze: - le prescrizioni del Concilio sono dirette sia alla massa dei fedeli sia al basso clero, verosi- milmente non ancora raggiunto dall'azione riformatrice carolingia; - il verbo transferre è impiegato nel suo significato proprio di “tradurre” ed implica il rico- noscimento della diversità delle lingue, tra le quali non è possibile una forma di media- zione distinta dalla vera e propria traduzione; l'avverbio aperte aggiunge una connota- zione specifica, quella della limpidezza e comprensibilità dell'espressione; ho tradotto con una certa ridondanza con “lingua latina parlata dai rustici” l’espressione latina rusticam Romanam linguam; la traduzione come “lingua volgare” sarebbe stata non inesatta quanto alla sostanza, ma anacronistica rispetto non appunto alla ‘realtà’ dei fatti linguistici ma al livello di coscienza che di essi si doveva avere; va comunque rilevato che l’espressione lingua Romana, anche adattata ai diversi volgari regionali (langue roma- ne, lengua romana, ecc., poi anche romance e simili) è quella corrente in tutto il medioevo per indicare appunto le lingue neolatine; è difficile dire se l'aggettivo rusticam si riferisca anche a Thiotiscam; affermarlo passa at- traverso l'ipotesi della coscienza di una modalità espressiva germanica distinta dalla so- la oralità, abbastanza significativa da generare appunto la distinzione, cosa di cui non abbiamo indizi sufficienti e che peraltro è anche impossibile escludere con sicurezza. Indicazioni identiche, alla lettera, compaiono in un successivo Concilio tenuto a Ma- gonza nell'ottobre 847: più che la provenienza da una zona oggi germanica, ma costellata 28 allora da presenze romanze persistenti, è rilevante l'inserimento stabile tra le prescrizioni ecclesiastiche di quelle d'ordine linguistico del Concilio di Tours, che segnarono effettiva- mente una svolta nella pratica pastorale della Chiesa occidentale, i cui ultimi sviluppi si sono avuti col Concilio Vaticano II, quarant'anni fa. 5. Origini: documenti latini ‘bassi’, antichi testi romanzi e antichi testi letterari romanzi È utile provare a classificare tipologicamente l'insieme di ‘fonti’, tipicamente testi, delle più svariate estensioni, utilizzabili nella ricostruzione dei processi qui in discussio- ne. Troviamo difatti: a) testi latini preziosi come documenti dell'evoluzione linguistica in atto, non diversa- mente, in questa fase avanzata, da quanto potessero essere le ‘fonti per la conoscenza del latino volgare’, per esempio di età imperiale; b) testi che documentano il lento passaggio verso un’autonoma espressione scritta dell'e- spressione orale romanza o ormai prossima al potersi dire romanza; c) testi ormai chiaramente romanzi. M. Meneghetti (1997: 53-9, con esemplificazioni nelle pagine seguenti) ha proposto la classificazione delle forme tardo latine e delle prime manifestazioni di volgare in due gruppi distinti: l'uno composto di testi a caratterete didattico-prescrittivo riconducibili al- la categoria del parlato, nei quali cioè si riflette un uso ordinario, lontano dagli usi scritti correnti, l’altro composto di testi a carattere testimoniale, che si configurano come traspo- sizione nello scritto di momenti di comunicazione orale, a carattere tipicamente testimo- niale, e di questo uso conservano un'impronta specifica nel loro assetto formale. Un'ultima avvertenza preliminare. È ovvio che documentazioni utili a questi fini si trovano entro tutta la storia della lingua latina, venendo a costituire un continuum di atte- stazioni in cui è difficilmente discernibile ciò che è ancora latino da ciò che non lo è e, so- prattutto, non lo è più, ossia è già romanzo. È, di fatto, tutto quel complesso di dati che si indica nella formula collettiva di “fonti per la conoscenza del latino volgare”. I casi di se- guito illustrati sono riconducibili a epoche già avanzate, quando si può presumere l'esi- stenza di sistemi linguistici ormai romanzi; in alcuni casi, per esempio per attestazioni di origine italiana, si sarà ricondotti anche a date anteriori, seppur di poco, a quella del Con- cilio di Tours, con un minimo arretramento nella cronologia assoluta. 5.1 Documenti latini ‘bassi’ Elementi romanzi s'insinuano - con diversi livelli possibili di coscienza da parte degli scriventi - in testi latini e, in generale, nel sistema linguistico latino-medievale. È possibile schizzare una sommaria tipologia di queste documentazioni sopra presente sotto il punto a): 1) testi di livello più basso e/o più vicini a realtà del tempo: leggi e documenti, che spesso adottano i termini correnti, ovviamente meglio intelligibili, attraverso semplici adatta- menti alla morfologia latina, ma anche testi agiografici. Si tratta qui di singoli elementi lessicali (e onomastici e toponomastici), i quali documentano una realtà linguistica e storica che sta cambiando e che s'introduce ‘a forza” anche dentro testi nel complesso 29 corretti: la norma antica risulta qui attaccata dal suo versante più debole e più permea- bile, quello appunto del lessico che è anche il principale fattore di vitalità di un sistema linguistico: da questo punto di vista il sistema latino non appare in crisi significativa; 2) glosse e glossari, ossia esplicazioni, marginali o interlineari, e repertori di glosse, redatti sul tipo dei nostri lessici; glosse e glossari implicano una coscienza linguistica specifica, ma non l’esistenza di sistemi linguistici distinti nella coscienza del redattore: difatti il più delle volte ci troviamo all’interno del solo sistema latino, entro il quale si confronta- no un registro in genere più alto o semplicemente più antico o comunque meno corren- te, quello cui appartiene il termine glossato, e un registro più vicino al glossatore o a co- loro per i quali sta allestendo le esplicazioni, cui appartengono appunto le glosse, che possono per questo avvicinarsi in maniera significativa al volgare e, negli esempi più tradi, possono esservi fatte con sicurezza rientrare (così per esempio gli esempi sotto ri- portati di origine iberica, le Glosse Emilianensi e Silensi). Il Glossario di Kassel si distingue dagli altri antichi per la particolarità di essere romanzo - tedesco; non a caso è l’unico di origine germanica e documenta appunto l'interesse per la lingua corrente nella parte occidentale dell'Impero carolingio; 3) testi, normalmente più tardi, che ricalcano modelli formali e talora anche linguistici ti- pici dell'ambito volgare. In generale si pone per tutti questi documenti un problema delicatissimo di interpre- tazione delle grafie, in breve a che cosa corrispondono e che cosa rappresentano? L'opaci- tà del sistema grafico è talora estrema. 5.2 Testi vicini all'espressione volgare In questi testi, linguisticamente ‘corrotti’ rispetto alla norma grammaticale latina, tra- spaiono soluzioni, tra loro complessivamente coerenti, di tipo prossimo ad una oralità volgare; piuttosto che classificarli come semplici esempi di barbarismi, pare opportuno valutarli come prodotti di una volontà espressiva che coscientemente si avvicina o cerca di avvicinarsi a soluzioni di un’oralità ormai volgare. Per questi testi Avalle (1965, 1983) ha introdotto nell'uso le classificazioni di latino «circa romancum» ossia di “latino che imi- 115 ta il volgare”” per la lingua che in essi si manifesta e di testi composti «iuxta rusticitatem» per il complesso delle scelte formali e contenutistiche. Si tratta di «registri intermedi» usa- ti con «consapevolezza» nel «compito modesto, ma non per questo meno utile, di agevo- lare le esigenze pratiche della comunicazione negli atti ufficiali della vita pubblica, carte documenti, leggi, placiti, e, nella letteratura religiosa, vite di santi, omelie e “lectiones”» (sono sempre giudizi di Avalle 1983 : X e XID. 5.3 Antichi testi romanzi Anche entro questo insieme, individuato da sistemi formali pienamente e coerente- mente romanzi - fatte ovviamente salve le persistenti dimostrazioni di dipendenza orto- grafica da usi latini - è opportuno operare una distinzione di massima tra: - i più antichi testi romanzi, ossia le più antiche attestazioni dell'uso nello scritto di mo- dalità linguistiche coerenti che possano dirsi romanze, tenendo presente la distinzione fondamentale tra documento e monumento; - i più antichi testi letterari romanzi, nei quali si riconosce la manifestazione non soltanto 30 di una volontà monumentaria, ma anche di una volontà espressiva e formale legata pre- cisamente allo strumento del volgare. Sia chiaro: non è in discussione il carattere cosciente e monumentario di molte delle attestazioni classificabili nel primo gruppo e neppure la presenza, dietro tutto il corpus, di una nascente tradizione scrittoria volgare, individuata da propri sistemi grafici, quindi di una generica ‘letterarietà’. È però evidente che al di là di una capacità creativa e di inven- zione, che si manifesterà in maniera prepotente nei testi romanzi a partire dall'ultimo scorcio del secolo XI proprio sulla base di una nuova sensibilità legata al volgare, è possi- bile individuare una serie di testi che si distanziano nettamente dagli altri per l'intensità della tensione formale e creativa, per la qualità di scrittura che ne risulta e per l'impegno complessivo che li animano. Si tratta di testi in versi, destinati al canto o alla declamazio- ne: la formalità volgare della versificazione, d'impianto diverso dalla metrica latina antica e non perfettamente riducibile neppure a quella latina medievale, sembra avere costituito per questi componimenti la via di accesso ad uno status di riconosciuta esistenza, che per- mise loro di superare la barriera culturale che tratteneva l’espressione volgare al di là del confine elitario dello scritto. Non si vuole con questo limitare l’importanza né linguistica né culturale di tradizione scrittorie come quella testimoniata, per esempio, dall'uso esteso del volgare negli atti giuridici redatti in Linguadoca a partire dalla fine del sec. XI; anzi, la presenza di tradizioni consolidate di tale segno testimonia di un diffuso prestigio del vol- gare e la produzione di strumenti giuridici è interpretabile come luogo privilegiato per la definizione di usi anche formali della lingua. È però evidente che altra cosa è l’elaborazio- ne di forme testuali completamente nuove, costruite su una serie di dati di base coerente- mente volgari - metrica, lingua, stile e scelte espressive innanzitutto, ma anche temi e mo- tivi, che solo in parte manifestano un debito con la tradizione latina preesistente - e desti- nate, attraverso l’uso esclusivo del volgare, a un pubblico laico. Esse acquisicono anche carattere di compiutezza ossia di piena finitezza formale (inizio e fine, con strutture di esordio e di conclusione, cui si associa l'individuazione nei manoscrit- ti che trasmettono i testi attraverso i consueti segni distintivi: intitolazioni e/o lettere di gran- de formato) e, di conseguenza, carattere di piena autonomia rispetto a condizioni circostan- ziali ( testuali o di occasione) che si presentino come presupposti necessari dei testi volgari (così, tra i testi di seguito considerati, il contesto latino dei Giuramenti di Strasburgo, § 6.3, e dei Placiti capuani, 8 6.2.2.2, ovvero la specifica situazione storica e non solo genericamente comunicativa nella quale va collocato il graffito della Catacomba di Commodilla, § 6.2.1.2). 6. Prime attestazioni scritte delle lingue romanze nascenti Si presentano di seguito alcune delle prime attestazioni scritte conservate di volgari romanzi, prima alcune antiche collezioni di parole accompagnate da esplicazione, glosse (esplicazioni) e più spesso gruppi di glosse, ma anche veri e propri glossari, ossia reperto- ri di glosse (5.1), quindi alcune attestazioni autonome, non più legate dunque alla necessi- tà di una spiegazione (5.2). L'inserimento in posizione finale di questo breve panorama di quello che è per unanime consenso considerato il più antico testo volgare conservato di una certa estensione, i Giuramenti di Strasburgo, è in qualche modo forzata e innaturale in 31 quanto non corrisponde all'ordine cronologico: sicuramente datati all'anno 842 i Giura- menti sono difatti sensibilmente anteriori sia a diversi documenti italiani qui presentati (dai Placiti cassinesi al Conto navale pisano) sia alle attestazioni iberiche. Questa collocazio- ne dei Giuramenti finisce anzi con l'alterare in maniera evidente quella che è la successio- ne ‘canonica’ dei più antichi testi romanzi. La scelta è motivata dalle seguenti ragioni: - rispetto a molti degli altri testi - non però i Placiti cassinesi - i Giuramenti sono contraddi- stinti da un sicuro carattere monumentario e si distanziano quindi dalla pura dimensio- ne documentaria alla quale è possibile ricondurre anche attestazioni come quelle dei graffiti ed iscrizioni romane (Catacombe di Commodilla, Basilica di San Clemente); ri- spetto ai Placiti, i Giuramenti si distaccano per la superiore complessità del testo e per la stessa esplicita qualificazione che lo introduce all’interno della cronaca latina di Nitard che li tramanda; - i Giuramenti di Strasburgo si pongono come antefatto diretto del più antico testo letterario - in senso stretto - romanzo conservato, la Cantilena di Sant' Eulalia rispetto alla quale fun- gono da introduzione espositiva e da termine di confronto per valutare i caratteri ormai totalmente autonomi del volgare nell Eulalia. 6.1 Glosse e glossari Si tratta evidentemente non di testi veri e propri, ma di glosse, ossia di spiegazioni, di- sposte accanto ai testi, normalmente la Bibbia, nei quali era opportuno spiegare e interpre- tare alcuni lemmi, oppure raggruppati in glossari, ossia in repertori sistematici di ampiez- za variabile, da poche decine (il Glossario di Kassel, peraltro molto particolare, come si ve- drà) a diverse migliaia (così il Glossario di Reichenau). L'importanza dal punto di vista ro- manzo è variabile: se la necessità di esplicazione comporta in genere l'utilizzazione di for- me di uso più corrente e presumibilmente più comprensibili, non è scontata l'utilizzazione da parte del glossatore di area romanza di espressioni che si avvicinino al volgare o lo la- scino trasparire. La maggior parte dei complessi di glosse e dei glossari alto-medievali in- teressano difatti solo indirettamente, come testimonianze semmai di un persistente uso del latino con differenziazioni interne, quali appunto quelle tra testo glossato ed esplicazione. Tra quelli di interesse romanzo qui non commentati, si segnala il Glossario di Monza, di ori- gine alto-italiana, attribuibile ai primi decenni del secolo X (Castellani 1980: 39-57). 6.1.1 Le “Glosse di Reichenau” Il Glossario è contenuto in un manoscritto. oggi conservato a Karlsruhe, ma copiato certamente nell'Abbazia benedettina di Reichenau, sul lago di Costanza, in una data pros- sima all'anno 800, a partire da un modello originario non di quella regione, ma della Gallia settentrionale (molto probabilmente proveniente dall’abbazia di Corbie, con la quale Rei- chenau aveva relazioni importanti) e ovviamente anteriore (probabilmente non di molto) alla data di trascrizione del manoscritto conservato. La parte sostanziale della raccolta è co- stituita da un Glossario biblico, ossia da una elencazione di parole ‘difficili’ incontrate nelle Sacre Scritture, disposte appunto secondo l'ordine di progressione dei Libri dell’ Antico e Nuovo Testamento, e accompagnate da un esplicazione, sempre in latino, ma che lascia talo- ra - non sempre - trasparire dei fattori innovativi e specificamente un fondo romanzo. Vi è un vistoso disordine nella disposizione del Glossario - si salta dalla metà di Maccabei II al 32 Nuovo Testamento (Vangeli, Atti degli Apostoli), per poi riprendere l'ordine originario rimasto interrotto con la conclusione di Maccabei II, Daniele, Giona, Geremia e Salmi; la presenza di questa disposizione anomala dimostra in maniera decisiva che si ha di fronte non un origi- nale, ma la copia di un modello nel quale si era prodotto lo spostamento di alcuni fogli o di un intero fascicolo. A seguito del Glossario biblico si legge un secondo, più piccolo Glossario alfabetico composto secondo criteri simili al precedente e dedicato a spiegare termini ricava- ti, oltre che dalla Bibbia, anche da scritti religiosi di vario tipo, specialmente agiografie. L'estensore del Glossario ha avuto a disposizione diversi materiali, in parte certa- mente già organizzati in forma simile come dimostrano diverse coincidenze con altri re- pertori simili. È in assoluto significativa, anche nella prospettiva di evoluzione dal latino verso le lingue romanze, la relativa frequenza di glosse esplicative che corrispondono a forme della Vetus latina usate appunto per chiarire termini che compaiono nella Vulgata dovuta a San Gerolamo. L'interesse delle glosse è nella maggior parte dei casi lessicale: si tratta di lemmi iso- lati, in genere sostantivi, non di sintagmi, e il più delle volte le parole conservato i tratti latini per quanto riguarda la morfologia (valga come esempio quello dei due plurali neu- tri plaustra e carra, trascritti in modo del tutto regolare): onustus : carcatus [“caricato” - a.fr. chargié] binas A duas et duas aper : salvaticus porcus [“cinghiale”] fusiles : fundutas [“fuse” - fr. fondues] iecore [lat. iecur]: ficato [“fegato”: prob. ‘caso generico” accusativo/ablativo] viscera : intralia “interiora” ] mares : masculi [“maschi”] oppidis ; castellis vel civitatibus [“castelli o città”) hiems : hibernus [“inverno”] forum : mercatum [“mercato”] plaustra : carra [carri agricoli” ] ager E campus [“campo”] vim a fortiam [“forza”] caseum i formaticum [“formaggio”] castro : heribergo [“accampamento”] galea ; helme [“elmo”] mercator : comparator [“compratore”] femur ; coxa [“coscia”] canere ; cantare [“cantare”] lamento ; ploro [“piango, lamento” - fr. pleurer, sp. llorar] ictus ` colpus [“colpo”] uvas : racemos [“uva” - fr. raisins] coturnix : quaccola [“quaglia”] ferus ê durus [“duro, crudele” ] flare ; suflare [“soffiare”] ungues ; ungulas [“unghie”] gratis ; sine mercede [“senza pagamento” ] 33 in ore rostrum in scelere nefas crimine anus milites rerum scurris ita jus sagma semel sopor umo respectant Italia Gallia ludebant grando in bucca [“in bocca”] beccus [“becco”] in peccato [“nel delitto, nel misfatto”: si noti nella glossa la netta connotazione cristiana] peccato [“illecito, delitto, peccato”] peccato [“delitto, crimine”] vetulae [“vecchie”: parola della 4 decl. lat., regolarizzata con suffisso] servientes [“soldati” - fr. serjants]* causarum [“delle cose”, caso genitivo] ioculator [“giullare”] sic [“cosi, si] legem vel potestatem [“legge o potere”] soma vel sella [“soma o sella”] una vice [“una sola volta”] sumpnus [“sonno”] terra [“terra”] rewardant [“temere, rispettare” - fr. regarder] Longobardia Francia iocabant [“giocavano”] pluvia mixta con petris [cfr. le forme sp. pedrea, pedrisco; cat. pedrada, pedregada; per fr. gréle, gréler è indicata con qualche dubbio la derivazione dal francone *GRISILON]. Alcune glosse hanno interesse dal punto di vista della morfologia, più che da quello lessicale e attestano: la crisi del sistema latino dei comparativi/ superlativi espressi attra- verso desinenza: optimos saniore meliores [“i migliori, i più buoni”] plus sano [“piú sano”] l'evoluzione nei pronomi: cuncti nemini nonnulli omnes [“tutti”] nulli [“nessuno”, form plurale] multi [“molti”] mentre però, e forse anche a causa della diversità di fonti utilizzate nella compilazio- ne del Glossario, compaiono ancora come pronomi forme sviluppate come articoli nelle lingue romanze: is iste vel ille [questo o quello”] La regolarizzazione dei temi verbali si produce attraverso la sostituzione lessicale di paradigmi irregolari con altri regolari, ovvero la regolarizzazione degli esistenti, condotta su base analogica e con sensibile estensione della 1% coniug. (-ARE) e parzialmente della 4 a scapito delle altre (cfr. anche l'elenco delle sostituzioni lessicali): emit ` H comparavit [“(egli) compero”] 34 cecinit cantavit [“canto”] vinxit ligavit [“lego”: cfr. it. avvincente, vincolare] ceciderunt caderunt [“caddero”: la forma it. presenta ritrazione dell'accento] si vis si voles [se vuoi”] poto do tibi bibere [“bevo”] e in particolare mediante |’ abbandono dei deponenti, nel caso specifico di polliceor e minor: pollicitus est minatur promisit [“promise, s'impegnò”] manatiat [“minaccia”] Una serie di termini portano con decisione verso l’area gallo-romanza settentrionale: isset ambulasset [ “andare” - fr. aller] profertus alatus factus [“fatto muovere, mandato avanti”] transgredere ultra alare [“andare oltre”] oves berbices [“pecore” - a.fr. berbis, fr. brebis] vomere cultro [“vomere” - fr. coutre] dem donem [“diamo” cong. - fr. donner] da dona [“dà”] opilio custos ovium vel berbicarius [“pecoraio”] vespertiliones calvas sorices [“pipistrelli” - fr. chauves-souris] pallium drappum [“mantello” - fr. drap] turmas fulcos [“folle, gruppi (di persone)” - fr. foule] viscera intralia [“interiora” - fr. entrailles) ensis gladius [“spada” fr. glaive] cenacula mansiuncula [“modesta abitazione” - fr. maison] liberos infantes [“figli” - fr. enfants, sp. enfantes, ma con diverso significato] non pepercit non sparniavit [“risparmio”- fr. épargner] caementariis mationibus [“muratori” - fr. magons] pignu wadius [“pegno” - fr. gage] e anche arena sabulo [“sabbia” - fr. sable] sortilegus sorcerus [“mago, stregone” - fr. sorcier] tedet anoget [“annoia, causa fastidio” lat. inodiat, fr. ennuier] Specularmente, una serie di casi esclude poi con sicurezza l’area iberica: per es. ca- seum : formaticum e saniore : plus sano (comparizione con l'avverbio da PLUS piuttosto che da MAGIS > mas), mentre è dubbio vorax : manducator (manducator compare come esplica- zione nelle Glosse Silensi e doveva essere quantomeno ancora compreso nel sec. X). 6.1.2 Le “Glosse di Kassel” Il manoscritto proviene dall'abbazia benedettina di Fulda (meno probabilmente da Freising, come anche è stato ipotizzato). Esso venne compilato da un bavarese sotto detta- tura, non attraverso ricompilazione di materiali preesistenti, come accade per il Glossario 35 di Reichenau, ma come frutto di una sorta di ‘inchiesta linguistica’ ante litteram presso uno o più parlanti ‘romani’ (ossia: ‘romanzi’), interrogati su varie parole ed espressioni di uso quotidiano, accompagnate da traduzione in tedesco. I risultati, 180 lemmi in tutto, so- no raggruppati secondo un ordinamento di tipo onomasiologico: l’uomo, gli animali do- mestici, la casa, il vestiario, gli attrezzi, lemmi vari. Va ricordato che chi scrive è con cer- tezza germanofono e di conseguenza ‘germanizza’ nella trascrizione i termini neolatini, in particolare introducendo una quantità di consonanti sorde in luogo delle sonore. È qui particolarmente rilevante il fatto che accanto alla parola tedesca utilizzata per esplicare troviamo forme magari ben conosciute dal punto di vista lessicale e che però compaiono qui con un assetto fonetico ormai chiaramente romanzo, a differenza di quan- to avveniva nel Glossario di Reichenau e con grafie che preannunciano alcune soluzioni ro- manze (per es. il grafema -il- in cramailas, ma anche l’inizio di dittongamento in mannei- ras). Alcuni esempi: homo man mantun chinni [“mento”: grafia forse indicante la nasalizzazione della vocale] talaun anchlao [“tallone”: id.] puticla flasca [“bottiglia”] manneiras parta [“ascia”: < MANUARIA, it. mannaia e cfr.per es. cat. destral] cramailas hahla [“catena” it. cremagliera] mufflas hantscoh [“muffole”] uuanz irhiner [“guanti”, cfr. picc. vall. uuanz] stupa stupa hanap hnapf radi meo parba: skir minan part [“radimi la barba”] 6.1.3 Le “Glosse Silensi” Le Glosse Silensi, conservate nel manoscritto. London, British Library, add. 30853, prendono il nome dal monastero di Santo Domingo de Silos, nella regione di Burgos (Vec- chia Castiglia), luogo probabile di origine del codice. Si tratta di un ampio complesso di esplicazioni puntuali, 368 nell'edizione di Menéndez Pidal (1950), che concernono l'ulti- ma delle opere trascritte, un Penitenziale. Dall’aspetto delle glosse è apparso chiaro che il copista trascriveva da un esemplare già glossato. f.311r de munque 22 de puisca f.311v catholicus 25 christianus f. 316v quinquiennium 150 .v. annos f.312r ignorante 32 non sapiendo f.314r absente 83 luenge stando f.317r revertente 160 retornando f. 315r omnia exercere 121 manda pro fere totas cosas f.322r post circulum anni 329 por lo anno pleno f322r cibum sumserit 335 manducaret ederit 338 manducaret inedie 340 de la fame 36 f.322r cetera 323 altras f. 323v rurium 360 de las tierras f.323v ferre 351 levare f.312r iudicio damnetur 36 desonoratu siegat iudicatu f.314v puniuntur 101 muertos fuerent securi 103 liveratos reus 106 culpaviles f.219v ad nubtias 248 a las votas f.219v defuerit 252 menos si fueret f. 315v violenter 131 fuertemientreza f. 320r militatores 247 basallos f. 312v restituat 42 tornet f. 313r prebent 49 ministrent | sierben f. 318v subito f. 323v certatim f.314r esse f. 314v tradit f. 322r ita precipitur f. 321r secum retinere voluerit f.314r quod 214 statim | ora 357 statim | ora 72 sedere 95 dat et donat 314 asi mandat 287 consico kisieret tenere 86 por ke In genere l'equivalenza lessicale si commenta da sola. Tra i casi più notevoli non con- cernenti solo il lessico rileviamo: f. 318v habeat 218 ajat dove la forma volgare glossa la sua stessa base latina, indizio di una interrotta familiarità su una forma peraltro tutt'altro che rara o difficile 234 laiscaret con grafia -isc- che lascia intravvedere una pronuncia fricativo-palatale di un gruppo -Cs- (= -x-) latino f. 319v dereliquerit L'estensione funzionale di forme del verbo SEDERE in sostituzione di forme corri- spondenti del verbo ESSE / *ESSERE, qui attestata in esse : sedere, trova riscontro nelle Glosse Emilianensi, dove segamus < SEDEAMUS (con grafia -g- per [*]/[j]). 6.1.4 Le “Glosse Emilianensi” Indichiamo con Glosse Emilianesi (in spagnolo Glosas Emilianenses), da non confondere con la Nota Emilianense (su cui cfr. più oltre cap. 6), un considerevole insieme di annota- zioni esplicative, 145 nell'edizione di Menéndez Pidal (1950), apposte da una sola mano e contenenti volgarismi in misura variabile che si leggono nel ms. 60 del fondo San Millán della Biblioteca della Real Academia de la Historia di Madrid. Si tratta di un codice alto medievale proveniente appunto dal monastero di San Millán (nella parte orientale della provincia di Logrofio, nella Rioja), che conserva testi latini di carattere religioso - Esempi di vita ascetica, delle Litanie, una Passione dei Santi Cosma e Damiano e letture della loro festi- 37 vità, un Liber Sententiarum, una raccolta di Sermoni di Sant'Agostino (sezione quest’ultima dove si concentrano le esplicazioni con particolare frequenza). Il manoscritto venne com- pilato a cavallo tra i secoli IX e X, le glosse sono della prima metà del secolo XI, probabil- mente di poco posteriori alle Glosse Silensi. Le glosse, accompagnate da segni di richiamo al termine latino glossato, talora formano vere e proprie frasi. Le glosse qui presentate sono estratte dall'ed. di R. Menéndez Pidal (1950): il primo nu- mero indica il foglio del manoscritto dove la glossa compare, il secondo il numero d’ordine progressivo assegnato dall'editore. Ci troviamo in una zona di confine e non deve stupire il fatto che in due glosse si affacci il basco (Euskera), di cui queste sono le primi attestazioni scritte, in un caso da solo, nel secondo affiancato ad un’esplicazione in volgare romanzo: f. 67v f. 68v inveniri meruimur precipitemur 31 izioqui dugu 42 guec ajutuezdugu 43 nos non kaigamus In molti casi l'esplicazione concerne termini latini spiegati con forme sempre latine che dovevano essere più correnti, come avviene normalmente e come abbiamo visto nel glossario di Reichenau. Per es.: f.27r bellum 4 pugna f.65v diuisiones 16 partitiones f.67v incolomes 30 sanos et salvos f.69r adulterium 46 fornicatjonem f.71V criminis 81 peccatos f.72r imperium 89 mandatjione f.73r certamina 96 pugna inermis 97 sine arma Altrove l'esplicazione scivola nettamente sul versante volgare, con tratti ormai anche ben definiti dialettologicamente (si osservi tra l'altro l'assetto fonetico complessivo e si ri- levino specialmente i dittonghi): f.64r indica 11 amuestra f.70v alicotiens 73 alquandas beces f.71r forsitam 69 alquieras f.69r sicut 50 quomodo f.69v velut 52 quomodo f.7lv quasi 83 quomodo f.7lv pariter 78 ad una f.70v talia plura conmittunt 71 tales muitos fazen f.71r subvertere 74 transtornare f.26v effusiones 5 bertiziones f.7lv pecuniam 84 ganato f.67v concessit 34 donavit f.68r intelligite 38 intellegentia abete 38 Modificazioni sintattiche: introduzione dell'articolo, tendenza alla totale esplicita- zione del soggetto: f.27v Et tertius veniens 9 elo terzero diabolo venot È particolarmente notevole l'ampia glossa all’invocazione di chiusura del Sermone di Sant'Agostino trascritto ai ff. 70r-72r, n. 89: adiubante domino nostro Ihesu Christo cui est honor et imperium cum Patre et Spiritu Sancto in secula seculorum con ajutorio. d(e) nuestro con l’aiuto di Nostro dueno. dueno (Christo). dueno Signore, Cristo Signore, Signore salbatore qual dueno Salvatore, il quale Signore get ena honore. e qual regna in onore, il quale duen(n)o tienet. ela Signore ha il mandatjone. con o potere, con il patre con o (spiritu) (sancto) Padre con lo Spirito Santo enos sieculos. de los siecu nei secoli dei secoli, los facanos (deus) omnipotes ci permetta Dio onnipotente tal serbitjio fere. ke di servirlo in modo tale che denante ela sua face davanti al suo volto gaudioso segamus. Amen radioso possiamo trovarci. Amen. 6.2 Testi antichissimi Si presenta di seguito un breve campionario di antichi testi romanzi o quantomeno - nel solo caso dell' Indovinello veronese e nelle interpretazioni più caute che ne sono state da- te - prossimi alla dimensione romanza. Escludo l’area gallo-romanza, già ben rappresen- tata nelle Glosse di Reichenau e Kassel e poi nei Giuramenti di Strasburgo, anche a causa della particolare complessità dei reperti di epoca merovingica, come la Parodia della Lex Salica’. La campionatura ha valore puramente esemplificativo circa la tipologia delle più antiche scritture volgari e il grado di ‘letterarietà’ che ad esse è attribuibile in relazione sia ai contenuti sia alle caratteristiche grafiche della trascrizione. 6.2.1 Dall'Italia Il quadro completo è in Castellani 1980, da aggiornare con l'inserimento del più antico te- sto lirico conservato, databile all'anno 1200 circa (cfr. Stussi 1999 e 1999a); tra i testi più note- voli qui esclusi si ricordino per lo meno la Formula di confessione umbra (seconda metà del sec. XI, prob. ante 1070) e la Carta pisana o Conto navale pisano, un elenco di spese sostenute per l'al- lestimento di una o più navi, prima documentazione di una certa estensione dell'uso scritto della varietà volgare destinata a fornire la base della lingua nazionale italiana. Ricostruzioni storiche dei contesti culturali e letterari e interpretazioni dell'insieme di testi e delle singole prove sono fornite da Roncaglia (1965) e, in forma più sintetica, da Meneghetti (1997: 195-233). 6.2.1.1 Indovinello veronese E la prima di due frasi (la seconda è in ottimo latino) inserite da due distinte mani co- eve e molto simili nella competenza grafica in uno spazio libero presente in un prezioso 39 codice di origine iberica (Orazionale mozarabico: Verona, Bib. Capitolare, ms. 89), portato in Italia già all’inizio del secolo VIII, all’epoca dell'invasione araba. L'intervento dei due scri- venti sull’Orazionale è stato datato recentemente alla seconda metà del sec. VIII, intorno al 780 all'incirca, e interpretato come una molto probabile prova di abilità calligrafica da parte di due diversi scribi, di pari ed elevata abilità (Petrucci-Romeo 1998); va rilvato che il livello di competenza grafica dei due scriventi presuppone una formazione specifica ac- curata e quindi un livello d'istruzione complessiva certamente elevato. Si tratta di un indovinello che cela attraverso metafore l’attività dello scrivere (con possibilità di disparati scioglimenti puntuali del minimo enigma); oggi attestato in varie forme anche a livello popolare, l'indovinello è peraltro riconducibile anche ad una specifi- ca tradizione di enigmistica latina, che riporterebbe ad ambienti piuttosto ad ambienti ‘colti’ e a tradizioni di tipo scolastico. Così come la sua classificazione culturale, l'esatta identificazione linguistica dell’Indovinello è estremamente controversa e tuttora oggetto di dibattito. Tra i tratti più notevoli, e indubbi, si segnala l'assenza di articolo. I dati essen- ziali sono in Castellani 1980 (13-30); per una puntualizzazione delle ipotesi linguistico- culturali cfr. Castellani-Pollidori 1997. + Se pareba boues alba pratalia araba & albo uersorio teneba & negro semen seminaba + Gratias tibi agimus omnipotens sempiterne deus 6.2.1.2 Iscrizione della Catacomba di Commodilla È un'iscrizione in lettere capitali, graffita su una parete della Catacomba di Commo- dilla e databile alla prima metà del sec. IX (cfr. Castellani 1980: 31-7). Si tratta di un am- monimento rivolto agli officianti, che dovevano ricordarsi di non pronunciare ad alta vo- ce le parti segrete delle orazioni (orationes secretae, da cui il plurale collettivo secrita, spie- gabile come analogico sul tipo braccia /ginocchia). A differenza dell'Indovinello veronese, l'articolo pare qui utilizzato in maniera simile all'uso moderno (ma con assetto fonetico ancora latino: ille); in secrita è utilizzata una grafia -i- per [e:], soluzione grafica arcaica o arcaizzante; sono invece tratti del romanesco antico la forma dicere e la presenza della sor- da in secrita; l'imperativo ha la forma moderna italiana con NON + infin.; è presente il rad- doppiamento fonosintattico; NON | DICE | RE IL | LE SE | CRITA | ABBOCE ossia Non dicere ille secrita a-bboce. 6.2.1.3 Placiti campani Si tratta di quattro formule di giuramento in volgare che compaiono in altrettanti do- cumenti latini degli anni 960-963, provenienti da una zona della Campania settentrionale, lungo il corso del fiume Volturno e sottoposta all'influenza dell’ Abbazia di Montecassino - da cui le designazioni correnti di Placiti cassinesi e di Placiti capuani. I documenti si inscri- vono in un disegno di consolidamento delle proprietà fondiarie e di contrapposizione alla nobiltà laica del luogo che è sviluppato in quei decenni dall'Abbazia di Montecassino, da cui dipendono le altre abbazie qui coinvolte (San Salvatore a Capua, erede del Pergolado che figura nel secondo documento, e Santa Maria di Cengla). 40 La natura dei testi, la loro collocazione geografica, la possibile relazione a livello di ambito culturale con altre testimonianze antiche - la Formula di confessione umbra, in parti- colare - ha permesso di delineare i contorni di un'Italia centro meridionale longobardo- cassinate, estesa appunto tra i ducati di Spoleto e Benevento e il principato di Capua e le- gata alle importanti fondazioni monastiche tra cui primeggia l'abbazia di Montecassino con la rete che ad essa fa capo: un’area relativamente unitaria, contrapposta all'alta fram- mentazione dell’Italia settentrionale nella quale si cominciano a delineare le diverse realtà cittadine e comunali. La dimensione monastica non è peraltro esclusiva: dietro ai giura- menti campani s'intravvede anche una tradizione scolastico-notarile, viva in centri ‘laici’ (le cancellerie dei vari principati, innanzitutto) ed alla quale va probabilmente ricondotta la cultura tecnica, ‘formale’ e quindi anche grafica, degli estensori degli atti. Per l’analisi dettagliata dei testi si veda Castellani 1980 (59-76). a) Capua, marzo 960: giudice Arechisi Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti b) Sessa, marzo 963: giudice Maraldo Sao cco kelle terre, per kelle fini que tebe monstrai, Pergoaldi foro, que ki contene, et trenta anni le possette c) Teano, 26 luglio 963: giudice Bisanzio Kella terra, per kelle fini que bobe mostrai, Sancti Marie è, et trenta anni la posset parte Sancte Marie. d) Teano, ottobre 963: giudice Bisanzio Sao cco kelle terre, per kelle fini que tebe mostrai, trenta anni le possette parte Sancte Marie. 6.2.2 Dalla Penisola Iberica. Un testo spagnolo: la “Noticia de quesos” Si tratta di una Lista di formaggi consumati nel convento di San Justo y Pastor, León (edizione in Menéndez Pidal 1950, p.24-5*). Il documento databile a poco prima dell’anno 1000, probabilmente verso il 980, ha carattere pratico e attesta un uso ormai corrente del volgare per questi scopi: lo si può accostare senz'altro al Conto navale pisano scoperto da Ignazio Baldelli, posteriore di circa un secolo (Castellani 1980: 123-48), prima attestazione scritta di una certa estensione di un volgare toscano. Nodicia de kesos que espisit frater Semeno in labore de fratres: inilo bacelare de cirka Sancte Juste, kesos .v.; inilo alio de apate, .ii. kesos; en que puseron organo, kesos .iiii.; inilo de Kastrelo, .i.; inila vinia majore; .ii. que lebaron ensosados, .ii. adila tore; que leba- ron a cegia, .ii. quando la taliaron, ila mesa, .ii.; que lebaron a Lejone .i.; [ . . . Jalio ke leba de soprino de Gomi de do... a...; .iiii. qu’ espiseron quando ilo rege venit ad Rocola; .i. qua<ndo> salbatore ibi venit. 6.2.3 Dai Grigioni Si tratta di una brevissima annotazione inserita, assieme ad altre latine di diverse ma- ni grosso modo coeve e databili al periodo tra X e XI secolo, in uno spazio bianco del ms. Würzburg, Universitàtsbibliothek, M.p.misc. f.1. Testo da Bischoff & Miller 1954: Diderros ne habe diege muscha “Diderros non ha dieci mosche” La postilla, del tutto isolata nel manoscritto che la conserva e difatti interpretata con- cordemente come una semplice prova di penna, è ovviamente per noi enigmatica; l'inter- 41 pretazione più probabile fa riferimento al detto grigionese haver mustgas de far enzatgei, cioè "Lust haben, etwas zu tun” (“aver voglia di far qualcosa”), e quindi nel nostro caso “Diderros non ha voglia di far niente, è un lazzarone”. Tra i tratti linguistici notevoli, la presenza di una forma certamente plurale sprovvista di -s morfematica. 6.3 I “Giuramenti di Strasburgo” Si tratta di una duplice formula di giuramento in lingue volgari, in romanzo e in germanico, contenuta nella Historia filii Ludovicii Pii (Storia dei figli di Ludovico il Pio), scrit- ta da Nitard (Nitardus, Nitardo), letterato e grande signore, egli stesso nipote di Carlo Magno, abate laico - ossia ‘governatore’, per così dire, e usufruttuario dei beni immobili - della grande abbazia di St. Riquier, morto in battaglia nell'844. La Historia di Nitard è con- servata da un solo manoscritto compilato tra X e XI, intorno all'anno 1000 dunque, transi- tato per l'abbazia di St. Médard a Soissons ma forse proveniente dalla stessa abbazia di St. Riquier dove presumibilmente si conservava l'originale autografo di Nitard (Paris, BNE, lat.9768). La Historia è dedicata a narrare le vicende del conflitto che oppose alla morte del padre (840) i tre figli di Ludovico il Pio: Lotario, Ludovico il Germanico e Carlo il Calvo. La guerra fu decisa dall'alleanza tra Ludovico e Carlo, che portò al trattato di Verdun (843) col quale l'Impero Carolingio venne diviso in maniera definitiva in due componenti, una occidentale - romanza - assegnata a Carlo e una orientale - germanica - assegnata a Lotario, divise lungo tutto l’asse Nord-Sud dal Mare del Nord al Mediterraneo da una sottile striscia di territorio rimasta sotto la sovranità di Lotario, la Lotaringia (regione sto- rica dell'Europa medievale, assai più estesa della moderna Lorraine/Lorena, che ne conti- nua il nome e ne costituiva il centro geografico), zona culturalmente e linguisticamente di frontiera. Passaggio essenziale verso il trattato di Verdun fu un incontro, avvenuto a Stra- sburgo il 15 febbraio 842, tra i due fratelli e i rispettivi seguiti ed eserciti, nel corso del quale vennero scambiati mutui giuramenti di fedeltà; i due sovrani giurarono ciascuno nella lingua dell'altro e quindi fedeli ed eserciti giurarono ciascuno nella propria lingua. Il fatto che il doppio giuramento romanzo sia introdotto nel testo latino che lo contie- ne dall’esplicitazione del fatto che esso venne pronunciato in «lingua romana», unitamente con la precisione assoluta nella datazione cronotopica (che conferisce al reperto un'evi- denza simbolica cui può essere comparata solo quella dei Placiti cassinesi), ha da sempre indotto gli studiosi a vedere nei Giuramenti di Strasburgo l'atto ufficiale di nascita delle lin- gue romanze. In realtà, come osserva giustamente già Avalle (1965: 428-29), essi possono essere visti, secondo prospettive diverse e ovviamente complementari, tanto come punto di partenza di autonome esperienze scrittorie romanze, tanto come un punto di arrivo «dove confluiscono esperienze eterogenee non sempre coerenti ... compiute nell’ambito dei più antichi registri linguistici intermedi fra il latino e il volgare». Ecco il passo contenente i Giuramenti (testo per le parti latine e germaniche da Avalle 1980: 35-6, per la parte romanza da Fassò-Menoni 1979-80): Ergo xvi kal. marcii Lodhuvicus et Karolus in civitate qu_ olim Argentaria vocabatur, nunc autem Strasburg vulgo dicitur, convenerunt et sacramenta qu_ subter notata sunt, Lodhuvicus romana, Karlus vero teudisca lingua, juraverunt. Ac sic, ante sacramentum, circumfusam plebem, alter teudisca, alter romana lingua, alloquuti sunt. Lodhuvicus au- tem, quia major nat, prior exorsus sic coepit: «Quotiens Lodharius [... ]» 42 Cunque Karolus haec eadem verba romana lingua perorasset, Lodhuvicus, quoniam ma- jor natu erat, prior haec deinde se servaturum testatus est: «Pro Deu amur et pro christian poblo et nostro commun saluament, d’ist di in auant, in quant Deus savir et podir me dunat, si salvarai eo cist meon fradre Karlo et in aiudha et in cadhuna cosa, si cum om per dreit son fradra salvar dift, in o quid il mi altre si fazet; et ab Ludher nul plaid numqua-m prindrai qui, meon vol cist, meon fra- dre Karlo in damno sit.» Quod cum Ludhovicus explesset, Karolus teudisca lingua sic hec eadem uerba testatus est: «In Godes minna ind in thes christiánes folches ind unser bédhéro gehaltnissi, fon thesemo dage frammordes, sò fram sò mir Got gewizci indi mahd furgibit, só hal- dih thesan minan bruodher, sósó man mit rehtû sînan bruodher scal, in thiû thaz er mig sò soma duo; indi mit Ludheren in nohheeiniu thing ne gegango, the gardah, mînan willon, imo ce scadhen werdhén.» Sacramentum autem quod utrorumque populus, quique propria lingua testatus est, ro- mana lingua sic se habet: «Si Lodhuvigs sagrament, que son fradre Karlo jurat, conservat, et Karlus, meos sendra, de suo part non lo-s tanit, si io returnar non l’int pois, ne io ne neuls cui eo returnar int pois, in nulla aiudha contra Lodhuwig nun li iv er.» Teudisca autem lingua: «[ ... J». Ed ecco la traduzione dei due soli passi in «romana lingua»: Per l’amore di Dio e per la comune salvezza del popolo cristiano e nostra, da oggi in poi, in quanto Dio mi possa dare sapere e potere, io m'impegneró a soccorrere questo mio fratello Carlo nel caso [abbia bisogno] di aiuto o di qualsiasi altra cosa, così come è giu- sto che si debba soccorrere il proprio fratello, purché egli faccia altrettanto verso di me. E con Lotario non concluderò mai nessun accordo che, me volente, possa essere di danno a questo mio fratello Carlo. Se Ludovico il giuramento, che ha prestato al proprio fratello Carlo, rispetta e Carlo, mio signore, per parte sua lo infrange (?), se io non posso farlo recedere, né io né altri che io possa distogliere da ciò, non gli sarò in ciò in nessun modo d'aiuto contro Ludovico. Trascrizione e punti problematici. Rispetto alla pura e semplice trascrizione del testo così come si legge nel manoscritto. unico, condotta con l'adozione dei segni tipografici moderni come principale tratto inno- vativo (modalità che definiamo come ‘trascrizione diplomatica’), la trascrizione interpre- tativa qui adottata, anche per ragioni di evidenza didattica, introduce una ulteriore serie di distinzioni e un certo numero di diacritici. In particolare: sono state distinte le u dalle v e, in un solo caso (26 jurat) è stato introdotto il segno j-?; in due occasioni è stato introdotto un ‘punto in alto” (14 numqua-m, 27 lo-s), a indicare un'enclisi asillabica, ossia un fenome- no di appoggio sintattico di un elemento debole - qui dei pronomi ma similmente può ac- cedere con gli articoli - ad una parola precedente terminante per vocale (fenomeno detto appunto di enclisi, cui corrisponde specularmente la proclisi come appoggio ad una pa- rola seguente), con perdita dell'elemento vocalico e quindi del valore sillabico dell’ele- mento enclitico (di qui appunto la definizione di ‘enclisi asillabica”). La trascrizione inter- pretativa comporta ovviamente delle scelte, a responsabilità di chi le opera; oltre a quello di jurat, un altro caso interessante è quello di 29 iv (< IBI, antesignano del franc. mod. y, sulla medesima linea evolutiva che porta al cast. -y di ay e all’it. vi): sulla base di conside- razioni meramente grafiche sarebbe possibile anche un’interpretazione iu come ‘grafia 43 estrema’ per il pronome soggetto “io” (con u per e/o come in 27 Karlus), ma questa possi- bilità va recisamente esclusa per ragioni di ordine sintattico ed in particolare per l'impos- sibilità che un soggetto si presenti in quella posizione, dopo un pronome con funzione di complemento (l'ordine delle parole avrebbe dovuto essere: * io nun li er). Immagine linguistica Si prescinde qui dalla questione della possibilità o meno di riconoscere alla base dei Giuramenti romanzi un particolare dialetto di area gallo-romanza: basti qui ricordare che A. Castellani ha proposto, in ripetuti interventi, d'individuare questa possibile base nel pittavino, il dialetto del Poitou, che ha tratti di transizione verso le parlate occitaniche (in particolare la conservazione di -A- latina in posizione tonica e in sillaba libera); si tratta di un'interpretazione complessiva che si fonda sull'ipotesi di una corrispondenza precisa tra aspetti di grafia e di fonia, ipotesi che è legittima, ma non necessaria. Basti dire che la di- scussione è da ritenere aperta sugli stessi presupposti metodologici. In accordo con la classificazione come ‘punto di snodo’ tra tradizioni data da Avalle, il testo dei Giuramenti presenta dati ancora contraddittori. In primo luogo non sorprende, so- prattutto dato il tipo di testo, che si avverta l'influsso di una tradizione latina di cancelleria, dalla quale sono massicciamente derivate anche le formule giuridiche che scandiscono il dettato e cui rimandano anche strutture congiuntive come 13 in 0 quid; questa impronta è avvertibile anche nell'ordine delle parole, che tende ad essere fedele al modello latino, e in aspetti conservativi come la resistenza all'introduzione di articoli (tratto che an- cora non doveva essere del tutto grammaticalizzato o di fronte al quale la lingua scritta regi- strava una speciale resistenza, come dimostra anche l'esempio, successivo di qualche decen- nio, della Cantilena di Santa Eulalia). L'impronta latina è certamente da interpretare come ri- sultato di una ben comprensibile volontà di conferire al testo del giuramento in volgare una solennità formale adatta all’occasione e che evidentemente non era associata, nella sensibili- tà del tempo, alla ‘semplice’ e ‘piana’ espressione in «lingua romana». È assai probabile che anche l'assetto grafico sia debitore a tradizioni ortografiche pre-caroline, ossia relative a la- tino ‘scorretto’, proprie della cancelleria merovingica. Così, per esempio, ricorrenti grafie i là dove ci aspetterebbe decisamente una e, sia a rappresentare un'avvenuta evoluzione (più volte in < IN, 28 int < INDE), sia, soprattutto là dove la e è etimologica (14 prindrai), sebbene in altre occorrenze la grafia potrebbe mascherare un dittongamento (11 savir < SAPERE, podir < POTERE, 13 dift < DEBET). Il mantenimento stabile di -a- è stato interpretato anche come fattore tipizzante a livello dialettologico oltre che come possibile risultato della medesima spinta conservatrice. È anche notevole la conservazione di alcune vocali di uscita ‘in forma latina’, con -0 e non con -e: 10 poblo, nostro, 12 Karlo, ma anche 27 Karlus. Si tratta tuttavia di una patina grafica piuttosto che linguistica, che non assume affat- to aspetti ‘di sistema’ ed alla quale non pare possano essere attribuite speciali intenziona- lità formali-espressive, come invece nel caso dell'assetto morfo-sintattico: si può pensare che l'adozione di una serie di convenzioni ortografiche derivanti da una specifica tradi- zione scritta ‘non riformata’ influenzi la messa per iscritto delle forme volgari. Tuttavia, in altri aspetti anche dell'assetto grafico scorgiamo invece indubitabili tratti omogenei di una cultura grafica e, attraverso questo filtro, di una lingua ormai decisamente gallo-ro- manza: cfr. per es. 13 dreit < DIRECTUM, 13 fradra, 26 fradre < FRATREM, la forma 14 neuls < 44 NEC-ULLUS; la caduta delle vocali di uscita in 10 amur <AMOREM, christian < CHRISTIANUM, commun salvament < COMMUNEM SALVAMENTUM. Esempi molto chiari di avvenute lenizioni sono in 10 poblo < POPULUM, 11 savir < SAPERE, 26 sagrament < SACRAMENTUM, nonché in 12 aiudha ... cadhuna (gruppi grafici simili, con -dh-, s'incontrano nel manoscritto più antico della Vie de saint Alexis, ca. 1120). L'evoluzione fonetica ha profondamente modificato la base lat. SENIOR, portando a 27 sendra. La morfologia nominale mostra bene il sistema bi- casuale gallo-romanzo, con forme distinte per le funzioni di soggetto e di complemento: in particolare si rilevano forme di soggetto singolare con -s desinenziale (11 Deus, 26 Lod- huvigs, 27 Karlus, 27 meos, 28 neuls), contrapposte ad altre senza -s, e pronomi soggetto co- me 13 il e 14 qui. I nuovi futuri organici, derivati dalla grammaticalizzazione della peri- frasi con l'indicativo del verbo HABERE, compaiono in 11 salvarai e 14 prindrai (mentre l'an- tico futuro organico latino è conservato ancora nel verbo ‘essere’, cfr. 29 er < ERO: la 3a pers. er/ert compare ancora nella Vie de Saint Alexis all’inizio del sec. XII). Da rilevare infi- ne quanto ai segni veri e propri l'introduzione della -z- in 13 fazet. Un ulteriore commento su uno di questi fenomeni, ossia le oscillazioni nella rappre- sentazione delle vocali di uscita “di appoggio”, ossia quelle che compaiono dopo un nesso di muta+liquida: sembra si possa concludere che le diverse soluzioni (o, u, a, e) non deb- bano essere intese come immagini di pronuncie divergenti, ma che al contrario proprio nell'incoerenza facciano intravvedere il passaggio alla soluzione poi tipica delle parlate oitaniche, quella con ‘e centrale’, /c/. Le grafie con -a finale ricompaiono nel manoscritto. più antico della Vie de saint Alexis (ca. 1120): es. estra, pedra, medra. Un commento cautelati- vo e problematico è richiesto anche da 12 cosa < CAUSA: la grafia attesta l'avvenuta ridu- zione del dittongo -AU- a -0-, ma non l'intacco della velare iniziale, tipico della lingua d'oïl, con l'eccezione delle aree normanna e piccarda, che sono peraltro escluse quali pos- sibili ‘basi dialettali’ della lingua dei Giuramenti dall'assenza di altri tratti notevoli, e an- che della fascia settentrionale del dominio d'oc; è possibile e anzi verosimile che si debba supporre la pronuncia affricata [-] anche sotto la grafia qui utilizzata. 6.4 Bilancio Le formule di giuramento, sia quella di Strasburgo sia quelle capuano-cassinesi han- no una propria autonomia e sono fornite di caratteri funzionali/formali precisi, ma è al- tresì evidente che esse sono legate a condizioni peculiari, dalle quali dipendono anzi in maniera determinante: senza la presenza dei due testi-contenitore latini, la cronaca di Ni- tard e i documenti dei notai, le due formule non possono esistere, così come senza la si- tuazione performativa concreta nella quale videro la luce ed alla quale -sono indissolubil- mente legate (si tratta difatti di testi che rientrano nella seconda categoria proposta da Meneghetti 1997, quelli appunto testimoniali: cfr. più sopra cap. 4). Siamo ben lontani dal- l'aver a che fare con testi che si configurino come entità coerenti, formalmente e funzio- nalmente indipendenti, i quali abbiano, insomma, tutta una serie di caratteristiche che as- sociamo oggi abitualmente alla stessa idea più generale di ‘testo’. Il processo che si sviluppa tra le prime attestazioni romanze e l'affermazione di tradi- zioni scrittorie vere e proprie, finalizzate alla conservazione di testi indipendenti, ai quali è riconosciuta quella specifica rilevanza che ne giustifica appunto la trascrizione, si co- struisce intorno ai due parametri ora indicati, che sono anche condizioni essenziali: la for- 45 malità dell'impianto e la sua stretta funzionalità rispetto a finalità espressive complesse. Nell’assetto testuale dei componimenti, anche come ci sono tramandati dai manoscritti del tempo, ciò corrisponde tra l’altro al conseguimento di una finitezza o compiutezza, ossia alla presenza di un inizio e di una fine: inizio e fine che debbono essere costruiti in- ternamente al componimento, dunque nell'assetto testuale come esordio e conslusione, ma anche, esternamente, nei testimoni, in un adeguato apparato para-testuale che indivi- dui graficamente l’unità testuale (iniziali, intitolazioni, ecc.). 7. Le origini delle letterature romanze I testi presentati nelle pagine precedenti costituiscono solo - e in ogni modo in manie- ra imperfetta e incompleta - le lontane premesse delle letterature romanze medievali; si tratta difatti dei primi passi di tradizioni scrittorie che dimostrano tangibilmente il distac- co avvenuto dal latino. Un percorso assai lungo separa queste prime prove dalle vere e proprie letterature romanze del Medioevo. Due tappe lo scandiscono: - la prima, fino all'anno 1000 circa, fatta ancora di apparizioni abbastanza isolate; è una fa- se di genesi remota; - la seconda, che si sviluppa sull'arco del sec. XI per l’area gallo-romanza e dei secoli XI e XII per quella iberica e italiana, durante la quale: a) nell’area gallo-romanza le documen- tazioni testuali di carattere letterario s'infittiscono e raggiungono anche un grado note- volissimo di compiutezza formale, giungendo ad annoverare testi letterari di primo li- vello (una lista analitica è nel cap. 7); b) in Iberia e in Italia a fronte di documentazioni ancora molto scarse, si cominciano a delineare le condizioni e le premesse concrete per lo sviluppo di una produzione letteraria autonoma, cosa che accadrà dalla fine del sec. XII e poi nel XIII. L'insieme dei testi gallo-romanzi è, ripeto, di assoluta rilevanza. Ciò detto, si tratta pur sempre di presenze in qualche misura insufficienti; essi difatti si concentrano in generi d'i- spirazione religiosa (soprattutto innologia e agiografie, ossia testi destinati ad essere cantati in occasione di alcune ricorrenze e in rapporto con pratiche devozionali e di preghiera), mentre mancano completamente - con l’unica eccezione di un minuscolo, occasionale fram- mento lirico - i generi profani ai quali è peraltro associata l’immagine sintetica delle lettera- ture romanze medievali: la lirica amorosa (di cui Banniard ha segnalato l’eclisse nei secoli cristiani del Tardo Antico e dell’ Alto Medioevo"), le canzoni di gesta, i romanzi d’avventure (lasciando di lato tipologie testuali come ad esempio quella, pur rilevantissima, della didat- tica profana, bisognose per svilupparsi di ambienti letterari già minimamente formati). Ep- pure questi generi - la lirica, le canzoni di gesta, anche il romanzo, con un primo sperimen- tale esempio relativo ad Alessandro Magno - appaiono quasi di colpo, ma perfettamente ‘formati’ - per lingua, stile, forme metriche, strutture testuali complessive nei rispettivi ge- neri - negli anni a cavallo tra XI e XII secolo, per semplicità diciamo intorno all'anno 1100; di qualche decennio anteriori sono alcuni testi religiosi, di carattere agiografico, strettamente connessi per alcuni tratti formali rilevanti (strutture metriche, versificazione, retorica) alle forme narrative romanze e grosso modo negli stessi anni compaiono alcuni testi lirici reli- giosi che appaiono quasi come un contraltare della lirica cortese amorosa profana. 46 Da dove vengono i testi profani? Qual è il loro rapporto con i poemetti agiografici? Su questi interrogativi si è aperto il dibattito circa le origini delle letterature romanze. Pri- ma di richiamarne i termini è opportuno ricordare alcuni dati ‘di contesto”. Innanzitutto in altre aree, anche vicine e addirittura in condizione di contatto con quelle romanze, esistevano all’epoca tradizioni anche relativamente consolidate e quanti- tativamente rilevanti di composizione e di trascrizione di testi: testi anglossassoni in In- ghilterra, antico-tedeschi in Germania, nordici nella Penisola Scandinava. La tradizione scritta delle lingue germaniche risaliva alla traduzione della Bibbia da parte del vescovo ariano Ulfila, nel sec. IV d.C. e appare particolarmente consistente nell'Inghilterra anglo- sassone (Beda, Alfredo il Grande). È stata poi individuata, entro la Romània e nei vicini territori tedeschi, una serie di tracce che potremmo designare come ‘indirette’ in alcuni testi latini dei secoli X-XI e poi anche del XII, i quali paiono echeggiare temi e forme peculiari della letteratura romanza. Queste presenze sono state interpretate appunto quali impronte lasciate da testi volgari, romanzi e germanici, poi svaniti. Si tratta di materiali abbastanza diversificati tra i quali se ne segnalano alcuni anche come rappresentanti delle diverse tipologie. La Nota Emilianensis (da non confondere con le Glosse Emilianensi) è poco più che un appunto rinvenuto in un manoscritto castigliano proveniente dal monastero di San Millán (oggi Madrid, Acad. de la Historia, ms. Emilianense 39, f.245), nel quale uno scrivente, vero- similmente un monaco, della seconda metà del sec. XI, probabilmente verso il 1070, riporta lo schema narrativo di un racconto di carattere epico relativo ad una spedizione in Spagna da parte di Carlo Magno, conclusa con una battaglia al Passo di Roncisvalle nella quale muore l'eroe Rolando (Rodlane), che corrisponde bene all'assetto generale della Chanson de Roland francese, di cui si conserva una redazione attribuibile agli anni 1090 circa. Nell'elen- co di personaggi che attorniano Carlo Magno compaiono, accanto ai protagonisti del Roland (Rolando, appunto, Olivieri e il vescovo Turpino), anche personaggi che non figurano affat- to nella Chanson francese conservata e che sono invece protagonisti di altre canzoni o d'inte- ri cicli di canzoni (Uggieri e soprattutto Guglielmo ‘dal naso curvo” o ‘dal naso corto’ o ‘dal naso mozzo’). Data la posizione del mostarero di San Millán, è estremamente probabile una connessione diretta con la storia o leggenda appuntata dal monaco - avesse o meno forma di vero e proprio poema epico, come appare peraltro del tutto verosimile, anche data l’epo- ca - e il Cammino di Santiago, ossia la via di pellegrinaggio che allora come oggi conduceva al Santuario di San Giacomo nella città galega e lungo il quale i giullari, nei luoghi di sosta o tappa, si fermavano nella speranza di trovare pubblico per i propri canti. In era DCCCXVI venit Carlus rex ad Cesaraugusta. In his diebus habuit duodecim nep- tis, unusquisque habebat tria milia equitum cum loricis suis. Nomina ex his: Rodlane, Bertlane, Oggero Spata Curta, Ghigelmo Alcorbitanas, Olibero & episcopo domini Torpi- ni. Et unusquisque singulos menses serbiebat ad regem cum scolicis suis. Contigit ut re- gem cum suis ostis pausabit in Cesaraugusta. Post aliquantulum temporis, suis dede- runt consilio ut munera acciperet multa ne affamis periret exercitum, sed ad propriam rediret. Quod factum est. Deinde placuit ad regem pro salutem hominum exercituum ut Rodlane belligerator fortis cum suis posterum veniret. At ubi exercitum Portum de Sice- ra transiret, in Rozaballes a gentibus sarrazenorum fuit Rodlane occiso. “Nell'anno 816 dell'Era [cioè nel 778] il re Carlo si spinse a Saragozza. In quei tempi ave- va dodici nipoti, ciascuno di loro aveva sotto di sé tremila cavalieri con armatura pesan- 47 te. I loro nomi erano: Rolando, Bertoldo (?), Uggeri 'Spada-Corta”, Guglielmo ‘Naso- adunco”, Oliviero e il signor vescovo Turpino. E si alternavano di mese in mese nel servi- zio del re, ciascuno con i propri domestici. Accadde che il re con il suo esercito si soffer- mò in Saragozza. Dopo un certo tempo i suoi gli consigliarono di accettare un tributo af- finché l’esercito potesse scampare il rischio di morire di fame e potesse fare ritorno alla propria dimora. Così fu deciso e fatto. Stabilì allora il re che per la salvaguardia della parte maggiore dell'esercito il prode guerriero Rolando costituisse con i suoi una retro- guardia. E mentre l’esercito attraversava (i Pirenei) al valico di Sicera, in Roncisvalle Ro- lando fu ucciso dagli arabi. Il “Frammento dell'Aia” (cfr. anche cap. 2.3) è il frutto di un esercizio scolastico, con- sistente nella prosificazione, in tre sezioni successive dovute ciascuna a un diverso scola- ro, di una porzione di un poema epico latino in esametri - ancora riconoscibili sotto la su- perficiale revisione in prosa - che descrive l'assedio e l'assalto a una città fortificata, se- condo modalità molto simili a quelle dell’epica francese (il testo è pubblicato da Riquer 1957: 134-8). Il Frammento dell'Aia (Den Haag, Konjigl. Bibl., 921), che ha le dimensioni ti- piche del materiale di scuola, ossia quelle di un quaderno piccolo (198 x 150 mm) è data- bile all’inizio del sec. XI e assegnabile su basi paleografiche alla Francia settentrionale. Es- so lascia intravvedere una fase molto antica di ‘messa in forma’ di temi epici medievali, d'impronta complessivamente volgare, ma attraverso la mediazione del latino; è cioè del tutto indebito vedere ‘dietro’ il Frammento un completo poema volgare d'impianto e di- mensioni comparabili. A queste testimonianze di area romanza se ne possono accostare due di area tedesca, rappresentate da due ampi poemi latini qui già ricordati, il Waltharius e il Ruodlieb, ri- spettivamente del sec. X e del sec. XI, entrambi di origine monastica e corrispondenti, grosso modo, il primo a una rielaborazione di temi che compaiono nell'antico frammento di Hildebrandslied e successivamente nel Nibelungslied conservato (inizio sec. XIII), il secon- do a un abbozzo di poema epico-cavalleresco nel quale si comincia a intravvedere una certa impronta cortese. Varie liriche latine dall'XI secolo in poi dimostrano la progressiva affermazione di una vena amorosa, sostanzialmente diversa dall'antica lirica erotica classica e però com- parabile solo parzialmente anche con la lirica cortese romanza che si afferma a partire dal sec. XII. Tra le testimonianze più significative si segnalano per lo meno: -i Carmina cantabrigensia (Strecker 1926), che di nuovo riportano ad un’area germanica e che contengono due dei componimenti più celebri e indubbiamente di grande elegan- za, lam dulcis amica venito, un invito a un incontro, e Levis exsurgit zephyrus, canto d'amo- re aperto da un esordio primaverile; -i Carmina dell’ “Anonimo innamorato” di Ripoll (Moralejo 1986), uno sconosciuto mo- naco probabilmente di origine francese e probabilmente legato alla Lorena, il quale verso la metà del sec. XII inserì in un manoscritto dell'abbazia catalana di Ripoll una collezione di poesie amorose latine. Riscontri interessanti per quanto si manifesta nello stesso perio- do in campo romanzo sono offerti dai riferimenti alla canzone da ballo presenti nel carme 17 (si tratta forse di un ulteriore tratto lorenese: è dall'Est della Francia che giungono, al- l’inizio del XIII secolo, le prime attestazioni di testi concepiti per accompagnare la danza) e dall’affacciarsi di forme riconducibili al genere del poema epistolare (carmi 6, 13, 20). In seguito, nel corso del XII secolo, si delinea un'ulteriore corrente di produzione me- 48 diolatina che si dimostra dipendente per temi e per forme dalla letteratura profana ro- manza del tempo: si ricordino almeno il poemetto noto come Concilio di Remiremont (un dibattito ambientato in un monastero femminile sulle superiori qualità in amore di chieri- ci e cavalieri), il trattato De Amore di Andrea Cappellano, le varie riscritture in latino di opere volgari già segnalate nel cap. 1.2.4. In altri testi, come nella Disciplina clericalis, rac- colta di exempla dello spagnolo Petrus Alfonsi, un ebreo convertito, si possono scorgere gli antecedenti diretti di generi romanzi - in questo caso i primi abbozzi di racconto e novella - a quell'epoca ancora in gestazione. A queste testimonianze di carattere letterario se ne aggiungono altre iconografiche. Ne segnalo due italiane, di specialissima rilevanza sia per l'epoca sia per le opere cui si rife- riscono. A Verona, una delle statue che decorano il portale centrale della chiesa di San Zeno, del 1160 ca., raffigura Roland (Orlando), in armatura e con la propria spada «Durindarda»: attestazione precoce della fortuna della leggenda rolandiana in una regione dalla quale giungono, circa un secolo dopo, due importanti rimaneggiamenti in franco-veneto della chanson antica, uno dei quali molto vicino al testo anglonormanno di Oxford. Ancora più notevole, quasi inquietante, è la seconda raffigurazione. Sull'archivolto del portale laterale settentrionale del duomo di Modena, databile agli anni 1120-1130 e opera del grande Wili- gelmo sono raffigurati alcuni personaggi della leggenda arturiana: Arturo e Galvano (Gal- vaginus) si dirigono verso un castello nel quale è rinchiusa Ginevra (?: Guindolee), nucleo tematico che può corrispondere a quello della ricerca di Ginevra, rapita da uno sconosciuto e portata in un mondo irreale che sembra il regno dei morti, da parte di Lancillotto nello Chevalier de la charrete di Chrétien de Troyes (ca. 1170). È chiaro che col bassorilievo di Mode- na siamo molto prima di Chrétien, ma siamo anche prima della più antica formalizzazione letteraria, in latino, della leggenda arturiana, la Historia regum Britanniae di Goffredo di Montmouth; e del resto le anomalie grafiche nell’onomastica sono di per sé eloquenti. Allo- ra: siamo a Modena, lungo la via Emilia e dunque tappa importante lungo la strada fonda- mentale che conduce dalla Francia - ma si dovrebbe dire dall'Inghilterra - verso Roma e i domini normanni di recente acquisizione nell'Italia del Sud, che tra l’altro racchiudono una delle più importanti mete di pellegrinaggio medievali, il santuario di San Michele al Garga- no; a Modena, nel momento del rifacimento del Duomo da parte di uno dei più significativi artisti del tempo, si decise, per iniziativa e da parte di chi non sappiamo, di inserire come elemento decorativo emblematico un momento di una leggenda ‘esotica’ ma di carattere ta- le da godere, presumibilmente, il favore dei fedeli - suo pubblico primario - e d'incontrare l'accettazione della committenza; il tutto prima che nelle regioni di origine della leggenda stessa si pensasse a una sua ‘messa in forma”. L'archivolto di Modena è una dimostrazione eccezionale dell’esistenza a quel momento - e da quanto? e per quanto tempo ancora? - di vie lungo le quali si diffondevano in Occidente medievale leggende e ‘storie’, tra la quali ve- diamo comparire anche alcuni dei capitoli fondanti della letteratura medievale. 7.1 Ipotesi a confronto sul tema delle Origini delle letterature romanze Sulla base delle condizioni dei secoli IX-XI e tenendo conto delle tracce sopra elenca- te e delle forme dei testi conservati a partire dal sec. XI e poi soprattutto dal sec. XII sono stati formulati due schemi generali di interpretazione delle genesi delle letterature roman- ze. In estrema sintesi e accentuando in qualche modo ad arte gli aspetti di contrasto tra le 49 due ipotesi contrapposte, che ammettono in realtà ampi margini di mediazione, si sono individuati i seguenti modelli di ‘Origini’ letterarie romanze: - il primo dotto e religioso, con riferimento agli ambienti scolastici e monastici e attribu- zione di valore ‘formativo’ alle prove di letteratura religiosa conservata per i sec. X-XI, elaborate a partire anche da modelli latini e poi utilizzate a loro volta come modelli e punti di riferimento per componimenti profani; - il secondo invece popolare, del tutto opposto al primo, del quale ribalta cronologia e rapporti; esalta la funzione della tradizione popolare - dunque della memoria e dell'ora- lità performativa - come veicolo di trasmissione dei componimenti. La prima ipotesi è decisamente ‘letteraria’, in quanto fa riferimento ad un duplice, strutturale intervento della tradizione colta e per l'appunto scritta, cui è associata la fun- zione di modello attivo e ‘formante’ sia della composizione in lingua volgare in ambienti colti, centri attivi di produzione della letteratura mediolatina dell’epoca, sia della stessa trasmissione dei testi, variamente irradiatisi dai luoghi di composizione con i quali man- tengono sempre un qualche contatto. La seconda ipotesi è invece assai poco ‘letteraria’ in quanto tende a svincolare la fase di genesi dalla componente colta, letteraria appunto e scritta, la quale interverrebbe ap- punto solo nelle fasi finali e avrebbe così funzione relativamente poco rilevante, quanto- meno non decisiva - almeno sul piano dell'ipotesi culturale complessiva - e comportereb- be, proprio attraverso la ‘messa in forma’ attraverso una mediazione con il livello lettera- rio ‘alto’ un certo grado almeno potenziale di ‘distorsione’ della tradizione ‘pre-letteraria’ volgare. Questa ipotesi, d'impianto chiaramente romantico e tesa a riconoscere nelle più antiche tradizioni testuali l'impronta delle nazioni nascenti, fa riferimento a realtà tradi- zionali e folkloriche proprie della dimensione popolare. Senza addentrarci in un'analisi specifica delle due tesi qui schematicamente presen- tate, si può tentare una mediazione pratica su più piani: - va da sé che la gente del Medioevo - e dell’Antichità, non dimentichiamolo - ha raccon- tato, cantato, ballato; lo ha fatto con - o attraverso l’accompagnamento di, nel caso del ballo - testi, in molti casi provvisti di una almeno rudimentale o minimale struttura me- trica, il cui contenuto può essere facilmente immaginato: amore, imprese, eventi, ecc.; circa contenuti esatti e forme testuali è lecito dire molto poco e non è affatto detto che le apparizioni successive di forme di livello ‘basso’ non riflettano appunto una ‘messa in forma” attraverso il contatto con un livello cosciente e formale di composizione “alta”; d'altra parte la presenza di un ‘fondo tematico’ di tipo ‘tradizionale’, se vogliamo ‘popo- lare’ - avendo ben chiaro che non si tratta assolutamente di una dimensione circoscritta alle sole classi inferiori - deve essere data per scontata; -i testi conservati hanno un'indubbia componente ‘letteraria’ in senso proprio, che non può essere considerata come il risultato di una ‘messa in forma” finale a partire dalla quale sia lecito estrapolare forme testuali originarie a minore o nullo contenuto di lette- rarieta; si tratta invece di strutture complesse e fortemente coese; - il confine tra dotto e colto e tradizionale e popolare, cioè anche tra scritto e orale, è artifi- cioso; le due realtà sono a contatto, la stessa ragion d'essere di tipologie testuali conserva- te da epoca abbastanza precoce, come l’agiografia e le liriche religiose legate a particolari ricorrenze dimostrano il contatto reale tra le due dimensioni anche a livello performativo; 50 - proprio per questo non si può escludere che soprattutto nella fase più antica anche i testi volgari di carattere più ‘colto’ e d'impronta più coscientemente letteraria non dipendano in certa misura da influenze e mediazioni rispetto alla tradizione volgare nascente, ma non ancora apparsa a livello di piena manifestazione; - per converso, il carattere formale, talora estremamente curato, ‘finito’ e al tempo stesso fortemente innovativo che riconosciamo in molti testi romanzi della fase di apparizione delle letterature volgari, soprattutto in area gallo-romanza, fa pensare che l'aspetto for- male, nel senso più lato - forma dell'espressione e forma del contenuto, applicando una distinzione basilare introdotta da Hjelmslev -, sia decisivo appunto per l'apparizione; i volgari giungono a conquistare uno spazio entro una generale distribuzione della cultu- ra nel mondo medievale, dunque riescono a costituirsi in tradizione letteraria in senso proprio e quindi anche a guadagnarsi con relativa stabilità uno spazio nella documenta- zione scritta, nel momento in cui ad essi sono applicate soluzioni formali che li rendono nella valutazione e dunque nella coscienza del tempo degni di questo statuto. Il processo di apparizione delle letterature romanze medievali è quindi soprattutto un processo di definizione formale, che, ripeto, va seguito su entrambi i piani dell'espressione (metrica, versificazione, figure, ecc.) e dei contenuti (valori, sensibilità, miti, tipi umani, ecc.), del resto strettamente interlacciati tra loro nei concreti risultati testuali. Su questo piano, ac- cettato e dato in qualche modo per scontato il debito costitutivo ed anche formale con la tradizione latina, antica e medievale (alcuni argomenti, immagini, similitudini), una se- rie di aspetti determinanti di carattere ancora formale (stile, metrica, lessico) appare co- me di tipo nettamente ‘romanzo’. Consegue a tutto ciò che i testi letterari romanzi delle origini e in generale le nostre letterature romanze sono comunque, in ogni caso, un prodotto di mediazione, nel quale si presenteranno di volta in volta più o meno accentuati i caratteri ‘tradizionali’ di fondo, sottoposti a una mediazione inferiore o maggiore con la tradizione di scrittura che ne mo- della la configurazione testuale. 8. I più antichi testi letterari romanzi 8.1 Inventario dei testi Quello che segue è il catalogo completo delle opere letterarie romanze pervenute anteriori al XII secolo. A. IN LINGUA D'OÏL 1. Sequenza di Sant' Eulalia, ca. anno 880, 29 versi disposti in 14 periodi di 2 versi ciascu- no, con l’ultimo irrelato, in struttura di sequenza; marcati elementi dialettali valloni, con alcuni tratti forse piccardi e altri franciani (o della Champagne); ms. coevo, dal monastero di St. Amand, presso Valenciennes. 1bis. Sermone su Giona, testo latino-francese, con le due lingue alternate; X secolo. Dalla medesima regione dell'Eulalia, forse proprio da un ambiente vicino al monastero di St. Amand. 51 10. Vie de Saint Léger (X secolo), 240 octosyllabes in strofe di 6 vv. assonanzati; testo vallone, trascritto nel Poitou e conservato in un ms. dell'XI secolo, forse proveniente dal mona- stero di St. Maixent, presso Poitiers (ora a Clermont-Ferrand, Bib. Municipale, 240) Passion (X secolo), 516 octosyllabes in strofe di 4 vv. assonanzati a due a due; testo probabilmente pittavino, trascritto nel Poitou; stesso ms. del St. Léger. Testo noto co- me Passione di Clermont dal luogo di attuale conservazione. Alba religiosa bilingue o Alba di Fleury, strofa in latino seguita da refrain in volgare (lin- gua difficilmente decifrabile, forse refrain in latino ‘volgarizzato’); copiata nel X seco- lo nel monastero di Fleury-sur-Loire nel ms. oggi Reg.Lat. 1462 della Biblioteca Apo- stolica Vaticana. Sponsus (XI secolo), dramma religioso bilingue; strofe di décasyllabes con refrain; dialetto del Sud-Ovest, ms. dell'XI secolo, dall'abbazia di S. Marziale a Limoges. Canzone mariana bilingue In hoc anni circulo (XI secolo); 19 strofe di 3 eptasillabi mo- norimi ciascuna, seguite da refrain latino (11 strofe su 19 sono in volgare); origine e ms. come n.7. Versus Sanctae Mariae (XI secolo), preghiera alla Vergine; 12 strofe di 4 ésasyllabes; origine e ms. come n.6. Tropo dell'Assunzione, Quant li solleiz converset en Leon (XI secolo), 24 strofe di 3 ver- si (2 dodecasillabi + 1 tetrasillabo); regione del Sud-Ovest (Poitou-Turenna). Vie de Saint Alexis (XI secolo, forse, ma senza sicurezze, ca. 1040: la lingua è comun- que antica e corrisponde a uno stadio anteriore, seppur di poco, a quella utilizzata nella Chanson de Roland), in strofe di 5 décasyllabes ‘epici’ legati da assonanza (alcu- ne redazioni presentano rimaneggiamenti in lasse assonanzate o rimate); testo origi- nale della Francia settentrionale, revisionato e ristrutturato in area normanna, forse nel monastero di Le Bec. Gli assetti testuali sono variabili ed è possibile che si siano verificate sovrapposizioni (tecnicamente: ‘contaminazioni’) tra versioni concorrenti, ma non identiche già a monte delle più antiche copie conservate: nella redazione del manoscritto più antico il poemetto conta 625 versi. La tradizione manoscritta com- prende inoltre alcuni veri e propri rifacimenti: versione primitiva, in strofe di décasyllabes, conservata da 5 manoscritti ms.L ante 1123 anglonormanno (Saint Alban's Psalter) V sec.XII continentale, prob. dell'Est A sec.XII anglonormanno P? sec.XIII anglonormanno PI sec.XIH ex. anglonormanno versione in lasse assonanzate ms.S sec.XIITex. piccardo versione in lasse rimate ms. MA sec.XIII piccardo-vallone MP sec.XIII ex. franciano Vie de Sainte Catherine, fine XI (inizi XII), ma forse meglio ca. 1040-1050; décasyllabes- alessandrini; proveniente da Rouen, ms. anglonormanno del sec. XIII (P2 del Saint Alexis); poema riscritto dalla monaca inglese Clemence de Barking nel XII secolo. 52 B. IN LINGUA D'OC 11. 12. 13. 14. 15. 16. Due frammenti versificati con forti elementi volgari (riconducibili alla Gallia meri- dionale) inseriti nel margine di un manoscritto del secolo IX/X da una mano asse- gnabile alla metà o alla seconda metà del secolo X; codice di Clermont-Ferrand; Frammento di 6 versi appartenente forse ad un poema sulla Passione o pià probabil- mente ad una “profezia della Sibilla”, con notazione musicale per il canto; prove- nienza forse piccardo-vallone; ms. del X secolo. Boeci (XI secolo), frammento iniziale di 255 versi di un poemetto didattico sulla vita del filosofo tardo-romano Severino Boezio, vissuto nel secolo VI e autore del trattato De consolatione Philosophiae, fatto giustiziare dal re ostrogoto Teodorico e per questo interpretato dalla tradizione medievale come martire cristiano; testo in lasse brevi di décasyllabes rimati, concepito per il canto individuale. Originale in limosino, tra- scritto nell'abbazia di Saint-Martial a Limoges entro il secolo XI. Due strofe di testi lirici amorosi, con notazione musicale neumatica, rinvenute da Bernard Bischoff in un manoscritto di Terenzio di poco più antico (sec. XI in.) e pro- veniente dalla regione del Reno (London, British Library, Harleianus 2750); come spesso accade nel Medioevo, uno spazio bianco del codice, il margine superiore di uno dei fogli di guardia, è stato utilizzato da una mano tedesca, molto probabilmen- te renana, della fine dell’ XI secolo, per inserire questa prima folgorante apparizione della lirica romanza (la discrepanza linguistica di base è essenziale: il copista annota il testo ‘estraneo’ - linguisticamente, tematicamente - che l’ha colpito). Si dà il testo della prima strofa, che presenta forti tratti francesi di superficie, probabilmente do- vuti almeno in parte al processo di diffusione /trasmissione: Las, qui non sun sparvir astur, qui podis a li vorer, la sintil imbracher, se buch schi duls baser, dussirie repasar tu dulur. Inni latini con inserti in occitanico (limosino), tra cui spicca quello In hoc anni circulo, conservati nel ms. Paris, BNF, lat. 1139, della seconda metà del sec. XI e proveniente dall’abbazia di Saint-Martial a Limoges. Chanson de Sainte Foi (seconda metà del secolo XI, forse ca. 1060); testo di 593 octosyl- labes ottosillabi in lasse, destinato al canto (sia individuale che in coro e per accom- pagnare una danza); testo della regione occitanica al limite meridionale del Massic- cio Centrale, probabilmente dal Rouergue, ma forse con radici più meridionali, ai margini del dominio catalano, copiato agli inizi del XII in un ms. proveniente dal- l'abbazia di Fleury-sur-Loire. C. IN FRANCOPROVENZALE 17. frammento di un Roman d'Alexandre ossia di una traduzione dal poema latino di Curtius Rufus, ad opera di un Albéric de Pisancon; 105 octosyllabes in 15 lasse di misura abbastanza costante, 6-8 versi ciascuna, in un solo caso 10, legate per lo più da rima, in tre casi (2, 5 e 6) da assonanza. 53 D. IN 18. 8.2 D MOZARABO khargiRs (o, in altre traslitterazioni, kharjRs, Àar_Rt), refrains romanzi, probabilmente mozarabi, tuttavia di incerta decifrazione, inseriti in canzoni arabe o ebraiche appar- tenenti al genere delle muwa__ahat composte in Andalusia; XI-XII secolo. La mu- wa__aha si articola normalmente in un corpo in arabo classico, che prevede l'inser- zione strutturale in ogni strofa di clasuole di chiusura, quindi assimilabili ai nostri ritornelli o refrains in arabo volgare, ossia nella lingua corrente; in un certo numero di muwa__ahat di origine andalusa composte sia da poeti arabi - in arabo - che da poeti ebraici - in ebraico - in luogo della clausola in arabo volgare se ne incontra una appunto nel volgare romanzo della regione, ossia appunto in mozarabo. La decifra- zione innanzitutto linguistica, prima ancora dell'interpretazione, è resa difficoltosa dalla trascrizione che non indica le vocali, le quali erano supplite mentalmente dal lettore e devono essere reintegrate dagli studiosi moderni attraverso molteplici diffi- coltà e con risultati talora incerti. efinizioni strofa: unità metrica costituita di un numero fisso di versi (al minimo due nel distico), monometrici o polimetrici; in campo romanzo, la strofa è caratteristica della poesia lirica, dove compare soprattutto - ma non solo - in realizzazioni complesse, desti- nate sempre in origine ad essere accompagnate dal canto (da cui appunto il nome di lirica), secondo una melodia ripetuta di norma di strofa in strofa con l’eccezio- ne, di nuovo, di forme particolari i discordi (prov. descort, fr. lai/descort), costruiti su articolazioni più libere, non strofiche; ma forme minime e standardizzate di strofa, in particolare il couplet d’octosyllabes (distico di ottosillabi) nella letteratu- ra francese e la quartina di alessandrini in varie tradizioni nazionali (francese, spagnola, anche italiana) vennero largamente utilizzate per la letteratura in versi d'argomento narrativo e didattico; così poi l'ottava di endecasillabi nella narrativa italiana in versi dalla metà del Trecento in poi. lassa: unità metrica costituita da un numero variabile, comunque non fisso di versi, rigo- rima: rosamente monometrici (è tutt'al più possibile, in alcune realizzazioni, la presenza di un verso finale di lassa di misura diversa dagli altri, con funzione appunto di chiusura). Forma tipica della letteratura medievale gallo-romanza e specificamente delle canzoni epiche (chansons de geste) e di alcune canzoni agiografiche (per es. il Boeci e la Santa Fede occitanici), essa venne utilizzata anche in ambito iberico (nel Cantar de Mio Cid, sicuramente per un almeno generico influsso francese) e antico italiano (Ritmo laurenziano e poemetti didattici di Uguccione da Lodi). Metri tipici delle canzoni gallo-romanze in lasse sono il décasyllabe (equivalente grosso modo nella prosodia ad un endecasillabo italiano) e l’alessandrino. due versi rimano fra loro quando vi sia identità perfetta, sia nelle vocali che nelle consonanti, a partire dall'ultimo accento; la rima è dunque la sezione finale di un verso, a partire dall'ultimo accento, quello che di norma nella tradizione romanza medievale e post-medievale identifica i vari tipi di versi, quando entri in corrispon- denza d'identità con altre terminazioni entro la medesima struttura metrica. In si- tuazioni d'instabilitá ortografica, occorre tenere conto di eventuali oscillazioni negli 54 usi grafici che possono produrre l'impressione di rime imperfette anche là dove l'u- guaglianza è totale nella pronuncia. assonanza: identità tra le sole vocali (con esclusione quindi delle consonanti), in condizio- ni analoghe a quelle che definiscono la rima. décasyllabe (in ital. meglio traducibile con “decenario”, piuttosto che con “decasillabo”, per evitare confusioni sulla misura): verso caratterizzato e individuato da un accen- to dominante in decima sede, che identifica la rima o l’assonanza, e da un secondo accento d'importanza quasi pari al primo posto sempre in quarta sede (in pochissi- mi casi è posto invece in sesta sede) e individuante una cesura interna; la struttura nei due casi è dunque stabilmente o 4 + 6 (d. ‘a minori’) ovvero 6 + 4 (d. ‘a maiori’). È possibile inserire in cesura e in fine di verso parole piane, con l'accento naturale ‘di parola’ posto quindi nelle sedi forti del verso; in tal caso dopo la 4a (o 6a) e/o dopo la 10a sede compaiono nell’assetto prosodico una o due sillabe, corrisponden- ti a sillabe finali atone delle quali non si tiene Nella misura prosodica complessiva il décasyllabe epico è strettamente comparabile all'endecasillabo della tradizione ita- liana, che è però più simile, entro la stessa misura di base, al décasyllabe lirico della tradizione provenzale, leggermente più flessibile; il décasyllabe è nella tradizione francese il verso tipico della canzone di gesta del secolo XII, poi affiancato e in parte sostituito dall'alessandrino. octosyllabe (in ital. meglio “ottonario” che “ottosillabo”): verso individuato da un accento dominante in ottava sede. Nella tradizione gallo-romanza è il metro caratteristico dei generi versificati d'argomento narrativo e didattico, con amplissima tipologia; nelle canzoni di gesta fa la sua comparsa solo nell'antica canzone di Gormont e Isembart. alessandrino: verso lungo, corrispondente a un dodécasyllabe cesurato al mezzo e costitui- to dunque di due unità simmetriche, ciascuna caratterizzata da un accento struttu- rale in sesta sede, dopo la quale può o no essere presente un'ulteriore sillaba atona (così che il computo sillabico-prosodico delle realizzazioni regolari di alessandrino varia da un minimo di 12 a un massimo di 14 sillabe: 6+6, 7+6, 6+7, 7+7): si tratta in sostanza di un doppio ésasyllabe (equivalente prosodico di un settenario italiano); l'a. venne così chiamato a partire dal testo che lo impose nel gusto del pubblico, un Roman d' Alexandre, ossia una rielaborazione della storia leggendaria di Alessandro Magno, composto verso la fine del sec.XII; organizzato in strofette di quattro versi, l'a. fu metro importante della poesia soprattutto didattica francese e spagnola (qua- derna via, la forma del mester de clerecia), con esempi importanti anche in Italia. 8.3 Analisi del corpus testuale conservato Prima di procedere a una qualsiasi valutazione di questi monumenti letterari occorre ribadire che il loro numero ridotto costituisce una remora a qualsiasi ricostruzione di per- corsi sicuri, ai quali manca proprio un numero adeguato e convenientemente situato di punti di ancoraggio. Ogni discorso resta quindi in larga misura ipotetico. Ciò premesso, alcune considerazioni appaiono senz'altro possibili già a partire dalla semplice elencazione dei testi. a) È innanzitutto evidente che questi componimenti acquistano nel corso del tempo una dimensione via via maggiore: anche lasciando di lato la Cantilena di Santa Eulalia, che 55 ha la struttura molto particolare di sequenza, e non considerando, per ovvie ragioni, i frammenti - tra cui comunque quello del Boeci (13) dà l’idea di un testo ampio e com- plesso - passiamo dai 245 vv. del Saint Léger (2), ai 516 della Passion (3), ai 593 della Sainte Foy (16), ai 625 del St. Alexis (9). La Chanson de Roland, di cui conosciamo una versione attribuibile alla fine del sec. XI e forse rimaneggiata all’inizio del successivo, conta più di 4000 versi - decasyllabes epici in lasse di estensione già sensibilmente varia- bile - nel più antico stadio ricostruibile. b) L'ambito di origine dei testi è sempre religioso e più precisamente monastico (mentre non compaiono centri di cultura che pure dal secolo XI cominciano ad avere una speci- fica rilevanza, come le scuole che si definiscono cattedrali ossia associate a una sede - cattedra - vescovile). Questo tratto di origine è ancora più forte della stessa ispirazione sacra, pure largamente dominante, dal momento che certamente da ambienti monastici provengono anche i manoscritti che li conservano: è chiaro in questa prospettiva il le- game con pratiche di culto, cerimonie e festività, pellegrinaggi (cfr. per es. qui di segui- to, punto d). L'unica vera eccezione, assieme alle KhargiRs andaluse d'incerta classifica- zione, è la fulminante strofetta di Bischoff, Las, qui non sun sparvir astur (peraltro insi- nuatasi in un codice di origine monastica per opera di un lettore e utilizzatore di quel manoscritto presumibilmente non estraneo egli stesso a quel medesimo ambiente). c) Tutti questi testi sono in testimonianza unica, ossia sono trasmessi da un solo mano- scritto. Alcuni, i più, paiono essere rimasti legati al luogo di composizione (es. nn. 1, 3, 5, 6-7, 12, 15): in questi casi non possiamo supporre un'effettiva circolazione dei testi. Ma altri, invece, sono trascritti in codici esemplati lontano dal luogo di composizione (es. 2, 16 e anche 14, poi ovviamente 9). Non solo: il fatto che uno stesso manoscritto ab- bia conservato due testi di origini differenti (i testi 2 e 3 nel codice di Clremont-Fer- rand) fa quantomeno intuire un processo di circolazione e di raccolta in centri interessa- ti a queste tipologie testuali che potrebbe essere stato ben più esteso di quanto ricostrui- bile sulla base della documentazione conservata. d) È possibile, per certi aspetti probabile, che ‘a monte” o ‘alle spalle’ di questi testi ve ne fossero altri analoghi. Per esempio, Ulrich Mölk ha riesaminato recentemente (1989) una testimonianza dell'inizio del sec. XI già più volte commentata, quella di Bernardo d'An- gers assegnabile al 1020 ca. e relativa ai pellegrinaggi a Conques legati alla devozione per Santa Fede: durante i festeggiamenti e anche dentro la chiesa i pellegrini intonavano del- le cantilenae rusticae, in un altro passo definite come rustica et inepta cantica, componimenti di forma non precisabile e però certamente di argomento religioso e che su questa base il testimone giudica benevolmente, come espressione della simplicitas, ignorantia e fragilitas dei pellegrini (testimonianza di specialissima rilevanza, considerato che Conques si trova alle falde meridionali del Massiccio Centrale e ai limiti della regione nella quale può esse- re collocata, su base dialettologica, l'origine della Chanson de Sainte Foy); Mòlk conclude la sua verifica affermando che «il discorso di Bernardo non prova l’esistenza di canzoni religiose provenzali a Conques negli anni intorno al 1000 né questa risulta in nessun mo- do dalle sue parole [...] tuttavia la sua argomentazione non è comprensibile, se non si presuppone che egli sia a conoscenza di canti religiosi in lingua volgare e che attribuisca tale conoscenza anche ai pellegrini convenuti a Conques» (Môlk 1989: 912); vi è dunque la garanzia non di una tradizione specifica, ma di una pratica relativamente diffusa. 56 e) Si vanno via via definendo degli assetti testuali che prefigurano quelli della letteratura profana del secolo XII attraverso la quale si comincia a delineare una supremazia alme- no settoriale del volgare rispetto al latino: il décasyllabe è il metro dominante delle can- zoni di gesta, l'octosyllabe della poesia didattica e narrativa oitanica, destinata a dilagare dalla metà del sec. XII in poi. La maggioranza degli studiosi ha da sempre individuato il décasyllabe come il metro ori- ginario dell'epica, spiegando casi come quello del Roman d'Alexandre di Albéric de Pisan- con (17) e della canzone di gesta di Gormont et Isembart (XII in.) come dovuti a interferen- za tra due assetti metrico-prosodici e tra gli stessi generi. Non è mancato tuttavia chi ha interpretato il rapporto a termini invertiti, con una anteriorità della forma ottosillabica e dunque dell'asse Saint Léger - Passion - Gormont et Isembart; la struttura metrico-prosodi- ca dell’ octosyllabe si sarebbe espansa, passando anche attraverso la formalizzazione della cesura mediana, in quella del décasyllabe. f) Si intravvede, non ancora delineata nei fatti, ma decifrabile sulla base della situazione posteriore, un'opposizione nella distribuzione dei generi che vede una predominanza - poi nettissima nei sec. XII e XIII - della lingua d'oïl nei generi narrativi e una anteriorità e predominanza della lingua d’oc nella lirica ‘colta’ (valgono soprattutto i testi indicati sotto il n. 13). La partizione ha carattere decisivo: il complesso della letteratura romanza medievale - o: delle letterature romanze - si costituirà nella sua articolazione di forme e generi a partire da punti di riferimento costituiti dall'ambito oitanico per tutta la narra- tiva e per alcune espressioni liriche di tipo ‘basso’ e di contenuto folklorico-tradizionale (spesso definite come ‘popolareggianti’) e dall'ambito occitanico per la lirica ‘colta’ di matrice cortese : la bipartizione si riflette e in qualche modo genera quella iberica, che vede il galego-portoghese come lingua trans-nazionale di una lirica che si costituisce in tradizione - ossia in continuità di produzione entro parametri formali ed espressivi defi- niti - a partire dal corpus testuale dei trovatori provenzali. La tradizione lirica proven- zale si costruisce a partire dalla fusione funzionale di elementi che vediamo preannun- ciarsi nel nostro piccolo corpus testuale dei testi letterari più antichi, in particolare nella dialettica tra i nn. 12 e 13. A questo proposito, se è vero che l'aspetto formale è del tutto decisivo nell'affermazione di un ‘discorso letterario romanzo’ indipendente dal latino - e da questo angolo visuale i testi di 13 rappresentano proprio un momento decisivo di passaggio - è però certo che il tutto si costruisce intorno a nucleio tematici innovativi ed esclusivi del volgare. Il folgorante frammento individuato da Bischoff anticipa interi ca- pitoli delle letterature romanze successive: da un lato l'immagine della trasformazione in uccello fantastico per raggiungere l'amata, propria della tradizione folklorica e ricor- rente nella lirica d'ispirazione ‘bassa’ e ‘non cortese’, è fatta propria da Marie de France come nucleo narrativo del suo Lai de Lanval (ca. 1170); dall'altro la formula di attacco ne preannuncia una di una lirica di Bernart de Ventadorn databile agli anni 1150-70 (Tant ai mo cor ple de joya, PC 070,044) e quindi, come la ripresa narrativa di Marie de Fran- ce, posteriore di un secolo alla strofetta harleiana: Ai Deus! car no sui ironda, que voles per l'aire 50 e vengues de noih prionda lai dins so repaire? Bona domna jauzionda, 57 mor se-l vostr’amaire! Paor ai que-l cors me fonda, 55 s'aissi-m dura gaire. Domna, per vostr'amor jonh las mas et ador! Gens cors ab frescha color, gran mal me faitz traire! 60 Nel confronto rileviamo le costanti - immediatamente evidenti: l'immagine, la lonta- nanza, il desiderio - e gli elementi ‘formali’ innovativi presenti in Bernart de Ventadorn e decisivi come contorni della nuova forma espressiva volgare, della tradizione lettera- ria - il corpus testuale dei trovatori, con ciò che esso rappresenta per la letteratura e la cultura europea - e ciò che tradizione ancora non è, ossia appunto la strofetta dell'asto- re: in breve, un discorso lirico costruito in maniera estremamente coesa a partire da una nuova soggettività, che dà all’ «io» dell'amante un rilievo e una profondità del tutto as- senti nell'apparizione più antica, espressa attraverso una forma - lingua, stile, versifica- zione - incomparabilmente più elaborata e perfetta. g) AI di là delle coincidenze metriche, che peraltro sottintendono evidentemente delle so- miglianze che potremmo definire come ‘micro-testuali’ nell'articolazione dell'espres- sione e della frase, è abbastanza evidente l'affinità retorico-compositiva complessiva che si può stabilire soprattutto tra i più tardi e complessi dei ‘poemetti agiografici” co- me in primo luogo il Boeci, la S.te Foy e, in maniera specialissima, il St. Alexis e le canzo- ni di gesta, soprattutto la Chanson de Roland. La relativa antichità dei due esempi meridionali, il Boeci e anche la S.te Foy, rispetto al St. Alexis e poi al Roland settentrionali è stato anche argomento utilizzato dai sostenitori di una origine occitanica - linguadociano-limosina - dell'intera tradizione gallo-romanza: anche le canzoni di gesta avrebbero avuto antenati ‘meridionali’. Questa ipotesi, malgra- do si giovi dell'apporto indiretto di tracce quali quella della Nota emilianense, non va al di là dello stadio di mera congettura. h) Il St. Alexis (9) segna una svolta sostanziale, cui forse proprio questo testo può avere di- rettamente contribuito. La leggenda dell’ «uomo di Dio», di alti natali e che rinuncia però del tutto al proprio rango e alla propria famiglia per una vita solitaria di mendi- cante che lo conduce sin dentro alla casa paterna è indubbiamente in sé particolarmen- te toccante e dovette interpretare una serie di inquietudini e di nuove sensibilità che si affacciavano nel mondo occidentale dopo il 1000; essa è interpretata in volgare in un te- sto di considerevole qualità letteraria, il quale, ancor più del Boeci, l’altro testo che uti- lizza il “décasyllabe epico” delle canzoni di gesta, presenta affinità stilistiche marcate con le più antiche canzoni di gesta e in particolare con la Chanson de Roland, che è con ogni probabilità la più antica conservata: sono difatti simili la tecnica di costruzione del decasillabo e l'articolazione metrico-narrativa che s'impernia assai spesso su gruppi di strofe - e di lasse nell'epica - d'impostazione simmetrica, costruiti specialmente per gruppi di tre unità, con effetti di rallentamento dell’azione e di potenziamento o inten- sificazione dell'impatto emotivo.


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